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Carlo Goldoni Le donne gelose Commedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezia nel Carnovale dell’anno 1752 traduzione Giorgio Sangati Piccolo Teatro Studio Melato, 22 ottobre 2015 16 20 1 5 STAGIONE

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Carlo Goldoni

Le donne geloseCommedia di tre atti in prosa rappresentata per la prima volta in Venezianel Carnovale dell’anno 1752

traduzione Giorgio Sangati

Piccolo Teatro Studio Melato, 22 ottobre 2015

162015STAGIONE

idioma si leggono. Abbiamo, egli è vero, abbondantissime traduzioni; ma quanto poche son quelleche entrano nello spirito dell’Autore, e rendono altrui fedelmente gli originali suoi sentimenti! Leopere di Molier hanno avuto la fatalità di essere tradotte da uno che male intende il francese, e pocomostra d’intendere l’italiano. I savi giovanetti figliuoli di V. E., uniti ad altri valorosi compagni,hanno del grande Autore Francese nel Carnovale passato Le Mariage Forcé mirabilmentenell’originale sua lingua rappresentato. Sonosi poi compiaciuti di recitare una piccola Farsa mia,dall’E. V. commessami, ed animata questa dalla bravura de’ recitanti, so essere stata fortunatissima.Or veda l’E. V. quanto crescono le obbligazioni mie, se dalla di lei amorosissima protezione tantagloria ricevo! Ma pure in mezzo a tante grazie, prendo animo a domandargliene un’altra. Chiedoall’E. V. umilmente la protezione speciale ad una delle Commedie di questa mia edizion Fiorentina,ed è quella che or le presento, Le Donne Gelose intitolata. So che una tal Commedia ebbe la sorte undì di piacerle sulle scene rappresentata, e spero sarà dall’animo suo generoso, anche stampata,benignamente accolta e protetta. Ciò recherà a questa non solo, ma a tutte le opere mie un altissimofregio, poiché quelli che non sapessero goder io la fortuna invidiabile di una sì gran Protettrice, lovedranno ora in questi fogli impresso, e saprà il mondo, a gloria mia, che io sono, quale conprofondissimo ossequio ho l’onore di sottoscrivermi Di V. E. Umiliss. Divotiss. ed Obbligatiss. Serv.

Carlo Goldoni

L’AUTORE A CHI LEGGE

Questa, Lettor carissimo, che or ti presento, è una Commedia veneziana, venezianissima, che forsefelicemente non sarà intesa da chi del costume nostro e della nostra lingua non sia informato. Moltitermini, molte frasi troverai a piè delle pagine toscanamente tradotte, e questo merito lo ha quasi perintiero chi ha assistito alla stampa di tal Commedia, nell’edizione del Bettinelli al Tomo sesto,Commedia vigesimaterza, pochissime cose avendo io in tal proposito cambiate; cosicché persuaso iosono, che chi ha diretto la stampa di tal Commedia non sia il medesimo che ha mal corretto le altre.Ho io qualche cosa cambiato ora nel ristamparla, ma ciò altri non poteva fare, minor male essendo diquei che stampano, lasciar correre gli originali difetti dell’opere, anziché correggerli malamente.Questa dunque è una Commedia, che per piacere a quei tali che la lingua ed il costume nostro nonhanno in pratica, meriterebbe di essere in toscana intieramente tradotta; e se le frasi basse del popolofossero in fiorentino ridotte, potrebbono recar diletto a chi quelle più di quest’altre ha in capo. Ma ioho volsuto per ora stamparla come fu da me fatta, per non dispiacere a quei tali che così la bramano,e dilettare alcuni altri che il linguaggio veneziano mediocremente intendendo, se ne compiacciononon ostante, ed oltremodo lo gustano; a questo proposito ho avuto qualche lettera orba, senzasottoscrizione, che mi rimproverava d’aver io in varie Commedie tradotto il Pantalone in toscano,desiderandosi da chi mi dava l’avviso, leggerlo nel naturale suo idioma. L’occulto scrittore avrà inquesta mia la risposta, e spero sarà ora contento, che della veneta lingua avrà in questa Commedianon solo, ma nelle altre che seguono, un’abbondante raccolta. Il mondo è diviso in due: chi vuole echi non vuole. Alcuni altri dunque saranno forse per tal ragione scontenti. Io per soddisfare gli uni e glialtri, pensato aveva di ridurre a frase e costume toscano questa ed altre Commedie, che dir si possonoveneziane, stampandole in altro Tomo, che destinava far dopo il decimo, ma non sapendo se ciò possaessere dagli associati aggradito, aspetterò che i medesimi, o con lettere cieche, o con nomi palesi, midicano il parer loro, ed io li renderò soddisfatti. In Venezia questa Commedia fu applauditissima. Dovenon sia ben intesa, non può avere la stessa sorte. Il tempo farà conoscere la verità.

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A SUA ECCELLENZA LA NOBIL DONNA ELISABETTA MOCENIGO VENIER

Alcuni vi sono, Eccellentissima Signora, i quali, per poca considerazione di se medesimi, dubitanonel giudicar delle cose, e per formar di esse buono o tristo concetto, ascoltano il detto di quellepersone che stimano, e colla opinione loro s’accordano. Moltissimi di cotal genere trovansi fracoloro che parlano francamente delle opere altrui, per averne sentito ragionare da altri, e allor chebene parlar ne intesero, favorevolmente le trattano, ed all’incontro ardiscono maltrattarle, se mal diloro siasi da altri parlato. Tali sono per lo più i giudici delle Commedie, lasciati da una parte i Dotti edall’altra gli appassionati. Moltissimi sono quelli che trasportati dal genio, dalla curiosità, dalcostume, corrono la prima sera d’una novella recita al Teatro, a costo d’essere affollati dalla calca delpopolo nella platea, e soffrono pazientemente tre ore al buio per occupare un buon sito. Questi, senon vanno prevenuti dallo spirito di partito, dovrebbono giudicare o secondo il modo lorod’intendere, o a misura della noia o del piacere che internamente risentono, ma trovandosi in mezzodi due vicini contrari, con uno alla dritta che dice bene, con uno alla sinistra che dice male, nonardiscono decidere per se medesimi, dubitano d’ingannarsi, vanno ora da un lato, ora dall’altropiegando, e si determinano finalmente col parere di quelli per i quali hanno maggior concetto.Questo è l’utile grande che si ritrae dalla protezione delle Persone autorevoli e dotte; accreditano essele opere altrui, e coll’esempio loro si acquistano le approvazioni degli altri. Io tutto questo ho volutopremettere, a solo fine di protestare all’E. V. l’obbligo mio, per quella benignità e grazia con cui sidegna le opere della mia penna frequentemente ascoltare, dando loro colla di lei approvazioneautorevole un fregio che consola gli amici miei, confonde i miei nemici, e, persuade e determina gliindifferenti. Una Dama del di lei spirito, del di lei talento, che per genio innato alle lettere, e per illodevole uso fatto delle medesime, può decidere francamente in materie assai più difficili, s’ascoltacon venerazione e rispetto, ed io contrapponendo il giudizio favorevole di V. E. a quello di tanti altri,sono al sicuro di vincere e di trionfare. La nobiltà antichissima di quel sangue illustre che a lei diedela vita, e il bell’innesto fatto col di lei mezzo di due sì grandi rinomate Famiglie, la rendonovenerabile al mondo tutto; ma le virtù singolari dell’animo, e i doni chiarissimi de’ quali abbonda ildi lei feliceintelletto, l’inalzano ancora più, e oggetto la rendono d’ammirazione, d’autorità, dirispetto, il cheavendola io per mia protettrice, ridonda in altissimo mio avvantaggio. Né solo esaltatesi veggono le opere mie dalla presenza autorevole di V. E., ma ella si compiace parlar di esse inmaniera che fa arrossirmi, tremando di non meritar le sue lodi. Di più ancora, degnasi ellatrasceglierle per divertimento de’ virtuosi figliuoli suoi, i quali senza perdere il miglior tempo, che aiseriosi studi occupati li tiene, fanno pompa; anche nell’esercizio delle sceniche rappresentazioni, delloro perspicace talento. Grand’opera è quella dell’educazione dei figliuoli. Lo spirito dell’uomo,anche nell’età più tenera, sente gli stimoli dell’amor della libertà, e soffre con impazienza il giogodella soggezione. Per questa ragione appunto esigesi maggior cautela, cercando di farlo cedere piùalla dolcezza, che alla violenza. La scelta de’ buoni maestri giova infinitamente a perfezionare ungiovane di buon talento, ma siccome l’applicazione soverchia agli studi stancherebbe la mente nonancora dall’età robusta fortificata, necessario è divertirla, ed è la scelta dei divertimenti un capoessenzialissimo dell’ottima educazione. L’esercizio delle sceniche rappresentazioni giovainfinitamente alla gioventù, ed è un divertimento cui solamente dall’inclinazione de’ giovanetti vienraddolcito l’austero nome di studio. Egli esercita la memoria, capitale principalissimo che formal’uomo; erudisce l’intelletto, e impiega bene la volontà. Piacemi che fra tali divertimenti non lascinodi rappresentare qualche Commedia di buon Autore Francese, servendo loro di esercizio perapprendere francamente un linguaggio verso a noi necessario, a causa delle bell’opere che in tale

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ATTO PRIMO

Scena prima

Camera de siora Giulia. Siora Giulia che laora demerli. Siora Tonina in zendà. Siora Orsetta che filadella bavella, e siora Chiaretta che fa bottoni.

TONINA – Cara siora Giulia, la compatissa seson vegnua a darghe incomodo. GIULIA – Oh siora Tonina, cossa disela! La m’hafatto una finezza a vegnirme a trovar. Gh’avevatanta voggia de véderla. TONINA – De diana! No la se degna mai devegnirme a trovar. GIULIA – Oh cara siora! se la savesse. No gh’hoel fià che sia mio. Sempre fazzo, sempretambasco, o intorno de mi, o intorno de miomario; sempre ghe xe da far, no me fermo mai. Noè vero, putte? Adesso ho tiolto suso el ballon perdivertimento. Oh cara siora Tonina! Cento volteho dito de vegnir da ela, e no ho mai podesto. Noè vero, putte? TONINA – La vegna da mi a véder a passar lemascare. ORSETTA – Oh, sì, cara sior’àmia, andemo. CHIARETTA – Cara siora santola, ghe vegniròanca mi. GIULIA – Lassè pur, che ghel dirò a mio mario. TONINA – Siora Giulia, quando la fala novizza sosiora nezza? GIULIA – Oh, ghe xe tempo. ORSETTA – (Oh, sì ben, ghe xe tempo). da séGIULIA – E po mi no son so mare; la vien atrovarme qualche volta; ghe voggio ben; ma in stecosse no me n’impazzo. CHIARETTA – E a mi, siora santola, me vorla ben? GIULIA – No vusto, fia, che te voggia ben? TONINA – Xela so fiozza quella bella putta? CHIARETTA – A servirla. GIULIA – La xe fia de una mia comare maridadafuora de Venezia. La me vien a trovar squasi ognianno de carneval, e la sta con mi quindese, vintizorni.CHIARETTA – St’anno gnancora no semo andaein mascara. ORSETTA – No avemo visto gnanca una commedia. GIULIA – No avè visto che tempi che xe stai stocarneval? TONINA – Mi son stada una volta all’opera incompagnia de una, che no ho podesto far demanco; ma no ghe vago più. GIULIA – Con chi xela stada, cara ela?

TONINA – Cognossela siora Lugrezia? Quellavedoa che sta squasi in fazza dove che stago mi. GIULIA – Quella che xe stada muggier de quelspizier de confetti? TONINA – Siora sì, quella spuzzetta. GIULIA – Via, la cognosso. TONINA – Che va in t’un boccon de aria... GIULIA – Sì, sì, la cognosso... TONINA – Co giera vivo so mario, no ghe gierasti sguazzi. GIULIA – La me lo diga a mi, che la cognossodall’A fina al bus.TONINA – Ela la va a tutti i teatri. Tutte le primerecite le xe soe. Abiti, no se parla. Tabarazzi contanto de bordo. Bautta de merlo. Cossazze, via,cossazze. GIULIA – E po i dise: tasè; no disè mal; nomormorè. Mo bisogna parlar per forza. Comediavolo porla far sti sguazzi! Intrae, ca de diana!no la ghe n’ha. TONINA – La dise che la vadagna al lotto. GIULIA – Oh, che te vegna cento carri de ben!Ghe vol altro che lotto! Eh siora Tonina, sepodesse parlar! TONINA – Cara siora, se la sa qualcossa, la mediga, la me fa servizio. Bisogna che la sappia cheghe pratica per casa anca mio mario. GIULIA – Disela da senno? La pratica sior Todero? TONINA – Siora sì, el ghe va. L’ho visto mi co stiocchi. GIULIA – E ela la lo lassa andar, e no la dise gnente? TONINA – Mi no credo che ghe sia mal de gnente. GIULIA – Siora Tonina, me xela amiga? TONINA – Oh, no vorla? GIULIA – L’accetta el mio conseggio, no la lolassa andar da culìa.TONINA – No? Mo per cossa? GIULIA – Malignazo!... No posso parlar... Putte,andè in pergolo; vardè che tempo che xe. ORSETTA – Eh siora sì, andemo. (Oe! la ghe volcontar de siora Lugrezia). (a Chiaretta)CHIARETTA – (Oe! la ne manda via, e a mi lam’ha contà tutto). ORSETTA – (Anca a mi la m’ha dito che ghe vasior barba). (partono)GIULIA – Sieu malignaze! TONINA – Cara ela, la diga.

Scena seconda

Siora Giulia e siora Tonina

GIULIA – La sappia, siora Tonina, che mi son

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ATTO PRIMO

Scena prima

Camera della signora Giulia. La signora Giulia chericama. La signora Tonina con lo scialle. La signoraOrsetta che fila, e la signora Chiaretta che fa bottoni.

TONINA – Cara signora Giulia, mi perdoni sesono venuta a disturbarla. GIULIA – Signora Tonina, cosa dice! Ha fattouna cortesia a venirmi a trovare. Avevo tantavoglia di vederla. TONINA – Perdiana! Non si degna mai divenirmi a trovare. GIULIA – Cara signora! Se sapesse. Non ho unattimo di respiro. Ho sempre da fare, lavorosempre, o per me, o per mio marito; c’è sempre dafare, non mi fermo mai. Non è vero, ragazze?Adesso ho preso il tombolo per divertimento.Cara signora Tonina! Cento volte mi sono detta divenire da lei, e non ho mai potuto. Non è vero,ragazze? TONINA – Venga da me a veder passare le maschere. ORSETTA – Sì, cara zia, andiamo. CHIARETTA – Cara madrina, ci verrò anche io. GIULIA – Basta, lo chiederò a mio marito. TONINA – Signora Giulia, quando la sposa suanipote?GIULIA – C’è tempo.ORSETTA – (Sì, certo, c’è tempo). da séGIULIA – E poi non sono sua madre. Qualchevolta viene a trovarmi, le voglio bene, ma non miintrometto in queste cose.CHIARETTA – E a me, signora madrina, mi vuolbene? GIULIA – Pensi che non ti voglia bene? TONINA – È la sua figlioccia, quella bella ragazza? CHIARETTA – Per servirla. GIULIA – È figlia di una mia amica che si èsposata fuori Venezia. Mi viene a trovare quasiogni anno per il carnevale e sta con me quindici,venti giorni.CHIARETTA – Quest’anno non ci siamo ancoramascherate. ORSETTA – Non abbiamo visto neanche unacommedia. GIULIA – Non avete visto che tempo ha fattoquesto carnevale? TONINA – Io sono stata una volta all’Opera incompagnia di una, perché non ho potuto farne ameno; ma non ci vado più. GIULIA – Con chi è stata, cara?

TONINA – La conosce la signora Lugrezia?Quella vedova che sta quasi di fronte a casa mia. GIULIA – Quella che era sposata con quellospeziale di confetti? TONINA – Sì signora, quella presuntuosa. GIULIA – La conosco. TONINA – Che è solo apparenza?GIULIA – Sì, sì, la conosco... TONINA – Quando era vivo suo marito non eracosì sfacciata.GIULIA – Non lo dica a me che la conosco dallaa alla zeta.TONINA – Lei frequenta tutti i teatri. Tutte leprime sono sue. Abiti, non ne parliamo. Tabarricon tanto di bordo, bautta di pizzo. Gran cose,roba da ricchi. GIULIA – E poi dicono: state zitte; non dite male;non mormorate. Ma bisogna parlare per forza.Come diavolo si può permettere questi lussi!Entrate, perdiana non ne ha! TONINA – Dice che vince al lotto. GIULIA – Beata ingenuità! Ci vuole altro che illotto! Signora Tonina, se potessi parlare! TONINA – Cara signora, se sa qualcosa, me lodica, che mi fa un favore. Deve sapere che in casasua ci va anche mio marito. GIULIA – Dice sul serio? Il signor Todero lafrequenta? TONINA – Sì signora, ci va. L’ho visto io conquesti occhi. GIULIA – E lei lo lascia andare, e non dice niente? TONINA – Non credo ci sia niente di male. GIULIA – Signora Tonina, è mia amica? TONINA – Come no? GIULIA – Accetti il mio consiglio, non lo lasciandare da quella lì.TONINA – No? Perché? GIULIA – Maledizione!... Non posso parlare...Ragazze, andate sul balcone; andate a vedere chetempo fa. ORSETTA – Sì signora, andiamo. (Le vuoleraccontare della signora Lugrezia). (a Chiaretta)CHIARETTA – (Mi manda via ma a me haraccontato tutto). ORSETTA – (Anche a me l’ha detto che ci va ilsignor zio). (partono)GIULIA – Maledette!TONINA – Cara, mi dica.

Scena seconda

Signora Giulia e signora Tonina

GIULIA – Sappia, signora Tonina, che io sono

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una donna che no dise mal de nissun, che nonintendo de pregiudicar quella creatura né poco,né assae. Ghe conterò solamente quel che me xesuccesso a mi. La sappia, siora, ma no la digagnente, sala?TONINA – Oh, no la se indubita. GIULIA – Cognossela mio mario? Sala che omoche el xe? TONINA – Caspita, se el cognosso! Co se disesior Boldo orese, no se va più avanti. GIULIA – La indovina mo: mo sì anca, per diana,che la cara siora Lugrezia la me l’aveva fattozoso. TONINA – Eh via! GIULIA – Sì, da quella che son, che el gh’andavatre o quattro volte alla settimana, e fina do volte alzorno. TONINA – A cossa far? GIULIA – Indovinela ti grillo. Per causa de stasporca, sala, siora Tonina, mio mario el xearrivà... a darme una sleppa. TONINA – Oh, cossa che la me conta! GIULIA – Sì, se ghe voggio ben, che la xe cussì.Oe, no ghe digo altro, che voleva far devorzio. Mase so che el ghe torna, poveretta ela! TONINA – Ma sior Boldo no par omo da stecosse. GIULIA – Eh cara siora! Le gh’ha un’arte custie,che... no so gnente, le i fa cascar. TONINA – Sala, siora Giulia, che la me mette insospetto anca de mio mario? GIULIA – Oh, la xe pur bona, siora, a lassarloandar. TONINA – In verità, che voggio averzer i occhi. GIULIA – La farà ben, la farà da donna; perchéla senta, siora Tonina, so mario xe zovene più delmio, ma certe fegure no le se contenta miga de leconversazion, le vol che i spenda i omeni, le volche i spenda. TONINA – E mio mario xe de quelli che li buttavia co la pala. GIULIA – Siora Tonina, quel che ho dito, l’ho ditoperché ghe son amiga; del resto mi tendo ai fattimii, no ghe penso de nissun, e da la mia bocca nola sentirà a dir mal de nissun.

Scena Terza

Orsetta, Chiaretta e dette.

ORSETTA – Oe, sior’àmia, xe vegnù fora el sol. CHIARETTA –Oh, che bel tempo d’andar in mascara! GIULIA – Via, ancuo andaremo. Za che siora

Tonina ne vol favorir, andaremo a darghe unpochetto de incomodo. TONINA – Oh, cossa disela, siora Giulia? La mefarà una finezza. GIULIA – Vegniremo a favorirla tutte tre insieme. TONINA – Siora Giulia, xe ora che ghe leval’incomodo. GIULIA – La vol andar via cussì presto? TONINA – Siora sì, bisogna che vaga a trovarmia zermana, che la xe in letto da parto. GIULIA – Chi? Sior’Andriana? TONINA – Siora sì. La cognossela? GIULIA – No vorla? Cossa ala fatto? TONINA – Un puttelo. GIULIA – Sì? Brava. Gh’ho a caro, sì da senno.La la reverissa tanto da parte mia. TONINA – Porterò le so grazie. Patrona, sioraGiulia. GIULIA – Patrona, siora Tonina. La diga: chi alaabuo per compare?TONINA – Un lustrissimo da de fora. GIULIA – Caspita! la gh’averà buttà ben. TONINA – Patrona, siora Orsetta. ORSETTA – Patrona, siora Tonina. GIULIA – Oe, la diga, cossa gh’alo donà elcompare? TONINA – Un bel da gnente niovo. Eh, no se usapiù. GIULIA – Sì ben, a la granda, a la granda; gnente. TONINA – Patrona, siora Chiaretta. CHIARETTA – Patrona, siora Tonina. TONINA – Patrone, patrone. A TRE Patrona, patrona. TONINA – Patrone. (parte)

Scena quarta

Siora Giulia, Orsetta e Chiaretta

GIULIA – De diana, co la se petta, no la la fenissemai. ORSETTA – Se andemo ancuo, la ne parecchieràda marenda.CHIARETTA – Mi a pettarme su un balcon, nogh’ho gnente de gusto; co no andemo sul Liston,mi no vegno gnanca fora de casa. GIULIA – Cossa voleu che andemo a far sulListon? Ghe xe un mondo de baronaggia, che nose pol camminar. Truffaldini, purichinelli, gnaghe,tutti baroni ghe corre drio, e co se gh’ha intornoqualcossa de bon, se va a rischio de imbrattarse.No, no fie mie; la roba la costa bezzi. Anderemoda siora Tonina, vederemo a passar le mascare.

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una donna che non parla male di nessuno, e nonho intenzione di dare giudizi su quella lì. Le diròsolo quello che è successo a me. Ascolti, signora,ma non dica niente, sa?TONINA – Non si preoccupi. GIULIA – Conosce mio marito? Sa che uomo è? TONINA – Caspita, se lo conosco! Quando sidice il signor Boldo l’orefice non serve dire altro. GIULIA – Indovini un po’: perdiana, la carasignora Lugrezia me l’aveva sedotto. TONINA – Eh via! GIULIA – Sì, glielo giuro, ci andava tre o quattrovolte alla settimana, e anche due volte al giorno. TONINA – A far cosa? GIULIA – Vallo a indovinare! Per causa di questasporca, sa, signora Tonina, mio marito è arrivatoa... a darmi uno schiaffo. TONINA – Cosa mi racconta! GIULIA – Sì, in fede mia, è così. Le dico solo chevolevo divorziare. TONINA – Come ha risolto? GIULIA – Un mio amico si è preso l’impegno dirisolverla e l’abbiamo risolta; ma se ci torna,poveretta lei! TONINA – Ma il signor Boldo non sembra untipo da fare cose del genere. GIULIA – Cara signora! Hanno un’arte queste,che... non lo so, li fanno cascare. TONINA – Sa, signora Giulia, mi fa sospettareanche di mio marito? GIULIA – È troppo buona, signora, a lasciarloandare. TONINA – Davvero, vorrei vederci chiaro. GIULIA – Farà bene, si comporterà da donna;perché senta, signora Tonina, suo marito è piùgiovane del mio, ma certe persone non siaccontentano mica della conversazione, voglionofarli spendere gli uomini, vogliono farli spendere. TONINA – E mio marito è uno di quelli che libutta via a palate. GIULIA – Signora Tonina, quello che ho detto,l’ho detto perché sono sua amica; per il resto io mioccupo dei fatti miei, e non mi interesso agli altri,e dalla mia bocca non sentirà parlar male dinessuno.

Scena Terza

Orsetta, Chiaretta e dette.

ORSETTA – Signora zia, è uscito il sole. CHIARETTA – Che bel tempo per mascherarsi! GIULIA – Va bene, oggi andremo. Visto che la

signora Tonina ci ha invitate, andremo adisturbarla un po’. TONINA – Cosa dice, signora Giulia? Mi faràuna cortesia. GIULIA – Verremo a trovarla tutte tre insieme. TONINA – Signora Giulia, è ora che tolga ildisturbo. GIULIA – Vuole andare via così presto? TONINA – Sì signora, devo andare a trovare miacugina che ha appena partorito. GIULIA – Chi? La signora Adriana? TONINA – Sì signora. La conosce? GIULIA – Come no? Cosa ha avuto? TONINA – Un maschietto. GIULIA – Sì? Brava. Mi fa piacere, davvero. Lasaluti tanto da parte mia. TONINA – Le porterò i suoi saluti. Padrona,signora Giulia. GIULIA – Padrona, signora Tonina. Mi dica: chiha avuto come padrino per il battesimo? TONINA – Un forestiero illustre. GIULIA – Caspita! Le sarà andata bene! TONINA – Padrona, signora Orsetta. ORSETTA – Padrona, signora Tonina. GIULIA – Dica, cosa le ha regalato il padrino? TONINA – Un bel niente. Non si usa più. GIULIA – Eh sì, alla grande, alla grande; niente. TONINA – Padrona, signora Chiaretta. CHIARETTA – Padrona, signora Tonina. TONINA – Padrone, padrone. A TRE Padrona, padrona. TONINA – Padrone. (parte)

Scena quarta

Signora Giulia, Orsetta e Chiaretta

GIULIA – Perdiana, quando comincia non lafinisce più. ORSETTA – Se andiamo oggi, ci preparerà lamerenda.CHIARETTA – Io a stare ferma su un balconenon mi diverto per niente; se non andiamo apasseggiare in strada io non esco neanche. GIULIA – Cosa vorreste andare a fare in strada?C’è un mucchio di gentaglia che non si puòcamminare. Truffaldini, pulcinella, gnaghe* , tuttii furbi gli corrono dietro, e quando si trovaqualcosa di buono, si rischia di sporcarsi. No, nofiglie mie; la roba costa soldi. Andremo dallasignora Tonina, e guarderemo le maschere chepassano. Se non altro, ci darà del vino dolce, e poichi lo sa? Non si sa mai. Anche da lei ci vanno dei

*maschera maschile per travestirsi da donne

Se no altro, la ne darà del vin dolce, e po chi sa?No ve dubitè gnente. Anca da ele ghe va deiscartozzetti, i se farà onor. Anca nu beccoleremoqualcossa. (parte)

Scena quinta

Chiaretta e Orsetta

CHIARETTA – Ghe ne passa assae mascare doveche sta siora Tonina? ORSETTA – No voleu! Ghe ne passa un mondo.La sta in Frezzaria.CHIARETTA – Cossa soggio mi de Frezzaria? Noson miga pratica mi de Venezia. ORSETTA – Oh, mi almanco so andar per tutto. CHIARETTA – Andeu a spasso? ORSETTA – Varè! Seguro che vago. CHIARETTA – Con chi andeu? ORSETTA – Co mia siora mare. Oe, la me mena pertutto. Anca l’altro zorno semo stae a bever el caffè. CHIARETTA – Chi ve l’ha pagà? ORSETTA – Cognosseu sior Baseggio? CHIARETTA – Quello dall’altro zorno? ORSETTA – Sì ben, quello che n’ha dà i confetti. CHIARETTA – Quello v’ha pagà el caffè? ORSETTA – Siora sì. Varè che maraveggie! CHIARETTA – Via, via, gh’ho a caro. (con ironia)ORSETTA – Oe, no ti sa? CHIARETTA – Cossa? ORSETTA – Sior Baseggio... Ma vardè ben no dirgnente a sior’àmia. CHIARETTA – No, no, no ve dubitè. ORSETTA – El me vol ben. CHIARETTA – Sì, gh’ho a caro. ORSETTA – Cossa gh’aveu che me parè sbattuetta? CHIARETTA – Gnente. Cossa voleu che gh’abbia? ORSETTA – Sentì, Chiaretta. Mi son una puttaschietta e sincera. Se gh’avè qualche pretensionsu sto putto, disemelo liberamente. CHIARETTA – Co volè che ve la diga, ve la dirò.Sior Baseggio xe un pezzo che el cognosso. Foral’ho praticà; s’avemo fatto un pochetto l’amor, eme par assae che adesso el me voggia lassar. ORSETTA – Cara Chiaretta, mi no so cossa dir,me despiase che de amighe abbiemo da deventarnemighe. CHIARETTA – Feu conto de tenderghe a stoputto? ORSETTA – Mi no so gnente. Mi son una puttache fazzo a modo de mia siora mare. Se la me diràche lo lassa, lo lasserò, se la me dirà che ghetenda, ghe tenderò. (parte)

CHIARETTA – Ma pussibile che Baseggio melassa? Tocco de desgrazià! Se lo trovo, ghe ne vôidir tante, quante se ghe ne dise a un porco. (parte)

Scena sesta

Camera de siora Lugrezia. Siora Lugrezia e sior Boldo.

LUGREZIA – Caro sior Boldo, mi no so cossadir; vostra muggier ha buo da dir che vegnì incasa mia, che spendè, che spandè, che perdè eltempo, e altre bagattelle che taso per reputazion.Mi son una donna onorata. Co giera vivo siorBiasio mio mario, nissun ha mai podestointaccarme gnanca una fregola; e adesso che sonvedoa, no voggio esser menada per lengua, novoggio che se meva capei, in materia de ste cosseson suttila co fa l’oggio; e ca de Diana! sondonna capace de farghe tornar le parole in gola achi dise gnente dei fatti mii. BOLDO – Via, cara siora Lugrezia, no ve scaldè.Sè cognossua, se sa chi sè, e mi no son quell’omoche ve possa pregiudicar. Mia muggier gh’hapoco giudizio; su sto proposito ho dito tanto chebasta, e se la farà la matta, ghe darò de le altresleppe. LUGREZIA – Oh! no, no, sior, no voggio che percausa mia ghe dè a vostra muggier. Figurève! Noghe mancherave altro. Allora sì la me canteria lasolfa pulito con quella pettazza de so nezza, conquella frasconazza de so fiozza. Sior Boldo, femesto servizio, in casa mia no ghe stè a vegnir. BOLDO – No saveu, siora, cossa dise elproverbio? Mal no far, e paura no aver. Mi novegno da vu né per licar, né per puttelarie, né perfrascarie; vegno per interessi, vegno per cosse desustanzia. Savè pur che domattina se cava el lotto.Mi gh’ho do numeri seguri. So che vu ghe n’avèuno, che no falla mai; bisogna unirli, se volemochiappar sto terno. LUGREZIA – Oh! mi, fradel caro, ghe n’ho tre deseguri sta volta. BOLDO – Oe, tre e do cinque. Chiappemo lacinquina. LUGREZIA – Diseme i vostri do, e mi ve dirò i mitre. BOLDO – Sì ben, son vegnù qua per questo. LUGREZIA – Me despiase... No vorria che vostramuggier lo savesse. BOLDO – Figureve, se voggio che mia muggierme leva la mia fortuna. LUGREZIA – Oe, dopo che son vedoa, ho

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ragazzi, e si faranno onore. Rimarrà qualcosaanche per noi. (parte)

Scena quinta

Chiaretta e Orsetta

CHIARETTA – Passano tante maschere dove stala signora Tonina? ORSETTA – Come no! Ne passano un sacco. Stain Frezzeria.CHIARETTA – Che ne so io della Frezzeria? Nonsono mica pratica di Venezia. ORSETTA – Io invece so andare in girodappertutto. CHIARETTA – Andate in giro? ORSETTA – Guarda un po’! Certo che ci vado. CHIARETTA – Con chi andate? ORSETTA – Con mia madre. Mi portadappertutto. Anche l’altro giorno siamo state abere il caffè. CHIARETTA – Chi ve l’ha pagato? ORSETTA – Conoscete il signor Baseggio? CHIARETTA – Quello dell’altro giorno? ORSETTA – Sì, quello che ci ha dato i confetti. CHIARETTA – Quello vi ha pagato il caffè? ORSETTA – Sì signora. Cosa c’è di strano! CHIARETTA – Via, via, mi fa piacere. (con ironia)ORSETTA – Non lo sai? CHIARETTA – Cosa? ORSETTA – Il signor Baseggio... Ma badate dinon dire niente alla signora zia. CHIARETTA – No, no, non preoccupatevi. ORSETTA – Mi vuole bene. CHIARETTA – Sì, mi fa piacere. ORSETTA – Cosa avete che mi sembrate palliduccia? CHIARETTA – Niente. Cosa volete che abbia? ORSETTA – Sentite, Chiaretta. Io sono unaragazza schietta e sincera. Se avete qualcheinteresse per questo ragazzo, ditemelotranquillamente. CHIARETTA – Se volete che ve lo dica, ve lodirò. Il sior Baseggio è un pezzo che lo conosco.Fuori Venezia l’ho frequentato; siamo stati un po’insieme e mi sembra strano che mi voglia lasciare. ORSETTA – Cara Chiaretta, non so cosa dire, midispiace che da amiche dobbiamo diventare nemiche. CHIARETTA – Vi interessa davvero questo ragazzo? ORSETTA – Non lo so. Io sono una ragazza chefa quello che dice sua madre. Se mi dirà dilasciarlo lo lascerò, se mi dirà di tenerlo, me loterrò. (parte)

CHIARETTA – Ma possibile che Baseggio voglialasciarmi? Disgraziato! Se lo trovo, gliene vogliodire tante quante se ne dicono a un porco. (parte)

Scena sesta

Camera della signora Lugrezia. La signora Lugrezia e il signor Boldo.

LUGREZIA – Caro signor Boldo, non so chedire, vostra moglie ha avuto da ridire che venite incasa mia, che spendete, che spandete, che perdetetempo e altre cose che non dico per convenienza.Io sono una donna rispettabile. Quando era vivo ilsignor Biasio mio marito, nessuno ha mai potutorimproverarmi neanche la più piccola cosa; eadesso che sono vedova, non voglio che si parlimale di me, non voglio che mi si calunni; perqueste cose sono molto attenta; e perdiana! Sonouna capace di ricacciare le parole in gola a chi siimpiccia dei fatti miei. BOLDO – Via, cara signora Lugrezia, non viarrabbiate. Siete conosciuta, si sa chi siete, e ionon sono certo che può rovinarvi la reputazione.Mia moglie non sa che dice; su questo non hoaltro da aggiungere, e se farà la matta, gliene daròancora. LUGREZIA – No, no, signore, non voglio che percausa mia picchiate vostra moglie. Figurarsi! Cimancherebbe altro. Allora sì che sparlerebbedavvero insieme a quella pettegola di sua nipote ea quella presuntuosa della figlioccia. SignorBoldo, fatemi questo favore, non venite più incasa mia. BOLDO – Non sapete, signora, cosa dice ilproverbio? Male non fare, e paura non avere. Ionon vengo da voi per adularvi, per cavolate, o perstupidaggini; vengo per affari, vengo per affariimportanti. Sapete che domattina si estrae il lotto.Io ho due numeri sicuri. So che voi ne avete uno,che non sbaglia mai; bisogna metterli assieme perbeccare questo terno. LUGREZIA – Io, caro fratello, ne ho tre sicuri stavolta. BOLDO – Tre e due cinque. Becchiamo lacinquina. LUGREZIA – Ditemi i vostri due, e io vi dirò imiei tre. BOLDO – Sono venuto qua per questo. LUGREZIA – Mi spiace... Non vorrei che vostramoglie venisse a saperlo. BOLDO – Figuratevi, se voglio che mia mogliemi faccia perdere quest’occasione. LUGREZIA – Da quando sono vedova, ho

chiappà do terni e cinque ambi. Vedeu sti manini?Li gh’ho per causa del lotto. M’ho fatto dellabella robetta. El mondo mo dise che fazzo, chebrigo, ma mi lasso che i diga, e i fatti mii no liconto a nissun. BOLDO – Mo via, cara siora Lugrezia, fermevadagnar sto terno anca a mi. A vu ve confidoquel che no sa nissun a sto mondo. In bottega nogh’ho debotto più gnente. No gh’ho altri arzenti,che quei pochi che vedè in mostra, e sta mattinaper metter una firma ho rotto el collo a unascatola de Franza, e gh’ho perso drentovintiquattro lire. LUGREZIA – Consoleve, che no sè solo. Sesavessi quanti che ghe ne xe, che no gh’ha altroche la mostra! E quanti che tiol de la robaimpréstio, per coverzer le so magagne! Orsù,lassemo andar ste malinconie. Che numerigh’aveu? BOLDO – El 29 e el 58. LUGREZIA – El 29 me piase, ma el 58 no, vedè. BOLDO – E sì mo l’ho cavà da una cabala cheno falla mai. LUGREZIA – Mi a le cabale no ghe credo. I miinsoni i xe altro che cabale! BOLDO – I ho fatti provar da mia nezza, e i gh’haresposo pulito. LUGREZIA – Cossa s’ala insunià? BOLDO – Fogo; un mondo de fogo. LUGREZIA – Sì ben, fogo xe bon segno; ma el 58nol vien seguro. BOLDO – Mo perché? LUGREZIA – Oh, nol vien certo! Vedè ben, carovu, i agnelli i dà el 58 e mi xe tre notte che meinsonio dei orsi; el xe l’88. BOLDO – E pur sti do numeri i me piase. LUGREZIA – 29 sì, ma 58 no. BOLDO – Diseme mo i vostri. LUGREZIA – Sentì, se de tre no ghè ne vien do,muème el nome: 8, 37 e 88. BOLDO – 8, 37, 88? No, l’8 no. LUGREZIA – Oh, cossa diseu? El xe seguro, gheziogherave la testa. Sentì se el pol esser più chiarode cussì. Me par che fusse vivo el poveretto demio mario. Savè che el giera cussì ridottolo,aliegro. (Oh, siestu benedetto dove che ti xe!) Ecussì el fa, el dise: Lugrezia, vustu mandolato? Sìben, digo. Tiò, el dise; e el me ne dà tanto depezzo. Savè che el mandolato dà l’8. Ma gnente,sentì se el pol esser più chiaro. Ho tiolto stomandolato, e me l’ho magnà tutto. Co l’homagnà, me par che mio mario me vegna arente, eche el me diga: Oe, Lugrezia, t’ho dà elmandolato, me dastu gnente? E mi che savè che

son sempre stada co mio mario, poveretto, unpoco rusteghetta, vòlteghe la schena, e via.Vedeu? Capìu, sior Boldo? Saveu cossa che xel’8? Ah! ve par che siemo a segno? BOLDO – Sì ben, l’8 xe seguro. LUGREZIA – Oh! co mi ve digo una cossa, podèstar coi vostri occhi serai. Su l’8 ghe zogheria lacamisa. BOLDO – Via, femo sta cinquina: 8, 37, 58, 29 e 88. LUGREZIA – El 58 no lo voggio. BOLDO – Mo per cossa? LUGREZIA – Nol xe bon. L’ho provà za quindesezorni, e me son insunià del sangue. BOLDO – Sangue de cossa? LUGREZIA – Sangue. No gh’è bisogno che vediga de cossa. BOLDO – Mo ghe xe del sangue bon e del sanguecattivo.LUGREZIA – Mo via, co ve digo che nol xe bon,nol xe bon.BOLDO – Cavemo donca el 58: che numero ghemetteremio?LUGREZIA – Mettemoghe... el 90. BOLDO – Oh, sempre sto 90! LUGREZIA – Sta volta mo el me piase. BOLDO – Per cossa ve piaselo? LUGREZIA – Perché ogni volta che me insoniocampanili, vien fora el 90. BOLDO – V’aveu insunià campanili alti? LUGREZIA – Oe, xe tre notte che me par de véderel svolo del zioba grasso. Ve par che el campanilsia alto? BOLDO – Sì ben, el 90. Mettemoli per regola.(cava carta e penna da lapis) 8, 29, 37, 88 e 90. LUGREZIA – Se no vadagnemo el terno sta volta,spuème in tel muso. BOLDO –De quanto voleu che zioghemo sta cinquina? LUGREZIA – Mi no vôi zogar altro che tre lire. BOLDO – Tre lire sole! Numeri de sta sorte, xepeccà a no zogarli de assae. LUGREZIA – De quanto i vorressi ziogar? BOLDO – Almanco de mille. LUGREZIA – Terno secco? BOLDO – Oh giusto! Ambo diese. LUGREZIA – Oh, ghe vol troppo! BOLDO – Ghe vorrà vintiquattro lire e sedese soldi. LUGREZIA – Fe una cossa, sior Boldo, zoghelivu a mità, e mettè fora i bezzi, che ve li darò. Mecredeu? BOLDO – No ghe xe sti bisogni; sè parona. LUGREZIA – Ma zioghei de do mille, savè? BOLDO – Siora sì. LUGREZIA – E ambo vinti. BOLDO – Volentiera.

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beccato due terni e cinque ambi. Vedete questibraccialetti? Merito del lotto. Mi sono fatta dellabella roba. Tutti dicono che faccio, che brigo, malascio che dicano, e i fatti miei non li racconto anessuno. BOLDO – Via, cara signora Lugrezia, fatemivincere questo terno. Vi confido una cosa che nonsa nessuno. In bottega non ho quasi più niente. Hosolo quella poca argenteria che vedete esposta, equesta mattina per via di una cambiale ho vendutouna scatola di Francia, e ci ho rimessoventiquattro lire. LUGREZIA – Consolatevi, non siete l’unico. Sesapeste quanti ce ne sono che non hanno altrooltre quello che mostrano! E quanti che prendonola roba in prestito, per coprire quello che nonhanno! Su, lasciamo stare queste malinconie. Chenumeri avete?BOLDO – Il 29 e il 58. LUGREZIA – Il 29 mi piace, ma il 58 no. BOLDO – Eppure l’ho tirato fuori da una cabalache non sbaglia mai. LUGREZIA – Io alle cabale non ci credo. I mieisogni sono molto meglio delle cabale! BOLDO – Li ho messi alla prova con mia nipotee hanno risposto bene. LUGREZIA – Cosa si è sognata? BOLDO – Fuoco; un mondo di fuoco. LUGREZIA – Bene, il fuoco è un buon segno; mail 58 non esce di sicuro. BOLDO – Ma perché? LUGREZIA – Non esce sicuro! Vedete, caro, gliagnelli danno il 58 e io è tre notti che sogno orsi; l’88. BOLDO – Però questi due numeri mi piacciono. LUGREZIA – Il 29 sì, ma il 58 no. BOLDO – Ditemi i vostri. LUGREZIA – Sentite, se di tre non escono due,non mi chiamo più Lugrezia: 8, 37 e 88. BOLDO – 8, 37, 88? No, l’8 no. LUGREZIA – Che dite? È sicuro, ci giocherei latesta. Sentite se può essere più chiaro di così. Misembrava fosse vivo quel poveretto di mio marito.Sapete che era un tipo allegro. (Che tu siabenedetto dovunque tu sia!) E fa così, dice:Lugrezia, vuoi del mandorlato? Sì, dico. Prendi,dice; e me ne dà un bel pezzo. Sapete che ilmandorlato dà l’8. Ma sentite se può essere piùchiaro. Ho preso il mandorlato, e me lo sonomangiato tutto. Dopo averlo mangiato, mi sembrache mio marito mi venga vicino, e mi dica: Oh,Lugrezia, t’ho dato il mandorlato, non mi dainiente? E io, che sapete sono sempre stata conmio marito, poveretto, un poco rustica, mi volto dischiena, e via. Visto? Capito, signor Boldo?

Sapete cos’è l’8? Ah! Non vi sembra che cisiamo? BOLDO – Sì sì, l’8 è sicuro. LUGREZIA – Quando io vi dico una cosa, potetestar tranquillo. Sull’8 mi giocherei la camicia. BOLDO – Via, facciamo questa cinquina: 8, 37,58, 29 e 88. LUGREZIA – Il 58 non lo voglio. BOLDO – Ma perché? LUGREZIA – Non è buono. L’ho già provatoquindici giorni fa, e mi sono sognata sangue. BOLDO – Sangue di che tipo? LUGREZIA – Sangue. Non c’è bisogno che vidica di che tipo. BOLDO – Ma c’è sangue buono e sangue cattivo.LUGREZIA – Ma via, se vi dico che non èbuono, non è buono.BOLDO – Allora togliamo il 58: che numero mettiamo?LUGREZIA – Mettiamoci... il 90. BOLDO – Oh, sempre sto 90! LUGREZIA – Stavolta però mi piace. BOLDO – Perché vi piace? LUGREZIA – Perché ogni volta che mi sognocampanili, viene fuori il 90. BOLDO – Vi siete sognata campanili alti? LUGREZIA – Sono tre notti che mi sembra divedere il volo di giovedì grasso. Vi sembra che ilcampanile sia alto? BOLDO – Va bene il 90. Mettiamoli giù per bene.(estrae carta e matita) 8, 29, 37, 88 e 90. LUGREZIA – Se non vinciamo il terno questavolta, sputatemi in faccia. BOLDO – Di quanto volete che giochiamo questacinquina? LUGREZIA – Io non vorrei giocare più di tre lire. BOLDO – Solo tre lire! Con numeri di questogenere, è un peccato non giocare di più. LUGREZIA – E quanto vorreste giocare? BOLDO – Almeno mille. LUGREZIA – Terno secco? BOLDO – Sì! Ambo dieci. LUGREZIA – Ci vuole troppo! BOLDO – Ci vorranno ventiquattro lire e sedici soldi. LUGREZIA – Fate una cosa, signor Boldo,giochiamoli metà per uno, voi anticipate i soldi, iopoi ve li darò. Vi fidate? BOLDO – Non ci sono problemi; siete padrona. LUGREZIA – Ma giocatene duemila, mi raccomando. BOLDO – Sì signora. LUGREZIA – E ambo venti. BOLDO – Volentieri. LUGREZIA – Via, signor Boldo, andate a giocarlisubito. BOLDO – Subito.

LUGREZIA – Via, sior Boldo, andeli a zogar subito. BOLDO – Subito. LUGREZIA – E la firma portemela a mi. BOLDO – Vu volè la firma? LUGREZIA – Sì ben, perché, vedeu? la notte mela metto sotto el cavazzal, e la mattina ve so dir deseguro se avemo venzo o se avemo perso. BOLDO – Eh, che avemo da vadagnar seguro. Nov’indubitè. LUGREZIA – N’importa, n’importa, portemelache gh’ho bon augurio. Ogni volta che ho abuo lefirme fora de man, ho sempre perso. BOLDO – Via, ve la porterò. LUGREZIA – I batte. BOLDO – No vorave esser visto. LUGREZIA – Andè in cusina, diseghe alla servache la varda chi è. Se xe qualchedun che ve dagaombra, lassè che el vegna, e po andè via. BOLDO – Brava, siora Lugrezia, sè una donna degarbo. LUGREZIA – Ma vardè ben che vostra muggier... BOLDO – Eh, se vadagno un terno grosso, gh’hoin tel cesto mia muggier e tutti i mi parenti. (parte)LUGREZIA – A bon conto sta volta ho sparagnà ibezzi, e vago a rischio da vadagnar. O de riffe, ode raffe, la voggio sticcar seguro. Chi no se agiutase niega. Son vedoa, nessun me ne dà.

Scena settima

Sior Todero e siora Lugrezia

TODERO – Patrona, siora Lugrezia. LUGREZIA – Oh patron, sior Todero! Che bon vento? TODERO – Vento cattivo, siora Lugrezia. LUGREZIA – Cossa vol dir? TODERO – I ho persi tutti. LUGREZIA – Poverazzo! me despiase da senno.Mo no zioghè, caro fio; aveu perso assae? TODERO – Ho perso vinti ducati che gh’aveva inscarsella; ma quel che stimo è che ghe n’ho persotrenta sulla parola. LUGREZIA – Oh putto, putto, ve volè ruvinar. Evostra muggier, poverazza, cossa dirala? TODERO – Eh, mia muggier no me fa né freddo,né caldo; me despiase che, se no pago sti trentaducati, i me vien a svergognar sulla bottega. LUGREZIA – Mo paghèli, caspita; no perdè elconcetto per cussì poco. TODERO – Per questo, siora Lugrezia, son vegnùda vu a pregarve de sto servizio, che meimprestessi sti trenta ducati, fina che vendo certatela muneghina, che no passerà quindese zorni

che gh’averè i vostri bezzi. LUGREZIA – Oh, caro fio, adesso no ghe n’ho!Ho pagà el fitto giusto gieri. Ho fatto delle altrespese. Credeme, sior Todero, che no ghe n’ho. TODERO – M’avè fatto sto servizio delle altrevolte, e son stà pontual. LUGREZIA – Xe vero, de vu no me possolamentar. TODERO – Vardè, ve lasso in pegno stacamisiola...LUGREZIA – Per quanto? TODERO – Aspettè; anca sto codegugno. LUGREZIA – Oh sior Todero, sta roba no val stibezzi. TODERO – Tolè, ve darò anca sta scatola. LUGREZIA – Quanto varla? TODERO – L’ho comprada sta mattina da siorBoldo orese. Gh’ho dà tre zecchini e la ghe ne valpiù de quattro. LUGREZIA – Me despiase che no credo d’avertutti i bezzi.TODERO – Cara siora Lugrezia, ve prego, fèmeloper carità. Se tratta della mia reputazion. Sentì,deme trenta ducati d’arzento e ve farò la ricevutade quaranta. LUGREZIA – Per darmeli quando? TODERO – Da qua a quindese zorni.LUGREZIA – Vardè, che se no me li dè, bisogneràche venda. Sti bezzi no xe mii, bisognerà che li trova. TODERO – Se no ve li dago, farè tutto quel che volè. LUGREZIA – Diseme, caro vu, se vegnissequalche mio amigo a domandarme per servizio,che ghe imprestasse per andar in maschera stacamisiola, o sto codegugno, ve contenteu che perservizio ghe lo impresta? TODERO – No vorria mo.... LUGREZIA – Cossa gh’aveu paura? No ve fidède mi? TODERO – No vorria che i me lo dezzipasse. LUGREZIA – Oh, no ve dubitè! E po, quandomai, son qua mi. TODERO – Mo a chi lo vorressi dar? LUGREZIA – Gh’ho un mio nevodo, che qualchevolta, poverazzo, el vien da mi e l’immaschero.Oh, no v’indubitè! el xe netto co fa un zensamin. TODERO – Basta, no so cossa dir. Sè parona detutto. Via, deme sti bezzi, che me cava sto spin dalcuor. LUGREZIA – Poverazzo, me fe peccà. Ve agiutovolentiera. Sentì, un’amiga della mia sortestenterè a trovarla. No gh’è caso: son de boncuor. (parte)TODERO – La xe de bon cuor, ma la me magnaottanta lire. Ah pazienza! Maledetto ziogo. (parte)

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LUGREZIA – E la ricevuta portatela a me. BOLDO – Volete voi la ricevuta? LUGREZIA – Certo, perché la notte me la mettosotto il cuscino, e la mattina vi so dire di sicuro seabbiamo vinto o se abbiamo perso.BOLDO – Eh, vinciamo di sicuro. Non preoccupatevi.LUGREZIA – Non importa, non importa,portatemela che porta bene. Tutte le volte che nonho avuto le ricevute in mano, ho sempre perso. BOLDO – Va bene, ve la porterò. LUGREZIA – Bussano. BOLDO – Non vorrei essere visto. LUGREZIA – Andate in cucina, dite alla servache guardi chi è. Se è qualcuno che vi disturba,lasciate che venga da me e poi andate via. BOLDO – Brava, signora Lugrezia, siete unadonna per bene.LUGREZIA – Ma state attento che vostra moglie... BOLDO – Eh, se vinco un terno grosso, glielometto in quel posto a mia moglie e a tutti i mieiparenti. (parte)LUGREZIA – Ad ogni modo stavolta horisparmiato i soldi, e rischio pure di guadagnarci.O in un modo o nell’altro, voglio passarmelabene. Chi non si aiuta, annega. Sono vedova,nessuno mi dà niente.

Scena settima

Il signor Todero e la signora Lugrezia

TODERO – Padrona, signora Lugrezia. LUGREZIA – Padrone, signor Todero! Qual buonvento? TODERO – Vento cattivo, signora Lugrezia. LUGREZIA – Cosa vuol dire? TODERO – Li ho persi tutti. LUGREZIA – Poveretto! Mi dispiace davvero.Ma non giocate, figlio mio; avete perso molto? TODERO – Ho perso venti ducati che avevo intasca; ma la cosa che mi dispiace di più è che neho persi trenta sulla parola. LUGREZIA – Oh ragazzo, ragazzo, vi voleterovinare. E vostra moglie, poveretta, cosa dirà? TODERO – Mia moglie non mi fa né caldo néfreddo; mi preoccupa che, se non pago questi trentaducati, mi vengono a svergognare in bottega. LUGREZIA – Ma pagateli, caspita; non perdete latesta per così poco. TODERO – Per questo, signora Lugrezia, sonovenuto da voi, a pregarvi di un favore, che miprestiate questi trenta ducati, finché non vendodella tela alle monache, e non passeranno quindici

giorni che riavrete i vostri soldi. LUGREZIA – Figlio caro, adesso non li ho! Hopagato l’affitto proprio ieri. Ho fatto altre spese.Credetemi, signor Todero, che non li ho. TODERO – Mi avete fatto questo favore dellealtre volte, e sono stato puntuale. LUGREZIA – È vero, di voi non mi posso lamentare. TODERO – Guardate, vi lascio in pegno questacamicia...LUGREZIA – Per quanto? TODERO – Aspettate; anche questo vestito? LUGREZIA – Signor Todero, questa roba nonvale quei soldi. TODERO – Prendete, vi darò anche questa scatola. LUGREZIA – Quanto vale? TODERO – L’ho comprata stamattina dal signorBoldo l’orefice. Gli ho dato tre zecchini e ne valepiù di quattro. LUGREZIA – Mi dispiace ma non credo di averetutti i soldi.TODERO – Cara signora Lugrezia, vi prego,fatelo per carità. Si tratta della mia reputazione.Sentite, datemi trenta ducati d’argento e vi farò laricevuta di quaranta. LUGREZIA – Per darmeli quando? TODERO – Da qui a quindici giorni. LUGREZIA – Guardate, che se non me li date,dovrò vendere la roba. Questi soldi non sono miei,bisognerà pure che li trovi. TODERO – Se non ve li do, fatene quello che volete. LUGREZIA – Ditemi, caro, se venisse qualchemio amico a chiedermi il favore di prestargliquesta camicia e questo vestito per mascherarsi, viandrebbe bene? TODERO – Non vorrei che... LUGREZIA – Di cosa avete paura? Non vi fidatedi me? TODERO – Non vorrei che me li rovinassero. LUGREZIA – Non vi preoccupate! E poi, nelcaso, ci sono qua io. TODERO – Ma a chi li vorrebbe dare? LUGREZIA – C’è un mio nipote, che qualchevolta, poveretto, viene da me e io gli do qualchecosa per mascherarsi. Non preoccupatevi! Èprofumato come un gelsomino. TODERO – Basta, non so cosa dire. Sietepadrona di tutto. Via, datemi questi soldi, così mitolgo questa spina dal cuore. LUGREZIA – Poveretto, mi fate pena. Vi aiutovolentieri. Sentite, un’amica come me farete faticaa trovarla. Non c’è niente da fare: sono di buoncuore. (parte)TODERO – È di buon cuore, ma mi mangiaottanta lire. Pazienza! Maledetto gioco. (parte)

Scena ottava

Sior Baseggio e Arlecchino

ARLECCHINO – Sior sì, questa xe la casa desiora Lugrezia. BASEGGIO – Mo dove xela? ARLECCHINO – L’ho mandada a chiamar dallaserva. Fermemose un pochettin, che la vegnirà. BASEGGIO – Xela ricca sta vedoa? ARLECCHINO – De dota credo che la possa staral par d’un’altra. BASEGGIO – Quanti anni gh’averala? ARLECCHINO – Oh, circa ai anni, le donne ledise la verità come i impresari dei teatri, co se ghedomanda se i ha perso o guadagnà. BASEGGIO – Ve domando cussì per curiosità, noza che ghe pensa, compare, perché gh’ho altrireziri. Ma per altro, el so far no me despiase. ARLECCHINO – Se v’ho da dir la verità, no lame despiase gnanca a mi. BASEGGIO – Ma vu sè un facchin. Cossa v’alada piaser o da despiaser? ARLECCHINO – Oh bella! Perché fazzo elfacchin, no m’ha da piaser una bella donna? Mocoss’elo el facchin? Elo fatto de carne de aseno? BASEGGIO – No digo che no la ve possa piaser,ma ela la xe quel che la xe, e vu sè quel che sè. ARLECCHINO – Son quel che son, e la servo daquel che son, e ela la me tratta da quel che l’è. BASEGGIO – Che vol dir mo? ARLECCHINO – Vol dir che mi ghe porto su lelegne, ghe traggo l’acqua, ghe spendo, ghe fazzodei altri servizi particolari, e ela no la me dà maignente. BASEGGIO – Ma vu per cossa lo feu? ARLECCHINO – Per aver la so bona grazia. BASEGGIO – E cussì buttè via le vostre fadighe? ARLECCHINO – Procuro anca mi de farmemerito col me mestier. El medego se introduse inte le case visitando qualche ammalà. L’avvocatoper occasion de qualche lite. El mercante dandoin credenza la so marcanzia. I poeti coi soneti. Isiori grandi co la protezion. E mi me introdugofazendo el facchin. BASEGGIO – Feu altro che el facchin? ARLECCHINO – A mi no me par de far altro. BASEGGIO – Ve deletteu gnente de far elmezzan? ARLECCHINO – Eh, perché no? La vede ben cheanca questo l’è un mestier, che se unisseperfettamente a quel del facchin. BASEGGIO – Diseme, caro amigo, averessidifficoltà a dirghe le parole per qualchedun?

ARLECCHINO – Gnente affatto. Centomilleparole le pesa manco de un sacco de farina. BASEGGIO – Lo faressi, siben che gh’avè dellapremura per ela? ARLECCHINO – Sior sì, anzi per questo. La miapremura l’è che la me voia ben a mi, e nom’importa che la voia ben a un altro. Nualtrifacchini che pratichemo in certe case ricche,vedemo tutto, savemo come la va, bisognacontentarse de quel che se pol. Lo fa unlustrissimo, e no lo pol far un facchin? BASEGGIO – (Un gran galiotto che xe custù! Sevolesse, el me batteria l’azzalin). (da sé)ARLECCHINO – Me par che la vegna. Vólelaparlar ela, o vólela che parla mi? BASEGGIO – No, no, quel che gh’ho da dir, ghelo posso dir anca mi. ARLECCHINO – Vólela restar sola, o vólela cheghe sia anca mi? BASEGGIO – Co la vien, voggio restar solo. ARLECCHINO – Donca la me manda via? BASEGGIO – Via, andè. ARLECCHINO – No posso miga andar, se no lame manda. BASEGGIO – Andè, che ve mando. ARLECCHINO – No basta. BASEGGIO – Ma cossa ghe vol? ARLECCHINO – Bisogna mandarme a farqualcossa. BASEGGIO – Ma cossa? ARLECCHINO – Per esempio, mandarme acomprar del tabacco, mandarme alla posta,mandarme al caffè. BASEGGIO – Via, andè a tor del tabacco. ARLECCHINO – La me favorissa i denari. BASEGGIO – Tolè sta lirazza. ARLECCHINO – Bravo! Vago a tor el tabacco, eacciò che el sia fresco, lo fazzo pestar, e no vegnose no l’è pestà. (parte)BASEGGIO – Oh che facchin desgrazià! Tanti etanti de costori i fa cussì. I chiappa possesso int’una casa e vol magnar. Se fusse innamorà insiora Lugrezia, starave fresco a passar per le mande custù. Eh mi, co fazzo l’amor, no vôi mezzetini!Fazzo da mia posta, e vadagno la sansaria.

Scena nona

Siora Lugrezia e sior Baseggio

LUGREZIA – Chi ghe xe qua? BASEGGIO – Siora Lugrezia, patrona... LUGREZIA – Oh patron, sior Baseggio.

Scena ottava

Il signor Baseggio e Arlecchino

ARLECCHINO – Signor sì, questa è la casa dellasignora Lugrezia. BASEGGIO – Ma dov’è? ARLECCHINO – L’ho fatta chiamare dalla serva.Aspettiamo un po’ e arriverà. BASEGGIO – È ricca questa vedova? ARLECCHINO – Quanto a dote credo stia al paridi qualsiasi altra. BASEGGIO – Quanti anni avrà? ARLECCHINO – Circa gli anni, le donne diconola verità come gli impresari dei teatri, quando sidomanda se hanno perso o guadagnato. BASEGGIO – Amico, vi domando così percuriosità, non perché ci pensi, perché ho altripensieri. Ma vi dirò che il suo modo di fare nonmi dispiace. ARLECCHINO – Se vi devo dire la verità, nondispiace neanche a me. BASEGGIO – Ma voi siete un facchino. Perchépiacervi o dispiacervi? ARLECCHINO – Oh bella! Perché faccio ilfacchino, non può piacermi una bella donna? Macos’è il facchino? È fatto di carne di asino? BASEGGIO – Non dico che non vi possa piacere,ma lei è quello che è, e voi siete quello che siete. ARLECCHINO – Sono quel che sono, e la servoda quel che sono, e lei mi tratta da quello che è. BASEGGIO – Che vuol dire? ARLECCHINO – Vuol dire che io le porto lalegna, le tiro su l’acqua dal pozzo, mi occupodella spesa, le faccio degli altri servizi particolari,e lei non mi dà mai niente. BASEGGIO – Ma voi perché lo fate? ARLECCHINO – Per avere la sua buona grazia. BASEGGIO – E sprecate così le vostre fatiche? ARLECCHINO – Cerco di farmi strada col miomestiere. Il medico entra nelle case visitandoqualche ammalato. L’avvocato in occasione diqualche lite. Il mercante dando a credito la suamerce. I poeti coi sonetti. I grandi signori con laprotezione. E io mi introduco facendo il facchino. BASEGGIO – Fate qualcos’altro oltre a fare ilfacchino? ARLECCHINO – A me non sembra di fare altro. BASEGGIO – Vi occupate per caso di fare da mezzano? ARLECCHINO – Eh, perché no? Certamenteanche questo è un mestiere, che si unisceperfettamente a quello del facchino. BASEGGIO – Ditemi, amico mio, avreste difficoltàa dire due parole da parte mia a qualcuno?

ARLECCHINO – Per niente. Centomila parolepesano meno di un sacco di farina. BASEGGIO – Lo fareste, anche se avetedell’interesse per lei? ARLECCHINO – Sì, signore, anzi proprio perquesto. Il mio interesse è che lei mi voglia bene, enon m’importa che voglia bene anche a un altro.Noi facchini che lavoriamo in certe case ricche,vediamo tutto, sappiamo come vanno le cose,bisogna accontentarsi di quel che si può fare. Lofa un illustrissimo, e non lo può fare un facchino? BASEGGIO – (Che canaglia che è questo qui! Sevolessi mi farebbe anche da ruffiano). (da sé)ARLECCHINO – Mi sembra che arrivi. Vuoleparlarle Lei o vuole che parli io? BASEGGIO – No, no, quello che devo dirle, loposso dire anche da me. ARLECCHINO – Vuole restare solo, o vuole checi sia anche io? BASEGGIO – Quando arriva, voglio restare solo. ARLECCHINO – Dunque mi manda via? BASEGGIO – Via, andate. ARLECCHINO – Non posso mica andare, se nonmi manda. BASEGGIO – Andate, che vi mando. ARLECCHINO – Non basta. BASEGGIO – Ma cosa ci vuole? ARLECCHINO – Bisogna mandarmi a fare qualcosa. BASEGGIO – Ma cosa? ARLECCHINO – Per esempio, mandarmi acomprare del tabacco, mandarmi alla posta,mandarmi al caffè. BASEGGIO – Via, andate a prendere del tabacco. ARLECCHINO – Mi dia i soldi. BASEGGIO – Prendete questa lirazza. ARLECCHINO – Bravo! Vado a prendere iltabacco, e perché sia fresco, lo faccio pestare, enon torno finché non è pestato. (parte)BASEGGIO – Che facchino disgraziato! Tanti etanti come lui fanno così. Prendono possesso diuna casa e vogliono mangiare. Se fossiinnamorato della signora Lugrezia, starei frescoad affidarmi a lui. Eh io, quando faccio la corte,non voglio mezzani! Faccio da solo, e risparmiola mancia.

Scena nona

La signora Lugrezia e il signor Baseggio

LUGREZIA – Chi c’è qua? BASEGGIO – Signora Lugrezia, padrona... LUGREZIA – Padrone, signor Baseggio.

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BASEGGIO – La compatissa, sala, se son vegnù adarghe incomodo. LUGREZIA – Oh, me maraveggio, el xe patron; elme fa finezza. BASEGGIO – Vorria pregarla d’un servizio. LUGREZIA – Anca do, se posso. BASEGGIO – Ancuo vorave andar in mascara, eno vorave esser cognossù. Me xe stà dito che incasa soa ghe sta una revendigola, che gh’ha deiabiti da nolizar, e mi col so mezzo vorriaqualcossa de sesto da travestirme. LUGREZIA – Oh caspita! Me despiase che donnaSgualda xe fora de casa. Se la vegnirà stasera... BASEGGIO – Mo no, me premeria per ancuo. LUGREZIA – Cossa ghe bisognerave? BASEGGIO – Tutto me comoda. Velada,codegugno, zamberlucco, tutto me serve.LUGREZIA – La gh’ha un codegugno e unacamisiola che saria giusto a proposito. BASEGGIO – Come mai se pol far? Dove lapoderavio andar a trovar? LUGREZIA – L’aspetta, sior, che anderò a véderse per sorte la camera fusse averta. Chi sa? De levolte no la la serra. BASEGGIO – Sì, cara ela, la vaga a véder. LUGREZIA – Vago subito. Oh putti, putti! el granbon tempo che gh’avè. (camminando)BASEGGIO – E ela se lo gode. LUGREZIA – Eh, fio mio, co se xe vedoe, se godepoco. (parte)

Scena decima

Sior Baseggio solo.

BASEGGIO – Ancuo ho d’andar a parlar co sioraOrsetta, e voggio andar in maschera. Quella so marela xe la più bona donna de sto mondo. Sempre percasa la fa fazende, no la dà gnente de suggizion...Cossa dirà Chiaretta? Poverazza! Basta, mi adessono dago zo la bacchetta né per l’una, né per l’altra!Co sarà tempo, la discorreremo! Maridarme voggio.Tiorò quella che me saverà meggio dar in tel genio.

Scena undicesima

Siora Lugrezia col codegugno e camisiola de siorTodero, e detto.

LUGREZIA – Andè là, che sè fortunà. BASEGGIO – Mo gh’ho ben a caro da senno. LUGREZIA – Vardè che codegugno.

BASEGGIO – Oh bello! LUGREZIA – Vardè che camisiola. BASEGGIO – Superbonazza. LUGREZIA – V’anderala ben? BASEGGIO – A occhio me par de sì. LUGREZIA – A caso ho alzà el sagiaor e ho trovaaverto. BASEGGIO – Ghe son tanto obbligà, sioraLugrezia. LUGREZIA – Ma no vorria che la l’avesseimpegnada sta roba. BASEGGIO – Impegnada, o no impegnada, latogo suso, e la porto via. LUGREZIA – Mo a pian. Cossa ghe dalo denolo? BASEGGIO – Cossa ghe par a ela che ghe possadar? LUGREZIA – Mi de ste cosse no me ne intendo,ma stamattina la m’ha dito che de sti do cai l’harefudà gieri diese lire al zorno. BASEGGIO – Ih! troppo. LUGREZIA – Mi no so cossa dir. Vedo anca miche xe troppo, ma mi no son patrona e no me nevoggio impazzar. BASEGGIO – Ghe darò sie lire. LUGREZIA – No no, sior la xe una donna tantosuttila, che la me magnarave i occhi. Co no ghecomoda per un felippo, mi no ghe la lasso portar via. BASEGGIO – Ghe vol pazienza. Ghe darò unfelippo; doman, co vegno co la roba, ghe lo porterò. LUGREZIA – Oh, sior no, sior no. DonnaSgualda i bezzi del nolo la li vol subito. La usacussì con tutti. BASEGGIO – Ma mi la me cognosse. LUGREZIA – In verità no se ghe fa torto.Bisognerave che ghe lo dasse mi. BASEGGIO – La toga; la me daga el resto de unzecchin. LUGREZIA – Dove vorla che trova el resto? Mino ghe n’ho.BASEGGIO – Donca come avemio da far? LUGREZIA – Femo cussì: tegnirò mi el zecchin, ese lu el tien l’abito do zorni, saremo pagai. BASEGGIO – Oh, no lo tegno altro che ancuo. LUGREZIA – Figureve! Altro che ancuo! Co se xein borezzo, no se se stufa. Se el va co sto abito dala so morosa, el gh’ha da piàser cosse che faspavento. Si ben, el se lo caverà subito, acciò chei diga che nol xe soo. Ghe ziogo mi, che el lo tientutti sti ultimi zorni de carneval. Oe, trattandosede quattro zorni pol esser che donna Sgualdafacilita qualcossa. Che el lassa far a mi, e che nols’indubita gnente.BASEGGIO – Basta. No so cossa dir. Siora

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BASEGGIO – Mi perdoni, sa, se son venuto adisturbarla. LUGREZIA – Mi meraviglio, è padrone; mi fa unpiacere. BASEGGIO – Vorrei pregarla di un servizio. LUGREZIA – Anche due, se posso. BASEGGIO – Oggi vorrei mascherarmi senzaessere riconosciuto. Mi è stato detto che in casasua c’è un rivenditrice di abiti usati, così col suoaiuto vorrei qualcosa di buono con cui travestirmi. LUGREZIA – Caspita! Mi spiace che donnaSgualda sia fuori casa. Se verrà stasera... BASEGGIO – Ma no, mi servirebbe per oggi. LUGREZIA – Cosa le servirebbe? BASEGGIO – Ho bisogno di tutto. Velata,vestito, zamberlucco*, mi serve tutto. LUGREZIA – Ho un vestito e una camicia chefarebbero proprio al caso vostro. BASEGGIO – Come si può fare? Dove potreitrovarla? LUGREZIA – Aspetti, signore, andrò a vedere seper caso la camera non sia rimasta aperta. Chi sa?Delle volte non la chiude. BASEGGIO – Sì, cara, vada a vedere. LUGREZIA – Vado subito. Gioventù! Che granbel tempo. (camminando)BASEGGIO – E lei se lo gode? LUGREZIA – Eh, figlio mio, quando si è vedove,si gode poco. (parte)

Scena decima

Il signor Baseggio solo.

BASEGGIO – Oggi devo andare a parlare conOrsetta, e voglio andarci in maschera. Sua madreè la donna più brava del mondo. Sempre per casaa fare faccende, non ci mette per niente adisagio… Cosa dirà Chiaretta? Poveretta! Basta,io non decido né per una, né per l’altra! Quandosarà il momento ne parleremo! Voglio sposarmi.Prenderò quella che mi andrà più a genio.

Scena undicesima

La signora Lugrezia col vestito e la camicia delsignor Todero, e detto.

LUGREZIA – Siete proprio fortunato. BASEGGIO – Mi fa davvero piacere. LUGREZIA – Guardate che vestito. BASEGGIO – Bello!

LUGREZIA – Guardate che camicia. BASEGGIO – Fantastica. LUGREZIA – Vi andrà bene? BASEGGIO – A occhio mi sembra di sì. LUGREZIA – Per caso ho alzato il saliscendi e hotrovato aperto. BASEGGIO – Le sono debitore, signoraLugrezia. LUGREZIA – Ma non vorrei che l’avesseimpegnata questa roba. BASEGGIO – Impegnata, o non impegnata, laprendo, e la porto via. LUGREZIA – Piano. Cosa può dare per ilnoleggio? BASEGGIO – Cosa le sembra che possa darle? LUGREZIA – Io di queste cose non me neintendo, ma stamattina m’ha detto che per questidue capi ieri ha rifiutato dieci lire al giorno. BASEGGIO – Ih! troppo. LUGREZIA – Io non so cosa dire. Vedo anche ioche è troppo, ma non sono la padrona e nonvoglio impicciarmi.BASEGGIO – Le darò sei lire. LUGREZIA – No no, signore, è una donna cosìmeticolosa, che mi strapperebbe gli occhi. Se nonle va bene per un filippo, io non gliela lascioportare via. BASEGGIO – Pazienza. Le darò un filippo;domani, quando vengo con la roba, glielo porto. LUGREZIA – Signor no. Donna Sgualda i soldidel noleggio li vuole subito. Fa così con tutti. BASEGGIO – Ma mi conosce.LUGREZIA – Davvero non si può darle torto.Sarebbe meglio che glielo dessi io. BASEGGIO – Prenda; mi dia il resto di unozecchino. LUGREZIA – Dove vuole che trovi il resto? Nonce l’ho.BASEGGIO – Dunque come facciamo? LUGREZIA – Facciamo così: terrò io lozecchino, e se voi tenete l’abito due giorni,saremo pari. BASEGGIO – Ma se lo tengo solo per oggi. LUGREZIA – Figuratevi! Solo per oggi! Quandoci si diverte non ci si stufa. Se va con questo abitodalla sua ragazza, si divertirà da matti. Bene, e selo toglierà subito, perché non dicano che non èsuo. Ci scommetto che lo tiene tutti questi ultimigiorni di carnevale. E trattandosi di quattro giornipuò darsi che donna Sgualda faccia uno sconto.Lasci fare a me e non si preoccupi di nulla. BASEGGIO – Basta. Non so cosa dire. SignoraLugrezia, mi affido a lei. LUGREZIA – Mi raccomando, sa? Stia attento,

*veste ampia, lunga fino ai piedi, con grande cappuccio

Lugrezia, me remetto a ela. LUGREZIA – Ghe l’arecomando, salo? Che elvarda ben, che se el lo dezziperà, el lo pagherà. BASEGGIO – Con tutto el nolo? LUGREZIA – Oh sior sì! Che bella carità! Tiolèla roba a nolo per dezziparla? No la xe miga robarobada. BASEGGIO – Via, via, no son un dezzipon; ghene tegnirò conto. Siora Lugrezia, a bon reverirla. LUGREZIA – Patron, sior Baseggio. Che el mefazza un servizio; che el passa de qua in mascara,che lo veda. BASEGGIO – Siora sì, passerò. LUGREZIA – Gh’alo macchina? BASEGGIO – Siora no, sarò solo. LUGREZIA – Uh, solo! Che mascara senza sugo!Co no ghe xe un poco de macchinetta, se par tantipandoli. BASEGGIO – No trovo nissuna che voggia vegnirco mi. LUGREZIA – Oe, se no gh’avè nissuna... Zitto...vegnirò mi. BASEGGIO – Chi sa, siora Lugrezia? pol esser. LUGREZIA – Eh malignazo! Ghe n’averè dequelle poche. BASEGGIO – Mi? Gnanca una. (ridendo)LUGREZIA – Oh via, almanco pagheme lasansaria dell’abito; porteme quattro confetti! BASEGGIO – Siora sì, volentiera. (Sto abito gierameggio che lo comprasse).(da sé) Siora Lugrezia, patrona. LUGREZIA – Putto, a revéderse. Vardeve da lescontraure. BASEGGIO – Grazie de l’avviso. LUGREZIA – No ve tacchè co le mascare che nocognossè, perché co la mascara le par belle, esotto el volto ghe xe dei mostri. BASEGGIO – A mi me fa più paura le belle, cheno xe le brutte. LUGREZIA – Per che rason? BASEGGIO – Perché co le vedo brutte, le lassostar, e co le vedo belle, no me posso tegnir. (parte)

Scena dodicesima

Lugrezia sola.

LUGREZIA – Che caro mattazzo che xe sto putto!Poverazzo! El xe de bon cuor. Tolè, el m’ha lassàel zecchin. Questo no lo scambio certo; indrio noghe ne dago. El sarà bon da ziogar al lotto. Mano miga a mità co sior Boldo: da mia posta. Oe,mi me inzegno: un poco de lotto, un poco de

pegni, un poco de noletti... cioè noletti de abiti,intendemose: vôi andar all’opera, vôi andar allacommedia, e no voggio nissun che me comanda.Ancuo con una compagnia, doman con un’altra. I morosi i xe pezo dei marii, i vol comandar abacchetta, e mi son una testolina che vol far a somodo. Chi me vuol, me toga, chi no me vuol, melassa. Rido, godo, me diverto, e no ghe ne pensode nissun una maledetta. (parte)

Scena tredicesima

Camera in casa de siora Giulia. Siora Giulia sola.

GIULIA – Tolè, xe vintiun’ora sonada, e siorBoldo no vien a casa. Mo dove diavolo se cazzeloda ste ore? Ho paura che tornemo da capo coi soreziri.

Scena quattordicesima

Siora Giulia e siora Orsetta

ORSETTA – Mo quando vienlo sto sior barba? Irisi vien colla. GIULIA – Cara nezza, no so cossa dir; se volèche magnemo, magnemo. ORSETTA – De magnar no ghe penso; medespiase per andar in mascara. GIULIA – Se savesse dove che el fusse, voraveben andarlo a scaturir fora. ORSETTA – M’ha dito el zovene, che el l’ha vistoandar zo per calle dei Fuseri. GIULIA – Per calle dei Fuseri? Anca sì che el xeandà da siora Lugrezia? ORSETTA – Oh giusto! No gh’alo zurà che nolgh’andarà più? GIULIA – Ghe scommetto l’osso del collo, che el xeda culìa. Nezza, vustu che chiappemo su, ches’immascaremo, e che li andemo a trovar sul fatto?ORSETTA – Oh! Cossa mai voravela che idisesse? GIULIA – Se ti savessi che voggia che gh’ho detirarghe la trezza a quella magnona. ORSETTA – Perché mo ghe disela magnona? GIULIA – Me xe stà dito za un poco, che la fapegni e che la tol l’usuria. ORSETTA – E sì, a véderla, la par una donnacome se deve. GIULIA – La xe una gaìna! La xe una fia mia!Basta... xe meggio che tasa. ORSETTA – De diana, star qua cussì me bruso.

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che se lo rovina lo pagherà. BASEGGIO – Con tutto quello che ho pagato peril noleggio?LUGREZIA – Sì signore! Bel modo di fare!Prende la roba a noleggio per rovinarla? Non èmica roba rubata. BASEGGIO – Via, via, non sono un cialtrone; cistarò attento. Signora Lugrezia, arrivederci. LUGREZIA – Padrone, signor Baseggio. Mi faccia un favore; passi di qua in maschera cosìposso vederla. BASEGGIO – Sì signora, passerò. LUGREZIA – Ha compagnia? BASEGGIO – No signora, sarò solo. LUGREZIA – Solo! Che maschera senza sugo!Se non si ha compagnia si sembra tanti scemi. BASEGGIO – Non trovo nessuna che vogliavenire con me. LUGREZIA – Oh, se non avete nessuna... Zitto...verrò io. BASEGGIO – Chi lo sa, signora Lugrezia? puòessere. LUGREZIA – Eh maledetto! Ne avrete un sacco. BASEGGIO – Io? Neanche una. (ridendo)LUGREZIA – Via, almeno datemi la mancia perl’abito; portatemi quattro confetti! BASEGGIO – Sì signora, volentieri. (Questoabito era meglio comprarlo). (da sé) SignoraLugrezia, padrona. LUGREZIA – Ragazzo, arrivederci. State attentoai cattivi incontri. BASEGGIO – Grazie per il consiglio. LUGREZIA – State alla larga dalle maschere chenon conoscete, perché quando le mascheresembrano belle sotto ci sono dei mostri. BASEGGIO – A me fanno più paura le belle, chele brutte. LUGREZIA – E perché? BASEGGIO – Perché quando vedo le brutte, lelascio stare, e quando vedo le belle, non mi tengopiù. (parte)

Scena dodicesima

Lugrezia sola.

LUGREZIA – Che caro matto questo ragazzo!Poveretto! È di buon cuore. Guarda, m’ha lasciatolo zecchino. Questo non lo scambio di sicuro; eindietro non glielo do. Tornerà utile per giocare allotto. Ma mica a metà col signor Boldo: da sola.Oh, mi ingegno: un po’ di lotto, un po’ di pegni,un po’ di noleggi... cioè noleggi di abiti,

intendiamoci: voglio andare all’opera, voglioandare a teatro e non voglio che nessuno micomandi. Oggi con uno, domani con un altro. I fidanzati sono peggio dei mariti, voglionocomandare a bacchetta e io sono una testolina chevuol fare come le pare. Chi mi vuole, mi prenda,chi non mi vuole, mi lasci. Rido, godo, mi diverto,e non me ne frega niente di nessuno. (parte)

Scena tredicesima

Camera in casa della signora Giulia. La signoraGiulia sola.

GIULIA – Ecco, sono già le due Boldo non viene acasa. Ma dove diavolo si sarà cacciato a quest’ora?Mi sa che ricominciamo da capo coi suoi raggiri.

Scena quattordicesima

La signora Giulia e la signora Orsetta.

ORSETTA – Ma quando viene a casa questosignor zio? Il riso diventa colla. GIULIA – Cara nipote, non so cosa dire; se voletemangiare, mangiamo. ORSETTA – Non penso al mangiare; mi dispiacedi non andare in maschera. GIULIA – Se sapessi dov’è lo trascinerei qui. ORSETTA – Mi ha detto il ragazzo (di bottega),che lo hanno visto andare in calle dei Fuseri. GIULIA – In calle dei Fuseri? Di sicuro è andatodalla signora Lugrezia? ORSETTA – Ma come! Non ha giurato di nontornarci più? GIULIA – Ci scommetto l’osso del collo, che è daquella lì. Nipote, volete che prendiamo, cimascheriamo e li andiamo a beccare sul fatto?ORSETTA – Cosa vuole che si dicano? GIULIA – Se sapesse che voglia ho di tirarla per icapelli quella scroccona. ORSETTA – Perché adesso la chiama scroccona? GIULIA – Mi è stato detto da un po’, che prendela roba in pegno e che pratica l’usura. ORSETTA – E sì, che a vederla, sembra unadonna come si deve. GIULIA – È una gallina! È una… figlia mia!Basta... è meglio che stia zitta. ORSETTA – Perdiana, a stare qui così brucio.(sospirando)GIULIA – Se bruci, vai a bagnarti. Vieni anche asbuffare?

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(sospirando)GIULIA – Se ti te brusi, vatte a bagnar. Cossa meviestu a sustar? ORSETTA – Cara siora, anca mi me despiase aperder ste zornae. GIULIA – Varè che casi! Ancora che ghe dago damagnar, la brontola. ORSETTA –Oh, gnanca a casa mia no moro de fame. GIULIA – Pettazza! ORSETTA – Sala cossa che gh’ho da dir? Chemia siora mare no me strapazza, e no vôi che lame strapazza gnanca ela. La la gh’ha co somario, e la se vien a sfogar co mi? GIULIA – Caspita! La ghe monta presto, patrona. ORSETTA – Cara siora, ogni bissa gh’ha el so velen. GIULIA – Se la rana gh’avesse denti! ORSETTA – (Xe meggio che vaga via). (da sé,andando)GIULIA – Dove vala, siora? ORSETTA – Vago a casa mia, che mia siora mareme aspetta. GIULIA – Eh via, la ghe mola. No pol far ch’elvegna, anderemo a disnar. ORSETTA – Mi, siora, del so disnar no ghe nedago né bezzo, né bagattin. Gh’ho più gusto pan emanestra a casa mia, senza musoni, che rosto efritto dove che sempre se cria. Patrona. GIULIA – Eh, vegnì qua, nezza, andemo a tola. ORSETTA – Siora no, siora no, grazie. (Me premede véder sior Baseggio; altro che de disnar). (dasé, parte)GIULIA – Tolè suso. Feghe del ben a stefrasconazze. Gh’ho un velen che me magnerave lacarne.

Scena quindicesima

Siora Chiaretta e siora Giulia

CHIARETTA – Siora santola, cossa gh’ha sioraOrsetta, che la xe andada via immusonada? GIULIA – Cossa soggio mi? La xe matta,poveretta. Cossa diseu, fiozza, che bella forestariache ve fazzo? Vostro santolo ne fa sgangolir. CHIARETTA – Mi del disnar no ghe penso. Medespiase che no andemo altro in mascara. GIULIA – Cara fia, abbiè pazienza; anderemo.Ne xe gnancora vintidò ore.CHIARETTA – (Me premerave de véder siorBaseggio. Ho paura che Orsetta no lo veda avantide mi). (da sé)GIULIA – Malignazo sto mio mario! Lo scannerave. CHIARETTA – Dove mai porlo esser?

GIULIA – El sarà da quella sporca, da quellapettazza. CHIARETTA – Da chi? GIULIA – Da la vedoa. CHIARETTA – Oh giusto! GIULIA – El xe là, quanto che mi gh’ho nomeGiulia. Eh! mi, fia, co el cuor me dise una cossa,nol falla mai. Xe da sta mattina in qua, che gh’houna smania che me rode de drento. E po, cossa voleu che ve diga? El xe stà vistoandar zoso per calle dei Fuseri. CHIARETTA – Nol pol esser andà in qualch’altroliogo? GIULIA – Cussì fusselo crepà; come che el saràde culìa. CHIARETTA – Vardè cossa che la dise a somario: fusselo crepà!

Scena sedicesima

Sior Boldo che ascolta, e dette.

GIULIA – Oh cara fia, i marii de sta sorte sariameggio che i crepasse. Una bestia de omo, che noxe bon da gnente. CHIARETTA – Sior santolo, ben vegnuo. (a sior Boldo)BOLDO – Siora fiozza! GIULIA – Giusto adesso disevimo che no se ve vede. BOLDO – Eh, siora sì, ho sentio che disevi ben demi. GIULIA – Ve par che sia ora de vegnir a casa? BOLDO – Cara siora, vegno co posso. GIULIA – Dove xelo stà, sior: in donna? BOLDO – In quella che ve scanna. GIULIA – Che boazzo. BOLDO – Se no ghe fusse sta putta, veresponderia per le rime. CHIARETTA – Caro sior santolo, nol ghe staga acriar. GIULIA – El sarà stà dalla so squincia. BOLDO – Son stà dal diavolo che ve porta. CHIARETTA – Sia malignazo! Se i cria, noandemo altro fora de casa. GIULIA – Andè là, fiozza, diseghe alla masserache la manestra. CHIARETTA – Siora sì, vago. Cari eli, che i fazzapresto. (Gh’ho una voggia de véder Baseggio, cheme sento a morir). (da sé, parte)

ORSETTA – Cara signora, anche a me dispiaceperdere le giornate. GIULIA – Guarda te! Le do da mangiare ebrontola pure. ORSETTA – Oh, a casa mia non muoio di fame. GIULIA – Pettegola! ORSETTA – Sa cosa che le dico? Che mia madrenon mi maltratta, e voglio che non mi maltrattineanche lei. Ce l’ha con suo marito e se la prendecon me? GIULIA – Caspita! Si scalda presto, padrona. ORSETTA – Cara signora, ogni biscia ha il suoveleno. GIULIA – Se la rana avesse i denti! ORSETTA – (È meglio che vada via). (da sé,andando)GIULIA – Dove va, signora? ORSETTA – Vado a casa mia, perché mia madremi aspetta. GIULIA – Via, smettetela. Sta per arrivare (miomarito), andiamo a mangiare. ORSETTA – Signora, il suo mangiare non valeniente. Preferisco mangiare pane e minestra a casamia, senza musi lunghi, che arrosto e fritto dove siurla sempre. Padrona. GIULIA – Venite qua, nipote, andiamo a tavola. ORSETTA – Signora no, signora no, grazie. (Hovoglia di vedere Baseggio; altro che di mangiare).(da sé, parte)GIULIA – Ecco. A far del bene a queste stupide;se ne fregano. Ho un veleno che mi mangerei lamia stessa carne.

Scena quindicesima

La signora Chiaretta e la signora Giulia.

CHIARETTA – Signora madrina, cos’ha lasignora Orsetta, che è andata via col muso? GIULIA – Che ne so io? È matta poverina. Chedite, figlioccia, bella ospitalità che vi do? Il vostropadrino ci fa impazzire a forza di aspettarlo. CHIARETTA – Io non ci penso al mangiare. Midispiace di non andare in maschera. GIULIA – Cara figlia, abbiate pazienza.Andremo. Non sono ancora le tre. CHIARETTA – (Ho voglia di vedere Baseggioma ho paura che Orsetta lo veda prima di me). (dasé)GIULIA – Maledetto marito! Lo scannerei. CHIARETTA – Dove mai può essere? GIULIA – Sarà da quella lurida, da quellapresuntuosa.

CHIARETTA – Da chi? GIULIA – Dalla vedova. CHIARETTA – Non è possibile! GIULIA – Sta là, quanto è vero che mi chiamoGiulia. Eh! Figlia, quando il cuore mi dice unacosa, non sbaglia mai. È da stamattina che ho unasmania che mi rode dentro. E poi che vi devodire? È stato visto andare per calle dei Fuseri. CHIARETTA – Non può essere andato daqualche altra parte? GIULIA – Che crepi se è da quella lì. CHIARETTA – Sentite cosa dice a suo marito:che crepi!

Scena sedicesima

Il signor Boldo che ascolta e dette.

GIULIA – Cara figlia, i mariti di quel generesarebbe meglio che crepassero. Una bestia diuomo, che non sa fare niente. CHIARETTA – Signor padrino, ben arrivato.(al signor Boldo)BOLDO – Signora figlioccia! GIULIA – Proprio adesso stavamo dicendo chenon vi si vedeva. BOLDO – Sì signora, ho sentito che parlavatebene di me. GIULIA – Vi sembra l’ora di tornare a casa? BOLDO – Cara signora, vengo quando posso. GIULIA – Dove è stato, signore: a donne? BOLDO – Con quella che vi scanni. GIULIA – Che rozzo schifoso!BOLDO – Se non ci fosse questa ragazza, virisponderei per le rime. CHIARETTA – Caro signor padrino, non le urlicosì. GIULIA – Sarà stato dalla sua squinzia.BOLDO – Sono stato dal diavolo che vi porti. CHIARETTA – Maledizione! Se urlano nonusciremo più di casa. GIULIA – Andate di là, figlioccia, dite alla servache metta in tavola la minestra. CHIARETTA – Sì signora, vado. Cari, faccianopresto. (Ho una voglia di vedere Baseggio, che misento morire). (da sé, parte)

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Scena diciassettesima

Siora Giulia, sior Boldo. Boldo si leva il cappelloed il tabarro.

GIULIA – Diseme, caro sior, cossa aveu fatta dela scatola de Franza? BOLDO – L’ho vendua. GIULIA – Gh’ho domandà ai putti, i dise che abottega no l’avè vendua. BOLDO – L’ho vendua fora de bottega. GIULIA – Per quanto? BOLDO – Per cinque zecchini. GIULIA – Dove xe i bezzi? BOLDO – Oh cospetto e tacca via. Anca i bezziv’ho da mostrar? Cossa songio, un puttelo? Ancaquesta ghe vorria! Mi porto le braghesse, e vuimpazzevene in te la vostra rocca. GIULIA – Eh via! Co la se scalda tanto, so cheora che xe. BOLDO – Cossa voravela dir, patrona? GIULIA – La scatola el l’averà donada via. BOLDO – A chi, cara ela? GIULIA – Alla bella vedovella. (con caricatura)BOLDO – Te dago una sleppa che la terra te nedà un’altra. GIULIA – Ma za. Subito sleppe. Subito se parlade dar. Deme, mazzeme, leveme da sti affanni desto mondo. (piange)BOLDO – Oh che gran affanni! che grandesgrazie! Povera matta. Via, andemo a tola. GIULIA – Andè vu, sior; no vôi magnar tantotossego. (piange)BOLDO – Mo via, ve digo. Se ho dito de darveuna sleppa, ho fatto per burla. GIULIA – Tocco de can! E quelle che ti m’ha dàda senno? Ti me tratti co fa una bestia. (piange)BOLDO – Almanco per quella putta. GIULIA – Gh’ho el cuor ingroppà. (piange)BOLDO –Via, feme pianzer anca mi. (gli vien da piangere)

Scena diciottesima

Siora Chiaretta e detti.

CHIARETTA – Xe manestrà... Pianzeli? BOLDO – Andemo. (Vien via, che faremo pase).(a Giulia)GIULIA – (Baron! Te voggio tanto ben e ti metratti cussì). (piano a Boldo, e parte con lui)CHIARETTA – Tra mario e muggier sempre icria, sempre i se rosega, sempre i pianze! I me fascampar la voggia de maridarme.

ATTO SECONDO

Scena prima

Strada con case e botteghe. Siora Lugrezia alla finestra.

LUGREZIA – Mo le gran poche mascare cheancuo se vede a passar, e sì mo no xe gnancabrutto tempo.

Scena seconda

Siora Orsetta in maschera, e siora Fabia malvestita, e detta.

LUGREZIA – Oh che mascare birolè. ORSETTA – Fermemose un pochetto qua a védera passar sto strazzariol. Pol esser che el canta.(All’aria el me par Baseggio). (da sé)LUGREZIA – Che roba mai xe quella? No voggiopensar mal, ma in verità, le par lattughetta eruccola.

Scena terza

Sior Baseggio in maschera da rigattiere viencantando, e dette.

BASEGGIO – Chi ha drappi vecchi da vender. Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. El xe qua el strazzariol Che farà quel che el puol Per vender e comprar, E anca per barattar, Ma nol xe cussì matto De far tristo baratto; El vende roba netta, E nol la vol sporchetta. D’assae nol se ne incura, Ma el vol roba segura, Che se possa esitar, O almanco nolizar; Ma prima de comprarla El vorrà visitarla. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. ORSETTA – Sior Baseggio. (a sua madre)LUGREZIA – Bravo, mascara, bravo, tirè de longo?ORSETTA – (Anca siora Lugrezia lo cognosse?) BASEGGIO – Son qua, patrona bella,

Scena diciassettesima

La signora Giulia, il signor Boldo. Boldo si leva ilcappello ed il tabarro.

GIULIA – Ditemi, caro signore, cosa ne avetefatto della scatola di Francia? BOLDO – L’ho venduta. GIULIA – Ho chiesto ai ragazzi, dicono che inbottega non l’avete venduta. BOLDO – L’ho venduta fuori dalla bottega. GIULIA – Per quanto? BOLDO – Per cinque zecchini. GIULIA – Dove sono i soldi? BOLDO – Devo cominciare a bestemmiare.Anche i soldi vi devo mostrare? Cosa sono, unbambino? Anche questa! Io porto i pantaloni, evoi occupatevi delle vostre faccende. GIULIA – Via! Se si scalda tanto, so cosa vuol dire. BOLDO – Cosa vorrebbe dire, padrona? GIULIA – La scatola l’avrà regalata. BOLDO – A chi, cara lei? GIULIA – Alla bella vedovella. (con caricatura)BOLDO – Ti do uno schiaffo che la terra te ne dàun altro. GIULIA – Ma sì. Subito schiaffi. Subito si parladi picchiare. Pestatemi, ammazzatemi, levatemidagli affanni di questo mondo. (piange)BOLDO – Oh che grandi affanni! che grandisgrazie! Povera pazza. Via, andiamo a tavola. GIULIA – Andate voi, signore; non vogliomangiare tanto veleno. (piange)BOLDO – Basta, vi dico. Se ho detto che vi avreidato uno schiaffo, l’ho fatto per scherzo. GIULIA – Bastardo! E quelli che mi hai dato perdavvero? Mi tratti come una bestia. (piange)BOLDO – Fatelo almeno per quella ragazza. GIULIA – Ho un nodo al cuore. (piange)BOLDO – Via, non fate piangere anche me. (glivien da piangere)

Scena diciottesima

La signora Chiaretta e detti.

CHIARETTA – La minestra è servita... Piangono? BOLDO – Andiamo. (Vieni via, che facciamopace). (a Giulia)GIULIA – (Cattivo! Ti voglio tanto bene e mitratti così). (piano a Boldo, e parte con lui)CHIARETTA – Tra marito e moglie gridanosempre, litigano sempre, piangono sempre! Mifanno passare la voglia di sposarmi.

ATTO SECONDO

Scena prima

Strada con case e botteghe. La signora Lugrezia alla finestra.

LUGREZIA – Ma che poche maschere si vedonopassare oggi, eppure non è neanche brutto tempo.

Scena seconda

La signora Orsetta in maschera, e la signoraFabia mal vestita, e detta.

LUGREZIA – Che brutte maschere. ORSETTA – Fermiamoci un po’ qui a vederpassare questo straccivendolo. Magari canta. (Dall’aria mi sembra Baseggio). (da sé)LUGREZIA – Che roba è mai quella? Non vogliopensar male, ma a esser sincera mi sembranocome lattuga e rucola.

Scena terza

Il signor Baseggio in maschera da rigattiere viencantando, e dette.

BASEGGIO – Chi ha drappi vecchi da vendere. Chi ha cuori d’oro vecchi da vendere. È qui lo straccivendoloChe farà quel che può Per vendere e comprare, E anche per barattare, Ma non è così matto Da far cattivo baratto; Vende roba netta E non la vuole sporchetta Di molto non si cura, Ma vuol roba sicura, Che si possa smerciare, O almeno noleggiare; Ma prima di comprarla Vorrà controllarla. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. ORSETTA – Il signor Baseggio. (a sua madre)LUGREZIA – Brava, maschera, brava, tirate dritto? ORSETTA – (Anche la signora Lugrezia lo conosce?) BASEGGIO – Sono qua, padrona bella, (albalcone di Lugrezia)

(al balcone di Lugrezia)Ghe venderò anca a ella. Basta che la comanda, Gh’ho un non so che da banda. Per chi xe de bon gusto Ghe venderò un bel busto, Che dove gh’è mancanza Fa parer abbondanza. Ghe darò una carpetta, Coi fianchi de stoppetta. La se confida in mi, Za tutte fa cussì. So quel che ghe bisogna, E no le se vergogna. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. ORSETTA – (Stimo che el ghe la canta a ela).(da sé)LUGREZIA – Mascara, gh’aveu confetti? BASEGGIO – Se la comanda, la xe parona. ORSETTA – Séntela, siora mare? (a Fabia)LUGREZIA – Voleu vegnir de suso? (a Baseggio)BASEGGIO – Vegniria, ma xe tardi. ORSETTA – (Pulito!) (da sé)LUGREZIA – Aspettè, che calerò zoso el cestello. ORSETTA – (Malignaza! Tutti i omeni la i vol perela). (da sé)LUGREZIA – Via, da bravo, feve onor. (cala il cestello)BASEGGIO – La compatissa, sala, el poverostrazzariol el fa quel che el pol. (mette dei confettinel cesto)ORSETTA – (Suo da la rabbia). (sua madre la vuolmenar via) Siora no, voggio star qua. (a Fabia) LUGREZIA – Mascara ve ringrazio. BASEGGIO – De mi la xe parona, E se gh’ho roba bona, E se gh’ho roba bella, Tutta la xe per ella; Ma se la gh’ha qualcossa Che comodar me possa, No la la tegna sconta, Che la monea xe pronta. Ghe darò più che posso, Contratterò all’ingrosso. Me basta in carneval Salvar el capital. Stufarlano vorria, Chiappo su, e vago via. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. (parte)LUGREZIA – Oh che caro matto! El gh’ha spesoben el zecchin in te l’abito.

ORSETTA – Voggio andarghe drio. (sua madre famoto di no) Ghe digo che voggio andarghe drio.(la madre la trattiene) Se no la vol vegnir ela, chela lassa star. (parte correndo, e la madre la seguita)LUGREZIA – Mo se vede i gran spettacoli demascare. Quella vecchia xe la mia tentazion.Pagarave do soldi a saver chi la xe.

Scena quarta

Sior Boldo e siora Lugrezia.

BOLDO – Siora Lugrezia, vegno da ela. LUGREZIA – Patron sior Boldo, el resta servido.Menega, va da basso a averzer la porta. (parlarivolta al di dentro)BOLDO – Una desgrazia, siora Lugrezia. LUGREZIA – Cossa xe stà? BOLDO – Do numeri chiusi. LUGREZIA –Oh poter del diavolo! Che numeri xeli? BOLDO – L’8 e el 90. LUGREZIA – In verità che me l’ho insunià. Elvoleva dir che i sarà chiusi. Co ho visto el svolo,me par che volesse andar su un palco; e vien uno,el dise: dove vala, siora mascara? Sul palco, digo.Oh! no ghe xe più liogo, el dise. (s’apre la porta)BOLDO – I ha averto; vegno de suso. (Boldo vain casa)LUGREZIA – Vegnì, vegnì, che ve conterò.(Lugrezia si ritira)

Scena quinta

Siora Tonina in finestra.

TONINA – Oe! sior Boldo xe andà da sioraLugrezia. Se siora Giulia lo savesse, poverazza, lase despereria: manco mal che no la l’ha visto.Gh’ho gusto che no la lo sappia; e sì ancuo l’hada vegnir da mi; se podeva dar benissimo che lalo vedesse. Oh che cara siora Lugrezia! Adessol’ho scoverta come che va. Manco mal che miomario no ghe anderà più; el me l’ha promesso.

Scena sesta

Siora Giulia in tabarro e bautta, siora Chiaretta inmaschera, e detta.

TONINA – Chi mai xe ste mascare che varda in qua? CHIARETTA – (Saluta Tonina con le mani)

Venderò anche ad ella. Basta mi sia comandato, Ho un qualcosa qui a lato. A chi è di buon gusto venderò un bel busto, Che dove c’è mancanza Fa sembrare abbondanza. Le darò una gonnella, Coi fianchi di stoppella. A me si affidi, sì, Già tutte fan così. Conosco i suoi bisogni, Con me non si vergogni. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. ORSETTA – Mi pare proprio che stia cantando aquella (da sé)LUGREZIA – Maschera, avete confetti? BASEGGIO – Se comanda, è padrona. ORSETTA – Sente, signora madre? (a Fabia)LUGREZIA – Volete venire su? (a Baseggio)BASEGGIO – Verrei, ma è tardi. ORSETTA – (Bene!) (da sé)LUGREZIA – Aspettate, vi calo giù il cestino. ORSETTA – (Maledetta! Tutti gli uomini li vuolelei). (da sé)LUGREZIA – Da bravo, fatevi onore. (cala ilcestello)BASEGGIO – Mi perdoni, sa, il poverostraccivendolo fa quel che può. (mette dei confettinel cesto)ORSETTA – (Sudo dalla rabbia). (sua madre lavuol portare via) Signora no, voglio star qua. (aFabia) LUGREZIA – Maschera vi ringrazio. BASEGGIO – Di me lei è padrona, E se ho roba buona, E se ho roba bella, È tutta per ella; Ma se ha qualcosa Che andarmi bene possa, Non me la nasconda, che la moneta è pronta. Le darò più che posso, Contratterò all’ingrosso. Mi basta a carnevale Salvare il capitale. Non vorrei che stufa sia, Prendo, e vado via. Chi ha drappi vecchi, Chi ha cuori d’oro vecchi da vender. (parte)LUGREZIA – Che matto! Ha speso bene lozecchino per l’abito. ORSETTA – Voglio seguirlo. (sua madre fa cenno

di no) Le dico che voglio seguirlo. (la madre latrattiene) Se non vuol venire, non venga. (partecorrendo, e la madre la segue)LUGREZIA – Che gran belli spettacoli si vedono.Quella vecchia mi attira. Pagherei per sapere chiè.

Scena quarta

Il signor Boldo e la signora Lugrezia.

BOLDO – Signora Lugrezia, vengo da Lei. LUGREZIA – Padrone signor Boldo, benvenuto.Menega, vai giù ad aprire la porta. (parla rivoltaal di dentro)BOLDO – Una disgrazia, signora Lugrezia. LUGREZIA – Che è successo? BOLDO – Due numeri chiusi. LUGREZIA – Dannazione! Che numeri sono? BOLDO – L’8 e il 90. LUGREZIA – Me lo sono anche sognata. Volevadire che erano chiusi. Quando ho visto il volo dalcampanile, mi sembrava di voler salire su unpalco; arriva uno, e dice: dove va, signoramaschera? Sul palco, dico. Oh! Non c’è più posto,dice. (si apre la porta)BOLDO – Hanno aperto; vengo su. (Boldo va in casa)LUGREZIA – Venite, venite, che vi racconterò.(Lugrezia si ritira)

Scena quinta

La signora Tonina alla finestra.

TONINA – Oh! Il signor Boldo è andato dallasignora Lugrezia. Se lo sapesse Giulia, poveretta,si dispererebbe: meno male che non l’ha visto. Mifa piacere sono contenta che non lo sappia; e sìche oggi deve venire da me e poteva capitarebenissimo che lo vedesse. Cara signora Lugrezia!Adesso ho capito come va. Meno male che miomarito non ci andrà più; me l’ha promesso.

Scena sesta

La signora Giulia in tabarro e bautta, la signoraChiaretta in maschera, e detta.

TONINA – Chi sono quelle maschere cheguardano da questa parte? CHIARETTA – (Saluta Tonina con le mani)

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TONINA – Adesso le cognosso. Patrone, patrone.Le resta servide. Tonia, avèrzighe. (va dentro)GIULIA – Vela là la casa de la siora vedoa. CHIARETTA – Qua la sta? GIULIA – La sta qua quella bella zoggia. CHIARETTA – Cossa fali che no i averze da sioraTonina? GIULIA – La massera no averà sentio.

Scena settima

Sior Todero e dette.

TODERO – Cospetto del diavolo, vôi véder se meposso refar. GIULIA – (Oe! sior Todero, el mario de sioraTonina). (da sé)CHIARETTA – El ne averzirà elo. (s’apre la portadi Tonina)GIULIA – Tasè, tasè, che i ha averto. CHIARETTA – Andemo. GIULIA – Aspettè, cara vu, che vedemo dove cheva sior Todero. TODERO – Se siora Lugrezia me impresta altridiese ducati, vôi tentar de refarme. Su sta pezza dezendà no la gh’averà difficoltà a darme anca piùde diese ducati. (batte da Lugrezia)VOCE DI DENTRO – Chi è? TODERO – Amici. (aprono e va dentro)GIULIA – Aveu visto? CHIARETTA – A drettura in casa. GIULIA – E nol va miga co le man a scorlando.El gh’aveva un bon fagotto sotto el tabarro. CHIARETTA – So muggier no lo saverà. GIULIA – Figureve! Se la lo savesse, gramazza,la se daria a la desperazion. No ghe disè gnente,vedè. CHIARETTA – Oh, mi no parlo! GIULIA – Andemo, andemo, che la ne aspetterà.Maledetta! (verso la casa di Lugrezia, e va in casadi Tonina)CHIARETTA – E Baseggio no se vede. (entra daTonina)

Scena ottava

Camera in casa de Tonina. Siora Tonina sola.

TONINA – Cossa fale che no le vien? Oe, Tonia,gh’astu averto? Sorda, dove xestu? Ghe zogo miche la xe sul balcon a véder le mascare. Andarò mi.

Scena nona

Siora Giulia, siora Chiaretta e detta.

CHIARETTA – Oh patrona, siora Tonina. TONINA – Patrone, siore mascare. GIULIA – Patrona, fia, patrona. TONINA – Cossa fale, stale ben? GIULIA – Ben, e ela? TONINA – Cussì da vecchia. CHIARETTA – Oh cara sta vecchietta! TONINA – Via, la se cava zoso, la fazza contod’esser in casa soa. GIULIA – Grazie, siora Tonina. (si smaschera)CHIARETTA – Passa assae mascare ancuo? (a Tonina, smascherandosi)TONINA – No so da senno. Me son buttada unpochetto al balcon, ho visto una certa cossa che nom’ha piasso, e son vegnua subito drento. GIULIA – Ala visto sì? TONINA – Ala visto anca ela? GIULIA – Là da l’amiga? TONINA – Siora sì. GIULIA – Ah, l’ha visto tutto donca? TONINA – M’ho imbattù giusto in quello. GIULIA – Cossa disela? TONINA – Cossa vorla che diga? GIULIA – Ah povere muggier! (ciascheduna perequivoco intende del marito dell’altra)TONINA – Oh cara siora Giulia, bisogna averpazienza. GIULIA – Sti marii tali e quali bisogneravedarghene tante, fin che i bulega. TONINA – Sì ben, proveve. Ogni men de che, imanazza de dar. CHIARETTA – Mo via, se le se perde in chiaccole,no vederemo le mascare. TONINA – Xe ancora a bonora. Le se senta unpochetto, le sarà stracche. GIULIA – Se no la vol altro, son anca un pochettostracchetta. No son usa troppo a camminar, e mestracco de gnente. TONINA – La resta servida.GIULIA – No la se incomoda. Grazie. (siede)TONINA – Anca ela, siora Chiaretta. CHIARETTA – Mi, se la se contenta, anderò unpochetto al balcon. TONINA – Patrona, per mi la se comoda. CHIARETTA – Vorla, siora santola, che vaga unpochetto al balcon? GIULIA – Andè pur, fia; ma vardè ben, vedè, se lemascare ve dise qualcossa, tireve drento. CHIARETTA – Siora sì, siora sì. (Oh, se passasseBaseggio, no me tirerave miga drento). (da sé, parte)

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TONINA – Adesso le riconosco. Padrone,padrone. Benvenute. Tonia, apri. (va dentro)GIULIA – Eccola là, la casa della signora vedova. CHIARETTA – Sta qui? GIULIA – Sta qui quella bella gioia. CHIARETTA – Perché non aprono dalla signoraTonina? GIULIA – La serva non avrà sentito.

Scena settima

Il signor Todero e dette.

TODERO – Porco diavolo, voglio vedere seriesco a rifarmi. GIULIA – (Oh! Il signor Todero, il marito dellasignora Tonina). (da sé)CHIARETTA – Ci aprirà lui. (s’apre la porta diTonina)GIULIA – Zitta, che hanno aperto. CHIARETTA – Andiamo. GIULIA – Aspettate, cara, vediamo dove va ilsignor Todero. TODERO – Chi sono queste maschere? GIULIA – Facciamo finta di andare via. (s’allontanano)TODERO – Se la signora Lugrezia mi presta altridieci ducati, voglio provare a rifarmi. Per questastoffa da scialle non farà fatica a darmi anche piùdi dieci ducati. (batte da Lugrezia)VOCE DI DENTRO Chi è? TODERO – Amici. (aprono e va dentro)GIULIA – Avete visto? CHIARETTA – Addirittura in casa. GIULIA – E non ci va mica a mani vuote. Avevaun bel fagotto sotto il tabarro. CHIARETTA – Sua moglie non lo saprà. GIULIA – Figuratevi! Se lo sapesse, poveretta, sidispererebbe. Non ditele niente, mi raccomando. CHIARETTA – Io non parlo! GIULIA – Andiamo, andiamo, ci starà aspettando.Maledetta! (verso la casa di Lugrezia, e va in casadi Tonina)CHIARETTA – E Baseggio non si vede. (entra daTonina)

Scena ottava

Camera in casa di Tonina. La signora Tonina sola.

TONINA – Perché non arrivano? Tonia, haiaperto? Sorda, dove sei? Scommetto che è andatasul balcone a guardare le maschere. Andrò io.

Scena nona

La signora Giulia, la signora Chiaretta e detta.

CHIARETTA – Padrona, signora Tonina. TONINA – Padrone, signore maschere. GIULIA – Padrona, figlia mia, padrona. TONINA – Come va? Stanno bene? GIULIA – Bene, e lei? TONINA – Così come una vecchia. CHIARETTA – Che cara questa vecchietta! TONINA – Via, si mettano comode, faccianocome a casa loro. GIULIA – Grazie, signora Tonina. (si smaschera)CHIARETTA – Passano tante maschere oggi? (a Tonina, smascherandosi)TONINA – Veramente non lo so. Mi sono affacciataun po’ al balcone, ho visto una certa cosa che non miè piaciuta, e sono tornata subito dentro. GIULIA – Ha visto sì? TONINA – Ha visto anche lei? GIULIA – Là dall’amica? TONINA – Sì signora. GIULIA – Ha visto tutto allora? TONINA – Mi ci sono trovata proprio in quelmomento. GIULIA – Che dice? TONINA – Che vuole che dica? GIULIA – Ah povere mogli! (ciascheduna perequivoco intende del marito dell’altra)TONINA – Cara signora Giulia, bisogna avere pazienza. GIULIA – A mariti come questi bisognerebbedargliene tante, finché si muovono. TONINA – Sì, provateci. Per ogni cosa,minacciano di picchiarci. CHIARETTA – Via, se si perdono in chiacchiere,non vedremo più le maschere. TONINA – È ancora presto. Si siedano un po',saranno stanche. GIULIA – Effettivamente sono un po’ stanca. Nonsono abituata a camminare tanto, e mi stanco subito.TONINA – Prego.GIULIA – Non si disturbi. Grazie. TONINA – Anche lei, signora Chiaretta. CHIARETTA – Io, se non le spiace, andrò unpochino sul balcone. TONINA – Padrona, per me si accomodi pure. CHIARETTA – Posso, signora madrina, andareun pochino sul balcone? GIULIA – Andate pure, ragazza; ma state attenta,se le maschere vi dicono qualcosa, tornate dentro. CHIARETTA – Si signora, si signora. (Sepassasse Baseggio, mica tornerei dentro). (da sé, parte)

Scena decima

Siora Giulia e siora Tonina.

GIULIA – E ela, siora Tonina, vorla star in piè? TONINA – Siora no, me senterò anca mi. (siede)GIULIA – Cossa disela de sto tempo? TONINA – N’è vero? El s’ha muà, che no credeva. GIULIA – Che miracolo che ancuo madamaLugrezia no xe andada in mascara? TONINA – Oh, la gh’anderà! No la doveva avernissun che andasse con ela. GIULIA – Adesso donca, che la gh’hacompagnia, l’anderà. TONINA – Ma mi no so che stomego le gh’abbiacustie a tender ai omeni maridai! GIULIA – La troverà po quella che ghe darà unsfriso sul muso. TONINA – La se lo meriterave, da donna onorata. GIULIA – Mi stimo che no la gh’ha gnente desuggizion.TONINA – Oh, co s’ha rotto el fronte, la xe fenia!GIULIA – Basta dir che la introduse i marii suiocchi de la muggier. TONINA – Che la se n’abbia accorto, che la xestada vista? GIULIA – La podeva ben creder che una volta ol’altra i la doveva véder. TONINA – In verità, che mi son andada al balconper véder se le vegniva ele. Ma i balconi de culìano li vardo mai. Ho tratto i occhi a caso e l’hovisto andar drento. GIULIA – Anca mi a caso l’ho visto. Me sariaimaginà più tosto la morte. TONINA – Vorla che andemo a spionar su laporta, quando che i va fora de casa? GIULIA – Quel che la vol, siora Tonina. Ma micredo che sarave meggio che andessimo a casa deculìa, e che la schiaffizessimo come che va. TONINA – Oh, cara ela, sussureressimo la contrada. GIULIA – Nualtre no patiressimo gnente. Una vaper trovar so mario, l’altra per compagnia: laresterave ela in vergogna.TONINA – Siora Giulia, la fazza a mio modo.Usemo prudenza. Ghe remediaremo con comodo. GIULIA – Oh, mi co se tratta de ste cosse, gh’hogusto de panderle ste fufignone! TONINA – La lassa far a mi, che mi troverò remedio. GIULIA – Come, cara ela? TONINA – Cognosso mi una persona che polassae, che la farà andar via de sto paese. GIULIA – (Siora Tonina ha sempre abuo i soprotettori). (da sé)TONINA – Cossa disela, siora Giulia?

GIULIA – Siora sì, la farà ben. TONINA – Vorla che andemo? GIULIA – Quel che la comanda. TONINA – Se no la vol, la xe patrona. Stago quacon ela. GIULIA – Eh, siora no, andemo! (Poverazza, lacompatisso! Ghe preme de véder co vien fora somario). (da sé)TONINA – (Gramazza, la gh’ha un bel mario!)(da sé, e partono)

Scena undicesima

Strada come prima, con case. Siora Chiaretta al balcon.

CHIARETTA – No passa un’anema per de qua.Tutta la zente xe in Piazza. Almanco che passassesior Baseggio. Chi sa che nol sia co quella pettazzade Orsetta! Ah povera Chiaretta desfortunada! xemeggio che torna fuora. A Venezia no gh’hofortuna. Ste putte che xe use a Venezia, le xe furbeco fa el diavolo. Mi, povera gramazza, no so troppofar; qua no me mariderò mai. Pazienza.

Scena dodicesima

Siora Giulia, siora Tonina sulla porta, e detta.

TONINA – Oe! i averze la porta de l’amiga. GIULIA – Vardemo, vardemo. TONINA – Tiremose in drento. (si ritirano)

Scena tredicesima

Sior Boldo di casa di Lugrezia, serra la porta, eparte; e dette.

GIULIA – Cossa? mio mario? (sulla porta)TONINA – Zitto, siora Giulia. (tenendola)GIULIA – Mio mario da culìa? TONINA – Ma zitto, no la lo saveva? GIULIA – Ah desgraziada! Vôi chiamarlo. TONINA – No, cara ela, no femo sussuri. GIULIA – Mio mario... TONINA – Zitto, se la me vol ben. GIULIA – Oh poveretta mi! TONINA – La vegna drento. GIULIA – Voggio andarghe drio. TONINA – Mo via, la vegna drento. GIULIA –Ah siora Tonina! son sassinada. (si ritirano)

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Scena decima

La signora Giulia e la signora Tonina.

GIULIA – E lei, signora Tonina, vuole restare inpiedi? TONINA – No signora, mi siederò anche io. (siede)GIULIA – Cosa dice di questo tempo? TONINA – Non è vero? È cambiato in un modoche non avrei creduto.GIULIA – Non è un miracolo che oggi madamaLugrezia non sia andata in maschera? TONINA – Oh, ci andrà! Non avrà avuto nessunoche andasse con lei. GIULIA – Quindi adesso, che ha compagnia, ci andrà. TONINA – Ma io non so che stomaco abbianoqueste a prendere di mira gli uomini sposati! GIULIA – La troverà un giorno quella che le faràuno sfregio sul muso. TONINA – Se lo meriterebbe, da donnarispettabile. GIULIA – Non ha un minimo di ritegno. TONINA – Quando si sarà spaccata la faccia la finirà.GIULIA – Basta dire che fa entrare in casa imariti sotto gli occhi della moglie. TONINA – Che si sia accorta di essere stata vista? GIULIA – Poteva aspettarselo che una volta ol’altra l’avrebbero vista. TONINA – In realtà, io sono andata al balcone pervedere se loro arrivavano. Ma i balconi di quella lìnon li guardo mai. Ho dato un’occhiata per caso el’ho visto andare dentro.GIULIA – Anche io l’ho visto per caso. Avreipreferito morire. TONINA – Vuole che andiamo a spiare sullaporta quando escono di casa? GIULIA – Come vuole, signora Tonina. Ma iocredo che sarebbe meglio andare a casa sua eprenderla a schiaffi come si deve.TONINA – Oh, cara, si rivolterebbe tutto il quartiere. GIULIA – Su di noi non avrebbero nulla da ridire.Una va a cercare suo marito, l’altra l’accompagna:a lei rimarrebbe la vergogna. TONINA – Signora Giulia, faccia come dico io.Siamo prudenti. Sistemeremo tutto con calma. GIULIA – Oh, quando si tratta di queste cose,godo a svergognarle queste intriganti! TONINA – Lasci fare a me, troverò una soluzione. GIULIA – E come, cara? TONINA – Conosco una persona che può molto,e che la farà andar via da questa città. GIULIA – (La Signora Tonina ha sempre avuto isuoi protettori). (da sé)TONINA – Che dice, signora Giulia?

GIULIA – Sì signora, ha ragione. TONINA – Vuole che andiamo? GIULIA – Come vuole. TONINA – Se non vuole, è padrona. Sto qua con lei. GIULIA – No signora, andiamo! (Poveretta, mi fapena! Le preme di vedere quando esce di casa suomarito). (da sé)TONINA – (Poveraccia, ha un bel marito!) (da sé,e partono)

Scena undicesima

Strada come prima, con case. La signora Chiaretta al balcone.

CHIARETTA – Di qua non passa un’anima. Tuttala gente è in piazza. Almeno passasse il signorBaseggio. Speriamo non sia con quella pettegola diOrsetta! Ah povera Chiaretta sfortunata! È meglioche me ne vada da qui. A Venezia non ho fortuna.Le ragazze pratiche di Venezia sono furbe come ildiavolo. Io, povera sfortunata, non ci so fareabbastanza; qui non mi sposerò mai. Pazienza.

Scena dodicesima

La signora Giulia, la signora Tonina sulla porta,e detta.

TONINA – Oh! aprono la porta dell’amica. GIULIA – Vediamo, vediamo. TONINA – Rientriamo. (si ritirano)

Scena tredicesima

Il signor Boldo da casa di Lugrezia, chiude laporta, e parte; e dette.

GIULIA – Cosa? Mio marito? (sulla porta)TONINA – Zitta, signora Giulia. (tenendola)GIULIA – Mio marito da quella? TONINA – Zitta, ma non lo sapeva? GIULIA – Disgraziata! Voglio chiamarlo. TONINA – No, cara, non facciamo scenate. GIULIA – Mio marito... TONINA – Zitta, se mi vuole bene. GIULIA – Povera me! TONINA – Venga dentro. GIULIA – Voglio seguirlo. TONINA – Ma via, venga dentro. GIULIA – Signora Tonina! Sono morta. (si ritirano)

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CHIARETTA – Oh, co stufa che son de ste zanae,e per quel che i me conta, a Venezia ghe ne xeassae de sti marii e muggier.

Scena quattordicesima

Sior Todero di casa di Lugrezia, serra e parte; e dette.

TONINA – Mio mario? (sulla porta)GIULIA – Zitto, siora Tonina. (trattenendola)TONINA – Da la vedoa mio mario? GIULIA – No la l’aveva visto? TONINA – Siora no, aveva visto sior Boldo. GIULIA – E mi aveva visto sior Todero. TONINA – Dov’ela custia? Che la vegna fora. GIULIA – Mo via, la gh’abbia prudenza. TONINA – No me posso tegnir. GIULIA –S’arrecorde la cossa che l’ha m’ha dito a mi? TONINA – Donna del diavolo! (verso il balconedi Lugrezia, ed entra in casa)GIULIA – Striga maledetta! (fa lo stesso)CHIARETTA – Vago vedendo che sarà meggioche me marida de fuora. (entra)

Scena quindicesima

Arlecchino solo.

ARLECCHINO – Ho fatto la mia zornada, no vôivadagnar altro. Vôi andar a véder se sioraLugrezia ha bisogno de gnente. I altri facchini iva la sera a far codega. Mi mo no me degno. Sonun omo civil, e ghe scommetteria la testa, che memader per far un fiol nobil, l’ha tolt in prestido lanobiltà da qualcun.

Scena sedicesima

Siora Lugrezia in maschera, che vien fuori dicasa, e detto.

LUGREZIA – Oe, qua sè? Caro sior Arlecchin, vedesiderava quel che sta ben. ARLECCHINO – Giust’adesso vegniva a servirla,patrona cara. Ala bisogno che porta l’acqua, chetragga le legne? La comanda, son qua tutto per ela. LUGREZIA – In casa no bisogna gnente. Volevada vu un servizio fora de casa. ARLECCHINO – La servirò dove che lacomanda. In casa, fora de casa, in camera, suicoppi, dove che la vol.

LUGREZIA – Sta sera me premerave andar aRedutto, e no gh’ho nissun che me compagna.Vorave che ve immascheressi, e che vegnissi con mi. ARLECCHINO – Volentiera, e la menerò anca almoscato. LUGREZIA – No, vecchio, al moscato mi no ghevago; me basta che me compagnè a Redutto, e chestè là con mi, fin che vien le mie mascare. ARLECCHINO – E po, co vien le so mascare? LUGREZIA – Anderè via, dove che vorrè. ARLECCHINO – Starò anca mi in conversazion. LUGREZIA – Oh, no le xe conversazion per vu,sior. Andarè a far i fatti vostri. ARLECCHINO – Ma co la se degna che lacompagna, la se pol degnar che staga con ela. LUGREZIA – Me fazzo compagnar da vu, perchéno gh’ho altri. ARLECCHINO – Da resto... de mi no la se degna... LUGREZIA – La saria bella, che un tocco defacchin se mettesse in ganzega.ARLECCHINO – La perdona se la compatisso. Abon reverirla. LUGREZIA – Dove andeu, sior? ARLECCHINO – Vago via, perché no son degno... LUGREZIA – Animo, andeve a immascherar, evegnì con mi.ARLECCHINO – No vorria che la fusse troppaconfidenza... LUGREZIA – Animo, digo, se no, no mettè più népiè, né passo in casa mia. ARLECCHINO – Siora Lugrezia, no la vaga incollera. LUGREZIA – Più finezze che se fa a sto aseno, sefa pezo. ARLECCHINO –Siora Lugrezia, no la me strapazza. LUGREZIA – Ghe fazzo sto onor de vegnir conmi in mascara e sta carogna se fa pregar. ARLECCHINO – Siora Lugrezia, no la me digacarogna. LUGREZIA – Animo, andeve a immascherar. ARLECCHINO – Dove, siora Lugrezia? LUGREZIA – Andè da Menega, e immaschereve. ARLECCHINO – Come, siora Lugrezia? LUGREZIA – Gh’ho lassà fora un codegugno, untabarro, una bautta e un cappello. ARLECCHINO – Anca el volto, siora Lugrezia? LUGREZIA – El volto costa quattordese soldi.Menega li ha spesi ela, degheli. ARLECCHINO – Siora sì, volentiera. LUGREZIA – Via, destrigheve. ARLECCHINO – Siora Lugrezia, èla in collera? LUGREZIA – Eh! ARLECCHINO – Èla in collera, siora Lugrezia? LUGREZIA –No, no son più in collera, destrigheve.

CHIARETTA – Non ne posso più di queste sceneggiate,e da quel che sento, Venezia è piena di mariti e mogli delgenere. Mi sa che è meglio sposarsi fuori Venezia.

Scena quattordicesima

Il signor Todero da casa di Lugrezia, chiude eparte; e dette.

TONINA – Mio marito? (sulla porta)GIULIA – Zitta, signora Tonina. (trattenendola)TONINA – Dalla vedova mio marito? GIULIA – Non l’aveva visto? TONINA – No signora, avevo visto il signor Boldo. GIULIA – E io avevo visto il signor Todero. TONINA – Dov’è quella lì? Che venga fuori. GIULIA – Ma via, sia prudente. TONINA – Non posso tenermi. GIULIA – Non si ricorda di quello che mi ha detto? TONINA – Donna del diavolo! (verso il balconedi Lugrezia, ed entra in casa)GIULIA – Strega maledetta! (fa lo stesso)CHIARETTA – Che follia! (entra)

Scena quindicesima

Arlecchino solo.

ARLECCHINO – Per oggi ho finito di lavorare,non voglio guadagnare altro. Voglio vedere se lasignora Lugrezia ha bisogno di qualcosa. Gli altrifacchini la sera vanno a far luce con le lanterne,lavorano anche di notte. Io non mi degno. Sonoun uomo civile, e scommetterei la testa, che miamadre per fare un figlio nobile, ha preso inprestito la nobiltà da qualcuno.

Scena sedicesima

La signora Lugrezia in maschera, che vien fuoridi casa, e detto.

LUGREZIA – Sei qui? Caro signor Arlecchino, vicercavo dappertutto. ARLECCHINO – Giusto adesso venivo aservirla, padrona cara. Ha bisogno che le tiri sul’acqua, che le porti la legna? Comandi che sonoqui tutto per lei. LUGREZIA – In casa non c’è bisogno di niente.Volevo da voi un favore fuori casa. ARLECCHINO – La servirò dove comanda. In

casa, fuori casa, in camera, sul tetto, dove vuole. LUGREZIA – Stasera ho bisogno di andare alRidotto, e non ho nessuno che mi accompagni.Vorrei che vi metteste in maschera e veniste con me. ARLECCHINO – Volentieri, e la porterò ancheall’osteria del moscato. LUGREZIA – No, vecchio, al moscato io non civado; basta che mi accompagnate al Ridotto, eche stiate lì con me finché non arrivano le miemaschere. ARLECCHINO – E poi, quando sono arrivate lesue maschere? LUGREZIA – Andrete via, dove vi pare. ARLECCHINO – Resterò anch’io a conversare. LUGREZIA – Non sono conversazioni per voi,signore. Andrete a fare i fatti vostri. ARLECCHINO – Ma se si degna che iol’accompagni, può anche degnarsi che stia con lei. LUGREZIA – Mi faccio accompagnare da voi,perché non c’è nessun altro.ARLECCHINO – Del resto... di me non si degna... LUGREZIA – Sarebbe bella, che un facchino simontasse la testa. ARLECCHINO – Mi perdoni se la compatisco. Abuon riverirla. LUGREZIA – Dove andate, signore? ARLECCHINO – Vado via, perché non sono degno... LUGREZIA – Animo, andate a mascherarvi, evenite con me. ARLECCHINO – Non vorrei che ci fosse troppaconfidenza... LUGREZIA – Animo, dico, se no, non mettetepiù piede in casa mia. ARLECCHINO – Signora Lugrezia, non vada incollera. LUGREZIA – Meglio si tratta questo asino, peggio è. ARLECCHINO – Signora Lugrezia, non mistrapazzi. LUGREZIA – Gli faccio l’onore di venire inmaschera con me e questa carogna si fa pregare. ARLECCHINO – Signora Lugrezia, non michiami carogna. LUGREZIA – Animo, andate a mettervi in maschera. ARLECCHINO – Dove, signora Lugrezia? LUGREZIA – Andate da Menega, e mettetevi inmaschera. ARLECCHINO – Come, signora Lugrezia? LUGREZIA – Ho lasciato fuori un vestito, untabarro, una bautta e un cappello. ARLECCHINO – Anche la maschera, signora Lugrezia? LUGREZIA – La maschera costa quattordicisoldi. Li ha spesi Menega, dateglieli. ARLECCHINO – Sì signora, volentieri. LUGREZIA – Via, sbrigatevi.

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ARLECCHINO – M’aspettela qua, siora Lugrezia? LUGREZIA – Me vegnirè a tor qua da sioraTonina. Vago un poco a trovarla che xe un pezzoche no la vede.ARLECCHINO – La sarà servida, siora Lugrezia. LUGREZIA – Ma sentì; co vegni, battè e femechiamar, ma disè miga chi sè, savè? ARLECCHINO – No? Per cossa, siora Lugrezia? LUGREZIA – Perché no voggio che i sappia cheme fazzo compagnar dal facchin. ARLECCHINO –No son miga un baron, siora Lugrezia. LUGREZIA –Oh, m’avè pur seccà co sta siora Lugrezia. ARLECCHINO – Vôi mo dir... LUGREZIA – O destrigheve, o andeve a far squartar. ARLECCHINO – Vago subito, siora Lugrezia. LUGREZIA – Andè, sior mala grazia, andè, sioraseno. ARLECCHINO – (Questo l’è el solito pagamentode le mie fadighe). (da sé, va in casa di Lugrezia)

Scena diciassettesima

Lugrezia sola.

LUGREZIA – In verità che la xe da rider. Custù,più despetti che ghe fazzo, più che ghe digo roba,el me xe più drio, el me fa tutto, e nol me costa unbezzo. Anca questo xe un utiletto, che no xe cattivo.A bon conto me farò compagnar a Redutto, e lo faròstar con mi, finchè troverò qualchedun checognosso. Za no sen miga sola, che fazzaimmascherar un facchin o un servitor. Ghe ne xe dequelle poche, che fa cossì. Col xe in mascara nissunlo cognosse, nol me dà suggizion, e lo possolicenziar co voggio. Oh, vôi andar un pochetto dasiora Tonina! Xe giusto ora a proposito per starghepoco, perché, co la scomenza, la dà fette che nofenisse mai. La pratico cussì per cerimonia, da restono la posso soffrir. (batte da Tonina)VOCE DI DENTRO – Chi è? LUGREZIA – Amici boni. (aprono, e va in casa)

Scena diciottesima

Camera in casa de siora Tonina. Siora Tonina e siora Giulia, poi siora Chiaretta.

TONINA – La me xe andada mo zoso per i calcagni. GIULIA – Le xe cosse che passa tutti i doveri. CHIARETTA – Siora Tonina, sala chi xe? TONINA – Chi, fia? CHIARETTA – Siora Lugrezia in mascara.

TONINA – Eh via! GIULIA – Oh magari! CHIARETTA – Siora sì, in verità. Tonia m’ha ditoche ghe lo vegna a dir, e intanto la la trattien achiaccole. (parte)GIULIA – La lassa che la vegna. (a Tonina)TONINA – Cara siora Giulia, in casa mia novorave che fessimo pettegolezzi. Se vien miomario, poveretta mi. Quei de suso i sente tutto. Carasiora, la prego la dissimula, la usa prudenza. GIULIA – Gh’ala paura? La lassa parlar a mi. TONINA –Me xela amiga, siora Giulia? Me vorla ben? GIULIA – No vorla! TONINA – La me fazza un servizio, cara ela, lavaga in quell’altra camera, per no aver occasionde criar. GIULIA – Me vien voggia de chiapparla per elcollo, e de darghene fin che me stufo. Oh, saràmeggio che vaga via. TONINA – Siora sì, la vaga in quella camera, e lalassa far a mi, che presto la manderò via. GIULIA – La la destriga presto, se no la vol chefemo baruffa! (si ritira)TONINA – Per schivar tutti i pericoli, anderò mi incusina, e sentirò cossa che la vol. (va per andare)

Scena diciannovesima

Siora Lugrezia e siora Tonina.

TONINA – (Vela qua sta sfazzadona). LUGREZIA – Patrona, siora Tonina. TONINA – Patrona, siora Lugrezia. LUGREZIA – Che cara matta che xe quella somassera. No la farave altro che chiaccolar. Gh’hodà dei confetti, e la m’ha fatto tanto rider. TONINA – Oh, siora sì, la xe aliegra. LUGREZIA – Cossa fala, siora Tonina? Stala bene? TONINA – Eh! cussì, cussì. LUGREZIA – Xe un pezzo che no se vedemo. TONINA – Vago poco fora de casa. LUGREZIA – Cossa fala tanto in casa? TONINA – Tendo ai fatti mii. (sostenuta)LUGREZIA – Oh siora sì! Lo so che la tende aifatti soi. La me lo dise mo in t’una certa maniera,che no la capisso. TONINA – Cara ela, mi no so cossa dir; no so parlarmeggio de cussì, perché mi no pratico, sala? LUGREZIA – Siora Tonina, gh’ala qualcossa co mi? TONINA – Perché me lo domandela? M’ala dàqualche motivo d’esser desgustada de ela? LUGREZIA – Cossa soggio mi! Vedo certi musoniche debotto debotto... me vien suso el mio mal.

ARLECCHINO – Signora Lugrezia, è in collera? LUGREZIA – Eh! ARLECCHINO – È in collera, signora Lugrezia? LUGREZIA – No, non sono più in collera, sbrigatevi. ARLECCHINO – Mi aspetta qui, signora Lugrezia? LUGREZIA – Venitemi a prendere dalla signoraTonina. Vado un momento a trovarla, è un pezzoche non la vedo. ARLECCHINO – Sarà servita, signora Lugrezia. LUGREZIA – Ma sentite; quando arrivate,bussate e fatemi chiamare dalla serva, non dite chisiete, d’accordo? ARLECCHINO – No? Perché, signora Lugrezia? LUGREZIA – Perché non voglio far sapere chemi faccio accompagnare dal facchino. ARLECCHINO – Non son mica un poco dibuono, signora Lugrezia. LUGREZIA – Mi avete scocciato con sta signoraLugrezia. ARLECCHINO – Voglio dire... LUGREZIA – Sbrigatevi, o andate a farvi squartare. ARLECCHINO – Vado subito, signora Lugrezia. LUGREZIA – Andate, signor mala grazia, andate,signor asino. ARLECCHINO – (Questo è il solito pagamentoper le mie fatiche). (da sé, va in casa di Lugrezia).

Scena diciassettesima

Lugrezia sola.

LUGREZIA – È proprio da ridere. Questo qui, più lotratto male, più lo insulto, più mi viene dietro, fa tuttoe non mi costa niente. Anche questo è un guadagnoniente male. Ad ogni modo mi farò accompagnare alRidotto, e lo farò stare con me, finché non troveròqualcuno che conosco. Non sono mica l’unica che famascherare un facchino o un servitore. Ce ne sonotante che fanno così. Quando sarà in mascheranessuno lo riconoscerà, non mi metterà in imbarazzoe lo posso mandar via quando voglio. Oh, voglioandare un po’ dalla signora Tonina! Solo per un po’,perché, quando comincia non la finisce più. La frequento così per educazione in realtà non lasopporto. (batte da Tonina)VOCE DI DENTRO – Chi è? LUGREZIA – Buoni amici. (aprono, e va in casa)

Scena diciottesima

Camera in casa della signora Tonina. La signoraTonina e la signora Giulia, poi la signora Chiaretta.

TONINA – Mi è proprio scaduta. GIULIA – Sono cose che passano ogni limite. CHIARETTA – Signora Tonina, sa chi è? TONINA – Chi, figlia? CHIARETTA – La signora Lugrezia in maschera. TONINA – Eh via! GIULIA – Magari! CHIARETTA – Sì signora, davvero. Tonia mi hadetto di venirvelo a dire mentre la intrattiene inchiacchiere. (parte)GIULIA – La lasci entrare. (a Tonina)TONINA – Cara signora Giulia, in casa mia nonvorrei che dessimo scandalo. Se torna mio marito,povera me. Quelli di sopra sentono tutto. Carasignora, la prego faccia finta di niente, sia prudente. GIULIA – Ha paura? Lasci parlare me. TONINA – È mia amica, signora Giulia? Mi vuole bene? GIULIA – Come no! TONINA – Mi faccia un favore, cara, vada inquell’altra camera, così non si metterà a urlare. GIULIA – Mi viene voglia di prenderla per ilcollo e dargliene finché non mi stufo. Sì, saràmeglio che vada via. TONINA – Sì signora, vada in quella camera, elasci fare a me, la manderò via subito. GIULIA – Faccia in fretta, se non vuole chefacciamo una scenata! (si ritira)TONINA – Per evitare ogni rischio, andrò io incucina e sentirò cosa vuole. (fa per andare)

Scena diciannovesima

La signora Lugrezia e la signora Tonina.

TONINA – (Eccola qua quella brutta sfacciata). LUGREZIA – Padrona, signora Tonina. TONINA – Padrona, signora Lugrezia. LUGREZIA – Che matta che è quella sua serva.Non farebbe altro che chiacchierare. Le ho datodei confetti e mi ha fatto tanto ridere. TONINA – Sì signora, lei è allegra. LUGREZIA – Cosa fa, signora Tonina? Sta bene? TONINA – Eh! così, così. LUGREZIA – È un pezzo che non ci vediamo. TONINA – Esco poco di casa. LUGREZIA – Cosa fa tanto in casa? TONINA – Mi faccio i fatti miei. (sostenuta)LUGREZIA – Sì signora! Lo so che si fa i fattisuoi. Ma me lo dice in un modo che non la capisco. TONINA – Cara, non so che dire; non so parlaremeglio di così, perché io non sono una donna dimondo, sa? LUGREZIA – Signora Tonina, ce l’ha con me?

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TONINA – Se scaldela, siora Lugrezia? LUGREZIA – Xe un pezzo che me n’accorzo, chela me varda per sbiego. No son miga orba, sala? TONINA – Se no la xe orba ela, no xe orbignanca i altri. LUGREZIA – Cara ela, la me la spiega in volgar. TONINA – A una dottora della so sorte, me parche poche parole doverave bastar. LUGREZIA – Siora Tonina! La varda ben comeche la parla!TONINA – L’oi strapazzada?LUGREZIA – Vegnimo alle curte. Cossa gh’alacoi fatti mii? TONINA – Cossa vorla che gh’abbia? Gnente. LUGREZIA – Se la xe una donna onorata, lam’ha da dir cossa che la gh’ha. TONINA – La va tanto drio, che bisognerà po cheparla. LUGREZIA – Via, la diga. TONINA – Mio mario vienlo mai da ela? LUGREZIA – Siora sì. TONINA – Bon. Basta cussìLUGREZIA – E se el vien, el vien in t’una casa daben e onorata. TONINA – Cossa vienlo a far in casa soa? LUGREZIA – La ghe lo domanda a elo, che la losaverà. TONINA – E ela no la me lo pol dir? LUGREZIA – Siora no; son una donna prudente,e no ghe lo posso dir. TONINA – Se la fusse una donna prudente, la melo dirave. LUGREZIA – Oh la senta, ghe lo dirò anca. Perlevarghe i pulesi de testa, ghe lo dirò. Gh’hoimprestà dei bezzi, acciò che el paga i so debiti. TONINA – Eh cara siora, no la me vegna acontar de le fiabe. Mio mario no xe in sto stato.Nol gh’ha debiti, nol gh’ha bisogno de tior bezzida nissun. Grazie al cielo, el gh’ha un bonnegozio mio mario. LUGREZIA – Co sarave a dir, no la me crede. TONINA – Eh cara siora, xe un pezzo che secognossemo. LUGREZIA – Olà, olà, patrona, no ghe vien tantesala? Son una donna da ben, e son cognossua; ese no tegnirè la lengua drento dei denti, ve dirò dechi v’ha nanìo.TONINA – Calère, calère.LUGREZIA – Cossa xe ste calère? Oh ca deDiana de dia! Me strapazzè, siora, e pretenderessiance che tasesse? Con chi credeu de aver da far?Se sè usa trattar con delle sempie, con mi l’avèfallada, sorella cara. TONINA – Cara siora, faressi meggio a andar a

far i fatti vostri. LUGREZIA – Sì, sì, vago via. No sè degna depraticar de le donne de la mia sorte. TONINA – Vardè che gran lustrissima! Pratico dellepersone, che no sè degna de zolarghe le scarpe. LUGREZIA – Oh, oh, oh, che suggettone che lapratica! quella pettegola de siora Giulia.

Scena ventesima

Siora Giulia dalla camera, e dette.

GIULIA – Come parleu, siora? A mi pettegola? LUGREZIA – Siora sì, l’ho dito e ve lo mantegno.Sè andada digando che vostro mario vien da mi,che el fa, che el briga; credeu che no lo sappia? GIULIA – Oe, lo negheressi fursi, che mio mariono vegna in casa vostra? LUGREZIA – Chi ve nega sta cossa? Varè chesuggizion che gh’ho a dirve de sì. GIULIA – Sè una bella petulante, siora. LUGREZIA – Sè una bella temeraria, patrona. GIULIA – A mi! TONINA –Oe, siora, voleu aver creanza? (a Lugrezia)LUGREZIA – Oh fia mia, son nassua de carneval,no gh’ho paura de brutti musi. GIULIA –Cossa vienlo a far mio mario in casa vostra? LUGREZIA – Cossa crederessi che el vegnisse afar? Nol xe né bello, né ricco; no sarò cosìinspiritada de tenderghe per sior sì e ste cosse. GIULIA – Eh za, el solito. Co s’ha magnà, sesprezza. LUGREZIA – Coss’è sto magnà? Coss’oggiomagnà? Mi no gh’ho bisogno dei vostri peocchi.Se sior Boldo xe vegnù da mi, el xe vegnù per inumeri del lotto. GIULIA – Oh, oh, oh, sentì, sentì, siora Tonina,per i numeri del lotto. TONINA – E a mio mario la s’inventa che lagh’ha imprestà dei bezzi. LUGREZIA – E cussì, cossa vorressi dir? GIULIA – Via, che sè una busiara. TONINA – Una panchiana. LUGREZIA – Oh cospetto de diana de dia... GIULIA – Oe, sentì come che la cospettiza!LUGREZIA – Sia maledetto…TONINA – Oe, la biastema. LUGREZIA – Se savessi come che me pizza le man! GIULIA – Provève, siora. TONINA – Provève. LUGREZIA – Credeu de farme paura, perché sein do? No v’ho gnanca in te la mente, se fussidiese de la vostra sorte.

TONINA – Perché me lo chiede? Mi ha datoqualche motivo per essere disgustata di lei? LUGREZIA – Che ne so io! Vedo certi musi che amomenti... mi viene la bile TONINA – Si scalda, signora Lugrezia? LUGREZIA – Da un pezzo mi sono accorta chemi guarda male. Non sono mica cieca, sa?TONINA – Se non è cieca lei, non sono ciechineanche gli altri. LUGREZIA – Cara lei, me lo dica in parolepovere.TONINA – A una sapientona come lei,dovrebbero bastare poche parole. LUGREZIA – Signora Tonina! Stia attenta a come parla! TONINA – L’ho offesa? LUGREZIA – Tagliamo corto. Cos’ha contro di me? TONINA – Cosa vuole che abbia? Niente. LUGREZIA – Se è una donna rispettabile, mideve dire cos’ha. TONINA – Insiste tanto, che alla fine dovrò parlare. LUGREZIA – Via, dica. TONINA – Mio marito viene mai da lei? LUGREZIA – Sì signora. TONINA – Bene, basta così.LUGREZIA – E se viene, viene in una casa perbene e rispettabile. TONINA – Cosa viene a far in casa sua? LUGREZIA – Lo chieda a lui, e lo saprà. TONINA – E lei non me lo può dire? LUGREZIA – No signora; sono una donnaprudente, e non posso dirglielo. TONINA – Se fosse una donna prudente, me lo direbbe. LUGREZIA – Va bene, glielo dirò. Per toglierleogni dubbio, glielo dirò. Gli ho prestato dei soldi,perché paghi i suoi debiti. TONINA – Cara signora, non mi venga araccontare delle favole. Mio marito non è inquesto stato. Non ha debiti, non ha bisogno dichiedere soldi a nessuno. Grazie al cielo gli affaridi mio marito vanno bene.LUGREZIA – Sarebbe a dire, che non mi crede. TONINA – Cara signora, è un pezzo che ci conosciamo. LUGREZIA – Oh, padrona, non ci vengono intanti da me, sa? Sono una donna per bene, e houna certa reputazione; e se non terrete la lingua frai denti, maledirò voi e tutta la vostra razza. TONINA – Villane! Villane! LUGREZIA – Cos’è questo villane? Oh per Diana didio! Mi trattate così, signora, e pretendete anche che stiazitta? Con chi credete di avere a che fare? Se sieteabituata ad avere a che fare con delle stupide, con mecascate male, sorella cara. TONINA – Cara signora, fareste meglio ad andarea farvi i fatti vostri.

LUGREZIA – Sì, sì, vado via. Non siete degna difrequentare donne del mio livello. TONINA – Guardate che grande illustrissima!Frequento delle persone cui non siete degnaneanche di allacciare le scarpe. LUGREZIA – Oh, oh, oh, che personaggioni chefrequenta! Quella pettegola della signora Giulia.

Scena ventesima

La signora Giulia dalla camera, e dette.

GIULIA – Come dite, signora? A me pettegola? LUGREZIA – Sì signora, l’ho detto e ve lo ripeto.Siete andata in giro a dire che vostro marito viene dame, che fa, che briga, credete che non lo sappia?GIULIA – E non è vero forse che mio maritoviene in casa vostra? LUGREZIA – Chi lo nega? Guardate quanto mivergogno a dirvi di sì. GIULIA – Siete una bella petulante, signora. LUGREZIA – Siete una bella sfacciata, padrona. GIULIA – A me! TONINA – Signora, volete avere rispetto? (a Lugrezia)LUGREZIA – Figlia mia, sono nata di carnevale,non ho paura dei brutti musi. GIULIA – Cosa viene a fare mio marito in casa vostra? LUGREZIA – Cosa credete che venga a fare?Non è bello, né ricco; non sarò così fuori di testada interessarmene. GIULIA – Eh già, come al solito. Dopo che si èmangiato, si disprezza. LUGREZIA – Cosa vuol dire mangiato? Cos’homangiato? Io non ho bisogno dei vostri pidocchi.Se il signor Boldo è venuto da me, è venuto per inumeri del lotto. GIULIA – Oh, oh, oh, sentite, sentite, signoraTonina, per i numeri del lotto. TONINA – E a mio marito si è inventata diavergli prestato dei soldi. LUGREZIA – E così, cosa vorreste dire? GIULIA – Che siete una bugiarda. TONINA – Siete una contaballe. LUGREZIA – Per Diana di dio... GIULIA – Sentite cosa dice! LUGREZIA – Sia maledetto… TONINA – Oh, bestemmia. LUGREZIA – Se sapeste come mi prudono le mani! GIULIA – Provateci, signora. TONINA – Provateci. LUGREZIA – Credete di farmi paura, perché siete indue? Non avrei problemi neanche se foste in dieci.

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Scena ventunesima

Siora Chiaretta e dette.

CHIARETTA – La toga, siora, i confetti che lagh’ha donà a la massera. La disse cussì, che la seli petta. (getta i confetti addosso di Lugrezia)LUGREZIA –Tocco de frasconazza, cossa xe sti tiri? CHIARETTA – Se ghe li ha dai sior Baseggio, chela se li goda. LUGREZIA – Cossa v’importa a vu, siora, cheme li abbia dai Polo o Martin? CHIARETTA – Cossa diavolo gh’ala, che tutti iomeni ghe corre drio? LUGREZIA – Sentì che pettazza! CHIARETTA – A mi pettazza! GIULIA – Cussì strapazzè mia fiozza? (a Lugrezia)TONINA – No portè respetto a una putta? (a Lugrezia)LUGREZIA – E a mi perché no me portela respetto? CHIARETTA – Sior Baseggio m’ha contà tutto. LUGREZIA – Xelo el vostro moroso, siora? CHIARETTA – Se el fusse el mio moroso, son unaputta. LUGREZIA – Per esser putta, gh’avè molto lalengua longa, patrona; basta dir che sè campagnola. CHIARETTA – Coss’è sta campagnola? Soncettadina. LUGREZIA – Lustrissima. (con caricatura)TONINA – Oh che calèra! GIULIA – Oh che sbrega! LUGREZIA – Ah sporche, frascone, pettegolequante che sè! Me tolè in mezzo? In tre vegnìcontra de mi sola? Credeu de metterme insuggizion? Son una dona prudente, no voggiofarme menar per lengua; del resto, ve daria tantischiaffi, quanti che ghe ne podessi portar. TONINA – Schiaffi? GIULIA – A nu schiaffi? CHIARETTA – Schiaffi? (tutte e tre vanno perdargli, e Lugrezia tira fuori uno stilo)LUGREZIA – Stè in drio, che fazzo sangue.(le minaccia con lo stilo)TONINA – (La gh’ha el stilo!) (a Giulia, ritirandosi)GIULIA – (Oh che diavolo de donna!) (a Tonina, ritirandosi)CHIARETTA – El stilo? Me la batto. (parte)LUGREZIA – Son una donna onorata. GIULIA – Le donne onorate no le porta el stilo. LUGREZIA – Se lo porto, no lo porto per far mala nissun; ma no vôi che nissun me zappa sui piè.Contenteve che la ve passa cussì per adesso. Masangue de diana, se no gh’averè giudizio, ve faròvéder chi son.

TONINA – Lassème star mio mario, e no veminzono mai più. GIULIA – No stè a tormentar sior Boldo, e nom’arecorderò gnanca che siè a sto mondo. LUGREZIA – Mi dei vostri marii no so cossafarghene. Matte, zelose inspiritae! Ma saveuperché sè zelose? Perché se brutte. (parte)TONINA – Oh siestu maledetta! GIULIA – Se pol sentir pezo? TONINA – Perché semo brutte! GIULIA – Cossa diseu? TONINA – La xe bella ela. GIULIA – Oh che ràcola che la xe! TONINA – Aveu sentio co sboccaizza? GIULIA – Se vede che la xe relassada. TONINA – Dove anderala adesso? GIULIA – La xe capace de andar a trovar siorTodero o sior Boldo, e contarghe tutto. TONINA – E nualtre, poverazze, torremo de mezzo. GIULIA – Andemoghe drio? TONINA – No la troveremo. GIULIA – La lassa far a mi. A st’ora la va a Redutto. TONINA – El Redutto xe grando. GIULIA – La va sempre in crozzola dei vecchi, lavederemo. TONINA – Oh che donna! Oh che lengua! (parte)GIULIA – Oh che soldadon! Oh che sbirra! (parte)

Scena ventiduesima

Sala del Ridotto, con tavolini, sedie e lumi; variemaschere che stanno giocando, e altre chediscorrono. Siora Orsetta in mascara, siora Fabiain bautta.

ORSETTA – Xe ancora a bonora; gh’è poca zenteal Redutto. Vorla che se sentemo? che chiappemoposto? (Fabia fa moto che vada avanti, e vanno asedere ad un tavolino)ORSETTA – (Almanco vegnisse sior Baseggio aRedutto!) (da sé)

Scena ventitreesima

Siora Lugrezia in mascara, con Arlecchino inbautta, e detti.

LUGREZIA – Avanti che vegna più zente,sentemose qua. (siede a un altro tavolino)ARLECCHINO – Quel che la comanda, sioraLugrezia. LUGREZIA – Zitto, sieu maledetto! No me

Scena ventunesima

La signora Chiaretta e dette.

CHIARETTA – Prenda, signora, i confetti che hadato alla serva. Dice così che si li tenga. (getta iconfetti addosso di Lugrezia)LUGREZIA – Brutta presuntuosa, che modi sonoquesti? CHIARETTA – Se glieli ha dati il signorBaseggio, se li goda. LUGREZIA – Che importa a voi, signora, se meli ha dati Tizio o Caio? CHIARETTA – Cosa diavolo ha, che tutti gliuomini le corrono dietro? LUGREZIA – Sentite che pettegola! CHIARETTA – A me pettegola! GIULIA – Strapazzate così la mia figlioccia? (a Lugrezia)TONINA – Non portate rispetto a una ragazzina?(a Lugrezia)LUGREZIA – E lei perché non porta rispetto a me? CHIARETTA – Il signor Baseggio mi haraccontato tutto. LUGREZIA – È il vostro fidanzato, signora? CHIARETTA – Se è il mio fidanzato? Sono unaragazza da marito. LUGREZIA – Per essere una ragazza, avete lalingua molto lunga, padrona; basta dire che sieteuna campagnola. CHIARETTA – Cos’è questa campagnola? Sonocittadina. LUGREZIA – Illustrissima. (con caricatura)TONINA – Che villana! GIULIA – Che pettegola! LUGREZIA – Sporche, presuntuose, pettegoletutte quante! Mi circondate? In tre venite controme sola? Credete di farmi paura? Sono una donnaprudente, non voglio che si parli male di me;altrimenti, vi ammazzerei di schiaffi. TONINA – Schiaffi? GIULIA – A noi schiaffi? CHIARETTA – Schiaffi? (tutte e tre vanno perdargliele, e Lugrezia tira fuori uno stilo)LUGREZIA – State indietro, o vi ammazzo. (leminaccia con lo stilo)TONINA – (Ha un pugnale!) (a Giulia, ritirandosi)GIULIA – (Che diavolo di donna!) (a Tonina, ritirandosi)CHIARETTA – Il pugnale? Scappo. (parte)LUGREZIA – Sono una donna rispettabile. GIULIA – Le donne rispettabili non portano ilpugnale. LUGREZIA – Se lo porto, non ce l’ho per faremale a nessuno; ma non voglio che nessuno mipesti sui piedi. Ringraziate che per adesso va così.

Ma per Diana, se non state attente, vi farò vederechi sono. TONINA – Lasciate stare mio marito, e non vinominerò mai più. GIULIA – Non stuzzicate il signor Boldo, e nonmi ricorderò neanche che siete a questo mondo.LUGREZIA – Io dei vostri mariti non so chefarmene. Matte, gelose, indemoniate! Ma sapeteperché siete gelose? Perché siete brutte. (parte)TONINA – Maledetta! GIULIA – Si può sentire di peggio? TONINA – Perché siamo brutte! GIULIA – Che dite? TONINA – Sarà bella lei.GIULIA – Che spudorata! TONINA – Avete sentito come è sboccata? GIULIA – Si vede che è senza ritegno. TONINA – Dove andrà adesso? GIULIA – È capace di andare dal signor Todero odal signor Boldo, e di raccontare tutto. TONINA – E noi, poverette, ci andremo di mezzo. GIULIA – La seguiamo? TONINA – Non la troveremo. GIULIA – Lasci fare a me. A quest’ora va al Ridotto. TONINA – Il Ridotto è grande. GIULIA – Va sempre dove giocano i vecchi, latroveremo. TONINA – Che donna! Che lingua! (parte)GIULIA – Che soldataccio! Che sfacciata! (parte)

Scena ventiduesima

Sala del Ridotto, con tavolini, sedie e lumi; variemaschere che stanno giocando, e altre chediscorrono. La signora Orsetta in maschera, lasignora Fabia in bautta.

ORSETTA – È ancora presto; c’è poca gente alRidotto. Vuole che ci sediamo? che prendiamoposto? (Fabia fa moto che vada avanti, e vanno asedere ad un tavolino)ORSETTA – (Almeno venisse il signor Baseggioal Ridotto!) (da sé)

Scena ventitreesima

La signora Lugrezia in maschera, con Arlecchinoin bautta, e detti.

LUGREZIA – Prima che arrivi altra gente,sediamoci qui. (siede ad un altro tavolino)ARLECCHINO – Come comanda, signora

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nominè per nome. ARLECCHINO – Mo cossa gh’oio da dir? LUGREZIA – Siora mascara se dise. ARLECCHINO – La compatissa, imparerò. (siede)ORSETTA – (Ala sentìo? La xe siora Lugreziaquella mascara). (a Fabia, e lei senza parlare ride)ARLECCHINO – Comandela gnente, sioramascara Lugrezia? LUGREZIA – Andeve a far squartar, sior aseno.(Orsetta e Fabia ridono)ARLECCHINO – Mo perché? LUGREZIA – V’ho dito che no me stè a nominar,che se dise mascara, e no se dise altro. ARLECCHINO – Ma! se digo mascara, le xe tuttemascare; bisogna pur distinguer mascaraArlecchin da mascara Lugrezia. LUGREZIA – El diavolo che ve porta. (gli dà unaspinta, e lo fa cadere)ARLECCHINO – Aiuto. (Una mascara chegiuoca, chiama:) Carte.

Scena ventiquattresima

Servo del Ridotto, e detti

SERVO – Cossa xe, siora mascara?(ad Arlecchino) Ghe xe vegnuo mal? Vorladell’acqua fresca? ARLECCHINO – Gnente, amigo, son cascà. SERVO – L’abbia la bontà de comodarse, e no farsussuro. A Redutto no se fa sti strepiti. (parte)LUGREZIA – (Adessadesso custù me fasvergognar anca mi). (da sé)ARLECCHINO –Son qua, siora mascara... (a Lugrezia)LUGREZIA – Andè là, andè a spazzizar. ARLECCHINO – Sangue de mi, gh’ho doducatelli d’arzento, me vien voia de andarli arischiar. LUGREZIA – Via sì, andè, da bravo, e po tornè qua. ARLECCHINO – Vôi rischiar la mia fortuna. (vaper andar via)LUGREZIA – Oe, mascara. (Arlecchino seguitaad andare) Mascara. (Arlecchino come sopra)Mascara. Ih! ARLECCHINO – A mi? LUGREZIA – Sì, vegnì qua. Seu sordo?(Arlecchino torna da Lugrezia)ARLECCHINO – La compatissa. Credeva cheall’omo se ghe disesse mascaro. LUGREZIA – Gh’avè rason: alle mascare comevu, se ghe dise mascarotto. Sentì, zoghemoli amità quei do ducati. ARLECCHINO – Volentiera. Me ne dala altri do?

LUGREZIA – Intanto zoghè quelli, e po vegnì qua. ARLECCHINO – Non occorr’altro. Prima i mii, ei sói gh’è tempo. (parte)LUGREZIA – De le volte sti martufi i porta via dele cappellae de ducati.

Scena venticinquesima

Sior Baseggio, con la solita maschera, vapasseggiando e guardando i tavolini; e detti.

LUGREZIA – (Sior Baseggio). (da sé)ORSETTA – (Vede sior Baseggio, e gli fa cenno.Lui le va vicino e le siede appresso)LUGREZIA – (Chi mai xela culìa? La me parquella che ho visto a passar ancuo). (da sé)ORSETTA – (Bravo, sior, bravo!) (sottovoce)BASEGGIO – (Perché me diseu cussì, mascara?Cossa v’oggio fatto?) ORSETTA – (Eh, ho visto tutto!) (sottovoce)BASEGGIO – (Mo cossa? Disemelo). ORSETTA – (Sì, sì, caretto, feve da la villa). BASEGGIO – (Se so gnente, che muora). ORSETTA – (Vela là, vedè). BASEGGIO – (Chi?) ORSETTA – (La vostra vedoa). BASEGGIO – (La mia vedoa?) ORSETTA – (Sì ben, siora Lugrezia). BASEGGIO – (Cossa m’importa a mi de sioraLugrezia?) ORSETTA – (Ghe cantè sotto i balconi, ghe dè deiconfetti). BASEGGIO – (Oh, ve dirò per cossa che l’ho fatto). ORSETTA – (Via mo, per cossa?) BASEGGIO – (Chi xela quella mascara?) ORSETTA – (Mia mare). BASEGGIO – (Patrona, siora mascara). ORSETTA – (Eh lassè, che la dorme). BASEGGIO – (Co la dorme, podemo parlar conlibertà). (s’avvicina e le parla)

Scena ventiseiesima

Arlecchino allegro, e detti.

LUGREZIA – (Sior Baseggio s’ha taccà pulito; lavecchia finze de dormir). (da sé)ARLECCHINO – Siora mascara. (a Lugrezia)LUGREZIA – E cussì? ARLECCHINO – Ho vadagnà. LUGREZIA – Quanto? ARLECCHINO – Sie ducati.

Lugrezia. LUGREZIA – Zitto, maledetto! Non mi chiamateper nome. ARLECCHINO – Ma cosa devo dire? LUGREZIA – Si dice signora maschera. ARLECCHINO – Mi scusi, imparerò. (siede)ORSETTA – (Ha sentito? È la signora Lugreziaquella maschera). (a Fabia, e lei senza parlare ride)ARLECCHINO – Comanda niente, signoramaschera Lugrezia? LUGREZIA – Andatevi a farvi squartare, signorasino. (Orsetta e Fabia ridono)ARLECCHINO – Perché? LUGREZIA – Vi ho detto di non chiamarmi pernome, si dice maschera e basta. ARLECCHINO – Ma se dico maschera, sonotutte maschere; bisogna pur distinguere mascheraArlecchino da maschera Lugrezia. LUGREZIA – Che il diavolo che vi porti. (gli dàuna spinta, e lo fa cadere)ARLECCHINO – Aiuto. (Una maschera chegiuoca, chiama:) Carte.

Scena ventiquattresima

Servo del Ridotto, e detti

SERVO – Che succede qui, signora mascara? (adArlecchino) Sta male? Vuole dell’acqua fresca? ARLECCHINO – Niente amico, sono caduto. SERVO – Abbia il buon gusto di sedersi e nonfare rumore. Al Ridotto non si fanno questistrepiti. (parte)LUGREZIA – (Adesso questo fa svergognarepure me). (da sé)ARLECCHINO – Sono qui, signora maschera...(a Lugrezia)LUGREZIA – Andate là, andate a passeggiare. ARLECCHINO – Sangue mio, ho due ducatellid’argento, mi vien voglia di andarli a giocare. LUGREZIA – Sì, andate, da bravo, e poi tornate qua. ARLECCHINO – Voglio tentare la fortuna. (vaper andar via)LUGREZIA – Oh, maschera. (Arlecchino seguitaad andare) Maschera. (Arlecchino come sopra)Maschera. Ih! ARLECCHINO – A me? LUGREZIA – Sì, venite qua. Siete sordo?(Arlecchino torna da Lugrezia)ARLECCHINO – Scusi. Credevo che all’uomo sidicesse maschero. LUGREZIA – Avete ragione: alle maschere comevoi, si dice mascherotto. Sentite, giochiamoli a

metà quei due ducati. ARLECCHINO – Volentieri. Me ne dà altri due? LUGREZIA – Intanto giocate quelli, e poi tornate qua. ARLECCHINO – Non occorre altro. Prima imiei, per i suoi c’è tempo. (parte)LUGREZIA – Delle volte questi sciocchi portanovia un sacco di ducati.

Scena venticinquesima

Il signor Baseggio, con la solita maschera, vapasseggiando e guardando i tavolini; e detti.

LUGREZIA – (Il signor Baseggio). (da sé)ORSETTA – (Vede sior Baseggio, e gli fa cenno.Lui le va vicino e le siede appresso)LUGREZIA – (Chi sarà quella lì? Mi sembraquella che ho visto passare oggi). (da sé)ORSETTA – (Bravo, signore, bravo!) (sottovoce)BASEGGIO – (Perché mi dite così, maschera?Che vi ho fatto?) ORSETTA – (Ho visto tutto!) (sottovoce)BASEGGIO – (Ma cosa? Ditemelo). ORSETTA – (Sì, sì, caro, fate il finto tonto). BASEGGIO – (Possa morire se so qualcosa). ORSETTA – (Eccola là, vedete). BASEGGIO – (Chi?) ORSETTA – (La vostra vedova). BASEGGIO – (La mia vedova?) ORSETTA – (Sì, la signora Lugrezia). BASEGGIO – (Cosa importa a me della signoraLugrezia?) ORSETTA – (Le cantate sotto i balconi, le date iconfetti). BASEGGIO – (Vi dirò per cosa l’ho fatto). ORSETTA – (Sentiamo, perché?) BASEGGIO – (Chi è quella maschera?) ORSETTA – (Mia madre). BASEGGIO – (Padrona, signora maschera). ORSETTA – (Lasciate stare, dorme). BASEGGIO – (Se dorme, possiamo parlareliberamente). (s’avvicina e le parla)

Scena ventiseiesima

Arlecchino allegro, e detti.

LUGREZIA – (Il signor Baseggio si è appiccicatoper bene; la vecchia finge di dormire). (da sé)ARLECCHINO – Signora maschera. (a Lugrezia)LUGREZIA – Allora? ARLECCHINO – Ho vinto.

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LUGREZIA – Bravo! Deme la mia parte. ARLECCHINO – La toga. Tre ducati. LUGREZIA – Bravo da senno! No volè zogar altro? ARLECCHINO – Che torna? LUGREZIA – Za che sè in ditta, doveressi tornar. ARLECCHINO – La me daga i tre ducati, chetornerò. LUGREZIA – Andè con quei che gh’avè, e potornè; voleu perderli tutti? ARLECCHINO – La dise ben. Anderò con questi.(parte)LUGREZIA – Oh, questi no i me va più fora descarsella!

Scena ventisettesima

Uno con un cesto di paste dolci, e detti.

BASEGGIO – Oe! putto, lassa véder. (il putto gli dàla cesta) Servive, mascara. (a siora Orsetta)ORSETTA – Oe! mascara, voleu buzzolai?(sveglia sua madre. Siora Fabia si sveglia, cavafuori un fazzoletto e prende una brancata dibuzzolai, e poi torna a dormire)BASEGGIO – (La s’ha desmissià a tempo). (pagail tutto e l’uomo parte)LUGREZIA – (Una gran lupa che xe quellavecchia!) (da sé)BASEGGIO – (Cara mascara, credeme che vevoggio ben). (a Orsetta)ORSETTA – (Me sposereu?) BASEGGIO – (Magari stassera!) ORSETTA – (Vegnì a casa con nu, che parlarècon ela). BASEGGIO –(Sì ben, cara; siestu benedetta!) (piano)LUGREZIA – (Me par che i ghe cazza de cola, ela vecchia dorme). (da sé)

Scena ventottesima

Siora Giulia, siora Tonina in bautta, sioraChiaretta in maschera passeggiando, e poisiedono; e detti.

LUGREZIA – (Oh per diana de dia, che lecognosso! Vele qua tutte tre, senza un strazzo deomo). (da sé)CHIARETTA – (Quello xe sior Baseggio. Vardelocon quella mascaretta. Baron!) (da sé)GIULIA – (La varda, la varda dove che la xe).(mostrando siora Lugrezia)TONINA – (Sì ben, che la xe ela. Sola la xe?)

GIULIA – (Eh, la troverà compagnia). CHIARETTA – (Siora santola...) (a Giulia)GIULIA – (Zitto, no se dise cussì. Se dise sioramascara). CHIARETTA – (Chi mai xe quella mascara cheparla co sior Baseggio?) GIULIA – (Dov’elo sior Baseggio?) CHIARETTA – (Velo là, vestio da strazzariol). GIULIA – (Oh, sastu chi la xe?) CHIARETTA – (Chi xela?) GIULIA – (No ti la cognossi? Mia nezza Orsetta). CHIARETTA – (E quell’altra?) GIULIA – (So mare). CHIARETTA – (Pulito! Se usa che le mare menale fie a Redutto a parlar coi morosi?) GIULIA – (Cossa voleu che ve diga? Miacugnada xe vecchia matta, senza giudizio). CHIARETTA – (Baseggio no lo torria più gnancase el me indorasse). (da sé)

Scena ventinovesima

Arlecchino e detti.

LUGREZIA – (Varè che fegure da vegnir aRedutto!) (burlando le tre maschere)ARLECCHINO – (Siora mascara). (malinconico)LUGREZIA – (Cossa gh’è?) ARLECCHINO –(I ho persi tutti). LUGREZIA – (A vostro danno. Dovevi vegnir qua). ARLECCHINO – (Me dala quei tre, che tornerò arefarme?) LUGREZIA – (Eh no no, vecchio, sè in desditta!Zogherè un’altra volta). ARLECCHINO – (Corpo del diavolo!) LUGREZIA – (Via, senteve qua, e tasè). ARLECCHINO – (Ah pazienza!) (siede, e dorme)LUGREZIA – (Oh, i mii no i se perde più!) ORSETTA – (Oe, me par de cognosserle quellemascare). (a Baseggio)BASEGGIO – (Chi xele?) (si volta a Chiaretta)CHIARETTA – (Lo minaccia).BASEGGIO – (A mi?) ORSETTA – (Oe, sentì: saveu chi la xe? Chiarettaco mia sior’àmia). BASEGGIO – (Eh via!) ORSETTA – (Le cognosso). BASEGGIO – (Andemo via?) ORSETTA – (Sì ben. Oe, mascara, desmissieve!)(a sua madre)BASEGGIO – (Ma aspettè; per no dar in tel’occhio, mi spazzizerò, e vu andarè via, e po mive vegnirò). (s’alza. Siora Fabia parla piano alla figlia)

LUGREZIA – Quanto? ARLECCHINO – Sei ducati. LUGREZIA – Bravo! Datemi la mia parte. ARLECCHINO – Prenda. Tre ducati. LUGREZIA – Bravo davvero! Non volete più giocare? ARLECCHINO – Devo tornare? LUGREZIA – Visto che avete avuto fortuna,dovreste tornare. ARLECCHINO – Mi dia i tre ducati, e torno. LUGREZIA – Andate con quelli che avete, e poitornate, volete perderli tutti?ARLECCHINO – Ben detto. Andrò con questi. (parte)LUGREZIA – Questi non mi escono più dalla tasca!

Scena ventisettesima

Uno con un cesto di paste dolci, e detti.

BASEGGIO – Ragazzo, fai vedere. (il putto gli dà lacesta) Servitevi, maschera. (alla signora Orsetta)ORSETTA – Maschera, volete ciambelle?(sveglia sua madre. La signora Fabia si sveglia,cava fuori un fazzoletto e prende una brancata diciambelle, e poi torna a dormire)BASEGGIO – (Si è svegliata per tempo). (paga iltutto e l’uomo parte)LUGREZIA – (Che gran lupa quella vecchia!) (da sé)BASEGGIO – (Cara maschera, credetemi vivoglio bene). (a Orsetta)ORSETTA – (Mi sposerete?) BASEGGIO – (Anche stasera!) ORSETTA – (Venite a casa con noi, così le parlerete). BASEGGIO – (Va bene, cara; siate benedetta!) (piano)LUGREZIA – (Mi sembra che parlinoseriamente, e la vecchia dorme). (da sé)

Scena ventottesima

La signora Giulia, la signora Tonina in bautta, lasignora Chiaretta in maschera passeggiando, epoi siedono; e detti.

LUGREZIA – (Per Diana di dio, le riconosco!Guardale qua tutte e tre, senza uno stracciod’uomo). (da sé)CHIARETTA – (Quello è il signor Baseggio.Guardatelo, come se la spassa per bene con quellamascheretta. Falso!) (da sé)GIULIA – (Guardi, guardi dov’è). (mostrando lasignora Lugrezia)TONINA – (Di sicuro è lei. È sola?) GIULIA – (Troverà compagnia).

CHIARETTA – (Signora madrina...) (a Giulia)GIULIA – (Zitta, non si dice così. Si dice signoramaschera). CHIARETTA – (Chi è quella maschera che parlacon il signor Baseggio?) GIULIA – (Dov’è il signor Baseggio?) CHIARETTA – (Eccolo lì, vestito da straccivendolo). GIULIA – (Sai chi è?) CHIARETTA – (Chi è?) GIULIA – (Non la riconosci? Mia nipote Orsetta). CHIARETTA – (E quell’altra?) GIULIA – (Sua madre). CHIARETTA – (Bene! È normale che le madri portinole figlie a parlare con gli innamorati al Ridotto)? GIULIA – (Che volete che vi dica? Mia cognata èuna vecchia pazza, senza giudizio). CHIARETTA – (Baseggio non lo prenderei piùneanche se mi ricoprisse d’oro). (da sé)

Scena ventinovesima

Arlecchino e detti.

LUGREZIA – (Guardate che soggetti vengono alRidotto!) (burlando le tre maschere)ARLECCHINO – (Signora maschera). (malinconico)LUGREZIA – (Cosa c’è?) ARLECCHINO – (Li ho persi tutti). LUGREZIA – (Peggio per voi. Dovevate restare qui). ARLECCHINO – (Mi dà quei tre, così tornerò arifarmi?) LUGREZIA – (No no, vecchio, state avendosfortuna! Giocherete un’altra volta). ARLECCHINO – (Corpo del diavolo!) LUGREZIA – (Via, sedetevi qua, e state zitto). ARLECCHINO – (Pazienza!) (siede, e dorme)LUGREZIA – (I miei non si perdono più!) ORSETTA – (Mi sembra di conoscerle quellemaschere). (a Baseggio)BASEGGIO – (Chi sono?) (si volta a Chiaretta)CHIARETTA – (Lo minaccia).BASEGGIO – (A me?) ORSETTA – (Oh, sentite: sapete chi è? Chiarettacon mia zia). BASEGGIO – (Eh via!) ORSETTA – (Le ho riconosciute). BASEGGIO – (Andiamo via?) ORSETTA – (Sì. Oh, maschera, svegliatevi!) (asua madre)BASEGGIO – (Aspettate; per non darenell’occhio, io passeggerò per un po’, voi andretevia, e poi io vi seguirò). (s’alza. La signora Fabiaparla piano alla figlia)

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ORSETTA – (Oe, mascara?) (a Baseggio)BASEGGIO – (Cossa voleu, mascara?) (a Orsetta)ORSETTA – (Saveu cossa che m’ha dito stamascara? Che la magnerave volentiera un pollastro). BASEGGIO – (Fe una cossa, aspetteme allaLuna, che vegno. Saveu dove che la xe?) (sioraFabia fa moto di sì)ORSETTA – (Fe presto, savè, che v’aspettemo).(Orsetta e Fabia andando via passano davanti letre maschere: Chiaretta minaccia Orsetta, che famoto che non vi pensa. Giulia a siora Fabia gli fapuf. Fabia le fa una mala grazia, e tutte via.Baseggio passeggia)LUGREZIA – (Oh che belle scene! oh che bellecosse che se vede a sto Redutto! A vegnir qua elxe el più bel spasso del mondo. Altro checommedie!) (da sé)

Scena trentesima

Sior Todero in bautta, e detti.

TODERO – (Manco mal! Ho pur vadagnà unavolta. Ho vadagnà tanto da poder recuperar lamia roba. Oe, el mio codegugno e la miacamisiola? (guardando Baseggio) Vorria mo bensaver chi xe sta mascara che gh’ha intorno la miaroba!) (da sé)TONINA – (Oe, mio mario). (a siora Giulia)GIULIA – (Da senno? no lo cognosseva miga). TONINA – (Eh, mi lo cognosso a l’odor). TODERO – (Quella là me par siora Lugrezia). TONINA – (Aspettè, aspettè; retiremose che nolme veda. Andaremo qua ai baraini.) (si levano evanno dentro una porta)LUGREZIA – (Le xe andae via sole, co fa tre matte). TODERO – (Siora mascara, fàllio?) (a Lugrezia)LUGREZIA – (Oe mascara?) TODERO – (La diga, cara ela. Quello xe el miocodegugno e la mia camisiola). LUGREZIA – (Sì ben. No m’aveu dà licenza chelo impresta via?) TODERO – (Chi xela quella mascara?) LUGREZIA – (No v’oi dito, un mio nevodo). TODERO –(Domattina vegnirò a tor la mia roba, sala? LUGREZIA – (Gh’aveu i bezzi?) TODERO – (Siora sì. Ho vadagnà un poco defelippi e domattina sarò da ela). LUGREZIA – (Vardè che no i perdè, fio. Saravemeggio che me i consegnessi a mi). TODERO – (Eh, siora no, vegnirò domattina. Mala varda ben che ghe sia tutto). LUGREZIA – (No ve dubitè).

TODERO – (Patrona, siora mascara). LUGREZIA – (Mascara, schiavo). TODERO – (Mai più impegno abiti. Le fa cussìste donne. Le vadagna sul pegno, e po le nolizzala roba. Gran drettone!) (da sé, parte)

Scena trentunesima

Siora Giulia, siora Tonina e siora Chiaretta dallacamera, e detti.

LUGREZIA – Oe mascara. (a Baseggio)BASEGGIO – A mi? LUGREZIA – Sì ben. A vu. BASEGGIO – La comandi. (le va vicino)LUGREZIA – Domattina a bonora portème elcodegugno e la camisiola, che a quella donna ghe xevegnù da vender tutto, e la la vol assolutamente. BASEGGIO – Siora sì, ghe la porterò. TONINA – Ho visto, ho visto, siora; gran segreticon mio mario. (a Lugrezia, e parte)LUGREZIA – Oh pustu crepar! CHIARETTA – Vela la la so mascara, la saràcontenta. (accennando Baseggio, e parte)LUGREZIA – Scagazzera. GIULIA – Con tutto el stilo, siora, ve la faremovéder. (parte)LUGREZIA – Se pol dar? Le gh’ha razon chesemo a Redutto, ma le troverò. Dormìu, siorzocco? (ad Arlecchino che dorme)BASEGGIO – Cossa xe stà?LUGREZIA – Gnene, gnente. Domattina v’aspetto.

Scena trentaduesima

Il signor Boldo in maschera che passeggia, e detti.

BASEGGIO – Vegnirò senz’altro. (a siora Lugrezia)(Alla Luna Orsetta me aspetterà. Quella so mare mepiase poco, Co la xe mia muggier, no vôi che la lapratica certo). (da sé, parte)LUGREZIA – (Mo un gran porco! El dormesempre). (ad Arlecchino)BOLDO – (Quella la me par siora Lugrezia). (da sé)

Scena trentatreesima

Siora Giulia, siora Tonina, siora Chiaretta chetornano; e detti.

GIULIA – (El xe elo, ve digo). (a Tonina,

ORSETTA – (Oh, maschera?) (a Baseggio)BASEGGIO – (Cosa volete, maschera?) (a Orsetta)ORSETTA – (Sapete cosa mi ha detto questamaschera? Che mangerebbe volentieri un pollastro). BASEGGIO – (Fate così, aspettatemi alla locandadella Luna, e arrivo. Sapete dov’è?) (la signoraFabia fa moto di sì)ORSETTA – (Fate presto, mi raccomando, viaspettiamo). (Orsetta e Fabia andando viapassano davanti alle tre maschere: Chiarettaminaccia Orsetta, che fa moto che non vi pensa.Giulia alla signora Fabia fa puf. Fabia le fa unamala grazia, e tutte via. Baseggio passeggia)LUGREZIA – (Che belle scene! oh che belle coseche si vedono in questo Ridotto! Venire qua è ilpiù grande divertimento del mondo. Altro checommedie!) (da sé)

Scena trentesima

Il signor Todero in bautta, e detti.

TODERO – (Meno male! Ho vinto almeno unavolta. Ho vinto tanto da poter recuperare la miaroba. Oh, il mio vestito e la mia camicia?(guardando Baseggio) Vorrei sapere chi è lamaschera che ha addosso la mia roba!) (da sé)TONINA – (Oh, mio marito). (alla signora Giulia)GIULIA – (Davvero? Non lo avevo mica riconosciuto). TONINA – (Lo riconosco dall’odore). TODERO – (Quella là mi sembra la signora Lugrezia). TONINA – (Aspettate, aspettate; nascondiamociche non mi veda. Andremo qua dove si gioca allosbaraglino). (si levano e vanno dentro una porta)LUGREZIA – (Sono andate via da sole, come tre matte). TODERO – (Signora maschera, sbaglio?) (a Lugrezia)LUGREZIA – (Oh maschera?) TODERO – (Dica, cara. Quello è il mio vestito ela mia camicia). LUGREZIA – (Sì. Non mi avete dato il permessodi prestarli?) TODERO – (Chi è quella maschera?) LUGREZIA – (No ve l’ho detto, un mio nipote). TODERO – (Domattina verrò a prendere la mia roba, sa?) LUGREZIA – (Avete i soldi?) TODERO – (Si signora. Ho vinto un po’ di filippie domattina sarò da lei). LUGREZIA – (State attento a non perderli, figliomio. Sarebbe meglio che li consegnaste a me). TODERO – (Eh, no signora, verrò domattina. Mastate attenta che ci sia tutto). LUGREZIA – (Non preoccupatevi). TODERO – (Padrona, signora maschera).

LUGREZIA – (Maschera, schiavo). TODERO – (Non impegnerò mai più abiti. Fannocosì queste donne. Guadagnano coi pegni, e poinoleggiano la roba. Gran furbe!) (da sé, parte)

Scena trentunesima

La signora Giulia, la signora Tonina e la signoraChiaretta dalla camera, e detti.

LUGREZIA – Oh maschera. (a Baseggio)BASEGGIO – A me? LUGREZIA – Sì. A voi. BASEGGIO – Comandi. (le va vicino)LUGREZIA – Domattina presto portatemi ilvestito e la camicia, quella donna ha dovutovendere tutto e li rivuole assolutamente. BASEGGIO – Sì, signora, li porterò. TONINA – Ho visto, ho visto, signora; gransegreti con mio marito. (a Lugrezia, e parte)LUGREZIA – Crepa! CHIARETTA – Eccola là la sua maschera, saràcontenta. (accennando Baseggio, e parte)LUGREZIA – Cagasotto. GIULIA – Anche con il pugnale ve la faremovedere, signora. (parte)LUGREZIA – Possibile? Va bene che siamo alRidotto, ma le troverò. Dormite, signor scemo?(ad Arlecchino che dorme)BASEGGIO – Cos’è successo? LUGREZIA – Niente, niente. Domattina vi aspetto.

Scena trentaduesima

Il signor Boldo in maschera che passeggia, e detti.

BASEGGIO – Verrò senz’altro. (alla signoraLugrezia) (Orsetta mi starà aspettando alla Luna. Suamadre non mi piace tanto. Quando sarà mia moglie,non voglio certo che la frequenti). (da sé, parte)LUGREZIA – (Che gran porco! Dorme sempre).(ad Arlecchino)BOLDO – (Quella mi sembra la signoraLugrezia). (da sé)

Scena trentatreesima

La signora Giulia, la signora Tonina, la signoraChiaretta che tornano; e detti.

GIULIA – (È lui, vi dico). (a Tonina, accennando

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accennando sior Boldo)TONINA – (Andemo via). GIULIA – (Siora no. S’ala sodisfà ela? Me vôisodisfar anca mi). BOLDO – (Siora mascara). (a Lugrezia)LUGREZIA – (Oe, mascara, dove xe la firma?) BOLDO –(Vela qua. Son vegnù a posta a portarghela). LUGREZIA – (Bravo! sè un omo de garbo). BOLDO – (Adesso che la trova). (si cerca insaccoccia, tira fuori la firma, e gliela dà) (La toga). GIULIA – (Oe, cossa ghe dalo?) (a Tonina)TONINA – (Bezzi?) GIULIA – (Voggio véder). TONINA – (L’aspetta che el vaga via, no femosussuri a Redutto). BOLDO –(El cielo ne la manda bona!) (a Lugrezia)LUGREZIA – (El cuor me dise che avemo venzo). GIULIA – (Me bruso, no posso più). TONINA – (Prudenza, siora Giulia). BOLDO – (Oh, vago via! A Redutto co sto caldono ghe posso star). LUGREZIA – (Domattina saveremo la niova). BOLDO – (Vago a véder a cavar el lotto, e se ghexe gnente, corro da ela). LUGREZIA – (Oh magari!) BOLDO – (Mascara, addio). (parte)LUGREZIA – (A revéderse, mascara). Sta firma,per no la perder, la metterò in sta scatola; za noghe xe tabacco. (cava la scatola di sior Todero)GIULIA – (Andemo). (s’avvia verso Lugrezia)TONINA – (No vorria...) GIULIA – (Oe, la scatola de mio mario). (a Tonina)TONINA – (Adesso el ghe l’averà donada). GIULIA – Sta scatola xe mia, siora mascara.(gliela leva)LUGREZIA – Me maraveggio de vu, mascara. Lagh’ho in pegno, e co i me darà i mi bezzi, ghedarò la scatola. GIULIA – Mio mario ve l’ha impegnada? LUGREZIA – Siora no; el mario de quell’altramascara. TONINA – Sè una busiara; a mio mario no gh’homai visto sta scatola. GIULIA – Questa xe la scatola de mio mario. Laxe mia, e la mia roba la posso tor dove che latrovo. (parte)LUGREZIA – Sè una ladra. TONINA – Stè zitta, se no ve fazzo svergognar aRedutto. (parte)LUGREZIA – Anca questa?CHIARETTA – Oh che zente! oh che donne! Tornofora, e da siora santola no ghe vegno mai più. (parte)LUGREZIA – Zocco, aseno, desmissieve. (dandopugni ad Arlecchino)

ARLECCHINO – Chi è? Aiuto. (si sveglia, e lemaschere si levano per il rumore)LUGREZIA – Andemo via. Sia maledetto co gheson vegnua! Pezzo de aseno, i me strapazza e nodisè gnente? ARLECCHINO – Dormiva. LUGREZIA – Sè un porco; andè via de qua.(le maschere ridono)ARLECCHINO – Siora Lugrezia... LUGREZIA – El diavolo che ve porta! (parte)ARLECCHINO – Siora mascara Lugrezia... (gliva dietro e le maschere ridono forte, gridandotutte) Siora mascara Lugrezia.

ATTO TERZO

Scena prima

Camera in casa de siora Giulia. Sior Boldo solo.

BOLDO – Oh che notte da bestia, che ho fatto!Tra i numeri del lotto, tra i brontoloni de miamuggier, non ho mai serrà occhio. Ma almancol’ho petufada, che la se ne arecorderà per unpezzo. Me dol ancora sto brazzo dai tonfi chegh’ho puzà; e più che ghe dava, e più la diseva.Mo una gran lengua! una gran lengua! La xe bende quelle del peocchio. La m’ha toccà a mi,pazenzia! Almanco che guadagnasse al lotto, mepassarave la rabbia. Cossa ghe mancarà acavar? Un’ora? Un’ora e mezza? Voggio andarin Piazza. Orsola, Orsola. (chiama la serva)

Scena seconda

Siora Chiaretta e detto.

CHIARETTA – Chiàmelo, sior santolo? BOLDO – Dove xela Orsola? Che la me porta eltabarro e el cappello. CHIARETTA – Cossa gh’alo, sior santolo? Xeloin collera?BOLDO – Cara siora, anca vu no me tettè de mazo. CHIARETTA – (Oh, torno fuora). (da sé)BOLDO – Orsola. CHIARETTA – Adesso, sior, anderò mi. (Chediavolo de zente!) (da sé; parte poi torna)BOLDO – Ah, quell’otto, quell’otto! SioraLugrezia ha fatto quel bel insonio! Co la gh’havoltà la schena a so mario! Se el vien, me picco. CHIARETTA – Ha dito siora santola, se el vol che

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al signor Boldo)TONINA – (Andiamo via). GIULIA – (No signora. Si è tolta la soddisfazionelei? Voglio togliermela anche io). BOLDO – (Signora maschera). (a Lugrezia)LUGREZIA – (Maschera, dov’è la ricevuta?) BOLDO – (Eccola qua. Sono venuto apposta aportargliela). LUGREZIA – (Bravo! siete un uomo di parola). BOLDO – (Adesso la trovo). (cerca in saccoccia,tira fuori la firma, e gliela dà) (Prenda). GIULIA – (Cosa le dà?) (a Tonina)TONINA – (Soldi?) GIULIA – (Voglio vedere). TONINA – (Aspetti che vada via, non facciamoscenate al Ridotto). BOLDO – (Che il cielo ce la mandi buona!) (a Lugrezia)LUGREZIA – (Il cuore mi dice che abbiamo vinto). GIULIA – (Brucio, non resisto più). TONINA – (Prudenza, signora Giulia). BOLDO – (Vado via! Al Ridotto con questo caldonon riesco a starci). LUGREZIA – (Domattina sapremo la risposta.) BOLDO – (Vado a vedere le estrazioni, e se c’èqualche novità, corro da lei). LUGREZIA – (Magari!) BOLDO – (Maschera, addio). (parte)LUGREZIA – (Arrivederci, maschera). Questaricevuta la metterò dentro questa scatola, per nonperderla; visto che non c’è tabacco. (cava lascatola del signor Todero)GIULIA – (Andiamo). (s’avvia verso Lugrezia)TONINA – (Non vorrei...) GIULIA – (La scatola di mio marito). (a Tonina)TONINA – (Gliela avrà data adesso). GIULIA – Questa scatola è mia, signoramaschera. (gliela leva)LUGREZIA – Mi meraviglio di voi, maschera.L’ho avuta in pegno, e quando mi daranno i mieisoldi, restituirò la scatola.GIULIA – Mio marito ve l’ha data in pegno? LUGREZIA – No signora; il marito di quell’altramaschera. TONINA – Siete una bugiarda; mio marito nonl’ho mai visto con questa scatola. GIULIA – Questa è la scatola di mio marito. È mia, ela mia roba la posso prendere dove la trovo. (parte)LUGREZIA – Siete una ladra. TONINA – State zitta, o vi faccio svergognare alRidotto. (parte)LUGREZIA – Anche questa? CHIARETTA – Che gente! Che donne! Me nevado da Venezia, e dalla signora madrina non civengo più. (parte)

LUGREZIA – Scemo, asino, svegliatevi. (dandopugni ad Arlecchino)ARLECCHINO – Chi è? Aiuto. (si sveglia, e lemaschere si levano per il rumore)LUGREZIA – Andiamo via. Maledetto il giornoin cui ci sono venuta! Pezzo di asino, mistrapazzano e non dite niente? ARLECCHINO – Dormivo. LUGREZIA – Siete un porco; andate via di qua.(le maschere ridono)ARLECCHINO – Signora Lugrezia... LUGREZIA – Che il diavolo vi porti! (parte)ARLECCHINO – Signora maschera Lugrezia...le va dietro e le maschere ridono forte, gridandotutte) Signora maschera Lugrezia.

ATTO TERZO

Scena prima

Camera in casa della signora Giulia. Il signor Boldo solo.

BOLDO – Che notte da bestia ho passato! Tra inumeri del lotto, i lamenti di mia moglie, non homai chiuso occhio. Se non altro l’ho pestata e sene ricorderà per un pezzo. Mi fa ancora malequesto braccio per le botte che le ho dato; e piùgliene davo, più parlava. Che gran lingua! Chelingua lunga! È come quella della storia delpidocchio*. È toccata a me, pazienza! Se almenovincessi al lotto, mi passerebbe la rabbia. Quantomancherà alle estrazioni? Un’ora? Un’ora emezza? Voglio andare in Piazza. Orsola, Orsola. (chiama la serva)

Scena seconda

La signora Chiaretta e detto.

CHIARETTA – Ha chiamato, signor padrino? BOLDO – Dov’è Orsola? Mi porti il tabarro e ilcappello. CHIARETTA – Che ha, signor padrino? È arrabbiato?BOLDO – Cara signora, non mi provocate anchevoi. CHIARETTA – (Me ne vado). (da sé)BOLDO – Orsola. CHIARETTA – Adesso, signore, andrò io. (Chediavolo di gente!) (da sé; parte poi torna)BOLDO – Ah, quell’otto, quell’otto! La signora*Donna estremamente ostinata. Si allude alla favolettadiffusa a Venezia di una certa moglie che per assuefazione,essendo ormai con la testa sott’acqua, pronta per essereaffogata, non cessava di ripetere al marito “pidocchioso”.

Lugrezia ha fatto quel bel sogno! Quando ha datola schiena a suo marito! Se esce mi impicco. CHIARETTA – Ha detto la signora madrina, chese vuole glielo porta lei il tabarro.BOLDO – Dite alla signora madrina, che nonvoglio sentir altre storie, che mi sono arrabbiatoabbastanza. CHIARETTA – Sì signore, glielo dirò. (parte, poitorna)BOLDO – E il 58 non l’ha voluto. Sarebbe bello cheuscisse. Cospetto del diavolo! Se esce, povera lei. CHIARETTA – Dice che non parlerà, non dirà niente. BOLDO – Figuratevi! Non tace neanche asoffocarla. CHIARETTA – Caro signor padrino, la lasci venire. BOLDO – Cara figlioccia, se la pesterò, vispiacerà. CHIARETTA – Per Diana! La vuole pestaresempre? Ma che cuore ha! BOLDO – Mi provoca; non sta mai zitta. CHIARETTA – Se vedesse come piange! Mi sispezza il cuore. BOLDO – Peggio per lei. CHIARETTA – Non avete pietà. BOLDO – Eh figlioccia! Sono anche troppobuono. Ma quando le mogli hanno la lingua lungabisogna diventar cattivi per forza. CHIARETTA – Poveretta! La gelosia la fa parlare. BOLDO – Vada a farsi squartare con la suagelosia! Ho altro per la testa che questestupidaggini. È possibile avere il mio tabarro? CHIARETTA – Lasci che glielo porti la signoramadrina. BOLDO – Che pazienza! CHIARETTA – Vuole? BOLDO – E poi urleremo; e poi la pesterò di nuovo. CHIARETTA – Vedrà che non dirà niente. BOLDO – Maledetto! CHIARETTA – Via, caro signor padrino! BOLDO – Venga, si sbrighi, non ho tempo daperdere; devo andare a fare i fatti miei. CHIARETTA – Sì, signore, viene subito.Poveretta! Mi fa pena. (parte)BOLDO – Se le cose si potessero fare due volte!Se resto vedovo, non mi sposo mai più.

Scena terza

La signora Giulia col tabarro e il cappello di suo marito. Gli dà il tabarro senza parlare, e le vien da piangere. BOLDO – Che c’è? Che avete? GIULIA – Niente, caro. BOLDO – Volete qualcosa da fuori?

GIULIA – Venite a pranzo? BOLDO – Sì. Manderò la spesa. GIULIA – Verrete tardi, come ieri? BOLDO – No, cara, verrò prima. GIULIA – (Piange)BOLDO – Cosa avete adesso, perché piangete? GIULIA – Quando mi dite una buona parola, misi riempie il cuore. (piange)BOLDO – Credete che non vi voglia bene? GIULIA – Una volta sì, ma adesso no. BOLDO – Adesso no? Perché? GIULIA – Via, non parliamo più. BOLDO – Ma ditemi, perché? GIULIA – Non posso parlare; se apro la bocca mipestate. BOLDO – Siete matta, non è vero niente, io nonpenso alle donne. GIULIA – Mi fate dire una parola? BOLDO – Parlate. GIULIA – Ieri sera al Ridotto cosa avete dato allasignora Lugrezia? BOLDO – Ieri sera? Che ne sapete voi di ierisera? Che ne sapete del Ridotto? GIULIA – Via, mi sgridate, perché sono stata unpo’ al Ridotto? BOLDO – Chi vi ha dato il permesso di andarci? GIULIA – Ci sono stata un po’ con la signoraTonina, per la mia figlioccia, per il resto sapeteche non mi muovo da qua a là. BOLDO – Stanotte non me l’avete detto che sietestata al Ridotto. GIULIA – Ve lo volevo dire, ma mi avete fattotacere a forza di botte. Povera donna! Sono tuttaun livido. Pazienza! Creperò, sarete contento. BOLDO – Allora, cosa mi dicevate del Ridotto? GIULIA – Domandavo cosa avete dato allasignora Lugrezia. BOLDO – Le ho dato una carta. GIULIA – Vedete, poi dite che sono cattiva,matta, fuori di testa. Perché mi dite queste bugie? BOLDO – Quali bugie? Cosa le avrei dato? GIULIA – Eh, caro signor Boldo! Io l’ho trovatacon la refurtiva in mano. BOLDO – Quale refurtiva? Cos’ha rubato? GIULIA – Riconoscete questa scatola? BOLDO – È la scatola che ho venduto ieri. GIULIA – Sì certo! Venduta! L’avete data ieri seraa quell’assassina. BOLDO – Ma se non le ho dato niente! Vi dicoche l’ho venduta ieri mattina e vi dirò anche a chi. GIULIA – Ah sì? A chi? BOLDO – Al signor Todero il merciaio. GIULIA – Al marito della signora Tonina? BOLDO – Certo, a lui.

la ghe lo porta ela el tabarro. BOLDO – Diseghe a siora santola, che no voggiosentir altre soniche, che me son inrabià che basta. CHIARETTA – Sior sì, ghe lo dirò. (parte, poi torna)BOLDO – E el 58 no la l’ha volesto. Saria bellache el vegnisse. Cospetto del diavolo! Se el vien,poveretta ela. CHIARETTA – La dise cussì che no la parlerà, nola dirà gnente. BOLDO – Figureve! No la tase gnanca se i la soffega. CHIARETTA –Caro sior santolo, el lassa che la vegna. BOLDO –Cara fiozza, se ghe darò po, ve despiaserà. CHIARETTA – De diana! sempre el ghe vol dar?Mo che cuor gh’alo! BOLDO – La me tira a cimento; no la tase mai. CHIARETTA – Se el vedesse come che la pianze!La me cava el cuor. BOLDO – A so danno. CHIARETTA – Mo el gh’ha ben poca carità. BOLDO – Eh fiozza! Son bon anca troppo. Ma cole muggier gh’ha la lengua longa, bisognadeventar cattivi per forza. CHIARETTA – Poveretta! La zelosia la fa parlar. BOLDO – Eh, che la se vaga a far squartar co la sozelosia! Gh’ho altro in testa mi, che ste frascarie.Ghe xe caso che possa aver el mio tabarro? CHIARETTA – El lassa che siora santola ghe lo porta. BOLDO – Oh che pazienza! CHIARETTA – Vorlo? BOLDO – E po crieremo; e po la petufferò da novo. CHIARETTA – El vederà, che no la ghe dirà gnente. BOLDO – Sia maledetto! CHIARETTA – Via, caro sior santolo! BOLDO – Che la vegna, che la se destriga, nogh’ho tempo da perder; bisogna che vaga a far ifatti mii. CHIARETTA – Sior sì, la vien subito. Poverazza!la me fa peccà. (parte)BOLDO – Oh, se le cosse se fasse do volte! Seresto veduo, no me marido mai più.

Scena terza

Siora Giulia col tabarro e cappello di suo marito. Glidà il tabarro senza parlare, e le vien da piangere.

BOLDO – Coss’è? Cossa gh’aveu? GIULIA – Gnente, fio. BOLDO – Voleu gnente fora de casa? GIULIA – Vegnìu a disnar? BOLDO – Sì ben. Manderò la spesa. GIULIA – Vegnireu tardi, co fa gieri? BOLDO – No, fia, vegnirò più a bonora.

GIULIA – (Piange)BOLDO – Cossa gh’aveu mo adesso, che pianzè? GIULIA – Co me disè una bona parola, se meslarga el cuor. (piange)BOLDO – Credeu che no ve voggia ben? GIULIA – Una volta sì, ma adesso no, vedè. BOLDO – Adesso no? Per cossa? GIULIA – Via, no parlemo altro. BOLDO – Mo diseme, per cossa? GIULIA – No posso dir gnente; se averzo labocca, me petuffè. BOLDO – Mo se sè matta, mo se no xe verognente, mo se mi no ghe penso de donne. GIULIA – Me lasseu dir una parola? BOLDO – Parlè. GIULIA – Giersera a Redutto cossa gh’aveu dà asiora Lugrezia? BOLDO – Giersera? Mo cossa saveu vu degiersera? Cossa saveu de Redutto? GIULIA – Via, me crieu, perché son stada unpochetto a Redutto? BOLDO – Chi v’ha dà licenzia che gh’andè? GIULIA – Son andada un pochetto co sioraTonina, per mia fiozza, del resto savè che mi nome moverave da qua a là. BOLDO – Sta notte no me l’avè dito, che sè stadaa Redutto. GIULIA – Ve lo voleva dir, ma m’avè fatto taser aforza de botte. Povera donna mi! Gh’ho tutta lavita pesta, gh’ho i negri cussì fatti. Pazienza!Creperò, sarè contento. BOLDO – E cussì, cossa me diseu de Redutto? GIULIA – Domandava cossa che gh’avè dà asiora Lugrezia. BOLDO – Una carta gh’ho dà. GIULIA – Vedeu, e po dirè che son cattiva, cheson matta, che son una senza giudizio. Per cossame vegnìu co ste falsità? BOLDO –Che falsità? Cossa diressi che gh’avesse dà? GIULIA – Eh caro sior Boldo! Mi l’ho trovada colfurto in man. BOLDO – Che furto? Coss’ala robà? GIULIA – Cognosseu sta scatola? BOLDO – La xe la scatola che ho vendù gieri. GIULIA – Sì ben! Vendua! Ghe l’avè dadagiersera a quella sassina. BOLDO – Eh, gh’ho dà i totani. Ve digo che l’hovendua gieri mattina, e ve dirò anca a chi. GIULIA – Via mo, a chi? BOLDO – Sior Todero marzer. GIULIA – Al mario de siora Tonina? BOLDO – Sì ben, a elo. GIULIA – Mo se giersera la gh’aveva in manculìa a Redutto, e mi da rabbia ghe l’ho tolta, e

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GIULIA – Ma se ieri sera ce l’aveva in manoquella al Ridotto, e io per la rabbia gliel’ho presa egliel’ho portata via. BOLDO – Bella cosa avete fatto! Bene, siete unadonna per bene. Cosa dirà di voi quella donna? GIULIA – Come l’ha avuta questa scatola? BOLDO – Cosa volete che ne sappia io? GIULIA – Che gliel'abbia regalata il signor Todero? BOLDO – Io non mi interesso ai fatti degli altri. GIULIA – Certo, è chiaro, gliela avrà regalata ilsignor Todero. BOLDO – Me ne vado, è tardi. GIULIA – Ma che carta le avete dato? BOLDO – Povero me! Una ricevuta del lotto.Arrivederci. GIULIA – Ma che c’entrate con lei? BOLDO – Mi ha chiesto di mettere una firma.Madama.GIULIA – Sentite, venite qua. Dunque la frequentate? BOLDO – Dunque che il diavolo vi porti. Vado via,per non farvi stare a letto una settimana. (parte)

Scena quarta

GIULIA – Già, non bisogna toccare questo tasto.Va subito su tutte le furie. Questo è il risultato,quando ha questi scatti d’ira. Maledetta! Ho presopiù botte per quella lì, che mangiato bocconi dipane! E mio marito è perso per lei. Ma almenofosse da solo in tanta malora, ma ci va flusso eriflusso. Ecco, il signor Todero le ha regalato lascatola, e sua moglie, poveretta, a momenti non hadi che coprirsi il culo. Non ha nient’altro chequello straccetto con gli alamari.

Scena quinta

La signora Tonina in scialle, e detta.

TONINA – Chi c’è? Si può entrare? GIULIA – Signora Tonina, padrona. Così prestofuori casa. TONINA – Ahimè! Lasci che mi sieda; non ce lafaccio più. (siede)GIULIA – Che c’è, signora Tonina? Cos’ha? TONINA – Sono disperata, signora Giulia; micreda, non so dove altro andare. GIULIA – Ma cosa le è successo? TONINA – Mio marito stanotte non è tornato a casa. GIULIA – Via! TONINA – Non le dico che notte ho passato. GIULIA – Poveretta! Dove è stato?

TONINA – Non so niente. Ho mandato il garzonea cercarlo per tutta Venezia, e non si trova. GIULIA – Sa dove sarà? TONINA – Dove, signora? GIULIA – Da quella ladra schifosa. TONINA – Dalla vedova? GIULIA – È da quella lì, quant’è vero che noisiamo qua. TONINA – Se così fosse, quant’è vero che michiamo Tonina, voglio andare fino in fondo. GIULIA – Sarebbero cose da sculacciarla in pubblico. TONINA – Ma il signor Todero non è undonnaiolo. Non è mai corso dietro alle donne. Misembra impossibile. Temo piuttosto che sia stato agiocare. GIULIA – Sì certo. Tutta la notte sarà stato agiocare! Sa come fanno gli uomini che hanno lafissa del gioco? Quando perdono vanno a casadalla moglie e quando vincono vanno a divertirsi. TONINA – Mi sembra ancora impossibile. GIULIA – Poveretta! Lei è buona, e crede che sianotutti buoni; ma io non sono così tenera di cuore. TONINA – Pazienza. GIULIA – Aspetti, voglio farle un regalo. TONINA – Cara signora Giulia, non si disturbi. GIULIA – Le voglio dare una cosa che le piacerà. TONINA – Veramente, non ho voglia di niente. GIULIA – Prenda. (le dà la scatola)TONINA – Cosa mi dà? GIULIA – Le do questa scatola. Non le piace? TONINA – Si figuri se voglio che mi regali questascatola. GIULIA – La prenda, e non si preoccupi. TONINA – No veramente, signora Giulia. GIULIA – La prenda, poi le dirò il perché. TONINA – Ma se le dico... GIULIA – Mi faccia questo favore, la prenda. TONINA – E poi quando l’ho presa? (la prende)GIULIA – La vede questa scatola? È roba sua. TONINA – Ma come mia? GIULIA – Ieri mattina il signor Todero l’hacomprata da mio marito. TONINA – Ma non è quella che aveva la vedovaal Ridotto? GIULIA – Sì signora. Indovini? Credeva chegliela avesse regalata mio marito, e invece gliel’haregalata il signor Todero. TONINA – Mio marito le ha regalato questascatola? (s’alza)GIULIA – Sì, signora. È di manica larga. TONINA – Chi gliel’ha detto, signora Giulia? GIULIA – Me l’ha detto il signor Boldo. TONINA – Assassino! A me fa storie per dueaghi, e a quella le scatole d’argento?

ghe l’ho portada via. BOLDO – Avè fatto una bella cossa! Andè là, chesè una donna de garbo. Cossa dirala quellafemena dei fatti vostri? GIULIA – Come l’ala abua sta scatola? BOLDO – Cossa voleu che sappia mi? GIULIA – Che sior Todero ghe l’abbia donada elo? BOLDO – Mi no cerco i fatti dei altri. GIULIA –Certo, vedè, ghe l’averà donada sior Todero. BOLDO – Oh vago via, che xe tardi. GIULIA – Ma che carta gh’aveu dada? BOLDO – Oh poveretto mi! Una firma de lotto. Arevéderse. GIULIA – Ma cossa gh’intreu con ela? BOLDO – La m’ha pregà che ghe metta unafirma. Sioria.GIULIA – Sentì, vegnì qua. Donca la pratichè? BOLDO – Donca el diavolo che ve porta. Vago via,per no farve star in letto una settimana. (parte)

Scena quarta

GIULIA – Mo za, no bisogna toccarghe sto tasto.El va subito sui zimbani. Co ghe vien quei susi,vardela, vardela. Maledetta! Ho abuo più botteper culìa, che non ho magnà bocconi de pan! Emio mario ghe xe incocalio. Mo almanco fusselosolo, in tanta malorzega, ma ghe va flusso ereflusso. Tolè, sior Todero gh’ha donà la scatola, eso muggier, poverazza, no la gh’ha debottocarpetta al cesto. No la gh’ha altro che quelstrazzetto de cotus coi aramali.

Scena quinta

Siora Tonina in zendà, e detta.

TONINA – Chi è qua? Se pol vegnir? GIULIA – Oh siora Tonina, patrona. A bonorafora de casa. TONINA – Oimei! La lassa che me senta; noposso più. (siede)GIULIA – Coss’è, siora Tonina? Cossa gh’ala? TONINA – Son desperada, siora Giulia; la mecreda, che son dove che posso esser. GIULIA – Mo via, cossa ghe xe successo? TONINA – Mio mario sta notte no xe vegnù a casa. GIULIA – Eh via! TONINA – No ghè digo gnente che notte che ho fatto. GIULIA – Poverazza! Dove xelo stà? TONINA – No so gnente. Ho mandà el garzon acercarlo per tutta Venezia, e nol se catta.

GIULIA – Sala dove che el sarà? TONINA – Dove, siora? GIULIA – Da quella smafara. TONINA – Da la vedoa? GIULIA – Quanto che semo qua, che el xe stà daculìa. TONINA – Mo se la fusse vera, da quella che son,che vorave andar dove che se va. GIULIA – Sarìa cosse da sculazzarla in prubrico. TONINA – Ma sior Todero no el xe de sti donnini.No l’ha mai tendesto a donne. Me par impussibile.Ho paura piuttosto che el sia stà a ziogar. GIULIA – Sì ben. Tutta la notte el sarà stà aziogar! Sala come che i fa sti omeni che gh’ha elziogo? Co i perde, i va a casa de so muggier, e coi venze, i va a devertirse. TONINA – Me par ancora impussibile. GIULIA – Poverazza! la xe bona ela, e la crede chetutti sia boni; mi mo no son cussì dolce de cuor. TONINA – Ah! pazenzia. GIULIA – L’aspetta, ghe voggio far un regalo. TONINA – Cara siora Giulia, no la se incomoda. GIULIA – Oh, ghe voggio donar una cossa cheghe piaserà. TONINA – In verità, che no gh’ho voggia de gnente. GIULIA – La tioga. (le dà la scatola)TONINA – Cossa me dala? GIULIA – Ghe dago sta scatola. No la ghe piase? TONINA – Oh, la se figura se voggio che la medona sta scatola. GIULIA – La la tioga, e no la pensa altro. TONINA – No in verità, siora Giulia. GIULIA – La la toga, che ghe dirò po perché. TONINA – Mo se ghe digo... GIULIA – La me fazza sto servizio, la la tioga. TONINA – E po co l’ho tolta? (la prende)GIULIA – Védela quella scatola? Quella xe roba soa. TONINA – Ma come mia? GIULIA – Gieri mattina sior Todero l’hacomprada da mio mario. TONINA – Mo no la xe quella ch’aveva la vedovaal Redutto? GIULIA – Siora sì. La indovina mo? Credeva cheghe l’avesse donada mio mario, e ghe l’hadonada sior Todero. TONINA – Mio mario gh’ha donà sta scatola? (s’alza)GIULIA – Siora sì. Pala larga. TONINA – Chi ghe l’ha dito, siora Giulia? GIULIA – Me l’ha dito sior Boldo. TONINA – Ah sassin! A mi el me brontola do soldide aghi, e a culìa le scatole d’arzento? GIULIA – Manco mal che giersera m’ho intivà avéderla. Se no giera mi, la giera ita. TONINA – Chi sa quanta roba che la gh’ha magnà.

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GIULIA – Meno male che ieri sera mi è capitatodi vederla. Se non era per me, era persa. TONINA – Chi sa quanta roba si è mangiata. GIULIA – Senta, non lo dico per mettere zizzania,ma ieri, quando è andato da quella, aveva un belfagotto sotto il tabarro. TONINA – Povera me! Signora Giulia, cara, nonmi lasci sola. GIULIA – Sono qua, signora Tonina, con tutto ilcuore, cara. Veramente, in quel che posso, la aiuterò. TONINA – Si vesta e venga con me. GIULIA – Dove, viscere mie? TONINA – Dal mio amico. GIULIA – A fare cosa? TONINA – A dirgli tutti i bei modi di fare di miomarito. A raccontarle tutto di quella lì. Lei che èpiù forte di me, le racconterà per bene. Carasignora Giulia. GIULIA – Sì, signora, andiamo. Così mi svuoteròun pochino il gozzo anch’io. TONINA – E diciamogli tutto per bene. GIULIA – Lasci fare a me, signora, sentirà. Nontralascerò nulla.TONINA – Cara signora Giulia, visto che mivuole bene, mi faccia un favore. Di questa scatolanon so che farmene. La faccia vendere per me daisuoi ragazzi di bottega, cara.GIULIA – Volentieri, signora Tonina, dia qua,adesso appena vado giù, la darò al più grande deiragazzi. TONINA – Mi raccomando, sa…che non la vedail signor Boldo. GIULIA – Lasci fare a me. Andiamo da questosuo amico. TONINA – Non abbia paura, sa, del mio amico. GIULIA – No signora, non si preoccupi; quandosi tratta di queste cose, affronterei un esercito.(partono)

Scena sestaCamera in casa della signora Lugrezia. La signora Lugrezia e Arlecchino.

LUGREZIA – Andate via di qua, signor pezzod’asino. Non mi venite più tra i piedi. ARLECCHINO – Cosa ho mai fatto? LUGREZIA – Maledetto! Dirmi signora Lugrezia! ARLECCHINO – Ma è tanto grave dire signoraLugrezia? LUGREZIA – Non avete sentito tutte lemaschere, che mi ridevano dietro?ARLECCHINO – Si vede che questo nome“Lugrezia” vuol dire qualcosa di brutto. Che

l’abbiano scambiata per Lugrezia Romana? LUGREZIA – Che cretinate! Mi vien voglia discaraventarti giù dalla scala. ARLECCHINO – Grazie. Questo è il regalo che mifa per averla servita. Pazienza, signora Lugrezia. LUGREZIA – Scemo. ARLECCHINO – Vado via, signora Lugrezia. LUGREZIA – Animo, prendetemi due secchi d’acqua. ARLECCHINO – Ma se non vuole... LUGREZIA – Via, signor animale.ARLECCHINO – È in collera, signora Lugrezia? LUGREZIA – Meno chiacchiere; andate aprendere questi due secchi d’acqua. ARLECCHINO – Signora Lugrezia... LUGREZIA – Signora merda che vi arrivi sul muso. ARLECCHINO – Tutto quello che comanda. Mistrapazzi, mi pesti: pazienza! Basta che non mimandi via. Cara signora Lugrezia! (parte)

Scena settima

La signora Lugrezia sola.

LUGREZIA – Mi fa ridere, anche se non ne hovoglia. Povera me! Se viene il signor Todero ariscuotere la sua roba, come farò, se non ho lascatola? Certo quella che l’ha presa, se avrà fiatoin corpo, dovrà tirarla fuori; ma intanto non facciouna bella figura con questo signore, e ci sarannodei problemi. Basta, dovrò ingegnarmi. Grazie alcielo, non sono messa così male, da non riuscire acavarmela.

Scena ottava

Il signor Baseggio colla camiciola sotto iltabarro, e detta.

BASEGGIO – Padrona, signora Lugrezia. LUGREZIA – Bravo! Siete arrivato in tempo. BASEGGIO – Ecco qua il suo vestito e la sua camicia. LUGREZIA – Lasciate vedere. Avete fattoqualche macchia?BASEGGIO – Credo di no, ci ho fatto attenzionepiù che se fosse stata roba mia. LUGREZIA – Così mi piace. Siete un ragazzo perbene. (guarda la roba)BASEGGIO – Mi ridarà poi il mio filippo? LUGREZIA – Non so davvero, se quella donnave lo darà. BASEGGIO – Ma perché non dovrebbe darmelo? LUGREZIA – Vedete bene, caro, è già

GIULIA – La senta, no digo per metter mal, magieri, co l’è andà da culìa, el gh’aveva un bonfagotto sotto el tabarro. TONINA – Oh poveretta mi! Siora Giulia, caraela, no la me sbandona. GIULIA – Son qua, siora Tonina, con tutto el cuor,fia. Sì in verità, dove che posso, la favorirò. TONINA – La se vesta e la vegna co mi. GIULIA – Dove, viscere? TONINA – Da mio compare. GIULIA – A cossa far? TONINA – A dirghe tutte le belle procedure demio mario. A contarghe tutto de culìa. Ela chegh’ha più spirito de mi, la ghe conterà più pulito.Cara siora Giulia. GIULIA – Siora sì, andemo. Cussì me desgosseròun pochetto anca mi. TONINA – E disemoghe tutto pulito. GIULIA – La lassa far a mi, siora, la sentirà. Noghe lasserò fora un ette. TONINA – Cara siora Giulia, za che vedo che lame vol ben, la me fazza un servizio. Sta scatola mino so cossa farghene. La me la fazza vender daiso zoveni de bottega, cara ela. GIULIA – Volentiera, siora Tonina, la daga qua,che adesso co anderò da basso, ghe la darò alputto grando. TONINA – La ghe la raccomanda, sala... Che siorBoldo no la vedesse. GIULIA – Eh via! la lassa far a mi. Andemo dasto so compare. TONINA – No la gh’abbia suggizion, sala, de miocompare. GIULIA – Oh siora no, no la s’indubita; co setratta da ste cosse, anderave in mezzo un’armada.(partono)

Scena sesta

Camera in casa de siora Lugrezia. Siora Lugrezia e Arlecchino

LUGREZIA – Andè via de qua, sior pezzo deaseno. No me stè più a vegnir per i piè. ARLECCHINO – Mo cossa mai gh’oggio fatto? LUGREZIA – Sieu maledetto! Andarme a dirsiora Lugrezia! ARLECCHINO – Mo gh’è tanto mal a dir sioraLugrezia? LUGREZIA – No avè sentio tutte le mascare, chem’ha dà la baldona? ARLECCHINO – Bisogna che sto nome deLugrezia voia dir qualcossa de brutto. Che i

l’abbia tolta per Lugrezia Romana? LUGREZIA – Varè che bei sempiezzi! Me vienvoia de buttarte zo da la scala. ARLECCHINO – Grazie. Questo l’è el regalo che la mefa per averla servida. Pazienza, siora Lugrezia. LUGREZIA – Martuffo. ARLECCHINO – Vago via, siora Lugrezia. LUGREZIA –Animo, andeme a trar do secchi d’acqua. ARLECCHINO – Mo se no la vol... LUGREZIA – Via, sier mandria. ARLECCHINO – Èla in collera, siora Lugrezia? LUGREZIA – Manco chiaccole; andè a tor sti dosecchi d’acqua. ARLECCHINO – Siora Lugrezia... LUGREZIA – Siora favetta, che ve sia in tel muso. ARLECCHINO – Tutto quel che la comanda. Lame strapazza, la me daga: pazenzia! Basta che nola me cazza via. Cara siora Lugrezia! (parte)

Scena settima

Siora Lugrezia sola.

LUGREZIA – El me fa rider, siben che no ghen’ho voggia. Poveretta mi! Se vien sior Todero arescuoder la so roba, come faroggio, che no gh’hola scatola? Xe vero che culìa che me l’ha tolta, sela gh’averà fià in corpo, bisognerà che la la mettafora; ma intanto no paro bon co sto galantomo, eghe sarà dei criori. Basta, bisognerà chem’inzegna. Grazie al cielo, no son tanto scarsa departii, che no me possa defender.

Scena ottava

Sior Baseggio colla camisiola sotto il tabarro, e detta.

BASEGGIO – Patrona, siora Lugrezia. LUGREZIA – Oh bravo! Via, sè vegnù a tempo. BASEGGIO – Vè qua el so codegugno e la so camisiola. LUGREZIA – Lassè veder mo. Gh’aveu fattonissuna macchia?BASEGGIO – Mi crederave de no. Gh’ho buocuor, più che se la fusse stada roba mia. LUGREZIA – Me piase. Sè un putto de garbo.(guarda la roba)BASEGGIO – La me darà po el mio felippo indrìo? LUGREZIA – No so da senno, se quella femenave lo darà. BASEGGIO – Mo per cossa no me l’ala da dar? LUGREZIA – Vedè ben, caro vu, xe debotto mezzozorno, la zornada xe debotto andada.

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mezzogiorno, la giornata ormai è finita. BASEGGIO – Quand’è così, se devo spendere unaltro filippo, mi dia la roba, la userò anche oggi. LUGREZIA – Oh, gli avete fatto una macchia. BASEGGIO – Dove? LUGREZIA – Guardate, qua nel punto più bello. BASEGGIO – Ci doveva essere già. LUGREZIA – Non è possibile! Quando ve l’hodata, non aveva neanche una macchiolina. BASEGGIO – Ma che macchia è? LUGREZIA – Non so: di olio, di grasso. BASEGGIO – Si toglie con niente. LUGREZIA – Ci vorrà ben più di un filippo perfar togliere questa macchia. BASEGGIO – Io gliela faccio togliere con due soldi. LUGREZIA – Basta, vedremo; se sarà così, avreteil vostro filippo; altrimenti, figuratevi cosa diràquella donna. Può essere benissimo, che perquesta macchia non lo venda più il vestito. BASEGGIO – Signora Lugrezia, sono un uomodi mondo; non vorrei che me lo facesse perderequesto filippo. LUGREZIA – Caro signor Baseggio, sapete conchi avete a che fare. A proposito: chi era quellache avevate appiccicata al Ridotto? BASEGGIO – Ha visto? Cosa le sembra? LUGREZIA – A vedervi mi sembra ci fosse delbuono. Che roba è?BASEGGIO – Buona, buona. LUGREZIA – Da vendere o da noleggiare? Comeavete detto voi, quando cantavate dastraccivendolo. Ma che bravo che siete, mi avetefatto proprio ridere. BASEGGIO – Mi sono divertito, ma pagare unabito due filippi...LUGREZIA – Dite, dite, è una ragazza da marito? BASEGGIO – Sa chi è? LUGREZIA – Chi, vecchio mio? BASEGGIO – È la signora Orsetta, figlia... LUGREZIA – La nipote della signora Giulia? BASEGGIO – Proprio quella. La conosce? LUGREZIA – Se la conosco! E quella vecchia erasua madre? BASEGGIO – Sì signora.LUGREZIA – Che gran voglia ha di andare alRidotto quella strega. BASEGGIO – Se sapeste, signora Lugrezia,quanto mi fa arrabbiare quella vecchia. LUGREZIA – Perché? Vi mette a disagio?Eppure mi sembrava che dormisse. BASEGGIO – No, anzi mi fa rabbia, perché fa unpo’ troppo finta di niente. LUGREZIA – Non ditemelo. So chi è quella lì. Vuolemangiare. Ho visto cosa ha fatto con le ciambelle.

BASEGGIO – Certo, Orsetta non sembra suafiglia. Quella è una ragazza prudente. LUGREZIA – Sarebbe un’opera pia toglierladalle mani di quella vecchiaccia. BASEGGIO – Se sapessi come fare, gliela toglierei io. LUGREZIA – Le volete bene? BASEGGIO – Moltissimo. Ha tante virtù da farsiadorare. LUGREZIA – Ma ditemi, caro, la volete sposare? BASEGGIO – La sposerei anche adesso, ma percolpa di sua madre sono in mezzo agli impicci.Quella strega non vuole che si sposi. LUGREZIA – Immagino! Dopo che si è sposata,non si mangia più. BASEGGIO – Ieri sera siamo stati all’Osteriadella Luna, ha mangiato e bevuto come unascrofa. Siamo stati appiccicati io e la ragazza, enon ha detto niente. Poi ho cominciato adintavolare il discorso delle nozze ed è andata cosìin bestia, che ha bisbigliato tutta l’osteria. LUGREZIA – Sarà stata ubriaca. BASEGGIO – Mi dispiace per quella ragazza; sesapessi come fare! LUGREZIA – Non volete sposarla? BASEGGIO – Sicuro che voglio sposarla;gliel’ho promesso. LUGREZIA – Portatela via. BASEGGIO – Se sapessi dove portarla! LUGREZIA – Portatela da me. BASEGGIO – Magari! LUGREZIA – Sul serio, signor Baseggio, sietepadrone. Se si trattasse di affari sporchi, in casamia non lo permetterei; ma trattandosi di un casodel genere, di portare via una ragazza dalle manidi una madre che potrebbe rovinarla, trattandosi diun matrimonio lecito e onesto, se volete, fatecome foste a casa vostra. BASEGGIO – Signora Lugrezia, mi riempite dicoraggio. LUGREZIA – Vedete, quando posso fare unfavore, non mi tiro indietro. BASEGGIO – Ora sono pronto anche io a fare una cosa. LUGREZIA – Cosa? BASEGGIO – Andare da Orsetta, dirle che lavoglio sposare, e se vuole, portarla qua subitoimmediatamente. LUGREZIA – E sua madre? BASEGGIO – Sua madre starà ancora dormendo.La ragazza si sveglia prima di lei per fare lefaccende di casa mentre la vecchia dorme fino amezzogiorno. LUGREZIA – Non so che dire. Andate aprenderla, consegnatela a me, e quando l’avretesposata, sarà vostra.

BASEGGIO – Co la xe cussì, co ho da spender unaltro felippo, la me daga la roba, che me neservirò anca ancuo. LUGREZIA – Oe, gh’avè fatto una macchia. BASEGGIO – Dove? LUGREZIA – Vardè, qua in tel più bello. BASEGGIO – La ghe doveva esser. LUGREZIA – Giusto! Co ve l’ho dà, nol gh’avevauna macula. BASEGGIO – Mo che macchia xela? LUGREZIA – Mi no so gnente: da oggio, da grasso. BASEGGIO – La se cava co gnente. LUGREZIA – Ghe vorrà altro che un felippo a farcavar sta macchia. BASEGGIO – Mi ghe la fazzo cavar co do soldi. LUGREZIA – Oh basta, la vederemo; se la saràcussì, gh’averè el vostro felippo; se no, figurevecossa che dirà quella donna. Se pol darbenissimo, che per causa de sta macchia no la lovenda più sto codegugno. BASEGGIO – Siora Lugrezia, son cortesan; novorria che de sto felippo i me la fasse portar. LUGREZIA – Caro sior Baseggio, savè pur conchi avè da far. Oe, disè a proposito: chi gieraquella che gh’avevi arente a Redutto? BASEGGIO – Ala visto? Cossa ghe par? LUGREZIA – Al moto me par che ghe fusse delbon. Che roba xela? BASEGGIO – Bona, bona. LUGREZIA – Da vender o da nolizar? Come cheavè dito vu, co cantevi da strazzariol. Mo cobravo che sè, andè là, che m’avè fatto rider. BASEGGIO – Ho buo spasso, ma pagar un abitodo felippi...LUGREZIA – Disè, disè, xela una putta? BASEGGIO – Sala chi la xe? LUGREZIA – Chi, caro vecchio? BASEGGIO – La xe siora Orsetta, fia... LUGREZIA – La nezza de siora Giulia? BASEGGIO – Giusto quella. La cognossela? LUGREZIA – Oh se la cognosso! E quellavecchia gierela so mare? BASEGGIO – Siora sì. LUGREZIA – La gh’ha ben voggia quellamarantega d’andar al Redutto. BASEGGIO – Se savessi, siora Lugrezia, cherabbia che gh’ho con quella vecchia. LUGREZIA – Per cossa? Ve dala suggizion? Hopur visto che la dormiva. BASEGGIO – Anzi la me fa rabbia, perché la xeun poco troppo ladina. LUGREZIA – Disemelo a mi. So chi la xe culìa. Lavol magnar. Non oggio visto mi dei buzzolai? BASEGGIO – Certo, Orsetta no par so fia. Quella

xe una putta prudente. LUGREZIA – Saria un’opera de pietà alevarghela da le man de quella vecchiazza. BASEGGIO – Se savesse come far, ghe la torave mi. LUGREZIA – Ghe voleu ben? BASEGGIO – Assae. La gh’ha massime da farseadorar. LUGREZIA – Ma diseme, caro vu, la voleu sposar? BASEGGIO – La sposeria anca adesso, ma percausa de so mare son intrigà. Quella striga no lavol che la se marida. LUGREZIA – Eh, m’imagino! Co la xe maridada,no se magna più. BASEGGIO – Giersera semo stai a la Luna, l’hamagnà e bevù co fa una scrova. Semo stai arente cola putta, e no l’ha mai parlà. Ho scomenzà po aintaolar el descorso de sposarla, e la xe andadatanto poco in bestia, che l’ha sussurà tutta l’ostaria. LUGREZIA – Bisogna che la fusse imbriaga. BASEGGIO – Me despiase per quella putta; sesavesse come far! LUGREZIA – No voleu sposarla? BASEGGIO – Seguro che la vôi sposar; gh’hopromesso. LUGREZIA – Meneghela via. BASEGGIO – Se savesse dove menarla! LUGREZIA – Oh, menèla da mi. BASEGGIO – Magari! LUGREZIA – In verità che sè paron, siorBaseggio. Se se trattasse de contrabbandi, in casamia no permetterave; ma trattandose de un casode sta sorte, de levar una putta da le man de unamare che la poderia precipitar, trattandose de unmatrimonio lecito e onesto, se volè, ve fazzo paronde casa mia. BASEGGIO – Siora Lugrezia, me fe vegnir tantode cuor. LUGREZIA – Oh, mi sì, vedè; co posso farservizio, no me tiro indrìo. BASEGGIO – Son in stato de far una cossa mi. LUGREZIA – Via mo, cossa? BASEGGIO – Andar da Orsetta, dirghe le parole, ese la vol, menarla qua subito immediate. LUGREZIA – E so mare? BASEGGIO – So mare ancora la dormirà. Laputta se leva avanti de ela a far i fatti de casa, e lavecchia dorme fin mezzo zorno. LUGREZIA –No so cossa dir. Andela a tor,consegnemela a mi, e co l’avè sposada, la sarà vostra. BASEGGIO – Per diana, che vago. LUGREZIA – Andè. BASEGGIO – Vago. LUGREZIA – Oe, arecordeve che voggio la sansaria. BASEGGIO – Siora sì, ghe darò tutto quel che la vol.

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BASEGGIO – Per Diana, ci vado. LUGREZIA – Andate. BASEGGIO – Vado. LUGREZIA – Ricordatevi che voglio la mancia. BASEGGIO – Sì, signora, le darò tutto quello chevuole. LUGREZIA – Sentite, potrei aver bisogno di unascatola di Francia dorata; me la comprereste? BASEGGIO – Sì, signora, volentieri. Vado, pernon perdere tempo. LUGREZIA – Se volete pranzare, portatevelo. BASEGGIO – Non si preoccupi, faremo tutto perbene. LUGREZIA – Del filippo non parliamo più? BASEGGIO – Glielo regalo, glielo regalo. LUGREZIA – Meno male! Anche questo èguadagnato, e se non potrò riavere la scatola, ilsignor Baseggio me ne comprerà una. Poveretto!Se gli faccio questo favore, mi darà ben altro cheuna scatola! Io, se posso faccio del bene a tutti, masempre in maniera rispettabile.

Scena nonaIl signor Todero e la signora Lugrezia.

TODERO – Signora Lugrezia, padrona,padronissima. (allegro)LUGREZIA – Siete molto allegro. Come mai? TODERO – Senta qui. (fa sonare la borsa)LUGREZIA – Caspita. Bei soldi. TODERO – Duecento zecchini. LUGREZIA – Vinti? TODERO – Vinti. LUGREZIA – Al Ridotto? TODERO – Tutta stanotte al Ridotto. LUGREZIA – Guardate se i miei soldi sonofortunati; con i dieci ducati che vi ho dato avetefatto questo gran bel guadagno.TODERO – È vero, signora Lugrezia; se non eraper lei non mi sarei rifatto. LUGREZIA – Sono veramente contenta. Lo sa lasignora Tonina? TODERO – Non sa niente. Stanotte non sonoandato a casa. Questa mattina all’alba sono andatoa prendere la mia parrucca dal parrucchiere e misono addormentato su una sedia. Quando mi sonosvegliato, sono andato a casa e mia moglie nonc’era. Poveretta! Chissà, magari mi sta cercando? LUGREZIA – Quando saprà che avete vinto, siconsolerà. Le mogli fanno sempre così. Quando imariti perdono, dicono: farabutto, falso, vuoigiocare! Quando vincono: eh poveretto, si diverte! TODERO – Sono qua per riscuotere la mia roba!

LUGREZIA – Avete una gran fretta. TODERO – Prenda: questa è una cambiale dicinquanta ducati. Quaranta del primo pegno, edieci del secondo, che fanno cinquanta. LUGREZIA – I quaranta vanno bene; ma deidieci ducati, non mi date niente? Che spilorcio!Vince duecento zecchini, e non mi dà niente!Andate in malora. TODERO – Via, via, non si arrabbi. Prenda unozecchino; le va bene? LUGREZIA – Però! Tanta roba! TODERO – Ma li vuole tutti? LUGREZIA – Via, via, scherzo. Vi ringrazio. Miavete dato anche troppo. TODERO – Dove è la mia roba? LUGREZIA – Prendete, questo è il vestito e lacamicia. TODERO – Avete fatto delle macchie? LUGREZIA – Fidatevi di me, non c’è neancheuna macchiolina.TODERO – La scatola; la voglio portare a miamoglie. LUGREZIA – Volete la stoffa da zendale? TODERO – Quella la verrò a prendere oggi. Midia la scatola. LUGREZIA – Adesso; è la dentro. Dove è lachiave? Ma dove mai l’ho messa? (finge dicercare la chiave)TODERO – Questa proprio mi dispiace! LUGREZIA – Non la trovo. TODERO – Allora la cerchi. LUGREZIA – A meno che non l’abbia il facchino. TODERO – Al facchino avete dato la chiave? LUGREZIA – È un uomo di fiducia. Non c’èpericolo. TODERO – E così? LUGREZIA – E così non la trovo. TODERO – Si può aprire anche senza chiave. LUGREZIA – Certo adesso voglio rovinare ilforziere; per così pochi spiccioli. TODERO – Pagherò io; apriamolo. LUGREZIA – Via, tornate oggi, l’avrete. TODERO – No signora, piuttosto aspetterò chearrivi il facchino. LUGREZIA – (Che seccatura!) (tra sé)

Scena decima

Il signor Boldo e detti.

BOLDO – Presto, festeggiamo! (con allegria)LUGREZIA – Come mai? BOLDO – Vittoria, vittoria.

LUGREZIA –Sentì, pol esser che gh’abbia bisognod’una scatola de Franza indorada; me la comprereu? BASEGGIO – Siora sì, volentiera. Vago, per noperder tempo. LUGREZIA – Oe, se volè disnar, portevene. BASEGGIO – No la s’indubita, faremo pulito. LUGREZIA – Del felippo parlemio altro? BASEGGIO – Ghe lo dono, ghe lo dono. LUGREZIA – Manco mal! Anca questo xevadagnà, e se no poderò aver la scatola indrìo,sior Baseggio me ne pagherà una. Poverazzo! Seghe fazzo sto servizio, el me darà altro che unascatola! Mi certo, co posso fazzo del ben a tutti,ma sempre con onoratezza.

Scena nona

Sior Todero e siora Lugrezia.

TODERO – Siora Lugrezia, patrona, patronazza.(allegro)LUGREZIA – Oe, sè molto aliegro. Com’èla? TODERO – La senta mo. (fa sonare la borsa)LUGREZIA – Caspita. Bezzassi. TODERO – Dusento zecchini. LUGREZIA – Vadagnai? TODERO – Vadagnai. LUGREZIA – A Redutto? TODERO – Tutta stanotte a Redutto. LUGREZIA – Vardè se i mi bezzi xe fortunai; coi dieseducati che v’ho dà, avè fatto sto boccon de vadagno. TODERO – Xe vero, siora Lugrezia; se no lagiera ela, no me refava. LUGREZIA – In veritae che gh’ho a caro. Lo salasiora Tonina? TODERO – No la sa gnente. Stanotte no son andàa casa. Son andà stamattina all’alba a tor la miaperrucca dal perrucchier, e me son indormenzà suuna carega. Co m’ho dismissià, son andà a casa,e mia muggier no l’ho trovada. Poverazza! Chi sache no la me cerca? LUGREZIA – Co la saverà che avè venzo, la seconsolerà. Za le muggier le fa cussì; co i mariiperde, le dise: baron, furbazzo, ti vol ziogar! co ivenze: eh poverazzo, el se devertisse! TODERO – Oh, son qua a scuoder la mia roba! LUGREZIA – Gh’avè una gran pressa. TODERO – La toga: in sta carta ghe xecinquanta ducati. Quaranta del primo pegno, ediese del secondo, che fa cinquanta. LUGREZIA – I quaranta va ben; ma dei dieseducati, no me dè gnente? O che caìa! El vadagnadusento zecchini, e nol me dà gnente! Andè in

malorzega. TODERO – Via, via, no la vaga in collera. Latoga un zecchin; se contentela? LUGREZIA – Grasso quel dindio! TODERO – Mo li vorla tutti? LUGREZIA – Via, via, che burlo. Ve ringrazio.M’avè dà anca troppo. TODERO – Dove xe la mia roba? LUGREZIA – Tolè, questo xe el codegugno e lacamisiola. TODERO – Gh’ai fatto macchie? LUGREZIA – Stè sora de mi, che no gh’è gnancauna macula.TODERO – La scatola; che la voggio portar amia muggier. LUGREZIA – Voleu la pezza del zendà? TODERO – Quella la vegnirò a tior ancuo. La medaga la scatola. LUGREZIA – Adesso; la xe là drento. Dove maixe la chiave? Mo dove mai la oggio messa?(mostra di cercar la chiave)TODERO – Oh, questa mo la me despiase! LUGREZIA – Mi no le catto. TODERO – Mo la le cerca. LUGREZIA – Se no le avesse el facchin. TODERO – Al facchin la ghe dà le chiave? LUGREZIA – Oh, el xe un omo fidà. No gh’è pericolo. TODERO – E cussì? LUGREZIA – E cussì no la trovo. TODERO – Se pol averzer anca senza chiave. LUGREZIA – Certo che voggio rovinar l’armer;per sti bei guadagni. TODERO – Pagherò mi; averzimolo. LUGREZIA – Mo via, tornè ancuo, che lagh’averè. TODERO – Siora no, più tosto aspetterò chevegna el facchin. LUGREZIA – (Oh che seccaggine!) (da sé)

Scena decima

Sior Boldo e detti.

BOLDO – Presto, brusè el paggiazzo. (con allegria)LUGREZIA – Com’èla? BOLDO – Vittoria, vittoria. LUGREZIA – Che numeri xe vegnù? BOLDO – Avemo venzo. LUGREZIA – Cossa? BOLDO – Un terno. LUGREZIA – Grosso? BOLDO – Sì, de do mille. LUGREZIA – Possa morir, che me l’ho insunià!

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LUGREZIA – Che numeri sono usciti? BOLDO – Abbiamo vinto. LUGREZIA – Cosa? BOLDO – Un terno. LUGREZIA – Grosso? BOLDO – Sì, di duemila. LUGREZIA – Possa morire, che me l’erosognata! Oddio! Menega, portatemi dell’acqua. BOLDO – Di duemila, di duemila. Mille eottocento a testa. LUGREZIA – Caro signor Boldo! BOLDO – Cara signora Lugrezia! LUGREZIA – Che numeri sono usciti? BOLDO – 16, 29, 88. LUGREZIA – Visto che avevo ragione a mettereil 16 invece dell’8, che era chiuso. Quando hodato la schiena a mio marito, anche lui l’ha data ame. Otto per due, sedici. BOLDO – È vero, siete una gran donna! LUGREZIA – Cosa dite, signor Todero? Abbiamovinto un terno. TODERO – Sono contento. Ma adesso, mi dia lamia scatola. LUGREZIA – Caro, ora lasciatemi godere questavincita, così mi tiro un po’ su. TODERO – Rompiamo il forziere; avete vinto un terno. LUGREZIA – Incasseremo presto? (a Boldo)BOLDO – Ho un mercante, che mi darà subito isoldi. Basta lasciargli un mezzo per cento. LUGREZIA – No, non voglio che gli diamoneanche un soldo. Andremo a riscuoterli noi. BOLDO – Dov’è la ricevuta? LUGREZIA – Sotto il cuscino. BOLDO – Andiamo a prenderla. LUGREZIA – Andiamo, mangeremo insieme oggi. BOLDO – Giusto. Anche voi, signor Todero. TODERO – Dovrei andare a casa. LUGREZIA – Via, avete vinto duecento zecchini. BOLDO – Andremo a casa, e poi torneremo a pranzare. TODERO – Come volete, amico, sono con voi. LUGREZIA – E si faccia baldoria. (parte)BOLDO – Siete con me. Non vi preoccupate diniente. (parte)TODERO – Allegri! (Ma rivoglio la mia scatola).(da sé, parte)

Scena undicesima

Strada. La signora Tonina, la signora Giulia, lasignora Chiaretta. Tutte in scialle.

TONINA – Guardi se non sono sfortunata, nonabbiamo neanche trovato il mio amico in casa.

GIULIA – Lo troveremo un’altra volta. Vuoletornare da me? TONINA – No signora, no signora. Andrò a casa.Se vuole venire a pranzare da me, è padrona. GIULIA – Grazie, signora Tonina, un’altra volta. CHIARETTA – Andiamo, signora madrina, cosìvedremo passare le maschere. TONINA – Davvero, se volete, siete padrone. GIULIA – Veramente, se potessi, la farei contenta,ma non posso.

Scena dodicesima

Arlecchino con tre o quattro sporte, e dette.

ARLECCHINO – (Via allegramente, che vada!Mangeremo, berremo; evviva il lotto). (da sé)TONINA – (Guardi. Il facchino della signoraLugrezia). (a Giulia)ARLECCHINO – (Mi ha detto di stare attento aspendere, perché se avanza qualcosa di questi duezecchini, vuole il resto per lei; dovrò ingegnarmi).(da sé)GIULIA – (Quattro borse, non si fa mancarenulla). (a Tonina)TONINA – (Credo che quello lì sia un granfurbo). (a Giulia)GIULIA – (Si figuri! Tale carne, tale coltello). ARLECCHINO – Padrone riverite. TONINA – Buongiorno signoria. ARLECCHINO – Che fanno qui? GIULIA – Cosa volete sapere, signore? ARLECCHINO – Non sanno niente? (a Tonina)TONINA – Di cosa? ARLECCHINO – Neanche lei sa niente? (a Giulia)GIULIA – Ma di cosa? ARLECCHINO – Feste, cibo, grandi lussi. GIULIA – Dove? ARLECCHINO – In casa della signora Lugrezia. GIULIA – Ovviamente. TONINA – Le solite cose. ARLECCHINO – Sanno chi c’è là in casa? GIULIA – Chi? ARLECCHINO – I loro due mariti. GIULIA – Il signor Boldo? TONINA – Il signor Todero? ARLECCHINO – Si fermino, ascoltino. Nonsanno niente? GIULIA – Ma di cosa? ARLECCHINO – Il signor Todero, grazie alla signoraLugrezia, ha vinto al Ridotto duecento zecchini. TONINA – Mio marito ha vinto duecento zecchini? ARLECCHINO – Sì signora.

Oimei! Menega, porteme de l’acqua. BOLDO – De do mille, de do mille. Mille eottocento per omo. LUGREZIA – Oh che caro sior Boldo! BOLDO – Oh che cara siora Lugrezia! LUGREZIA – Che numeri xe vegnù? BOLDO – 16, 29, 88. LUGREZIA – Vedeu, se ho pensà ben a metter el16 invece de l’8, che giera serrà. Co mi gh’hovoltà la schena a mio mario, anca elo me l’havoltada a mi. Do fia otto, sedese. BOLDO – Andè là, che sè una gran donna! LUGREZIA – Cossa diseu, sior Todero? Avemovadagnà un terno. TODERO – Me rallegro. Via, la me daga la miascatola. LUGREZIA – Caro vu, adesso lasseme gòder stoben, che me fazza pro. TODERO – Rompemo l’armer; avè vadagnà unterno. LUGREZIA – Scuoderemio presto? (a Boldo)BOLDO – Gh’ho un marcante, che me dà subito ibezzi. Basta lassarghe un mezzo per cento. LUGREZIA – No vôi che ghe demo gnanca unbezzo. Se li anderemo a scuoder nu. BOLDO – Dove xe la firma? LUGREZIA – Sotto el cavazzal. BOLDO – Andemola a tor. LUGREZIA – Andemo, che disnemo insieme ancuo. BOLDO – Sì ben. Anca vu, sior Todero. TODERO – Bisognaria che andasse a casa. LUGREZIA – Via, avè vadagnà dusento zecchini. BOLDO – Andaremo a casa, e po vegniremo adisnar. TODERO – Quel che volè, amigo, son con vu. LUGREZIA – E che se fazza bandoria. (parte)BOLDO – Sè con mi. No ve dubitè gnente. (parte)TODERO – Aliegri! (Ma vôi la mia scatola). (dasé, parte)

Scena undicesima

Strada. Siora Tonina, siora Giulia, siora Chiaretta.Tutte in zendà.

TONINA – La varda se son desfortunada, noavemo gnanca trovà sior compare in casa. GIULIA – El troveremo un’altra volta. Vorla chetornemo da mi? TONINA – Siora no, siora no. Anderò a casa. Sela vol vegnir a disnar da mi, la xe patrona. GIULIA – Grazie, siora Tonina, un’altra volta. CHIARETTA – Andemo, siora santola, che

vederemo a passar le mascare. TONINA – Da senno, se le vol, le xe patrone. GIULIA – In verità, se podesse, vegniria afavorirla, ma no posso.

Scena dodicesima

Arlecchino con tre o quattro sporte, e dette.

ARLECCHINO – (Via allegramente, che la vaga!Magneremo, beveremo; e viva el lotto). (da sé)TONINA – (La varda. El facchin de sioraLugrezia). (a Giulia)ARLECCHINO – (La m’ha dito che me regola in telspender, che se avanza de sti do zecchini, la voll’avanzo per ela; bisognerà che m’inzegna). (da sé)GIULIA – (Quattro sportelle, no la se sticcamanco). (a Tonina)TONINA – (Colù credo che el sia un gran baron).(a Giulia)GIULIA – (La s’immagina! Tal carne, tal cortello). ARLECCHINO – Patrone reverite. TONINA – Bondì sioria. ARLECCHINO – Cossa fale qua? GIULIA – Cossa voleu saver, sior? ARLECCHINO – No le sa gnente? (a Tonina)TONINA – De cossa? ARLECCHINO – Gnanca ela no sa gnente? (a Giulia)GIULIA – Mo de cossa? ARLECCHINO – Allegrie, disnari, cossazze. GIULIA – Dove? ARLECCHINO – In casa de siora Lugrezia. GIULIA – Mo za. TONINA – Cosse solite. ARLECCHINO – Sale chi gh’è là in casa? GIULIA – Chi? ARLECCHINO – I so do maridi. GIULIA – Sior Boldo? TONINA – Sior Todero? ARLECCHINO – Le se ferma, le senta. No le sagnente? GIULIA – Mo de cossa? ARLECCHINO – Sior Todero, per causa de sioraLugrezia, l’ha vadagnà a Redutto dusentozecchini. TONINA – Mio mario ha vadagnà dusento zecchini? ARLECCHINO – Siora sì. TONINA – Oh siestu benedetto! dove xelo? GIULIA – (Ma! Tutti i muli xe fortunai). (da sé)TONINA – Ala sentìo, siora Giulia? GIULIA – Me ne rallegro. ARLECCHINO – E no la sa de sior Boldo? (a Giulia)GIULIA – Via mo.

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TONINA – Siate benedetto! Dov’è? GIULIA – (Tutti i cretini sono fortunati). (da sé)TONINA – Ha sentito, signora Giulia? GIULIA – Mi fa piacere. ARLECCHINO – E non sa del signor Boldo? (a Giulia)GIULIA – Via. ARLECCHINO – Grazie alla signora Lugrezia,ha vinto un terno di milleottocento ducati. GIULIA – Eh via! ARLECCHINO – È così da galantuomo. GIULIA – Che fortunato! Che bravo! Ha sentito,signora Tonina? TONINA – Sono sollevata. (Ma c’è una belladifferenza tra duecento zecchini e milleottocentoducati). (da sé, mortificata)CHIARETTA – Caro signor padrino! Anche io misento proprio felice. ARLECCHINO – Padrone riverite, vado aspendere. Vogliono festeggiare un po’; che restinoservite, sono padrone. (parte)GIULIA – Ecco, guardate, se non era vero che miomarito, poveretto, ci andava per i numeri del lotto. TONINA – Anche il signor Todero, poveraccio, ciandava per i soldi. Non bisogna meravigliarsi,sono cose che capitano. GIULIA – A me queste cose non fanno impressione. TONINA – Vuole che andiamo a casa? GIULIA – Non ha sentito, che i nostri padronisono dalla signora Lugrezia?TONINA – Andar là non mi sembra una bella cosa. GIULIA – Io ci andrei tanto volentieri. TONINA – Non vedo l’ora di vedere queiduecento zecchini. GIULIA – Si figuri io, che sono tanti di più. TONINA – A dire la verità, ne avevamo bisogno. GIULIA – E noi? Non le dico altro. In cassa nonce n’erano più. CHIARETTA – Il signor padrino mi regalerà qualcosa. GIULIA – Sì, figlia mia, lascia fare a me, voglioche ti regali un paio di orecchini. CHIARETTA – Magari! TONINA – Che facciamo? GIULIA – Non lo so neanche io. TONINA – Facciamo così... GIULIA – No signora, facciamo così. Passiamo sottoi balconi della signora Lugrezia; se i nostri uomini civedono, può essere che ci dicano qualcosa.TONINA – E se si arrabbiano? GIULIA – Quando sono allegri, non vanno troppoper il sottile. Andiamo TONINA – Andiamo. CHIARETTA – Magari ci invitassero a pranzo.(parte)TONINA – Se mi invitano non dico di no. (parte)

GIULIA – Io sono una donna, che parlo, parlo, mapoi mi passa. (parte)

Scena tredicesima

Camera in casa della signora Lugrezia. Lasignora Lugrezia, il signor Boldo il signor Todero.Un Giovine con moscato e ciambelle sul tavolino.

LUGREZIA – Evviva il signor Todero; almeno sifa onore. BOLDO – Quando riscuoterò la ricevuta, anch’iofarò la mia parte. LUGREZIA – Anch’io, anch’io. Voglio farviassaggiare una rosada* da leccarsi le dita. Il SiorBoldo metterà le uova, il signor Todero lozucchero, e io il latte. TODERO – Io non bado a queste cose; quando cisono ci sto. LUGREZIA – Quanto avete dato al facchino? TODERO – Due zecchini. LUGREZIA – Mangeremo poco, ma non importa. TODERO – Se c’è bisogno di altro, ci sono qui io. BOLDO – E poi, quando incasseremo la ricevuta,faremo anche noi, non è vero, signora Lugrezia? LUGREZIA – Signor sì. (Ma non coi miei soldi). (da sé)

Scena quattordicesima

Baseggio e detti.

BASEGGIO – Padroni. LUGREZIA – Prego, si accomodi. BASEGGIO – La ringrazio. (È qui la ragazza). (aLugrezia)LUGREZIA – (Fatela entrare). BASEGGIO – (Non è possibile, non vedete chec’è suo zio?) LUGREZIA – (Avete ragione; non importa,lasciate fare a me). BASEGGIO – (Ho preso anche la scatola. Eccola,le piace?) LUGREZIA – (Per Diana! La scatola del signorTodero). (da sé) Come l’avete avuta questascatola? (prendendola)BASEGGIO – (L’ho comprata nella bottega delsignor Boldo). LUGREZIA – (L’avrà venduta sua moglie). (da sé)(Fate così, andate di là in cucina, che c’è Menega.State di là con la ragazza, finché non vi chiamo). BASEGGIO – (Sì signora). LUGREZIA – (Ditemi. Credo che non vogliate

ARLECCHINO – Per causa de siora Lugrezia, l’havadagnà un terno de mille e ottocento ducati. GIULIA – Eh via! ARLECCHINO – L’è cussì da galantomo. GIULIA – Oh co fortunà! Oh co bravo! Alasentìo, siora Tonina? TONINA – Me ne consolo. (Ma! Ghe xe differenzada dusento zecchini a mille e ottocento ducati).(da sé, mortificata)CHIARETTA – Oh che caro sior santolo! Oh chegusto che gh’ho anca mi. ARLECCHINO – Patrone reverite, vago aspender. I vol far un poco de allegria; se le volrestar servide, le xe parone. (parte)GIULIA – Vardè, vedè, se xe la verità che mio mario,poverazzo, l’andava là per i numeri del lotto. TONINA – Anca sior Todero, gramazzo, l’andavaper i bezzi. No bisogna farse maraveggia, i xe casiche succede. GIULIA – Oh, a mi ste cosse no le me fa specie. TONINA – Vorla che andemo a casa? GIULIA – No sentela, che i nostri paroni i xe dasiora Lugrezia? TONINA – Andar là no me par che sia ben. GIULIA – E sì gh’anderia volentiera. TONINA – No vedo l’ora de véder quei dusento zecchini. GIULIA – La se fegura mo mi, che i xe tanti de più. TONINA – In verità, che ghe n’avevimo bisogno. GIULIA – E nu? No ghe digo gnente. In scrignono ghe ne giera più. CHIARETTA – Sior santolo me donarà qualcossa. GIULIA – Sì, fia, lassa far a mi, che vôi che el tepaga un per de naveselle. CHIARETTA – Oh magari! TONINA – Cossa femio? GIULIA – No so gnanca mi. TONINA – Femo cussì... GIULIA – Siora no, femo cussì. Passemo sotto ibalconi de siora Lugrezia; se i nostri omeni nevede, pol esser che i ne diga qualcossa. TONINA – E se i va in collera? GIULIA – Eh, che co i xe aliegri, no i varda tantoper suttilo. Andemo. TONINA – Andemo pur. CHIARETTA – Magari che i ne invidasse adisnar. (parte)TONINA – Oe, se i me invida, mi no ghe digo deno. (parte)GIULIA – Mi son una donna, che digo, digo, e pola me passa. (parte)

Scena tredicesima

Camera in casa de siora Lugrezia. Siora Lugrezia, sior Boldo, sior Todero. UnGiovine con moscato e buzzolai sul tavolino.

LUGREZIA – Evviva sior Todero; almanco el sefa onor. BOLDO – Co scuoderò la firma, anca mi farò lamia parte. LUGREZIA – Anca mi, anca mi. Voggio farvesentir una rosada, che ve liccarè i déi. Sior Boldometterà i vovi, sior Todero el zucchero, e mi el latte. TODERO – Mi no vardo ste cosse; co ghe son,ghe stago. LUGREZIA – Quanto gh’aveu dà al facchin? TODERO – Do zecchini. LUGREZIA – Magneremo pochetto, ma n’importa. TODERO – Se bisogna altro, son qua. BOLDO – E po, co scuoderemo la firma, faremoanca nu, n’è vero, siora Lugrezia? LUGREZIA – Sior sì. (Ma dei mii no, vedè). (da sé)

Scena quattordicesima

Baseggio e detti.

BASEGGIO – Patroni. LUGREZIA – La favorissa, la resta servida. BASEGGIO – Con grazia. (Xe qua la putta). (aLugrezia)LUGREZIA – (Fela vegnir avanti). BASEGGIO – (Oh giusto, no vedè che ghe xe sobarba?) LUGREZIA – (Gh’avè rason; ma gnente, lassè fara mi). BASEGGIO – (Ho anca tolto la scatola. La varda,ghe piasela?) LUGREZIA – (Oh cospetto de diana! La scatolade sior Todero). (da sé) Come l’aveu abua stascatola?(prendendola)BASEGGIO – (L’ho comprada in bottega là desior Boldo). LUGREZIA – (So muggier l’averà vendua). (da sé)(Fe una cossa, andè de là in cusina, che ghe xeMenega. Stè de là co la putta, fin che ve chiamo). BASEGGIO – (Siora sì). LUGREZIA – (Disè. M’immagino che de dota noghe penserè).BASEGGIO – (Gnente, la togo senza camisa). (parte)LUGREZIA – Oh apponto, sior Todero, medesmentegava. El facchin m’ha dà la chiave del’armer. Tolè la vostra scatola. TODERO – Grazie, siora Lugrezia. (la prende)

58 59* dolce tradizionale veneto al cucchiaio simile a un budino

una dote).BASEGGIO – (Per niente, la prendo così com’è).(parte)LUGREZIA – Per l’appunto, signor Todero,dimenticavo. Il facchino mi ha dato la chiave delforziere. Prendete la vostra scatola. TODERO – Grazie, signora Lugrezia. (la prende)LUGREZIA – Ditemi, caro signor Boldo, se ci fossel’opportunità di sposare vostra nipote Orsetta, la sposereste? BOLDO – Vi dirò: è la nipote di mia moglie, miinteressa poco; ma pur di toglierla dalle mani disua madre, la sposerei, e le darei anche centoducati di tasca mia. LUGREZIA – Cosa mi date, se ve la sposo senza icento ducati? BOLDO – Vi do un paio di candelieri d’argento,che pesano venti once. LUGREZIA – Mi fido di voi. Sapete chi è lo sposo?BOLDO – Chi? LUGREZIA – Il signor Baseggio. BOLDO – Magari! LUGREZIA – Oh, signor Baseggio!

Scena quindicesima

Il signor Baseggio e detti.

BASEGGIO – Signora. LUGREZIA – Qui il signor Boldo fa le veci delpadre di sua nipote Orsetta, e ve la dà, se volete,ma senza dote. Aspettatemi, ritorno. (parte)BASEGGIO – Signor Boldo, mi conoscete, sapetechi sono, se vi va bene, la prendo volentieri. BOLDO – Dovevate dirlo a me, caro, risparmiavoun paio di candelieri d’argento. BASEGGIO – Magari! Anche io avreirisparmiato una scatola.

Scena sedicesima

La signora Lugrezia con la signora Orsetta, e detti.

LUGREZIA – Su, su, venite qua, non vivergognate. (portando per mano Orsetta)BOLDO – Che ci fate qua, signora? Chi vi haportato? (a Orsetta)LUGREZIA – Sono stata io a portarla via dallacasa di sua madre, non serve che le urliate contro,signor Boldo; ci sono di mezzo io... Questo è ilsuo sposo, e basta.BOLDO – Se la sposa, non dico nient’altro; ma semai... Che ne so io..., mi capite signora Lugrezia?

LUGREZIA – Quello che si fa in casa mia, si faper bene! Signor Baseggio, se la volete, è qui; o ledate la mano, o torna da sua madre. BASEGGIO – Orsetta, sono qui, vita mia; se mivolete, sono vostro. ORSETTA – Mi vergogno del signor zio. LUGREZIA – Via, sbrigatevi; o dentro, o fuori.Datele l’anello. BASEGGIO – Lo volete? ORSETTA – Datemelo. BASEGGIO – Signor zio... (mettendole l’anello)BOLDO – Bravi! Siete sposi. Quando è fatta è fatta. LUGREZIA – E io l’ho fatta fare. E chi l’ha fatta, echi l’ha fatta fare, di mal di corpo non potrà crepare. TUTTI – Evviva la signora Lugrezia, evviva!

Scena diciassettesima

Arlecchino e detti.

ARLECCHINO – Signori, permettano che dicauna cosa? (a Todero e a Boldo)BOLDO – Che c’è? ARLECCHINO – Sotto i balconi ci sono la signoraGiulia e la signora Tonina, che sentono tutto. (parte)LUGREZIA – Che diavolo! Hanno la faccia tostadi venire sotto i miei balconi? BOLDO – Aspettate, aspettate. (va al balcone)TODERO – Anch’io, anch’io. (va anche lui)ORSETTA – Se la signora zia lo sa, povera me! LUGREZIA – Non vi preoccupate. Lasciate fare ame. (Boldo e Todero fanno dei moti alla finestra, einvitano le donne a venir sopra)LUGREZIA – Che c’è di nuovo, signori? BOLDO – Vengono su. LUGREZIA – In casa mia! TODERO – Avete paura? Ci siamo noi. LUGREZIA – Per me, che vengano pure, sonocontenta che vedano, e si tolgano ogni dubbio. Di certo meriterebbero che tirassi loro addosso unpentolone di acqua bollente in testa. BOLDO – Ih, ih! Un pentolone di acqua bollente! TODERO – Troppo, signora Lugrezia. LUGREZIA – Non sapete cosa mi hanno fatto.Mi hanno svergognato al Ridotto. Per colpa loro,tutto il Ridotto si è sollevato, e tutti gridavano:signora Lugrezia.

Scena diciottesima

La signora Giulia, la signora Tonina, Chiaretta edetti.

LUGREZIA – Diseme, caro sior Boldo, se vevegnisse da maridar Orsetta vostra nezza, lamarideressi? BOLDO – Ve dirò: la xe nezza de mia muggier, lame tocca poco; ma non ostante, per levarla da leman de so mare, la mariderave, e ghe daraveanca cento ducati de la mia scarsella. LUGREZIA – Cossa me deu a mi, se ve la maridosenza i cento ducati? BOLDO – Ve dago un per de candelieri d’arzento,che pesa venti onze. LUGREZIA – Ve chiappo in parola. Saveu chi xeel novizzo?BOLDO – Chi? LUGREZIA – Sior Baseggio. BOLDO – Magari! LUGREZIA – Oe, sior Baseggio!

Scena quindicesima

Sior Baseggio e detti.

BASEGGIO – Siora. LUGREZIA – Qua sior Boldo se fa in liogo depare de so nezza Orsetta, e el ve la dà, se volè, masenza dota. Aspetteme, che vegno. (parte)BASEGGIO – Sior Boldo, me cognossè, savè chison, se ve contente, la torrò volentiera. BOLDO – Dovevi dirmelo a mi, caro vu, chesparagnava un per de candelieri d’arzento. BASEGGIO – Magari! anca mi averave sparagnàuna scatola.

Scena sedicesima

Siora Lugrezia con siora Orsetta, e detti.

LUGREZIA – Via, via, vegnì qua, no ve vergognè.(menando per mano Orsetta)BOLDO – Olà! cossa feu qua, siora? Chi vegh’ha menà? (a Orsetta)LUGREZIA – Mi son stada a levarla a casa de somare, no occorre che ghe criè, sior Boldo; ghe sonde mezzo mi... Questo xe el so novizzo, e la xe fenia.BOLDO – Co el la sposa, no digo altro; ma semai... Che soggio mi... M’intendeu, sioraLugrezia? LUGREZIA – Oh, quel che se fa in casa mia, vaco tutti i so registri! Sior Baseggio, se la volè, laxe qua; o deghe la man, o la torna da so mare. BASEGGIO – Orsetta, son qua, vita mia; se mevolè, son vostro.

ORSETTA – Me vergogno de sior barba. LUGREZIA – Via, destrigheve; o dentro, o fuora.Deghe l’anello. BASEGGIO – Lo voleu? ORSETTA – Dèmelo. BASEGGIO – Sior barba... (mettendole l’anello)BOLDO – Via bravi! Sè novizzi. La xe fatta, efatta sia. LUGREZIA – E mi l’ho fatta far. E chi l’ha fatta, echi l’ha fatta fare, de mal de corpo no potràcrepare. TUTTI – E viva siora Lugrezia, e viva!

Scena diciassettesima

Arlecchino e detti.

ARLECCHINO – Siori, èli contenti che ghe digauna cossa? (a Todero e a Boldo)BOLDO – Cossa gh’è? ARLECCHINO – Sotto i balconi ghe xe sioraGiulia e siora Tonina, che le sente tutto. (parte)LUGREZIA – Poter del diavolo! Le gh’ha tantomuso de vegnir sotto i mi balconi? BOLDO – Aspettè, aspettè. (va al balcone)TODERO – A mi, a mi. (va anche lui)ORSETTA – Se sior’àmia lo sa, poveretta mi! LUGREZIA – No ve indubitè. Lassè far a mi.(Boldo e Todero fanno dei moti alla finestra, einvitano le donne a venir sopra)LUGREZIA – Cossa ghe xe de niovo, siori? BOLDO – Le vien de su. LUGREZIA – In casa mia! TODERO – Cossa gh’aveu paura? Ghe semo nu. LUGREZIA – Per mi, che le vegna pur, che gh’hogusto che le veda, e che le se sincera. Da resto lemeriteria che ghe trasse una caldiera de brova intesta. BOLDO – Ih, ih! una caldiera de brova! TODERO – Troppo, siora Lugrezia. LUGREZIA – No savè cossa che le m’abbia fatto.Le m’ha fatto svergognar a Redutto. Le xe staecausa, che tutto Redutto s’ha sollevà, e tutticriava: siora Lugrezia.

Scena diciottesima

Siora Giulia, siora Tonina, Chiaretta e detti.

GIULIA – Se pol vegnir? Ghe xe schioppi? Ghexe bastoni? (ironicamente)TONINA – Semio in contumazia?

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GIULIA – Si può venire? Ci sono schioppi? Cisono bastoni? (ironicamente)TONINA – Siamo in contumacia? LUGREZIA – Vengano, padrone, entrino in casadi una donna perbene, e rispettabile. TODERO – Eccola qua; grazie a lei ho vintoduecento zecchini. (a Tonina)TONINA – Caro il mio marito, dove sono? TODERO – (Glieli mostra)BOLDO – Ecco. Lei mi ha fatto vinceremilleottocento ducati. (a Giulia)GIULIA – Ce li godremo, caro mio. Li aveteincassati? LUGREZIA – Vedete, signore, perché i vostrimariti venivano in casa mia? CHIARETTA – E il signor Baseggio perché ci viene? LUGREZIA – Chiedetelo alla signora Orsetta. ORSETTA – Ecco signora, ci viene per questo. (le mostra l’anello)CHIARETTA – L’anello? Le ha dato l’anello! Signoramadrina, il signor Baseggio le ha dato l’anello. GIULIA – Cos’è questa storia? BOLDO – Niente, signora. Questo è unmatrimonio che ha combinato la signora Lugrezia,e io ho acconsentito. GIULIA – Pagate una dote? BOLDO – Neanche un soldo. GIULIA – Brava, signora Lugrezia! Avete fatto bene. CHIARETTA – (Pazienza! Mi mariterò fuoriVenezia). (da sé)BASEGGIO – Signora Chiaretta, perdonatemi ... CHIARETTA – Andatevene, andate via, signorcorteggiatore del cavolo. Orsetta, mi saprai direl’anno prossimo. ORSETTA – Che cosa? CHIARETTA – Se te ne pentirai! ORSETTA – Invidia, invidia. LUGREZIA – E così, signore, saranno più gelosedei fatti miei? TONINA – Cara signora Lugrezia, perdonatemi.Quando si vuole davvero bene al proprio marito,si ha sempre paura che un colpo di vento lo portivia.. GIULIA – Quando si è di buon cuore, non si puòfare a meno di sospettare. LUGREZIA – Ma non si calunnia la gente. TONINA – Via, cosa abbiamo detto? LUGREZIA – Di tutto mi avete detto. SignorTodero, vi ridarò lo scialle, e vi ringrazio di quelloche mi avete dato come mancia per avervi fattovincere. D’ora in poi se aveste bisogno di soldi,sappiate che pegni non ne faccio più. Li ho fatti pernecessità, perché ero una povera vedova, e mi pento

di averli fatti, perché son cose che non si possonofare. Il cielo mi ha dato milleottocento ducati. Conquesti farò qualche affaruccio, e farò in modo divivere in maniera rispettabile. (a Todero)GIULIA – Perché non si sposa? LUGREZIA – Sposarmi? No! Mi godo la mialibertà, e mi sembra di essere una regina. GIULIA – (Adesso, con questi milleottocentoducati, sarebbe bello se anch’io fossi vedova!) (da sé)LUGREZIA – Signor Todero, attento, se torneretea giocare, perderete i duecento zecchini, e anche ilcapitale della bottega. E voi, signor Boldo, nonfate che questa vincita vi ingolosisca, perché ce nesono stati che hanno vinto dei terni grossi e poisono tornati a giocarsi tutto. GIULIA – Veramente, signora Lugrezia, parlatebene. TONINA – Siete veramente una donnarispettabile. LUGREZIA – Parlo bene? Sono una donnarispettabile? Sarete più gelose di me? No, non èvero, care? Non parliamone più. Quello che èstato, è stato. Una volta vi avrei fatto disperaretutte e due; ma adesso gli anni passano, sonovedova, e non ho più la voglia di divertirmi cheavevo una volta. Penso a far soldi, penso amantenermi onestamente, perché sapete, care?dice il proverbio: Passando gli anni, passa la bellezza, Ma c’è tutto, quando ci sono bezzi. Una donna povera si disprezza; Ma quando ne ha, le si fanno vezzi. Che siano per interesse, o per amore, Si accetta tutto, e si consola il cuore.

Fine della Commedia.

Giorgio Sangati ringrazia per la collaborazioneStefano Fortin, Valeria De Santis e Eugenia Torresani

LUGREZIA – Le vegna, patrone, che le vien incasa da una donna da ben, e onorata. TODERO – Vela qua; per causa soa ho vadagnàdusento zecchini. (a Tonina)TONINA – Caro el mio mario, dove xeli? TODERO – (Glieli mostra)BOLDO – Varè, vedè. Ela la m’ha fatto vadagnarmille e ottocento ducati. (a Giulia)GIULIA – Se li goderemo, fio mio. I aveu scossi? LUGREZIA – Vedeu, siore, per cossa che i vostrimarii vegniva in casa mia? CHIARETTA – E sior Baseggio per cossa ghevienlo? LUGREZIA – Domandeghelo a siora Orsetta. ORSETTA – Varè, vedè, siora, el ghe vien perquesto. (gli mostra l’anello)CHIARETTA – Oe, l’anello? La gh’ha l’anello!Siora santola, sior Baseggio gh’ha dà l’anello. GIULIA – Come xelo sto negozio? BOLDO – Gnente, siora. Questo xe unmatrimonio che ha fatto siora Lugrezia, e migh’ho acconsentìo. GIULIA – Ghe deu dota? BOLDO – Gnanca un bezzo. GIULIA – Brava, siora Lugrezia! Avè fatto ben. CHIARETTA – (Pazenzia! Me mariderò de fora).(da sé)BASEGGIO – Siora Chiaretta, compatime... CHIARETTA – Eh, andè via, andè via, siorcortesan d’albeo. Orsetta, ti me la saverà contarst’altr’anno. ORSETTA – De cossa? CHIARETTA – Oh, se ti magnerà el pan pentio! ORSETTA – Invidia, invidia. LUGREZIA – E cussì, siore, sarale più zelose deifatti mii? TONINA – Cara siora Lugrezia, compatime. Cose vol ben da senno a so mario, se gh’ha semprepaura che la bissabova lo porta via. GIULIA – Co se xe de bon cuor, no se pol far demanco de sospettar. LUGREZIA – Ma no se leva la reputazion a lazente. TONINA – Via, cossa avemio dito? LUGREZIA – De tutto un poco m’avè dito. SiorTodero, ve darò el zendà, e ve ringrazio de quelche m’avè donà per bonaman de averve fattovadagnar. Da qua avanti se vegnissi in bisogno debezzi, sappiè che pegni no ghe ne fazzo più. I hofatti per bisogno, perché giera una povera vedoa,e me pentisso d’averli fatti, perché le xe cosse cheno se pol far. El cielo m’ha provisto de mille eottocento ducati. Con questi farò qualchenegozietto, e procurerò de sticcarla

onoratamente. (a Todero)GIULIA – Perché no se maridela? LUGREZIA – Oh, maridarme po no! Godo la mialibertà, e me par d’esser una regina. GIULIA – (Oh adesso, co sti mille e ottocentoducati, che bella cossa se fusse vedoa anca mi!)(da sé)LUGREZIA – Sior Todero, vardè ben, che setornerè a ziogar, perderè i dusento zecchini, eanca el capital de bottega. E vu, sior Boldo, no feche sta vincita ve ingolosissa, perché ghe ne xedei altri che i ha venzo dei terni grossi, e po i hatornà a zogar tutto. GIULIA – In verità, siora Lugrezia, che parlè ben. TONINA – In verità che sè una donna de garbo. LUGREZIA – Parlio ben? Songio una donna degarbo? Sareu più zelose de mi? No, n’è vero, fie?No parlemo altro. Quel che xe stà, xe stà. Unavolta v’averave fatto desperar quante che sè; maadesso i anni passa, son vedoa, e no gh’ho più elmorbin che gh’aveva una volta. Penso a far bezzi,penso a mantegnirme onoratamente, perchésaveu, fie? dise el proverbio: Passando i anni, passa la bellezza, Ma de tutto ghe xe, co ghe xe bezzi. Una povera donna se desprezza; Ma quando la ghe n’ha, se ghe fa i vezzi. Che i sia per interesse, o per amor, Se accetta tutto, e se consola el cuor.

Fine della Commedia.

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