N.5) iii b foibe esodo

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Classe 3^ sez. B A.S 2014/2015

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L'esodo giuliano dalmata, noto anche come esodo istriano,è un evento storico consistito nella diaspora forzata dellamaggioranza dei cittadini di etnia e di lingua italiana che siverificò a partire dalla fine della Seconda guerra mondialee, negli anni ad essa successivi, dai territori del Regnod’Italia, prima occupati dall‘Armata popolare di Liberazionedella Jugoslavia del maresciallo Josip Broz Tito esuccessivamente annessi dalla Jugoslavia.

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Il fenomeno, successivo agli eccidi, noti come massacridelle foibe, coinvolse in generale tutti coloro chediffidavano dal nuovo governo jugoslavo e fuparticolarmente rilevante in Istria, dove si svuotarono deipropri abitanti interi villaggi e città; coinvolse tutti iterritori ceduti dall‘Italia con il trattato di Parigi e, inmisura minore, anche alcune aree litoranee dellaDalmazia non appartenute all'Italia, ma da questaoccupate durante la guerra.

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FURONO 350.000 CIRCA I PROFUGHI GIULIANO -DALMATI IN UN ARCO TEMPORALE CHE VADALL’ESODO DA ZARA (1943) FINO AL 1956.

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Il momento più drammatico dell’esodo fu quello vissuto daPola nell’inverno del 1946-47 quando un’intera popolazione(28.000 abitanti su 32.000) lasciò in pochi mesi la cittàistriana che il trattato di pace faceva diventare slava. Mache cosa sono 28.000 persone? Sono anche mestieri,professioni, identità, singoli individui con le loro storiepersonali che se ne vanno al di là del mare, verso l’ignoto. Ciòaccadde sotto gli occhi di tutti tra cui anche gli angloamericani e il governo italiano senza che nessuno siopponesse a quel voler tagliare le radici di quei poveriinnocenti!

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• I profughi erano destinati i in Italia, portando con séil minimo indispensabile, gli esuli giuliano - dalmati sitrovarono a vivere nella condizione di profughi, senzaessere in grado, nella maggior parte dei casi, diprovvedere autonomamente alla loro sopravvivenza.

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Era come fosse calata una “cortina di ferro”, per usare ladefinizione di W. Churchill, separando per sempre l’Europaorientale da quella occidentale. Dopo la ratifica delTrattato di Pace, il 15 settembre 1947, agli Italiani venneconcessa la possibilità di ricongiungersi alla madrepatriaesercitando il “diritto di opzione”: chi voleva rimanere inIstria, a Fiume e a Zara poteva farlo solo a patto diassumere la cittadinanza jugoslava, mentre chi volevamantenere la cittadinanza italiana e “optare” per l’Italia,doveva abbandonare entro tre mesi le terre natali.

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La sistemazione di questa enorme massa di persone, "cuioccorre provvedere a dare un tetto unitamente a tuttal'assistenza igienica, sanitaria, alimentare e morale",diventa, quindi, per gli apparati governativi italiani unproblema concreto da affrontare con una certa urgenza erisolvere nel minor tempo possibile.

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La soluzione individuata per garantire unarapida ed adeguata accoglienza, è quella diaffidare la sistemazione dei profughi giuliano -dalmati a campi e centri di raccolta.

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Per poter ospitare un così vasto numero di persone,la autorità italiane riutilizzarono strutture in disuso giàesistenti come ospedali, caserme, scuole, conventi,colonie, stabilimenti industriali dimessi, ma anche excampi di concentramento e prigionia già usati dainazifascisti per l'internamento dei civili e deiprigionieri di guerra.

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In Italia i profughi furono accolti con diffidenzae pregiudizio. All’arrivo delle navi a Venezia e adAncona, gli esuli furono accolti con insulti,fischi e sputi e a tutti furono prese leimpronte digitali. A La Spezia, città dove fuallestito un campo profughi, un dirigente dellaCamera del lavoro genovese durante la campagnaelettorale dell’aprile 1948 arrivò ad affermare “inSicilia hanno il bandito Giuliano, noi qui abbiamoi banditi giuliani”. A Bologna i ferrovieri, perimpedire che un treno carico di profughiprovenienti da Ancona potesse sostare instazione, minacciarono uno sciopero.

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Così la stampa di sinistra: “Non riusciremo mai aconsiderare aventi diritto ad asilo coloro che si sonoriversati nelle nostre grandi città. Non sotto la spintadel nemico incalzante, ma impauriti dall’alito di libertàche precedeva o coincideva con l’avanzata deglieserciti liberatori. I gerarchi, i briganti neri, iprofittatori che hanno trovato rifugio nelle città e visperperano le ricchezze rapinate e forniscono reclutealla delinquenza comune, non meritano davvero lanostra solidarietà né hanno diritto a rubarci pane espazio che sono già così scarsi.”

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Molti italiani dell’epoca non sapevano se considerarliitaliani o meno, dicevano che erano tutti o quasifascisti e nazionalisti; i governi li dimenticarono incampi profughi sporchi e fatiscenti. In realtà sitrattava di una grande comunità che pagava di personacon la perdita delle proprietà e della propria identità.

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Vi fu chi si vide costretto a rimanere nei campi profughi ancheper dieci anni. Eppure i 350.000 profughi non scesero in piazzaad urlare sotto le finestre delle autorità, quando Si ritrovaronoin baracche talora recintate da filo spinato, in fila con unagavetta in mano davanti ad una marmitta militare, quandovidero per mesi ed anni i loro bambini e i loro vecchi tremare difreddo su una brandina, mentre altri mangiavano alla loro tavolae dormivano nei loro letti in Istria.

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Non si verificarono tra loro episodi di delinquenzacomune, non si ricorse al terrorismo per richiamareall’attenzione dell’opinione pubblica la tragedia da lorovissuta. Circa 80.000 scelsero la via dell’esilio per laseconda volta ed emigrarono in Canada, negli StatiUniti, in America latina, in Australia, pur di poter viverein libertà e continuare ad amare l’Italia da lontano. Latragedia assunse così le dimensioni di una vera e propriaDIASPORA.

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"L’epopea dell’immigrazione, ladisumanità dei campi profughie la speranza di una vita inlibertà. Potrebbe sembrare unracconto come tanti altri, senon fosse che i protagonistisono gli italiani, quelle migliaiadi italiani vittime dell’esododall’Istria e dalla Dalmazia”