LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO CORRETTIVO … · citato decreto legislativo, ma devono...

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LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO CORRETTIVO 169/2007 AL PROCESSO PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO ED ALLA FASE DELL'ACCERTAMENTO DEL PASSIVO SOQIMARIO: 1. Premessa. - 2. Sull'introduzione del processo prefallimentare. - 3. Segue: Sulla distribuzione degli oneri probatori per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti mini- mi dimensionali e debitori per la dichiarazione di fallimento. 11 requisito soggettivo. - 4. Segtie: I1 requisito minimo debitorio. - 5. I1 requisito della esistenza e cessazione dell'im- presa. - 6. Sulla trattazione e sull'attività istruttoria nella fase prefallimentare. - 7. Sulla sentenza e sulle impugnazioni. - 8. Le controversie di competenza del tribunale fallimen- tare ex art. 24 legge falliin. - 9. Sull'accenamento del passivo. La fase avanti al giiidice delegato. - 10. Segzle: La fase contenziosa. 1. Premessa. - Seguendo uno schema già utilizzato, ad esempio, per il processo commerciale (l), il legislatore ha ritenuto di dotarsi di uno stru- mento normativo che consentisse di adeguare la riforma fallimentare del 2006 con un ulteriore provvedimento (2) che potesse anche fare tesoro dal- (") Professore ordinario di Diritto processuale civile nelllUniversità di Catania. (l) L'art. 1 comma 5 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, prevedeva che «Entro un anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge [...l», inodifiche poi adottate con «Awiso di rettifica» pubblicato in G.U. 9 settembre 2003,11. 2009 e con il d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, recante «Modifiche ed integra- zioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto so- cietario, nonché al testo ui-iico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1" settembre 1993, e al testo unico dell'intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1998~. (') L'articolo uno, comma terzo, decreto legge 12 maggio 2006 173, convertito con la legge 12 luglio 2006, n. 228, ha aggiunto il comrna cinque bir all'articolo uno del decreto leg- ge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con la legge 14 maggio 2005, n. 80; tale aggiunta norma- tira lia consentito all'adozione di disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 9 gennaio

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LE MODIFICHE INTRODOTTE DAL DECRETO CORRETTIVO 169/2007 AL PROCESSO

PER LA DICHIARAZIONE DI FALLIMENTO ED ALLA FASE DELL'ACCERTAMENTO DEL PASSIVO

SOQIMARIO: 1. Premessa. - 2. Sull'introduzione del processo prefallimentare. - 3. Segue: Sulla distribuzione degli oneri probatori per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti mini- mi dimensionali e debitori per la dichiarazione di fallimento. 11 requisito soggettivo. - 4. Segtie: I1 requisito minimo debitorio. - 5. I1 requisito della esistenza e cessazione dell'im- presa. - 6. Sulla trattazione e sull'attività istruttoria nella fase prefallimentare. - 7 . Sulla sentenza e sulle impugnazioni. - 8. Le controversie di competenza del tribunale fallimen- tare ex art. 24 legge falliin. - 9. Sull'accenamento del passivo. La fase avanti al giiidice delegato. - 10. Segzle: La fase contenziosa.

1. Premessa. - Seguendo uno schema già utilizzato, ad esempio, per il processo commerciale ( l ) , il legislatore ha ritenuto di dotarsi di uno stru- mento normativo che consentisse di adeguare la riforma fallimentare del 2006 con un ulteriore provvedimento (2) che potesse anche fare tesoro dal-

(") Professore ordinario di Diritto processuale civile nelllUniversità di Catania. ( l ) L'art. 1 comma 5 della legge delega 3 ottobre 2001, n. 366, prevedeva che «Entro un

anno dalla data di entrata in vigore di ciascuno dei decreti legislativi, il Governo può emanare disposizioni correttive e integrative nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi di cui alla presente legge [...l», inodifiche poi adottate con «Awiso di rettifica» pubblicato in G.U. 9 settembre 2003,11. 2009 e con il d.lgs. 6 febbraio 2004, n. 37, recante «Modifiche ed integra- zioni ai decreti legislativi numeri 5 e 6 del 17 gennaio 2003, recanti la riforma del diritto so- cietario, nonché al testo ui-iico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di cui al decreto legislativo n. 385 del 1" settembre 1993, e al testo unico dell'intermediazione finanziaria di cui al decreto legislativo n. 58 del 24 febbraio 1 9 9 8 ~ .

(') L'articolo uno, comma terzo, decreto legge 12 maggio 2006 173, convertito con la legge 12 luglio 2006, n. 228, ha aggiunto il comrna cinque bir all'articolo uno del decreto leg- ge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con la legge 14 maggio 2005, n. 80; tale aggiunta norma- tira lia consentito all'adozione di disposizioni correttive ed integrative del d.lgs. 9 gennaio

slombardo
Casella di testo
DF 2008

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l'analisi delle eventuali difficoltà incontrate nella pratica nella prima appli- cazione della nuova disciplina (j).

I1 «decreto correttivo~ in materia fallimentare (d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169) segna l'ultima evoluzione o involuzione che dir si voglia delle regole definite dal legislatore in materia concorsuale; pur nella scontata con- ferma dell'impianto normativo di cui alla riforma del 2006, le ulteriori mo- difiche innestate dunque nel 2007 rivelano ambizioni che sembrano supe- rare l'utilizzo del decreto per integrazioni e puntualizzazioni di poco mo- mento. Ne ricavo l'opportunità di riflettere su alcune delle novità introdotte nel 2007 che incidono sui profili più strettamente processuali, anche in re- lazione alle disposizioni in conseguenza modificate dal legislatore nel 2006, nella speranza di contribuire ad offrire una prima interpretazione delle nuo- ve norme. Disposizioni, tuttavia, che «esaltano» vieppiù uno dei più eviden- ti limiti della riforma del 2006, la pretesa di intervenire non con disposizioni integralmente di nuovo conio, ma «accanendosi» su un ordito normativo ormai già logoro, e sempre più in difficoltà nel mantenere coerenza di risul- tati ed indirizzi, poiché sempre e continuamente sottoposto a ulteriori sbre- ghi e rattoppi (che potrebbero ben essere ulteriormente accresciuti da pre- vedibili ronunce della Corte costituzionale nel controllo alle nuove dispo- S sizioni ( )); ed è, questa scelta, naturalmente foriera di non poche ulteriori

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incertezze per l'interprete, le cui difficoltà nella ricostruzione non sono pur- troppo diminuite con l'emanazione del decreto correttivo.

2. Sull'introduzione del processo prefallimentare. - A grandi linee, si con- fermano le disposizioni adottate con la riforma del 2006 per quanto attiene all'introduzione del processo (tale è, ora, ed a tutti gli effetti) prefallimen- tare, con gli oneri richiesti ad attore e convenuto per la predisposizione di quanto occorrente per l'udienza in cui la causa sarà trattata ( 5 ) .

Il decreto presidenziale (o del giudice delegato) ed il ricorso devono es- sere notificati a cura della parte istante, entro 15 giorni liberi dd'udienza di comparizione, alle parti del procedimento (debitore e creditori istanti); ri- chiamare la notificazione sembra indicare la pretesa del rispetto e il richia- mo delle forme previste dagli art. 136 segg. del codice di procedura civi- le (7; così le modalità di notifica ad istanza di parte seguiranno, a mio av- viso, le norme ordinarie, con il rispetto delle formalità ad esempio indicate dal nuovo art. 145 cod. proc. civ. per la notifica alle società (7), ma anche le rigidità formali riservate alla notifica ex art. 140 e 143 cod. proc. civ. (') (con le relative e perniciose conseguenze quanto alla perfezione dell'atto ed al relativo decorso del termine per il notificato), particolarmente ingiu-

2006, n. 5, nel rispetto dei principi e dei criteri direttivi della legge delega. I1 15 giugno 2007 il Consiglio dei Ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo correttivo. Acquisiti i pa- reri del Parlamento, il 7 settembre 2007 il decreto correttivo è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 16 ottobre 2007, n. 241; si tratta del d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169.

('1 La relazione governativa evidenzia che il decreto correttivo interviene su «aspetti cri- tici e problematici della «riforma organica» delle procedure concorsuali, i quali non possono che essere superati attraverso gli interventi correttivi ed integrativi previsti dal presente de- creto». Aggiunge il Governo clic «al fine di pervenire ad una «riforma organica della disci- plina delle procedure concorsuali» (come recita l'art. 1, coinma 5, legge n. 80 del 2005) e di chiarire i punti più controversi dell'attuale normativa, le correzioni e le integrazioni non pos- sono avere ad oggetto soltanto le disposizioni della legge fallimentare modificate o inserite dal citato decreto legislativo, ma devono interessare anche altre norme della legge fallimentare, incluse quelle già modificate o introdotte dal decreto-legge n. 35 del 2005, convertito, con modificazioni, nella legge n. 80 del 2 0 0 5 ~ (cfr. preambolo relazione governativa).

(4) Osserva FABIANI, Il decreto correttivo della rijornza fallimentare, in Foro it. 2007, V , 225, che talune delle correzioni concernono disposizioni non oggetto della delega contenuta nella 1. 80/2005. Se in alcuni casi tali interventi si rivelano utili ad eliminare aporie e incon- gruenze, si che non sarebbe efficiente denunciarne l'illegittimità costituzionale, resta il fatto che la delega non pare puntualmente rispettata (come ad esempio per gli interventi in tema di accordi di ristrutturazione che non trovano alcuna copertura nella legge delega).

L'argomento è oggetto di più ampia trattazione in un mio scritto in corso di pubblica- zione sulla rivista Il Fallimento e le altre procedure corrcot~c(rlIi, con il titolo «Dect~taziort~* J'w gema e nonne processtiali in nzateria fallinlentare: considerazioni a mai.gine di rina recente pro- nrinzia della Corte costitrizionale».

( 5 ) V. se vuoi, SANTANGELI, Art. 15, in I l nuovo fallitnento, a cura di SANTANGELI, Mi- lano 2006, 69 seg.

(6) Si risolve, così, una questione che aveva dato luogo a soluzioni non omogenee nei diversi uffici giudiziari, e la si risolve in senso antitetico alle determinazioni che il legislatore ha assunto nella disciplina dedicata all'amministrazione delle grandi imprese in crisi, all'art. 7 del d.lgs. 270/1999.

(') A seguito dell'intervento dell'art. 2 della l. 28 dicembre 2005, n. 263, l'art. 145 cod. proc. civ. prevede ora che «la notificazione alle persone giuridiche si esegue nella loro sede mediante consegna di copia dell'atto al rappresentante o alla persona incaricata di ricevere le notificazioni o, in mancanza, ad altra persona addetta alla sede stessa owero al portiere dello stabile in cui è la sede. La notificazione può anche essere eseguita, a norma degli articoli 138, 139 e 141, alla persona fisica che rappresenta I'ente qualora nell'atto da notificare ne sia in- dicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale La notificazione alle società non aventi personalità giuridica alle associazioni non riconosciute e ai comitati di cui agli articoli 36 e seguenti del codice civile si fa a norma del comma precedente, nella sede indicata nell'articolo 19 comma 2, owero alla persona fisica che rappresenta l'ente qualora nell'atto da notificare ne sia indicata la qualità e risultino specificati residenza, domicilio e dimora abituale. Se la notificazione non può essere eseguita a norma dei commi precedenti, la notificazione d a persona fisica indicata nell'atto, che rappresenta l'ente, può essere esegui- ta anche a norma degli articoli 140 o 1 4 3 ~ .

(*) Si comprende che un problema ed un possibile contrasto con i suddetti termini posti a tutela del diritto di difesa delle parti, si pone particolarmente nel caso in cui, per I'irrepe- ribilità del debitore, si renda necessario procedere alla notifica ai sensi dell'art. 143 cod. proc. civ. che si perfeziona per il notificato decorsi venti giorni dal deposito presso la casa comu- nale dell'ultima residenza conosciuta; termini questi incompatibili con le esigenze di celerità che tendenzialmente connotano l'istruttoria prefailimentare.

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stificate in ipotesi in cui la notifica sia resa difficile dalla irreperabilità, se riferite ad un processo che necessità di tempi particolarmente rapidi, anche ma non solo dati gli effetti ad esempio in tema di revocatoria che decorrono a ritroso per un limitato spazio temporale dalla dichiarazione di fallimento.

In proposito, tuttavia, va sempre rammentata la possibilità dell'utilizzo delle diverse forme non prefissate di notifica che il giudice, anche d'ufficio, può prescrivere, anche per particolari esigenze di celerità o quando lo con- siglino particolari ragioni, ai sensi dell'art. 151 cod. proc. c i ~ . ( 9 ) .

Le disposizioni del decreto correttivo oggi in commento, poi, specifica- no, in ipotesi di particolare urgenza, l'ammissibilità non solo ora dell'abbre- viazione dei termini concessi per la difesa al debitore, ma insieme, in quelle ipotesi, anche di utilizzare forme irrituali di comunicazione, se disposte dal Presidente del Tribunale, chiamato ad una contemperazione adattata stret- tamente al caso concreto tra le esigenze di urgenza e di salvaguardia dei li- velli incomprimibili di tutela.

Così ricostruito l'intento del legislatore, è tuttavia utile riflettere anche sulle conseguenze nelle ipotesi in cui queste regole non siano pienamente rispettate, e tuttavia il tribunale decida lo stesso pronunciando il fallimento.

In via generale, si assiste ad una struttura processuale che si differenzia tra la prima fase della trattazione, ed il momento dell'istruttoria in senso stretto.

Mentre la prima fase (dal deposito del ricorso alla notifica dello stesso) sembra prevalentemente caratterizzata da una più puntuale indicazione dei comportamenti da tenere da parte delle diverse figure processuali, nella se- conda lo spazio informale attribuito al tribunale è di particolare ampiezza.

Se pur è evidente la diversa regolamentazione, su cui de iuve condendo appare lecito formulare un pronto auspicio di revisione, e la necessità in condizioni normali, di rispettare le indicazioni legislative, rimane tuttavia l'esigenza di tenere anche in conto, ed in tutte le fasi processuali, delle esi- genze peculiari che possono occorrere e necessitare di soluzioni anche di- verse dalle previsioni espresse.

In questo senso, per quello che oggi è diventato un processo contenzio- so, pur se caratterizzato in maniera del tutto peculiare, soccorrono le regole generali sulla nullità (artt. 156 segg. cod. proc. civ.) dei processi giurisdizio- nali, che impongono automaticamente la nullità dell'atto giurisdizionale che non rispetti i canoni espressi come sanzione necessitata esclusivamente nelle

(') L'art. 151 cod. proc. civ. prevede che «il giudice può prescrivere, anche d'ufficio, con decreto steso in calce all'atto, che la notificazione sia eseguita in modo diverso da quello stabilito dalla legge, e anche per mezzo di telegramma collazionato con avviso di ricevimento quando lo consigliano circostanze particolari o esigenze di maggiore celerità, di riservatezza o di tutela della dignità».

ipotesi di espressa previsione (previsioni assenti nella disciplina in esame), con la comunque eventuale sanatoria per il raggiungimento dello scopo, mentre in tutte le altre ipotesi la distinzione tra nuliità ed irregolarità passa dalla delicata analisi del raggiungimento dello scopo di un atto se compiuto, pur in maniera irregolare; ed alla valutazione ben potrebbero non essere in concreto estranee le peculiari esigenze di celerità che, per fattispecie parti- colari non in astratto predefinibili per le quali non operino efficacemente le tutele cautelari oggi previste, potrebbero condurre a valutazioni in cui il momento garantista si confronterà con altre altrettanto commendevoli esi- genze (l0) (che l'ordinamento in questa fase pur prevede, con l'assegnazione al Presidente del tribunale di modificare i criteri predefiniti; questa dispo- sizione, del resto, può costituire un indice della necessità di adeguare le re- gole positivamente dettate alle peculiarità in concreto delle fattispecie, una valutazione compiuta ex ante, che sembra ragionevole che il tribunale possa anche compiere ex post).

Riflessioni, del resto, che potrebbero comunque dover essere formulare anche quando il Presidente del tribunale abbia deciso invece nel pieno am- bito dei propri poteri discrezionali diverse forme e tempi di comunicazione e di difesa, poiché, pur se verosimilmente in ipotesi residuali, rimane co- munque la necessità di evitare un'ingiustificata ed eccessiva compressione dei diritti di difesa attribuiti alle parti.

Infine, la disciplina delle nullità eventualmente compiute nel giudizio di primo grado (l1) andrà comunque verificata a seconda della lettura che si darà del ruolo e dell'ambito del giudizio di impugnazione del prowedimen- to di primo grado reso; ed è anche in questo senso che le modifiche intro-

('O) È ragionevole ritenere che il Tribunale, verificando la regolarità d d e operazioni di notifica ed il rispetto dei relativi termini posti dali'art. 15 legge fallim., potrà controllare il grado di diligenza adoperato dal notificante nel compimento delle operazioni e ritenere per- fezionata la notifica (eseguita ai sensi dell'art. 143 cod. proc. civ.) nel momento in cui emerga che l'irreperibilità del debitore è dipesa da comportamento dello stesso - ad esempio in caso di latitanza, o trasferimento senza indicazione nei registri anagrafici o nel registro imprese -, o più generalmente, negli altri casi, valutando se il mancato rispetto dei termini integri concre- tamente una lesione del diritto di difesa del debitore. In argomento, anche se riferita al regi- ine normativo previgente, ove la notifica del decreto di convocazione aweniva a cura della canelleria, v. la recentissima Cassazione, 7 gennaio 2008, n. 32, in www.quotidianogiuridico.it del 17 gennaio 2008, che ha stabilito che se un imprenditore sottoposto alla procedura fal- limentare si pone in condizione di irreperibilità imputabile a sua negligenza o condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico, è possibile giungere alla sentenza dichiarativa di fallimento a prescindere dalla convocazione in camera di consi- glio preordinata a consentirgli la prospettazione di ragioni difensive.

( l l ) La riflessione è necessariamente diversa per il prowedimento di impugnazione reso ai sensi dell'art. 18 legge fallim., la cui impugnabilità in cassazione può condurre ad un rinvio davanti al giudice di merito.

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dotte dal decreto correttivo oggi in esame offrono un contributo ulteriore alla riflessione.

Già nel vigore della precedente disposizione, avevo ritenuto che tenden- zialmente fosse preferibile optare, nelle ipotesi di vizi processuali del prov- vedimento di primo grado, per l'obbligo del giudice del secondo grado di consentire una piena difesa delle parti, ed una successiva pronuncia nel me- rito sull'esistenza o no dei presupposti oggettivi e soggettivi per la dichiara- zione di fallimento, piuttosto che per una pronuncia di nullità del giudizio tout court. Così ritenevo, richiamando, ancora, la disciplina dettata per la pronuncia del fallimento emessa da un tribunale incompetente che, ai sensi dell'articolo 9 bis legge fallim., non commina più la nullità (e conseguente revoca) della sentenza pur emessa in conclamata violazione delle regole sul- la competenza; esempio, anche quest'ultimo, di come il diritto fallimentare oggi si proponga di salvare sentenze pur viziate processualmente, in ragione di superiori esigenze di funzionalità della procedura.

Ora, l'interpretazione da me adottata mi sembra anzi vieppiu conferma- ta dalla modifica dell'art. 18 legge fallim., che individua non più nell'appel- lo, ma invece nel reclamo, lo strumento di impugnazione della sentenza di- chiarativa di fallimento, con ciò cercando di evocare la scelta di un sistema di piena applicazione di regole che spingono ad un nuovo giudizio in secon- do grado, senza i limiti pur parziali, ad esempio anche di rimessione in pri- mo grado, del giudizio di appello (l2).

Laddove infatti si dovesse ritenere, come ad esempio io ritengo, che dunque la fase di impugnazione consenta una nuova e piena verifica dei presupposti e non preveda comunque una cassazione della sentenza per ra- gioni esclusivamente processuali con conseguente rimessione in primo gra- do, si relativizza vieppiù la sanzione conseguente a nullità, se si considera che comunque l'attività difensiva piena dovrà essere consentita in grado d'appello (a prescindere dalla dimostrata compressione del diritto di difesa in primo grado), e che pertanto la puntualizzazione ha effetto solo rispetto alla determinazione della misura degli oneri risarcitori che potrebbero con- seguire ad una sentenza di accoglimento del reclamo quando la decisione di primo grado fosse occasionata esclusivamente dalle invalidità commesse in via processuale nel primo giudizio (e dalla conseguente compressione del diritto alla difesa del debitore).

3. Segue: Sulla distribuzione degli oneri probatori per la dimostrazione dell'esistenza dei requisiti minimi dimensionali e debitori per la dichiarazione di fallimento. Il requisito soggettivo. - L'art. 1 legge fallim. è stato integral-

( l 2 ) V,, se vuoi, SANTANGELI, OP. ult. cit., 81 seg.

mente riscritto dal decreto correttivo. La norma prevede ora che siano esclusi dal novero delle imprese soggette alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo, le imprese esercenti attività commerciale che di- mostrino la sussistenza congiunta di tre requisiti: «a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall'ini- zio dell'attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila; b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell'istanza di fallimento o dall'inizio dell'attività se di durata inferiore, ri- cavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila; C) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non su- periore ad euro cinquecentomila» (").

Una prima lettura della disposizione (che pare nuovamente restringere le maglie della no failure zone) richiama immediatamente l'attenzione su un possibile contrasto con i principi della legge delega che prevedevano «l'e- stensione dei soggetti esonerati dall'applicabilità dell'istituto» (art. 1, com- ma 6, lett. a, n. 1) della legge 14 maggio 2005, n. 80).

Ai fini però di cui ci occupiamo maggiormente in questo contributo, gli aspetti processuali delle modificazioni introdotte dal decreto correttivo, la innovazione introdotta risolve una querelle che aveva affaticato e diviso gli interpreti nell'interpretazione della precedente disposizione; la distribu- zione dell'onere della prova quanto alla dimostrazione dell'esistenza dei re- quisiti minimi di fallibilità (l4).

( l J ) La norma abrogata prevedeva che fossero esclusi dall'applicazione delle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli enti pubblici ed i piccoli imprenditori. Ai fini dell'esdusione, non potevano considerarsi tali gli esercenti un'attività commerciale in forma individuale o collettiva che, anche alternativamente, a) avessero effettuato investimenti nell'a- zienda per un capitale di valore superiore a euro trecentomila; b ) avessero realizzato, in qua- lunque modo risulti, ricavi lordi calcolati sulla media degli ultimi tre anni o dall'inizio dell'at- tività se di durata inferiore, per un ammontare complessivo annuo superiore a euro duecen- tomila.

(l4) Se da un lato si è sostenuto, sia pure in forma dubitativa, che la «piccolezza» del- l'imprenditore costituiva una condizione esonerativa, per cui spettava al debitore provarla, v. ad es. FABIANI, Conqttiste, delusioni e divulgazioni nella riforma della fase prefallimentare, in Atti del convegno Paradigma su «la rifornza del fallimento e delle altre procedure concorsua- li, ined., altri hanno invece ritenuto che spettava a chi invocasse l'applicazione della procedu- ra dimostrare la sussistenza dei requisiti oggettivi e soggettivi del fallimento, ivi compreso il carattere non piccolo dell'impresa, v. ad es., FORTUNATO, sub art. 1, in Il nuovo diritto fal- limentare, Commentario diretto da IORIO e coordinato da FABIANI, Bologna 2006, 69. Sot- tolineava altresì SILVESTRINI, I presupposti soggettivi del fallimento a seguito della legge d i ri- forma, in Fallimento 2007, 234, che se la tendenziale inquisitorietà del rito prefallimentare non garantiva che si facesse sufficiente chiarezza sull'esistenza dei presupposti soggettivi del fallimento (soprattutto nelllipotesi in cui il debitore non collaborasse con il deposito delle scritture contabili), i principi di riferibilità e vicinanza della prova, recepiti in giurisprudenza,

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I1 nuovo art. 1 della legge fallimentare, ora, detta una disciplina sul punto (l5) che contribuirà di certo ad un'interpretazione meno incer-

militavano a favore della tesi che pone a carico del debitore l'onere di dimostrare il possesso di requisiti dimensionali inferiori a quelli richiesti per il fallimento. Particolarmente interes- sante la rassegna delle principali posizioni giurisprudenziali sull'onere deiia prova compita da Tribunale di Roma 10 maggio 2007 (est. Severini), in Fallimento on line, reperibile all'in- dirizzo http://dotirinaedirito.ipsoa.ii: «Una prima tesi, rilevando che, in relazione al disposto del comma 1, il rapporto tra impresa «non piccola » e «piccola» corrisponde a quello tra re- gola ed eccezione, dovendosi ritenere in via di principio, ex art. 2221 cod. civ. ed art. 1 legge fallim., che in generale tutte le imprese commerciali siano soggette al fallimento ed al concor- dato preventivo e che la non fallibilità costituisce un'eccezione, sostiene che in base alle regole sulla distribuzione dell'onere della prova tra le parti (sotto tale profilo sottolineando i requisiti di ~rivatizzazione e di giurisdizionalizzazione individuati dalla dottrina nel nuovo rito prefal- limentare), spetta al creditore istante di provare la qualifica di imprenditore commerciale del debitore e la sua insolvenza, mentre incombe sul debitore la prova della causa di esenzione dalla disciplina concorsuale, dimostrando di essere qualificabile quale «piccolo» imprendito- re, alla luce dei nuovi requisiti di cui all'art. 1 legge fallim.; sul piano applicativo questa tesi conduce ad un ampliamento del numero dei fallimenti, poiché la presunzione di fallibilità opererebbe in tutti i casi di mancata costituzione o di adeguata difesa - volontaria o meno - del debitore. Una seconda tesi sostiene, al contrario, che la qualificazione soggettiva dell'im- prenditore fallendo in termini di «non piccola impresa» attiene alla determinazione degli ele- menti della fattispecie normativa, sicché l'onere della prova di tale presupposto dimeilsionale incombe, in base alle regole generali per cui il creditore deve provare tutti i presupposti della sua domanda, sul creditore ricorrente; questa tesi, addossando l'onere della prova sul sogget- to creditore, conduce, di fatto ad una forte restrizione deli'area della fallibilità, dalla quale verrebbero esclusi tutti gli imprenditori che, in buona o mala fede, hanno deciso di non di- fendersi o, comunque, di non produrre bilanci o altra documentazione idonea ad una valu- tazione della loro dimensiorie. Una terza tesi, ancora, rileva la difficile conciliabilità dei prin- cipi del giudizio civile contenzioso relativi alla distribuzione dell'onere della prova, strutturati in funzione dell'accertamento - positivo o negativo - dei soli diritti soggettivi, con la materia concorsuale e la qualificazione dell'impresa, che sembrano avvicinarsi più all'accertamento degli status; questa tesi rivaluta i poteri istruttori officiosi e sostiene che, al di là dei contributi probatori delle parti, comunque grava sul giudice l'intero peso, istruttorio ma anche di accer- tamento in concreto, della qualificazione del soggetto debitore; sul piano applicativo questa tesi consente di ridurre parzialmente il numero delie dichiarazioni di fallimento, ma finisce per appesantire i tempi dell'accertamento e di caricare il giudice della responsabilità istrutto- ria, movendo in senso opposto alle recenti tendenze che vogliono ricondurre il giudice, il più possibile, ad una posizione di terzietà, lasciando alle parti gli oneri e le scelte relative alla tu- tela dei oroori interessi». . '

( l 5 ) L'intento del Legislatore, espresso nella relazione di accompagnamento, evidenzia che «di notevole importanza, poiché supera i gravi problemi interpretativi emersi in materia di distribuzione dell'onere della prova del presupposto soggettivo del fallimento, è la dispo- sizione volta a precisare che grava sul debitore l'onere di fornire la prova.dei requisiti di non fallibilità, intesi come fatti impeditivi della dichiarazione di fallimento. E quindi onere del- l'imprenditore fallendo dimostrare di non aver superato (nel periodo di riferimento) alcuno dei tre parametri dimensionali previsti dalla norma in esame. Si evita, così, di «premiare» con la non fallibilità quegli imprenditori che scelgo110 di non difendersi in sede di istruttoria pre- fallimentare o che non depositailo la documentazione contabile dalla quale sarebbe possibile rilevare i dati necessari per verificare la sussistenza dei parametri dimensionali».

ta ( l6 ) . La nuova disposizione infatti specifica che dovranno essere gli im- prenditori a dimostrare che la loro azienda rientra nelle dimensioni mini- me indicate nell'art. 1 legge fallim. che escludono la pronuncia di una di- chiarazione di fallimento.

Se ne deduce l'esistenza dell'onere della prova in capo all'imprenditore, nel senso che se non sarà raggiunta la prova nel giudizio, dovrà (nel concor- so delle altre circostanze richieste per procedere alla pronuncia) essere di- chiarato il fallimento, una soluzione normativa, quella prescelta, che adotta la opzione ermeneutica da taluni proposta (ed a mio awiso preferibile) già nel vigore delle invero più confuse determinazioni legislative introdotte con la riforma del 2006.

Un profilo di prova che può, in prima battuta, ben essere assolto dalla produzione di scritture regolari di bilancio, contabili ecc. ( l7) da cui si de- suma quanto dall'imprenditore asserito; in assenza delle quali, la dimo- strazione sarà certo assai difficile per l'imprenditore, se le scritture che devono essere obbligatoriamente predisposte nel comune esercizio del- l'attività imprenditoriale non fossero correttamente tenute; in tali ipotesi,

( l 6 ) La lettura dell'art. 1 legge fallim. nel testo esitato dal Legislatore del 2006 (nonché dell'art. 15 1.fall. ultimo comma) induceva a ritenere che la dimostrazione dei presupposti di fallibilità, specie le tre condizioni oggettive (ricavi, dimensioni società, esistenza di debiti sca- duti di ammontare non inferiore a Euro 25.000), era ceno assai gravosa per il semplice cre- ditore, essendo invece più logico ritenere che la prova dovesse gravare sul debitore, che aveva maggiori possibilità di dimostrare di non essere nelle condizioni previste per il fallimento. Lo stesso valeva per la dimostrazione dell'esistenza di debiti per Euro 25.000; era forse più facile che fosse il debitore a provare l'inesistenza di questi crediti.

( l 7 ) Un problema potrebbe in verità porsi per le imprese individuali e per le società di persone, non tenute ex lege alla redazione ed al deposito dei bilanci. L'art. 2214 cod. civ. pre- scrive comunque che tutte le imprese commerciali siano obbligatoriamente tenute alla reda- zione del libro giornale e del libro degli inventari; in tale ultimo documento deve essere an- nualmente trascritto il bilancio d'esercizio owero, ove l'impresa non ne sia tenuta alla reda- zione, comunque il conto annuale dei profitti e delle perdite. Le disposizioni tributarie (D.P.R n. 600/73, recante le «Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sul reddito» e D.P.R. 633/72 recante «Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiun- to»), inoltre, prevedono alcune particolarità che impongono all'imprenditore la tenuta di altre scritture obbligatorie, diverse se l'impresa si trovi in regime di contabilità ordinaria o sempli- ficata. Quello di contabilità ordinaria ì. il regime predeterminato per tutte le imprese com- merciali, applicandosi anche ai soggetti che a norma del codice civile non sono obbligati alla tenuta delle scritture contabili di cui all'art. 2214 cod. civ. Tuttavia le società di persone c le imprese individuali che non conseguano annualmente ricavi (o non prevedano di non coi-ise- guirli nel primo anno di attività) entro i limiti stabiliti dall'art. 18 del D.P.R. 600/73 (cioè € 309.874,14 per le imprese aventi per oggetto prestazioni di servizi, owero € 516.456,90 per le imprese aventi per oggetto altre attività), possono optare per il regime di contabilità sempli- ficata di cui allo stesso art. 18. In ogni caso, a prescindere dal regime di contabilità adottato, obbligo comune a tutte le imprese esercenti attività commerciale è la tenuta dei registri IVA di cui agli art. 23 e 34 del D.P.R. 633/72.

156 Il diritto fallimentare e delle società commerciali l'arte I - Dottrina 157

sarà ritengo assai arduo per l'imprenditore provare, convincere il giudi- ce ( l8) , 0 pretendere di provare delle risultanze diverse da quelle docu- mentali e contabili che lo stesso imprenditore ha nel corso del tempo pre- disposto.

E rimane ferma, naturalmente, l'eventualità che gli altri partecipanti al procedimento, ed anche il giudice nell'ambito dei propri poteri di indagine, ben potranno in ogni modo intervenire per contestare e provare la falsità degli assunti di controparte, dimostrando ad esempio l'esistenza di ricavi o debiti in nero, che fanno accrescere i requisiti dimensionali ... ecc.

L'esclusione dalla fallibilità delle imprese che non possiedano i requisiti minimi richiamati non sembra poi aver carattere esclusivamente «premia- le», ma risponde probabilmente anche alla opportunità di evitare l'apertura di procedure espropriative concorsuali di scarso impatto economico. E, tut- tavia, evidentemente il legislatore, che ha previsto all'uopo anche la possi- bilità di una chiusura immediata del fallimento dichiarato se la sua prosecu- zione si riveli immediatamente inutile (l9) per deflazionare i tribunali da procedure economicamente non giustificate, non ha ritenuto di spostare l'o- nere della prova come fatto costitutivo in capo al creditore; ne desumo che il tribunale, al momento della decisione sulla fallibilità, dovrà comunque utilizzare in pieno il cd. principio di acquisizione delle prove (20), se del caso dunque evitando la pronuncia di fallimento anche quando l'inesistenza dei requisiti minimi richiesti, se lamentata dall'imprenditore, sia desumibile dal- le produzioni dei creditori o comunque dalle risultanze acquisite pur d'uf- ficio e presenti nel fascicolo fallimentare (21); ed altresì, infine, che non sia compito «istituzionale» richiesto al tribunale di acquisire d'ufficio prove con lo specifico fine di valutare i requisiti dimensionali minimi di cui all'art. 1 legge fallim., mentre, quanto al requisito soggettivo, rimane fermo l'onere in capo al tribunale della verifica d'ufficio della natura commerciale dell'im- prenditore fallendo.

( l8 ) In questo senso, ad esempio, l'art. 124 legge fallim. prevede che la proposta di con- cordato fallimentare possa essere presentata anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo, «purché sia stata tenuta la contabilità ed i dai risultanti da essa e le altre notizie disponibili consentano al Curatore di predisporre un elenco prowisorio dei creditori del fal- lito da sottoporre all'approvazione del giudice delegato».

( l9 ) V. art. 118 n. 4 legge fdim. (20) Owero la regola generale in forza del quale, una volta che la prova sia entrata nel

processo, ossia acquisita, il giudice può prescindere dal fatto che ci sia entrata per iniziativa della parte onerata, owero dell'altra parte, oppure, ove possibile, d'ufficio, purché però i fatti oggetto della prova siano stati allegati dalla parte che fruisce della prova, così MANDRIOLI, Diritto processuale avile, vol. 11, X I X ed., Torino 2007, 193. Cfr. anche Cassazione, 4 aprile 2000, n. 4116, in Giust. civ. Mass. 2000, 717.

(*l) Così, ad esempio, Tribunale Varese 15 dicembre 2006, in Fallimento 2007, 553.

4. Segue: Il requisito minimo debitorio. - Non altrettanto risolutivo, quanto alla distribuzione dell'onere della prova, si palesa tuttavia il decreto correttivo n. 169/2007 avuto riguardo all'ulteriore condizione per la dichia- razione di fallimento introdotta con la riforma del 2006, e che dispone che «non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l'ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti dell'istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a Euro 30.000»; la nuova disposizione infatti ri- porta pedissequamente il contenuto della precedente, elevando soltanto da Euro 25.000 a Euro 30.000 l'ammontare dei debiti scaduti per procedere alla dichiarazione di fallimento.

Fermo restando la possibilità del giudice di disporre prove d'ufficio, non è chiaro se l'incertezza sull'esistenza dell'ammontare minimo scaduto condurrà a non dichiarare il fallimento; se residui dunque un onere del cre- ditore o del P.M. di provare l'esistenza di questo requisito, o se anche per questa ipotesi l'onere della prova sia invertito e posto a carico del debitore.

E vero che, secondo il criterio della cd. «vicinanza alla prova», sarebbe certo il debitore il soggetto che con più facilità potrebbe dimostrare l'esi- stenza o no di quanto richiesto; ed ancora, si potrebbe trarre spunto dalle determinazioni più chiaramente assunte dai legislatore proprio con il decre- to correttivo n. 169/2007, come indice della tensione dell'ordinamento, provata l'esistenza dell'insolvenza, di pronunciare il fallimento anche per l'interesse pubblico.sotteso d a esclusione dal mercato dell'impresa in dif- ficoltà irreversibile, salvo che sia eccezionalmente il debitore a dimostrare la mancanza delle dimensioni minime per la dichiarazione di fallimento.

La lettera della disposizione invero non sembra semanticamente depor- re univocamente per assegnare o no natura di fatto costitutivo o estintivo all'ammontare dei debiti scaduti, anche se le espressioni adoperate sembra- no più agevolmente riferibili ad una condizione la cui esistenza è ritenuta costitutiva, un presupposto. Dal comma in esame sembra infatti ricavarsi la necessità che il tribunale compia comunque questa valutazione, ricercan- do necessariamente la quantificazione dei debiti scaduti «risultanti dagli atti dell'istruttoria prefailimentare», un elemento che si qualificherebbe dunque come fattispecie costitutiva primaria della decisione.

Del resto, già nel vigore della precedente disposizione, a mio giudizio, proprio e solo questo presupposto ha rappresentato la finalità di evitare fal- limenti di ridotte dimensioni (22), una determinazione pertanto che potreb- be legittimare vieppiù alla applicazione rigorosa della ricerca della prova dell'esistenza del requisito.

(22) Così relazione governativa al d.lgs. 5 gennaio 2006, n. 5 , esitata il 22 dicembre 2005; inoltre cfr., se vuoi, SANTANGELI, OP. ult. cit., 10, nonché ID., Art. 15, in Il nuovo fallimento, cit., 76.

158 Il diritto fallimentare e delle società commerciali Parte I - Dottrina

Ma, d'altro canto, il problema va comunque ridimensionato; oltre natu- ralmente alla possibilità di acquisire anche sul punto prove d'ufficio, il pre- sunto ritenuto onere in capo al richiedente, va rammentato, è di per se mi- tigato dall'onere del debitore di depositare «i bilanci relativi agli ultimi tre esercizi, nonché una situazione patrimoniale, economica e finanziaria ag- giornata»; ciò conduce all'esistenza necessaria di una documentazione che anche il creditore potrà utilizzare, e alla possibilità in particolare, in ipotesi di rifiuto di depositare, o nella produzione di una documentazione incom- pleta o peggio falsa, che il giudice valuti, come in difetto di un ordine di esibizione ex 210 cod. proc. civ. per i documenti (*j), O in particolare, in relazione all'art. 116 C.P.C., il comportamento del debitore, ciò che può con- correre a far ritenere provata la presenza del requisito anche in situazioni di tal fatta (*'l.

5. 11 requisito della esistenza e cessazione dell'impresa. - Una modifica all'art. 10 legge fallim., nell'ipotesi di impresa individuale o di cancellazione d'ufficio dal registro delle imprese per gli imprenditori collettivi, riserva ora espressamente solo ai creditori ed al pubblico ministero la possibilità di fare valere il momento di effettiva cessazione dell'impresa, per il decorso dell'an- no dalla cancellazione dal registro delle imprese ai fini della decorrenza del- l'anno entro il quale il fallimento possa essere dichiarato.

La precedente formulazione della norma non individuava quali soggetti potessero fornire la dimostrazione della suddetta decorrenza.

Nella prima fase di applicazione deila riforma della legge fallimentare taluno aveva sostenuto, sulla base della lettera della dis osizione, che que- P sto comma potesse essere utilizzato anche dal debitore ( *), che avrebbe po- tuto dimostrare che l'impresa era cessata prima della cancellazione dal regi- stro delle imprese (26) , beneficio, come si evince dalla relazione di accompa- gnamento, che con il decreto correttivo si è voluto espressamente eliminare,

(23) Con le possibili conscgucnze in ordine alla possibilità di trarre argomenti di prova dal comportamento del debitore.

(24) Nessuna modifica, infine, è stata introdotta dal decreto correttivo in ordine al requi- sito dell'insolvenza.

(25) Ma contra, LAMANNA, stib arf. 1 0 , in Il nuovo dirittofallinlentave, Commentario, cit., 275, il quale, plir evidenziando la legittimità dell'interpretazione più favorevole all'imprendi- tore, riteneva che I'cccezionaiità della previsione rappresentata dal comma 2 dell'art. 10 (che consisteva nella pura e semplice possibilità di poter provare la data effettiva della cessazione dell'impresa) aveva senso solo se rapportata non già all'interesse del debitore insolvente, ma a quello del creditore istante a dimostrare, a dispetto del dato formale della cancellazione, che I'irnoresa non è affatto cessata.

La prova che poteva offrire l'imprenditore che avesse cessato l'attività prima della cancellazione, era certo un elemento favorevole al fallendo, ma dannoso per i creditori, clie noi1 potevaiio così contare sulla pubblicità prcsso il registro delle imprese (ciò connotan-

non consentendosi così all'im~renditore che non avesse provveduto tempe- stivamente alla cancellazione la prova contraria alle risultanze del registro delle imprese.

6. Sulla trattazione e sull'attività istruttoria nella fase prefallimentare. - Non sono previste modifiche particolari nella fase della trattazione e dell'i- struzione; il decreto correttivo 169/2007, tuttavia, ha introdotto una modi- ficazione al sesto comma dell'art. 15 legge fallim. che precedentemente sta- tuiva che «il tribunale può delegare al giudice relatore l'audizione delle par- ti. In tal caso, I1 giudice delegato provvede, senza indugio e nel rispetto del contraddittorio, all'ammissione ed all'espletamento dei mezzi istruttori ri- chiesti dalle parti o disposti d'ufficio». Nella nuova disposizione, per come modificata dal decreto correttivo n. 169/2007, sono espunte le espressioni «senza indugio e nel rispetto del contraddittorio»; questa soppressione non va certo letta come la concessione al giudice delegato di operare perdendo tempo o senza rispettare il diritto di difesa delle parti, pur sempre con i ne- cessari contemperamenti dati dalla necessità di un accertamento tendenzial- mente rapido, e rappresenta presumibilmente solo la scelta di evitare espressioni pleonastiche poiché il comportamento del giudice delegato è istituzionalmente rivolto in questa fase alla celerità ed al rispetto dei diritti delle parti, e pertanto si è ritenuto superflua una tale espressa affermazione.

7. Sulla sentenza e sulle impugnazioni. - Il decreto correttivo 169/2007, poi, riserva modifiche di poco momento alle decisioni in materia fallimen- tare.

Nell'art. 9 bis comma 1, è ora previsto il generico riferimento al «prov- vedimento» che dichiara l'incompetenza, in luogo di quello alla «sentenza», ciò sembra ulteriore elemento che consente di definire con il decreto la for- ma del prowedimento reso dal tribunale fallimentare che dichiara la pro- pria incompetenza, e reclamabile ai sensi dell'art. 22 legge fallim., atteso il rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento (e l'utilizzo del decre- to in tali circostanze ex art. 22 legge fallim.), esclusa oggi la sentenza (*').

La soluzione, tuttavia, atteso il contenuto decisorio sulla competenza

do soprattutto un elemento di ingiustizia, a fronte dell'onere inadempiuto dell'imprenditore di procedere tempestivamente alla propria cancellazione).

(27) Anche prima della riforma era incerta la forma del provvedimento di rigetto per ra- gioni di competenza; ritenevano con sentenza JORIO, Il Fallimento, Milano 2000, 249, AN- DRIOLI, Fallimento (dir. priv.) in Enciclopedia detDirillo, vol. XVI, Milano 1967,332, PAJAR- DI, Manuale d i diritto fallimentare, Milano 1988, 91; propendeva per la forma del decreto TEDESCHI, Legge fallinzentare - Disposizioni generali della dichiarazione di fallimento, artt. 1-22, in Comnzentario Scialqja-Branca, Bologna 1974, 641.

Parte 1 - Dottrina 160 Il diritto fallimentare e delle società commerciali

che comunque assume il prowedimento (equiparandosi alla sentenza ai fini dell'impugnabilità), a mio awiso non incide sulle problematiche relative al- l'ainmissibilità del regolan~ento di competenza nei casi in oggetto (28).

L'art. 16 legge fallim., che non reca più un riferimento espresso alla ca- mera di consiglio, stabilisce che l'udienza di verifica dei crediti debba essere fissata non per forza entro 120 giorni, ma che possa anche tenersi entro 180 giorni nell'ipotesi di particolare complessità della procedura.

L'art. 17 legge fallim. prevede che la sentenza sia comunicata anche al P.M.

Invece, l'art. 18 legge fallim. (29) per come modificato dal decreto cor- rettivo, riserva o quantomeno sotto un profilo terminologico, una profonda differenza con la disposizione che era scaturita dalla riforma del 2006, per- ché il mezzo di impugnazione non è più qualificato come appello, sibbene come reclamo. E immediato chiedersi il senso di questa differenza, se la questione sia solo terminologica o manifesti qualcosa di più profondo. La volontà del legislatore, come si può dedurre dalla relazione di accompagna- mento (30), è di allentare l'essenza attuale del giudizio di appello in sede or- dinaria, inteso come giudizio di revisione, in favore di un giudizio a carat- tere integralmente devolutivo e privo di preclusioni probatorie «atteso il ca- rattere indisponibile della materia controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patrimonio e sullo status del fallito» (31). Se ne può ricavare, a mio awiso, la determinazione, soprattutto alla luce della disciplina del reclamo, che espressamente prevede la possibilità di esperire

(2R) SUI problema dell'aminissibilità del regolainento di competenza a istanza di parte in materia fallimentare, v. amplitis BONGIORNO, srib avtt. 9, 9 bis, 9 tev, in Il nttouo diritto fal- /inzentare, Cotnmcntavio, cit., 197 seg.

(2y) L'art. 22 legge fallim. fissa a trenta giorni il termine per reclamare anche il decreto che rigetta l'istanza di fallimento.

(30) La relazione governativa spiega che «la sostituzione dell'«appello» con il «reclamo» è coerente con il rito camerale, adottato non solo per la decisione di primo grado, ma anche per la fase di gravame: il reclamo è, infatti, il mezzo tipico di impugnazione dei prowedimenti pronunciati in camera di consiglio, quale che ne sia la forma. La modifica vale ad escludere l'applicabilità della disciplina dell'appello dettata dai codice di rito e ad assicurare l'effetto pienamente devolutivo dell'iinpugnazione, com'è necessario attesi il carattere indisponibile della rnateria controversa e gli effetti della sentenza di fallimento, che incide su tutto il patri- monio e sullo status del fallito».

("1 Molto critico sulla soluzione adottata dal Legislatore, FABIANI, Il decreto correttiuo della vifortmza fallitnentare, cit., 228, il quale rileva che «se si voleva consentire che nella fase iinpugnatoria si potesse ridiscutere senza vincoli anche quanto non dedotto davanti al Tribu- nale, sarebbe stato sufficiente applicare un regime all'appello simile a quello anteriforma del 1990 - aperto ai nova - (ma ciò avrebbe comportato un'ulteriore collisione con i principi del- la delega) senza provocare troppe distorsioni di sistema; il nonzen reclamo, può allora rivelarsi neutrale rispetto alle classificazioni iinpugnatorie e nulla di più che una, perniciosa, espres- sione decettiva».

nuove prove sia d'ufficio che ad istanza di parte senza alcuna decadenza o limitazione, di non applicare semmai come criterio di riferimento e princi- pio di chiusura, senza attenta e precipua verifica, le disposizioni ed i prin- cipi applicabili nei confronti del giudizio di appello come oggi regolato dal legislatore ordinario, ad esempio in tema di inammissibilità, improcedibili- tà, rimessione della controversia in primo grado (j2) ecc.

Il procedimento di reclamo per come delineato, infatti, appare come tendente invece ad un riesame pieno, rivolto alla formazione di un prowe- dimento finale che accerti l'esistenza o no dei presupposti al momento della pronuncia in secondo grado, senza limitazioni, che ad esempio include an- che la possibilità ex nouo di provare l'esistenza di requisiti minimi dimen- sionali e così di revocare il fallimento, e che presuppone una decisione fina- le sul merito, senza rimessioni in primo grado o annullamenti in rito come sanzione ad errori processuali, errori che tuttavia (se hanno prodotto una compressione del diritto di difesa del fallito, che non ha potuto spiegare pienamente le sue difese in primo grado) certo possono fondare vieppiù eventuali pronunce di risarcimento dei danni sofferti se la sentenza revoche- rà per ragioni di merito il fallimento (j3).

I1 decreto correttivo, poi, specifica il contenuto richiesto per il reclamo che introduce il secondo grado; tuttavia, rimane ferma l'assenza di preclu- sioni che caratterizza comunque questo grado di giudizio, e pertanto riten- go la possibilità di integrare le proprie difese anche in udienza, per tutti i partecipanti al giudizio (j4).

All'art 19 legge fallim., poi, posto che il reclamo non sospende automa- ticamente la procedura, il decreto correttivo, onde superare precedenti in- certezze interpretative occasionate dalla precedente disposizione, specifica

(32) In tal senso v,, se vuoi, SANTANGELI, Art. 18, in Il nuouofallimento, cit., 94, dove sostenevo (ed oggi sostengo ancora con maggiore convinzione) che quello disegnato dall'art. 18 1.fall. si delineava come un giudizio di appello in camera di consiglio, che dunque non deve vedere l'applicazione automatica della disciplina dettata dagli articoli 339 segg. cod. proc. civ. per il giudizio di appello nel processo ordinario, sicché, ad esempio, nel silenzio sul punto serbato dall'art. 18 l.fall., sembravano (e sembrano) doversi applicare con grande cautela le disposizioni di cui agli articoli 343 e 346 cod. proc. civ. sulla necessaria indicazione dei motivi specifici deli'appello, e sulla necessaria riproposizione di domande ed eccezioni.

(3') Eventuali illegittime compressioni del diritto di difesa in appello, peraltro, potranno avere conseguenze assai più nefaste sulla tenuta della sentenza, rispetto all'analoga situazione già analizzata nel giudizio di primo grado. Una seria violazione sostanziale del diritto di difesa in appello potrebbe invero comportare un vizio di procedimento denunziabile in Cassazione ai sensi dell'art. 360 n. 4 cod. proc. civ. tale da determinare la nullità della sentenza ed il con- seguente rinvio al giudice d'appello.

('9 L'intervento di qualunque interessato, secondo quanto sopra previsto dall'art. 18 legge fallim., non potrà aver luogo oltre il termine per la costituzione delle altre parti resisten- ti, e comunque secondo le modalità per queste previste.

162 Il diritto fallimentare e delle società commerctali Parte I - Dottrina 163

che il giudice competente per concedere la sospensione è la Corte d'Appel- lo, e non il già il tribunale (35).

I1 processo in secondo grado si chiude, non già con un decreto, ma con una sentenza che, si specifica sempre nel decreto correttivo,andrà notificata «a cura della cancelleria».

Sentenza d'appello peraltro emessa con le comuni forme rituali e non più con le modalità di cui all'art. 281 sextes cod. proc. civ. (così era invece disposto dalla riforma del 2006), ritenute non adatte al giudizio camerale dalla relazione di accompagnamento.

Anche l'ultimo comma della disposizione, infine, è stato soggetto ad una modifica dal decreto correttivo; il decreto del tribunale che liquida le spese ed il compenso del tribunale è oggi non più non soggetto a reclamo, ma all'opposto reclamabile ai sensi dell'art. 26 legge fallim., in conformità alla regola generale dei provvedimenti emessi dal tribunale in materia falli- mentare (36).

I1 decreto correttivo, poi, ha omesso di riportare il comma 2 dell'art. 19 legge fallim., cioè la disposizione legislativa che prevedeva, proposto ricorso per cassazione, che la richiesta di sospensione o di revoca della sospensione dovesse essere rivolta alla Corte d'Appello.

Quale il significato di questa modifica? Non riterrei comunque ormai preclusa la richiesta di sospensione, comunque ricavabile dall'art. 373 cod. proc. civ., disposizione che con eventuali adattamenti sembra applica- bile anche al ricorso per cassazione in oggetto; la mancata riproposizione del comma, allora, più verosimilmente si spiega con la scelta del legislatore del decreto correttivo di utilizzare l'art. 19 legge fallim. esclusivamente per occuparsi della sospensione a seguito del reclamo, senza disciplinare più di- rettamente la disciplina da adottare per il ricorso per cassazione (37).

(35) In tal senso, v. già FABIANI, szib art. 19, in Il nuovo diritto fallimentare, Conznzenta- rio, cit., il quale evidenziava come la norma fosse chiara nello stabilire che la misura conser- vativa della sospensione della liquidazione dell'attivo dovesse essere adottata dal collegio, in- teso come Corte d'Appello, e come un giudice estraneo a quello che sovrintende al proccdi- mento concorsuale.

('9 L'art. 26, com'è noto, stabilisce che «salvo che non sia diversamente disposto» con- tro i decreti del giudice delegato e del tribunale può essere proposto reclamo al tribunale o alla Corte d'Appello. L'eventuale rigetto da pane della Corte d'appello sarà poi ricorribile in Cassazione.

(37) Più complesso, invece, è ancor oggi stabilire se sia necessario utilizzare le disposi- zioni di cui alla norma in commento anche per ottenere la sospensione della liquidazione dell'attivo in ipotesi in cui la sentenza d'appello abbia revocato la sentenza di fallimento, e sia stato inoltrato un ricorso in cassazione, o se invece il problema non si ponga de plano, per l'immediata esecutività della sentenza di revoca della sentenza di fallimento (in altri ter- mini, se la sentenza di revoca pronunciata in Corte d'Appello è immediatamente esecutiva, o se pcr avcre effetto dovrà prima passare in giudicato, con la permanenza pertanto degli or-

8. Le controversie di competenza del tribunale fallimentare ex art. 24 leg- ge fallim. - Le controversie che promanano dal fallimento sono dal decreto correttivo 169/2007 di nuovo riservate alle forme ordinarie richieste dalla materia trattata, e non sono più soggette tout court al rito camerale (come previsto dalla legge di riforma fallimentare del 2006); secondo la relazione di accompagnamento, ciò si è reso necessario per rispettare i diritti dei terzi, evitando una lesione dei principi di cui agli art. 3 e 24 Cost., «altrimenti privati delle garanzie dei due gradi di cognizione piena», opinione condivisa in dottrina (38).

Se è reale l'unanime critica che tutti, giudici avvocati e studiosi avevano riservato alla scelta della cameralizzazione, il ritorno all'antico richiama a mio awiso un passato altrettanto criticato e criticabile, con dei tempi per la risoluzione delle controversie incompatibili con le esigenze di razionaliz- zazione e velocizzazione cui dovrebbe essere informato il nuovo diritto fal- limentare; da questo punto di vista, forse una scelta legislativa che pur aves- se ridotto i gradi del giudizio, come nelle opposizioni all'esecuzione nelle espropriazioni singolari, avrebbe trovato copertura costituzionale alla luce delle particolari esigenze che informano la procedura fallimentare e la natu-

gani e dell'attività della curatela compresa la liquidazione dell'attivo, che potrebbe esscrc so- spesa solo ai sensi dell'articolo in commento). La sentenza della Corte d'Appello di revoca della precedente dichiarazione di fallimento revoca una sentenza costitutiva, la sentenza di fallimento, espressamente dichiarata immediatamente produttrice di effetti dall'art. 16 legge fallim. Il problema dell'efficacia della revoca nella legge fallimentare si era posto in dottrina e i11 giurisprudenza già prima della riforma, ed era stato da quasi tutti ritenuta avente effetto solo dal giorno del passaggio in giudicato, anche in ragione della specialità della materia e della nrocedura. E tuttavia. certo va rammentata la riforma dell'art. 282 cod. proc. civ., e la tensione attuale in dottrina e (meno) in giurisprudenza, propensa ad anticipare gli effetti delle sentenze costitutive. elementi che ootrebbero suggerire soluzioni innovative. A tal pro- -- posito, per una disamina delle varie posizioni v,, se vuoi, SANTANGELI, L'itnmediata eseczr- /orietà della sentenza d i reuocatoria fallimentare dei pagamenti effettrrati dal fallito alla lzrce di zrn recente revirement della Corte di Cassazione, in Fallimento on line, reperibile all'indi- rizzo http://dottrinaediritto.tpsoa.it, nonché Cassazione, 3 settembre 2007, n. 185 12, in G l i -

da al dirit~o 39/2007, 42. (") Come ricorda FABIANI, Il decreto correttivo della ri/onna fallitnentare, cit., 229, la

disposizione abrogata assicurava alle cause che derivano dal fallimento un rito camerale puro, del tutto inadatto a governare liti su diritti soggettivi; v. anche SALETTI, La tutela giurisdizio- nale nella legge fallimentare nouellata, in Riv. dir, proc. 2006, 981. Osservava PAGNI, Il con- trollo sugli atti degli organi della procedura fallitnentare (e le nuove regole della tutela gitrrisdi- zionale), in Fallitnento 2007, 143, l'apparente aporia che sorge dall'espresso richiamo all'art. 742 cod. proc. civ., owero alla disposizione che esclude la stabilità del decreto con il quale viene concluso il procedimento camerale, tale da far ritenere che la mancanza di stabilità del decreto produrrebbe conseguenze così assurde da suggerire di ignorare in szrbiecta tnatcria il riferimento, seppur esplicito, alla norma in questione, one evitare conseguenti e maggiori dif- ficoltà ricostruttive cui l'applicazione della disposizione condurrebbe.

164 Il diritto fallimentare e delle società commerciali

ra comunque particolare dei processi e dei diritti soggetti alla vis actractiva del tribunale fallimentare.

In concreto, dunque, i processi davanti al tribunale fallimentare, dun- que ad esempio i giudizi su revocatorie fallimentari, saranno trattati con le regole ordinarie, dettate per le relative materie oggetto del giudizio.

9. Sull'accertamento del passivo. La fase avanti al giudice delegato. - I1 decreto correttivo 169/2007, modifica parzialmente anche la fase dell'accer- tamento del passivo e dei diritti mobiliari dei terzi; all'art. 93 legge fallim. si elimina l'obbligo per il creditore concorrente di indicare, oltre all'eventuale titolo di prelazione, anche la graduazione del credito ( 3 9 ) . Una novità che rende più agevole il compito del creditore; una scelta certo comprensibile, in specie attesa la facoltatività, in questa fase della procedura, della presenza di un legale a fianco del creditore.

Inoltre, un'ulteriore innovazione ha escluso l'obbligo di deposito, a pe- na di decadenza almeno 15 giorni prima dell'udienza di verificazione, della documentazione eventualmente non già presentata insieme alla domanda di ammissione al passivo; si è consentito così al creditore di depositare, fino al giorno dell'udienza di verificazione dello stato passivo i documenti integra- tivi, le osservazioni che si fossero rese necessarie anche a seguito delle con- clusioni e delle eccezioni sollevate dal curatore nel progetto di stato passivo, depositato 15 giorni prima dell'udienza di verifica; così si consente al cre- ditore di integrare la domanda senza costringerlo a proporre impugnazione awerso il decreto di esecutività dello Stato passivo per ottenere una missio- ne che avrebbe potuto essere concessa già in questa fase.

In pratica, i creditori potranno integrare la domanda anche in udienza, non più con il limite del deposito di documenti a corredo 15 giorni prima dell'udienza (40), e di cinque giorni per le osservazioni scritte.

La nuova soluzione adottata, tuttavia, sotto un profilo pratico mi lascia perplesso; le modifiche apportate in pratica dovrebbero costringere il giu- dice delegato ad esaminare in udienza per la prima volta anche copiose do- cumentazioni, o articolate e complesse contestazioni, talora per più credito-

(j') La relazione di accompagnamento alla legge afferma che «in realtà, I'individuazione del grado del diritto di prelazione non si presta a valutazioni, discendendo direttamente dalla legge è di volta in volta indicato il tipo di prelazione in sede di verificazione dello stato pas- sivo, la paduazione va effettuato in sede di riparto». L'affermazione, in realtà, non è a mio awiso condivisihile, posto che i massimari di giurisprudenza sono pieni di contestazioni quanto alla individuazione del grado di prelazione.

("1 La precedente disposizione andava comunque rivisitata per via della potenziale con- comitanza del deposito di documenti con il progetto di stato passivo, ma si sarebbe potuto fare, a mio awiso più opportunamente, posticipando il termine per il deposito del progetto di stato passivo, o anticipando il termine ultimo per il deposito dei documenti.

Parte I - Dottrina 165

ri, e ciò rischia di rendere ancora più difficile il compito dell'ufficio falli- mentare, che potrebbe essere indotto ad adottare dei rinvii in luogo della decisione su tutte le istanze alla prima e così anche unica udienza. I1 rinvio, invece, conduce ad un appesantimento della procedura, ed ad uno sfilaccia- mento di questo momento comune al cui termine i creditori potrebbero de- cidere a maggioranza di sostituire i membri del comitato, o di proporre la sostituzione del curatore.

Ed allora ben si sarebbe potuto più semplicemente prowedere conce- dendo al creditore di depositare non solo osservazioni scritte ma anche do- cumentazione integrativa almeno cinque giorni prima dell'udienza di verifi- ca, così da consentire al creditore di aggiustare se possibile il tiro a seguito delle osservazioni del curatore depositate nel progetto di deposito dello sta- to passivo, ma anche permettendo al curatore ed al giudice delegato di con- durre l'udienza di verifica senza sorprese, avendo avuto modo di analizzare compiutamente tutta la documentazione e le osservazioni presentate, così da potere sciogliere ogni dubbio tendenzialmente già nella prima udienza.

L1 decreto del giudice delegato dovrà oggi essere per ogni ricorso succin- tamente motivato, soluzione che abbraccia anche i provvedimenti di acco- glimento, con soluzione formalmente corretta ma sostanzialmente inattua- bile, se non con l'utilizzo di formule puramente rituali, e per ciò stesso inu- tili. Mentre più conducente a mio awiso sarebbe stato, fermo restando l'o- nere della motivazione per ogni prowedimento di inammissibilità o di riget- to o di accoglimento non integrale, riservare la motivazione per i prowedi- menti di accoglimento pieno esclusivamente alle fattispecie in cui il giudice delegato si discosti dalle proposte espresse dal curatore nel progetto di stato passivo, o successivamente all'udienza.

In modo apparentemente coerente con la correlativa modifica adottata per il ricorso di insinuazione allo stato passivo, anche al giudice delegato nel provvedimento di ammissione di un credito al privilegio non sarà più richiesto di operare una espressa graduazione tra le cause di prelazione, compito pertanto adesso riservato in prima battuta al curatore nella fase del riparto (41).

Ultime parziali modifiche il decreto correttivo 169/2007 riserva alle in- sinuazioni tardive, scadenzate temporalmente con udienze quadrimestrali, eccetto che particolari ragioni d'urgenza richiedano una tempistica più ri- stretta, e quanto al decreto con il quale il tribunale dispone di non fare luo-

( 4 1 ) Permangono perplessità in ordine alla presunta automaticità della gradazione in se- de di riparto; in tal senso rileva FABIANI, op. ult. cit., 230, «poiché il piano di riparto ora è formato dal Curatore, era ragionevole che anche l'ordine della graduazione fosse rimesso al giudice delegato in modo da semplificare l'attività del Curatore. Così, viceversa, non è suc- cesso perché la graduazione del credito spetta ora al curatore».

166 Il diritto fallimentare e delle società commerciali

go all'accertamento del passivo per insufficienti previsioni di realizzo, che oggi deve essere preceduto da un parere espresso del comitato dei creditori (che prima avrebbero dovuto essere soltanto sentiti), che tuttavia non mi pare necessariamente im ediente se anche negativo, per le determinazioni l ) . . sul punto del tribunale ( 2). Infine, si prevede che la decisione di interrom- pere la fase di verifica successivamente alla verifica dello stato passivo possa essere resa in qualunque momento, e non più soltanto in occasione di suc- cessive udienze prefissate; in pratica, condivisibilmente al sopravvenire di un ricorso per insinuazione tardiva, si potrà evitare di fissare una ulteriore udienza laddove il curatore ritenga immediatamente di attivarsi per evitare l'accertamento di quel credito.

10. Segue: LA fase contenziosa. - Le modifiche introdotte dal decreto correttivo 169/2007 nella successiva ed eventuale fase contenziosa delle op- po~izioni, impugnazioni o revocazioni dei crediti ammessi al passivo appaio- no di difficile lettura, ed al tempo stesso di non perfetta coerenza; si elimina il dovere di notificare I'impugnazione al fallito, e il diritto del fallito, la cui costituzione in giudizio non era prevista (prevedendosi espressamente l'e- ventuale intervento esclusivamente di altri creditori), di essere sentito; e tut- tavia non è escluso a mio avviso che il fallito oggi possa intervenire in giu- dizio costituendosi nel tempo previsto per il curatore, potendo, io ritengo, la figura del fallito essere ricompresa nella categoria dei controinteressati.

Le nuove disposizioni del 2007, peraltro, specificano vieppiù la rigidità delle preclusioni imposte ai soggetti del processo, tanto i ricorrenti che i re- sistenti, imponendo, a pena di decadenza, l'indicazione delle eccezioni pro- cessuali e di merito (per i ricorrenti, al deposito del ricorso, per il resistenti al momento della costituzione, almeno dieci giorni prima dell'udienza); quanto ai mezzi di prova, poi, se permane la sanzione della decadenza per la man- cata richiesta o produzione nei termini prima esplicitati, va aggiunta la novità in tema introdotta dal decreto correttivo 169/2007, che ha deciso di abroga- re appunto il comma dell'articolo per il quale «il tribunale, se necessario, può assumere informazioni anche d'ufficio e può autorizzare la produzione di ulteriori documenti»; si delinea, dunque, un processo che mantiene sem- pre più coerentemente una natura privatistica e contenziosa, in cui il tribu- nale è tenuto ad un ruolo integralmente neutrale e terzo, e che certo non molto ha a che vedere con le comuni regole della camera di consiglio, che

("') Nella precedente formulazione dell'art. 104 ter legge fallirn. ad esempio si specifica- v,i infatti la necessità del parere favorevole del comitato dei creditori sul programma di liqui- dazione; così, ancora, I'attiiale formulazione dell'art. 125 legge fallim. richiede il parere favo- revole del comitato dei creditori in ordine alla proposta di concordato fallimeiitare.

Parte I - Dottrina 167

si rivela procedimento non comparabile cori quello disegnato per l'opposi- zione (impugnazione, o revocazione) allo stato passivo.

Ed è opportuno sottolineare, allora come con le modificazioni apporta- te nel decreto correttivo, in realtà dagli art. 98 e 99 legge fallim., secondo la nuova formulazione sia ormai espunto qualsivoglia espresso riferimento alla camera di consiglio (43), e ben potrebbe pertanto ritenersi e qualificarsi que- sta fase dell'accertamento, come assimilabile ad un processo contenzioso speciale che alla camera di consiglio non fa più alcun riferimento ("1.

La nuova disposizione di cui all'art. 99 legge fallim., poi, (a differenza della precedente disposizione ("5)) ha evitato di inserire espressamente il po- tere del giudice di assumere prove d'ufficio; la modifica ("6) potrebbe essere intesa come ulteriore indice della volontà di escludere un'impronta inquisi- toria in un procedimento contenzioso che ha ad oggetto diritti individuali di consegna o di credito di terzi. E se pure fosse ancora vero, ciò che tenderei a escludere ("1, che il processo in oggetto è ancora un procedimento in ca-

(") Il riferimento alla camera di consiglio era esplicito nella formulazione precedente dell'art. 99 legge fallim., ove il comma 3 stabiliva che il «il tribunale fissa l'udienza in camera di consiglio». Nonostante I'elisione operata nel testo della norma, la relazione al decreto cor- rettivo riferisce tuttavia di un intervento sostitutivo sull'art. 99 legge fallim. rivolto ad oino- logare «il procedimento per le impugnazioni contro il decreto di esecutività dello stato pas- sivo ad uno schema uniforme di rito carnerale fallimentare».

('7 Contra BOZZA, Il procedimento di accertavzento del passivo, in Fallimento 2007, 1065, che al contrario scrive della creazione di uno schema uniforme di rito carnerale falli- mentare.

("5) I1 comma 8 dell'art. 99 legge falliin. prevedeva che «il tribunale, se necessario, può assumere informazioni anche d'ufficio e può autorizzare la produzione di ulteriori docuinen- ti». La relazione al decreto correttivo afferma tuttavia che il nono comma dell'art. 99 legge fallim., disciplinando l'assunzione della prova, la affida «al potere officioso del collegio o, in caso di delega alla trattazione del procedimento, al .giudice delegato»; osserva tuttavia CO- STANTINO, L'accertanzento delpassivo nelfallinzento, relazione, in Atti XXVI Convegno nazio- nale dell'Associazione Nazionale Italiana fra gli Stzidiosi del Processo Civile, Napoli 26-27 otto- bre 2007, di prossima pubblicazione, che <<la-previsione dei poteri istruttori d'ufficio è rimasta nella enna del legislatore».

I r G . . . ( ) Si consideri, ancora, ad esempio, che nella modifica delle disposizioni sul reclamo ex art. 26 legge fallim., si sente la necessità di specificare espressamente che è consentito al giu- dice di ammettere prove anche d'ufficio (confermando la precedente statuizione, nella quale si rimarcava espressamente il potere di assumere iriforinazioni d'ufficio), nonostante la natura camerale del procedimento.

("7) V. anche COSTANTINO, OP. ult. cit., che qualifica il nuovo processo oppositivo e di impugnazione dello stato passivo come un procedimento a cognizione piena, quantunque tendente a rendere un provvedimento ad efficacia meramente endofallimentare, potendosi escludere che la cognizione sia sommaria, come nel modello generale dei procedimenti came- rali di cui al codice di rito. Diversa è la disciplina relativa all'introduzione della causa, ove sono regolate analiticamente le modalità di attuazione del contraddittorio (rimanendo nel modello codicistico affidate alla discrezionalità del collegio in base all'ampia formula «convo- cate le parti»); diversa è altresì la disciplina relativa al convincimento del giudice, non affidata

168 Il diritto fallimentare e delle società commercialz Parte I - Dottrina 169

mera di consiglio, cui dunque si applicano in via residuale le regole di cui agli art. 737-742 C.P. che prevedono la possibilità per il giudice di assumere d'ufficio informazioni (48), va tuttavia osservato che le nuove disposizioni sul procedimento di impugnazione della verifica si rivelano tendenzialmen- te esaustive, ed anzi manifestano la diretta incompatibilità delie norme sul procedimento camerale in generale sia quanto al reclamo che quanto alla revocabilità del decreto (essendo il decreto ricorribile solo e direttamente avanti alla corte di Cassazione), cosicché ben si deve intendere il nuovo giu- dizio come regolamentato esaustivamente senza possibilità di etero-integra- zioni con la disciplina generale del procedimento in camera di consiglio (49).

La trattazione del processo, poi, non è espressamente regolata dalle di- sposizione del decreto correttivo, e tuttavia il decimo comma dell'art. 99 legge fallim. ora prevede che «il collegio prowede in via definitiva sull'op- posizione, impugnazione o revocazione con decreto motivato entro 60 gior- ni dall'udienza o dalla scadenza del termine èventualmente assegnato per il deposito di memorie». Ciò conduce a ipotizzare, anche a ritenere il proce- dimento non più in camera di consiglio, e pertanto non più applicabili de residuo le disposizioni ivi previste, che si delineano espressamente delle re- gole, pur lacunose, evidentemente incompatibili con il processo civile ordi- nario. E dunque il processo in via generale, laddove non siano richiesti mez- zi istruttori, o questi possano già essere assunti in udienza, dovrà chiudersi immediatamente, con un contraddittorio delle parti da garantire per orale o con scritti già in quella sede, e con una possibilità di concedere un ulteriore termine per il deposito di memorie riservata alla valutazione del tribunale. Rimane, comunque, che eventuali scelte processuali difformi adottate dal tribunale, se comunque sia garantito il diritto di difesa, non darebbero co- munque luogo a nullità rilevabili con il ricorso per cassazione.

La richiamata modifica al decimo comma dell'art. 99 legge fallim. elimi- na poi le incertezze che le disposizioni del 2006 avevano in qualche misura prodotto sul tipo di prowedimento da rendere per una pronuncia che se-

nel modello fallimentare al generico riferimento al potere di «assumere informazioni». In altri termini, «l'art. 99 legge fallim., nelle sue diverse formulazioni, regola un procedimento spe- ciale a cognizione e contraddittori o pieni, l'applicazione del quale prescinde dalla disciplina generale di cui agli art. 737 seg.», che si conclude con un decreto, rimanendo tuttavia quello co~-iclusivo un provvedimento con efficacia meramente endoprocedimentale, essendo l'ogget- to della controversia esclusivamente il diritto al concorso.

(") E, potrebbe aggiungersi, che la relazione di accompagnamento fa riferimento al pro- cesso del lavoro, dove vige un criterio inquisitorio, e che il procedimento di impugnazione della verifica del passivo può essere a mio awiso proposto anche senza il ministero di un di- fensore, sicché potrebbe ritenersi ancor più condivisibile un intervento attivo del giudice nel- l'istruzione.

(4") Così anche COSTANTINO. ult. cit.

guisse alla contestazione sul credito (50 ) , e quanto alle conseguenze della non contestazione, che per il precedente dato letterale per taluni sembrava- no addirittura comportare una necessitata pronuncia di accoglimento del- l'impugnazione senza alcun potere di sindacato da parte del tribunale (51). Le nuove disposizioni generalizzano espressamente la pronuncia del decre- to motivato come misura conclusiva del prowedimento; e sono stati abro- gati potenziali riferimenti ad ogni sorta di ipotetica automaticità nella con- cessione del prowedimento in ipotesi di non contestazione da parte del cu- ratore o dei creditori intervenuti, il che impone di ritenere, come del resto già nella fase precedente il giudice delegato, l'onere anche in questa ipotesi del giudice di valutare la fondatezza della proposta ( 5 2 ) , quale che sia il com- portamento del curatore.

I1 comma in esame, infine, esclude del tutto ogni previsione espressa di pronuncia prowisoria, in qualche modo introdotta dalla riforma del 2006 (53); e, ne1 silenzio della nuova disposizione, ed alla luce dei tempi as-

( 5 0 ) I1 dubbio, come rilevava COSTANTINO, sub artt. 98-99, in NIGRO e SANDULLI (a cura di), LI rijornza della legge fallit7zentare, I, Torino 2006, 568, atteneva all'ipotesi in cui la deci- sione debba maturare sulla base di vera e propria istruzione probatoria, taiché si avrebbe una lacuna da colmare in va interpretativa, con quanto ne consegue in termini di alternativa tra le forme del decreto reclamabile ex art. 739 cod. proc. civ. e quelle della sentenza. MONTANARI, stlb art. 99, in Il nuovo diritto falhnentare, Coinmentario, cit., 1538 evidenziava tuttavia che il suddetto dubbio non si era mai, in realtà, tradotto in convincimento nella dottrina che lo aveva sollevato, pervenuta infine aila conclusione (peraltro confortata dalla reiazione di accompagna- mento) che la forma del decreto ricorribile esclusivamente in cassazione si attaglierebbe anche all'ipotesi della decisione sulla domanda contestata.

(51) Propendeva per una sorta di «riconoscimento tacito della domanda» quale conse- guenza della non contestazione, tale da vincolare il giudice all'accoglimento della medesima MONTANARI, OP. cit., 1539. Secondo COSTANTINO, L'accertanzento delpassivo nelfallinzento, cit., la lettera della legge, che individua quale oggetto della mancata contestazione «le doman- de», indice a ritenere che si tratti di riconoscimento «del diritto» del quale era richiesta I'am- missione. Prima della riforma di cui al d.lgs. 5/2006, invece, si riteneva nella prassi che solo una sentenza resa all'esito di un giudizio di opposizione potesse modificare lo stato passivo.

(") Quanto alla previsione di una ammissione «anche in via provvisoria» e a seguito di pronuncia non con decreto, COSTANTINO, ult. cit., riteneva che la prowisorietà e non defi- nitività del prowedimento potevano essere riferite all'ammissione (con riserva) del credito non contestato, non anche al giudizio sulla fondatezza dell'opposizione, impugnazione o re- vocazione proposta. Adesso tuttavia l'art. 99 legge fallim., per come modificato dal decreto correttivo, priva di ogni riferimento a pronunce in via anticipata e prowisoria all'interno di quel processo, assimilabili in buona sostanza ad un prowedimento di ammissione con ri- serva nella fase avanti al giudice delegato; misure pertanto che sembrano escluse nella fase della trattazione in questione.

(>') BOZZA, op. cit., 1066, evidenzia come, scomparso nel nuovo articolo 99 ogni rife- rimento agli effetti della mancata contestaziorie da parte del contraddittore, non è stato indi- cato alcun altro criterio di valutazione cui il tribunale debba attenersi per assumere una de- cisione in via prowisoria.

170 Il diritto falli~?zentare e delle società commerciali

sai ristretti che sono stati concessi al tribunale (sessanta giorni) per decidere in via definitiva (j4), si potrebbe essere indotti a ritenere che non siano am- missibili delle ammissioni in via provvisoria. Riterrei, tuttavia, applicabile l'istituto dell'art. 700 cod. proc. civ. per ottenere un prowedimento caute- lare (in presenza, va da se, del requisito del fumus ma anche del periculum, quale ad esempio l'approssimarsi di un riparto parziale) la cui necessaria esistenza sembra potersi ricavare anche dallo stesso disposto dell'art. 113 n. 2 legge fallim., che, in materia appunto di riparti, prevede il deposito del- le somme destinate «ai creditori opponenti a favore dei quali sono state di- sposte misure cautelarb.

(54ì Termini naturalincnte, il cui mancato rispetto non conduce ad alcuna conseguenza.