Le comparse

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Antonio Sandri

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Il loro ruolo nella storia è di soffrire e servire

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Antonio Sandri

LE COMPARSE

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ANTEFATTO

A quel tempo ero un irrequieto. Tutto era iniziato con il pormi delle domande. Nessuna risposta che mi ero dato, mi soddisfaceva.Mi stancai di domande senza risposta e me ne andai in giro per il mondo, in cerca di domande che si ponevano gli uomini e delle risposte che si davano. Divenni un Cercatore.Questo è il resoconto di alcuni incontri e delle domane e risposte che ne conseguirono.

GIOBBE E LE COMPARSE 3PROMETEO INCATENATO E ERACLITO L'OSCURO

12IL PERICAZÁRMATA 14I NARTI CHE SI LASCIARANO MORIRE 15ZARATHUSTRA E IL DIO INUTILE

16SI LEVO' ALTO IL GRIDO DEI TRE "UN PO'" 17LE RICERCHE RIMANDATE 19LO SCIAMANO DELL'ARARAT 21IL DIO CHE COMBATTÈ CONTRO DIO A GERUSALEMME E PERSE 22

La prima vera domanda, la incrociai nei monti di Giuda, dove in una caverna viveva un vecchio eremita cieco.Ero in visita a Qumran, nel Mar Morto, luogo antico e di ritrovamenti.Dai monti di Giuda scese all’improvviso un brutto vento secco e caldo. Per sfuggirlo, salii in un sassoso canalone. Mi rifugiai in anfratto. Li incontrai l’eremita cieco che mi raccontò.

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GIOBBE E LE COMPARSE

Il racconto- Mi conosci?Giobbe lo guardò con gli occhi cisposi, socchiusi, un po’ per la luce del tramonto che gli dava fastidio, ma molto di più perché era vecchio e la sua vista andava sempre più scemando.- Dovrei conoscerti? Non vi era vero interesse nella voce e la sua risposta era solo cortese.- Sì! Gli occhi di Giobbe divennero fessure ed egli guardò con più attenzione. Ma il tono della voce non mutò:- Sì! ti ho visto, ma non mi ricordi niente- Vedo che ti sei ripreso bene. Ho visto bestiame piccolo e

grande nei tuoi pascoli. E servi e serve. Ho sentito le risa dei tuoi figli. Vedo una splendida casa, vicina ad una sorgente. Quasi meglio di prima!

- Il Signore, benedetto sia il suo nome, mi ha restituito con sovrabbondanza quello che avevo perduto. Sia sempre lodato il suo nome.

Questa volta Giobbe lo fissò a lungo.Notò che portava una veste sporca e stracciata, annodata alla vita, segno che aveva camminato a lungo. Ma non aveva bisaccia e si appoggiava ad un vecchio bastone pieno di nodi. Il suo volto era duro, magro, pieno di solchi dove la sabbia penetrata si era indurita. Non c’era cordialità nel suo volto e nei suoi occhi. - Siedi, ristorati con me e dimmi chi sei e cosa dovrei

ricordare- Mi siederò quando mi avrai riconosciuto. Sono stato un

tuo servo.Giobbe incrociò allora lo sguardo con quello del pellegrino. Il pellegrino si lasciò guardare. I suoi occhi non si abbassarono ma rimasero freddi. Forse era una sfida, ma Giobbe non ne fu sicuro. Giobbe conosceva quel tipo di sguardo perché ne aveva fatta esperienza personale. Si impossessa dell'uomo dopo che una ira impotente ha devastato l'anima, senza portare rassegnazione.La fisionomia gli era familiare ma non ricordava quel suo servo.Giobbe ora era curioso.

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- Se sei stato mio servo, lo sei stato prima. Sei lo scampato che mi avvisò della morte dei miei figli?

- No! Quello è morto di fame, poco lontano da qui. Non sono nemmeno quello che ti avvisò che i Sabei avevano ammazzato i tuoi buoi. Non so che fine abbia fatto. Quello che ti portò la notizia della strage delle pecore, gira impazzito per il deserto, contendendo il cibo ai cani randagi. Io custodivo i tuoi cammelli, quando i Caldei li razziarono e passarono tutti i guardiani e le loro famiglie a fil di spada. Sono quello lasciato vivo per avvisarti dei Caldei.

E fu silenzio in quella sera a Uz, mentre un sole rossastro si spegneva tra le palme dell'oasi di Giobbe. Il servi riprese:- Ti ringrazio perché non hai detto che mi riconosci. Mi hai

risparmiato l’offesa di una bugia.- Che vuoi?- Ora non mi inviti a sedere e ristorarmi?- Siediti! Batté le mani e disse alla serva subito apparsa- Porta all'ospite una ciotola di latte cagliato fresco. Ma

prima una bacinella d'acqua, perché vi immerga i piedi e una brocca perché si purifichi le mani.

- Grazie per la ciotola di latte cagliato, ma niente bacinella, né brocca. Non desidero essere purificato nella tua casa.

Giobbe era a disagio di fronte a quel parlare duro e diretto.- Che vuoi? Rimanevano estranei uno all'altro- Hai fretta, Giobbe? Io, no! Il tempo per me si è fermato

allora e non ha più ripreso a correre. Per te è diverso, sei ritornato quello di prima: uomo integro e retto, timorato di Dio e alieno dal male. Figli e figlie e bestiame grande e minuto allietano i tuoi giorni. In più godi fama di aver visto il Signore, che qualcun altro benedica il suo nome. Il tempo per te è tornato a scorrere.

Si sedette e si bagnò la bocca con il latte cagliato, pulendosi con il dorso della mano.- Avevo moglie e cinque figli e due figlie. Le loro ossa sono

rimaste nel deserto. Sono usate dai cuccioli delle fiere per farsi i denti. Niente sepoltura. Non ci fu il tempo. Tutti presi dal dramma di Giobbe, tutti ad andare a consolarlo. Il mio seme è inaridito. Morirò e nessuno ricorderà il mio nome. Sarò ombra inutile nello sheol come inutile e senza

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significato è stata la mia vita. Sono tutti morti per te…i tuoi guardiani e le loro famiglie…anche se la disputa con il Signore, che qualcun altro benedica il suo nome, e con Satana era un tuo problema e non il loro. Non il mio!

- Ed io che posso farci? Torna ad essere mio servo, ti donerò una mia ancella che ti procreerà figli e ti darà una discendenza.

- No, Giobbe, troppo facile anche per un uomo giusto. Ti ho detto che tutto in me è inaridito come le ossa della mia famiglia: spolpate. I nervi le tengono insieme. Io voglio sapere perché. Che cosa c’entravo io con la disputa tra te ed il tuo Dio? Perché tocco a noi, servi, a me servo patire la violenza. Perché si è voluto la vita, il sangue di mia moglie e dei miei figli per una disputa che ninci riguardava? Perché, Giobbe?...Perché?

- Non lo so.- Tu hai gridato contro il Signore, lo hai chiamato a giudizio

perché trovavi ingiusto quello che ti aveva fatto. Ma ti sei ricordato di chiedergli ragione della morte dei tuoi servi e del mio errare per l’ingiustizia della violenza?

- In quel momento gridavo la sofferenza ingiusta di tutto il mondo...

- Non raccontare storie. – interruppe il servo - Ho letto e riletto la tua risposta ad Elifaz. Sei bravo a creare immagini con le parole. Tutta da imparare a memoria la tua denuncia contro l'ingiustizia dilagante. Ma di noi tuoi servi, morti per te, non vi è cenno. Quello che veramente ti interessava lo hai detto a Bildad:

Fino all'ultimo respiro rivendicherò la mia integritàTerrò fermo alla mia innocenza senza cedere;la mia coscienza non mi rimproveranemmeno uno dei miei giorni.

Ho riferito in maniera esatta?Giobbe non rispose.- Possedevi settemila pecore, tremila cammelli, settecento

coppie di buoi e cinquecento asine ed una numerosissima servitù. Hai avuto di ritorno quattordicimila pecore e seimila cammelli, mille paia di buoi e mille asine. Generasti pure sette figli e tre figlie. Ma della servitù che avevi, non se ne fa cenno…non vi è traccia…svanita, dimenticata, ossa bianche e calcinate senza sepultura e senza resurrezione. Così sta scritto nel tuo libro. Dico forse il falso?

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- No! Tu dici il vero- Se dico il vero, allora tu, nel tuo dolore, non hai mai

pensato a noi servi. Sei stato considerato saggio perché hai detto:

nudo sono uscito dal ventre di mia madre e nudo vi farò ritorno! Jaweh ha dato e Jaweh ha tolto; sia benedetto il nome di Jaweh.

Tutto qui! Interruppe per un attimo il suo dire, fissando intensamente Giobbe.- I tuoi guardiani, i tuoi servi sono morti…i superstiti

condannati a girovagare nel deserto di sabbia, di sangue, di disperazione e di violenza…e tu ti compiaci della tua nudità e ne fai elemento di giustizia.

Prese lentamente la ciotola di latte cagliato e si dissetò. Poi puntò l’indice sporco e scarno contro Giobbe.- Tu, Giobbe, il giusto egoista, non hai invocato un

vendicatore per noi, come se il nostro sangue non avesse diritto ad un Goel. Lo hai invocato per un po’ di rogna sulla tua testa e quattro pustole puzzolenti sul tuo corpo. Allora sì che si sono sentite le urla. In tutto Edom si sono sentite, fino a Giuda, dagli insediamenti di Simeone a quelli di Dan. Ma per i tuoi servi morti solo: Dio ha dato...Dio ha tolto...sia benedetto.

Il silenzio di Giobbe rese più forte l'accusa di giusto chiuso nel suo egoismo, che gli era stata rivolta e tutte quelle vacche, cammelli, capre che gli erano stati ridati, erano lì come prova della sua colpa. Anche i figli erano prova dell'egoismo di Giobbe il giusto, il servo benedetto di Jaweh.Poi Giobbe parlò:- Nella storia che Jaweh, benedetto sia il suo nome, ha

voluto per il suo popolo vi sono dei protagonisti nei quali la volontà di Jaweh, sempre sia benedetto il suo nome, si manifesta direttamente e attraverso i quali realizza la sua signoria e la sua volontà. Altri hanno il ruolo delle comparse. Di che ti lamenti, se questa è la volontà di Jaweh? sempre sia benedetto il suo nome.

Il superstite pellegrino appoggiò con calma il suo bastone sulla panca dove era seduto, si alzò con lentezza in piedi, protese le braccia al cielo e con voce alta chiamò:- Venite figli e figlie di Giobbe! Venite spose, concubine e

ancelle! Venite guardiani, servi ed amici, parenti di

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Giobbe. Affacciatevi sulle nubi o voi tutti che formate la corte di Jaweh!…guarda anche tu, Jaweh, se ne hai voglia e tempo. E beninteso se questo rientra nei tuoi piani…Qualcun altro benedica il tuo nome poiché le mie labbra sono impure e non desidero siano purificate. Venite e guardate! Ecco, io sono una comparsa che non ha nome, che non ha volto se non quello di guardiano di cammelli di Giobbe. Che violenza è mai quella fatta ad una semplice comparsa? Tolgo il disturbo dalla scena della storia del popolo del Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, ma anche quello dei fedigrafi Levi e Simeone, così cari a Giuditta, prostituta di alto lignaggio. Torno subito nel deserto arido, ma prima ti voglio rispondere chiedentoti: “Tu, Giobbe, ti sei accontentato di quello che gli amici sapienti ti hanno detto? Ti sei accontentato di sentirti dire che la Sapienza non si trova nella terra dei viventi?” Rispondi!

- No! Ho voluto incontrare Jaweh, faccia a faccia!- Bravo! Ora dici il vero. Ma non dirmi che quanto ti ha

detto ti ha convinto! Fulmini, tuoni, lampi: l'armamentario di qualsiasi dio. E l'onagro e il bufalo e il beemot e per chiudere il leviatan: sogni di terrore di ogni bimbo semita. No! niente di tutto questo è convincente e può giustificare il venir meno al patto di alleanza da parte di Jaweh, che qualcun altro benedica il suo nome, valido anche per le comparse. Lui non ha protetto il giusto come aveva promesso! Lui ha stracciato il patto che lega chiunque ha timore di Dio alla sua protezione e Ti ha chiesto:

Dov'eri quando io mettevo le basi della terra?Me lo sono chiesto innumerevoli volte anch'io e mi sono risposto: non ero. Ma questo forse giustifica che Jaweh, che qualcun altro benedica il suo nome, possa infrangere il patto dell'alleanza? No, Giobbe, no! Quello che ti ha convinto è che tu lo hai visto, lo hai sentito parlare in mezzo al turbine. Questo ti ha convinto. E ti sei buttato nella polvere e nella cenere.

- Hai ragioneIl viandante prese la ciotala, la alzò e bevve fino a che tutto il latte cagliato fu finito e un rivolo incominciò rigare la polvere seccata sulla sua barba.

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Ripose la ciotala e, con gesti lenti come di uno che non ha nessun tempo e tutto il tempo davanti a sè, prese il suo bastone, girò le spalle a Giobbe e se ne andò.

Un mese dopo, con il vento infuocato del deserto di Paran, il servo viandante fu di nuovo davanti a Giobbe.Niente in lui era cambiato, forse un po’ più logoro nella veste e nel volto, lo sguardo ancora fisso, inappagato ed estraneo.- Tu mi hai dato ragione, ma non è successo niente: il

tempo per te continua a scorrere verso una vecchiaia serena, per me è fermo al momento della disperazione. Sono ancora in attesa del Goel delle comparse. Se c’è.

- Cambierebbe qualche cosa se ti dicessi che hai torto?- No!- Cambierebbe qualche cosa se ti dicessi che hai ragione?- No!Un lunga pausa, mentre il viandante girava lo sguardo attorno, verso l'aia, i granai, le galline starnazzanti, il sicomoro e il fico selvatico scossi dal vento.Fissò a lungo Giobbe negli occhi acquosi per gli anni.- No e no! Troppo tardi per essere credibile.- Fermati e torna ad essere mio servo, avrai il salario per il

tempo del tuo girovagare, una donna, una capanna, una coppia di buoi ed un pezzo di terra"

- Troppo tardi. Voglio risposte che abbiano senso, che siano piene di sapienza, secondo quanto sta scritto. A chi mi grida dietro tutto il giorno: Dov'è il tuo Dio? devo poter rispondere. O una comparsa non ha diritto a un Dio?

Giobbe meditò in silenzio e poi disse:- Sta scritto: Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui

fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quegli gli disse: “Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora”. Giacobbe rispose: “Non ti lascierò se non mi avrai benedetto!” Gli domandò: “Come ti chiami?”. Rispose: “Giacobbe”. Riprese: “Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!”

- Allora per capire, per avere una risposta e divenire protagonista, bisogna combattere con Dio?.

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Giobbe non rispose poiché non sapeva cosa rispondere e il servo viandante che non aspettava più da lui alcuna risposta, se ne andò.

Questo mi fu raccontato da un vecchio eremita cieco, in un piccolo anfratto, nelle montagne di Giuda.Ci eravamo rifugiati a ridosso di una roccia rossastra, appena al di sopra di Qumran, per ripararci dal sole. Unico rumore il fischio del vento che continuava l'opera di erosione scolpendo figure contorte e piene di buchi. Là abitava l’eremita cieco.Il suo dire era stato monotono, proprio di colui che ripete a memoria e non vuole che nemmeno uno iota cada o una parola cambi accento.Gli chiesi:- Non se ne seppe più niente di lui?- Poco e tutto confuso. Molto tempo fa ho sentito dire che

fu visto aggirarsi preso il guado di Iabbok, il luogo che Giacobbe chiamò Penuel perché lì aveva visto Dio a faccia a faccia e non era morto.

Il silenzio tra quelle rocce aride e sibilanti aveva il sapore delle attese senza fine, poiché qualunque fosse la parola pronunciata, questa non si attaccava nè al luogo nè alle persone. Rimaneva sospesa un po’, per poi andarsene con il vento e la polvere.- Ci sono delle leggende, niente di più. I Carovanieri dicono

di aver visto un uomo, che poteva somigliare a lui, nelle piste ad est delle terre degli Ammoniti, dove si trova Penuel, traversare a piedi il deserto arabico e le steppe siriache e dirigersi verso le terre di Akkad a nord di Babilonia. Portava sacchi di ossa ed era seguito da scheletri spolpati: “ossa che camminano” dissero.Ogni scheletro scandiva forte e ritmato il proprio nome e quello del suo popolo. Quasi avesse paura di dimenticarlo, poichè ognuno di loro era il solo a ricordarlo ancora. Ne scaturiva un canto affidato al vento, penetrante come la sabbia.Così si venne a sapere che dietro di lui camminavano gli scheletri delle comparse di tutti i tempi, appartenenti a tutti i popoli a cominciare dai discendenti di Sem, Cam e Jafet, i salvati dal diluvio

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Tre colonne di scheletri di comparse senza nome, in marcia:- della discendenza di Sem: Elam, Assur, Arpacsad, Lud e Aram e poi Uz, Cul, Gheter e Mas. E ancora Saba, Ofir, Avila e Iobab.- della discendenza di Cam: Etiopia, Egitto, Put e Canaan e poi Babele, Uruch, Accad e Calme. E ancora Assur e Calch- della discendenza di Iafet: Gomer, Javan e poi Elisa, Tarsis, quelli di Cipro e quelli di Rodi e tutte le nazioni disperse per isoleSeguiva una sola lunga colonna di uomini, donne, bambini e animali, gli abitanti delle città di Ai, Makkedda, Libna, Lachis, Eglon e Debir. Tutti passati a fil di spada per ordine del Signore delle schiere.Quindi gli sterminati Aramei, Idumei, Moabiti, Filistei che ebbero in sorte l’incontro con il popolo eletto.Poi si sentivano le voci cantalenti dei pellirosse d’America, dei Negri d’Africa, dei popoli dell’ Ammazzonia. Quindi camminavano gli sceheletri e le ossa fumanti degli ebrei dell’olocausto, gli Ucraini, i Vietnamiti, i Cambogiani, gli Afgani, i Palestinesi, i Tibetani e gli Zingari.Alla rinfusa i Somali ed i Campesinos, i mussulmani di Bosnia, i Kurdi, gli Utsi e i Tussi.Scheletri e ancora scheletri di coloro che, innocenti comparse, avevano subito la violenza. Alcuni tenevano in mano la loro testa, altri senza gambe camminavano sulle braccia, tronchi di scheletro rotolavano nella sabbia, scheletri che portavano dentro di loro le ossa di coloro che non hanno fatto tempo a nascere prima di venire uccisi e singole ossa senza nemmeno più una identità.Maschi e femmine, senza alcuna distinzione fra loro.Sopra una spessa nube grigia che offuscava il sole del deserto. Non era sabbia, ma cenere: le ossa di coloro che erano stati bruciati e che si sbriciolava al sole del deserto.Davanti a loro si diceva che il pellegrino gridasse:Largo alla schiera delle comparse della storia. Largo a coloro che niente furono in vita e scheletri erranti sono nella morte. Fate strada! Lasciatela sgombra!

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Ci sono ancora milioni di ossa che debbono passare.Alleluja per la terra ove scorre latte e mieledistruzione, morte, carneficinaAlleluja per davide, il re secondo il cuore di jawehgenocidio, genocidio, genocidioAlleluja per i paesi cattolicissimisterminio, deportazione, schiavitùAlleluja per l'uomo modernoviolentate, violentate, violentateLargo alla carovana delle comparse. Fate strada! Lasciatela sgombra! Ci sono ancora milioni di ossa che debbono passare."

Si racconta che un carovaniere chiedesse al pellegrino:- Dove le conduci?- Nella valle, presso il canale di Kebar. Le porto dove

Ezechiele venne a profetizzare, secondo quanto sta scritto: “Le ossa si occostarono l'una all'altra. Poi ecco vidi i nervi su di esse, sopra vi apparve la carne e sopra ancora si stese la pelle e lo spirito venne su di loro, sicchè ripresero a vivere e si alzarono in piedi”. Lì, a Kebar, aspetterò Jaweh, che qualcun altro benedica il suo nome, per sfidarlo a profetizzare anche sopra queste ossa

Si dice che aggiungesse che non le portava a Gerusalemme, nella valle del Giudizio di Giosafatte, perché quello era un luogo destinato ai protagonisti.Ritornai più volte, giorno dopo giorno nei monti di Giuda per trovare il monaco cieco, ma niente più riuscì a toglierlo dal suo silenzio. Ritornai dopo essere stato nella valle vicino al canale di Kebar: solo sabbia, vento e deserto. Il vento ti dice solo le cose che vuoi sentire. Specie se è il vento del deserto. Chiesi.- Rispondimi solo a questo: lottò con Jaweh?- E che importanza ha?- Voglio sapere cosa Jaweh ha risposto, poiché anch'io

sono una comparsa- Ha giovato al servo viandante conoscere la risposta di

Jaweh a Giobbe?- No!- E che cosa ti fa pensare che la risposta data da Jaweh

al servo viandante giovi a te? Vattene e cerca il tuo Dio. Lotta con Lui. La risposta che otterrai sarà l'unica risposta che avrà valore.

E fu di nuovo silenzio nell'anfratto dei monti di Giuda.

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Allora mi misi a cercare tutti quelli che avevano lottato con Dio. per avere risposte da Dio, bisogna trovarlo, lottare con lui. Sta scritto “dei violenti è il regno”.

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PROMETEO INCATENATO E ERACLITO L'OSCURO

Cominciai da Prometeo. Raggiunsi la Scizia, procedendo verso Nord-Ovest, all'estremo delle terre abitate, ma non riuscii avvicinarmi alla rupe, posta tra cielo e mare, dove era incatenato Prometeo. Poichè niente di esclusivamente umano può raggiungere quelle rupi, chiesi alle Oceanine, la schiera amica, di farmi da tramite e di porre a Prometeo questa domanda:- O Dio incatenato e doloroso, o nemico di Zeus, il

detestato da tutti gli dei che varcano la soglia della reggia di Zeus, tu che hai amato i mortali oltre ogni misura, tu che hai rubato la luce artefice di tutto, il fuoco, e mille cose inventasti per le comparse mortali, perché l'odio di Zeus per i mortali? Perché il Signore degli Dei voleva annientare il loro seme?

Fu formulata lontano da dove mi trovavo, ma la udii trasportata dall'urlo del vento e del mare che da mille e mille anni combatte contro le rupi rocciose.Le Oceanine, dal loro carro alato, proclamarono la risposta:- Che vuoi barbaro, ché tu non sei greco: non saresti

giunto agli estremi confini del mondo per rivolgermi una domanda incomprensibile. Forse una risposta potrebbe dartela la Moira, che governa anche gli dei o forse la risposta è già stata data da Eraclito, l'oscuro: “POLEMOS, la guerra, di tutte le cose è padre e di tutte il re, e gli uni rivela dei, gli altri uomini, gli uni schiavi, gli altri liberi. Si deve sapere che la guerra è comune, e che la giustizia è contesa e che tutto avviene secondo contesa e necessità”.

Cercai Eraclito, nel caldo afoso di Atene, dove le pietre del Partenone si sbricciolano sotto la violenza dei raggi del sole, ma non lo trovai.Conclusi dentro di me che la guerra è parte integrante dell’esserci, in qualsiasi modo si manifesti. La guerra partorisce un’altra guerra e così via. Non porta a niente, solo la morte di molte comparse, militari e civiliNon mi aspettavo nessun chiarimento da Eraclito, poichè aveva ragione Prometeo: ero barbaro per gli dei greci così come gli dei greci erano barbari e stranieri per me.

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Non cercavo il regno dove vige la regola della guerra, perché da quella civiltà nessuna risposta ci poteva essere per le comparse, i curvi, i senza volto. Cercavo il regno di Shalòm e del Shabot. Volevo incontrami con il Dio della alleanza, dal rispetto della quale nasce Shalòm, con lui volevo misurarmi e chiedere risposta al perché delle comparse.

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IL PERICAZÁRMATAMi avviai verso il Caucaso, nell'Ossezia, dove era vissuto il popolo degli Eroi, i Narti, che si lasciarono morire per rendere radicale la loro guerra agli dei.Si diceva fossero morti tutti, distesi nella fossa che si erano scavati.Passai per la Beozia, nell'Aulide, sulle rive dello stretto di Euripo. Mentre camminavo lungo il mare, mi si acostò una lettiga.- Dove vai straniero?- Dai Narti, per conoscere il perché hanno voluto sfidare

il loro Dio- Sali! Ti racconterò la storia di quelli che, non osando

sfidare gli dei, fanno loro dei sacrifici. Io sono un pericazàrmata.

Salii e chiesi:- Cosa vuol dire?- Poco lontano da qui, Agamennone per propiziare il

ritorno dell'esercito da Troia, immolò sua figlia, la vergine Ifigenia. Doveva andare a Troia, anche se non gli importava niente di Elena. C'era di mezzo la gloria.

- Tu, che c'entri?- Un sacrificio é accetto a Dio, se la vittima è

conscienziente. Non lo sapevi? Alle bestie non si può chiederlo, ma agli uomini sì. Dal monte Pelio, che puoi scorgere là in fondo, stanno già trasportando grandi alberi per costruire una flotta. C'è una altra impresa da compiere. Non so, e non mi interessa saperlo, se per la gloria o per i soldi. So che hanno bisogno di un sacrificio umano. Ed io sono colui che deve essere sacrificato.

- Tu hai accettato?- Certo! Altrimenti il sacrificio sarebbe sacrilego. Ero un

morto di fame, io e la mia famiglia. Accettando mi danno un anno di vita in mezzo al lusso, la sicurezza del futuro per i miei. Poi il sacrificio. Io ho accettato!

Chiesi di scendere: anche il pericazàrmata rimaneva comparsa, mai sarebbe divenyto protagonista. Fermò la lettiga. Poi, mentre si allontanava, mi gridò :- Pericazàrmata nella tua lingua significa spazzatura,

lordura d'uomo. Comparsa senza nome.

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I NARTI CHE SI LASCIARANO MORIREViaggiai a lungo. Giunsi in Ossezia, dove trovai un superstite dei Narti, accovacciato sopra una rupe, pìù simile ad essa che ad un uomo.- Perché sei sopravissuto?- Per raccontare la storia dei Narti, che hanno passato la

vita a guerreggiare. Hanno vinto molti uomini che si ritenevano forti. Innumerevoli furono le loro battaglie con gli Spiriti del cielo. Non vi era più alcuno con cui misurare la loro forza.

- Ma perché la loro suicida lotta con Dio?- Fu Syrdon, il flagello dei Narti, che la propose, in un

momento di noia. Non c'era più nessuno con cui gareggiare. Venne in assemblea e disse: “Invece di pregare Dio come fate, perché non mettete alla prova la sua forza?” “Ma non sappiamo dov'è.” “Fatelo arrabbiare ed egli stesso si manifesterà.””Come farlo arrabbiare?” “Dovunque egli sia, smettete di pregarlo, dimenticate il suo nome, alzate le vostre porte per non essere obbligati a curvarvi nel passare, perché potrebbe credere ancora che vi inchiniate davanti a lui, e vedrete che egli stesso verrà a cercarvi!” Così fu fatto e Dio mandò una rondine a chiedere perché più nessuna preghiera si levava verso di lui, poi propose ai Narti un patto. Ma poichè lui voleva restare sempre Dio, dissero di no! Dio cercò allora di sterminarli. Non ci riuscì. In seguito i Narti rifletterono: “Non abbiamo detto noi stessi a Dio che una gloria senza fine e meglio che una vita senza fine?”Ognuno scavò la propria tomba e vi si coricò lasciandosi morire. Così perirono gli illustri Narti.Io sono rimasto a cantarli."

Non rispose più alle domande, ma continuò a ripetere le storie dei Narti, come una nenia fuori dal tempo. Non volevano sapere niente da Dio, né perché loro erao forti, né perché esistevano i deboli. Volevano solo sfidarlo.Le domande, allora, le posi a me stesso. Se nella loro alterigia i Narti non si fossero lasciati morire, cosa sarebbe successo? Sarebbe stata una lotta senza fine e senza esclusione di colpi?Oppure Dio sarebbe morto perché dimenticato? o reso inutile? uti non esset, come non ci fosse?

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Comunque anche i Narti non avevano risolto il problema delle comparse, pur avendo lottato e vinto contro gli dei.

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ZARATHUSTRA E IL DIO INUTILE

Il silenzio di Dio, la morte di Dio, la sconfitta di Dio: parole oramai abituali.Qualcuno si è chiesto cosa succederebbe se nel mondo non si pronunciasse più il nome di Dio e di Lui si perdesse anche il ricordo?La storia dell'inutilità di dio cominciò, non tanto tempo fa, quando uno scienziato disse al re di Francia: - Maestà, non c'è bisogno di formulare l'ipotesi Dio per

spiegare il moto degli astri. Nessuna ipotesi scientifica, in qualsiasi materia, ivi comprese quelle relative alle scienze dell'uomo, prevede più l'ipotesi Dio.Molti dissero: - Meno male, con la morte di un dio, tabbabuchi della

nostra ignoranza, comincerà l'era del vero Dio. Si ebbe solo il silenzio di Dio. pochi parlano di Lui, meno ancora parlano a Lui. Mi vennero alla mente le parole di Zarathustra, appena sceso dal monte:- Morti sono tutti gli dei, ora vogliamo che il superuomo

viva; uomini superiori, questo dio era il vostro più grave pericolo. Da quando egli giace nella tomba, voi siete veramente risorti. Solo ora verrà il grande meriggio, solo ora l'uomo superiore diverrà padrone...Uomini superiori! Solo ora il mondo partorirà il futuro degli uomini. Dio è morto: ora noi vogliamo che viva il superuomo.

Andai sotto il monte dove avevo visto scendere Zarathustra e dove aveva scavato la tomba a Dio. Si trovava presso l'albero cavo sul quale aveva gettato il cadavere del saltimbanco morto.Sul retro della lapide che diceva QUI GIACE DIO, scrissi con lo spray le seguenti domande: - Con il santimbanco giace anche la misericordia? E le

comparse, i senza volto, i curvi non continueranno ad essere sacrificati agli superuomini?

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SI LEVO' ALTO IL GRIDO DEI TRE "UN PO'"

Mi chiesi se le comparse erano consapevoli di esserlo e, se sì, perché non ci fosse una ribellione generale contro i protagonisti e contro Dio. qualunque Dio.Trovai, per caso, in un parco, la risposta sul destino riservato alle comparse e da loro accettato. Seduti su una panchina due anziani, guardavano le foglie gialle dell'autunno che erano cadute nel prato. Lentamente si accartocciavano e si raccoglievano vicino agli scoli dell'acqua.Uno diceva all'altro:- Ma! Tutto sommato mi va anche bene: ho un po’ di soldi,

tanti quanti mi bastano per vivere, un po’ di salute, tanta quanto mi basta per venire al parco. Se un po’ di fortuna mi assiste, tiro ancora avanti.

Entrai nel bar, in fondo al viale. Un uomo bestemmò- P.....! Soldi, salute e questa schedina vincente e mando

tutto il mondo a farsi fottere.In fondo alla sala, uno spacciatore diceva ad una ragazza dagli occhi profondi: - Non hai soldi, non hai salute, non hai fortuna. Fatti

scopare ed io te li darò tutti e tre in una bustina.Puntini luminosi del televisore formavano, sotto l’immagine di ogni trasmissione. a livello sublimale, la scritta dei tre un po’, comprensibili in tutte le lingue: un po’ di fortuna, un po’ di soldi, un po’ di salute.Dalle finestre della città dell'uomo usciva il sospiro, il grido, l'urlo: un po’ di fortuna, un po’ di soldi, un po’ di salute.Dalle piazze giungeva l'eco di innumeri tribune politiche. Qualsiasi proposta si disuniva nell'aria a prova e diveniva dapprima frase, poi sillabe, quindi vocali, consonanti e numeri. Poi tutto si ricompattava per formare una unica dichiarazione: "Il diritto ad un po’ di soldi, un po’ di salute, un po’ di fortuna, è inalienabile. Vieni, vota ed io te li assicurerò.I suoni si mescolavano: quello dei motori agli stridii, all'urlo delle sirene, il pianto al riso, lo scalpiccio di mille piedi al battere di mille mani. Ne nasceva un unico persistente rumore di fondo: un po’ di soldi, un po’ di salute, un po’ di fortuna. Tutta la terra ne risuonava.Vidi passare una lunga fila, vociante, sgomitante, colorata che correva dietro l'insegna che diceva: un po’ di soldi, un po’ di salute e un po’ di fortuna.

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Chiesi alla Society of Worldeep's Research i parametri del fenomeno.Ricevetti questa riposta:1. Il significato di salute, soldi, fortuna, comunque espressi, era eguale in tutto il pianeta.2. La dimensione del contenuto degli un po’, e cioè a che quantità ci si riferiva, variava a seconda dei seguenti parametri: epoca storica, luogo geografico, cultura.3. In qualsiasi combinazione dei parametri di cui sopra, il rapporto tra l'un po’ posseduto e quelli ritenuti indispensabili, era a sviluppo geometrico: più notevole era l'un po’ posseduto, più grande era la distanza che lo separava dall'un po’ preteso.4. La valutazione degli un po’ variava moltissimo a seconda se si trattava di giudicare e decidere sugli un po’ personali o sugli un po’ degli altri.Meditai sui tre un po’ e capii perché le comparse rimanevano comparse.

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LE RICERCHE RIMANDATE

Sentii la necessità di ritornare ai monti di Giuda per sapere, dall'eremita cieco, le ultime notizie del servo viandante. Durante il viaggio riflettevo su questo tema: "E' più da uomo cosciente, libero e responsabile, lottare con un Dio che interviene nella storia di tutti e nella storia di ognuno in modo incomprensibile specie per le comparse o accettare la sua non utilità, se non la sua inesistenza, anche se questo significa rimanere senza significato e speranza?”Annotai nel mio taccuino da viaggio che dovevo ricercare se, per caso, i due termini del problema non fossero illusori. In altri termini: da dove derivava a me la convinzione che poteva esistere un dio a cui chiedere ragione e significato degli eventi e delle cose? Avrei dovuto andare a trovare Camus che andava dicendo che, in assenza di Dio, l'unica alternativa reale, l'unico caso serio per l’uomo era tra il vivere ed il suicidio. Avrei dovuto passare da Heiddeger per interrogalo sulla vita in autentica e se veramente l'essere valesse più del nulla.Ma tutto ciò mi sembrava irreale, farfalle di pensiero vaganti, dagli stupendi e cangianti colori, che non resistevano al contatto con la quotidianità dove gli amori, i dolori, le speranze erano importanti perché presenti, dentro la fatica e la gioia del vivere, anche delle comparse.In realtà la lunga carovana delle ossa spolpate mi ossessionava e accantonai questo tipo di ricerche. Accantonai anche il desiderio di andare ad interrogare il barcaiolo Siddharta, colui del quale Govinda, suo amico, riferì che: "-non vide più il volto del suo amico Siddharta, vedeva invece altri volti, molti una lunga fila, un fiume di volti, centinaia, migliaia di volti; che tutti venivano e passavano, ma pure apparivano anche tutti insieme, e tutti si mutavano e rinnovavano continuamente, eppure erano tutti Siddharta.-vide il volto di un pesce, d'un carpio, con la bocca spalancata in un dolore infinito, un pesce in agonia, con gli occhi che scoppiavano -vide un volto di un bimbo appena nato, rosso e pieno di rughe contratto dal pianto-vide il volto di un assassino e vide costui piantare un coltello nella pancia di un uomo

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-vide, nello stesso istante, questo malfattore incatenato e in ginocchio davanti al boia, che gli mozzava la testa con un colpo di mannaia-vide corpi di uomini e di donne nudi, negli atti e nella lotta di frenetico amore-vide cadaveri distesi, tranquilli, freddi, vuoti-vide teste d'animali, di cinghiali, di coccodrilli, d'elefanti,d'animali, di tori, di uccelli-vide dei, vide Krishna, vide Agni-vide queste immagini e questi volti mescolati in mille reciproci rapporti, ognuno aiutare gli altri, amarli, odiarli, distruggerli, rigenerarli, ognuno avviato alla morte, ognuno testimonianza appassionatamente dolorosa della loro caducità, eppure nessuno moriva, ognuno si trasformava soltanto, veniva una altra volta generato, riceveva un volto sempre nuovo, senza che, tuttavia, ci fosse un intervallo di tempo fra l'uno e l'altro volto-e tutte queste immagini e questi volti giacevano, fluivano, galleggiavano, si rigeneravano e rifluivano l'uno nell'altro, e sopra tutti v'era costantemente qualcosa di sottile, di impalpabile, eppure reale, come un vetro o un ghiaccio sottilissimo, interposto come una pellicola trasparente, un guscio o una forma o una maschera d'acqua, e questa maschera sorrideva, e questa maschera era il volto sorridente di Siddharta il costante, il tranquillo, fine, imperturbabile, forse begnino, forse schernevole, forse saggio, multirugoso sorriso di Gotama, perché così sorridono i Perfetti" Io cercavo il sorriso degli imperfetti perché dentro la samsàra della vita.Dei perfetti non mi interessava nulla.

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LO SCIAMANO DELL'ARARAT

Assistetti, sui monti dell'Ararat, all'intervento di uno sciamano che voleva scacciare la febbre ad un bambino.Fu un rito lungo, ripetitivo nei gesti e nelle parole, tra lo strusciare e il battere ritmico dei piedi e dell'asta sacra, mentre un fumo denso e maleodorante saliva dall'altare sacrificale dove un agnello non scuoiato bruciava.Veniva cantata una nenia a volte lamentosa, con scatti che sembravano d'ira e improvvise cantilene di parole sospirate.Mi interessava, perché anche questa era una lotta con lo spirito della febbre.Una lotta contro il dio degli spiriti, portata avanti da comparse a favore di altre comparse.Non so se il bambino guarì, perché partii prima. Ho avuto però il tempo per porre allo sciamano alcune domande. Valgono di più le risposte:- Il mondo è dentro un mana. È mana. Anche gli dei e gli

spiriti devono seguire le leggi del mana. Il mana è ciò che è sotto ogni essere. Lo spirito della febbre che ha colpito il bambino non è cattivo, segue le leggi del mana e fa il suo dovere. Il mana è pieno di strade. Se tu conosci quelle giuste arrivi fino allo spirito che vuoi cacciare e se conosci la formula gli imponi la tua volontà. Io sono un grande sciamano, figlio di sciamano che era figlio di sciamano per molte generazioni, fino allo sciamano che percorse in lungo ed in largo le strade del mana, trasportato dall'uccello sacro. Quando tornò le indicò al padre di mio padre di mio padre e sono giunte a me. Conosco il mana e gli spiriti hanno rispetto per me e temono i miei canti"

Non so se mai percorrerò i segreti sentieri del mana. Io sono infatti un cercatore e non uno sciamano.

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IL DIO CHE COMBATTÈ CONTRO DIO A GERUSALEMME E PERSE

Giunsi dall'eremita cieco con il fardello delle mie domande e vissi con lui in silenzio per quaranta giorni.In una notte fredda, come solo nel deserto può esserci, mi disse:- Va a Gerusalemme, anche là qualcuno ha combattuto

contro Dio.- Sono stanco di viaggiare, parlamene tu.- Se Dio è ancora vivo e vuoi misurarti con lui per

comprendere la sorte delle comparse e dei senza volto, devi andare a Gerusalemme.

- E perché tu non vieni?- La mia vita non è la tua. Va, io devo aspettare.Feci fatica a trovare la strada per Gerusalemme. Troppi passi diversi, con ritmi disuguali, avevano calcato per secoli quella strada, tanto da divenire una via che può portare dappertutto e in nessun posto. In quelle condizioni fu difficile scoprire la traccia di colui che aveva combattuto con Dio. Cancellata o sprofondata o lastricata, sommersa dal fluire delle cose e delle persone. Solo la mia esperienza di Cercatore lo rese possibile. O forse fu la strada a farsi trovare.Il Cercatore sa che rimane sempre un po’ un mistero il perché si rintracci la strada giusta.La strada non mi portò dentro la città di Gerusalemme, ma in un uliveto. La città era davanti a me. Ne scorgevo le mura, il tempio ed il pinnacolo.Mi fermai lì per molto tempo, finchè ebbi la certezza che proprio dove mi trovavo avvenne il vero grande scontro con Dio. E come tutti i veri scontri era stato un opporsi di volontà contro volontà.Per Gesù, il Galileo, lo sfidante, fu dapprima la solitudine, poi il gelo della paura, poi il sangue. Infine la sconfitta: “Non come io voglio ma come Tu vuoi, non la mia ma la tua volontà sia fatta” E la violenza fu su Cristo Gesù come su di una comparsa. Fu la morte infamante del reietto da Dio sulla croce. E quando fu morto si seppe che anche lui era Dio, il Figlio prediletto, nel quale il Padre, che lo aveva portato all’annientamento, si era compiaciuto.

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Lessi la storia del Cristo. Egli incontrò molta gente e tutti di fronte a lui furono protagonisti. Comparse se lontane da lui, protagonisti quando lo incontravano. Poi tornavano ad essere comparse. Comparse che erano state amate.Gli fu chiesto chi fosse e sta scritto che così si comportò: "In quello stesso momento guarì da malattie, da infermità, da spiriti cattivi e donò la vista a molti ciechi. Poi diede loro questa risposta: “Andate e riferite ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella . E beato è chiunque non si sarà scandalizzato di me.”Non ero scandalizzato, ma arrabbiato e deluso: lui perdente, le comparse sarebbero tornate comparse, senza nessuno a cui chiedere perché.Il cieco sarebbe rimasto cieco, il curvo, il povero senza buone notizie e speranza, e nessuno a cui poter chiedere spiegazione. Il Dio che poteva rispondere era morto in croce.Con lui moriva la misericordia ed il cammino delle osse spolpate, in cerca di un Goel, non avrebbe mai avuto fine.Qualcuno mi disse:- Guarda che è risorto. Ripresi il mio peregrinare. Incrociai su strade polverose buoi, pecore e uomini magri, pieni di mosche; incrociai su strade asfaltate donne imbellettate sedute in automobili del colore del loro belletto; incrociai uomini che si battevano il petto affinché risonasse alto il loro potere, delimitando così il territorio che avevano conquistato. Vidi case senza fondamenta, provvisorie come i loro abitanti; case senza tetto perché mai una goccia d'acqua sarebbe discesa dal cielo; case aperte dove tutti entravano ed uscivano senza accorgersi degli inquilini; case come fortezze. Vidi nella vita quotidiana la sconfitta del Dio morto in croce e non la sua resurrezione.Stanco, mi sedetti sul bordo della strada. Per la prima volta non sapevo dove andare a cercare, perché non sapevo più cosa cercare.Un passante si sedette vicino a me, stette in silenzio per sette giorni e sette notti, e poi mi disse:- Racconta

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Ed io raccontai.Mi disse:- Anch'io ho cercato. Ho percorso altre strade, non le tue,

ma mi sono ritrovato come te a Gerusalemme. Ripartii senza risposte da un luogo detto del cranio. Non girovagai, ma obbedii alla indicazione data dallo stesso Dio crocefisso e me ne andai in Galilea.

Il silenzio tornò tra noi, poichè io non avevo domande da fare, nè curiosità da soddisfare.- Hai fame?- No- Hai soldi?- Sì- Vieni con me a comperare da mangiareLo seguii.Comprò, con i miei soldi, pane secco e latte cagliato. Mi condusse in una casa di canne tenute insieme da fango secco.Entrammo.Non vidi niente: troppo brusco il passaggio dalla luce.Depose quanto aveva acquistato per terra ed uscimmo. Tornammo a sederci.- Un affamato questa sera non avrà fame.- Cosa vuoi dirmi?- Camminando un giorno lungo le rive del lago di Cafarnao,

tenni tra me e me questa conversazione. Lui è morto, e non c'è nessun a cui poter chiedere il perché delle sofferenze delle comparse. Ma perché non è rimasto dopo la resurrezione? Il Regno di Dio, quello dello Shalòm, cominciava, perché allora se ne è andato? Sta scritto che era necessario, perché venisse lo Spirito? E che cosa vuol dire questo per le comparse? Mi ripetei che non significava niente, niente di niente. Uno storpio mi chiese la carità di un pezzo di pane. Non era il primo, ma quello me la chiese proprio nel mezzo della mia meditazione e allora pensai: “Questo è uno degli storpi che lui avrebbe potuto guarire e per il quale io voglio chiedere spiegazione del perché della violenza del male su di lui.” Ma mentre cerco una risposta, perché non gli dò da mangiare? E magari non lo porto da un medico? E poi non cerco per lui un lavoro? E cerco di costruire una società dove ci sia un posto anche per lui? E intanto cerco quel Dio e Signore, chiamato Gesù Cristo, per potergli

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chiedere non solo il perché, ma anche di gridargli che così proprio non va?O se ne andato proprio per questo, perché fossi io ad occuparmi delle comparse?

Si alzò e se andò. Disse che doveva risolvere il problema di un lebbroso, cacciato dalla famiglia e dalla società.Continuai a comperare pane ed un po' di companatico, accettando l'eredità del Dio morto, risorto, assente e muto. Andai a visitare le sue comparse e le loro sofferenze senza spiegazione. Per avere il diritto di cercare e chiedere il perché della violenza e dell'esistenza mia, dovevo interessarmi delle comparse della storia.