LE FOIBE l'uso pubblico della storia....A) DUE MITI e due tesi 'militanti' sulla realtà delle...

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"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] Io credo che si possono più facilmente sacrificare 500.000 sloveni e croati barbari a 50.000 italiani." Mussolini a Pola, settembre 1920. "La lotta contro i nemici del popolo fu condotta in modo disuguale essendo in alcune zone del tutto insufficiente mentre in altre zone era radicale. [...] Zminjsnta e Poresina erano meglio ripulite. Qui non furono nemmeno istituiti i campi di lavoro forzato e i nemici del popolo venivano in genere puniti esclusivamente con la pena capitale" Da un rapporto del Servizio Informativo Partigiano Croato, autunno 1943. "Molti triestini scomparivano. Uscivano per comprare il pane o le sigarette, e non tornavano più. Molti altri, anche più numerosi, venivano prelevati dai partigiani [slavi] a casa loro, mentre stavano a tavola o a letto, e di essi non si sapeva più nulla, come si fossero dissolti nell'aria." Carlo Sgorlon, La foiba grande. LE FOIBE e l'uso pubblico della storia. Testo ampliato della relazione tenuta il giorno 17 FEBBRAIO 2017 nell’auditorium del liceo scientifico statale Galileo Galilei, Borgomanero (No) da Mario Gamba.

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  • "Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone. [...] Io credo che si possono più facilmente sacrificare 500.000 sloveni e croati barbari a 50.000 italiani." Mussolini a Pola, settembre 1920.

    "La lotta contro i nemici del popolo fu condotta in modo disuguale essendo in alcune zone del tutto insufficiente mentre in altre zone era radicale. [...] Zminjsnta e Poresina erano meglio ripulite. Qui non furono nemmeno istituiti i campi di lavoro forzato e i nemici del popolo venivano in genere puniti esclusivamente con la pena capitale"Da un rapporto del Servizio Informativo Partigiano Croato, autunno 1943.

    "Molti triestini scomparivano. Uscivano per comprare il pane o le sigarette, e non tornavano più. Molti altri, anche più numerosi, venivano prelevati dai partigiani [slavi] a casa loro, mentre stavano a tavola o a letto, e di essi non si sapeva più nulla, come si fossero dissolti nell'aria."Carlo Sgorlon, La foiba grande.

    LE FOIBE e l'uso pubblico della storia.Testo ampliato della relazione tenuta il giorno 17 FEBBRAIO 2017 nell’auditorium del liceo scientifico statale Galileo Galilei, Borgomanero (No) da Mario Gamba.

  • Una introduzione alla Melchisedec.

    Iniziamo con una perfetta banalità: nel mondo che viviamo, nella più stringente attualità, convivono ancora molti miti, molte idees recues, molti preconcetti riguardanti la nostra storia patria: si tratta di 'miti' che finiscono per avere una notevole rilevanza nel dibattito politico e nella più smaccata propaganda partitica attuale; mitologie alimentate o costruite ad arte in modo da distorcere i fatti in sé (quei fatti che -con buona pace di Nietzsche e seguendo la lezione di Maurizio Ferraris- esistono per davvero e per davvero si fanno reclamare dagli studiosi ). Sono miti duri a morire, miti che fanno male alla nostra vita associata, ma anche falsità a cui è difficile e doloroso rinunciare, tanto profondamente sono radicati in molti di noi e nel nostro orgoglio nazionale o nel nostro senso di appartenenza partitica. Eppure, se la ricerca della verità vuole ancora avere un senso anche nell'epoca del 'pensiero debole', allora bisognerà assolutamente adottare l'atteggiamento di Melchisedec (il grande sacerdote e re di Salem di cui si parla nella Lettera agli Ebrei, nel Nuovo testamento).

    Come abbiamo già ricordato nella introduzione del presente libro, nel lontanissimo 1697 il signor Pierre Bayle, il fondatore della acribia storica, scriveva che il dovere dello storico è quello di raccogliere i fatti e tralasciare i pregiudizi personali; lo storico infatti

    deve dimenticare che appartiene a un certo paese, che fu educato a una data fede, che deve riconoscenza a questo o a quello, e che questi e quegli altri sono i suoi parenti o i suoi amici. Uno storico in quanto tale è come Melchisedec, senza padre, senza madre, senza genealogia. Se gli si domanda di dove viene deve rispondere: Non sono né francese, né tedesco, né inglese, né spagnolo; sono abitante del mondo; non sono al servizio dell'imperatore, né al servizio del re di Francia, ma solo al servizio della verità. E' la mia sola regina, e solo a essa ho prestato giuramento di obbedienza1.

    La storiografia più onesta, una storiografia all'insegna di Melchisedec, senza padre né madre, dovrebbe dunque cercare di individuare e smascherare l'uso pubblico/propagandistico della storia e l'attività mitopoietica sempre emergente in campo politico, costi quel che costi, anche a costo di scontentare il pubblico degli uditori: “compito della ricerca storiografica è ricostruirli [i fatti] senza pregiudizi”, dice Oliva2. Dovrebbe, in altri termini, essere sempre attenta a evitare quell'uso pubblico della storia di cui parlava accalorandosi il professor Jürgen Habermas nel 1986.

    Questo è il compito della storiografia, ma non sempre la storiografia riesce in questo compito. Anche perché (bisogna tristemente ammetterlo!) forse aveva ragione Bacone di Verulamio nel dire che tra gli idoli della tribù, cioè tra i pregiudizi universali, fondati sulla natura umana, v'è anche quello di credere vero ciò che si vuole che sia vero. Anche e soprattutto per questo, dunque, i miti riguardanti la nostra storia continuano a esistere e a distorcere il nostro sguardo sulla realtà. Confidando nella disposizione 'filosofica' di chi legge a credere vero anche ciò che si potrebbe non volere che sia vero, spenderemo alcune parole su due miti specularmente contrapposti che infiltrano ancora il modo di pensare attuale di molte persone, generando semplificazioni e consentendo strumentalizzazioni partitiche inaccettabili. Lo faremo anche a costo di scontentare e irritare, costi quel che costi.

    1 Pierre Bayle, Dizionario storico critico, citato in U. Perone, A. Perone, Ferretti, Ciancio, Storia del pensiero filosofico, S.E.I., Torino, 1976, p. 301).2 Gianni Oliva, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2015 (1° ed. 2002), p. 9.

  • A) DUE MITI e due tesi 'militanti' sulla realtà delle foibe.Questi due miti, entrambi, riguardano i tragici eventi accaduti nel periodo 1943-1945

    nella Venezia Giulia (Trieste, Fiume, Gorizia, Pola e l'Istria) e in Dalmazia, quegli eventi terribili che vanno sotto il nome di 'foibe' e che sono oggetto del Giorno del Ricordo istituito dal Parlamento italiano nel 2004 (celebrazione che -come è noto- cade il 10 febbraio, cioè nello stesso giorno in cui nel 1947 l'Italia firmò il Trattato di pace di Parigi, trattato con cui si assegnava alla Jugoslavia la gran parte della Venezia Giulia).

    Circa 10.000-12.000 italiani vennero uccisi dalle forze comuniste jugoslave titine . Circa 4.000-5.000 vennero 'infoibati': i loro corpi furono gettati negli inghiottitoi carsici (le foibe) profondi anche fino a 300 metri (la foiba più nota è quella di Basovizza, nei pressi di Trieste); gli altri morirono di fame e per violenze varie nei campi di concentramento jugoslavi in cui vennero deportati (tristemente famoso quello di Borovnica, vicino a Lubiana, in Slovenia). Queste le cifre riportate da Gianni Oliva in La resa dei conti3. Ma si tratta di un conteggio limitato solo ai caduti di nazionalità italiana, come vedremo. Il massacro avvenne, come è noto, in due momenti distinti, entrambi collocati nella parte finale della Seconda Guerra Mondiale: - il primo avviene subito dopo l'annuncio dell'armistizio firmato dal governo Badoglio con gli alleati anglo-americani (8 settembre 1943) e il collasso dell'esercito italiano: nelle campagne dell'Istria, mentre i soldati italiani sbandati si ritirano e cercano di tornare a casa, centinaia di persone vengono eliminate (e molte infoibate) dai partigiani jugoslavi con il contributo di parte della popolazione slava locale. La strage (forse un migliaio di persone) tuttavia ha breve durata, poiché ai primi di ottobre la Wehrmacht tedesca riconquista velocemente l'area e i partigiani sono costretti a una rapida ritirata;- il secondo, più devastante momento si verifica proprio sul finire della guerra, a maggio del 1945, quando le forze comuniste jugoslave arrivano per prime a Trieste e ne occupano la gran parte (sono i famosi "40 giorni di Trieste") anticipando di un giorno gli alleati anglo-americani (le truppe neozelandesi della 8° Armata). Il terrore e il massacro si diffondono a Trieste, A Pola (Istria), a Zara (in Dalmazia), in tutta la regione del Litorale Adriatico. E' questo il momento in cui si verifica la maggior parte delle esecuzioni sommarie e degli infoibamenti e delle deportazioni di italiani.

    Sono questi i fatti sufficientemente accertati (anche se 'grezzi', non ancora analizzati e men che meno 'spiegati') da cui partire per parlare delle foibe e dei miti sulle foibe. Ma innanzitutto, perché solo 'sufficientemente accertati', e non definitivamente individuati? Il fatto è che, come ha scritto Nevenka Troha, “raramente si hanno versioni dei fatti così contrastanti come nel caso degli eventi accaduti durante la liberazione e l'occupazione jugoslava della Venezia Giulia nel maggio 1945”4. Non si può non essere d'accordo -almeno in questo- con la studiosa slovena. La analisi delle molteplici fonti secondarie a cui ci siamo dedicati genera facilmente un senso di spaesamento e di smarrimento o addirittura di disgusto (io l'ho provato!) per la mancanza di onestà storiografica: sulle foibe si è davvero detto di tutto e di più. Si è discusso e si discute e si valuta in maniere diversissime un complesso di fatti: ad esempio, quante siano state effettivamente le vittime italiane (10.000 o 50.000 o 100.000?; chi venne davvero ucciso (solo i criminali fascisti e i loro collaboratori; anche molti anti-fascisti e persone del tutto innocenti; solo italiani, colpevoli solamente di essere italiani; anche slavi anti-comunisti); chi davvero uccise, chi davvero furono gli assassini (solo o soprattutto gruppi di popolani locali, contadini e operai slavi che agirono spontaneamente, senza alcun piano, perché esasperati dalla precedente repressione attuata dagli italiani fascisti; anche e soprattutto truppe dell'esercito jugoslavo e elementi della OZNA, la terribile polizia politica comunista di Tito, seguendo un piano predisposto e preciso)...

    3 Gianni Oliva, La resa dei conti, Mondadori, Milano, 1999, pp 177-8.4 Nevenka Troha,, La questione delle "foibe" negli archivi sloveni e italiani, in FOIBE. Una storia d'Italia,

    Einaudi, Torino, 2009, p. 248.

  • Qui, esattamente qui, a questo punto, si impone come esigenza morale l'ingresso in campo di Melchisedec e di un discorso che cerchi di essere senza padre né madre. Perché è' proprio sulle 'macerie' di una serie di ricostruzioni così parziali, contrapposte, difettose e troppo spesso di parte che si installano e vengono edificandosi e proliferando miti politicamente spendibili (e di fatto molte volte spesi e utilizzati) in sede elettorale, narrazioni fantasiose deprivate di ogni barlume di verità. Miti che partono dai numeri, quelli delle vittime. Ecco i due miti.

    A1) – IL MITO DEGLI 'ITALIANI BRAVA GENTE' E LA TESI DELLE FOIBE COME GENOCIDIO ETNICO.

    Nel 2004, poco più di un mese e mezzo prima che il Parlamento Italiano istituisse il Giorno del Ricordo, il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri (appartenente ad AN e membro del governo Berlusconi) così si esprimeva sulle foibe:

    Roma, 8 feb. - (Adnkronos) - ''Oggi si parla di più delle Foibe perché quelle pagine di storia sono state strappate. L'Italia non soltanto subì la perdita di Fiume e della Dalmazia, ma assistemmo anche al massacro di tante persone che furono gettate nelle foibe. Milioni di italiani furono gettati vivi solo per essere italiani''. E' quanto ha affermato il ministro delle Comunicazioni Maurizio Gasparri nel corso della trasmissione di Radio2 '3131'. Intervistato da Pierluigi Diaco, il ministro ha sottolineato come questa ''tragedia, che e' stata compiuta dai comunisti della Jugoslavia, con la complicità dei comunisti italiani, deve essere ricordata assieme a tutti gli altri orrori della storia''. Fonte: AdnKronos, 8 febbraio 2004.

    Credere che il riferimento ai milioni di italiani infoibati solo per essere italiani non sia altro che una semplice blague, uno scherzo (di gusto decisamente dubbio), una facezia o poco più di cui un politico si sia fatto inconsapevolmente carico in un momento di allegrezza festaiola sarebbe probabilmente un errore. Il fatto è che l'estrema esagerazione (si consideri che l'area interessata dalle foibe era abitata da circa 1.200.000 persone, e che la strage di milioni avrebbe spazzato via ogni forma di vita umana!!!), la massimizzazione della conta dei morti sino al punto di giungere a definire -come è stato fatto da parte delle destre politiche- le foibe come un "genocidio etnico" perpetrato dalla barbarie slava e comunista, ebbene, tutto ciò ha avuto (e ha) una immediata ricaduta in sede di competizione elettorale (locale e nazionale). Il messaggio nemmeno troppo nascosto è che cose atroci come le foibe le fanno o le possono fare solo i comunisti e i cripto-comunisti, gli appartenenti alla sinistra politica e gli innamorati del forestierume, degli stranieri e degli immigrati. Come dice Roberto Spazzali,

    la tesi del 'genocidio nazionale' è rimasta patrimonio stabile della cultura nazionalista giuliana, perché si inserisce perfettamente nei suoi tipici schemi di lettura dei rapporti fra italiani e slavi, imperniati sulla contrapposizione fra la civiltà latina, veneta e italiana da un lato, e la barbarie slava, volta a sradicare con ogni mezzo la presenza italiana dall'Adriatico orientale dall'altro. Così [...] l'immagine del 'genocidio nazionale' è stata continuamente riproposta, senza sostanziali cambiamenti, lungo tutto il corso dei successivi decenni dagli ambienti di estrema destra5.

    L'interpretazione destrorsa delle foibe è stata per più di 50 anni sottolineata con forza, ad esempio, da Paolo De Franceschi (alias Luigi Papo), già membro della Guardia Nazionale Repubblicana (cioè della Repubblica di Salò):

    Molti credono forse in buona fede che gli slavi ebbero il diritto di uccidere gli italiani perché da questi oppressi o perché l'esercito nostro aveva fatto altrettanto nelle terre slave. No: fu solo la necessità di dare sfogo a degli istinti bestiali, la volontà di cancellare tutto ciò che era italiano. [...] Morti calcolati a metri cubi. Questo è il comunismo.

    5 Raoul Pupo, Roberto Spazzali, FOIBE, Bruno Mondadori, Milano, 2003, p. 111.

  • E poi, ancora nel 1997 e sempre Papo:

    Si trattò di un vero e proprio genocidio: le persone, gli italiani cioè, per il sol fatto di essere italiani, venivano prelevate a centinaia [...] portate in prossimità delle foibe o cave di bauxite e ivi fucilate finendo nelle foibe6 .

    La tesi (fallace) è semplice: furono ammazzati moltissimi italiani (50.000, 100.000 o addirittura milioni) colpevoli solo di essere italiani, uccisi per ragioni etniche (e non politiche, non perché fascisti, saloini, filo-nazisti) da slavi comunisti, feroci barbari dell'est; il mito sotteso a tale tesi, e da tale tesi alimentato, è altrettanto semplice: gli italiani sono "brava gente" innocente, persone che appartengono ad una etnia apportatrice di civiltà e gentilezza e cultura (in Slovenia come in Etiopia o in Libia, ovunque abbiano fondato le loro colonie) ma ingiustamente odiata. Vedremo più avanti in cosa consista la inconsistenza di questa tesi e di questo mito.

    A2) IL MITO DELLA 'VERITÀ A SINISTRA' E LA TESI NEGAZIONISTA.

    Il punto di vista diametralmente opposto e parimenti fallace è quello che gli studiosi definiscono 'tesi negazionista' o 'riduzionista'. Tale tesi sostiene che le foibe furono un atto di giustizia (sia pur violenta e impietosa e in certi casi eccessiva) nei confronti di criminali di guerra e fascisti colpevoli di atrocità disumane a danno degli slavi nei vent'anni e più di dominazione italiana (dalla fine della prima guerra mondiale al crollo del fascismo durante la seconda guerra mondiale) su terre a maggioranza slovena e croata. Le foibe sarebbero un prodotto inevitabile della precedente oppressione italiana, e il numero delle vittime (tutte o quasi fasciste) andrebbe ridotto a poche centinaia di individui. Si viene negando alle foibe il carattere di 'strage di massa'. Ci troviamo evidentemente dinanzi al goffo tentativo di minimizzare e addirittura giustificare la strage. E' la versione sostenuta già a fine 1945 dal governo titino comunista di Belgrado, e poi ripetuta più volte fin quasi a oggi (anche da studiosi e giornalisti di sinistra comunista, sloveni, croati e italiani).

    Così ad esempio si legge nella nota del governo jugoslavo risalente al 7 dicembre 1945:

    Nei 40 giorni della loro occupazione, i comandi militari jugoslavi e le autorità civili slave e italiane da essi riconosciute, condussero una politica che [...] deve tuttavia essere riconosciuta, obiettivamente, assai corretta e civile. Se dolorosi, deplorevoli eccessi vi furono [...] essi vanno attribuiti prevalentemente alla durezza di qualche quadro politico7.

    E poi c'è Paolo Parovel, che lo storico Pirjevec giudica sincero sostenitore di una Trieste multietnica e multiculturale8. Eppure anche Parovel, criticando alcuni dirigenti comunisti italiani come Gianni Cuperlo i quali nel 1989 si recarono alla foiba di Basovizza per deporvi dei fiori e riconoscere pubblicamente gli errori e gli orrori compiuti in nome dell'ideologia comunista, arrivò ad affermare che:

    Nell'aprile 1945 i dossier sull'operazione foibe furono trasmessi agli anglo-americani e poi usati in operazioni anticomuniste. [...] Anche allora purtroppo furono implicati alcuni innocenti [tra gli uccisi], si arrivò a vendette personali, che però i partigiani punivano severamente. Tra la popolazione di questi luoghi ci furono circa 500 morti, giustiziati o morti in carcere, su quasi un milione di persone, di cui più della metà sloveni o croati, a cui il nazifascismo aveva causato quarantacinquemila morti. [...] E' invece provato che la maggior parte dei reclusi e deportati [italiani] furono poi rilasciati e che tornarono a casa da soli9.

    E anche più radicale nei giudizi è stata la giornalista Claudia Cernigoi, che nel 2002 ha addirittura messo in discussione come “falso storico” il fatto che a Basovizza siano stati infoibati

    6 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., pp. 117-119.7 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 134.8 Joze Pirjevec, Foibe: quali verità?, in FOIBE. Una storia d'Italia, op. cit., p. 189.9 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., pp. 136-7.

  • degli italiani10. Lo stesso Pirjevec, a mio giudizio, dura molta fatica a riconoscere (cosa che comunque infine riesce a fare) che Tito e i comunisti applicarono nella Venezia Giulia la tattica del terrore "senza guardare tanto per il sottile"11, eliminando non solo fascisti ma anche 'borghesi' e potenziali nemici (potenziali, dunque non attuali!) e gente semplice che "non avrebbe meritato la morte"12. Molto spesso però, almeno nelle prime novanta pagine del suo lavoro, ribadisce in modo a volte irritante che le azioni più orrende furono compiute da psicopatici poi espulsi dal partito comunista jugoslavo, e che i capi militari titini cercarono di frenare le violenze senza purtroppo riuscirvi sempre; e forse senza accorgersene adopera quasi sempre il condizionale quando presenta orrori (stupri, castrazioni, torture varie) attribuiti a slavi e comunisti, quasi a voler li mettere in dubbio, ma quasi mai adopera lo stesso modo verbale allorché parla di nefandezze simili imputate a nazi-fascisti.

    Anche in questo caso la tesi (fallace) è semplice: furono ammazzati e infoibati pochi o addirittura pochissimi italiani, quasi tutti criminali fascisti oppressori e perversi, uccisi per ragioni politiche (e non etniche) e spesso solo per eccesso di reazione spontanea da parte di genti slave esasperate dalla durezza della ventennale dominazione fascista; e assieme a essi furono uccisi anche alcuni slavi colpevoli di essere collaboratori dei nazi-fascisti e ferocissimi anticomunisti. Anche il mito che vi si incarna è di semplice comprensione: è quel che oserei definire come il mito della verità a sinistra: di una verità e di una bontà e di una giustezza che sta sempre e solo a sinistra (come si usava dire negli anni settanta e ancora negli anni ottanta). Secondo questa costruzione narrativa, i comunisti titini (e quei comunisti italiani -non tutti!- che si lasciarono assorbire nelle formazioni titine) erano comunque nel giusto in quanto portatori di ideali autenticamente democratici. Come giustamente scrive Raoul Pupo,

    Ad accentuare gli aspetti spontanei [...] degli episodi del 1943 e del 1945, ha concorso però, con tutta verosimiglianza, anche uno scrupolo di natura diversa, probabilmente connesso all'ammirazione a lungo nutrita all'interno della sinistra per l'esperienza e per il modello resistenziale jugoslavo [...] considerato per molti versi esemplare13.

    Così facendo, però, questa versione mitizzante si lascia (volutamente?) sfuggire una serie di fatti non riducibili a semplice furore popolare; una serie di fatti che semmai rinviano a una vera e propria strategia di annichilimento di ogni forma di anti-comunismo (e non solo quello fascista). Vedremo più avanti di rendere più chiara la fragilità della suddetta tesi.

    B) DAI MITI AI FATTI. IL CONTESTO STORICO E LE FOIBE."...perché alla fine della guerra la Venezia Giulia è teatro di un fenomeno di violenza che non ha riscontro nelle altre regioni della penisola?" -si chiede Oliva. E subito aggiunge che per comprendere il fenomeno delle foibe (comprendere ma non certo giustificare, ovviamente) "occorre guardare al 'tempo lungo' dei primi 50 anni del Novecento, alle vicende di una terra passata dal dominio asburgico alla annessione all'Italia"14 e poi ancora alla italianizzazione forzata di quelle terre durante il Ventennio fascista e ai drammi della Seconda Guerra Mondiale.

    Accogliendo l'invito di Oliva, e cioè l'invito a inserire il dramma delle foibe del periodo 1943 e 1945 nel contesto storico del Novecento, proviamo a costruire una rapida scaletta cronologica dei principali eventi storico-politici dell'area giuliana e dalmata nella prima metà del secolo scorso.

    1918-1920. Conclusasi la Grande Guerra, crollato l'Impero asburgico e formatosi uno Stato 10 Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 127.11 Joze Pirjevec, op. cit., p. 96.12 ivi, p. 98.13 Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 142.14 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 29.

  • jugoslavo (il Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni) con la Conferenza della pace di Parigi (1919-1920), terminata anche l'avventura fiumana di D'Annunzio, il Regno d'Italia - grazie al Trattato di Rapallo firmato con gli jugoslavi (novembre1920)- annette Trieste, Gorizia e l'Istria con Pola (nel 1924 ottiene anche Fiume). Immediatamente quasi 400.000 sloveni e croati vengono inglobati con un tratto di penna nello Stato italiano.

    Luglio 1920: a Trieste il 'fascismo di confine' inizia le sue azioni squadriste contro slavi e organizzazioni operaie. È, secondo Oliva, una vera e propria anticipazione di quelle violenze che caratterizzeranno l'azione delle Camicie Nere nella Pianura Padana di lì a poco. E' il "battesimo dello squadrismo organizzato". Viene incendiata la Casa del Popolo (l'Hotel Balkan), la sede delle organizzazioni culturali ed economiche degli sloveni che risiedono in città. Muore un uomo, e la figlia resta gravemente ferita. Saccheggi e pestaggi antislavi e antioperai proseguono per alcuni giorni, mentre la polizia resta a guardare, chiusa in una complice assenza.La Federazione fascista di Trieste diventa ben presto (nel 1921) quella con il maggior numero di iscritti in Italia. Qui, a Trieste, la lotta contro il bolscevismo si salda con l'anti-slavismo: chi sciopera nei cantieri e nelle fabbriche è etichettato come 'comunista' e 'anti-nazionale', ma -ricorda Oliva- atteggiamenti di tal fatta facilitano “l'identificazione semplificatoria tra fascismo e italianità” nella psicologia dei gruppi oppressi, cosa che in futuro (ai tempi delle foibe) finirà per avere gravi conseguenze anche per quegli italiani che fascisti non sono stati.

    Settembre 1920. Mentre le tensioni etniche tra componente italiana e mondo sloveno e croato vanno aumentando, Mussolini tiene a Pola il suo famoso discorso:"Di fronte ad una razza inferiore e barbara come la slava non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone"15.

    1922- 1941. Conquistato il potere, il fascismo inasprisce la sua politica aggressiva nei confronti degli "allogeni" slavi che risiedono nella Venezia Giulia. La riforma Gentile del 1923 proibisce l'uso della lingua delle minoranze etniche nelle scuole del Regno; un decreto del 1925 estende il divieto in tutti gli uffici dell'amministrazione pubblica (sedi giudiziarie, poste, etc.) e poi nei locali pubblici. E nelle strade. Il nome delle vie e i cognomi delle persone vengono italianizzati; la lingua slovena e croata viene azzerata ovunque. Vengono licenziati i docenti non italiani, vengono proibite le funzioni religiose in lingua slovena e croati. È l'assimilazione forzata degli allogeni, la 'snaturalizzazione' della loro cultura. E la assimilazione culturale procede di pari passo con la repressione poliziesca: un convergere di arresti, confino e anche condanne a morte per nazionalisti e comunisti slavi che osino opporsi. E infine c'è la politica di espulsione dei contadini slavi dalle loro terre: vengono sciolte le cooperative agricole slovene, e i contadini sono costretti a rivolgersi a istituti finanziari italiani che prestano denaro a tassi non sostenibili. Così, ricorda Oliva, molte proprietà slave (terreni e bestiame) vengono messe all'asta e vendute a coloni italiani. E, anno dopo anno, si consolida negli slavi costretti a vivere nel Regno d'Italia, l'identificazione tra fascismo e italianità. I fascisti sono italiani e padroni; gli italiani sono i padroni e sono i fascisti. Una equazione che avrà esiti tragici nel momento in cui il potere della statualità fascista (nel 1943 e poi nel 1945) verrà meno.

    1941-1943. l'Italia fascista, alleata della Germania nazista nella Seconda Guerra Mondiale, dopo aver attaccato la Grecia nel 1940, invade assieme all'alleato tedesco il regno di Jugoslavia (il regno di Pietro II Karageorgevic). La Jugoslavia viene spartita tra le potenze dell'Asse. In Croazia si forma uno stato guidato dagli ustascia nazifascisti di Ante Pavelic; la Germania occupa la Serbia e la Slovenia Settentrionale; l'Italia ottiene la Slovenia meridionale e il litorale dalmata. Così altri 800.000 sloveni e croati passano sotto il controllo italiano. L'occupazione militare italiana sarà durissima (nient'affatto opera di "brava gente"!): in risposta alle azioni di resistenza organizzate dall'OF (il Fronte di Liberazione Sloveno, egemonizzato dal Partito comunista sloveno), che 15 Citato in Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 38.

  • combatte contro gli invasori nazifascisti, l'esercito italiano procede con fucilazioni, deportazioni, incendi di villaggi slavi, cioè con "tratti di violenza poco noti al grande pubblico"16. Pirjevec arriva addirittura ad affermare che nella sola provincia di Lubiana, durante i 29 mesi di occupazione militare italiana furono uccise 13.000 persone tra gli sloveni17. Un caso terribile ma certo non unico: la strage di Podhum, un villaggio abitato da croati, dove i partigiani slavi uccidono il maestro elementare e la moglie, entrambi italiani: qui l'esercito italiano fucilò per rappresaglia 91 ostaggi, e tutte le case vennero date alle fiamme.E poi i campi di deportazione e concentramento italiani (altra pagina volutamente dimenticata della storia degli "italiani brava gente"): il campo dell'isola croata di Rab (Arbe) su tutti: circa 10.000 civili sospettati di essere fiancheggiatori e sostenitori dei partigiani slavi comunisti vennero qui internati. Nel campo morirono tra le 1000 e le 1.500 persone (anche bambini e vecchi) per fame, maltrattamenti e malattie! E' rimasta tristemente famosa la frase del generale Gambara il quale nel dicembre 1942 arrivò ad affermare che "campo di concentramento non significa campo di ingrassamento"18.

    Detenuto nel campo di Arbe.

    Ricorda lo storico novarese Angelo Del Boca che nel periodo 1941-1943 “più di 50.000 sloveni o persero la vita o subirono gravissime offese da parte delle truppe di occupazione [italiane], nell'arco di appena due anni.”. E all'alto numero di persone uccise o deportate si accompagnano poi le terribili dichiarazioni di alti ufficiali italiani: quella del generale Robotti, secondo cui “Si ammazza troppo poco!” e quella del maggiore Agueci, per il quale “Gli sloveni dovrebbero essere ammazzati tutti come cani e senza alcuna pietà”19.

    Settembre-ottobre 1943: il groviglio di tensioni etniche, odio sociale e rancore politico, che ha condotto alla formulazione della equazione che identifica italianità, padronato e fascismo, esplode con l'annuncio dell'armistizio italiano dinanzi agli anglo-americani l'8 settembre 1943. L'esercito italiano, come è noto, sbanda e si scioglie: è il "tutti a casa!" di comenciniana memoria. E mentre i tedeschi scendono ad occupare tutta l'Italia che possono e, poco dopo, a sostenere e pilotare la Repubblica di Salò, i partigiani e la popolazione slava della Venezia Giulia (in particolare dell'Istria) insorgono: in questo momentaneo vuoto di potere, prima che le truppe della Wehrmacht giungano a imporre il loro ordine sulle campagne istriane, si verifica la prima ondata di infoibamenti.

    LE FOIBE DEL 1943.

    16 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 59.17 Joze Pirjevec, op. cit., p. 28. 18 Si veda Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 60.19 Si veda Angelo Del Boca, Italiani, brava gente?, Neri Pozza editore, Vicenza, 2005, p. 235.

  • Mentre forze partigiane provenienti dalla Croazia e dalla Slovenia penetrano in Istria, una parte non piccola dei contadini slavi danno vita a una vera e propria jacquerie, frutto di rabbia spontanea, vedendo nel collasso della presenza militare italiana l'occasione per vendicarsi dell'oppressione subita per venti e più anni: si bruciano gli archivi municipali;si assaltano i presunti (e talvolta veri) responsabili dei torti vissuti. Alcune centinaia di italiani vengono sicuramente uccisi forse un migliaio), e tra questi vi sono anche i primi infoibati. Nel frattempo, i partigiani occupano Pisino, nel cuore dell'Istria, e qui verso il 15 settembre giungono alcuni alti esponenti del Partito Comunista sloveno e di quello croato per dirigere le attività. A Pisino vengono portati molti degli arrestati, che subiscono processi-farsa e poi vengono giustiziati: sono squadristi fascisti, ma anche carabinieri, ufficiali postali, possidenti terrieri, impiegati: la violenza colpisce secondo le linee programmatiche implicite nella equazione più sopra ricordata. Muoiono anche medici e insegnanti e veterinari, e spesso dietro violenze, stupri e torture e castrazioni. Terribile e noto il caso di Norma Cossetto, ventiquattrenne la cui colpa pare essere solo quella di trovarsi figlia di un segretario del fascio: violentata, viene infoibata. Il corpo verrà recuperato due mesi dopo: a Norma -ricorda Oliva - "sono stati recisi i seni e le è stato conficcato un pezzo di legno nei genitali”20 (ma Pirjevec ribatte che il cadavere della ragazza fu "trovato intatto e ben conservato, sebbene nudo"21). Sorte analoga tocca alle tre sorelle Radecca (17, 19, 21 anni), stuprate e infoibate.

    'Infoibare' è anche una scelta simbolica: significa considerare la persona "alla stregua di un rifiuto, gettarlo là dove da sempre la gente istriana getta ciò che non serve più"22. 'Infoibare' è, se volessimo riprendere il lessico di Bauman, considerare l'altro come 'vita di scarto', ed è -secondo la grammatica filosofica di Agamben- vedere nell'altro una 'nuda vita' dalla 'sacertà uccidibile', ritenere l'altro come mero oggetto di una sacratio. Significa considerare l'altro come un niente-di-valore escluso dalla comunità umana.

    Ma la riduzione del 'nemico' italiano e/o fascista a homo sacer fu tutto e solo conseguenza di un eccesso di reazione violenta e spontanea ai soprusi subiti nei decenni precedenti? Tutto solo riconducibile al furore della jacquerie contadina? Non pare. Sia Oliva sia Pupo ammettono che il movimento spontaneo e caotico dei contadini si intrecciò con l'arrivo delle formazioni partigiane e delle loro autorità e con le esecuzioni politiche mirate, e nel turbinio delle violenze si insinuarono anche vendette personali e atti di criminalità comune. La violenza antifascista e anti-italiana e antipadronale "non era soltanto frutto di scoppi incontrollati"23. Ci fu anche un progetto politico "per quanto disorganico e affrettato"24 di distruzione del potere italiano e fascista.

    Poi, a metà ottobre 1943, le truppe naziste impongono il loro ordine sui territori che l'esercito italiano ha abbandonato, e gli infoibamenti per il momento cessano. Tutto viene rimandato al terribile consummatum est del maggio 1945, quando la guerra finisce e l'esercito tedesco si arrende: sarà quello il momento più tragico per molti abitanti della Venezia Giulia, che cadranno a migliaia sotto la violenza delle forze titine.

    1943-1945. IL BIENNIO DEI NAZIFASCISTI. I tedeschi unificano tutti i territori già italiani (da Udine a Trieste, a Fiume, a Lubiana) nel

    Litorale Adriatico sotto la guida di Friedrich Rainer, che riceve direttamente da Hitler i suoi ordini. Il Litorale è sotto la diretta amministrazione militare tedesca e sottratta al controllo della Repubblica Sociale Italiana, da essa separata. A fianco di Rainer (e spesso al di sopra) agisce il generale Odilo Globocnik, capo delle SS del Litorale. Globocnik, triestino di origine e stimatissimo da Himmler, porta con sé alcuni tra i più noti ed efficienti criminali nazisti, gente che ha operato nei campi di sterminio polacchi: Franz Stangl (soprannominato "la morte bianca", già comandante di Sobibor e Treblinka; e poi Christian Wirth (il " Cristiano selvaggio"), che ha avuto un ruolo importante nel

    20 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 79.21 Joze Pirjevec, op. cit., p. 54.22 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 86.23 Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 59.24 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 82.

  • progetto Eutanasia (1939-41). LA RISIERA DI SAN SABBA.

    Sono questi ultimi, Globocnik, Stangl e Wirth, gli uomini che a Trieste organizzano il terribile campo di sterminio (l'unico tra i lager di tutta l'Europa Occidentale occupata dai nazisti) nella famosa Risiera di San Sabba: qui è presente un forno crematorio per incenerire i cadaveri. Certo, come ricorda Ferruccio Fölkel, "San Sabba, per gli ebrei, fu più un campo di transito che un campo di sterminio [...] La maggioranza degli ebrei finisce dunque a Auschwitz"25. Per gli ebrei rastrellati in Italia dai nazisti e dai repubblichini di Salò, San Sabba era solo un luogo di transito, anche se sicuramente qualcuno venne ucciso alla Risiera. Ma alla Risiera morirono soprattutto oppositori politici italiani, croati e sloveni, partigiani antifascisti e antinazisti, eliminati mediante gassazione con automezzi appositamente attrezzati, o con un colpo di mazza alla nuca (mazza custodita sino al 1977 nel museo della risiera. È stata rubata l'anno successivo) o per fucilazione. Si calcola che alla Risiera siano state uccise circa 4.000 - 5.000 persone.

    I nazisti poi non sono soli nella loro azione repressiva contro gli oppositori anti-fascisti della Venezia Giulia. Molta parte della popolazione italiana è fortemente preoccupata, visto ciò che è successo nel settembre-ottobre 1943, e -dice giustamente Oliva- vede nella presenza tedesca il male minore rispetto ad un eventuale nuovo scatenamento della violenza slavo-comunista. La comunità triestina di etnia italiana cerca di sopravvivere in attesa dell'arrivo dei liberatori anglo-americani (una attesa sempre più intrisa del timore di ciò che potrebbe accadere con l'avanzata sovietica e il crollo dell'esercito tedesco). Ma vi sono anche molti italiani fascisti che collaborano attivamente con i nazisti. C'è l'Ispettorato Speciale fascista, al cui interno emerge per le sadiche efferatezze la 'banda Collotti'; c'è la Guardia Civica (sotto il controllo delle SS); ci sono volontari della RSI; ci sono membri della X Flottiglia Mas di Junio Borghese...

    1943-1945. IL BIENNIO DEGLI ANTI-FASCISTI.Mentre la Wehrmacht e le SS tentano con sempre maggior fatica di contenere l'avanzata

    degli alleati anglo-americani e sovietici su tutti i fronti del conflitto, e la guerra entra nella sua ultima e più sanguinosa fase finale, anche il Litorale Adriatico (che ha inglobato la Venezia Giulia) vede nascere e diffondersi le organizzazioni anti-fasciste. Si forma dopo l'8 settembre 1943 il CLN (Comitato di liberazione nazionale) di Trieste, e anche qui -come ovunque nell'Italia resistenziale- al comitato aderiscono partiti di diverso orientamento politico ma tutti cementati dalla volontà di resistere al nazifascismo. Ci sono elementi del Partito comunista italiano (Frausin, Pratolongo, Gigante e altri); ci sono esponenti del Partito d'Azione (Bruno Pincherle, già collaboratore di Piero Gobetti e amico dei fratelli Rosselli); c'è poi l'ala moderata e democristiana della Resistenza. E al CLN triestino fanno riferimento le varie brigate partigiane che iniziano a operare nel Litorale attaccando i nazifascisti: tra le più note la Brigata Garibaldi-Natisone (comunista) e le Brigate Osoppo (nelle quali confluiscono militari, cattolici, azionisti).

    Le diverse impostazioni tattiche e le finalità politiche divergenti generano fin da subito diffidenze tra le brigate, diffidenze che finiranno -come ricorda ancora Oliva- per dar vita ad accuse pesanti (i comunisti tacciati di avventurismo; gli osovani accusati di attendismo e sottomissione agli interessi 'capitalisti' degli angloamericani) e a pesanti scontri, nonostante il comune nemico. Il rapporto tra le varie forze interne al CLN Trieste e tra le diverse brigate partigiane, poi, è avvelenato da questioni sconosciute nelle altre regioni italiane: la questione delle relazioni con le formazioni jugoslave, comuniste e titine, che premono sul Litorale.

    Se le Osoppo, cattoliche e formate da militari del disciolto esercito italiano ma anche da azionisti, si presentano come difensori della italianità antifascista e temono le spinte annessioniste jugoslave, i comunisti italiani delle Garibaldi guardano con simpatia al maresciallo Tito, capo del Partito comunista jugoslavo e ormai principale leader politico degli Slavi del Sud. Ma, ricorda Oliva, Tito pensa che "la nuova Jugoslavia dovrà estendere la propria sovranità su tutte le aree

    25 Ferruccio Fölkel, La Risiera di San Sabba, BUR, Milano, 2000, p. 148.

  • dove ci sono significative comunità slovene e croate, comprese le città di Trieste e Gorizia"26. In altri termini, il comunismo titino sembra assumere chiaramente toni nazionalistici anche con l'intento di intercettare la massiccia e indiscutibile ostilità anti-italiana di sloveni e croati. E -come se non bastasse a rendere la situazione ancor più complicata- sulla strategia annessionista di Tito inizia a pesare anche l'ipotesi sui futuri schieramenti internazionali post-guerra: il Terzo Reich è vicino alla fine, ma iniziano a profilarsi tensioni che poi sfoceranno nella Guerra Fredda. Edvard Kardelj, dirigente dell'OF e uno dei massimi collaboratori di Tito, vede nella futura Jugoslavia proletaria e comunista, ampliata al massimo fino a comprendere la Venezia Giulia, il futuro baluardo contro il prossimo imperialismo statunitense e capitalista (quell'imperialismo U.S.A. che secondo Kardelj -portavoce di Tito- prenderà il posto del nazismo nel controllo dell'Europa).

    I comunisti italiani di Trieste però già agli inizi del '44 mostrano fastidio per la evidente tendenza annessionista di Tito, perché temono giustamente che questo atteggiamento intimorisca i partiti 'borghesi' (cattolici e azionisti) e spezzi l'unità antifascista del CLN triestino. Per i comunisti italiani la questione dei futuri confini tra Italia e Jugoslavia deve essere rinviata al dopo-guerra e dovrà essere decisa tramite voto dalle popolazioni locali. Da Mosca intervengono allora i leader massimi del comunismo internazionale: Togliatti e Dimitrov, collaboratori di Stalin, i quali (aprile 1944) criticano le spinte nazionaliste jugoslave come fattori che indeboliscono la lotta comune contro un nemico non ancora battuto (il nazifascismo). Ed ecco che iniziano a profilarsi i primissimi segni di contrasto tra il comunismo di Tito e il comunismo sovietico-stalinista, segni che per il momento vengono messi a tacere dagli jugoslavi.

    In questa situazione sempre più complessa accade comunque che alcuni comunisti italiani del battaglione istriano garibaldino Giovanni Zol vengano fucilati nel 1944 da comunisti sloveni di accesi sentimenti nazionalisti.

    Tra maggio e giugno del 1944, su sollecitazione di Mosca, comunisti italiani e jugoslavi giungono a un compromesso che rimanda alla fine della guerra la questione dei confini. E gli jugoslavi dell' OF inviano addirittura un loro rappresentante (Urban) a Milano presso il CLN Alta Italia con la proposta di un accordo (accettato) che ribadisce il compromesso suddetto.

    Tuttavia il CLN di Trieste, che vive sul confine fluido con il mondo slavo, è decisamente diffidente nei confronti di questa sequenza di accordi, intese e compromessi 'cartacei'. I democristiani e gli azionisti locali non si fidano dell'OF, di Tito, Kardelj e del loro lontano dominus Stalin. Del resto, Kardelj e Urban continuano a non lesinare le critiche nei confronti dell'attendismo 'borghese' del CLN triestino e degli stessi comunisti italiani della Venezia Giulia. E a mano a mano che con il passare dei mesi il potere del Terzo Reich vacilla e arretra sotto l'avanzata dell'Armata Rossa sovietica, il bisogno di collaborare con gli anti-fascisti italiani del CLN Trieste viene attenuandosi. Nell'autunno del 1944 Tito torna a rivendicare l'Istria, Fiume, Zara etc. Come ricorda Pirjevec, Tito il 12 settembre 1944, nel celebre discorso alla 1° brigata d'assalto dalmata, "rivendicava per la nuova Jugoslavia l'Istria, il Litorale sloveno e la Carinzia" affermando che "Quello che è altrui non lo vogliamo, quello che è nostro non lo cediamo"27. Il discorso titino del "non lo cediamo" (che include anche Trieste, Monfalcone e Gorizia) ora, sul finire del '44, "ha l'avallo di Mosca"28 e determina un cambiamento nelle posizioni del PCI: i comunisti italiani, a cui si chiede di iniziare a pensare in prospettiva internazionalista e anti-americana, debbono accettare di porre le brigate garibaldine sotto il comando degli jugoslavi del IX Corpus sloveno! È lo stesso Palmiro Togliatti, il capo del Partito Comunista Italiano, ad affermare a Bari, incontrandosi con Kardelj a metà di ottobre 1944, che l'occupazione da parte jugoslava della Venezia Giulia (una occupazione capace di precedere l'arrivo degli angloamericani)

    è un fatto positivo, di cui dobbiamo rallegrarci e che dobbiamo in tutti i modi favorire [...] in questa regione non vi sarà né una occupazione né una restaurazione dell'amministrazione reazionaria italiana29.

    26 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 115.27 Joze Pirjevec, op. cit., p. 71.28 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 127.29 Citato in Gianni Oliva, Foibe, op. cit., p. 129.

  • Parole pesantissime che spiegano perché il Partito Comunista Italiano, finita la guerra e dopo gli orrori delle foibe del 1945, abbia preferito sorvolare sul ricordo di quanto successo nella Venezia Giulia e sulle sue dirette responsabilità in merito. E' ben vero che le direttive di Togliatti non affermano che il territorio occupato dagli jugoslavi verrà poi necessariamente annesso alla Jugoslavia, ma è chiaro che esse suonano decisamente ambigue: fino a che punto l'occupazione militare di un territorio non dovrà essere pensata come premessa alla sua annessione? Di fatto, Togliatti si inchina alle decisioni di Tito (e di Stalin). E comincia a scorrere il primo sangue italiano antifascista per mano di antifascisti comunisti italiani! Il CLN triestino si spezza: i 'rossi', i comunisti giuliani escono dal CLN (che ora include solo democristiani e azionisti, verdi e azzurri). Le formazioni partigiane di riferimento (garibaldini comunisti da una parte; osovani cattolici e azionisti dall'altra) prendono a litigare tra di loro. La Brigata Garibaldi-Natisone (formata da comunisti italiani, 1.500 uomini) passa l'Isonzo e si trasferisce a est, ponendosi sotto il controllo degli ufficiali del IX Corpus sloveno. I garibaldini iniziano ad accusare gli uomini della I brigata Osoppo (comandata da Francesco De Gregori e Giovanni Padoan) di tradimento, di attendismo, di voler attendere la liberazione dagli anglo-americani; gli osovani tacciano i garibaldini di essere anti-nazionali asserviti al terrore stalinista. E si arriva ad una prima tragedia: la strage di Porzus. A febbraio 1945, alle malghe di Porzus (tra Gorizia e Cividale), 21 partigiani osovani (tra questi De Gregori, zio del noto cantautore, e anche il fratello di Pier Paolo Pasolini) e una donna accusata di essere una spia dei tedeschi vengono ammazzati da elementi comunisti. Mancano appena due mesi alla fine della guerra!

    Maggio-giugno 1945: LE FOIBE DEL 1945. E la guerra in Europa finisce. Crolla il Terzo Reich, il 25 aprile viene proclamata l'insurrezione generale, crolla la RSI, Hitler e Mussolini muoiono… Anglo-americani e titini iniziano la famosa 'corsa per Trieste': chi arriverà per primo a controllare la città e il suo entroterra?

    Sono gli ultimissimi giorni del conflitto. I britannici temono che nella Venezia Giulia si ripeta quanto è successo poco prima (dall'ottobre del '44) in Grecia, dove al crollo dei tedeschi è già succeduta la guerra civile tra monarchici e comunisti dell'Elas (conflitto che ha richiesto l'intervento degli inglesi in appoggio ai moderati filomonarchici). Churchill, noto per il suo deciso anti-comunismo, sa che l'accordo di Mosca (ottobre 1944) e la conferenza di Jalta (febbraio 1945) non hanno deciso nulla riguardo al destino della Venezia Giulia, e non si fida assolutamente dei movimenti partigiani dell'area. Harry Truman, il nuovo presidente degli U.S.A., è anch'egli intenzionato, come Churchill, a mostrare fermezza nei confronti dell'espansionismo sovietico. Inizia la corsa per Trieste. Ad arrivare per primi sono i soldati della IV Armata jugoslava: è il 1° maggio 1945. Rainer e Globocnik sono già fuggiti dalla città. Soltanto il giorno 2 arrivano i neozelandesi della VIII Armata britannica, a cui le truppe tedesche ancora presenti in città si arrendono. I neozelandesi si limitano a controllare il porto e una zona ristrettissima della città. Nel resto della città e nella Venezia Giulia e in Dalmazia l'esercito regolare jugoslavo, immediatamente raggiunto dalla temibile OZNA (la polizia politica alle dipendenza del ministero della Difesa di Tito), e le formazioni partigiane slave scatenano la repressione. Si seguono le direttive di Kardelj e del partito comunista sloveno: “E' necessario imprigionare tutti gli elementi nemici e consegnarli all'OZNA per processarli. Epurare subito”30.

    L'epurazione deve colpire ogni dissidente: non solo i fascisti (come è ovvio) ma chiunque (anche antifascisti sinceri, e addirittura comunisti contrari all'annessione) si opponga al disegno slavo-comunista di Tito. L'epurazione deve preparare l'annessione.

    E spesso si va ben oltre le direttive e i limiti che vengono dalla leadership jugoslava: molti vengono uccisi (e anche infoibati) subito dopo l'arresto, senza alcun processo (nemmeno sommario), e si verificano stupri e rapine e saccheggi e vendette personali che ripetono su scala più 30 Citato in Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 154.

  • vasta quanto già successo nel settembre del 1943. Molti altri vengono consegnati all'OZNA e deportati in campi di concentramento slavi. Muoiono fascisti ma anche antifascisti non comunisti, e comunisti anti-slavi, e slavi anti-comunisti. Vengono epurati i CLN di Gorizia, di Fiume e di Trieste, accusati di essere “nemici del popolo” e traditori. Diventano 'homines sacri', uccidibili senza alcuna ritualità, per dirla alla maniera di Agamben, anche comunisti italiani e ovviamente collaboratori slavi del dominio nazi-fascista: cetnici serbi, ustascia croati, domobranzi sloveni. La “squadra volante di Trieste” (un gruppo di criminali che si camuffano da giustizieri del popolo) si rende responsabile di almeno 18 infoibamenti (verranno poi arrestati dagli stessi jugoslavi). Ora i morti italiani arrivano a circa 10.000. Molti, passati per le armi, vengono buttati nelle foibe (a Basovizza, a Opicina etc.), alcuni ancora vivi. E' una strage di italiani. Ma bisogna affidarsi alle ragioni di Melchisedec e cercare di operare “senza padre né madre”: è anche una strage di slavi per mano di slavi. Anche migliaia di slavi vengono eliminati nella stessa operazione di epurazione.

    Cartina della dislocazione delle principali foibe del 1945.

    Resti di corpi recuperati dalle foibe.

  • Infine verso la metà di maggio Truman e Churchill decidono di contenere (secondo storici come Geoffrey Cox sarebbe questa una primissima anticipazione della politica del containment attuata da Truman agli inizi della Guerra Fredda) l'avanzata comunista di Tito e del suo mentore Stalin: la città di Trieste e il suo circondario devono passare sotto il controllo militare angloamericano. Stalin cede alle richieste degli angloamericani, desiderando poter rafforzare in contro-partita il suo dominio sull'Europa dell'est. Tito, abbandonato da Stalin per ragioni strategiche e nonostante le condivisioni ideologiche, resta isolato ed è costretto ad accettare il 'piano Morgan' proposto dagli inglesi: la Venezia Giulia viene divisa in due zone di occupazione: la zona A (Trieste, Gorizia, Pola) sotto gli alleati; la zona B (Fiume, la quasi totalità dell'Istria e le isole del Quarnaro) sotto il controllo jugoslavo comunista. Il 12 giugno le truppe jugoslave lasciano Trieste, e almeno nella zona A gli infoibamenti terminano.

  • Linea Morgan.I confini orientali italiani dal 1945 al 1954. La Linea Morgan, divise la regione nel giugno 1945 in Zona A e Zona B in attesa delle decisioni del Trattato di Parigi fra Italia e Alleati. Pola era un'exclave nell'Istria meridionale, e faceva parte della "Zona A" .Successivamente, dopo la firma del trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 con il termine Zona "A" e "B" si intesero due zone più ristrette rispetto quanto previsto dalla linea Morgan, due zone riguardanti il territorio di Trieste e località contermini, nota come 'questione istriana' che si risolse in modo definitivo solo con il trattato di Osimo.

    C) DIMENTICARE LE FOIBE! LA 'CORTINA' E IL 'VELO'.Finita la guerra; firmato il Trattato di Pace di Parigi (10 febbraio 1947) che assegna Gorizia

    e il resto del Friuli all'Italia ma lascia Trieste e il circondario all'amministrazione alleata fino al 1954; iniziata dal 1946-7 la Cold War, una “cortina di ferro” (secondo la celebre immagine elaborata da Churchill nel discorso di Fulton, Missouri, 1946) ormai divide l'Europa e il mondo in due grandi aree geopolitiche: “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell'Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente”, dice Churchill. Da una parte l'Europa dell'Est, sotto il pesante controllo sovietico; dall'altra l'Europa occidentale sotto l'interessato 'ombrello protettivo' statunitense. E mentre la cortina viene irrigidendosi sempre di più, un velo di silenzio storico cade sulla vicenda delle foibe.

    Tra il 1945 e il 1954 quasi trecentomila italiani (ma anche molti sloveni e croati che non intendevano vivere sotto la dittatura comunista di Tito) abbandonano l'Istria e tutta quella parte di Venezia Giulia sottomessa e poi annessa alla Jugoslavia. [E' da ricordare che solo con il trattato di Osimo, del 1975, vengono definitivamente fissate le frontiere tra Italia e Jugoslavia, con lievi rettifiche al memorandum di Londra del 1954 che assegnava Trieste e la zona A all'amministrazione italiana]. È un esodo massiccio, che porta profughi disperati in varie zone dell'Italia del nord, e che purtroppo si accompagna a comportamenti vergognosi subiti dagli esuli per mano di loro compatrioti italiani. Resta nota la vicenda del 'treno della vergogna': un convoglio di esuli che giunti a Bologna vengono insultati e vessati da un gruppo di operai che giudicano i giuliano-dalmati dei 'fascisti' in fuga dalla Jugoslavia comunista.Gli episodi di ostilità nei confronti degli esuli in fuga da Istria e Dalmazia vanno allineandosi con quel velo di silenzio cui si accennava più sopra. Per quanto la vicenda delle foibe sia rimasta vivissima e assai rilevante fino a oggi a livello locale e regionale, in Friuli, anche perché 'giocata' e spesa in termini elettorali da una parte politica (la destra nazionalista) contro l'altra (la sinistra comunista o post-comunista), esattamente così come l'orrore della Risiera di San Sabba è stato raccontato (dalle sinistre politiche) anche per ribaltare le accuse e scaricare la condanna di inumanità e immoralità sulle destre, ebbene… nonostante il rilievo locale e regionale delle foibe e il loro 'uso pubblico', un grande silenzio nazionale cade sulla vicenda. E le foibe vengono per molti decenni dimenticate dall'opinione pubblica italiana. Non se ne parla più (se non ripetiamo, a livello friulano).

    Il 'velo storico del silenzio' si spiega con relativa facilità se lo si inquadra nelle tensioni e negli schieramenti politici internazionali ai tempi della Guerra Fredda: quando nel 1948 il governo di Belgrado, guidato da Tito, rompe ogni rapporto con Mosca e il comunismo di Stalin, e gli jugoslavi vengono accusati di 'deviazionismo' e di essere sostenitori mascherati dell'imperialismo U.S.A. (si ricordi sempre che siamo ormai entrati nel pieno della tensione bipolare tra le due super-potenze -U.S.A. e U.R.S.S.- che hanno vinto la guerra e che per un breve momento avevano cooperato per battere il comune nemico nazifascista unendosi in una 'strana alleanza'), il mondo occidentale e capitalista inizia la sua strategia di avvicinamento a Belgrado e cessa da parte statunitense, inglese e anche italiana ogni interesse a rivangare l'orrore delle foibe perpetrato dai comunisti titini nel 1943-1945. Si accetta la versione ufficiale jugoslava secondo cui gli infoibati

  • erano criminali fascisti. La Democrazia Cristiana di De Gasperi lascia cadere la possibilità di adoperare come

    'strumento di battaglia politica' la questione delle foibe. E non si deve dimenticare che l'abbandono dell'argomento 'foibe' assolve anche ad un'altra questione: fare in modo che il governo jugoslavo cessi, in cambio del silenzio, di chiedere a quello italiano di consegnare centinaia di ufficiali ritenuti responsabili di crimini contro gli slavi durante l'occupazione militare della Slovenia.

    D'altro canto anche il P.C.I di Togliatti, pur essendo allineato con Mosca e Stalin nella condanna di Belgrado, non ritiene necessario tornare a parlare di una questione (le foibe) che ha visto i suoi leader muoversi su posizioni contraddittorie, ambigue e oggettivamente corresponsabili di quanto è successo, come ricorda Oliva31.

    Cala il velo del silenzio, un velo che non copre ma, anzi, fortifica la cortina di cui si diceva. L'imperativo diventa: dimenticare le foibe! Solo dopo il 1991 e la fine della Guerra Fredda (con il crollo dell'Urss), la vicenda delle foibe torna a essere discussa (e ancora una volta spesso distorta per ragioni elettoralistiche) su scala nazionale. Solo nel 1991 un presidente della Repubblica italiana (Francesco Cossiga) si recherà a Basovizza in visita ufficiale. E solo nel 2007, ricorda Guido Franzinetti, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, già membro del PCI, arriverà al “riconoscimento di responsabilità politiche da parte italiana nell'aver taciuto la vicenda stessa” per ragioni pregiudiziali e “cecità politica”32.

    D) DEMITIZZARE I MITI.Cosa resta di quei due miti narrativi da cui siamo partiti, alla luce di questa sequenza di fatti

    che abbiamo cercato con molta cautela e senso di probabilità di raccogliere da diverse fonti secondarie? Cosa potrebbe dire un eventuale Melchisedec redivivo a tal proposito?

    D1) Cominciamo con la tesi del 'genocidio etnico' e il mito degli 'italiani brava gente'. Questo punto di vista ermeneutico, secondo il quale furono ammazzati e infoibati solo un gran numero di italiani innocenti, sembra francamente esagerato e non più sostenibile. Non furono ammazzati né 20.000 né tanto meno 50.000 o più italiani, e soprattutto non furono ammazzati soltanto italiani in quanto italiani; furono eliminati e spesso infoibati italiani in quanto fascisti e talvolta anche italiani in quanto tali.

    La componente etnica, l'odio etnico degli slavi contro gli italiani in quanto tali ci fu, è innegabile, ma non fu un fattore primario. Che tutto ciò lo sostenga uno storico sloveno come Pirjevec33 può senza dubbio apparire sospetto, vista la chiara 'paternità' etnica dell'autore. Che però la stessa tesi sia sostenuta, dati alla mano, anche da studiosi italiani come De Castro, già consigliere politico del governo italiano presso il Governo Militare Alleato nel 1953, può rendere l'idea della strage politica (cioè determinata innanzitutto da fattori politici: la lotta contro l'anti-comunismo intrapresa da Tito, non tanto da fattori etnici) più credibile. Scriveva infatti De Castro nel 1985 che le foibe furono un fatto “prevalentemente politico mirante a eliminare i non comunisti […] La discriminazione etnica costituisce un elemento secondario”. E ancora:

    Noi italiani abbiamo sempre sostenuto che le uccisioni e le deportazioni servivano per cambiare la proporzione etnica ella Venezia Giulia. Certamente servivano anche a questo, ma lo scopo principale era quello di eliminare coloro che, per il loro passato, potevano essere ritenuti nemici del comunismo anche nel il futuro. [...] Molti italiani incontrarono la morte non per la lingua che parlavano ma in quanto non sarebbero stati fedeli al nuovo regime comunista34.

    31 Gianni Oliva, Foibe. op. cit., p. 171.32 Guido Franzinetti, Le riscoperte delle "foibe", in FOIBE. Una storia d'Italia, op. cit, p. 324.33 Joze Pirjevec, op. cit., p. 151 e p. 219.34 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., pp. 161-162.

  • Le foibe non furono dunque 'genocidio etnico', né per il numero degli uccisi né per le ragioni politiche (e non 'razziali') del massacro. Ma c'è molto di più! Nelle foibe furono scaraventati non solo italiani in quanto fascisti, né solo italiani in quanto italiani; furono ammazzati anche slavi (moltissimi!) in quanto anticomunisti e talvolta collaboratori dei nazi-fascisti! Lo stesso De Castro ricorda che dal 24 al 31 maggio furono ammazzati almeno 10.000 slavi (cetnici e domobranci) nella foresta di Kocevje dopo che gli inglesi li avevano consegnati a Tito. E significativamente nella foiba di Gargaro (Gorizia) sono stati rinvenuti “i resti di una sessantina di persone: dovrebbe trattarsi di un reparto intero di domobranci”35, cioè di sloveni anticomunisti collaboratori dei tedeschi. Anche la già citata Nevenka Troha ammette che “le esecuzioni furono un atto di violenza totalitaria che colpì gli stessi sloveni”36. Molti autorevoli studiosi sloveni e italiani concordano su questo punto.

    Cosa resta dunque della tesi del 'genocidio etnico' se in foiba – oltre a italiani in quanto italiani- finirono anche vari italiani (e slavi) in quanto fascisti e collaboratori dei fascisti; e italiani (e slavi) in quanto antifascisti ma anche anticomunisti; e infine italiani (e slavi) in quanto prede di criminali comuni? Nulla, concluderebbe Melchisedec.

    E allora che ne è del mito degli 'italiani brava gente'? Resta che il mito sia solo un mito de-mitizzato! Non tutti gli italiani che finirono in foiba erano persone innocenti, brave persone senz'altra colpa che la non-colpa di essere italiani! Indubbiamente alcuni erano persone del tutto innocenti e “non impegnate politicamente”37, ma non tutti! Molti degli ammazzati erano persone che avevano partecipato alla snazionalizzazione delle minoranze slave nel periodo 1920-1941, e alla repressione degli sloveni dal 1941 al 1943 (una repressione che ha portato all'infamia di Arbe e a stragi come quello di Podhum). Non bisognerebbe mai dimenticare questi eventi, eventi che non giustificano in alcun modo la vergogna delle foibe, ma che aiutano a comprendere in parte le ragioni dell'odio etnico che comunque non mancò nei tragici fatti del 1943-1945. L'onestà di Melchisedec lo esige! Come ha scritto Angelo Del Boca,

    gli italiani si sono rivelati capaci di indicibili crudeltà. In genere le stragi sono state compiute da 'uomini comuni', non particolarmente fanatici, non addestrati alle liquidazioni di massa. […] Il mito degli “italiani brava gente”, che ha coperto tante infamie [...] appare in realtà, all'esame dei fatti, un artificio fragile, ipocrita. Non ha alcun diritto di cittadinanza, alcun fondamento storico. […] la verità è che gli italiani, in talune circostanza, si sono comportati nella maniera più brutale, esattamente come altri popoli in analoghe situazioni. Perciò non hanno diritto ad alcuna clemenza, tanto meno all'autoassoluzione38.

    D2) Resta però in essere un'altra tesi mitizzante, quella 'negazionista' o riduzionista, di segno e caratura politica diametralmente e dialetticamente opposta alla precedente: questa tesi, ampiamente sostenuta da molti intellettuali e politici di varia sinistra, non nega certo l'esistenza delle foibe; nega o riduce al minimo la responsabilità dei comandi comunisti jugoslavi nella faccenda delle foibe. Ma anche questa tesi finisce per sviluppare una visione semplificatoria e giustificatrice dell'azione comunista titina pure essa insostenibile.

    La tesi in questione si articola a mio parere su almeno tre distinti e convergenti asserti: a) le foibe, dice la tesi, videro la morte solo o soprattutto di nazisti e italiani fascisti razzisti o nazionalisti, colpevoli di crimini; e dunque le foibe furono un atto di giustizia politica che colpì tristi figuri responsabili di atrocità ai danni di sinceri sostenitori di ideali democratici, atrocità quali quelle perpetrate nella Risiera di San Sabba; b) in ogni caso a morire furono essenzialmente poche centinaia di fascisti e nazisti. Gli innocenti coinvolti nella strage furono pochissimi, e ciò avvenne solo a causa di esagitati e sadici che agirono a titolo personale; C) e quasi sempre le esecuzioni avvennero a seguito della spontanea e comprensibile sollevazione di popolazioni che reagirono a vent'anni e più di soprusi. Nel complesso i comandi jugoslavi comunisti si comportarono in modo corretto e civile. Pertanto, solo i fascisti e i neofascisti attuali, i nostalgici di Salò, possono 35 In Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 241.36 Nevenka Troha, op. cit., p. 293.37 Osservazione di Troha, citata in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 188.38 Angelo Del Boca, op. cit., p. 10.

  • permettersi di mettere in dubbio simili verità!E' la tesi di Parovel, già citato, ma anche in fondo di Giovanni Miccoli, per il quale

    Le foibe […] sono la risposta, che può essere sbagliata, irrazionale, crudele, ma pur sempre risposta alla persecuzione e alla repressione violenta e sistematica cui per più di vent'anni lo Stato italiano […] aveva sottoposto le popolazioni slovene e croate di queste zone. È' assurdo parlare, riferendosi a esse, di genocidio o di programmazione sistematica di sterminio, ma sì di scoppio improvviso di odii e rancori collettivi a lungo repressi39. Infine, sottolinea Miccoli, voler accostare, equiparare e porre sullo stesso piano le foibe e gli orrori della Risiera (gli orrori nazifascisti), quasi a dire che in fondo i comunisti hanno fatto cose eguali o anche peggiori (con le foibe) a quelle dei nazisti (con la Risiera), proprio come le destre nazionaliste italiane cercano di fare per sminuire la portata dei crimini della loro parte politica, ebbene… questo è del tutto aberrante, indecente e moralmente inaccettabile. Perché “la Risiera è il frutto razionale e scientificamente impostato dell'ideologia nazista”40 mentre invece le foibe sono il frutto del furor spontaneo della popolazione locale, non di una pianificazione politica.

    Qual è allora il valore di verosimiglianza di questa tesi, alla luce di tutto ciò che abbiamo rilevato in precedenza? Molto scarso, sembra. Perchéa) nelle foibe, come abbiamo visto, non morirono solo o soprattutto fascisti e nazisti: “E' vero invece che una parte dei deportati scomparsi o infoibati era immune da colpe o comunque non meritevole della pena di morte […] non pochi risultavano estranei ai soprusi e violenze del fascismo”41, dice Galliano Fogar. Morirono forse in maggioranza i fascisti e i nazisti, ma molti altri assassinati non erano tali. Furono giustiziati anche elementi dei CLN solo perché anti-comunisti (tanto quanto antifascisti): osovani, azionisti, democristiani, militari monarchici, anche alcuni comunisti italiani non favorevoli alla politica annessionista di Tito. Lo abbiamo già detto;b) nelle foibe (e nei campi di concentramento jugoslavi) morirono alcune migliaia di persone, non solo poche centinaia! E morirono spesso per mano dell'OZNA o dell'esercito regolare jugoslavo o delle formazioni partigiane riconosciute dal governo di Tito;c) nelle foibe, dunque, morirono molte persone colpite non solo o non semplicemente dal furore spontaneo e immediato della popolazione slava. Le foibe non furono solo il frutto terribile di un eccesso di reazione spontanea. Ad ammazzare furono anche l'OZNA e l'esercito comunista. Cioè, ancora, dietro le foibe e gli ammazzamenti nei campi di concentramento ci fu davvero un progetto politico preordinato dal costituendo regime comunista titino! Tutta la storiografia più equilibrata e recente, da Elio Apih a Raoul Pupo a Gianpaolo Valdevit, insiste sul fatto che dietro e a fianco dell'indubbio furor popolare slavo e dell'odio etnico anti-italiano vi fu senz'altro una volontà organizzata. E così, per Valdevit (che pure è uno studioso di formazione marxista), le foibe sono senz'altro un episodio di “violenza di stato”42 imputabile al comunismo di Tito. Ma se questo è vero, allora cade anche l'ultimo tassello concettuale della tesi riduzionista di una certa sinistra di vecchio stampo (ma ancora ben viva): quello secondo cui foibe e Risiera non sono equiparabili. Se anche le foibe sono state in buona parte violenza di stato (e solo in piccola parte furor spontaneo popolare) allora, come conclude Valdevit, “Risiera e foibe non appartengono a due universi totalmente distinti”43.

    Foibe e Risiera restano, secondo chi scrive, incomparabili quanto alla ideologia che vi si esprime (comunista e -teoricamente- internazionalista quella delle foibe; nazifascista e razzista quella della Risiera), ma non lo sono (o lo sono assai meno) per metodi di esecuzione (non meno barbari e selvaggi o più 'scientifici' quelli della Risiera: colpi di mazza ferrata e strangolamenti e fucilazioni) e per la presenza di un progetto politico preciso e criminale in entrambi i casi.

    39 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., pp 144-145.40 ivi, p. 144.41 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 150.42 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 167 e p. 174.43 Citato in Raoul Pupo, Roberto Spazzali, op. cit., p. 175.

  • E con la tesi riduzionista si dissolve ovviamente anche il mito che lo innerva: il mito che abbiamo chiamato in maniera un po' immaginifica il mito della VERITÀ A SINISTRA, cioè l'idea dura a morire che la verità e il bene, in ogni caso, stiano sempre dalla parte delle forze politiche che di epoca in epoca esprimono idealità di sinistra. In verità la violenza sprigionata dal comunismo titino non è stata un male minore o un male necessario; è stata -come dice Valdevit- la violenza di stato di un sistema politico a tendenza totalitaria, e come tale criminale.

    CONCLUSIONE. E allora, le foibe? Il nostro povero Melchisedec giunge ad un traguardo (provvisorio): le

    foibe sembrano essere il frutto di un progetto politico criminale (accompagnato e preceduto -ma non esaurito- dal furor popolare e dall'odio etnico anti-italiano ) mirante a colpire ogni opposizione anti-comunista (sia fascista sia antifascista, sia italiana sia slava), un progetto che si è avvalso della rabbia di popolazioni represse e angariate da più di due decenni di mortificazioni imposte dal fascismo.

    Questo è quanto. Con buona pace di quei pochi che leggeranno queste pagine e di quei molti che -tra i pochi suddetti- si potranno sentire urtati. Tant'è! Il nostro povero storico alla Melchisedec, reso accorto della sacertà/uccidibilità non-rituale di ogni essere che viva chiuso nei nonluoghi della paura (foibe!), abbandonata ogni paternità e ogni maternità, lontano dal regno di pace di Salem, avvertito della universale banalità del male (extra e meta e inter-etnica), si accosta pieno di titubanze a una verità fattuale sempre sfuggente, lasciandosi guidare solo dall'eulogon e dal pithanòn: solo il ragionevole e il probabile hanno patria e dignità nella terra della storia devastata dall'uso pubblico. Ma la storia narrata alla Melchisedec non rinuncia a proclamare che i miti devono restare tali.

    Mario Gamba

    BIBLIOGRAFIA.

    - Bajc, Gorazd, Gli angloamericani e le foibe, in FOIBE. Una storia d'Italia, Einaudi, Torino, 2009;

    - Del Boca, Angelo, Italiani, brava gente?, Neri Pozza editore, Vicenza, 2005.

    - Dukovski, Darko, Le foibe istriane 1943, in FOIBE. Una storia d'Italia, op. cit.;

    - Ferruccio Fölkel, La risiera di San Sabba, BUR, Milano, 2000.

    - Franzinetti, Guido, Le riscoperte delle "foibe", in FOIBE. Una storia d'Italia, op. cit.;

    - Oliva, Gianni, Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria, Mondadori, Milano, 2015 (1° ed. 2002);

    - Oliva, Gianni, La resa dei conti, Mondadori, Milano, 1999.

    - Pirjevec, Joze, Foibe: quali verità?, in FOIBE. Una storia d'Italia, Einaudi, Torino, 2009;

    - Pupo, Raoul e Spazzali, Roberto, Foibe, Paravia Bruno Mondadori, Torino, 2003;

    - Sgorlon, Carlo, La foiba grande, Mondadori, Milano, 1992;

    - Troha, Nevenka, La questione delle "foibe" negli archivi sloveni e italiani, in FOIBE. Una storia d'Italia, op. cit.;

  • Film sulla complessità delle tensioni etniche, sociali e politiche del periodo:

    Porzûs, un film del 1997 diretto da Renzo Martinelli.

    La foiba di Basovizza - Le vie della …

    DI IRSML FVG, film- documentario a cura di Spazzali e Pupo, Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione – Friuli Venezia Giulia.

    http://www.youtube.com/watch?v=GxpV7C28PX4http://www.youtube.com/watch?v=GxpV7C28PX4https://it.wikipedia.org/wiki/Renzo_Martinellihttps://it.wikipedia.org/wiki/1997https://it.wikipedia.org/wiki/Film

    La foiba di Basovizza - Le vie della …