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Le foibe e l’esodo giuliano - dalmata: un tentativo di spiegazione storica Marco Chinaglia - 23 maggio 2013 La Giornata del Ricordo (10 febbraio) Nodo storiografico: Storia e memoria condivisa (cfr. S. LUZZATTO, Per una distinzione tra partigiani e “repubblichini”, pp. 516 - 518 manuale) La “bulimia della memoria” Nulla sarebbe più sbagliato del credere che delle foibe si sia cominciato a parlare solo di recente; al contrario, l’argomento è stato frequentatissimo. Piuttosto, c’è da chiedersi come mai i contributi sul tema delle foibe abbiano trovato un’enorme difficoltà a uscire da ambiti molto circoscritti. L’Italia e i Balcani dopo Versailles: il caso Fiume Dopo la guerra l’Italia ha il Trentino con l’Alto Adige, Trieste con la regione circostante e l’Istria Fiume doveva essere città libera Settembre 1919: D’Annunzio occupa Fiume e fonda la REGGENZA ITALIANA DEL CARNARO 1920: il TRATTATO DI RAPALLO stabilisce la presenza italiana fino a Montenevoso, alla città di Zara e alla Dalmazia Gennaio 1921: D’Annunzio lascia Fiume dopo il “Natale di sangue” (governo Giolitti) 1924: TRATTATO DI ROMA. Fiume viene affidata all’Italia, ma sul centro della costa croata avanzano rivendicazioni sia l’Italia sia il regno degli slavi (uso eversivo delle spinte nazionalistiche) Manuale (vecchia edizione) cap. 8, pp. 191 - 193, riquadro p. 192, 197 (cartina)

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Le foibe e l’esodo giuliano - dalmata:

un tentativo di spiegazione storica

Marco Chinaglia - 23 maggio 2013

La Giornata del Ricordo (10 febbraio)

• Nodo storiografico: Storia e memoria

condivisa (cfr. S. LUZZATTO, Per

una distinzione tra partigiani e

“repubblichini”, pp. 516 - 518 manuale)

• La “bulimia della memoria”

• Nulla sarebbe più sbagliato del

credere che delle foibe si sia

cominciato a parlare solo di recente; al

contrario, l’argomento è stato

frequentatissimo. Piuttosto, c’è da

chiedersi come mai i contributi sul

tema delle foibe abbiano trovato

un’enorme difficoltà a uscire da ambiti

molto circoscritti.

L’Italia e i Balcani dopo Versailles: il caso Fiume

� Dopo la guerra l’Italia ha il Trentino con l’Alto Adige,

Trieste con la regione circostante e l’Istria

� Fiume doveva essere città libera

� Settembre 1919: D’Annunzio occupa Fiume e fonda la

REGGENZA ITALIANA DEL CARNARO

� 1920: il TRATTATO DI RAPALLO stabilisce la presenza

italiana fino a Montenevoso, alla città di Zara e alla

Dalmazia

� Gennaio 1921: D’Annunzio lascia Fiume dopo il “Natale

di sangue” (governo Giolitti)

� 1924: TRATTATO DI ROMA. Fiume viene affidata

all’Italia, ma sul centro della costa croata avanzano

rivendicazioni sia l’Italia sia il regno degli slavi (uso

eversivo delle spinte nazionalistiche)

Manuale (vecchia edizione) cap. 8, pp. 191 - 193, riquadro p. 192, 197 (cartina)

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La politica del fascismo verso gli slavi: durante lo

squadrismo

� Nella Venezia Giulia il fascismo seppe introdursi nei conflitti nazionali che continuavano a imperversare in quest’area dalla fine dell’Ottocento

� Punto di svolta: 13 luglio 1920 incendio del Narodni Dom (sede delle principali organizzazioni slovene jugoslave della città e collocato nel centro di Trieste) ed atti di violenza paralleli che si ebbero a Pola e Pisino.

Il regime fascista nei Balcani (1)� Con il regime fascista l’eversione diventa violenza di stato, volta

alla distruzione dell’identità nazionale delle popolazioni slovene e croate, ormai parte della “Patria italiana” tramite:

a) Provvedimenti politici: eliminazione della libertà di stampa, abolizione delle associazioni politiche, persecuzioni degli antifascisti, controlli di polizia

b) Provvedimenti razziali: legislazione mirata alla “bonifica” etnica della regione, con effetti particolari soprattutto nelle campagne

c) Provvedimenti economico - sociali: liquidazione del tessuto cooperativo e creditizio slavo, già in prepotente ascesa in epoca asburgica. La borghesia slava (sloveno - croata) della Venezia Giulia viene cosìdrasticamente ridimensionata e sostituita, negli uffici pubblici(maestri e capi villaggio), nelle professioni, nella religione (sacerdoti) e nell’economia privata, da “homines novi” di provata fede italiana. Questo processo, unito a forti spinte migratorie per motivi politici ed economici verso la Jugoslavia e l’America Latina, cambiò la composizione sociale della popolazione, che subì un appiattimento verso il basso

Il regime fascista nei Balcani (2)

d) Provvedimenti paramilitari: forte aggressività contro i nemici esterni (serbi, croati, sloveni in particolare) e interni (comunità slovene e croate nell’ex litorale): è il principio della “difesa del confine nazionale”

e) Provvedimenti culturali: divieto dell’uso pubblico della lingua slovena e croata (italianizzazione forzata dei toponimi e dei cognomi), abolizione della stampa slava e dei circoli culturali

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Durante la guerra:

l’occupazione italiana della Jugoslavia

1941: Germania, Italia Ungheria e

Bulgaria smembrano la Iugoslavia

secondo criteri più o meno etnici:

� Slovenia: viene divisa tra Germania,

Italia (aveva la Slovenia meridionale con la

capitale Lubiana) e Ungheria.

L’annessione della Slovenia mirava da

parte italiana ad evitare principalmente la

formazione di uno spazio neoasburgico fra

Terzo Reich, Ungheria e Croazia.

� Dalmazia:

Governatorato della Dalmazia

(province di Zara, Spalato e Cattaro)

Manuale pp. 442 - 43

� Serbia :

-Serbia storica alla Germania

- Kosovo all’Italia

-Vojvodina all’Ungheria

-Macedonia alla Bulgaria

� Croazia

-stato indipendente collaborazionista

(ustascia A. Pavelìc) ingloba Bosnia

Erzegovina

- Una fascia di territorio croata viene

annessa dall’Italia alla provincia di

Fiume

�Protettorato del Montenegro e

Kosovo

Vengono integrati nell’Albania italiana

La fascistizzazione continua in guerra (1)

� Nei territori annessi della Jugoslavia:

- Si cerca di realizzare la fascistizzazione delle nuove province

- Le organizzazioni di partito sostituiscono le associazioni ricreative sociali, politiche e culturali jugoslave

- L’ introduzione affrettata della legislazione del Regno e le enormi misure di italianizzazione portano al caos dell’ amministrazione e della giustizia

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La fascistizzazione continua in guerra (2)

� Nei territori militarmente occupati:

Le principali attività sono tutte al servizio

delle truppe di occupazione:

- Si assiste all’ insediamento di centri di

assistenza, cioè nuclei che favorivano l’

insediamento dei fasci di combattimento

- Solo i cittadini italiani sono ammessi alle

associazioni

- I tribunali militari, che giudicano anche i

reati penali politici degli autoctoni a danno

dell’ esercito italiano, contribuiscono alla

repressione dell’ opposizione.

Italiani “brava gente”?

Il comportamento italiano nei Balcani in guerra

� Smentita del “salvataggio umano” nei confronti degli ebrei

- In Croazia: antisemitismo spietato

- Nei territori italiani: gli Ebrei vengono riconsegnati ai Croati malgrado fosse ben nota l’esistenza dei campi di concentramento e di sterminio

� Idea di “liberarsi”

- Dagli ebrei

- Dai comunisti

- Dai nuclei familiari di ufficiali serbi

- Dagli impiegati pubblici dell’ex Jugoslavia

� Modalità

- Ritiro della tessera del pane

- Eliminazione dei nominativi ebraici dagli elenchi telefonici

- Sospensione dell’internamento

�Perché gli Ebrei croati si rifugiavano nelle province dalmate italiane?

- Maggiore possibilità di sopravvivenza

- “Migliori” condizioni di vita

- Penetrare in suolo italiano significava sottrarsi alla sicura persecuzione croata

� Dove venivano allontanati?

- Individuati e schedati come “individui sospetti” (sia gli ebrei risiedenti nelle città dalmate italiane sia gli ebrei rifugiati nelle province dalmate italiane)

- Consegnati agli ustascia croati

- Spediti (dopo il 1943) nei campi di concentramento nazisti nell’Europa orientale e nella Venezia Giulia occupata dai tedeschi

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Atteggiamenti contrastanti di fronte all’occupazione

� Il collaborazionismo:

- Ragioni ideologiche e politiche

- Ragioni etnico - religiose: minoranze in attrito con la società locale

- Ragioni di sussistenza (denari e derrate alimentari): accomodarsi con l’occupante come scelta del minore dei mali

� La resistenza:

- Gli studenti (adesione al partito comunista)

- Professionisti

- Partigiani

- Ceti colti (intellettuali)

- Clero ortodosso (jugoslavo ed ellenistico)

- clero cattolico

Collaborazionismo vs Resistenza:

un problema di lunga durata

� In Jugoslavia la tradizionale inclinazione all’uso del terrore come mezzo politico genera guerra religiosa e controterrore e provoca la riemersione di bande armate bosniache, dalmate, slovene ed erzegovesi

�Le decisioni prese da altri stati o da altre potenze occupanti ebbero conseguenze di rilievo nei territori conquistati dagli italiani.

� Ad esempio, i tedeschi conclusero un accordo con i croati per il trasferimento in Croazia di circa 220 – 260 mila “croati etnici” residenti in Slovenia non “germanizzabili”. Zagabria domandò in cambio che un terzo dei serbi di Croazia (circa 250 mila) fossero trasferiti in Serbia. L’accordo portò al trasferimento in Croazia di circa 54 mila sloveni, ma a causa di esso den 17 mila persone lasciarono la zona incorporata al Reich e si rifugiarono nelle zone italiane

� Questi eventi lasceranno pesantissime ereditàdi odio etnico alla ex - Jugoslavia fino ai nostri giorni

La Resistenza: le guerre iugoslave nella guerra

In Iugoslavia si combattono:

1) Due guerre partigiane di

liberazione:

• a) comunisti

• b) monarchici

• 2) una guerra civile tra

comunisti e monarchici

• 3) una guerra civile tra croati

(alleati a Hitler) e serbi

un milione di morti

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I gruppi operanti

• ustascia croati di Ante Pavelić (filonazisti, alleati di Mussolini, integralisti cattolici)

• cetnici serbi di Draža Mihailović:

• tattica di attesa, in vista dello sbarco delle forze alleate

• programma “Grande Serbia”

• esercito partigiano di Tito:

• guerra agli eserciti di occupazione

• sostengo alla guerra di Stalin

• progetto di rivoluzione di tipo bolscevico

• federalismo “egualitario”: riconoscimento pluralismo etnico e religioso iugoslavo

1942: inizio della guerriglia partigiana

� Una spirale di azioni belliche, rappresaglie e ritorsioni coinvolge massicciamente la popolazione civile.

� Le autorità militari italiane conducono infatti una serie di cicli operativi che provocarono ampie distruzioni materiali e procurarono perdite assai elevate tra militari, partigiani e civili

Le foibeManuale pp. 486 - 488Cartina p. 487

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Le foibe: di cosa stiamo parlando?

� Foiba: dal latino “fovea” (“fossa”,

“buca”, “trappola”), il termine

indica, nella Venezia Giulia, delle

grotte carsiche, spesso terminanti

in un inghiottitoio.

Sezione della foiba mineraria di Basovizza

In senso storico le foibe cosa sono?

� Quando si parla di “foibe” ci si riferisce alle

violenze di massa a danno di militari e civili, in

larga prevalenza italiani, scatenatesi

nell’autunno del 1943 e nella primavera del

1945 in diverse aree della Venezia Giulia e che

nel loro insieme procurarono alcune

migliaia di vittime.

�In realtà, solo una parte degli eccidi venne

perpetrata sull’orlo di una foiba o di un

pozzo minerario: la maggior parte delle

vittime perì nelle carceri, durante le marce di

trasferimento o nei campi di prigionia allestiti in

varie località della Jugoslavia.

La prima fase: Istria, autunno 1943�Nell’autunno del 1943, in seguito

all’armistizio dell’8 settembre, l’ Istria interna

diviene per breve tempo terra di nessuno (i

tedeschi occupano i centri strategici di

Trieste, Pola e Fiume).

�La competizione si svolge tra l’esercito

partigiano di Tito e le armate tedesche. Hitler

trasforma il territorio in "Litorale adriatico"

sotto il comando di un Alto commissario. A

sua volta, i movimenti di liberazione sloveno

e croato rivendicano tutto il territorio che

l'Italia aveva ottenuto con la Prima guerra

mondiale, chiedendo, addirittura, che il

confine arretrasse al di là di quello fissato nel

1866.

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I governi provvisori partigiani

�Si formano i primi governi

provvisori partigiani (“poteri

popolari”), che dispongono di

“ripulire” il territorio dai

“nemici del popolo” (formula

usata nelle fonti croate del

tempo che rimanda a

precedenti ben precisi: quello

della rivoluzione sovietica e

quello della guerra civile

spagnola)

Gli arresti e le uccisioni dell’autunno 1943� Per circa un mese, prima del ritorno dei tedeschi, si succedono arresti di varia tipologia (ce ne parlano fonti italiane principalmente):

- Nelle località costiere a venir

imprigionati sono prevalentemente

squadristi, miliziani, gerarchi locali

- Nelle aree controllate dagli insorti

croati vengono fatti sparire i

rappresentanti dello stato (podestà,

segretari e messi comunali,

carabinieri, medici, farmacisti,

guardie campestri, esattori delle tasse

e ufficiali postali) e della religione

(sacerdoti).

I primi infoibamenti

�Numerosi arresti e processi sommari nell’area di Pisino, conclusi quasi sempre con la condanna a morte, l’esecuzione, in genere collettiva, e l’occultamento dei corpi nelle cavità o nelle località costiere, con la dispersione in mare delle spoglie.

� La paura del ritorno prossimo dei nazifascisti determina una situazione di avvenimenti confusi, anche in presenza di segnali di organizzazione, ed una accelerazione delle uccisioni

� I morti di questa prima fase assommano a circa 500 - 600

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Le motivazioni sociali

�La guerra si aggiunge ad un passato di odi e violenze tra le popolazioni, che si esprime anche coi caratteri delle antiche e selvagge rivolte contadine a sfondo sociale:

- sevizie e violenze, anche sessuali, a carico di ragazze, donne incinte e bambini

- linciaggi efferati

- distruzione di catasti da parte dei contadini croati.

La seconda fase: maggio - giugno 1945

�La seconda ondata di violenze contro gli italiani (collaborazionisti, fascisti ma anche semplici cittadini contrari al passaggio del territorio alla Jugoslavia) si ebbe nei primi giorni del maggio 1945, quando tutta la Venezia Giulia (soprattutto Trieste e Gorizia) era saldamente nelle mani dell'armata jugoslava e dei suoi organi di intelligence.

� Le "liquidazioni", avvenute per lo più dopo aver trasferito i prigionieri in campi dell'interno della Slovenia, venivano compiute sulla base di liste di persone scomode compilate in precedenza dai servizi segreti comunisti jugoslavi (OZNA).

�Maggiore responsabile fu il IX Korpus dell’esercito titino

I criteri della violenza

�La disponibilità delle fonti relative al 1945 è decisamente maggiore rispetto a quella per il 1943; le sorti sono diverse alla data della Liberazione:

- La sorte dei militari: internamento di tutti i militari catturati (trattamento durissimo in lager come Borovnica, Skofja Loka, ecc.)

- La sorte dei poliziotti: presunzione di colpevolezza che discende direttamente dall’inserimento nell’apparato repressivo nazifascista

� Il criterio di fondo degli arresti, e in parte anche delle liquidazioni, si fonda più sulla categoria che sull’individuo, sulla responsabilità collettiva piuttosto che su quella individuale.

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Il deragliamento della violenza� Operazioni della primavera - estate 1945 non sono frutto di scelte lineari e preordinate. Occorre considerare:

-il clima di “resa dei conti” nei confronti degli avversari etnici e politici, alimentato dal ricordo delle sopraffazioni del regime e dalle esperienze ancora brucianti della lotta partigiana

- l’uso onnicomprensivo del termine “fascista” da parte dei quadri del Movimento di liberazione jugoslavo per qualificare tutti gli oppositori al nuovo progetto politico che si stava affermando con le armi

- lo spazio di discrezionalità esistente nella compilazione delle liste, redatte da persone che portavano nell’operazione da cui dipendeva la vita di altri esseri umani non solo il loro radicalismo nazionale e politico, ma anche i loro rancori e interessi (si ritiene che fra Trieste e il goriziano vennero arrestate in poche settimane circa diecimila persone)

La persecuzione degli antifascisti italiani

�A Trieste e a Fiume le autorità

jugoslave perseguitano gli stessi membri

dei rispettivi CLN (si vuole «togliere di

mezzo» i possibili oppositori futuri)

� Bersagli:

- Esponenti del fascismo e del

collaborazionismo locale.

- Dirigenti delle forze politiche italiane e

slovene diverse dal Partito comunista

- Soggetti ritenuti per i più diversi motivi

“pericolosi” nell’ottica dei nuovi poteri.

Quante sono le vittime?�Spesso tutti gli scomparsi, anche per cause diverse e in momenti diversi, sono stati genericamente compresi nella categoria degli “infoibati” (che in senso stretto riguarda soltanto coloro che sono stati trucidati subito dopo l’arresto, spesso senza nemmeno un procedimento sommario, e scaraventati nei profondi pozzi naturali).

�Resta ancora aperto l’interrogativo sul numero delle persone effettivamente scomparse e quindi decedute a causa della difficoltà di quantificazione per il caos estremo di quelle settimane

� Sappiamo che nel corso di 31 esplorazioni ufficiali in cavità naturali e artificiali, vennero recuperate 217 salme (116 civili e 18 militari accertati). Il numero degli scomparsi fu certo superiore, e alcune fonti lo indicano in circa 500 persone nella prima fase

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Le cifre: errori e manipolazioni�Le forti disparità nella quantificazione (c’è chi parla di cifre tra i 5000 e i 12000 morti) sono state in parte generate da difficoltà tecniche e da errori materiali (medesima cavità nota con nomi diversi, elenchi degli infoibati con nominativi di persone che secondo altre fonti risultano essere scampate)

�Più gravi sembrano le manipolazioni quando vengono date per “accertate” cifre che nel più benevolo dei casi possono venir considerate congetturali (come i duemilacinquecento infoibati nel pozzo della miniera di Basovizza e i mille nella foiba di Monrupino)

�Non è raro incontrare elenchi di infoibati in cui sono stati consapevolmente inseriti anche i caduti della guerra partigiana nella Venezia Giulia e talvolta anche in Dalmazia

�Si può ritenere che solo una piccola percentuale degli scomparsi

sia stata eliminata nei giorni immediatamente successivi

all’arresto, mentre la maggioranza è stata inghiottita dal sistema

concentrazionario jugoslavo.

Il ritiro jugoslavo da Trieste e da Pola

� La Venezia Giulia fu la sola area dell'Europa liberata dove vennero a trovarsi in collisione gli eserciti occidentali e un esercito appartenente al movimento comunista internazionale. Dopo complesse trattative, e dopo che gli americani portarono la loro flotta fin dentro l'Adriatico, Tito fu disposto a ritirarsi da Trieste e Pola, porti che gli occidentali rivendicavano per mantenere i collegamenti con l'Austria e il Centro- Europa.

L’Italia perde tutte le colonie

Zara e Venezia Giulia (quasi tutta) a Jugoslavia

Zona A (con Trieste) sotto la Gb

Parigi 1947

Cede piccole zone confinanti alla Francia

Territorio libero di Trieste diviso in due parti

Zona B (Istria) alla Jugoslavia

Danni di guerra a URSS Albania Jugo Grecia

Il confine orientale:

il Trattato di Parigi (10 febbraio 1947)

e il “Territorio libero di Trieste”

Manuale 3b pp. 633 - 634

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La questione del confine orientale�La fissazione del confine con il trattato di

pace di Parigi del 1947 può essere

considerata una grande vittoria diplomatica

per la Jugoslavia e per l'Unione Sovietica

che sosteneva le richieste jugoslave.

�Dei territori ottenuti con il Trattato di

Rapallo (12 novembre 1920) l'Italia

conservava pressoché solo Gorizia.

�Trieste e una piccola parte dell' Istria

settentrionale avrebbero dovuto costituire

il “Territorio libero”, staterello autonomo

sotto l'egida della Nazioni Unite.

�Il resto dell'Istria, Fiume e Zara passavano

alla Jugoslavia.

�Trieste, conquistata con la Grande Guerra,

veniva amministrata dal governo militare

alleato.

L’esodo giuliano - dalmata� In seguito alla firma dei trattati di pace, la stragrande maggioranza della popolazione italiana ed una parte della popolazione slovena e croata abbandonò i territori ceduti e si rifugiò in Italia o emigrò verso altri Paesi.

� L’esodo giuliano - dalmata

coinvolse tra le 250.000 e le

300.000 persone, molte delle

quali al seguito di amici, parenti e

conoscenti:

Manuale pp. 532 - 33

Le cause dell’esodo

a) Desiderio di rivalsa slava nei confronti degli ex occupanti (un

organismo consultivo del movimento di liberazione sloveno, a

cui facevano capo i maggiori intellettuali, si era espresso per

l’allontanamento dal paese di tutti gli italiani, tedeschi ed

ungheresi, anche se il perseguimento consapevole di questa

linea da parte delle autorità è ancora discusso)

b) Carattere oppressivo del regime titino (persecuzioni ed omicidi

da parte della polizia segreta anche in seguito alle liquidazioni)

c) Discriminazione nazionale del regime titino

d) Politica radicale di collettivizzazione della proprietà

Manuale 3b pp. 554 - 555

(Jugoslavia titina)

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Il Memorandum di Londra: Trieste torna italiana (1954)

�1948: guerra di Corea

�1953: rottura tra Tito e Stalin (modello

comunismo nazionale)

�1954: Memorandum di Londra. Gli

Alleati, dopo diverse fasi di tensione

che rischiavano di culminare in una

guerra aperta tra Italia e Jugoslavia,

giungono a definire la divisione del

“Territorio libero” tra i due Stati.

� Trieste viene restituita all'Italia e la

"zona B" dell'Istria passa, anche se non

ufficialmente, sotto la sovranità

jugoslava, nonostante le richieste

italiane di revisione del trattato.

Trieste italiana• Secondo un calzante giudizio di

Sergio Romano, l'entusiasmo

popolare che accompagnò il ritorno

di Trieste all'Italia fu "l'ultima festa del

Risorgimento".

• Anche Emilio Gentile definisce la

mobilitazione per Trieste come

"residuo sentimento nazionale, che ancora

guizzava in certe fiammate di passione

patriottica", insomma come qualcosa

che rappresentava la conclusione di

un'epoca e non l'inizio di qualcosa

di nuovo.

• Negli anni successivi la Venezia

Giulia scomparve dalla "mappa

mentale" degli italiani. Il senso di

appartenenza alla nazione attraversò

una parabola discendente.

Manuale 3b pp. 634 - 635

Il Trattato di Osimo (10 novembre

1975)

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La questione orientale come nodo

storiografico� La sorte degli italiani del confine orientale, anche per il clima di Guerra Fredda dell’immediato dopoguerra, venne sostanzialmente sacrificata alla “ragion di Stato”,

da un lato nei confronti del comunismo jugoslavo, soprattutto dopo la rottura con

l’URSS del 1953, dall’altro per evitare il riemergere di imbarazzanti dettagli

sull’occupazione italiana dei Balcani

Le rimozioni incrociate

1. Mito del “buon italiano”, che può uscire alquanto ridimensionato dalla conoscenza critica delle esperienze di occupazione italiane nei territori ex jugoslavi

2. Mito dell’“innocenza” della classe dirigente italiana della Venezia Giulia e soprattutto di Trieste nei confronti del potere germanico nel biennio 1943 - 1945

3. Mito del Movimento di liberazione jugoslavo (a lungo considerato un esempio per tutti i movimenti resistenziali europei)

La tesi italiana: foibe ed esodo come

“Genocidio nazionale” e “pulizia etnica”

� La percezione dei contemporanei (linea giàpresente nella propaganda della RSI) fu di ritenere le foibe come un tentativo di distruzione della componente italiana della popolazione giuliana (“genocidio nazionale”)

� Questa tesi è rimasta patrimonio stabile della cultura nazionalista giuliana, perché si inserisce perfettamente nei suoi tipici schemi di lettura dei rapporti fra italiani e slavi (cultura veneta vs barbarie slava)

� Nel corso degli anni novanta infine, la formula del “genocidio nazionale” è stata progressivamente sostituita da quella di “pulizia etnica”, con evidente riferimento alle stragi avvenute nella ex Jugoslavia dopo la dissoluzione della Repubblica federativa.

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La tesi slava: negazionismo e riduzionismo

� Le violenze dell’autunno del 1943 e

della primavera del 1945 sono

nient’altro che il prodotto di atti di

giustizia nei confronti di criminali di

guerra

� La vicenda delle foibe è un

episodio marginale, in nulla diverso

dalle violente reazioni che ovunque in

Europa si scatenarono contro i

nazifascisti al momento del tracollo

del potere germanico, e comunque

prodotto quasi inevitabile della

precedente oppressione italiana.

Un nuovo approccio storiografico�L’epurazione preventiva

�All’interno della crisi legata alla presa del potere comunista in Jugoslavia, di cui le terre giuliane erano considerate parte, essere italiani costituiva un fattore di rischio. Salvo poche eccezioni, gli italiani costituivano il nemico del passato, del presente e del futuro. Agli italiani quindi, in quanto gruppo nazionale che si riconosceva come tale, nella fase delicatissima della creazione del nuovo ordine, andava dedicata un’attenzione affatto particolare, che si traduceva in una “pulizia” (o “epurazione”, i due termini si equivalgono) particolarmente rigorosa.

�Soprattutto a livello pratico, a livello cioè di gestione della repressione da parte dei quadri del partito, del movimento partigiano e del nuovo apparato dello stato, agli italiani veniva richiesto di dimostrare con i fatti di stare dalla parte giusta e, nel dubbio, l’appartenenza nazionale non giocava certo a loro favore.