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LE MOSTARDE DI CORTEDI LAURO BENETTI

Delegato di Carpi-Correggio

“Non è un caso se siamo in una città dell’Emilia Romagna dove convivono arte,

spettacolo, gastronomia. Mostarda uguale a

mosto ardente, ma c’è la mostarda fina,

la mostarda di frutta intera:la mostarda è un pozzo

senza fine che comprendeanche un’interpretazione come derivato dal mosto,

dal vino”.

Q uesto convegno, promosso eorganizzato a Carpi dallaDelegazione dell’Accademia

e dedicato alle “Mostarde a corte”, siè svolto nel Teatro comunale di Car-pi alla presenza del Presidente del-l’Accademia, Giuseppe Dell’Osso.Numerose le autorità presenti, tracui Elisa Mei, vice-questore di Carpi;Rolando Togni, vice-questore di Mi-randola; il capitano Fabrizio Fratoni,comandante la Compagnia dei Cara-binieri di Carpi; Gian Fedele Ferrari,presidente della Fondazione Cassadi risparmio di Carpi; Luigi Verrini,presidente della Cassa di risparmio;Giulio Vezzani, presidente della Can-tina sociale.

Una giornata all’insegna della cul-tura aperta da Lauro Benetti, Delega-to di Carpi-Correggio-Mirandola, cheha dato il benvenuto ai partecipanti.Subito dopo il sindaco di Carpi, De-mos Malavasi, ha dato a sua volta aiconvenuti il benvenuto della città.

Il Presidente Giuseppe Dell’Ossoha così ringraziato il sindaco per lesue belle parole: “In questa sedeprestigiosa e bella porto il saluto ditutta l’Accademia. Per me è un mo-mento di grossa soddisfazione so-prattutto dopo le parole del sindaco,in quale ha toccato dei punti che noiAccademici perseguiamo e condivi-diamo. Salvaguardare le tradizioni è,per noi, un impegno sociale; ne van-no riscoperte alcune che, nel tempo,si sono purtroppo perse, proprio co-me va recuperata la tradizione dellaciviltà contadina. È, questo, un di-scorso culturale ed è l’obiettivo del-l’Accademia”.

Lauro Benetti ha poi presentatol’assessore alle Politiche economi-che del Comune di Carpi Alberto Al-legretti, che ha detto tra l’altro:“Questa è un’ulteriore tappa che

l’amministrazione ha definito sul te-ma dell’enogastronomia. Sono con-vinto che l’Accademia continueràquesto felice rapporto con l’ammini-strazione: abbiamo formato ungruppo di lavoro di esperti e abbia-mo scoperto le grandi potenzialitàdi questo settore”.

La prima relazione ufficiale è statapronunciata da Giovanni Ballarini,presidente del Centro Studi “FrancoMarenghi”. “Non è un caso - ha det-to tra l’altro - se siamo qui, in unteatro tipico delle cittadine dell’Emi-lia Romagna dove arte, spettacolo,gastronomia vivevano insieme. Mo-starda uguale a mosto ardente, mac’è la mostarda fina, la mostarda difrutta intera e sull’argomento c’èmolto da dire. La mostarda è unpozzo senza fine che comprende an-che l’interpretazione di mostarda co-me derivante dal mosto, dal vino.C’è una difficoltà ad affrontare il te-ma in un unico discorso: infatti lacultura della mostarda si può vedereda punti di vista diversi. In sintesi, diqua e di là dal Po dove c’era il cultodel mosto (e dal mosto deriva anchel’aceto balsamico)”.

Carla Bertinelli Spotti, Accademicadi Cremona, ha svolto il tema “1397,anno di nascita della mostarda difrutta intera”.

“Quello - ha esordito - è stato unanno magico, anche se è un po’ az-zardato definirlo l’anno della nascitadella mostarda di frutta intera. Dicerto è stato l’anno in cui si è rileva-ta la sua presenza. Ci sono almenotre ricette (Mantova, Carpi, Cremo-na) legate rispettivamente alle cortidei Gonzaga, dei Pio, dei ViscontiSforza. Dunque si può parlare dellamostarda come di un cibo regale. Sigustava alla corte di Galeazzo Vi-sconti e in quella di Bianca Maria e

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Francesco Sforza; nel Seicento era inauge presso i principi vescovi di Lie-gi (molti mercanti cremonesi viveva-no nelle Fiandre, ad Anversa). Nel-l’Ottocento è arrivata alle tavole deibuongustai, poi di tutti noi.

Frutta candita - mele, pere, noci,mandorle, limoncelli, cedri -, scirop-po zuccherino, senape, questa è lamostarda, ma esistono anche ricettedi mostarda insaporite con chiodi digarofano”.

“Parliamo di 1397 - ha proseguito -perché esiste un documento datato 7dicembre di quell’anno, reperito nel-l’archivio di Voghera: era una sortadi ordine per le feste”.

È seguita la relazione di LucianaNora, responsabile del Centro etno-grafico del Museo civico di Carpi,studiosa di antropologia culturale.

“La storia della nostra gente - haosservato - è impastata di vino, in-fatti la ricchezza maggiore venivadalla coltura della vite. I rituali con-nessi alla vite e alla vita sono tantis-simi: un tempo, per esempio, la pla-centa del bambino appena nato ve-niva seppellita in cantina, sotto lebotti, oppure sotto una vite maritataall’olmo. La mostarda, una volta, sivendeva tra dicembre e gennaio,massimo febbraio, durante il solsti-zio d’inverno, quando le energie ditutta la natura vengono a vivificarsi.Avere certe cose sul tavolo significa-va poter trarre buoni auspici perl’avvenire, ed era così con il pane diNatale, impastato con savor o saba.Significava abbondanza e nella nottedella Vigilia se ne dava anche aglianimali nelle stalle. Veniamo a Carpie alla sua mostarda ritenuta sopraffi-na. Era utilizzata dai carpigiani nobi-li anche per conservare le buone re-lazioni con i nobili fuori dalla città.Nel carteggio Foresti, per esempio,risulta che ne viene mandata a Erco-le I d’Este e al fratello duca. Ma lamostarda serviva anche per perorarecause, e sappiamo che ne era statainviata a giudici romani. Della mo-starda parlano Alessandro Tassoninella “Secchia rapita”, il Guicciardi-ni, contemporaneo di Alberto III

Pio; ne parlavano, ma nominavanola mostarda, non gli elementi che lacompongono. Si sa che venivanousati i pomi gagliardini e che li si fa-ceva cuocere nell’acqua, e poco al-tro. La famiglia dei Sebellini, spezialiin Carpi, si tramandava la ricetta so-lo oralmente, ma la loro mostardanon era l’unica anche se era quellaritenuta migliore.

La mostarda appare nel ricettariodelle famiglie Gaddi, Foresti, Leoni,ma le ricette erano differenti. C’erachi usava le mele e chi no, le quan-tità variavano, dunque consistenze esapori dovevano essere differenti.Qualcuno la metteva nei vasi “alba-rella”, altri nei fiaschi quasi comefosse una saba, un sapore. La spe-zieria del “Pomo d’Oro” aveva unacerta ricetta, ma non basta leggereuna ricetta, bisogna vederla fare.Adesso ci chiediamo se la mostardaera fina per il suo gusto fino o percosa altro. Si può ipotizzare che lamostarda fina di Carpi avesse analo-gie con quella di Mantova: mele,buccia di cedro, scorze d’arancia es-siccate con il miele per perdere l’a-maro, ma c’era anche chi, il miele,non l’utilizzava. Risperimentare lamostarda oggi penso sia un’avventu-ra estremamente avvincente; le ri-cette, credo, non ci debbono esserenegate”.

Il giornalista Renzo Dall’Ara hapronunciato il suo intervento dal ti-tolo, solo apparentemente parados-sale, “Mostarda mantovana: si fa per-fino a Mantova”. “Le mostarde a cor-te - ha detto - sono il tema, l’argo-mento del convegno, ma vorrei usa-re la parola corte con l’iniziale minu-scola: la corte che poi è la fattoria, lamasseria, la cascina, senza dimenti-care la Corte con la maiuscola. No-blesse oblige. Nel 1328, grazie a ungolpe realizzato con i veronesi, aMantova andarono al potere i Gon-zaga che ci rimasero fino al 1707:quindi Mantova fu la capitale di unoStato per quattro secoli. La cortemantovana faceva tendenza, soprat-tutto nel periodo di massimo fulgo-re, nel Rinascimento. Poi, nel 1581,

Vincenzo Gonzaga, noto sciupafem-mine, fa servire mostarda «amabile»al suo matrimonio con una Farnese.Ma quella, ci chiediamo, era mostar-da mantovana o di Piacenza? Possia-mo rispondere, ma a un’altra que-stione, ed è che la senape, ingre-diente della mostarda, era ritenutaun’eccitante dei piaceri di Venere.Della mostarda mantovana se neparla anche nella seconda metà delSeicento con Stefani, cuoco dei Gon-zaga che però osservava come lamostarda «ornata di caramello e zuc-chero deve essere di Carpi», e loscrive nel 1662”.

Dopo essersi diffuso sulla storiadella mostrarda, Dall’Ara spezza unalancia in favore dell’industria: “Pos-siamo dire che è stata l’industria agarantire la sopravvivenza della mo-starda che, nella Sinistra Po, è usatanel ripieno dei tortelli di zucca,mentre questo non accade nella De-stra Po.

Ma la mostarda non ha più confi-ni, infatti viene prodotta negli agri-turismi. Solo nel Mantovano ce nesono 130, e più crescono più calala voglia di fare agricoltura. Ma sipossono addirittura trovare museidella mostarda a Digione, ce n’èuno anche nel Wisconsin. Di mo-starda si parla anche in tutte lescuole di cucina”.

Ballarini a questo punto ricordache “la senape è presente nella no-stra cultura da 3.300 anni prima diCristo e che viene citata anche nel«Vangelo», alimento considerato sti-molante e digestivo, in grado diesercitare attività antitumorali soprat-tutto per il grosso intestino e la ve-scica. Migliaia di anni di utilizzo giu-stificano il successo della senape”.

Sono seguiti numerosi interventitra i quali particolarmente significati-vi quelli di Sandro Bellei, Accademi-co di Modena, e di Vittorio Brando-nisio, Accademico di Parma.

A molti quesiti avanzati dai parte-cipanti, ha risposto Luciana Nora:“Credo che la mostarda fina lo fosseper la finezza del sapore. Alla fruttavenivano «tolte le braghe», poi veni-

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va ridotta in quarti, immersa nell’ac-qua, ma c’è anche chi dice nel mie-le, però la grande invenzione di Car-pi è la cottura in acqua. Noi ritenia-mo che le mele decime siano moltosimili di sapore alle mele gagliardie,ma non possiamo affermarlo concertezza, lo supponiamo perché nonè rimasto un albero di gagliardie.

La mostarda poteva essere solida eliquida, di certo però sappiamo chenoi stiamo tentando in tutti i modi direcuperare un prodotto sulla base diricette ritrovate”.

Ermanna Malvezzi interviene infor-

mando che, assieme alla figlia MaraGiordano, ha fatto un’analisi storicasulla mostarda: “La nostra conclusio-ne - ha detto - è che la mostarda erasopraffina, ma non si chiamava «fina»per quello ma perché era fina, la pa-sta traslucida, rossa, perfetta per ilmenu di Natale”.

Concludendo il convegno, il Dele-gato Lauro Benetti ha ringraziato re-latori e presenti, e in modo partico-lare il signor Saetti, decano deglispezieri carpigiani, e Carlo Rossini,ma soprattutto Raffaele Baroncini eCinzia Ferretti.

È seguito un pranzo tradizionale epiacevole, al termine del quale ilPresidente Dell’Osso, ricevendo unricordo dalle mani di Lauro Benetti,ha detto: “Sono particolarmente or-goglioso di avere a Carpi un Delega-to che ha saputo dar vita a un in-contro di alto spessore culturale di-mostrando come la puntigliosità, illavoro, la passione diano un sensoal nostro essere Accademici, specieoggi che siamo nel novero dei piùeletti istituti di cultura”.

LAURO BENETTISee International Summary page 78

La spongata arriva sulle nostre tavole preferibilmentenel periodo natalizio, ma non solo, vista la lungaconservazione di questo tipico dolce che intrecciatradizioni locali diverse di qua e di là degli Appenni-ni, dalla Bassa parmense e reggiana fin su e verso laLunigiana. Ma nessuno, a vederla così invitante e go-losa, direbbe che questa “dolce signora” ha all’incir-ca duemila anni (sembra sia nata ai tempi dell’anti-ca Roma). Certamente i suoi anni se li porta bene, con le sueforme rotondeggianti, lo zucchero a velo ben spolve-rizzato candido e soffice, che fa pensare a un amorepuro, appena sbocciato. C’è chi lo definisce addirittu-ra “il dolce italiano più antico” e se ne ricercano leradici nel “Satyricon” di Petronio Arbitro, nelle in-terpretazioni rivedute e corrette da diversi artisti delNovecento (in testa il grande Federico Fellini). Nel-l’antico testo latino si descrive una sorta di torta cheavrebbe gli stessi ingredienti dell’attuale spongata,già cugina di un “pan di spezie” d’origine greca. Mala vera paternità di questo dolce non sembra facil-mente rintracciabile. Parliamo di Roma come possi-bile luogo d’origine, ma incontriamo poi diversi luo-ghi (Sarzana, La Spezia, Busseto, Corniglio, Brescel-lo, Reggio Emilia, Parma, Modena) che ne rivendica-no la paternità, ciascuno con una propria versionedefinita “originale”. E ognuno di questi paesi ha unastoria propria e accattivante, un differente eppur si-mile punto di contatto con questo dolce che lascia gu-stare il sapore particolarissimo dei canditi, del miele,del burro e, insieme, l’aroma della noce moscata edella cannella (e anche delle mele cotogne nellaspongata di Sarzana). Già a partire dagli ingredienti, variabili ma in ma-niera trascurabile a seconda della località, ci si ren-

de conto che la spongata non è soltanto un dolce,bensì un incontro di sapori piacevolmente in contra-sto tra loro. Infatti, la storia a volte dialoga con il pa-lato: una storia fitta di culture diverse che s’incontra-no e che tenta una pacificante sintesi attraverso unaricetta. A Modena, per esempio, la spongata era già, nel XVIsecolo, popolare (sia perché conosciuta, sia perchéapprezzata proprio dal popolo, nonostante fosse ap-pannaggio quasi esclusivo dei ricchi), tanto che una“grida” estense ne regolamentava la produzione. Spo-standoci un poco, il primo documento che parla spe-cificatamente della spongata “de Berselo” (Brescello,sulla riva del Po), risale al 1454: ne sarebbe stata in-viata una come gustoso dono al signore di Milano,Francesco Sforza. Per quanto riguarda invece laspongata di Reggio Emilia (e siamo ancora fra Quat-trocento e Cinquecento), si sa che veniva offerta aospiti illustri e che, in periodi di carestia, se ne proibi-va la confezione, troppo sfarzosa e quindi riservataai soli, e rari, momenti di abbondanza. Oggi, fortu-natamente, chiunque può gustare una fetta di accat-tivante spongata. Confezionata, la si trova pratica-mente tutto l’anno anche negli scaffali dei supermer-cati ma anche, quelle di migliore qualità, nelle piùraffinate pasticcerie. Una gita a Brescello, o a Corniglio, a Busseto o ma-gari in Lunigiana consente di gustare e apprezzare“in loco” questo dolce che sa esaltare al massimo sen-sazioni, profumi, colori. Oltre a luoghi caratteristici,densi di storia e paesaggi unici nel loro genere, saràpossibile incontrare la spongata preparata e servitatutto l’anno, come frammento di cultura, tradizionedel luogo, piacere di condividere la tavola. (AntonioBattei)

LA SPONGATA: UN DOLCE DALLE MOLTE RADICI