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[Le modifiche introdotte dalla direttiva Mifid nell’ordinamento italiano] [Faustini Eleonora] [giugno 2008] © Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione Dipartimento di Scienze giuridiche CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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[Le modifiche introdotte dalla direttiva Mifid nell’ordinamento italiano]

[Faustini Eleonora]

[giugno 2008]

© Luiss Guido Carli. La riproduzione è autorizzata con indicazione

della fonte o come altrimenti specificato. Qualora sia richiesta un’autorizzazione preliminare per la riproduzione o l’impiego di informazioni testuali e multimediali, tale autorizzazione annulla e sostituisce quella generale di cui sopra, indicando esplicitamente ogni altra restrizione

Dipartimento di Scienze giuridiche

CERADI – Centro di ricerca per il diritto d’impresa

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Introduzione

Negli ultimi decenni i mercati finanziari hanno notevolmente

modificato la loro struttura e le loro dimensioni, anche a causa

dell’abbattimento delle barriere legate alla comunicazione, superate con la

globalizzazione. Le nuove tecnologie informatiche hanno ampliato

notevolmente il proprio ambito di operatività, così che il mercato odierno

deve rifarsi alla prassi del trading on line. Tali tecnologie costituiscono,

infatti, la New economy, nata con la rivoluzione digitale, e permettono

l’individuazione di nuove strategie di mercato, e forme di interazione tra

intermediario e investitori.

Nonostante le modifiche significative nel mercato, le operazioni, la

struttura e l’organizzazione dello stesso sono ancora riconducibili a tre

diversi settori che costituiscono il fondamento storico e strutturale del

mercato dei capitali: le banche, il mercato di borsa e il mercato assicurativo.

La netta distinzione tra le suddetta attività è venuta eludendosi dal momento

in cui, mediante la “deregulation”, si è permesso agli operatori di svolgere,

all’interno della stessa società, una grande varietà di attività.

In presenza di un mercato in forte espansione, a seguito dell’aumento

del numero degli investitori e della gamma di servizi offerti, il legislatore ha

ritenuto opportuno modificare il quadro giuridico comunitario al fine di

garantire un livello adeguato di protezione degli investitori e consentire alle

imprese di prestare i servizi in tutta la comunità. La direttiva Mifid1 nasce,

1 “Markets in Financial Instruments Directive” Direttiva 2004/39/CE del

Parlamento Europeo del 21 aprile 2004; Direttiva 2006/73/CE della Commissione Europea del 10 agosto 2006 recante modalità di attuazione della Mifid per quanto riguarda i requisiti organizzativi e le condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento e le definizioni di alcuni termini ai fini di tale direttiva; Regolamento Ce n. 1287/2006 della Commissione Europea del 10 agosto 2006.

Il nostro ordinamento ha recepito la Direttiva Mifid con d. lgs. 17 settembre 2007, n. 164 e dal d.lgs. 6 novembre 2007.

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oltre che per far fronte all’esigenza di updating della normativa comunitaria,

con l’obiettivo di rimediare ai limiti stessi della direttiva sui Servizi di

Investimento (93/22/CE) e cioè garantire, da un lato, un livello di

armonizzazione adeguato per consentire alle imprese di operare in tutta la

comunità sulla base della vigilanza dello Stato membro d’origine (home

country control) dall’altro, favorire la concorrenza, tra i soggetti impegnati

nel settore.

La regolamentazione nazionale e comunitaria muovono dall’intento

di garantire l’efficienza del mercato, laddove il mercato rappresenti una

modalità di raccolta del capitale tra il pubblico. In tal senso, la concorrenza

tra le piattaforme di negoziazione e la trasparenza incidono in maniera

significativa sui meccanismi di formazione del prezzo.

Le modifiche apportate dal legislatore comunitario attengono sia

all’organizzazione di mercati, eliminando l’obbligo di concentrazione e

facendo strada a nuove piattaforme di negoziazione, che agli operatori del

mercato. Oltre all’introduzione del servizio di consulenza finanziaria, si

riscontra la specificazione delle regole di condotta degli intermediari e una

disciplina del conflitto di interessi che con difficoltà è riconducile alla tutela

del contraente.

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I nuovi servizi di investimento e l’operato degli intermediari

1. La consulenza in materia di investimenti

Il recente d. lgs. 30 giugno 2007 (in vigore dal 1°novembre 2007) in

recepimento della direttiva Mifid2 (Market in Financial Instruments

Directive) ha istituzionalizzato la figura professionale del consulente

finanziario che viene definito come colui che “presta raccomandazioni

personalizzate ad un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa

dell’impresa di investimento, riguardo a una o più operazioni relative a

strumenti finanziari”. Nelle considerazioni introduttive la Direttiva ha

chiarito le mutate prospettive comunitarie, in cui è cambiato lo scenario

degli investimenti, nel quale è cresciuto il numero degli investitori e la

gamma di servizi offerti risulta ancora più complessa. Già nel 2002 la

Commissione Europea aveva indicato la strada verso un modello di mercato

finanziario, nel quale la figura del Fee only financial planner fosse elemento

di equilibrio per il mercato finanziario, utile per l’eliminazione di

asimmetrie informative tra domanda e offerta di prodotti. Quindi

nell’istituzione di una figura a fianco del cliente e non di banche e di

assicurazioni, come gli attuali operatori finanziari assimilabile alla figura

del broker nel mercato assicurativo. Con l’espressione “fee only” utilizzata

nel mercato statunitense3, si identifica il professionista remunerato

2 Gazzetta ufficiale 17/02/2007 3 I primi consulenti finanziari indipendenti remunerati solo a parcella per la loro

consulenza nascono negli USA agli inizi degli anni ’70 dopo che nel 1969 tra i più importanti esperti del settore diedero vita a quella che oggi è la più importante certificazione ovvero la Certified financial planner. Questa dimostra la competenza in tutte le aree della finanza, dalla pianificazione degli investimenti al settore assicurativo, da quella pensionistica a quella fiscale. Secondo un’analisi dell’associazione Cfp, i fee only financial planner nel 2004 rappresentavano la categoria professionale preferita da circa la metà degli investitori americani.

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esclusivamente dal cliente, e quindi privo istituzionalmente di conflitto di

interessi. Risulta infatti autonomo da banche, compagnie assicurative e SGR

dalle quali è quindi svincolato per la vendita dei prodotti finanziari, ed eroga

un servizio di consulenza “puro” al cliente; l’investitore, infatti, che si affida

ad un consulente fee only, non trasferisce il proprio denaro da un

intermediario ad un altro, ma continua ad operare con la sua banca di fiducia

e si avvarrà del suddetto professionista solo per i servizi di consulenza. In

tal senso consigliare uno strumento o un altro è del tutto indifferente per il

professionista, se non per l’interesse a rinnovare la fiducia che l’investitore

ripone nel consulente. Quest’ultimo opera solo per i suoi clienti e non su

mandato dell’intermediario. Il consulente percepisce direttamente dal cliente

il compenso per la sua prestazione professionale assimilabile a quella di altri

professionisti, quale l’avvocato o il commercialista. Sulla base della lettera

dell’art. 10 lett. c)4 il consulente deve essere dotato di requisiti di

professionalità. Deve cioè essere in grado di analizzare tutti i prodotti

proposti da banche compagnie di assicurazione e altre reti di vendita, può

fornire cioè la consulenza su una vasta gamma di prodotti che spaziano dalla

finanza alla previdenza. Il consulente viene a creare un rapporto bilaterale

con il cliente e personalizzato, fondato, da un lato, sulla conoscenza degli

obiettivi di investimento e della situazione finanziaria del cliente, dall’altro,

sulla illimitata possibilità di consigliare gli investimenti.

Giuridicamente, la figura del consulente finanziario indipendente si

inquadra nella normativa civilistica regolata dall’art. 2229 c.c. cioè tra i

4 Art. 10 lett. c) legge 17 febbraio 2007 n. 13 “prevedere che l’esercizio nei

confronti del pubblico, a titolo professionale, dei servizi e delle attività di investimento sia riservato alle banche e ad altri soggetti abilitati costituiti in forma di società per azioni nonché limitatamente ai servizi di consulenza in materia di investimenti alle persone fisiche in possesso di requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza e patrimoniali stabiliti con regolamento adottato dal ministero dell’economia e delle finanze sentite la Banca d’Italia e la Consob. Resta ferma l’abilitazione degli agenti di cambio ad esercitare le attività previste dall’ordinamento nazionale”

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prestatori d’opera intellettuale e ciò comporta delle conseguenze

significative riguardo la regolamentazione dell’attività di consulenza.

Benché si parli di una prestazione d’opera intellettuale, i recenti

orientamenti giurisprudenziali impediscono di far riferimento a

un’obbligazione di mezzi individuando invece nel caso di specie

un’obbligazione di risultato. La Corte Suprema (Cass. S.U. n. 15781 del

2005) in ambito della responsabilità del professionista ha riconosciuto come

la “giurisprudenza effettui una metamorfosi dell’obbligazione di mezzi in

quella di risultato, attraverso l’individuazione di doveri di informazione e

avviso, definiti accessori ma integrativi rispetto all’obbligo primario”. La

conseguenza è quindi che spetta al professionista fornire la prova che il

mancato conseguimento del risultato dovuto sia derivante da causa non a lui

imputabile.

Benché l’obiettivo iniziale fosse l’introduzione di un’attività

consulenziale indipendente, alla stregua del broker per il mercato

assicurativo e quindi al servizio del cliente, il legislatore ha optato dapprima

per la trasformazione di un servizio accessorio (art. 6 lett. f) Tuf testo

previgente) quale la consulenza in materia di investimenti in strumenti

finanziari, in un autonomo servizio di investimento che certamente difetta

del predetto requisito di indipendenza dal momento che è riservato a banche

ed imprese di investimento che potranno effettuare tale servizio per il

tramite di promotori e di dipendenti, nonché alle società di gestione del

risparmio (art. 18 Tuf).

Secondo la nuova impostazione, gli altri servizi di investimento sono

assolutamente privi di carattere consulenziale, così che la consulenza dovrà

essere considerata come un autonomo servizio rispetto anche alla

negoziazione che tipicamente vedeva racchiuse raccomandazioni rivolte al

cliente per conto del quale si operava; sarà cioè sempre sommato agli

ordinari servizi di consulenza.

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Inoltre nonostante la direttiva abbia collocato la consulenza tra i

servizi di investimento, ne ha anche dato una disciplina diversa rispetto a

quella prevista per gli altri servizi di investimento orientati alla

distribuzione. In particolare l’obbligo di valutazione dell’adeguatezza delle

operazioni di investimento trova ora applicazione, come sottolineato in

precedenza, nel servizio di consulenza ma non più in quello di collocamento

di ricezione e trasmissione ordini, sottoposte alla regola dell’appropriatezza.

È previsto infatti un regime più rigido per il servizio di consulenza che

obbliga il consulente a valutare l’adeguatezza dell’operazione.

Come chiarito dalla normativa, oggetto della consulenza è la

prestazione di raccomandazioni personalizzate ad un cliente, dietro sua

richiesta o per iniziativa dell’impresa di investimento riguardo ad una o più

operazioni relativa a strumenti finanziari; inoltre “raccomandazione

personalizzata è una raccomandazione che viene fatta ad una persona nella

sua qualità di investitore” (art. 53 Direttiva 2006/73/CE). Tale

raccomandazione deve essere presentata come adatta per tale persona o deve

essere basata sulla considerazione delle caratteristiche di tale persona5. Il

Tuf chiarisce che la raccomandazione è personalizzata quando è presentata

come adatta per il cliente o è basata sulla considerazione delle caratteristiche

del cliente, contrariamente non è personalizzata se diffusa al pubblico

mediante canali di distribuzione (art. 1 comma 5 septies Tuf).

L’introduzione del suddetto servizio di investimento, e della relativa

riserva di attività, non preclude la possibilità per qualunque soggetto,

persona fisica, in possesso dei requisiti previsti all’art. 18 bis di esercitare

tale attività in modo professionale e indipendente. A garanzia della stessa il

5 Tale previsione trova riscontro nel considerando n. 79 della medesima direttiva :

“La consulenza in merito a strumenti finanziari forrnita in un quotidiano, giornale, rivista o in qualsiasi altra pubblicazione destinata la pubblico in generale o trasmissione televisiva o radiofonica non deve essere considerata come una raccomandazione personalizzata ai fini della definizione di consulenza in materia di investimenti”.

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Tuf ribadisce il divieto di detenere somme di denaro o strumenti finanziari

di pertinenza del cliente (art. 18 bis comma 1). L’articolo regola l’albo

professionale delle persone fisiche consulenti finanziari, alla cui tenuta

provvede un apposito organismo. Il suddetto organismo, a differenza

dell’albo dei promotori finanziari, vigila sul rispetto delle regole di condotta

dei consulenti e in caso di violazione degli stessi delibera, a seconda della

gravità, la sospensione o la radiazione dall’albo. La nuova impostazione è

volta ad evitare che gli investitori vedano nella figura dell’intermediario

quella del consulente. Le banche che svolgono servizi di investimento non

prestano infatti alcuna attività consulenziale se non un supporto informativo

che non può essere confuso con la consulenza.

La difficoltà a identificare il suddetto servizio di investimento privo

di conflitto di interessi è anche il frutto di un esame della definizione di

consulenza. La direttiva infatti senza chiarire se tale servizio debba essere

svolto da persona fisica o giuridica prevede che l’iniziativa nel rivolgersi al

consulente possa nascere dal cliente ovvero dalla stessa impresa di

investimento. Nel disegno originario tale scelta avrebbe ragione di esistere

dal momento che il consulente nasce come indipendente, ma nel sistema

italiano in cui la consulenza può essere svolta dalle Sim il conflitto di

interessi è netto.

2. La gestione portafogli

Tra le novità apportate dal decreto di recepimento della Mifid e dalla

modifica del Tuf, ricopre particolare importanza la gestione patrimoniale: la

normativa comunitaria sembra aver eliminato la distinzione tra gestione

individuale e collettiva oltre ad essere stato eliminato il requisito della forma

scritta per la redazione di un contratto di gestione. Il tratto distintivo tra le

due forme di gestione “consisteva” nel fatto che la prima è svolta

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nell’interesse del singolo cliente ed ha come punti chiave la

personalizzazione e la qualità del servizio, mentre nella gestione collettiva

l’apporto del singolo cliente confluisce in un patrimonio gestito a rischio e

nell’interesse dell’insieme dei partecipanti che hanno concorso alla sua

costituzione.

Il rapporto che si instaura tra le parti cliente e intermediario, nella

gestione individuale, è sostanzialmente un mandato fiduciario, nel quale il

cliente consegna il denaro all’intermediario per la costruzione di un

portafoglio di investimento secondo determinate direttive di rischio-

rendimento impartite dal cliente, che l’intermediario può seguire con certo

grado di discrezionalità. In ogni caso il cliente può impartire istruzioni

vincolanti al cliente in ordine alle operazioni da compiere (art. 24 Tuf) non

potendosi escludere comunque che il gestore abilitato possa recedere dal

contratto in caso di istruzioni irragionevoli. Nella gestione collettiva invece

il risparmiatore partecipa in una posizione assolutamente passiva, non

avendo alcun potere di intervenire nelle scelte del gestore. La gestione

collettiva del risparmio si esplica nella promozione, istituzione e

organizzazione di fondi comuni di investimento e nell’amministrazione dei

fondi con i partecipanti, nonché la gestione di OICR di propria o altrui

istituzione.

Nella prassi applicativa la distinzione evidentemente chiara tra le due

gestioni è stata elusa attraverso delle condotte da parte dei gestori tutt’altro

che limpide. Spesso infatti dietro una gestione personalizzata e

nell’interesse del cliente si nascondeva una politica comune adottata per una

molteplicità di risparmiatori che nella pratica sotto questo aspetto quindi

non si distingueva dalla gestione collettiva.

In questo senso la direttiva ha inteso almeno in principio eliminare la

suddetta distinzione in modo da sottoporre le attività alla medesima

regolamentazione. Nella sostanza in realtà il Tuf sembra aver mantenuto la

medesima distinzione dal momento che dedica il titolo III capo I alla

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gestione collettiva del risparmio, mentre all’art. 24 benchè faccia

riferimento genericamente alla gestione portafogli, detta delle disposizioni

che non sarebbero applicabili se non alla gestione individuale. Contravviene

infatti al contenuto del servizio pensare che nella gestione di un fondo

comune di investimento il risparmiatore possa impartire istruzioni vincolanti

(art. 24 Tuf comma 1 lett. a ).

3. Ricezione e trasmissione di ordini, e la modalità execution

only

Il servizio di ricezione trasmissione di ordini consiste nella ricezione da

parte dell’intermediario degli ordini di investimento o disinvestimento del

cliente al fine della loro esecuzione ovvero della trasmissione ad un altro

intermediario per l’esecuzione. A seguito delle recenti modifiche apportate

dalla Direttiva Comunitaria, il legislatore ha inteso precisare che tale

servizio comprende anche l’attività consistente nel mettere in contatto due o

più investitori rendendo così possibile la conclusione di un’operazione fra

loro, svolgendo cioè un’attività di mediazione (art. 1 comma 5sexies).

A differenza del collocamento tale servizio non presuppone che

l’intermediario abbia a monte un incarico distributivo; esso pertanto

prescinde dall’attività professionale dell’intermediario e si caratterizza per il

fatto che il cliente sceglie in autonomia gli investimenti da compiere.

Nel concreto si deve distinguere il caso in cui l’ordine possa essere stato

influenzato dall’attività consulenziale o promozionale dell’intermediario

specificatamente indirizzata al singolo cliente dal caso in cui l’ordine derivi

da un’iniziativa del cliente anche se faccia seguito ad una comunicazione

dell’intermediario contenente una promozione o offerta di strumenti

finanziari, effettuata però con i mezzi che siano per natura generali e rivolti

al pubblico o ad un più ampio gruppo o categoria di clienti o potenziali

clienti.

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Nel caso di ordini impartiti ad iniziativa del cliente e che inoltre abbiano ad

oggetto strumenti finanziari non complessi il cliente può scegliere di operare

nella modalità dell’execution only, con cui rinuncia a ricevere

dall’intermediario le relative tutele. Condizione ulteriore per poter operare

in tale modalità è che il cliente sia stato chiaramente informato anche

mediante un formato standardizzato del fatto che non riceverà tale tutela.

Benché tale modalità fosse preesistente all’entrata in vigore del decreto di

recepimento della Mifid, la normativa ha provveduto a trasformare tale

modalità in autonomo servizio di investimento (art. 1 comma 5 lett. b)).

Tale modalità dell’execution only è esclusa per i prodotti assicurativi.

Nel caso sia applicabile la suddetta modalità l’intermediario non è tenuto a

chiedere al cliente al dettaglio le informazioni occorrenti per poterla

svolgere.

4. Le regole di condotta degli intermediari

a. Valutazione di adeguatezza e…(segue)

Tra le principali novità accolte con il recepimento della suddetta

direttiva, si individua l’introduzione del nuovo concetto di adeguatezza

come criterio di valutazione della responsabilità degli operatori finanziari.

La valutazione di adeguatezza, unica del sistema previgente, viene

“sdoppiata” nel giudizio di adeguatezza e in quello di appropriatezza, aventi

un diverso ambito di applicazione, diverse funzioni e diverse

caratteristiche6. Occorre quindi dapprima circoscrivere l’ambito di

applicazione della normativa, secondo il dettato della stessa (art. 19 Mifid),

al servizio di consulenza e di gestione portafogli, evidenziando un primo

elemento di distacco del previgente ordinamento che applicava la suddetta

6 Art 19 par. 4 Direttiva 2004/39/CE; art. 35 Direttiva 2006/73/CE; cfr.

considerando n. 56 direttiva Mifid.

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valutazione a tutti i servizi di investimento e a quelli accessori (art. 21 TUF,

e art. 28 Reg Consob 11522/98). L’adempimento dell’obbligo di valutazione

dell’adeguatezza presuppone che il cliente fornisca informazioni

concernenti da un lato le conoscenze ed esperienze del cliente potenziale in

materia di investimenti relativamente allo specifico prodotto o servizio e

dall’altro hanno riguardo alla situazione finanziaria e gli obiettivi di

investimento (come previsto anche dal previgente art. 29 del Regolamento

degli Intermediari attraverso la suitability rule). Il richiamo alla situazione

finanziaria implica la valutazione della “sopportabilità” finanziaria

dell’operazione da parte del cliente, con riguardo non solo alla normale

rischiosità di un prodotto finanziario ma a qualsiasi rischio che possa

sorgere dall’effettuazione di quel servizio di investimento. A tal riguardo la

Consob, nel nuovo regolamento attuativo della Mifid7, chiarisce come sia

rilevante raccogliere dati sulla fonte e sulla consistenza del reddito del

cliente, del suo patrimonio complessivo, e dei suoi impegni finanziari (art

39).

Il requisito di adeguatezza viene soddisfatto inoltre se l’investitore è

in possesso di “esperienze” e “conoscenze”. Come evidenziato dall’art. 35

della direttiva II, tali requisiti sono circostanziati, non riguardo alla mera

conoscenza ed esperienza dell’investitore sullo specifico prodotto, bensì alla

particolare esperienza e conoscenza che si rendano necessarie per la

valutazione del rischio inerente alla specifica operazione. La Consob infatti

prevede la richiesta di informazioni, tenuto conto delle caratteristiche del

cliente, della natura e dell’importanza del servizio da fornire e del tipo di

prodotto od operazione previsti riguardanti: a) i tipi di servizi, operazioni e

strumenti finanziari con i quali il cliente ha dimestichezza; b) la natura, il

7 Regolamento recante norme di attuazione del decreto legislativo 24 febbraio

1998, n. 58 in materia di intermediari (adottato dalla Consob con delibera n. 16190 del 29 ottobre 2007).

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volume e la frequenza delle operazioni su strumenti finanziari realizzate dal

cliente e il periodo durante il quale queste operazioni sono state eseguite; c)

il livello di istruzione, la professione o, se rilevante, la precedente

professione del cliente. La Consob chiarisce inoltre che una operazione

singolarmente adeguata, può non esserlo se avviene con una frequenza che

non è nel migliore interesse del cliente.

Ove si tratti di clienti professionali a cui l’impresa fornisce un

servizio di investimento, il suddetto articolo prevede la presunzione, di tali

esperienze e conoscenze da parte del cliente; ovvero la sopportabilità di

qualsiasi rischio di investimento connesso compatibile con gli obiettivi di

investimento del cliente, qualora si tratti di prestazione del servizio di

consulenza. Tale scelta risponde alla scelta di distinguere l’investitore retail

da quello professionale indirizzando l’attenzione di tutela a livello di

“esperienza professionale” dell’investitore piuttosto che sulla sua qualità di

consumatore. Evidentemente le conseguenze dell’attribuzione dello status di

cliente professionale è rappresentata dalla disapplicazione di una serie di

previsioni rilevanti .

La suddetta Direttiva definita di II livello, all’art. 35, prendendo le

distanze dalla previgente disciplina stabilisce che, ove l’impresa di

investimento non riceva le informazione predette, attraverso le quali è

possibile svolgere una valutazione di adeguatezza, l’impresa non può

raccomandare i sevizi di investimento o gli strumenti finanziari al cliente.

Ciò si evince dalla lettera dell’art. 19 che nel paragrafo 4 (riferito alla

consulenza e alla gestione) prevede che l’impresa “ottiene” dal cliente le

informazioni necessarie diversamente dal par. 5 (riferito agli altri servizi di

investimento) nel quale stabilisce che l’impresa di investimento “chiede”

informazioni. Tale assunto si riflette sul successivo comportamento

dell’intermediario il quale nel primo caso in assenza di informazioni non

può raccomandare; nell’altro caso può comunque fornire il servizio. Il

rifiuto di fornire informazioni da parte del cliente non viene più superato dal

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meccanismo di disclosure previsto dall’art. 29 del Regolamento degli

Intermediari (disciplina previgente), venendo a costituire l’attribuzione di

informazioni all’impresa di investimento vera e propria condizione di

efficacia del rapporto di investimento. Se da un lato la direttiva Mifid ha

ristretto l’ambito applicativo del concetto di adeguatezza ai soli servizi di

consulenza e gestione portafogli; dall’altro ha irrigidito la valutazione della

stessa subordinandola all’assunzione di informazioni dal cliente.

b. … (segue) e l ‘appropriatezza

Per i restanti servizi di investimento diversi dalla consulenza e dalla

gestione portafogli “le imprese di investimento chiedono al cliente di fornire

informazione in merito alla le conoscenze ed esperienze del cliente in

materia di investimenti relativamente allo specifico prodotto o servizio

proposto o chiesto al fine di determinare se il servizio o il prodotto in

questione è adatto al cliente”8. In tali termini si delinea il concetto di

appropriatezza che sul piano finalistico non si distingue dall’adeguatezza e

ne costituisce condizione necessaria ma non sufficiente. Valgono per essa

tutte le considerazioni svolte precedentemente riguardo il contenuto dei

concetti di conoscenza ed esperienza. Il regolamento Consob (art. 41)

stabilisce che qualora gli intermediari ritengano che lo strumento o il

servizio non sia appropriato per il cliente o potenziale cliente, lo avvertono

di tale situazione. Qualora il cliente o potenziale cliente scelga di non

fornire le informazioni di cui all’articolo 41, o qualora tali informazioni non

siano sufficienti, gli intermediari avvertono il cliente o potenziale cliente,

che tale decisione impedirà loro di determinare se il servizio o lo strumento

sia per lui appropriato. L’avvertenza può essere fornita utilizzando un

formato standardizzato.

8 Art. 19 Direttiva 2004/39/CE; cfr art 36, 37 Direttiva 2006/73/CE

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c. Classificazione della clientela (professionale, qualificato,

retail )

Dalla classificazione dei clienti dipendono numerosi aspetti legati

alla prestazione di qualunque sevizio di investimento a maggior tutela

dell’investitore; in particolare, il livello di protezione assegnato al cliente e

gli obblighi informativi, il livello di responsabilità dell’impresa rispetto ai

servizi prestati e la modalità di applicazione delle regole di condotta.

Mediante la classificazione della clientela, la normativa intende

perseguire l’intento di mediare, nonché trovare un giusto equilibrio, tra la

trasparenza e gli oneri in capo agli intermediari. Se l’obiettivo è la tutela del

contraente debole, si è debitamente tenuto conto dei costi per gli

intermediari di una trasparenza eccessiva, cercando di limitarla nei casi di

clienti sofisticati.

Tre sono le categorie che la Direttiva ha introdotto; alle stesse

corrispondono diversi livelli di tutela. In primis, le controparti qualificate9,

con esse intendendosi i soggetti in possesso del più alto livello di esperienza

conoscenza e competenza in materia di investimenti, che pertanto

necessitano di un livello di protezione più basso allorquando l’intermediario

presta nei loro confronti il servizio di ricezione e trasmissione di ordini,

negoziazione per conto proprio o esecuzione di ordini. In secundis, i clienti

professionali cioè coloro per i quali, a fronte del livello di conoscenze ed

esperienze di cui dispongono, si presume un livello di conoscenza ed

esperienza tale che possa permettergli di assumere consapevolmente dei

rischi a fronte di una corretta valutazione degli stessi. Per i clienti

professionali è previsto un livello di protezione intermedio e cioè una

parziale esenzione dall’applicazione delle regole di condotta tra

intermediario e cliente. All’interno di tale categoria si distinguono i clienti

9 Sono definiti tali i soggetti previsti all’art. 24 della Direttiva 2004/39/CE.

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professionali definiti tali dall’investitore (“clienti professionali di diritto”) e

coloro che chiedono di essere considerati come tali (“clienti professionali su

richiesta”). Diversi da questi sono i clienti retail, cioè al dettaglio che hanno

minore conoscenza in tale settore e quindi necessitano di un livello di

protezione più elevato, sia nella fase precontrattuale sia nel corso della

prestazione del servizio di investimento.

La classificazione iniziale comunicata dall’intermediario può essere

modificata nel corso del rapporto, sia su iniziativa dell’intermediario che su

richiesta del cliente. Particolare attenzione merita il caso in cui un cliente al

dettaglio chiede di essere considerato come cliente professionale, in quanto

in tal caso il cliente rinuncia all’applicazione di un maggior livello di tutela

riconosciutogli dalla normativa di riferimento. Al contrario non sono

previste regole di condotta a tutela dei clienti qualificati; gli stati membri

possono comunque scegliere di estendere l’elenco di controparti qualificate

previste dalla direttiva.

5. Il conflitto di interessi

La normativa comunitaria ha introdotto significative modifiche

riguardo alle regole di organizzazione e ai conflitti di interessi. Le differenze

in particolare attengono alla soluzione adottata per disciplinare diversi

aspetti nonchè l’atteggiamento del legislatore comunitario volto ad

articolare nel dettaglio le singole disposizioni, chiarendone sia le specifiche

modalità sia gli ambiti di flessibilità ammessi, che fanno emergere spazi

significativi di autonomia degli intermediari nel ridefinire il proprio assetto

organizzativo. Tale organizzazione è comunque soggetta ad una novità

assoluta rispetto alla disciplina italiana che riguarda l’individuazione degli

oneri organizzativi in modo proporzionale rispetto alle proprie dimensioni o

alla tipologia di attività svolte.

Riguardo la disciplina dei conflitti di interessi, la Mifid ha innovato

in modo significativo l’approccio rispetto a quanto previsto dal

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Regolamento Intermediari10. La nuova disciplina11 riconosce

l’impossibilità di eliminare i conflitti di interessi a causa dell’intensificarsi

dell’attività delle imprese, che sono chiamate ad adottare misure capaci di

evitare che tali conflitti ledano gli interessi dei clienti. La normativa italiana

era già intervenuta sul tema, con la legge 262/2005 attraverso la quale si è

attribuito alla Banca d’Italia e alla Consob la disciplina dei casi in cui “al

fine di prevenire il conflitto di interessi nella prestazione di servizi di

investimento, anche rispetto ad altre attività svolte dal soggetto abilitato,

determinate attività debbano essere prestate da strutture autonome” (art 6,

comma 2bis). Tale tentativo non sembra aver trovato consensi nella

posizione della Consob che si è dimostrata dubbiosa a fronte di una

separazione strutturale e organizzativa di diverse aree.

La Direttiva individua i conflitti potenzialmente lesivi per il cliente e

stabilisce una procedura più complessa per prevenirli e contenerli (art. 18

Mifid). Innanzitutto, l’intermediario deve identificare i conflitti attuali e

quelli potenziali, in secondo luogo deve definire misure per prevenirli, in

terzo luogo deve adottare una politica per gestirli e, infine, ha l’obbligo di

disclosure verso il cliente.

L’identificazione del confitto di interessi è lasciata alla Direttiva di

Secondo Livello12 che nel considerando n. 24 chiarisce come13 non sia

10 Il Testo unico della finanza (art. 21) obbligava gli intermediari a organizzarsi

per ridurre al minimo il rischio di conflitti di interesse e, se non fosse possibile evitarlo, informare il cliente e garantire un equo trattamento.

11 Art. 18 Mifid; art. 21 Direttiva L2 12 Direttiva 2006/73/CE. 13 Considerando n. 24 direttiva 2006/73/CE: “Tra le circostanze che devono

essere considerate per l’individuazione di un conflitto di interessi devono rientrare le situazioni nelle quali esista un conflitto di interessi dell’impresa o di taluni soggetti collegati all’impresa o al gruppo d’ impresa, e gli obblighi dell’impresa nei confronti della clientela, oppure tra interessi divergenti di due o più clienti nei confronti di ciascuno dei quali l’impresa ha degli obblighi.”

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sufficiente per rientrare in tale circostanza che l’impresa possa conseguire

un utile se non vi sia nel contempo un possibile svantaggio per il cliente.

Obiettivo della normativa è la tutela del cliente rispetto ad una situazione

negativa non rilevante di per sé, ma solo se correlata ad una paritetica

situazione positiva dell’impresa di investimento. A tali fini risulta

totalmente irrilevante lo status del cliente cioè la sua eventuale qualifica,

con la conseguenza che l’impresa di investimento che fornisce un servizio di

investimento o un servizio accessorio è sempre tenuta a regolare il conflitto

di interessi.

L’art. 21 della suddetta direttiva individua alcuni criteri per

l’individuazione di conflitti che riguardano in primis la potenzialità del

pregiudizio: gli stati membri assicurano, come criterio minimo per

determinare i tipi di conflitti di interesse che possono insorgere al momento

della fornitura di servizi di investimento, che le imprese di investimento

considerino se l’impresa di investimento, un soggetto rilevante o una

persona avente un legame di controllo con l’impresa, si trovi in una delle

situazioni ivi individuate. Inoltre l’attività di controllo in esame non si limita

a quella svolta dalla singola impresa di investimento, ma anche al gruppo di

appartenenza tenendo conto della struttura del gruppo stesso e delle attività

da questo svolte.

Nell’identificare le circostanze che potrebbero dar luogo a conflitto

di interessi, la direttiva riconosce la polifunzionalità dell’intermediario,

invitando l’impresa di investimento a prestare particolare attenzione alle

attività di ricerca e consulenza in materia di investimenti, negoziazione,

gestione portafogli e prestazione di servizi finanziari. Su tali basi, prescrive

l’adozione di una politica di gestione dei conflitti da parte dell’impresa di

investimento, da apporre in forma scritta, che sia adeguata alla struttura e

alle dimensioni dell’impresa e alla complessità della sua organizzazione. È

evidente come le incombenze saranno maggiormente gravose nel caso di

appartenenza dell’impresa a gruppi particolarmente articolati.

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È evidente come la disciplina comunitaria diverge da quella

previgente nel momento in cui impone agli intermediari di identificare i

conflitti di interessi ma non prevede alcun obbligo di astensione. Il

legislatore comunitario si limita a obbligare l’intermediario a render nota al

cliente l’esistenza e le ragioni dei conflitti potenzialmente dannosi: la

valutazione dei presupposti della comunicazione è rimessa alla discrezione

dell’intermediario. Neppure viene chiarito se l’intermediario sia tenuto a

comunicare l’esistenza del conflitto in relazione alle singole operazioni

ovvero all’inizio del rapporto, e quale sia il contenuto in dettaglio delle

informazioni che l’intermediario deve fornire al cliente. In mancanza delle

predette indicazioni la tutela del cliente è rimessa al generale obbligo di

agire in modo “onesto equo e professionale”. In tal senso sarà certamente

più complesso per il cliente dimostrare una violazione di quest’obbligo che

contestare la mancanza di una previa dichiarazione e dell’autorizzazione

dell’operazione.

5.1. Inducements under Mifid

Gli inducements sono compensi, commissioni o prestazioni non monetarie

pagati o ricevuti da un intermediario in connessione alla prestazione di un

servizio di investimento. Secondo le definizioni del CESR “qualsiasi forma

di denaro, beni e servizi che un’impresa di investimento o i suoi dipendenti

ricevono da un terzo in relazione al servizio prestato al cliente”.

La definizione e la regolamentazione degli inducement è contenuta nella

Direttiva di attuazione, cosiddetta di secondo livello (n. 2006/73/CE). In

linea con l’impostazione di fondo della Mifid, anche la normativa sugli

incentivi è imperniata sull’esigenza primaria di tutelare l’investitore. Una

volta stabilito un divieto generale in merito a tali pratiche, il legislatore ha

ammesso un ristretto numero di casi in cui l’incentivo non è illecito.

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Il divieto non opera nei casi in cui gli incentivi siano necessari alla

prestazione dei servizi di investimento: si tratta delle cosiddette “proper

fee”, ossia le commissioni “adeguate” e “necessarie”, che “non possono

entrare in conflitto con il dovere dell’impresa di agire in modo onesto, equo

e professionale per servire al meglio gli interessi del cliente” (sono, ad

esempio, i costi di custodia, le competenze di regolamento e cambio, oltre a

quelle legali). Sono considerati leciti quando siano ricevuti da (o pagati a)

un cliente ovvero siano ricevuti da (o pagati a) un soggetto diverso dal

cliente. In quest’ultimo caso la previsione è sottoposta alla condizione che la

natura e l’importo (o il metodo di calcolo) siano comunicati chiaramente al

cliente prima della prestazione del servizio; che gli stessi siano volti ad

accrescere la qualità del servizio prestato; e che siano compatibili con

l’obbligo dell’intermediario di servire al meglio gli interessi del cliente.

Il fatto che il cliente paghi commissioni all’intermediario sembra rispondere

ad un’ordinaria logica contrattuale, e lo è altrettanto che siano consentite le

commissioni necessarie per prestare i servizi, quali i costi di custodia, le

commissioni di cambio valuta. Più problematica è la successiva previsione

in quanto risulta discutibile l’individuazione dei casi in cui gli incentivi

accrescano la qualità del servizio prestato e a quali condizioni sono

compatibili con l’obbligo di servire al meglio l’interesse del cliente. A

questo fine, occorre che i pagamenti ricevuti dall’intermediario siano

strumentali al miglioramento del contenuto del servizio reso al cliente e,

quindi, portatori di vantaggi per il cliente stesso. Se, ad esempio, una società

emittente paga un contributo ad un consulente in materia di investimenti e

tale contributo è utilizzato per migliorare gli strumenti di analisi si può

affermare che accresce la qualità del servizio prestato. Sempreché,

ovviamente, il pagamento non possa distorcere le raccomandazioni del

consulente al cliente. Il cliente deve comunque essere informato

dell’esistenza di incentivi, della loro natura e portata. E’ un’informazione

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utile, che potrebbe anche portare a preferire intermediari che non ricevano

incentivi o lo facciano in misura limitata.

La struttura dell’industria finanziaria italiana rende particolarmente rilevante

il tema degli incentivi in relazione agli accordi di retrocessione in denaro

(hard commission) o in servizi (soft commission) che esistono a diversi

livelli e sono stati più volte oggetto di intervento delle autorità di vigilanza.

I casi più frequenti sono quelli di retrocessioni tra società di gestione e

banca o rete di promotori e tra Gpf o fondo di fondi e singoli comparti di

Oicr. Ancor prima dell’approvazione della Mifid, la Consob è intervenuta

per imporre obblighi di trasparenza nei confronti del cliente che è tenuto a

sapere quanto una società-prodotto retrocede al collocatore (la percentuale è

indicata nel prospetto informativo) e se l’operazione è compiuta in conflitto

di interessi, nel qual caso serve il consenso dell’investitore finale. Tanto per

le hard quanto per le soft commission, la Mifid pone come vincolanti due

condizioni: l’obbligo di trasparenza (disclosure) e la presenza di un effettivo

accrescimento della qualità del servizio reso.

La definizione dell’inducement a livello comunitario, in particolare nei

documenti di consultazione del Cesr, ha stroncato il tentativo delle

associazioni di categoria dell’industria del risparmio di considerare come

naturale corrispettivo per il servizio di collocamento, la retrocessione che le

società di gestione riconoscono ai distributori. Una volta stabilito che sono

tutti da considerarsi incentivi, la differenza è tra le pratiche ammesse, ossia

quelle che rispettano i vincoli posti dalla Mifid, e quelle non ammesse.

Appartengono alla seconda categoria i premi di produzione o le

commissioni commisurate alle vendite. L’etichetta di “non conformità” di

tali attività imporrà una revisione delle strategie commerciali diffuse

nell’industria.

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6. Best execution14 nel previgente sistema

L’obbligo di best execution trovava applicazione anche nel

previgente sistema benchè l’ambito applicativo fosse pressoché limitato.

L’obbligo di eseguire le negoziazioni alle migliori condizioni

possibili per i clienti si considerava adempiuto nel caso in cui le operazioni

fossero eseguite in un mercato regolamentato o all’interno di MTS, qualora

l’operazione fosse eseguita al di fuori dell’orario ufficiale di negoziazione.

Se, quindi, l’esecuzione degli ordini sui mercati regolamentati costituiva una

presunzione di realizzazione del miglior risultato possibile per il cliente e

considerato, altresì, che il nostro sistema è stato fino ad oggi imperniato

sull’obbligo di concentrazione degli scambi sui mercati regolamentati,

appare evidente che, nel sistema italiano previgente, l’efficacia delle regole

di best execution era di fatto limitata alle negoziazioni di titoli non quotati.

Inoltre il regolamento intermediari prevedeva obblighi di best

execution solo verso clienti retail, la Mifid ha invece esteso tale ambito di

applicazione anche ai clienti professionali, salvo questi non richiedano il

trattamento di controparte qualificata. L’art. 32 comma 5 Reg. Intermediari

(previgente) prevedeva invece che l’intermediario non potesse applicare

commissioni nella negoziazione in conto proprio con il cliente, mentre la

direttiva sembra non differenziare la disciplina della best execution nelle

operazioni in conto terzi e quelle in conto proprio e quindi è presumibile

ritenere che l’intermediario potrà scegliere se applicare esplicite

commissioni oppure continuare ad applicare il price spread.

6.1. La Best execution under Mifid

14 Prevista dall’art. 21 direttiva Mifid, art.44 direttiva 2006/73/CE; art. 45 Reg.

Intermediari.

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La Direttiva in questione ha provveduto a delineare come, a seguito

del conferimento da parte dei clienti di ordini agli intermediari, questi si

trovino di fronte a obblighi di effettuare scelte che hanno un diretto effetto

sulle condizioni a cui gli ordini sono eseguiti. Le regole alla base delle

relazioni degli operatori del mercato con i loro clienti devono essere adattati

alla struttura d’insieme posta in essere dalla direttiva: in particolare

l’introduzione dell’obbligo di best execution va inserito nel sistema come

conseguenza della moltiplicazione di luoghi d’esecuzione e di regole in

tema di esecuzione di ordini15.

Nella nuova impostazione prevista dalle Direttive MIFID, viene meno in

primo luogo la presunzione che gli ordini eseguiti nei mercati regolamentati

rispettino di per sé l’obbligo di best execution. In tal senso la direttiva

impone tre obblighi alle imprese nel rispetto della suddetta regola:

individuare una “strategia di esecuzione degli ordini” che consenta di

ottener il miglior risultato possibile; ottenere il consenso del cliente alla

predetta strategia; essere in grado di dimostrare, su richiesta del cliente, di

aver eseguito l’ordine del cliente conformemente alla strategia di esecuzione

degli ordini.

La strategia di esecuzione degli ordini deve specificare, per ciascuna

categoria di strumenti finanziari, le informazioni circa le varie sedi nelle

quali l’impresa di investimento esegue gli ordini dei suoi clienti e

l’importanza assegnata ai fattori che influenzano la scelta della sede di

esecuzione (art. 21 Direttiva MIFID 2004/39/CE). I principali fattori che

devono essere presi in considerazione, al fine di stabilire quale sia il miglior

15 CESR (The Committee of European Secutorities Regulators): Best execution

under Mifid,Public consultation, february 2007.

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risultato possibile per i clienti, sono prezzo, costi, rapidità, probabilità di

esecuzione e di regolamento, nonché dimensione e natura dell’ordine. Per

determinare l’importanza relativa ed ordinare tali fattori, le imprese di

investimento devono tener conto delle caratteristiche del cliente,

dell’ordine, degli strumenti finanziari che sono oggetto dell’ordine e delle

sedi di esecuzione alle quali tale ordine può essere diretto.

Quando l’impresa di investimento esegue un ordine per conto di un

cliente al dettaglio, il migliore risultato possibile è determinato in termini di

corrispettivo totale, che è costituito dal prezzo dello strumento finanziario e

dai costi relativi all’esecuzione, che includono tutte le spese sostenute dal

cliente che sono direttamente collegate all’esecuzione dell’ordine (art. 44,

paragrafo 3, della Direttiva 2006/73/CE). In altri termini, in relazione alle

operazioni di investimento disposte dai clienti al dettaglio, al fine di

garantire che l’impresa di investimento ottenga il miglior risultato possibile,

i fattori da privilegiare sono il prezzo ed i costi di esecuzione, piuttosto che

fattori quali la rapidità o la probabilità di esecuzione. Ogniqualvolta esistano

istruzioni specifiche trasmesse dal cliente, le imprese di investimento sono

tenute ad eseguire l’ordine seguendo tali istruzioni, anche in deroga alla

propria execution policy, ma qualora siano parziali l’intermediario deve

rispettare la propria execution policy, per gli aspetti dell’ordine sulle quali il

cliente non ha fornito istruzioni specifiche (art.44 L2 considerando n. 68, art

21 Mifid). L’execution policy è soggetta a revisione periodica, in particolare

tutte le volte che si verifichi una modifica rilevante tale da influire sulla

capacità delle sedi di esecuzione incluse di garantire il miglior risultato

possibile.

Un sostanziale potenziamento della disclosure verso il cliente è stato

introdotto relativamente al suddetto obbligo. L’impresa di investimento è

infatti tenuta a fornire ai clienti informazioni appropriate in merito alla sua

strategia di esecuzione degli ordini e deve ottenere il consenso preliminare

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del cliente per la strategia di esecuzione degli ordini adottata (art. 21,

paragrafo 3, della Direttiva MIFID 2004/39/CE). Con cadenza almeno

annuale, le imprese di investimento devono controllare l’efficacia dei

dispositivi di esecuzione degli ordini e le strategie di esecuzione.

E’ opportuno inoltre sottolineare l’unico caso di inversione dell’onere della

prova previsto dalle Direttive MIFID, e cioè che le imprese di investimento

devono essere in grado di dimostrare ai loro clienti, dietro richiesta degli

stessi, di aver eseguito gli ordini in conformità alla strategia di esecuzione

degli ordini adottata dall’impresa di investimento (art. 21, paragrafo 5,

della Direttiva MIFID 2004/39/CE).

Assicurare il miglior risultato possibile per il cliente non rappresenta un

obbligo avente carattere assoluto al punto da ritenere che l’intermediario

debba, per ogni ordine di investimento, interrogare tutti i possibili canali di

esecuzione dell’ordine per assicurare in assoluto e sulla base di tutti i fattori

considerabili la best execution al cliente. Anche perché questo risulta

sempre più complesso tenendo conto della moltiplicazione dei canali di

distribuzione previsti dalla direttiva in questione. Ogni intermediario, infatti,

predisporrà una propria “strategia di esecuzione degli ordini” in cui dovrà

effettuare proprie scelte in merito ai canali di esecuzione degli ordini ed alla

priorità assegnata ai fattori che devono essere presi in considerazione al fine

di stabilire quale sia il miglior risultato possibile per i clienti (prezzo, costi,

rapidità e probabilità di esecuzione e di regolamento), ordinati sulla base dei

criteri analizzati in precedenza (caratteristiche del cliente, dell’ordine, degli

strumenti finanziari e delle sedi di esecuzione). Il miglior risultato possibile

rappresenta, quindi, un giudizio avente carattere relativo, in quanto sarà il

risultato delle scelte compiute dall’intermediario nella strategia di

esecuzione degli ordini a determinare quale sia da ritenersi il best possible

result. Il cliente, pur non potendo influire sulle scelte compiute

dall’intermediario, potrà selezionare i vari intermediari sulla base delle

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distinte strategie di esecuzione degli ordini adottate.

La disciplina della best execution si applica a tutti gli strumenti

finanziari sia essi quotati in un mercato regolamentato o meno a prescindere

dal luogo di negoziazione in cui vengono effettivamente scambiati. Tuttavia

il considerando n.72 della direttiva L2 ammette la possibilità, a causa delle

differenze nella struttura dei mercati e degli strumenti finanziari, può essere

difficile identificare una procedura informe di best execution valida per tutti

gli strumenti finanziari e pertanto va lasciato un certo grado di flessibilità

nell’applicazione della norma per alcuni particolari strumenti finanziari.

Anche in questo tema il legislatore comunitario distingue gli

obblighi dell’intermediario a seconda delle caratteristiche del cliente. Per il

cliente retail, infatti, il miglior risultato possibile deve essere valutato in

termini di corrispettivo totale, costituito dal prezzo degli strumenti

finanziari e dai costi di esecuzione, per essi intendendosi tutte le spese

sostenute dal cliente che sono direttamente collegate all’esecuzione

dell’ordine (art 44 comma 3, direttiva L 2); qualora vi siano più sedi

concorrenti dove effettuare l’esecuzione di un ordine vengono presi in

considerazione anche le commissioni proprie e i costi dell’impresa per

l’esecuzione dell’ordine in ogni sede dove è possibile eseguire l’ordine. La

ratio sottesa è quella di eseguire l’ordine nella sede maggiormente

vantaggiose in termini di prezzi disponibili.

Facendo l’art. 21 della Mifid esplicito riferimento agli “intermediari

che eseguono gli ordini”, i soggetti che svolgono attività di gestione nonché

i raccoglitori di ordini sono soggetti ad un regime meno rigido rispetto a

quello fissato dagli artt. 44 e 46. In particolare non trovano applicazione ai

gestori e ai raccoglitori le previsioni circa l’obbligo di preventiva

approvazione della policy del cliente, l‘autorizzazione per l’operatività

OTC, l’obbligo di selezionare le sedi di esecuzione migliori. Tali soggetti

non hanno l’onere di dover dimostrare al cliente il rispetto della propria

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policy.

La best execution rappresenta un strumento che fa nascere la

concorrenza tra i luoghi d’esecuzione e gli intermediari, con la possibilità di

frammentazione della liquidità della degradazione del processo di

formazione del prezzo e dell’accesso al processo di formazione del mercato.

Imponendo alle imprese di investimento un obbligo effettivo di individuare

la migliore esecuzione , è possibile effettuare una frammentazione della

negoziazione nei diversi luoghi d’esecuzione di ordini esercitato a beneficio

dei clienti e non il contrario. Infatti se l’obiettivo è quello di accrescere la

concorrenza non si può comunque essere esenti da rischi, in particolare per

il mercato di azioni nel quale si effettua una frammentazione della liquidità

con le conseguenze negative sul processo di formazione dei prezzi. Tuttavia

l’obbligo di best execution contribuisce a canalizzare la liquidità verso le

infrastrutture di negoziazione più efficaci e competitive che garantiscono

l’efficacia globale del mercato. Altrettanto certo il beneficio del cliente per

il fatto che l’intermediario deve offrire le migliori condizioni per i suoi

ordini e in virtù dei criteri predefiniti in accordo con il cliente.

7. La distribuzione di prodotti finanziari illiquidi

Avendo già sottolineato le asimmetrie informative che caratterizzano

l’intermediazione finanziaria, si può ritenere che queste sono legate a due

elementi, la tipologia dell’operazione e alla natura del cliente medesimo.

Nel mercato finanziario nazionale risulta molto significativo

l’investimento da parte di soggetti non professionali verso prodotti con

elevato rischio di liquidità quali le obbligazioni bancarie, polizze

assicurative a contenuto finanziario e derivati OTC.

In tale situazione la Consob ha ritenuto opportuno, secondo il

principio del miglior interesse per il cliente, la specificazione delle regole di

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condotta che il distributore deve eseguire in sede di trattazione di prodotti

finanziari illiquidi.

A differenza di prodotti in cui la trasparenza è garantita da

caratteristiche intrinseche, nel caso di operazioni aventi ad oggetti i suddetti

strumenti per i quali non esiste un mercato liquido è necessario

l’innalzamento di livelli massimi di disclosure nella relazione con il cliente.

Cioè deve operasi sia mediante una trasparenza ex ante che ex post. In tal

senso è significativa l’individuazione del fair value che potrà essere

suddiviso per evidenziare il valore fair della eventuale componente

derivativa, nonché i diversi costi che gravano implicitamente sul cliente.

Inoltre per i clienti con i quali l’intermediario sia tenuto a valutare la

sola appropriatezza, dovranno essere tenute in debito conto le caratteristiche

dei prodotti illiquidi, in specie se caratterizzati da profili di complessità,

raffrontandole al grado di conoscenza finanziaria di esperienza del cliente.

La Consob, ancora in sede di elaborazione ha ritenuto che con

specifico riferimento ai derivati negoziati OTC che l’assistenza fornita alla

clientela nella fase di strutturazione di queste operazioni, presuppone che il

prodotto sia presentato come adatto alla clientela e rende quindi

imprescindibile l’applicazione del regime di adeguatezza previsto in caso di

svolgimento della consulenza.

8. Rimedi civilistici alla violazione di regole di condotta

Il legislatore comunitario non ha comunque risolto il problema

centrale affrontato dalla giurisprudenza italiana negli ultimi anni, che attiene

all’individuazione delle conseguenze civilistiche delle violazioni delle

regole di comportamento. La questione rimane ad oggi affidata alla

determinazione dei singoli stati membri importando conseguentemente

notevoli incertezze. A fronte delle stesse si è sentita la necessità di

un’ordinanza di rinvio alle Sezioni Unite della Cassazione “in ordine alle

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conseguenze derivanti dalla violazione dei doveri informativi degli

intermediari finanziari”16 al fine di far chiarezza tra gli operatori del

settore. Si tratta di stabilire se dalla suddetta violazione debba scaturire la

nullità del contratto l’annullamento o la risoluzione, e se sia ipotizzabile il

risarcimento del danno.

Gran parte delle recenti pronunce hanno escluso l’ipotesi della

nullità contrattuale, ed è venuto ad affermarsi con maggior vigore

l’alternativa teoria che ha assunto dei profili particolari, dapprima, con la

pronuncia della Suprema Corte17 e successivamente con l’intervento della

Corte d’Appello di Milano18. La prima decisione ha messo ordine ad in una

confusione che prendeva spunto da un non antico precedente della

medesima S.C.19, nel quale si affermava che “l’inadempimento preordinato

sarebbe causa di nullità del contratto”, posizione ampiamente valorizzata nel

2005. L’assunto nasce da un errato sillogismo sulla base del quale alcuni

giudici di merito hanno esteso la sanzione di nullità anche ad altre

fattispecie. Così, ad esempio, il Tribunale di Mantova20 supportato da una

copiosa dottrina21 ha ritenuto di poter considerare l’art. 21 TUF e gli artt.

16 Ordinanza di rinvio della Cassazione civile, sez. I del 16 febbraio 2007 n. 3683

alle Sezioni Unite. 17 Cass. Sez. I Civ. 29 settembre 2005 n. 19024 con nota di POLIANI F. in I

contratti, 2006, fasc. 5, pag. 450-459 18 Corte d’appello di Milano 19 dicembre 2006 in Giur. It. 2007, p. 650 19 Cass, 15 giugno 1999, n. 5917 in Giust. Civ., 2000, I, 135, sulla quale

SICCHIERO, L’inadempimento del contratto è causa di nullità contrattuale? In Contratto e impresa, 2000, p.613-627

20 Tribunale di Mantova 18 marzo 2004 in Giur. Comm., 2004, II, 698 21 MOLLO, Violazione delle regole di comportamento degli intermediari diversi

dai rimedi civilistica ed intensità delle tutele, in Giur. Comm, 2006, II, p. 1121; FIORIO, Doveri di comportamento degli intermediari finanziari, suitability rule, conflitto di interessi e nullità virtuale dei contratti di investimento in bond argentini, in Giur. It. 2004, 2130; ANNUNZIATA, La disciplina del mercato mobiliare, Torino, 2004; COLAVOLPE, Prestazione di servizi di investimento: violazione delle regole di comportamento della forma scritta e della nullità virtuale, in Società, 2005, p. 634 e ss.

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28, 29 del Regolamento Consob 11522/1998 delle norme imperative ex

1418 c.c. in considerazione degli interessi tutelati di natura pubblicistica e

privatistica che riguardano, da un lato, i risparmiatori e dall’altro,

l’interesse generale relativo alla trasparenza e integrità del mercato. Ne è

conseguita la statuizione che la correttezza e la trasparenza esprimono

concetti più ampi di quelli sottesi alle normative codicistiche proprio in

quanto non operanti solo nell’ambito obbligatorio tra investitore e

intermediario ma anche in relazione allo svolgimento dell’attività

economica come canone di condotta volto a realizzare una reale

competizione e a garantire l’integrità del mercato. Essendo la normativa a

tutela dell’ordine pubblico economico, secondo il Tribunale mantovano la

violazione della stessa comporterebbe la nullità del contratto (cd. nullità

virtuale).

L’inadempimento del debitore può essere però anche di gravità tale

da delineare l’ipotesi di risoluzione del contratto (art 1455 c.c.). Se il

rimedio non sufficientemente grave si opera con il risarcimento del danno,

se invece l’inadempimento è grave accanto al risarcimento può essere

chiesta la risoluzione contrattuale (art. 1453 primo comma c.c.) la suddetta

tesi trova conferma giurisprudenziale nella recente pronuncia del Tribunale

di Milano22. Il giudice ha in tale sede stabilito che l’inadeguatezza

dell’operazione posta in essere dall’intermediario finanziario rispetto alle

caratteristiche dell’investitore determina la risolubilità del contratto per

inadempimento. Secondo il predetto assunto il soggetto abilitato deve

valutare in modo obiettivo la propensione la rischio sulla base del pregresso

parare del cliente. L’acquisto di obbligazioni affrontato nel caso in

questione costituiva una nota dissonante nel portafoglio dell’investitrice. Si

trattava infatti di uno strumento rischioso e acquistato in rilevante quantità,

22 Trib. Milano 26 aprile 2006 n.4882 in Corr. Giur. 2006, 1567 e ss.

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mentre il restante portafoglio era costituito da titoli molto sicuri

(obbligazioni di stato italiano).

Come accennato la Cassazione è intervenuta, innovando in modo

significativo rispetto alla tradizione giurisprudenziale di merito statuendo,

cioè, la natura precontrattuale della responsabilità dell’intermediario che

viola obblighi informativi, e nel contempo ampliando sensibilmente

l’ambito applicativo dell’art 1337 c.c.: ha infatti configurato la risarcibilità

dei danni da responsabilità precontrattuale in caso di contratto validamente

concluso, rivoluzionando quindi il concetto di danno risarcibile. La

Cassazione nell’escludere l’applicazione dell’art 1418 c.c. chiarisce che la

violazione di una norma imperativa non necessariamente da luogo alla

nullità del contratto, giacchè l’inciso del suddetto articolo “salvo che la

legge disponga diversamente” esclude il medesimo effetto23. La Corte

ripropone la distinzione tra norme di validità e regole di comportamento,

sottolineando come la contrarietà a norme imperative debba riguardare la

struttura o il contenuto del contratto e non il comportamento delle parti

aggiungendo che “gli obblighi informativi non riguardano la natura e

l’oggetto del contratto ma solo elementi utili per valutare la convenienza

dell’operazione”.24 L’attenzione invece si sposta solo sul piano della

condotta optando per il riconoscimento della culpa in contraendo pur in

presenza di un contratto valido ed efficace. È evidente come venga allargata

l’area della responsabilità precontrattuale sino ad oggi limitata al recesso

sine causa delle trattative e alla consapevole conclusione di un contratto

23 SICCHIERO G. : Un buon ripensamento della S.C. sulla asserita nullità del

contratto per inadempimento, in Giurisprudenza Italiana, 2006 fasc. 8-9, p. 1602-1605

24 Le argomentazioni della Cassazione, benché volte ad escludere la nullità contrattuale, lasciano aperta la strada alla dichiarazione di annullamento dal momento che la stessa riconosce che il deficit informativo causato dalla negligenza dell’intermediario possa astrattamente essere idoneo a configurare causa di errore essenziale ex art. 1429 n. 1 c.c..

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invalido e implicitamente se ne afferma la natura contrattuale, e non

aquiliana, ponendola a presidio del generale del rispetto della clausola

generale di buona fede tradotta nel comportamento leale nella fase

antecedente alla conclusione del contratto. Se quindi già in passato si era

assistito all’estensione del dovere di correttezza alla fase precontrattuale25,

con la riconduzione al più ampio dovere di buona fede delle due ipotesi

tipiche della rottura ingiustificata delle trattative, la sentenza porta a

compimento il percorso. La novità consiste nel fatto che la responsabilità

non viene più considerato come un insieme chiuso di ipotesi sanzionatorie

rigidamente determinate bensì come strumento flessibile da usare per

colpire comportamenti scorretti e soprattutto anche in presenza di un

contratto validamente concluso26.

In contrapposizione con la precedente giurisprudenza di merito, si è

per la prima volta al riguardo pronunciata la Corte d’Appello allontanandosi

dalla tesi dell’inadempimento contrattuale sostenuta da altri tribunali in

primo grado27 e dalla dottrina28 accogliendo, però, l’indirizzo della

Cassazione e una posizione dottrinale accreditata29. La Corte Milanese ha

provveduto a sanzionare l’operato della banca sotto il riflesso della

violazione dell’art 1337 c.c. non degli art. 1218 e 1453 c.c. muovendo dal

25 Cass. 20 luglio 2004 n. 14539 in Corr. Giur. 2005, p. 1099 26 SALODINI C. E. : Obblighi informativi degli intermediari finanziari e

risarcimento del danno. La Cassazione e l’interpretazione evolutiva della responsabilità precontrattuale, in Giur. Comm. 2006, fasc. 4, p. 632-645

27 Tribunale di Rimini 22 giugno 2006 in Giur. It. 2007 p. 562 e ss.; Tribunale di Lecco 14 marzo 2006 in Giur. It. 2007 p. 562; Tribunale di Torino 14 dicembre 2005, in Giu. It. 2006, 522

28 COTTINO,Una giurisprudenza in bilico: i casi Ciro Parmalat, bonds argentini, in Giur. It. 2006, 537; DI MAJO, Prodotti finanziari e tutela del risparmiatore in Corr. Giur. 2006 P. 1284; SARTORI, Il mercato delle regole:la questione dei bonds argentini in Giur. It. 2005, p. 58.

29RICCIO: Culpa in contraendo e pactum de tractando : rimedio risarcitorio control’inadempienza contrattuale, in Contr. Impr. 2006, 1448 e ss.

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medesimo assunto proposto dalla Suprema Corte, sottolineando come

l’applicazione della disciplina precontrattuale non deve ritenersi circoscritta

all’ipotesi dell’ingiustificata rottura delle trattative ma in quanto sanzione

della violazione degli obblighi di lealtà e buona fede persegue a colpire ogni

comportamento destinato a proiettarsi sul contratto e sulla sua esecuzione

senza essere eliso dal fatto che esaurita la fase preliminare questo sia stato

successivamente concluso30.

In tale scenario risulta risolutiva la posizione delle Sezioni Unite

della Corte di Cassazione31 che ha affermato il principio per cui la

violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione

delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alle

prestazioni di servizi di investimento finanziario può dar luogo a

responsabilità precontrattuale con conseguente obbligo di risarcimento dei

danni, ove le violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con

la stipulazione del contratto destinato a regolare successivi rapporti tra le

parti; può invece dar luogo a responsabilità contrattuale ed eventualmente

condurre alla risoluzione del predetto contratto, ove si tratti di violazioni

riguardanti le operazioni di investimento compiute in esecuzione del

contratto di intermediazione finanziaria in questione. La corte chiarisce che

in nessuna caso la violazione delle suddette disposizioni normative

comporta la nullità del contratto di intermediazione a norma dell’art. 1418

c.c.

Benchè non si rinvenga nella direttiva un chiaro proposito innovatore

si evidenziano comunque le linee guida significative che costituiscono fonte

di proficue speculazioni per l’interprete. È utile a tal riguardo soffermarsi

30 Tale orientamento recepito dalla corte d’Appello è stato anticipato dal Tribunale

di Foggia nella sentenza 30 giugno 2006 con nota di SCALZO M. in I contratti 2007, fasc. 5 p. 426

31 Cass S.U. 19 dicembre 2007 n. 26725

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sul contenuto dell’art. 19 previsto dalla direttiva 2004/39/CE il quale

stabilisce che “le imprese di investimento quando prestano servizi di

investimento e/o se del caso, servizi accessori ai clienti, agiscano in modo

onesto equo e professionale per servire al meglio gli interessi dei loro

clienti”. La carica innovatrice della disposizione si coglie dal raffronto con

la disposizione precedente contenuta nell’art. 11 della direttiva 93/22/CE

che obbligava a comportarsi “in modo leale ed equo nell’interesse, per

quanto possibile, dei suoi clienti e dell’integrità del mercato”. È evidente

come il vecchio testo facesse riferimento non solo al concetto di protezione

del cliente ma anche quello della tutela del mercato. Questo richiamo

congiunto ai due principi ha caricato di valore pubblicistico una diposizione

che attiene all’agire professionale, intendendo tutelare un mercato efficiente

e competitivo, vero leitmotiv della politica economica europea. Tale visione

ambivalente della politica finanziaria non sembra esser stata accolta nella

nuova disciplina indirizzata meramente agli interessi del cliente. A fronte di

tale scelta consapevole è evidente la volontà della Mifid di emancipare il

principio della protezione degli investitori da quello della stabilità ed

efficienza del mercato, almeno per quanto concerne le norme di

comportamento che gli intermediari devono rispettare nella prestazione dei

servizi di investimento. La scelta di un rimedio civilistico piuttosto che un

altro è legato ad una diversa impostazione di base che la recente direttiva ha

modificato catalizzando il sistema verso gli interessi dei risparmiatori. Tali

interessi si allineano ad oggi ad un profilo più propriamente privatistico.

Conseguentemente la volontà di ricondurre la fattispecie entro tale profilo,

dissociandola da quella pubblicistica, depone a favore di rimedi contrattuali

diversi dalla nullità come la risoluzione del contratto e la responsabilità

precontrattuale.

Occorre inoltre sottolineare che ad oggi il nostro legislatore sembra

non aver colto la tendenza evolutiva della disciplina come dimostrato dal

decreto di recepimento della direttiva. L’art. 21 del TUF fa tuttora

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riferimento agli obblighi di diligenza correttezza e trasparenza “per servire

al meglio l’interesse dei clienti e l’integrità del mercato”.

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I mercati

1. La ratio dell’obbligo di concentrazione

L’obbligo per gli intermediari di eseguire le negoziazioni dei valori

mobiliari esclusivamente sui mercati ufficiali in cui sono quotati è stato

introdotto nel nostro ordinamento per la prima volta con la legge Sim

(l.1/91).

In un mercato borsistico caratterizzato da cronici problemi di

liquidità, quale quello italiano, l’obbligo di esecuzione delle negoziazioni su

tale mercato avrebbe contribuito ad aumentare il volume degli scambi,

accrescendo la trasparenza di operazioni altrimenti conclusesi fuori borsa e

quindi rimaste ignote al mercato; laddove l’entità dei prezzi verrebbe

assicurata dall’incontro sul mercato di domanda e offerta.

L’obbligo di concentrazione rispondeva inoltre all’obiettivo di tutela

del contraente debole, come indirettamente dimostrato dalla norma che

prevedeva l’obbligo per l’intermediario di eseguire le negoziazioni alle

migliori condizioni possibili, condizione che si considerava soddisfatta, per

presunzione, nel caso in cui la negoziazione fosse avvenuta nei mercati

regolamentati.

Mentre l’ordinamento italiano muoveva verso la concentrazione

delle negoziazioni, già nel ’93 l’orientamento comunitario, che trovava

applicazione con la Direttiva 93/22/CE32, verteva sulla libertà di esecuzione

delle negoziazioni al di fuori dei mercati regolamentati, lasciando all’organo

di controllo dei singoli Stati membri l’individuazione delle ipotesi in cui

l’obbligo trovava applicazione.

32 Direttiva 93/22/CE del 10 maggio 1993

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Con l’entrata in vigore del decreto di recepimento della suddetta

direttiva (c.d. legge Eurosim33), la Consob34 ha reintrodotto in toto

l’obbligo di concentrazione, in quanto avrebbe garantito livelli minimi di

liquidità del mercato, contribuito a migliorare la qualità del processo di

formazione dei prezzi, la trasparenza e l’efficienza informativa, nonché a

ridurre i costi di transazione. L’obbligo trovava delle limitazioni nel caso in

cui il cliente avesse espressamente autorizzato ad operare fuori dal mercato

regolamentato ovvero le negoziazioni svolte al di fuori dei mercati

consentissero di realizzare il miglior prezzo possibile per il cliente (c.d. best

execution). Per la soddisfazione di tale condizione la negoziazione fuori

mercato doveva aver luogo durante l’apertura dei mercati ufficiali: solo in

tal modo è possibile identificare il prezzo di quotazione di riferimento quale

parametro del miglior prezzo.

La disciplina dell’obbligo di concentrazione è stato condizionato

dallo sviluppo di sistemi alternativi alla negoziazione sui mercati

regolamentati e dalla diffusione di strutture informatiche per la negoziazione

oltre la chiusura dei mercati. Da tempo la tendenza in atto si rinveniva nella

nascita e nello sviluppo dei cosiddetti Electronic Communication Networks

(ECN) - ATS (Alternative/Automated Trading Sistems), circuiti di

negoziazione telematici di valori mobiliari, alternativi ai mercati

tradizionali. Questi sistemi nascono in risposta ad una sempre maggiore

esigenza di liquidità del mercato di un facile accesso e di trasparenza. E si

caratterizzano in tal senso per l’estensione di orari di contrattazione, per la

trasmissione di ordini con limiti di prezzo, per la presenza di market maker

e per un meccanismo di funzionamento del mercato ad asta continua.

33 D.lgs. 23 luglio 1996 n. 415 34 Reg. 10358/96, poi confermato dal regolamento n. 11768/98 attuativo del Tuf

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Recependo una tale evoluzione dei mercati, la Consob35 ha introdotto

un’ipotesi ulteriore di esclusione dell’obbligo di concentrazione: l’eccezione

operava nel caso in cui la negoziazione fosse avvenuta in un sistema di

scambi organizzato ed a mercato chiuso, cioè al termine dell’orario ufficiale

di negoziazione del mercato regolamentato.

La diffusione del c.d. trading after hours in alcuni sistemi di scambi

organizzati ha costituito la base per la creazione da parte di Borsa S.p.A. di

due nuovi comparti, il Trading after hours (TAH) per il mercato di borsa, ed

il Trading After Hours Nuovo Mercato (TAHnm), per il Nuovo Mercato, in

cui è consentita la negoziazione oltre l’orario di apertura dei mercati

ufficiali. La Consob ha approvato tali modifiche senza con questo estendere

l’obbligo di concentrazione ai nuovi segmenti. Conseguentemente, dopo la

chiusura dei mercati ufficiali, le negoziazioni potevano avvenire sia sui

comparti TAH e TAHnm, sia sul trading after hours di mercati non ufficiali,

purché si trattasse di sistemi di scambi organizzati, al fine cioè di garantire

un certo livello di tutela degli investitori.

In Europa36 la funzione dell’intermediario di mercato e la funzione

di mercato sono state tradizionalmente svolte da soggetti diversi37. La

dicotomia istituzionale consentiva di distinguere chiaramente le norme a

tutela degli investitori e quelle che disciplinavano i mercati mirante a

garantire io funzionamento efficiente e trasparente dei mercati, che si

applicavano principalmente alle borse. Dall’epoca dell’adozione della DSI il

35 La delibera Consob 12497/2000, modificante la delibera 11768/98 36 Proposta di Direttiva presentata dalla Commissione del 19/11/2002 37 All’epoca in cui la DSI venne adottata, le Borse valori godevano a livello

nazionale di un diritto esclusivo di organizzazione dell’incontro degli interessi di acquisto e vendita di valori mobiliari emessi a livello locale.

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mercato finanziario europeo è divenuto più complesso e la linea di

demarcazione tra mercati e intermediari sempre meno netta.

L’analisi svolta sull’efficienza dei mercati ha condotto a ritenere che

le misure di regolamentazione che restringono direttamente la concorrenza

tra meccanismi di esecuzione delle negoziazioni, non sembrano apportare

miglioramenti al processo di formazione dei prezzi da giustificare un

intervento intrusivo sulle strutture del mercato. Secondo una recente analisi

dei prezzi delle operazioni di quasi tutte le azioni quotate, non fornisce

alcun sostegno alla tesi secondo cui la concentrazione delle operazioni nelle

borse valori accrescerebbe l’efficienza del mercato. All’assenza di qualsiasi

beneficio in termini di efficienza statica derivante dalla regolamentazione

della struttura del mercato, si aggiungono i costi dinamici che il mercato nel

suo complesso dovrebbe sopportare qualora venissero imposte restrizioni

alla scelta di libertà dei partecipanti.

La concorrenza tra i meccanismi di esecuzione può apportare

benefici dinamici, consente di ridurre i costi delle operazioni, fa affluire

ulteriore liquidità al mercato, favorisce l’elaborazione di strategie di

negoziazione sofisticate e contribuisce a ottimizzare l’attività di

regolamento delle operazioni.

La concorrenza tra borse non costituisce una novità; anche gli stati

che hanno da sempre imposto la concentrazione degli ordini all’interno del

mercato regolamentato, consentono già da ora la concorrenza tra borse e

altri metodi di negoziazione per le operazioni effettuate da altri operatori

anche fuori mercato.

La dispersione delle negoziazioni su varie sedi di esecuzione degli

ordini determina la frammentazione degli interessi di acquisto e vendita in

rivoli di liquidità e isolati. Se non tenuto sotto controllo tale fenomeno può

evolversi a scapito delle due fondanti componenti di un mercato finanziario,

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la liquidità e l’efficienza del processo di formazione dei prezzi. Sia la

concorrenza tra borse che quella tra Borse e altre sedi di esecuzione possono

contribuire alla frammentazione. In tal senso diviene determinante un solido

regime di trasparenza.

2. Le modifiche introdotte dalla direttiva Mifid

Il recepimento della direttiva Mifid38 nel nostro ordinamento ha

permesso di abolire definitivamente l’obbligo di concentrazione. Una tale

abolizione muove dall’obiettivo di introdurre elementi di concorrenza

nell’offerta di servizi di negoziazione, attraverso il riconoscimento di altre

piattaforme di contrattazione, che aprono la strada a nuovi operatori e alla

riduzione dei costi.

Affinchè si ottenga una trasformazione del mercato in senso

concorrenziale, occorrerebbe che gli utilizzatori del sistema fossero pronti a

rispondere rapidamente agli eventuali differenziali di prezzo e di costo. In

presenza di inerzie o habitat preferiti peraltro è probabile che la caduta

dell’obbligo di concentrazione produca un assetto concorrenziale nel quale i

diversi sistemi di negoziazione offrono servizi differenziati mantenendo un

controllo sul prezzo, per cui il mercato non sarebbe quindi realmente

contendibile. La rendita monopolistica derivante dal governo del flusso

degli ordini passerebbe infatti da un soggetto a un gruppo di soggetti (dalla

38 “Markets in Financial Instruments Directive” Direttiva 2004/39/CE del

Parlamento Europeo del 21 aprile 2004; Direttiva 2006/73/CE della Commissione Europea del 10 agosto 2006 recante modalità di attuazione della Mifid per quanto riguarda i requisiti organizzativi e le condizioni di esercizio delle attività delle imprese di investimento e le definizioni di alcuni termini ai fini di tale direttiva; Regolamento Ce n. 1287/2006 della Commissione Europea del 10 agosto 2006.

Il nostro ordinamento ha recepito la Direttiva Mifid con d. lgs. 17 settembre 2007, n. 164

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borsa principale a intermediari internalizzatori e ai nuovi mercati), ognuno

in grado di esercitare una qualche forma di potere di mercato nei confronti

della propria clientela. Il rischio che si corre è quello di una sempre

maggiore frammentazione del mercato.

Tale rischio sembra neutralizzato mediante l’introduzione di regole

in tema di trasparenza, improntate in particolare ad un’ampia e veloce

diffusione delle informazioni rilevanti. Sono infatti necessari dei

meccanismi di collegamento tra i diversi mercati, che si concretizzano in

obblighi di trasparenza pre trade e post trade. Se i mercati sono

singolarmente trasparenti, ma non c’è consolidamento delle quotazioni, gli

incentivi all’invio di ordini con limite di prezzo potrebbero ridursi

influenzando la liquidità complessiva.

3. La negoziazione nelle nuove trading venues: I sistemi

multilaterali di negoziazione…

La cosiddetta “liberalizzazione delle negoziazioni” ha di fatto

contribuito all’ampliamento dei mercati nazionali, oltre che dei soggetti che

organizzano e gestiscono i sistemi di negoziazione. La normativa

comunitaria ha, infatti, riconosciuto e istituzionalizzato la presenza di luoghi

alternativi di negoziazione: i sistemi multilaterali di negoziazione

(Multilateral Trading Facilities) e gli internalizzatori sistematici.

Ai sensi dell’art. 439 i MTF sono “sistemi multilaterali gestiti da

un’impresa di investimento o da un gestore del mercato che consente

l’incontro -al suo interno e in base a regole non discrezionali- di interessi

39 Art . 4 comma 1, n. 15 Direttiva Mifid; art. 1 comma 5 octies ,Tuf

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multipli di acquisto e di vendita di terzi relativi a strumenti finanziari in

modo da dare luogo a contratti”.

La direttiva ha indirettamente evidenziato che la funzione economica

svolta dagli MTF è fondamentalmente la stessa rispetto ai mercati

regolamentati. Ciò si desume sia dal fatto che la definizione di mercato

regolamentato presenta dei profili di simiglianza con quella di MTF (art. 4

comma 1), sia dal considerando n. 6 della direttiva in cui si riconosce che

entrambi “esplicano la stessa funzione di negoziazione organizzata”. A

fronte una funzione economica simile la direttiva ha cercato di creare un

quadro regolamentare il più possibile omogeneo. Il level playing field tra

mercati regolamentati e MTF è realizzato in termini di enunciazione di

regole piuttosto generali, il cui grado di prescrittività doveva essere

individuato dai singoli stati membri.

Accanto alla, seppur minima, regolamentazione imposta dalla

direttiva comunitaria, si colloca la normativa nazionale, che ha definito

l’operatività dei suddetti sistemi (art. 77 bis Tuf), al fine di istaurare i criteri

in merito al processo di negoziazione e alla finalizzazione delle operazioni

concluse su un MTF. La gestione di un MTF è sottoposto all’autorizzazione

e al controllo dell’Autorità di vigilanza, che ne fissa i requisiti di

funzionamento in relazione al processo di negoziazione, all’ammissione di

strumenti finanziari, all’accesso al sistema, nonché alle informazioni fornite

al pubblico, ed esercita sugli stessi una vigilanza di tipo informativo ed

interdittivo40.

Mediante l’introduzione di MTFs e degli internalizzatori sistematici

si è provveduto alla eliminazione dei Sistemi di Scambio Organizzato (art.

78 Tuf disciplina previgente). Tali sistemi sono stati introdotti

autonomamente dal legislatore italiano in quanto la precedente Direttiva

40 Art. 19 Reg.Consob adottato con delibera 16191del 29 ottobre 2007(di seguito

Regolamento Mercati.)

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Europea sui mercati finanziari (Investment Services Directive) non

prevedeva alcuna fattispecie di sistema alternativo di negoziazione. I SSO se

distinti in sistemi multilaterali e bilaterali sono facilmente riconducibili alle

due nuove trading venues e con l’entrata in vigore del d.lgs. di recepimento

della Mifid in base alle proprie scelte potranno negoziare in conto proprio

OTC, dichiararsi internalizzatori sistematici, se in possesso di specifici

requisiti, trasformarsi in MTFs.

Se in passato dal punto di vista ontologico non esisteva alcuna

distinzione tra mercato regolamentato e non regolamentato poichè la

distinzione era solamente formale in quanto erano solo i mercati

regolamentati ad essere ed a poter essere riconosciuti in un paese diverso da

quello dell’autorizzazione, l’introduzione ad opera della Mifid dei MTF non

ha mutato certamente i termini del problema. Anche tra i suddetti sistemi

non esistono differenze ontologiche. Come anche i mercati regolamentati

(art. 61 Tuf), i MTF sono sottoposti all’autorizzazione e al controllo della

Consob. Ciò che muta è semplicemente la disciplina applicabile che è per i

MTF è quella degli intermediari e non quella dei mercati. La gestione dei

MTF è infatti annoverata tra i servizi di investimento (art. 1 comma 5 lett. g)

Tuf)41 ed è quindi un’attività riservata svolta dalle Sim, dalle banche,

nonché dalle società di gestione dei mercati regolamentati.

3.1. …e gli internalizzatori sistematici

41 Tale problematica si riscontra anche nel sistema Francese: “le fait che le

marchès reglementes et les MTS aient le memes functiones pour la negociation des instruments financiers a pour corollaire leur assujettements à des regles equivalentes. Certes le marchè reglementes sont places dans une cadre totalement ad hoc alors que l’exploitation d’un MTS constitute une activitè de service d’investissement exerçable soit par l’operateur de marchè que gere une marches reglementè soit par un PSI. Neanmois, le legislateur europeen a mis en place un dispositif qui assure la coherence entre les condicions d’activitè des marches reglementes et des MTSs “. ANSIDEI J., DE FOURNOUX E. LAURENT P.: Directive Mif constituire le marchè financier europeen, 2008

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Parallelamente alla negoziazione sul mercato regolamentato e sui

MTF, la direttiva ha istituzionalizzato la figura dei prestatori di servizi di

investimento, i quali possono negoziare direttamente gli ordini dei clienti

senza fare ricorso a tali sistemi. Si definiscono internalizzatori sistematici le

“imprese di investimento che in modo organizzato e sistematico negoziano

per conto proprio sulla base di ordini del cliente al di fuori del mercato

regolamentato o di un sistema multilaterale di negoziazione”42.

L’operato degli internalizzatori si estrinseca secondo due modalità:

in presenza di grandi volumi d’affari, svolge un’esecuzione di ordini per

conto terzi, ricercando una controparte contrattuale per il cliente; nelle altre

ipotesi, negozia per conto proprio divenendo la controparte diretta del

cliente, e allo stesso tempo pone in essere un’operazione di senso contrario

con una o una pluralità di controparti. Questa situazione permette al cliente

di non sopportare il rischio che viene assunto dall’intermediario. Il

corollario di tale assunto è che l’intermediario avrà il diritto alla

remunerazione di un rischio di mercato che lo stesso assume al posto del

cliente.

È evidente come tali internalizzatori abbiano la capacità di gestire un

flusso significativo di ordini sia nel mercato regolamentato che nei MTF. La

figura dell’internalizzatore sistematico presenta dei profili di affinità con

l’operato del market maker ma se ne distingue in quanto quest’ultimo opera

sui mercati regolamentati e sui MTF pubblicando quotazioni applicabili da

tutti i partecipanti alla trading venues, mentre l’internalizzatore negozia al di

fuori di essi (over the counter), ed unicamente con i propri clienti.

Un’impresa di investimento che negozi per conto proprio è

considerata un’internalizzatore43 qualora siano soddisfatti i requisiti44 che

42 Art. 4 comma 1 n.7 Mifid; art. 1 comma 5- ter Tuf 43 Art. 21 Regolamento Ce n. 1287/2006 della Commissione Europea del 10

agosto 2006 recante modalità d’esecuzione della direttiva 2004/39/CE.

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dimostrano che la sua attività sia svolta in modo organizzato frequente e

sistematico. I criteri utilizzati sono evidentemente criteri qualitativi benché

il Cesr abbia invitato il legislatore europeo alla scelta di criteri quantitativi

al fine di dare certezza ed uniformità dell’individuazione dei predetti

soggetti. La Consob pubblica l’elenco ufficiale della categoria e accerta

l’esistenza in capo a tali operatori di requisiti commerciali non discrezionali,

che l’attività sia svolta da personale o sistemi informatici automatizzati, e

accessibile ai clienti su base regolare e continua. La suddetta disciplina

dell’attività di internalizzazione sistematica è applicata alle imprese di

investimento indipendentemente dallo strumento finanziario oggetto di

attività: il Regolamento Mercati introduce una disciplina dell’avvio e della

cessazione dell’attività di internalizzazione sistematica a prescindere dallo

strumento finanziario oggetto di negoziazione. In concreto l’attività

dell’internalizzatore trova una disciplina nella Mifid con riferimento al

regime di trasparenza per le azioni liquide ammesse a negoziazione su un

mercato regolamentato, e per transazioni inferiori alla dimensione standard

di mercato.

4. Gli obblighi di trasparenza

In attuazione di un disegno di tutela del contraente debole,

all’interno di un mercato concorrenziale che garantisca la riduzione dei

prezzi e dei costi, anello cardine del sistema è costituito dagli obblighi di

Market Trasparency.

44 I criteri individuati devono essere soddisfatti congiuntamente affinchè

l’intermediario ricada nella definizione di internalizzatore ovvero: a) l’attività riveste un ruolo commerciale importante per l’intermediario ed è condotta in base a regole e procedure non discrezionali; b) l’attività è svolta da personale o mediante un sistema tecnico automatizzato; c) l’attività è accessibile ai clienti su base regolare e continua.

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Nel previgente quadro normativo mancava, per quanto concerne gli obblighi

di trasparenza dei mercati regolamentati, una normativa dettagliata come

quella comunitaria. Il Tuf infatti all’art. 62 comma 2 lett. c) demandava al

Regolamento adottato da ciascuna società di gestione del mercato

regolamentato la determinazione delle modalità di pubblicazione e di

diffusione dei prezzi. Tuttavia i due mercati regolamentati autorizzati in

Italia su cui vengono scambiati i titoli azionari, ovvero Borsa italiana

s.p.a.45 e Tlx, hanno comunque garantito livelli minimi di trasparenza pre-

trade.

La recente normativa comunitaria ha introdotto un regime di trasparenza,

volto a rendere, accessibili al pubblico indistinto, informazioni circa le

proposte di negoziazione presenti nelle varie trading venues, nonché sulle

negoziazioni già effettuate. Il cambiamento della prospettiva rispetto alla

direttiva 93/22/CE riguarda in primis lo spostamento in maniera decisiva

verso la trasparenza pre-trade, in secondo luogo si tiene conto

esplicitamente dei costi per gli intermediari di una eccessiva trasparenza. In

un mercato concentrato e in assenza di significativi Sistemi Alternativi su

azioni la regolamentazione era essenzialmente volta alla trasparenza post-

trade. Il tentativo operato dalla Direttiva è quello di realizzare una

mediazione nonché un giusto equilibrio tra la trasparenza e liquidità del

mercato.

Gli obblighi di market trasparency, secondo la nuova impostazione

normativa, si applicano solo alle negoziazioni sui titoli azionari ammessi

alla negoziazione sui mercati regolamentati, siano essi scambiati su un

mercato regolamentato, su un MTFs o OTC.

Per i titoli non ammessi alla negoziazione in mercati regolamentati, sembra

rilevarsi un vuoto normativo. Tenuto conto della rilevanza delle diffusione

45 Borsa Italiana s.p.a. diffonde gratuitamente al pubblico le informazioni di

trasparenza pre e post trade con un ritardo di 20 minuti sul proprio sito internet.

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delle informazioni, in particolare riguardanti il prezzo degli strumenti

negoziati, la Consob è intervenuta con una Raccomandazione (23 giugno

2008) mediante la quale dispone l’inserimento di un prospetto informativo

per la valutazione del prezzo di offerta di azioni non negoziate in un

mercato regolamentato. La raccomandazione ha suscitato critiche in sede di

consultazione in quanto secondo Borsa Italiana la Raccomandazione non

coinvolgerebbe i MTF dal momento che per tali sistemi non si porrebbero

problematiche in tema di meccanismi di price formation e di price discovery

essendo garantiti livelli di tutela analoghi a quelli previsti per i mercati

regolamentati. Un maggiore livello di tutela può invece richiedersi con

riguardo ad altre trading venues per le quali la raccomandazione trova

applicazione e cioè gli internalizzatori sistematici e la negoziazione in conto

proprio. Di fronte a tale posizione la Consob ha ritenuto opportuno

sottolineare che l’obbligo di prospetto informativo si applica qualora le “ove

le negoziazione di tali strumenti siano svolte al di fuori di mercati in cui le

informazioni sui prezzi e i volumi scambiati siano disponibili agevolmente

senza costi per l’investitore”. Nella sostanza la Consob si riserva di valutare

caso per caso la completezza dell’informativa a disposizione degli

investitori per stabilire la necessità di imporre il prospetto informativo.

Il contenuto dei suddetti obblighi di trasparenza per i mercati regolamentati

dei MTS46 si risolve nell’obbligo per il gestore degli stessi di render noto il

prezzo e l’ampiezza di interessi di negoziazione presenti nel sistema di

negoziazione riguardanti solo azioni quotate in mercati regolamentati. Le

suddette informazioni devono essere disponibili al pubblico a semplici

condizioni e in maniera continua, durante l’orario di contrattazione. Tali

obblighi sono soggetti ad esenzioni in presenza di situazioni che

evidentemente non necessitano della tutela a cui la trasparenza è finalizzata;

46 Artt. 44 e 29 della Mifid

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in particolare in caso di sistemi price taker che non determinano il prezzo a

cui concludere le operazioni, bensì lo traggono da altri sistemi; nel caso in

cui i sistemi formalizzino “operazioni concordate”47; e per gli ordini

immessi in un order management facility gestito dal mercato regolamentato

o da un MTF.

Anche gli internalizzatori sistematici sono soggetti a stringenti

obblighi di trasparenza pre-negoziazione dal momento che negoziando in

proprio metteno a rischio direttamente il proprio capitale. Tali soggetti sono

tenuti a pubblicare quotazioni irrevocabili per le azioni ammesse alla

negoziazione nei mercati regolamentati per le quali esiste un mercato

liquido48 solo in caso di negoziazione di quantitativi inferiori alle

dimensioni standard del mercato49; qualora il suddetto mercato liquido non

sussista, sono invece tenuti a comunicare le loro quotazioni alla clientela su

richiesta.

La condotta dell’internalizzatore differisce a seconda del tipo di

cliente, e cioè a seconda che il cliente sia professionale o retail. Nei

confronti di clienti professionali gli internalizzatori sistematici possono

praticare condizioni di prezzo migliori rispetto al prezzo quotato al

momento in cui ricevono l’ordine; quando la negoziazione di vari titoli fa

parte di una sola transazione o riguarda ordini soggetti a condizioni diverse

47 Secondo la lettera dell’art. 19 l’operazione concordata è quella “nella quale

intervengono membri o partecipanti di un MR o di un MTS o di sistemi multilaterali di negoziazione e nel quale le parti svolgono…” o determinate attività.

48 Il concetto di azione liquida viene chiarito dal Regolamento (CE) 1287/2006, art. 22 : “le azioni ammesse in un mercato regolamentato, sono considerate come aventi un mercato liquido se sono oggetto di negoziazioni giornaliere, con flottante non inferiore a 500 milioni di Euro e se è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a)il numero medio giornaliero delle operazioni per azioni non è inferiore a 500; b)il controvalore medio giornaliero degli scambi per azione in questione non è inferiore a 2 milioni di euro”.

49 L’art. 23 Regolamento Ce n. 1287/2006, definisce il concetto di dimensione standard del mercato individuando una tabella che rileva il valore medio giornaliero delle operazioni e assegnando ad ognuna una determinata standard market size.

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dal prezzo corrente di mercato, i prezzi praticati possono essere persino

diversi da quelli delle loro quotazioni senza rispettare le condizioni

precedenti. Proprio a fronte della rischiosa posizione in cui l’internalizzatore

opera, la legge prevede la possibilità di limitare, in modo non

discriminatorio, il numero delle operazioni che si impegna a concludere con

il medesimo cliente alle condizioni pubblicate. La limitazione opera quando

il volume e il numero degli ordini ricevuti supera notevolmente le normali

condizioni di operatività.

Gli obblighi di trasparenza post trade si applicano indistintamente a

tutti gli operatori del mercato e la normativa europea prevede che le

pubblicazioni avvengano a condizioni commerciali ragionevoli ed in tempo

reale. Il Regolamento CE (art.27) stabilisce i contenuti dell’informazione

che deve essere resa pubblica, nonché i soggetti tenuti all’obbligo di

trasparenza. I primi sono individuati nel giorno e ora della negoziazione, nel

prezzo, nella valuta e nel quantitativo dello strumento acquistato, nonché

nell’identificazione della sede di esecuzione.

Mentre i mercati regolamentati e MTFs sono responsabili della

pubblicazione delle negoziazioni eseguite nei loro sistemi (art. 27 c. 1), per

gli internalizzatori e gli altri intermediari che operano OTC, la scelta di chi

sia tenuto al rispetto di tali obblighi può essere oggetto di un accordo tra le

controparti dello scambio (art 27 c. 4).

5. Regole di ammissione di operatori sul mercato

L’accesso ai mercati ha rappresentato negli ultimi dieci anni uno dei

principali oggetti di dibattito nelle modifiche intervenute nella disciplina dei

mercati finanziari. L’atteggiamento protezionistico delineato dalla legge

1/91, che subordinava l’autorizzazione all’esercizio dell’attività di

intermediazione mobiliare alla circostanza che le Sim avessero sede legale

nel territorio italiano, è stato eliminato dalla legge Eurosim che ha introdotto

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il principio dell’ home country control. In tal senso si è garantita

l’equiparazione tra gli operatori italiani e comunitari, equiparazione prevista

nel Tuf che ha permesso agli intermediari comunitari e specularmente a

quelli nazionali, di prestare la propria attività in Italia sulla base

dell’autorizzazione dello stato membro d’origine. Unica condizione è

l’autorizzazione allo svolgimento dell’attività di negoziazione per conto

proprio o per conto terzi.

Le singole società di gestione impongono, in aggiunta, delle

condizioni di accesso: in particolare per le operazioni svolte sui mercati

gestiti da Borsa italiana s.p.a. gli operatori sono soggetti a particolari

requisiti. Il regolamento (art. 3.1 Reg. Borsa) oltre all’elencazione tassativa

dei soggetti che possono operare sul mercato individua alcuni requisiti,

all’accertamento dei quali è subordinata l’operatività; in particolare un

numero sufficiente di addetti allo svolgimento delle negoziazioni e la

qualifica professionale degli stessi, l’individuazione di un sostituto preposto

ai rapporti con la Borsa, nonché l’adeguatezza di sistemi informatici

attraverso i quali si svolge la negoziazione. L’ammissione degli operatori è

inoltre subordinata all’adesione diretta o indiretta al servizio di liquidazione

presso il quale i contratti stipulati sono liquidati, e dell’adesione al sistema

di compensazione e garanzia delle operazioni su strumenti finanziari

limitatamente ai casi indicati espressamente. Benché le società di gestioni

fissino requisiti per l’accesso al mercato, occorre comunque sottolineare che

tale accesso non è precluso agli stessi clienti, i quali possono essere

interconnessi ai mercati esclusivamente per il tramite degli operatori

ammessi che comunque rispondono per le negoziazioni e per gli effetti dello

stesso (art. 3.2.4 Reg. Borsa Italiana Spa).

Anche in risposta al principio di armonizzazione a livello

comunitario, la direttiva sui servizi di investimento ha modificato questa

impronta di rigido accesso al mercato prevedendo la possibilità per tutti i

soggetti che siano in possesso di particolari requisiti disposti dalla stessa

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direttiva e ripresi dall’art. 25 Tuf di essere ammessi in qualità di membri o

partecipanti (art. 42. comma 3). Ciò che viene richiesto sulla base delle

nuove disposizioni è il possesso di requisiti di onorabilità e professionalità,

di un livello sufficiente di capacità di negoziazione e di competenza, di

adeguati dispositivi organizzativi nonché di una adeguata capacità

finanziaria valutata in ragione del ruolo da svolgere. Tali soggetti sono

inoltre tenuti al rispetto di obblighi di diligenza correttezza e trasparenza al

fine di assicurare l’integrità dei mercati (art. 25 Tuf).

6. Ammissione di strumenti finanziari sul mercato regolamentato

L’attribuzione alla società di gestione quale organo privato

dell’individuazione delle condizioni di accesso, ha fatto venir meno gli

istituti della quotazione di diritto e della quotazione d’ufficio. L’ultima trova

le sue basi nella persistenza dell’interesse pubblico che l’ordinamento

continuerebbe ad annettere al mercato borsistico. L’ammissione di diritto

era per così dire un’ammissione sui generis in quanto la Consob doveva

comunque accertare la sussistenza delle condizioni minime per l’avvio delle

negoziazioni dalla stessa determinate.

Con la privatizzazione del mercato di borsa attraverso il decreto

Eurosim e il seguente TUF i precedenti compiti spettanti alla Consob

vengono rimessi alla società di gestione dei mercati. Oggi esiste infatti

un’unica modalità di ammissione a quotazione articolata in due momenti:

l’inoltro della domanda da parte dell’emittente alla società di gestione e la

pubblicazione del prospetto di quotazione. Contestualmente alla domanda di

ammissione, l’emittente deve inoltrare alla Consob domanda di

autorizzazione alla pubblicazione del prospetto, redatto secondo un certo

schema formale e contenutistico. Il procedimento di ammissione a

quotazione si chiude con la pubblicazione del prospetto di quotazione che

deve avvenire prima della data prevista per l’inizio delle negoziazioni.

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L’ammissione si perfeziona quando la Borsa S.p.A. stabilisce la data di

inizio delle negoziazioni e ne informa il pubblico. La disciplina è contenuta

nel titolo 2.5 del Regolamento.

Nel Regolamento sui mercati organizzati e gestiti da Borsa Italiana

S.p.A. sono dettate le “condizioni generali per l’ammissione a quotazione”

concernenti gli emittenti, i singoli strumenti finanziari, nonché la procedura

per l’ammissione in Borsa. Tali requisiti si riferiscono a tutti i mercati gestiti

da Borsa Italiana S.p.A., tranne il Nuovo Mercato disciplinato da un

autonomo Regolamento. L’ambito di applicazione della disciplina è

individuato in una serie di strumenti finanziari emessi da società o enti

nazionali o esteri, oltre a Stati ed enti sovranazionali.

Le società e gli enti devono essere regolarmente costituiti con statuti

conformi alle leggi ed ai regolamenti relativi. Si aggiunga che i consigli di

amministrazione delle società emittenti azioni devono dare informativa sul

proprio sistema di corporate governance e sull’adesione al “Codice di

autodisciplina delle società quotate” deliberato dalla Borsa S.p.A. nel 1999,

ciò al fine di garantire il buon funzionamento del mercato ed una corretta

informativa societaria. In particolare è stabilito che all’atto della

presentazione della domanda di ammissione a quotazione tali società risulti

l’avvenuto confronto tra il proprio modello di governo societario e quello

proposto nel Codice. Gli strumenti da quotare devono invece essere emessi

nel rispetto delle leggi, dei regolamenti e di ogni altra disposizione

applicabile e conformi alla normativa cui sono sottoposti; idonei ad essere

oggetto di liquidazione di borsa, nonché liberamente trasferibili.

La società di gestione può respingere la domanda di ammissione a

quotazione con provvedimento motivato e comunicato tempestivamente

all’interessato nelle ipotesi indicate all’art. 2.1.2 del Regolamento; può

inoltre subordinare la quotazione a qualsiasi condizione particolare essa

ritenga opportuna che sia esplicitamente comunicata al richiedente, solo

nell’interesse della tutela degli investitori. Se ne deduce che non esiste un

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diritto astratto alla quotazione di uno strumento finanziario, pur nei limiti di

un obbligo di motivazione la cui portata andrebbe forse meglio precisata.

Spetta alla società di gestione del mercato anche l’esclusione e la

sospensione degli strumenti finanziari dalle negoziazioni, c.d. delisting. Il

Regolamento conferisce poi alla Borsa Italiana il potere di disporre la

sospensione o la revoca dalla quotazione. La sospensione è prevista nel caso

in cui venga meno temporaneamente la garanzia della regolarità del mercato

o sussista un rischio in tal senso o risulti necessario a tutela degli investitori;

essa non può avere durata superiore a diciotto mesi. La revoca interviene in

caso di prolungata carenza di negoziazione o se la Borsa S.p.A. reputa che

non sia possibile mantenere un mercato normale e regolare per tale

strumento, per circostanze particolari. Ciò non esclude la possibilità di

un’esclusione su richiesta delle società quotate, prevista dall’art. 133 TUF e

disciplinata dal Regolamento. Le ultime modifiche apportate al

Regolamento di Borsa hanno previsto delle novità in materia di sospensione

e revoca delle azioni, nonché circa gli obblighi degli emittenti. Ai fini della

sospensione e revoca dalla quotazione, Borsa Italiana potrà considerare

come elementi discriminanti il giudizio negativo della società di revisione

per due esercizi consecutivi o l’impossibilità, per questa di esprimere un

giudizio per il medesimo periodo.

La direttiva Mifid ha parzialmente innovato la disciplina, in

particolare prevedendo una negoziazione degli strumenti finanziari

conforme a criteri di equità garantita dalla presenza di regole chiare e

trasparenti, e la libertà della negoziazione per i valori mobiliari. Questi una

volta ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato possono

essere ammessi alla negoziazione in altri mercati regolamentati anche senza

il consenso dell’emittente, che però deve essere messo al corrente dagli

stessi mercati (art.40).

L’art. 41 chiarisce inoltre il diritto dell’autorità di vigilanza di

sospendere o ritirare dalla negoziazione gli strumenti finanziari che si

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somma a quello del gestore del mercato regolamentato. Le suddette

disposizioni sono previste nel regolamento dell’autorità di vigilanza che

stabilisce come le società di gestione debbano svolgere i compiti predetti.