Le “PANCHINE” 2001-2002 - ConvenzionIstituzioni · 2020. 6. 1. · Enzo Bearzot. 5 SCUOLA...

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N° 5 - 2002 Settembre/Ottobre Spedizione in abb. post. art. 2 comma 20/C legge 665/96 - Filiale di Roma Le “PANCHINE” 2001-2002 EZIO ROSSI - Panchina d’Argento 2001-2002 LUIGI DEL NERI - Panchina d’Oro 2001-2002 EUGENIO FASCETTI - Premio Speciale del Settore Tecnico GIOVANNI DE BIASI - Panchina d’Argento 2000-2001

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N° 5 - 2002Settembre/Ottobre

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Le “PANCHINE” 2001-2002

➤ EZIO ROSSI - Panchina d’Argento 2001-2002

➤ LUIGI DEL NERI - Panchina d’Oro 2001-2002

➤ EUGENIO FASCETTI - Premio Speciale del Settore Tecnico

➤ GIOVANNI DE BIASI - Panchina d’Argento 2000-2001

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Il Direttore della Scuola Allenatori Azeglio Vicini introduce gli argomenti del seminario di aggiornamento

Il Vicepresidente della F.I.G.C. Giancarlo Abete premia Eugenio Facetti

Il Presidente del S.T. Enzo Bearzot premia Luigi Del Neri Il Vicepresidente della F.I.G.C. Innocenzo Mazzini premia Ezio Rossi

Il Vicepresidente del S.T. Gabriele Gravina premia Giovanni De Biasi

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SOMMARIO

3

4di Enzo Bearzot

25di Gianni LealiL’ALLENAMENTO DELLA CONDIZIONEFISICA CON IL PALLONE

SCUOLAALLENATORI

39di Mario MarellaSTATO DELL’ARTE NELL’ALLENAMENTOIN ETA’ PREPUBERE E PUBERE

SCUOLAALLENATORI

28di Roberto ClaglunaMENO PALESTRA E PIÙ TECNICASCUOLAALLENATORI

30di Vincenzo PellicaniDISIDRATAZIONE INDOTTADA ESERCIZIO FISICO NEL CALCIO

SCUOLAALLENATORI

23di Gabriella GreysonCALCIO E SCARAMANZIACENTRO STUDI E RICERCHE

5di Roberto Donadoni“IL DRIBBLING“SCUOLAALLENATORI

11di René CavilliL’ESAME E LA RIPROGRAMMAZIONEPOSTURALE NEL CALCIO

SCUOLAALLENATORI

EDITORIALE

Per richiedere copie arretrate del Notiziario inviare una richiesta scritta indirizzata a:F.I.G.C. Settore Tecnico Via G. D’Annunzio 138, 50135 Firenze. Non saranno accettate richieste effettuate per telefono.

Le opinioni espresse negli ar-ticoli firmati non riflettononecessariamente l’opinioneufficiale del Settore Tecnico.Tutto il materiale inviato nonsarà restituito. La riproduzio-ne di articoli o immagini èautorizzata a condizione chene venga citata la fonte.

DirettoreEnzo BearzotDirettore ResponsabileFino FiniComitato di RedazioneLuigi Natalini (coordinatore)Felice AccameAntonio AcconciaFabrizio CattaneoRoberto ClaglunaFranco FerrariLuca GatteschiGianni LealiMario Marella

Franco MorabitoPaolo PianiM. Grazia RubenniGennaro TestaGuido VantaggiatoLeonardo VecchietMarco VianiAzeglio Vicini

Fotocomposizioneimpaginazione edisegniA&S Grafica

FotografiaFoto SabeItalfoto GieffeArchivio Settore TecnicoFoto Guerin SportivoFoto Archivio Museo del Calcio

StampaSTILGRAFICA s.r.l.Via Ignazio Pettinengo, 31/3300159 ROMATel. 06/43588200Spedizione in abbonamento postalecomma 27 - art.2 - legge 28/12/1995 n.549 Roma

Autorizzazione del tribunale diFirenze, del 20 maggio 1968 n.1911

Finito di stampare nel settembre 2002

36di Luigi “Cina” BonizzoniANDREA RIZZOLI:UN PRESIDENTE DI GRANDE INGEGNO

FONDAZIONE«MUSEO DEL CALCIO»

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EDITORIALE

ED

ITO

RIA

LE

R itengo doveroso commentare brevemente la scarsa partecipazione degli

allenatori responsabili delle prime squadre delle Società di Serie A,B,C1 e

C2 alla riunione del 7 ottobre u.s. presso il Centro Tecnico di Coverciano e le no-

tizie, riferite dalla stampa, riguardanti l’indagine conoscitiva attivata dalla Fede-

razione sulla conduzione della Squadra Nazionale.

Ero convinto che alla riunione di Ottobre avrebbero partecipato la maggior par-

te degli allenatori invitati perché a tutti era stata sottolineata l’importanza del-

la stessa e la necessità di incontrarsi almeno una volta all’anno per dibattere su

problematiche tecniche e regolamentari. Al contrario, visto lo scarso numero di

allenatori presenti a Coverciano, con grande rammarico devo ammettere di aver

mal risposto la mia fiducia.

La Scuola Allenatori del Settore Tecnico programmerà altre riunioni di aggior-

namento per consentire agli allenatori di adempiere ad un obbligo regola-

mentare che è previsto dalla Convenzione UEFA ai fini del riconoscimento dei

Diplomi di abilitazione. Nello stesso tempo il Settore sarà costretto a valutare

quali provvedimenti dovranno essere presi nei confronti degli allenatori che

non rispetteranno le norme.

Per quanto riguarda l’indagine conoscitiva sulla conduzione della Squadra Na-

zionale, ritengo che la Federazione non possa stare a sentire il parere di un gran

numero di addetti ai lavori per verificare lo stato di salute della Squadra e la fi-

ducia riposta nell’allenatore.

I Dirigenti federali possono decidere, sulla base dei risultati sportivi e di loro per-

sonali convincimenti, di mantenere o meno la fiducia nell’operato del Commis-

sario Tecnico della Squadra Nazionale, ma in ogni caso, finché lo stesso è in ca-

rica, non possono destabilizzarlo con inopportune consultazioni.

Enzo Bearzot

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5

SCUOLAALLENATORITECNICA

INTRODUZIONE

a gara è caratterizzata da

un alternarsi continuo delle

due fasi di gioco: di NON

POSSESSO e di POSSESSO

della palla.

L’attacco e la difesa hanno

diversa struttura organizzati-

va e quindi differenti comportamenti.

La fase difensiva deve essere intesa come

un sistema matematico, nulla è lasciato

al caso ed ogni movimento ed atteggia-

mento del singolo ha una logica cono-

sciuta dai propri compagni; è esclusa

qualsiasi soluzione istintiva e non c’è

spazio per la fantasia, anzi essa è molto

pericolosa, perché rischia di risultare

inattesa e quindi imprevedibile per i

compagni, con la conseguenza eventuale

di creare deleteri squilibri.

La fase di possesso, pur essendo organiz-

zata come tempi di gioco e come occupa-

zione razionale di spazi, è meno matema-

tica; anche in una logica di movimento or-

ganizzato, lascia sempre spazio alla fan-

tasia individuale, intesa come scelta di ti-

po, luogo e modalità di movimento, in mo-

do da risultare imprevedibile per gli avver-

sari. Consente inoltre la possibilità di usa-

re un’arma micidiale: l’AZIONE INDIVI-

DUALE (DRIBBLING ).

1) DEFINIZIONE E OBIETTIVI

1.1 Finalità.

Il DRIBBLING è la capacità di supe-

rare con palla l’avversario e rappre-

senta una soluzione che, quando riesce, dà

un vantaggio immediato: la palla libera e

la superiorità numerica; perciò si tratta di

un’azione tecnico tattica individua-

le che ha grande effetto ed incisivi-

tà sulla tattica collettiva.

Schematicamente gli obiettivi si possono

individuare come segue:

Dribbling - gesto tecnico di guida della

palla finalizzato al superamento di uno o

piu’ avversari per:

- Conquistare spazio avanti

- Calciare (tiro)

- Trasmettere la palla (passaggio)

- Trasmettere la palla (cross)

- Contromisura alla pressione: l’azione in-

dividuale di pressione dell’avversario vie-

ne neutralizzata dal suo superamento,

ottenendo una situazione momentanea

di palla libera e superiorità numerica, che

impedisce ai difendenti, di conseguenza,

anche l’attuazione del pressing in senso

collettivo.

- Con difendente di fronte

- Con difendente di lato

- Con difendente da dietro

- Con difendente nello spazio

1.2 Finte.

Il dribbling non può prescindere dalla FIN-

TA, che è un’azione il cui obiettivo è

di trarre in inganno l’avversario, va-

riandone i riferimenti percettivi, di equili-

brio e allungandone quindi i tempi di rea-

zione.

La finta si compone essenzialmente

di due elementi basilari: quello di

inganno e quello intenzionale; l’av-

versario deve reagire al primo movimento

di inganno come se fosse quello intenzio-

nale, che avverrà invece non appena l’av-

versario stesso risulterà sbilanciato.

L

“IL DRIBBLING“di Roberto Donadoni*

*Tesi di fine studio del Corso Master 2001/2002per l’abilitazione ad allenatore professionista di1ª Categoria.

Movimento con palla

Movimento senza palla

Movimento di inganno (finta)

Passaggio - cross

Movimento palla

Difendente

Attaccante

Portiere

Palla

Conetto

Paletto

Istruttore - allenatore

Legenda

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Mentre il movimento di inganno non deve

avvenire né troppo lentamente né troppo

rapidamente, il movimento intenzionale

dovrà invece avvenire il più rapidamente

possibile.

Schematicamente i vari tipi di finta

si possono individuare come segue:

Finte - azioni composte da movimenti di

inganno e intenzionali al fine di sbilancia-

re uno o più avversari tramite:

Finte attive:

L’attaccante è attivo e induce l’avversario

ad anticipazioni errate di movimento,

quindi ad un’errata reazione (Fig.1).

Finte passive:

L’attaccante effettua delle pause intenzio-

nali e lascia al difensore il ruolo attivo ( in

pratica la prima mossa), per poi reagire

(Fig.2).

Finte in attacco:

Fanno credere che abbia inizio un’azione

pericolosa ben precisa (Fig.3).

Finte in difesa:

Fanno pensare ad errori potenzialmente

sfruttabili dall’avversario (Fig.4).

Finte che modificano il tempo e lo

spazio:

Cambi di direzione, di ritmo, di velocità.

2) PREREQUISITI

PREREQUISITI fondamentali per sviluppa-

re un’ottima capacità di dribbling sono:

2.1 L’abilità tecnica e cioè la padronan-

za della palla, quindi perfetta coordinazio-

ne: se, in generale, per l’apprendimento

dei gesti tecnici, il palleggio sta alla base

dell’incremento delle capacità coordinati-

ve, l’abilità tecnica specifica legata alla

finta e al dribbling è senza dubbio la gui-

da della palla, che permette al calciato-

re di spostarsi nello spazio con l’attrezzo

orientandosi nelle diverse direzioni.

2.2 Consapevolezza della scelta: è

importante conoscere quando poterlo ef-

fettuare, finalizzando il gesto tecnico in ri-

flesso alle proprie decisioni, e quindi ope-

rando delle scelte tattiche.

La libertà di poter eseguire un dribbling,

infatti, non è un valore assoluto: essa ha

dei limiti determinati dal fatto che, in caso

di insuccesso, non deve emergere una si-

tuazione immediatamente pericolosa per

la propria squadra; quindi in generale non

si deve cercare di effettuare un dribbling

quando ci troviamo senza copertura alle

spalle.

La consapevolezza della scelta è espres-

sione di capacità cognitive che permet-

tono la riuscita dell’azione motoria e che

determinano quel senso tattico neces-

sario per trovare la soluzione giusta, fina-

lizzando le proprie decisioni.

2.3 In questo senso risulta determinante

l’aspetto di carattere psicologico rappre-

sentato dalla PERSONALITA’ dell’indi-

viduo, che significa:

2.3.1 Controllo emotivo, l’individuo

pensa e agisce con lucida percezione del

giusto momento e dello spazio idoneo, ca-

nalizzando le proprie energie mentali uni-

camente all’obiettivo prefissato, cioè il su-

peramento dell’avversario.

2.3.2 Fiducia, l’individuo è consapevole

della propria scelta e dei propri mezzi ed

SCUOLAALLENATORI

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TECNICA

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effettua la propria azione con la convinzio-

ne di poter superare l’avversario. L’indivi-

duo inoltre non dubita del riconoscimento,

da parte degli altri (allenatore, compagni,

ecc.), delle proprie attitudini al dribbling.

Un eventuale errore non deve compromet-

terne il successivo comportamento.

2.3.3 Responsabilità, l’individuo non

sottovaluta le capacità e le caratteristiche

dell’avversario, non abusa della fiducia ac-

cordatagli, evita di compiere scelte tecni-

camente improbabili e, soprattutto, tatti-

camente troppo rischiose per la propria

squadra, dimostrando di saper interpreta-

re, in varie occasioni, i momenti di gara.

Un dribbling utile rappresenta, quindi,

un’espressione notevole di intelli-

genza calcistica, frutto dell’estro, della

fantasia e dell’inventiva personale.

Operando scelte di tipo cognitivo, tramite

l’abilità tecnica specifica di guida della

palla, affinata per mezzo di specifici eser-

cizi di coordinazione, il calciatore attua la

miglior soluzione possibile nello spazio e

nel tempo più idonei.

3) CAPACITÀ COORDINATIVE SPECIFICHEE TAPPE DI APPRENDIMENTO

Finta e dribbling, dunque, si apprendono o

sono capacità innate?

Penso che, se è vero che alcuni talenti

esprimono notevole qualità esecutiva sen-

za particolari apprendimenti, è altrettanto

vero che molti, attraverso una progressio-

ne di lavoro adeguata, possono sviluppare

e mantenere nel tempo un notevole livello

di abilità.

Le capacità coordinative permettono

al calciatore di organizzare e controllare il

quello muscolare e scheletrico (incremen-

to delle capacità condizionali).

E’ ovvio che carenze di tipo coordinativo

sono difficilmente recuperabili dall’atleta

adulto, per quanto evoluto dal punto di vi-

sta tattico e fisico. Testimonianza ne sono

le lacune che possiamo osservare anche da

parte di giocatori di alto livello o, comun-

que, professionisti. Da ciò potremmo trarre

innumerevoli spunti di riflessione per un’a-

deguata pianificazione dei sistemi di alle-

namento, soprattutto in ambito giovanile.

Come per tutti i gesti tecnici e di tattica

individuale, finta e dribbling necessita-

no dunque, per un’adeguata esecuzione,

di un buon livello coordinativo, espres-

sione di specifiche capacità:

3.1 Differenziazione: permette di gra-

dualizzare l’entità degli stimoli motori,

controllando il movimento in maniera fine.

Le esercitazioni con palla mirano al mi-

glioramento della sensibilità tramite l’al-

ternanza dei processi di contrazione e de-

contrazione muscolare.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: dalla fascia laterale guida della pal-

la libera, poi 1:1 in spazio limitato, poi gui-

da della palla sul fondo e infine cross pre-

ciso per un compagno (Fig.5).

movimento è rappresentano la qualità più

raffinata del movimento stesso. Sono ca-

pacità strettamente connesse alla matura-

zione del sistema nervoso che regola l’a-

zione motoria. L’azione motoria si articola

schematicamente su tre livelli:

a) movimento volontario;

b) movimento automatizzato;

c) movimento riflesso.

L’incremento di queste capacità, tra-

mite un’adeguata progressione di adde-

stramento e consolidamento del gesto tec-

nico, ci consente, nel tempo, di passare

dalla semplice espressione di un gesto vo-

lontario (coordinazione generale o grezza)

all’automatizzazione del gesto stesso (co-

ordinazione speciale o fine), con il risulta-

to fondamentale di eseguire azioni moto-

rie anche complesse, come appunto finta e

dribbling, con minore impegno del Siste-

ma Nervoso Centrale e, quindi, con note-

vole economia di carico psicofisico.

Si giunge in questo modo alla destrezza

nell’esecuzione del gesto calcistico.

Le capacità coordinative s’incremen-

tano soprattutto nella fascia di età tra i 6

e i 12 anni, la cosiddetta “età d’oro” della

motricità , in quanto a questa età il bam-

bino si esprime attraverso il movimento

spontaneo e, quindi, una corretta attività

stimola sensibilmente tutti i sistemi e gli

apparati.

Inoltre questa è un’età in cui esiste parti-

colare motivazione e disponibilità ad ap-

prendere.

Un’ulteriore rielaborazione e automatizza-

zione di quanto appreso avviene durante

l’età dell’adolescenza, fino al completa-

mento del processo di maturazione del si-

stema nervoso che avviene di pari passo a

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3.2 Equilibrio: permette di mantenere la

posizione ideale dei segmenti corporei ed

il giusto contatto con il terreno, sia in fase

statica che dinamica, recuperando conti-

nuamente una situazione di stabilità pre-

caria. Questa capacità è abbinata e spesso

interagisce con:

3.3 Combinazione o accoppiamento:

permette di collegare diversi movimenti o

gesti isolati utilizzandoli in una successio-

ne adeguata.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: in uno spazio delimitato ( es. un

quadrato ), 2 giocatori partono da 2 verti-

ci, arrivano a contatto, al centro, spalla

contro spalla staccando di testa, alla rica-

duta effettuano una capovolta e corrono

per impossessarsi di un pallone andando,

infine, al tiro in porta (Fig.6).

3.4 Orientamento: permette di percepi-

re i giusti riferimenti per determinare la

posizione del proprio corpo nello spazio, in

riferimento alla palla, agli avversari, ai

compagni, alla porta ed altro.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: un giocatore, di spalle alla porta,

scambia il pallone con un secondo gioca-

tore di fronte : ad un segnale prestabilito il

giocatore di spalle si gira a destra oppure

tiro

Contatto ecapovolta

a sinistra e deve affrontare il portiere ve-

locemente, prima di essere raggiunto dal

secondo giocatore (Fig.7).

3.5 Reazione motoria: consente di rea-

gire il più adeguatamente e rapidamente

possibile a stimoli di varia natura, che pos-

sono essere previsti o imprevisti, in rela-

zione al compito richiesto.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: in uno spazio delimitato

( es. un quadrato ), 2 giocatori si trovano

al centro di due lati uno di fronte all’altro.

In ogni vertice c’e un conetto.

Al comando “destra” oppure “sinistra”

oppure di numeri precedentemente stabi-

liti, i giocatori aggirano di scatto il relativo

conetto e si contendono un pallone al cen-

tro del quadrato cercando di portarlo sul

lato opposto (Fig.8).

“Destra!”

Al segnale

3.6 Ritmo: permette di effettuare un’a-

zione motoria con un tempo di esecuzione

adeguato, con la giusta successione e

sincronizzazione dei movimenti.

Questa capacità è abbinata e spesso inte-

ragisce con:

3.7 Adattamento e trasformazione:

permette di adattarsi ad una nuova

situazione modificando, rapidamente, un

piano d’azione previsto con uno più effi-

cace.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: 2 giocatori, uno davanti all’altro.

Il primo giocatore esegue un percorso di

guida della palla, mentre il secondo deve

imitarlo nel tempo, nel ritmo di esecuzione,

nella direzione ecc. Ad un segnale presta-

bilito il secondo giocatore ferma la palla e

cerca di rubarla al primo giocatore, che

eseguirà un 1:1 per andare al tiro (Fig.9).

3.8 Valutazione spazio-temporale:

permette l’esatta percezione delle traiet-

torie e della velocità della palla.

3.9 Anticipazione: consente di intuire lo

sviluppo dei movimenti dei giocatori e del-

la palla.

“via!”

guidapalla

SCUOLAALLENATORI

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TECNICA

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Parlando di abilità di finta e dribbling po-

tremmo condensare queste capacità defi-

nendo il risultato finale come fantasia

motoria, che permette di utilizzare effi-

cacemente tutti i movimenti presenti nel-

la propria “memoria”, esprimendo un

proprio stile personale e la necessaria im-

prevedibilità.

4) FASI OPERATIVE (METODOLOGIA)

E’ forse utile ricordare e sottolineare che le

capacità coordinative utili per fintare e

crossare, ma anche in generale, non sono

indipendenti l’una dall’altra, e quindi ogni

proposta, quale ne sia la forma, va ad in-

crementare più capacità e a stimolare vari

processi sia nervosi che muscolari.

4.1 Fondamentale è, però, la pro-

gressività del carico proposto, che

dipende essenzialmente da:

1) età del soggetto

2) velocità di esecuzione, che va sem-

pre rapportata al livello di padronanza

del gesto tecnico dell’individuo.

3) numero e variazione degli stimo-

li necessari per poter organizzare e ri-

organizzare il movimento di finta e

dribbling: spazio utilizzato, numero

dei giocatori presenti, distanze tra i

giocatori, tempo di esecuzione richie-

sto ecc.

Un corretto apprendimento dovrà, quindi,

rispettare il criterio della progressività

osservando determinate fasi operative:

4.2 Ricerca dei requisiti di sensibilità,

tramite esercizi che vanno a stimolare le

strutture percettive.

natura tattica. Le caratteristiche del singo-

lo mostrano una precisa fisionomia.

Esempio di allenamento in situazione di

gioco: 2:2 in fascia laterale.

Il giocatore B esegue uno marcamento

lungo per poi venire incontro sulla fascia

laterale; in quel momento il giocatore gli

trasmette la palla ed effettua un’azione di

sovrapposizione (Fig. 11).

Ricevuta palla, B guida la palla puntando

al centro per dribblare uno dei difendenti

e cercare la conclusione. Egli dovrà valuta-

re il comportamento dei difendenti, deci-

dendo se insistere nel dribbling o servire, a

sua volta, il compagno (Fig.12).

4.5 Perfezionamento in funzione del

gioco collettivo, tramite proposte in

B A

A

B

Esempi:

- palleggi di vario tipo, con palla piccola

(tipo ritmica);

- palla bloccata tra il polpaccio e la coscia,

in equilibrio monopodalico, mantenere

l’equilibrio senza far cadere la palla. Si ri-

pete con cambio dell’arto di appoggio,

bloccando la palla tra la coscia e l’addo-

me o la coscia e la fronte;

- in equilibrio monopodalico su un arto,

pianta del piede della gamba sollevata

sopra un pallone, si eseguono movimen-

ti di avvicinamento e allontanamento

della palla, di spostamento in ogni dire-

zione, di circonduzione in senso orario e

antiorario. Si ripete con cambio dell’arto

di appoggio.

4.3 Acquisizione del gesto tecnico specifi-

co di guida della palla, tramite esercizi

preparatori e di addestramento specifi-

co.(es.Fig.10)

4.4 Valutazione dell’abilità indivi-

duale specifica di finta e dribbling,

tramite proposte in situazione, in cui

la guida della palla non sarà più fine a se

stessa, ma finalizzata ad ottenere uno sco-

po ben preciso, e quindi con obiettivi di

al“via” 1:1con portiere

solo esterno

solo interno

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forma di gara e con difficoltà superiori a

quelle della gara.

4.6 Padronanza del gesto in gara, con

tutte le possibili variabili di natura tattica.

E’ fondamentale che le fasi 4.1 - 4.2 - 4.3

vengano sviluppate, ovviamente, già nei

primi anni di addestramento giovanile e,

perciò, vanno incentivate fin dalle prime fa-

sce di età, tramite esercitazioni e proposte

in situazione mirate, con difficoltà progres-

sivamente crescenti. Si tratta di tutte le

esercitazioni e le proposte in situazione che

permettono di acquisire i necessari i prere-

quisiti tecnici. Tra queste esercitazioni, in

ordine crescente di difficoltà, possiamo ri-

cordare l’esecuzione dei movimenti di:

- Taglio di interno ed esterno

- Forbice semplice di interno e di esterno

- Richiamo della palla a 180° e richiamo a V

- Affondo e doppio affondo

- Sospensione e ripartenza

- Giravolta

- Forbice a rientrare di 180° e forbice com-

posta

- Doppia forbice e suola con forbice

- Cambi di direzione con palla dietro la

gamba di appoggio.

Le fasi 4.5 – 4.6 di perfezionamento e pa-

dronanza del gesto in gara, di conseguen-

za, sono da sviluppare solo dopo avere ac-

quisito una certa base di abilità, in riferi-

mento, soprattutto, ai suddetti aspetti co-

ordinativi. L’atleta di buon livello, in pos-

sesso cioè dei necessari prerequisiti, deve

essere messo in condizione di poter appli-

care adeguatamente l’abilità acquisita in

chiave tattica.

L’allenamento al dribbling persegue,

quindi, l’obiettivo fondamentale di pas-

saggio dal gesto tattico in senso indivi-

duale a quello collettivo, cioè ottenere su-

periorità numerica con palla libera.

5) PROPOSTE PER IL PERFEZIONAMENTOE LA PADRONANZA DEL DRIBBLING

Le proposte devono ricalcare sempre situa-

zioni di gioco reali, che sono varie e molte-

plici. Se il giocatore dotato di una buona ca-

pacità di dribbling esprime, dal punto di vi-

sta della tattica individuale, delle scelte ap-

propriate, queste potranno essere applicate

a prescindere dal modulo di gioco adottato.

E’ naturale che, come criterio di scelta per

l’allenamento, l’allenatore privilegi le si-

tuazioni relative al proprio modulo, ma

non sono gli schemi collettivi ad esaltare

le doti individuali. Si tratta, tramite i giusti

movimenti di reparto e di squadra, di met-

tere a disposizione del collettivo l’abilità

del singolo nel dribbling, creando i pre-

supposti tattici per valorizzarne le partico-

lari caratteristiche.

Prescindendo, quindi, dalle caratteristiche

strettamente personali, è necessario per il

giocatore conoscere alcune regole:

- Conoscenza del lato debole dell’avversario;

- attacco dalla parte del piede più avanza-

to dell’avversario, che si trova in posizio-

ne di divaricata antero-posteriore;

- se l’avversario è in divaricata laterale, oc-

corre costringerlo, con adeguate finte, ad

un equilibrio precario e saltarlo dalla

parte dove risulta sbilanciato;

- nel puntare l’avversario, occorre acquistare

velocità pur controllando la palla e cercare,

nei limiti del possibile, di coprire la palla per

non favorire il contrasto del difendente.

BIBLIOGRAFIA

Appunti tratti dalle lezioni dei Dott. R. Cla-

gluna e F. Ferrari.

Articoli tratti dal Notiziario del Settore

Tecnico.

C. Ferrante – A. Cristi : articolo tratto da “Il

Nuovo Calcio” Ottobre 2000.

G. Di Guida – F. Casella : “Addestramento

dei giovani calciatori”

Edizioni Nuova Prhomos, 2000.

SCUOLAALLENATORI

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TECNICA

Page 11: Le “PANCHINE” 2001-2002 - ConvenzionIstituzioni · 2020. 6. 1. · Enzo Bearzot. 5 SCUOLA ALLENATORI TECNICA INTRODUZIONE a gara è caratterizzata da un alternarsi continuo delle

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

INTRODUZIONE

no dei dubbi principali che mi perseguita a livello

professionale è capire quali siano le cause scatenan-

ti i molteplici infortuni che si verificano negli atleti, e

soprattutto negli atleti di massimo livello. Nel calcio

specialmente, numerosi sono gli infortuni miotendi-

nei che caratterizzano le stagioni agonistiche, obbli-

gando così moltissimi atleti a numerosi stop presta-

tivi. Eppure, a quei livelli i giocatori sono professionisti, l’alimen-

tazione dovrebbe essere controllata dai migliori dietologi, la pre-

parazione atletica è programmata dai migliori preparatori atletici

coadiuvati dai migliori medici. E allora, come mai tutti questi in-

fortuni?

In letteratura troviamo alcune risposte ai nostri quesiti che andre-

mo a trattare nei capitoli seguenti, però nonostante le numerose

precauzioni attuate dai diversi preparatori atletici, gli infortuni

continuano a persistere. Quindi qualcosa sta sfuggendo.

Un’altra risposta, non meno affascinante di quelle classiche, ci vie-

ne data dalla Posturologia, “scienza” nata in Francia e arrivata in

Italia solo nell’ultimo decennio.

Proprio alla luce di queste teorie, mi accingo ad esporre le moti-

vazioni che mi portano a credere alla validità ed all’utilità della

posturologia sia in campo preventivo che prestativo.

GLI INFORTUNI NEL GIOCO DEL CALCIO

Nella vita di ogni atleta professionista, la parola infortunio crea

sempre una sorta di disagio e di angoscia. Un infortunio significa

non poter gareggiare, dover ripristinare le funzionalità perdute,

dover riconquistare una condizione organica e muscolare tanto fa-

ticosa da raggiungere. Dover inoltre combattere contro dei “bloc-

chi” mentali che contraddistinguono un atleta “clinicamente e fun-

zionalmente guarito” da un atleta guarito e pronto alla prestazio-

ne. Senza parlare poi delle famose “ricadute” che si hanno a cari-

co del medesimo distretto muscolare. Oppure delle continue mu-

scolopatie che assalgono atleti che sono stati sottoposti ad un im-

portante intervento chirurgico, come nel caso di Ronaldo.

Durante la mia breve attività di preparatore atletico presso socie-

tà dilettantistiche, più di una volta mi sono trovato di fronte ad at-

leti infortunatisi in allenamento o in gara e più di una volta mi so-

no posto quindi l’obbligo di capire quale fosse la vera causa sca-

tenante. Sì, perché una causa esiste sempre! E’ troppo riduttivo, a

parere mio appellarsi al caso, alla classica malasorte ogni qual-

volta si è di fronte ad un infortunio miotendineo.

Spesso e volentieri, quando una formazione va incontro a nume-

rosi infortuni, viene additata come causa principale una prepara-

zione fisica non adeguata, che ha portato i calciatori di quella

compagine ad una condizione organico-muscolare insufficiente

per sostenere le sollecitazioni richieste dalle partite. Viceversa, se

la medesima compagine avesse avuto un numero minimo di in-

fortuni, si sarebbe decantata l’abilità e la bravura del preparatore

fisico, che però ha avuto la sfortuna di avere degli infortuni sta-

gionali (pochi!). Non c’è nulla di più falso. L’unica differenza sta

nel numero degli errori fatti dal preparatore! Ogni infortunio mio-

tendineo nasconde sempre una causa e, probabilmente, ha avuto

anche dei campanelli di allarme non sentiti, quindi:

Infortunio = errore del preparatore fisico e dello staff medico

Dopo questa considerazione si può comprendere quindi che la ri-

abilitazione prima e la rieducazione poi non sono niente altro che

una correzione degli errori precedentemente fatti.

U

L’ESAME E LA RIPROGRAMMAZIONEPOSTURALE NEL CALCIOdi René Cavilli*

*Preparatore Atletico Professionista di Calcio - Posturologo - Estratto dallaTesi di fine Corso per Preparatore Atletico 2001/2002

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Se la guarigione del giocatore segue i protocolli standard senza

aver potuto inquadrare la causa scatenante l’infortunio, per po-

terla così eliminare o correggere, l’atleta correrà nuovamente il ri-

schio di avere un nuovo stop, magari anche a distanza di mesi,

con una conseguenza però maggiore, visto che si tratterebbe in

questo caso di una recidiva.

Le cause delle problematiche miotendinee, possono poi anche

essere diverse. Anzi, nella stragrande maggioranza dei casi esse

sono molteplici e concatenate tra loro. La vera risposta dell’e-

satta eziologia la avremo solo ed esclusivamente nel momento

in cui il nostro giocatore non incorrerà mai in un infortunio mu-

scolo-tendineo.

Diventa quindi di fondamentale importanza non avere la presun-

zione che un “mezzo” a nostra disposizione possa essere la solu-

zione di ogni quesito, ma dobbiamo avere l’obbligo, in quanto

preparatori atletici professionisti, di sapere e di considerare tutto

ciò che la scienza attuale ci mette a disposizione per poter preve-

nire e curare gli infortuni dei nostri giocatori.

Proprio in virtù di quest’ultima affermazione presenterò in que-

sto mio lavoro un nuovo “mezzo” chiamato posturologia, che si

incastra in maniera perfetta con tutte le altre metodologie utiliz-

zate fino al giorno d’oggi e che, sicuramente, porterà ad una nuo-

va diminuzione dei casi di infortunio muscolo-tendineo nel gio-

catore di calcio.

CAUSE PRINCIPALI DI INFORTUNIO MUSCOLO-TENDINEOTROVATE IN LETTERATURA

Il gioco del calcio è uno sport collettivo di situazione e, come tut-

ti i giochi sportivi, il primo rischio di infortuni è dato dal contatto

diretto con l’avversario, quindi dal trauma. Il secondo rischio è da-

to invece da numerosi microtraumi a carico del sistema locomo-

tore che portano ad un punto di rottura.

Secondo Gerisch (1986) e Bonisch/Steinbach (1990) le sollecita-

zioni calcistiche consistono per la maggior parte in scatti brevi, in

cambi di direzione improvvisi, in stop, in salti, tiri, colpi di testa.

Questi movimenti richiedono una muscolatura con una grande

elasticità e delle capacità di allungamento e di rilassamento mol-

to sviluppate dei muscoli sollecitati.

Secondo Shober et al. (1990), l’assimilazione dello sforzo è limita-

ta dalla capacità individuale di rilassamento muscolare che si può

però influenzare con lo stretching.

Secondo Roi e coll. (2000) i fattori eziopatogenetici delle lesioni

muscolari possono essere suddivisi:

- Condizioni predisponenti generali: difetti di allenamento e di

flessibilità, fatica, condizioni atmosferiche, fattore tattico, veloci-

tà di movimento;

- Condizioni predisponenti individuali: fattori psicologici, condi-

zioni patologiche di natura post-infettiva, fattori articolari, squi-

libri muscolari, età;

- Condizioni determinanti: trauma contusivo, azione dinamica

attiva, azione dinamica passiva.

CASISTICA DI INFORTUNI NEI GIOCATORI DI SERIE A

La ricerca nasce da una raccolta dati eseguita dall’agenzia Digital

Soccer attraverso lo screening delle maggiori testate giornalisti-

che italiane delle stagioni sportive 1997/98, 1998/99, 1999/00. I

dati relativi alla durata dell’infortunio sono legati all’assenza del

giocatore in campo (sia in partita che in allenamento) fino al ri-

torno in campo con la squadra.

Le definizioni degli infortuni sono legate alle dichiarazioni rila-

sciate dalle Società ai giornalisti.

Le tre stagioni calcistiche presentano i seguenti casi di infortunio:

E’ possibile evidenziare una differenza positiva fra le tre stagioni

infatti il numero degli infortuni diminuisce.

Questo dato è ancora più positivo se lo affianchiamo all’anda-

mento statistico del numero degli impegni prestativi che è au-

mentato.

Analizzando il numero totale degli infortuni delle tre stagioni

sportive in oggetto possiamo rilevare una diminuzione percen-

tuale che tra la stagione 1997/98 e la successiva è pari al 9%,

tra la stagione 1997/1998 e 1999/00 è pari al 32%, invece tra la

stagione 1998/99 e la successiva è pari al 22%.

Stagione sportiva N° infortuni

1997/98 752

1998/99 692

1999/00 568

Tab.n°1

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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Nella classificazione generale si distribuiscono con i seguenti va-

lori e percentuali:

CONSIDERAZIONI:

le lesioni muscolari considerate come casi totali nelle stagioni

sportive hanno in generale una tendenza decrementale. Analiz-

zando i dati all’interno delle classi separate, la tendenza generale

è la stessa di quella generale fatta eccezione per le lesioni di 2°

grado che sono aumentate. E’ evidente che le lesioni muscolari di

1° grado sono le più numerose tendenzialmente in tutte e tre le

stagioni sportive e le meno frequenti quelle di 3° grado.

METODOLOGIE DI PREVENZIONE CLASSICHE

Secondo l’opinione comune, la prevenzione deve considerare le

seguenti metodologie:

Preparazione fisica adeguata

Riscaldamento, allenamento personalizzato, defaticamento

Allungamento muscolare

Lo stretching è una metodica di allenamento che viene comune-

mente utilizzata per allungare i gruppi muscolari maggiormente

utilizzati con un duplice scopo. Prima della prestazione per prepa-

rare tali distretti muscolari ad un lavoro stressante ed impegnati-

vo; dopo la prestazione per riportare i medesimo ad uno stato di

normalità. Con questa accortezza si dovrebbe diminuire sensibil-

mente la possibilità di un eventuale infortunio muscolo-tendineo

del nostro calciatore. Lo stretching si suddivide in stretching stati-

co, balistico e P.N.F..

Lo stretching statico è una metodologia di allenamento molto va-

lida per intervenire sugli aggiustamenti neuromuscolari che sono

comparsi al termine di una prestazione più o meno impegnativa.

Tale metodica, infatti, presuppone la diminuzione delle ipereccita-

zioni neuromuscolari che si hanno nei distretti muscolari mag-

giormente attivati in quella specifica prestazione.

Dal punto di vista vascolare, lo stretching crea una forte compres-

sione dei piccoli vasi e dei capillari presenti all’interno del muscolo.

Tale compressione crea un blocco della microcircolazione e, grazie

al cosiddetto “effetto spugna”, appena allentata la tensione la cir-

colazione riprende più vigorosa di prima. Tale effetto, secondo alcu-

ni autori, riveste una importanza fondamentale nello smaltimento

delle tossine prodotte durante il lavoro muscolare, con un conse-

guente netto aumento della disponibilità di ossigeno muscolare.

Posture secondo Mézière

La lordosi è la deformazione primaria per il fatto che il piede si svi-

luppa in avanti e non indietro. L’uomo si vede obbligato pertanto

a spostare il suo centro di gravità in avanti per trovare una posi-

zione più comoda, a partire da una base di sostegno più larga,

formata dai piedi.

Il corpo, spostato in avanti, necessita del lavoro delle forze poste-

riori per mantenersi in equilibrio.

Accorciandosi, i muscoli posteriori tendono a dare al corpo una

forma curva all’indietro, cioè ad instaurare una lordosi.

A seconda degli individui, esistono poi vari compromessi compen-

sativi che forniscono risultati diversi.

Secondo Mézière, quando il corpo si sforza di economizzare il la-

voro muscolare, deve trovare una risposta, una reazione per avan-

zare il centro di gravità verso una zona stabile, entro la base di so-

stegno, senza sollecitare la tensione dei muscoli posteriori. La so-

luzione consiste nell’aumentare le curve.

DISTRIBUZIONE PERCENTUALE INFORTUNI

TIPOLOGIA LESIONE 1997/98 1998/99 1999/00

Lesioni muscolari 36% 36% 46%

Lesioni traumatiche 24% 25% 21%

Lesioni articolari 24% 24% 23%

Mal di schiena 5% 4% 3%

Pubalgia 1% 1% 1%

Altre non specificate 10% 10% 6%

Tab. n°2

CLASSIFICAZIONE S.SPORTIVA S.SPORTIVA S.SPORTIVALESIONI 1997/98 1998/99 1999/00

1° grado 179 (66%) 168 (67%) 162 (64%)

2° grado 52 (19%) 45 (18%) 62 (24%)

3° grado 10 ( 4%) 10 ( 4%) 6 ( 2%)

TENDINITI 29 (11%) 28 (11%) 25 (10%)

TOTALI 270 251 255

Tab. n°3

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Le basi del metodo sono le seguenti:

- la tensione dei muscoli posteriori determina, al livello della co-

lonna vertebrale, l’esagerazione delle curve sagittali e delle sco-

liosi

- la lordosi è sempre primaria, la cifosi e la scoliosi sono deforma-

zioni secondarie

- le lordosi, le rotazioni interne e il blocco diaframmatico in inspi-

razione.

Occorre quindi combattere le lordosi, le rotazioni interne e i bloc-

chi diaframmatici.

Prima discussione

Da un’analisi di questi primi parametri si può sicuramente confer-

mare la validità delle metodiche classiche di prevenzione di dan-

ni muscolotendinei. Il numero degli infortuni ha infatti un anda-

mento discendente anche se l’applicazione delle metodiche non

appare comunque sufficiente. Il numero delle lesioni muscolari di

2° grado è infatti aumentato ed il numero degli infortuni in gene-

rale è ancora piuttosto alto per poter parlare di eventi casuali.

Per questi motivi, bisogna ricercare quali possano essere le cause

di tali infortuni ed una nuova soluzione potrebbe venir offerta dal-

la posturologia.

POSTUROLOGIA CLINICA

Definizione di postura

“La postura umana non è niente altro che l’insieme delle strate-

gie adottate da un essere umano per relazionarsi con se stesso e

con il proprio ecosistema (Cavilli, 2001)”.

I differenti lavori effettuati da più di un centinaio di anni conducono

a considerare il sistema tonico posturale come un “insieme struttu-

rato” a entrate multiple, e con numerose funzioni complementari:

- lottare contro la gravità e mantenere la posizione eretta;

- opporsi alle forza esterne;

- situarci nello spazio-tempo strutturato che ci circonda;

- permetterci l’equilibrio nel movimento, guidarlo e rinforzarlo.

Per realizzare questo exploit neuro-fisiologico l’organismo utilizza

diverse risorse:

- gli esterocettori: ci posizionano in rapporto al nostro ambiente

(tatto, visione, udito);

- i propriocettori: posizionano le differenti parti del nostro corpo

in rapporto all’insieme, in una posizione prestabilita;

- i centri superiori: integrano i selettori di strategia, i processi co-

gnitivi (Paillard) e rielaborano i dati ricevuti dalle due fonti pre-

cedenti.

Il sistema tonico-posturale

Ogni essere umano deve essere in grado di adattarsi alle caratte-

ristiche dell’ambiente in cui si trova per poter sopravvivere e per

svolgere le proprie attività. Tale adattamento richiede la possibili-

tà di cogliere ciò che succede nell’ambiente stesso e, conseguen-

temente, di assumere le posizioni più consone alla situazione ed

alle proprie esigenze di comportamento. Guidetti (1997) definisce

quindi “postura” ciascuna delle posizioni assunte dal corpo, con-

traddistinta da particolari rapporti tra i diversi segmenti corporei.

Si tratta dunque di un atteggiamento statico in cui il corpo non è

comunque immobile ma può essere considerato come una massa

su cui agiscono continuamente delle forze e che subisce quindi

continue lievi oscillazioni. In condizione di stazione eretta si è so-

liti paragonare il corpo ad un pendolo invertito con oscillazioni,

soprattutto sagittali (da questo concetto prende spunto la meto-

dica di Mézière precedentemente illustrata), di circa 4° attorno al

fulcro rappresentato dalla caviglia.

Le recenti esperienze dei cosmonauti nei voli spaziali ci hanno

permesso di evidenziare come la gravità sia la forza esterna fon-

damentale per la regolazione del controllo posturale. Gli altri fat-

tori che interagiscono col controllo posturale sono i continui mes-

saggi proprio ed esterocettivi.

La postura umana non è comunque frutto delle sole leggi fisiche

che regolano i rapporti tra la massa corporea e le forze intera-

genti. Essa rappresenta infatti un compromesso tra le esigenze

ambientali, la forza di gravità, la situazione osteo-muscolare e lo

stato psicologico.

Una funzione così importante non può essere affidata ad un solo

organo od apparato, ma richiede un intero sistema, cioè un insie-

me di strutture comunicanti e di processi che concorrano in modo

definito alla funzione stessa.

All’interno del sistema tonico-posturale possiamo riconoscere i

seguenti componenti:

1. recettori periferici sensibili agli input ambientali e somatici;

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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2. nervi deputati al trasporto di queste afferente;

3. complessi neuronali centrali in grado di trattare gli input peri-

ferici e di programmare gli output motori adeguati;

4. nervi deputati al trasporto degli ordini speciali;

5. muscoli, tendini ed articolazioni deputati agli adattamenti mo-

tori programmati.

Il ruolo del S.N.C. può schematicamente riassumersi in alcune at-

tività principali:

- riconoscimento delle singole afferente;

- memorizzazione delle esperienze;

- confronto ed integrazione delle afferente;

- modulazione delle afferente al fine di regolarne l’influenza sul si-

stema;

- programmazione delle risposte automatiche e volontarie;

- modulazione delle risposte.

Il sistema deputato al controllo della postura necessita dunque che:

- il S.N.C. sia debitamente informato sui rapporti esistenti tra i di-

versi segmenti della struttura corporea, della situazione ambien-

tale e sulla posizione statica o dinamica del corpo stesso nel-

l’ambiente;

- le componenti cinematiche siano in buona salute e consentano

dunque di assumere gli atteggiamenti posturali ideali.

Le metodiche classiche di prevenzione degli infortuni muscoloten-

dinei basati sull’allungamento muscolare si occupano solo ed

esclusivamente di mantenere le componenti cinematiche in buo-

no stato di salute.

Le metodiche introdotte dalla posturologia si preoccupano, invece,

che il S.N.C. sia debitamente informato sui rapporti esistenti tra i di-

versi segmenti della struttura corporea, della situazione ambientale

e sulla posizione statica o dinamica del corpo stesso nell’ambiente.

In virtù delle considerazioni sopraccitate, ritengo che per poter

programmare un valido protocollo di prevenzione degli infortuni

muscolotendinei, sia necessario considera entrambi gli elementi

necessari al sistema di controllo posturale, integrando quindi le

metodiche classiche con le metodiche posturologiche.

Recettori principali

L’uomo frazionato può essere rappresentato da un insieme di dif-

ferenti pendoli. Questi pendoli sono raffigurati da triangoli rove-

sciati. Uno dei due bracci di sostegno è rappresentato dall’insieme

occipite/atlante/epistrofeo. L’altro è rappresentato dai suoi piedi.

Questa oscillazione vicendevole dei due triangoli inversi, l’uno in

rapporto all’altro, ci permette di comprendere che l’uomo è capa-

ce di equilibrarsi nel suo stesso squilibrio. In caso di squilibrio

tonico due parti sono sempre coinvolte: la zona occipi-

tale/atlante/epistrofeo e i piedi, poiché essi sono i pun-

ti di sospensione dei due pendoli rovesciati.

Orecchio interno

L’orecchio interno può essere suddiviso in tre parti: la coclea, il ve-

stibolo ed i canali semicircolari. Il vestibolo ed i canali semicirco-

lari sono implicati nella funzione dell’equilibrio, mentre la coclea

nella funzione uditiva.

Secondo Bricot, l’orecchio interno, che per molto tempo è stato con-

siderato come elemento primordiale della regolazione, è solamente

un accelerometro destinato a coordinare la posizione della testa e

degli occhi durante il movimento. Affinché, infatti, l’orecchio inter-

no possa dare delle informazioni, occorre il movimento a condizio-

ne che non sia né lineare né costante: ancora una volta occorre che

ci sia una certa instabilità. In statica pura non possiamo conside-

rarlo come un elemento regolatore, è al massimo un referente.

Sempre secondo Bricot i recettori che intervengono principalmen-

te nell’aggiustamento posturale statico e dinamico sono il piede e

l’occhio, assistiti dai loro elementi fondamentali quali la pelle, i

muscoli e le articolazioni ed aiutati dall’apparato stomatognatico

e dai centri superiori.

La scuola osteopatica attribuisce invece al labirinto statico un ruo-

lo di fondamentale importanza grazie alla intima relazione esi-

stente tra gli otoliti e il tono muscolare estensorio. La cosa più im-

portante è la ricerca di eventuale nistagmo (spasmo dei muscoli

estrinseci dell’occhio che provoca una continua oscillazione so-

prattutto in senso laterale del bulbo oculare), che è sempre pato-

logico e che ci riferisce una disfunzione del sistema vestibolare.

Il piede

A livello del piede possono intervenire differenti informazioni: la

propriocezione muscolare e articolare del piede e della caviglia,

ma soprattutto l’esterocezione cutanea della pianta del piede,

estremamente ricca di esterocettori. Delle 208 ossa che compon-

gono lo scheletro umano, ben 56 sono localizzate nei piedi.

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Il piede è suddiviso in tre comparti scheletrici:

1. tarso: composto dall’astragalo e dal calcagno;

2. metatarso: composto dalle ossa lunghe che connettono il tarso

alle falangi;

3. dita.

I muscoli del piede sono numerosi e possono essere suddivisi in

due gruppi:

1. muscoli estrinseci: muscoli della gamba che si inseriscono sul

piede;

2. muscoli intrinseci: muscoli che interessano soprattutto le dita.

Se lo studio di ogni muscolo riveste solo un interesse parziale, la

conoscenza dell’insieme della loro azione e della relativa posizio-

ne è indispensabile per una corretta comprensione della meccani-

ca podalica.

In ortostatismo il piede presenta tre punti di appoggio ossei e

plantari. Questi tre pilastri determinano tre archi plantari:

- un arco anteriore: formato dalla cinque teste metatarsali;

- un arco longitudinale laterale: fra il calcagno e la testa del quin-

to osso metatarsale;

- un arco longitudinale mediale: formato dal calcagno, astragalo,

scafoide, primo cuneiforme e primo osso metatarsale.

In una situazione statica possiamo trovarci di fronte ad una im-

pronta dell’appoggio plantare biomeccanicamente scorretta. Tale

impronta può denotare una piede piatto nel momento in cui

siamo in presenza dello sfondamento dell’arco longitudinale me-

diale oppure ad un piede cavo quando non vi è un sufficiente in-

teressamento di carico lungo l’arco longitudinale laterale.

Sempre in una situazione statica è inoltre importante valutare il

retropiede che può essere atteggiato in valgo o oppure in varo

a seconda dell’inclinazione del tendine d’Achille.

In una situazione dinamica dobbiamo invece prestare molta at-

tenzione alla temporalità attraverso la quale le varie parti del pie-

de vengono caricate durante il passo. Normalmente l’appoggio

plantare si effettua in tre fasi:

1. contatto al suolo con il tallone posteriore (questa è la fase am-

mortizzante ed anche frenante);

2. il carico si sposta antero-lateralmente lungo l’arco longitudina-

le laterale (rullata);

3. per terminare, con la fase propulsiva, sulla prima testa meta-

tarsale e sull’alluce.

Può capitare che un piede in condizione dinamica anticipi il cari-

co sulla prima testa metatarsale e alluce quando è ancora in una

fase intermedia. Questa condizione prende il nome di piede a

doppia componente.

Secondo il dott. Bricot, in clinica il piede può presentarsi in tre mo-

di diversi:

- come elemento causativo, è cioè il responsabile dello squilibrio

posturale che provoca la sua patologia;

- come elemento adattivo, tampona cioè uno squilibrio che viene

dall’alto (generalmente dall’orecchio medio o dall’articolazione

temporo-mandibolare): è quindi una vittima. In un primo tempo

l’adattamento e reversibile, poi si fissa, alimentando lo squilibrio

sottostante;

- come elemento misto, presentando contemporaneamente un

versante adattivo ed uno causativo.

Secondo Villeneuve (1990) il piede non è il recettore del sistema

posturale e le sue informazioni devono essere integrate con quel-

le dell’occhio, dell’orecchio e della propriocezione. Bisogna inoltre

prestare molta attenzione alle disfunzioni occlusali e propriocetti-

ve, alle cicatrici nocicettive che modificano il tono.

Secondo Gagey, il piede può anche rappresentare la sede di lesio-

ni dolorose che modificano il tono posturale, quelle che vengono

definite spine irritative di appoggio plantare.

L’occhio

Molti lavori di neuroscienza mostrano l’importanza dell’afferenza

oculare nell’equilibrio tonico posturale. Le informazioni visive in-

fatti arrivano fino ai nuclei vestibolari che sono degli importanti

centri regolatori del sistema posturale.

Nel 1951 Baron, modificando leggermente la tensione del musco-

lo retto esterno dell’occhio di un pesce, notò che questo si mette-

va a girare in tondo e presentava dopo qualche tempo una defor-

mazione alla spina dorsale.

Alcuni anni dopo Lacour e Roll hanno dimostrato con un paio di

esperimenti che vibrazioni meccaniche sulla muscolatura estrinse-

ca dell’occhio provocava delle nette variazioni posturali.

I movimenti dei bulbi oculari sono infatti garantiti da sei muscoli

per occhio. Quattro di questi si diramano più o meno dritti sul-

l’asse antero-posteriore. Essi sono i muscoli retti superiore, infe-

riore, mediale e laterale.

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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D.E.: muscolo retto esterno

D.S.: muscolo retto superiore

D.Int.: muscolo retto interno

D.Inf.: muscolo retto inferiore

P.O.: muscolo piccolo obliquo

G.O.: muscolo grande obliquo

P.: puleggia di riflessione

G.L.: doccia lacrimale

Altri due muscoli, i muscoli obliqui (superiore ed inferiore) sono

inseriti agli angoli del bulbo oculare.

L’occhio è come il piede, a volte è un endorecettore e a volte è un

eso-recettore del sistema posturale. L’esterocezione è essenzial-

mente sotto la dipendenza dei bastoncelli deputati alla visione

periferica. La propriocezione è, per quanto le compete, legata al-

l’attività muscolare extra-oculare e alle vie dell’oculocefalgiria che

sottomettono i muscoli del collo e delle spalle a quelli degli occhi.

Secondo Bricot, due tipi di patologie possono decompensare que-

sta afferenza:

1. l’esterocezione sensoriale dell’occhio, cioè disturbi della rifra-

zione;

2. la propriocezione muscolare extra-oculare, cioè le insufficienze

di convergenza e le eteroforie.

L’apparato stomatognatico

Questo recettore, anche se non interviene nella regolazione toni-

co-posturale, può essere vittima di perturbazioni particolarmente

destabilizzanti per il sistema.

Lo scompenso può avvenire attraverso:

- il sistema muscolare:

- il sistema oculomotore;

- la decompensazione del nucleo del XI nervo cranico;

- la decompensazione cranica.

Conclusioni

In questo tipo di valutazione bisogna osservare se esista una lo-

gica armonica tra appoggio del piede, curve della colonna e posi-

zione della testa; dove armonia non c’è bisogna introdurre altri

elementi di indagine. Comunque è importante, quando si rivede il

paziente dopo qualche giorno, rivalutare tutto l’esame fatto in

precedenza. Durante l’esame alla verticale di Barré è molto im-

portante controllare le linee che congiungono le creste iliache, il

piano delle spalle e gli angoli laterali dell’occipite. Si considera un

quadro armonico nel destrimane una inclinazione destra della li-

nea delle spalle (spalla destra più bassa della sinistra), la cresta

iliaca destra più alta della sinistra e l’angolo laterale destro del-

l’occipite più alto del sinistro. Il piano occipitale e quello delle cre-

ste iliache sono paralleli fra di loro. La cosa inversa si ha nel man-

cino: stessa simmetria ma inclinazione opposta.

Disturbi della statica

Il disturbo statico è alla base di tensioni muscolari meccaniche

(forze anormali patologiche) che possono esercitarsi a differenti li-

- velli:

- capsulari;

- articolari;

- osteo-legamentosi;

- muscolari;

- tendinei;

- aponeurotici.

Le conseguenze saranno numerose:

- più o meno a lungo termine, comparsa di dolori, di rigidità e di

contratture;

- limitazioni di movimenti articolari legate ai bloccaggi muscolari

che favoriscono in questo modo il deposito d’artrosi.

Limitazioni e contratture riflesse provocano una diminuzione del

rendimento muscolare, un impoverimento delle riserve di glicoge-

no e un’acidosi. Nello sportivo determina predisposizioni ai cram-

pi, agli strappi, agli indolenzimenti, alle tendinite ma anche alla

riduzione delle prestazioni sportive o ad un mediocre risultato

nonostante l’allenamento.

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Nello stesso modo le tensioni oblique a medio o lungo termine

portano a dei bloccaggi vertebrali funzionali. Si comprende quin-

di che i trattamenti usuali (Kinesiterapia, antalgici, anti-infiam-

matori) non possono essere soddisfacenti poiché si rivolgono al-

le conseguenze e non alle cause. Quanto alle tecniche manipola-

tive, esse sono eziologiche esclusivamente nei casi di bloccaggi

traumatici; nella maggior parte dei casi il disturbo è funzionale,

spiegando in questo modo le recidive e la necessità di moltipli-

care le sedute.

Solo il trattamento della sollecitazione meccanica posturale per-

metterà al paziente di guarire. Dal momento in cui si instaura uno

squilibrio tonico posturale, determinate condizioni non sono più

rispettate e compaiono le tensioni muscolari anomale.

Una postura equilibrata, catene muscolari armoniose, articolazio-

ni senza tensioni saranno a garanzia di una libertà di movimento

normale e di una integrità anatomo fisiologica.

Disturbi della statica sul piano sagittale

Secondo R.J.Bourdiol, tutte le anomalie della statica corrispondo

ad anomalie dell’impronta plantare presa al podogramma; esisto-

no quindi delle interdipendenze fra il tipo di piede e le variazioni

sagittali della curva lombare:

- ad un piede piatto farebbe riscontro un iperlordosi lombare ca-

duta indietro del rachide;

- ad una deformità dell’avampiede corrisponderebbe una iperlor-

dosi lombare con caduta in avanti del rachide.

Secondo R.Caillet le tre curve fisiologiche sul piano sagittale sono

inequivocabilmente subordinate all’entità dell’angolazione sacra-

le. In altre parole, la rotazione pelvica rappresenta il fattore pri-

mario della postura eretta adulta sul piano sagittale. Come l’an-

golazione pelvica condiziona la direzione dell’emergenza lombare

e conseguentemente il grado della lordosi, così questo dovrebbe

a sua volta influire sul grado della sovrastante curva dorsale. Ciò,

invero, si verifica solo in minima parte poiché, data la quasi nulla

particolarità flesso-estensoria del rachide dorsale, l’effetto si con-

centra principalmente in corrispondenza della giunzione dorso-

lombare (D12-L1). Cranialmente a questo livello, le compensazio-

ni volte a mantenere in equilibrio statico il resto del rachide ed il

capo, interessano soprattutto il tratto cervicale e la giunzione cer-

vico-dorsale.

Accentuazione delle curve fisiologiche.

A B C D E

Siamo nel caso B.

In questo caso abbiamo un allineamento ma con accentuazione

delle curve fisiologiche. La prima cosa da verificare è se c’è un’ar-

monia tra il quadro B e l’appoggio plantare che deve tendere al

valgismo.

Per definizione il retropiede valgo si associa ad un piede piatto. È l’in-

fossamento astragalo-calcaneare interno che in seguito provoca una

rotazione interna degli assi tibiali e femorali, così come una tenden-

za al ginocchio valgo e un disassamento interno delle rotule.

Questi difetti d’asse causano:

- un braccio di leva sulla coppia di torsione collo-testa, così come

un appoggio esagerato sulla parte posteriore del cotile che avrà

come conseguenza una anteflessione dell’ala iliaca;

- il sacro viene ugualmente trascinato in estensione facendo au-

mentare così l’angolo sacrale;

- la colonna compensa con una iperlordosi con proiezione di L3

verso l’avanti, con addome prominente;

- la colonna compenserà in alto con una ipercifosi dorsale ed una

iperlordosi cervicale.

A livello lombare, l’aumento dell’angolo sacrale, la proiezione del-

l’addome verso l’avanti e l’iperlordosi provocheranno delle ten-

sioni massimali in compressione su tutte le vertebre lombari, le ar-

ticolazioni si densificheranno e si sovraccaricheranno d’artrosi, gli

istmi si assottiglieranno e le neo articolazioni articolo-istmiche

appariranno a tutti i livelli lombari.

A scadenza più o meno lunga i dolori appaiono sotto forma di

stanchezza lombare, poi il cattivo funzionamento del circuito

gamma perpetuerà le tensioni muscolari, appariranno rigidità e

contratture. Più tardi, i dolori si manifesteranno dapprima duran-

te lo sforzo poi diventeranno sempre più permanenti. Questa è

una classica storia di lombalgia.

SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE ATLETICA

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Posteriorizzazione del punto più prominente della cifo-

si toracica rispetto alla prominenza glutea (C).

Se affonda il medio piede, saremo in presenza di un importante

piattismo e con esso, per un compenso posturale, compare la po-

steriorizzazione del piano scapolare che compensa lo scivolamen-

to tibiale anteriore. L’iperlordosi diminuisce in rapporto al grado di

posteriorizzazione delle spalle. Le tensioni muscolari restano tut-

tavia importanti e ad esse si aggiungono i dolori dorsali e i dolo-

ri cervicali per compensi posturali.

Se su questi chiari e differenti quadri patologici si inserisce lo squi-

librio di un altro recettore (l’occhio in particolare) e se, soprattutto,

questo squilibrio è asimmetrico compariranno, come aggravante,

basculle e rotazioni che arricchiranno rapidamente il quadro clinico.

Dorso piatto e piano scapolare anteriore (D)

Questo squilibrio nella pratica corrente è quello che si riscontra

più frequentemente (72% secondo Bricot). Corrisponde a diffe-

renti squilibri del sistema posturale poiché fa intervenire uno o più

recettori spesso in modo associato (i piedi, i denti, la pelle).

Le tre ultime vertebre lombari sono sottomesse a delle forza enor-

mi di compressione e di traslazione anteriore: le articolazioni si

deformano, si ispessiscono e si sovraccaricano di artrosi.

Esse stringono in una tenaglia la zona istmica che si assottiglia e

si densifica, creando una vera neoarticolazione articolo-istmica tra

la punta smussata dell’articolazione e la zona istmica assottiglia-

ta. I rimaneggiamenti articolari e capsulari provocati da queste for-

ze anomale provocano un imballamento del circuito gamma a cau-

sa delle sue entrate polisinaptiche e quindi un bloccaggio musco-

lare. Sul piano clinico questo fenomeno fisiopatologico si traduce

con lombalgie, rigidità e contratture: è la classica barra lombare.

Questo atteggiamento posturale è generatore di numerose ten-

sioni muscolari:

- tensione muscolare della cerniera cervico-dorsale (rigidità e dolore);

- tensione eccessiva dei muscoli paravertebrali lombari;

- tensioni articolari anomale in compressione e traslazione sulle

ultime tre vertebre lombari;

- trazione eccessiva del medio gluteo sul gran trocantere (tendini-

te e dolori di inserzione);

- tensione compensatoria dei muscoli della zampa d’oca (tendini-

te e dolori);

- le tensioni sul tricipite surale sono maggiori della norma;

- gli ultimi elementi antigravitari, le dita dei piedi, afferrano il suolo:

esiste una pressione eccessiva sull’avampiede con futura deforma-

zione delle teste metatarsali, dita dolorose ad artiglio e calli.

Le principali cause del dorso piatto con un piano scapolare ante-

riore sono:

1. i piedi a doppia componente;

2. le cicatrici anteriori;

3. le sovraocclusioni.

Rettificazione delle curve (E)

In questa particolare tipologia di postura statica riscontriamo una

diminuzione dell’angolo sacrale e un retropiede varo.

Per definizione, il piede varo è caratterizzato da un talo varo che

provoca una rotazione esterna degli assi tibiali e femorali, con

tendenza al ginocchio varo e iperpressione rotulea.

Questi difetti d’asse non saranno senza conseguenze; saranno in-

fatti causa di :

- un difetto di copertura delle teste femorali;

- il braccio di leva sulla coppia collo-testa, e una pressione ante-

riore del cotile; questa pressione trascinerà l’iliaco in estensione;

- per lo testo motivo ci sarà una verticalizzazione del sacro;

- un dorso piatto e dei piatti glutei.

Le sollecitazioni anomale esistono a diversi livelli:

- sulle caviglie;

- a livello del ginocchio e delle rotule;

- nell’articolazione coxo femorale con un difetto di copertura an-

teriore;

- a livello del rachide con un dorso piatto e glutei piatti.

Le sollecitazioni muscolari anomale saranno localizzate a diversi

livelli e potranno provocare dolori e svariati quadri clinici:

- piedi cavi interni;

- sindrome femoro-patellare;

- ginocchio varo;

- coxartrosi;

- dorso piatto;

- dolori lombari durante lo sforzo.

A livello vertebrale la verticalizzazione del sacro con diminuzione

dell’angolo sacrale provocherà una riduzione della lordosi lomba-

re fisiologica. Le articolazioni posteriori sono sottomesse a delle

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sollecitazioni anomale: disabitazione sulla parte alta della artico-

lazione, scivolamento e forte pressione della punta articolare sul-

la zone istmica che si densifica. Radiologicamente questa tensio-

ne anomala appare sotto forma di densificazione bianca nella par-

te superiore ed inferiore della zona istmica.

Disturbi della statica sul piano frontale: le linee oriz-

zontali viste di fronte

1. la basculla delle spalle: in assenza di uno scoliosimetro, questa ba-

sculla si studia più facilmente a livello dei polsi (stiloidi radiali);

2. la posizione del bacino nello spazio: solo lo studio della posizio-

ne della medio iliaca ci darà con certezza la posizione del bacino

nello spazio. Infatti non è insolito rilevare discordanze tra i para-

metri classici anteriori e posteriori: essi sono infatti l’espressione

di una torsione elicoidale del bacino sul suo grande asse;

3. gli altri parametri: essi saranno analizzati nell’esame dei diffe-

renti recettori: la linea bi-pupillare, linea bi-tragale, linea bi-ma-

millare, l’asse verticale della testa e del corpo, l’armonia del

massiccio facciale;

4. tre nozioni fondamentali si devono estrapolare:

• il disequilibrio del cingolo scapolare è legato alla lateralità:

- generalmente nel destrimane la spalla sinistra è più alta;

- nel mancino è il contrario;

- le eccezioni corrispondono a degli squilibri della lateralità;

• quando le spalle e il bacino basculano nello stesso senso:

- il recettore principalmente perturbato è l’occhio;

- una causa podalica iniziale provoca uno squilibrio del baci-

no (a livello della medio iliaca) inverso a quello delle spalle;

• esistono sempre deficit neuromuscolari e microcircolatori nel-

l’arto superiore corrispondente alla spalla più bassa (general-

mente quella della lateralità).

Squilibrio controlaterale nell’esame statico frontale uti-

lizzando il metodo delle linee orizzontali viste di fronte

Ogni recettore sregolato in modo asimmetrico (insufficienza di

convergenza di un occhio, morso crociato, cicatrici laterali) provo-

cherà basculle e rotazioni dei cingoli scapolari e pelvici. L’adatta-

mento della colonna vertebrale su questo squilibrio può avvenire

in due modi:

- uno, armonico, è l’attitudine scoliotica; questo compenso è so-

prattutto una caratteristica del soggetto giovane ed iperlasso;

- uno, disarmonico, è caratterizzato dai bloccaggi vertebrali a vari

livelli che si incontrano più di frequente nei soggetti più anziani

o retratti.

Queste due modalità di adattamento non sono niente altro che il

riflesso dello squilibrio asimmetrico delle catene posturali.

I bloccaggi vertebrali non sono le sole conseguenze: esistono an-

che dei bloccaggi periferici concomitanti (perone, cuboide), come

anche delle asimmetrie di tensione a livello delle inserzioni occi-

pitali del trapezio e mastoideo e dello sterno-cleido-mastoideo

provocando delle patologie craniali associate di tipo adattivo. Tut-

ti questi disturbi sono funzionali, riflesso dello squilibrio tonico

posturale e costituiscono differenti espressioni delle patologie da

sollecitazioni muscolari anomale.

I piedi vari asimmetrici provocano, per esempio, la rotazione

asimmetrica degli assi tibiali e femorali che causeranno una cop-

pia di torsione collo/testa/cotile asimmetrica a destra e a sinistra,

il che provoca una basculla e rotazione del bacino nel suo insie-

me con le dovute conseguenze.

La verticale di Barré vista da dietro

A. il solco intergluteo è spostato da un lato (o a destra o a sini-

stra) rispetto al filo a piombo, non considerando però l’even-

tuale torsione del bacino, è centrata su C7 e il vertice. Questa è

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una categoria con disturbo del sistema tonico (sistema statico

di controllo posturale) di tipo ascendente: disturbi che modi-

ficano l’assetto del bacino dal basso verso l’alto: di appoggio

del piede, di dismetria delle gambe e problemi di bacino;

B. il bacino è centrato con spostamento di lato di C7 e vertice a

destra o a sinistra: si riconosce una perturbazione di tipo di-

scendente;

C. categoria mista in cui il bacino è spostato da un lato, cervica-

le, vertice dal lato opposto;

D. categoria che verifica l’allineamento dei punti, indipendente-

mente dal grado di curvatura della colonna sul piano dorsale;

questa è una situazione armonica;

E. categoria in cui tutti i punti di repere sono spostati di lato, il pa-

ziente pende da un lato, quadro post-traumatico causato da on-

de d’urto, in genere colpi di frusta o caduta sul bacino e zona

sacrale, squilibrio stabile del sistema tonico e fasico; ipertono

muscolare omolaterale; alterazione del sistema cranio-sacrale.

Disturbi della statica sul piano orizzontale

E’ lo studio delle rotazioni delle spalle e del bacino. Si parla allo-

ra di:

- ileo anteriore o posteriore;

- scapulum anteriore o posteriore.

Le tensioni sono allora in rotazione o in torsione. La rotazione del

cingolo scapolare è fortemente influenzata dalla lateralità.

Per ciò che concerne le rotazioni del bacino, esse possono farsi

nello stesso senso di quello delle spalle o in senso inverso.

Così sono definiti i disturbi statici nelle tre direzioni nello spazio

(sagittale, frontale, orizzontale). Queste perturbazioni, associate

nella maggior parte dei casi realizzano un disturbo statico più o

meno complesso, responsabile delle ipertensioni articolari poste-

riori e delle iper sollecitazioni muscolo-legamentose.

La statica non è retta da muscoli isolati, ma da un insieme di mu-

scoli, catene muscolari posturali, tutta la disfunzione o disarmonia

di queste catene propriocettive avrà come conseguenza un dis-

turbo del tono di postura.

La riprogrammazione posturale globale

Dopo un attento esame posturale atto ad analizzare la bontà

della funzionalità dei vari recettori e la perfetta elaborazione

delle informazioni da inviare agli organi effettori, riveste un ruo-

lo di primaria importanza la riprogrammazione posturale globa-

le, che si impegna a ristabilire la corretta funzionalità del siste-

ma afferente.

Tale riprogrammazione, presuppone però uno stop forzato dell’at-

leta per un periodo di almeno un mese e mezzo circa e ha una du-

rata di un anno circa.

Proprio per questo motivo è importante effettuare tale intervento

in atleti relativamente giovani, subito dopo cioè il termine dello

sviluppo biologico.

Inoltre sarà di vitale importanza dopo un infortunio di una certa

gravità.

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CENTRO STUDI E RICERCHECOMUNICAZIONE

urante la partita Inter–Milan del 22 novembre 1997

accadde un episodio che non sarebbe passato agli

annali del calcio e che tantomeno sarebbe mai ap-

parso sulle cronache dei giornalisti che per quel

derby erano sopraggiunti da tutto il mondo. Eppure

se a San Siro quel giorno ci fosse stato un antropo-

logo sociale come Melucci o un etnologo alla Marc

Augè, certamente quel piccolo spaccato di umana irrazionalità

non sarebbe passato inosservato. Accadde questo. Al 68° minuto

del secondo tempo fu accordato un rigore all’Inter e Ronaldo, il

campionissimo eroe di due mondi, posizionò con estrema cura la

palla sul dischetto. Mentre si espletavano i proforma delle la-

mentele e degli spintoni, non visto da Ronaldo, che con gli occhi

seguiva i movimenti dell’arbitro, George Weah si avvicinò alla pal-

la e accovacciandocisi sopra come se fosse un totem improvvisò

una specie di macumba, un rituale nero con il quale provava a

chiamare in causa forze occulte a lui conosciute. Il gesto fu tanto

veloce quanto inequivocabile. Weah si abbassò sul pallone senza

mai toccarlo e con le mani gesticolò verso il cielo.

La cosa sarebbe probabilmente finita lì se tutto ciò non fosse sta-

to visto da Checco Moriero il quale, da buon italiano del sud, cer-

tamente non poteva essere sprovvisto della buona dose di scara-

manzia che accompagna quasi tutti i suoi conterranei. Checco

Moriero si avventò precipitosamente su quel pallone e lo calciò il

più violentemente possibile verso la tribuna, quindi si fece conse-

gnare una nuova sfera da un raccattapalle e tenendola ben stret-

ta sul petto per non farsela sfiorare nemmeno da uno spirito, la

consegnò di persona a Ronaldo. Il quale, occorre dirlo se non al-

tro per diritto di cronaca, segnò il gol del momentaneo vantaggio

nerazzurro (la partita finì poi due pari).

L’Inter e il Milan quell’anno avevano iniziato la preparazione al-

l’insegna della scientificità. Nulla era stato demandato al caso e

anche la più piccola quisquilia era stata trattata come se fosse il

perno su cui ruota l’esito della stagione. I ritiri in Val d’Aosta era-

no stati accompagnati da veri e propri guru che divisi per campo

(settore tecnico, settore commerciale, preparazione atletica, ecc.)

avevano portato la propria scienza specialistica al servizio delle

rispettive squadre. I due allenatori avevano studiato una scaletta

di preparazione assai complicata, mentre grazie a macchinari e

sofisticati software i muscoli dell’esercito di pedatori erano stati

vivizionati e monitorati alla perfezione.Anche i bioritmi erano sta-

ti studiati. Sembrava che ogni campo dello scibile umano che si

rifà ai canoni del positivismo e della razionalità scientifica fosse

stato allertato per concorrere alla realizzazione del fine. E se il fi-

ne nel calcio è il risultato, e il risultato, almeno in campo mate-

matico, è anche la soluzione di una proposizione aritmetica o di

una funzione, risulta naturale pensare che anche in campo calci-

stico basti sostituire ad ogni fattore un numero per determinare

un risultato esatto (in questo caso la vittoria). Eppure quel giorno

il risultato del derby fu anche deciso dal rincorrersi di due diffe-

renti pratiche pagane, quella tribale di Weah e quella prettamen-

te italica e scaramantica di Moriero.

Se il calcio era nato come strumento per superare il conflitto

principe della modernità – a fine ottocento, in Inghilterra, il cal-

cio aveva la funzione di convogliare la creatività residua dei la-

voratori durante l’allora nascente “tempo libero” – oggigiorno

esso, trasformato da passatempo in religione laica post-moder-

na, si ammanta di un’aura new age che comprende un po’ tutto,

dai profeti new economy del marketing e delle borse alle prati-

che omeopatiche e dopatorie, dai programmi informatici più av-

veniristici (come quelli installati dal Milan per studiare i muscoli

dei suoi giocatori) alle scaramanzie più assurde (come Vieri che

non nomina la parola “Scudetto” perchè, a suo dire, “porta sfi-

ga”). Sembra quasi che, dopo aver sposato il crescente bisogno

di razionalità propria del suo tempo, e forse causa delle sue ori-

gini, il calcio abbia assunto dalla società tutte le contraddizioni

della post-modernità. E se le scaramanzie sono sempre state un

mantra per ogni tifoso – ogni “gioco per procura” presuppone

CALCIO E SCARAMANZIAdi Gabriella Greyson*

D

* Pubblicista

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CENTRO STUDI E RICERCHE

24

COMUNICAZIONE

pratiche scaramantiche e propiziatorie atte a rendere protagoni-

sta anche “chi sta solo a guardare” (si pensi al Lotto e a tutto il

suo corredo di miti e di credenze) – certo fa più specie che que-

ste lo diventino, e lo diventino sempre di più, anche per i prota-

gonisti, siano essi calciatori o dirigenti, i quali dovrebbero fare

dell’equilibrio della “ragione” il loro baluardo contro le intem-

perie. Che senso ha, infatti, costruire una squadra spendendo mi-

liardi e sudore se poi basta nominare la parola “scudetto” per

vanificare l’intero lavoro? Ma, come sosteneva Schnitzler, l’uomo

vive in perenne instabilità sul bordo di un medioconscio che è la

risultante di razionalità e irrazionalità, di conscio e inconscio. E

basta assai poco per precipitare da una all’altra, basta “un gat-

to nero che ci attraversa la strada” perchè tutte le nostre con-

vinzioni sprofondino nel baratro delle nostre debolezze. Perchè

pensare che le nostre esistenze dipendano anche da fattori ex-

tra-razionali (per non dire metafisici) è

una scorciatoia vecchia come l’uomo. Ci

permette di deresposabilizzare il nostro

agire e di prendercela con un gatto ran-

dagio anche quando magari la causa dei

nostri mali siamo noi.

Nel calcio, però, la scaramazia ha ancora

maggiore rilievo poiché la fortuna gioca in

esso un ruolo maggiore che negli altri

sport. Per quanto, infatti, qualcuno si osti-

ni a pensare che il football sia una scienza

esatta dove dei giocatori si muovono su

una scacchiera secondo codici e formule stereotipate, nessuno può

negare che il fattore aleatorio sia del calcio non solo una compo-

nente fondamentale ma anche, in fin dei conti, il sale. Quante par-

tite giocate all'arrembaggio da squadre fortissime sono state de-

cise per la squadra più debole grazie a un gol rocambolesco o una

giocata fortuita? Quante squadre, costruite alla perfezione da diri-

genti "scienziati", hanno fallito i propri obiettivi a causa di im-

ponderabili infortuni? Viene perciò spontaneo spiegare certe vitto-

rie o sconfitte incredibili con l'ausilio della scaramanzia. Ed è na-

turale che quindi il calcio venga accompagnato da tutta una serie

di rituali scaramantici atti a esorcizzare i possibili inconvenienti. Di

qui giocatori che si fanno crescere i baffi, ritenendoli un buon

amuleto, altri che si rapano a zero o non si rapano affatto. Squa-

dre che vanno in ritiro sempre nello stesso luogo perché porta for-

tuna e altre, come una squadra di Londra, che additano un gior-

nalista come "jettatore" e lo costringono a cominciare a seguire

le partite della loro più acerrima rivale. L'importante, in tutte que-

sta pratiche, è trovare una tranquillità interna. Come quella persa

e ritrovata dal grande Pelè che regalò a un tifoso la sua sottoma-

glia e da quel giorno non giocò più bene. Allora chiese a un amico

di rintracciargli quel tifoso e di farsi ridare la maglia. Una settima-

na dopo l'amico si presentò da Pelè e gli raccontò quanto avesse

penato per ritrovare quel prezioso amuleto. Pelè, al settimo cielo,

indossò immediatamente la sua maglietta e recuperò come d'in-

canto il tocco perduto. L'amico, ovviamente, si guardò bene dal

dirgli che la sua ricerca era stata inutile e che si era limitato a con-

segnargli la stessa maglia con la quale, nei giorni addietro, Pelè

pensava di aver perso il suo tocco magico.

Il Presidente del Pisa Anconetani era solito compiere gesti scaramantici.

Il bacio dell’anello, un gesto ormai diffuso tra i calciatori.

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SCUOLAALLENATORIPREPARAZIONE FISICA

ono ormai molti anni che il problema del condizio-

namento fisico del calciatore viene dibattuto, a tutti

i livelli, in quasi tutti i Paesi del mondo. Tuttavia, an-

cora oggi, notevoli sono le divergenze di opinioni tra

gli addetti ai lavori, divergenze dovute essenzial-

mente alla particolare complessità della prestazione

calcistica, cui contribuiscono fattori diversi, tecnici,

tattici, psichici e fisici, senza poter determinare in termini esatti

l’entità di incidenza di ciascun di essi.

Dato che nel calcio non esistono nozioni certe e di validità assolu-

ta, è ovvio allora che si abbiano differenze sul modo di concepire

l’allenamento, sulla sua strutturazione, sui suoi contenuti e metodi.

Per memoria storica va evidenziato che, in un passato più o meno

recente, dalle nostre squadre di calcio sono stati applicati piani e

tabelle di allenamento degli sciatori, dei nuotatori, dei pesisti, ol-

tre naturalmente a quelli degli atleti dell’atletica leggera, soprat-

tutto mezzo-fondisti, fondisti, velocisti , saltatori. C’è stata cioè

una fase nella quale sono stati mutuati, senza alcuna riflessione

critica, metodi di allenamento degli sport individuali, con il risul-

tato di un allenamento poco specifico perchè basato su un gran-

de volume di mezzi generali e troppo orientato allo sviluppo del-

la o delle qualità fisiche che, di volta in volta, si ritenevano im-

portanti per il successo nel nostro sport.

Simili metodi oggigiorno sono stati pressochè messi al bando e ,

sulla base di indagini e valutazioni sempre più accurate e sofisti-

cate sul tipo e entità dello sforzo del calciatore in gara, l’allena-

mento condizionale viene eseguito con forme e carichi di lavoro

sicuramente più specifici sia dal punto di vista quantitativo che

qualitativo. Rimangono tuttavia divergenze ideologiche e, di con-

seguenza, anche di ordine pratico nella pianificazione dell’allena-

mento, tra coloro che ritengono che i presupposti condizionali del-

la prestazione calcistica (forza,velocità, resistenza), magari con

differenziazione di accenti( in quest’ultimi anni, per esempio, è di

moda l’allenamento della forza), raggiungono il loro sviluppo ot-

timale solo se allenati separatamente dagli altri elementi che de-

terminano la prestazione globale del calciatore in gara e, quindi,

con esercitazioni squisitamente di tipo atletico,senza o con scarsi

contenuti di ordine tecnico e tattico, e coloro( numericamente in-

feriori) che invece propendono per un’impostazione globale o uni-

taria dell’allenamento, in cui le componenti condizionali vengono

sviluppate in stretto legame con le varie azioni di gioco, indivi-

duali e collettive, e quindi in reciproco rapporto con le componenti

tecnico-tattiche.

Dico subito, e questo non dovrebbe rappresentare una novità per

i lettori del Notiziario che hanno frequentato i Corsi Allenatori a

Coverciano anche molti anni addietro o che hanno avuto la bon-

tà di leggere qualche mia pubblicazione, che personalmente fac-

cio parte della schiera dei sostenitori di quest’ultima tesi.

La prestazione calcistica – giova ripeterlo- non può essere consi-

derata il risultato di una semplice sommatoria di elementi diver-

si(tecnica,tattica,condizione fisica), ma di una interazione indiscri-

minata di essi. Per cui un’esigenza prioritaria del lavoro metodo-

logico in allenamento è proprio quella di garantire l’unità tra for-

mazione tecnico-tattica e formazione energetico-condizionale. Ciò

richiede, ovviamente, che i fattori determinanti della prestazione

SL’ALLENAMENTO DELLA CONDIZIONEFISICA CON IL PALLONEdi Gianni Leali

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SCUOLAALLENATORI

26

PREPARAZIONE FISICA

vengano allenati prevalentemente in un rapporto tra loro inscin-

dibile e non separati l’uno dall’altro.

Questa concezione e pratica dell’allenamento non vale tanto per

quegli sport nei quali dominano singoli fattori di prestazione co-

me, ad esempio, alcune discipline dell’atletica leggera di resisten-

za o di forza, ma soprattutto per quegli sport, come il calcio e i

giochi sportivi in genere, nei quali abbiamo una struttura com-

plessa della prestazione, i cui fattori formano un insieme connes-

so inscindibile. Per tali sport,infatti, se si trascura il collegamento

tra allenamento tecnico-tattico e condizionale, può avvenire che,

malgrado capacità energetico-condizionali estremamente svilup-

pate e tecniche ben controllate dal punto di vista coordinativo, in

gara le azioni di gioco risultino inefficaci e le prestazioni indivi-

duali e dell’intera squadra insoddisfacenti.

Durante la competizione calcistica, per esempio, non è tanto im-

portante che ogni singolo giocatore corra di più e più velocemen-

te, quanto e soprattutto che corra meglio, non ovviamente nel

senso di una migliore impostazione stilistica del movimento della

corsa, bensì di una corsa che, nelle sue diverse manifestazioni, sia

più adeguata allo svolgimento del gioco( cioè, ai movimenti del

pallone, dei compagni, degli avversari e alla corretta esecuzione

dei gesti tecnici). Il calciatore, come si sa, non corre per correre o

per tagliare primo un traguardo, ma per inserirsi meglio e con

maggiore efficacia nel gioco, in determinate fasi del gioco.

Ribadendo un concetto già espresso in più di una occasione, occor-

re sottolineare, ai fini della scelta e dell’utilizzo di forme di allena-

mento adeguate alle effettive esigenze di gara, che la corsa nel cal-

cio è un mezzo e deve servire ad un più efficace sviluppo del giuo-

co, cioè ad una migliore espressione della tecnica e della tattica.

Se si accetta il principio di una formazione unitaria delle capacità

fisiche e delle abilità tecniche e tattiche, è chiaro che la maggior

parte della preparazione fisica del calciatore, specialmente se di

alto livello e quindi dotato di notevole maestria sportiva, dovreb-

be essere effettuata con la palla, tramite cioè esercitazioni tecni-

che e tattiche in condizioni simili a quelle di gara e la disputa, ov-

viamente, di partite a tutto campo o su spazi ridotti con prescri-

zioni particolari. Prioritaria,pertanto, dovrebbe essere l’utilizzazio-

ne dei mezzi e dei metodi della preparazione fisica cosiddetta spe-

ciale, che, peraltro, presenta il vantaggio di non ridurre il tempo

dedicato alla tecnica e alla tattica che, nel calcio, rappresentano

pur sempre i fattori principali del successo e di non avere proble-

mi di trasformazione del lavoro condizionale in impieghi utili del-

la tecnica e della tattica stesse.

A quest’ultimo riguardo, per esempio, alcuni studi recenti hanno

dimostrato che nel calcio, con atleti di alto livello, a differenza di

quanto avviene con i giovani o con atleti di bassa qualificazione,

valori di lattato di 6-7 mmol/l ed oltre, purchè non ai limiti massi-

mali di acidosi metabolica, e frequenze cardiache di 170-180 pul-

sazioni al minuto non esercitano un’influenza negativa sulla preci-

sione e sulla velocità del gesto tecnico. Quindi non è impossibile

unire efficacemente contenuti formativi condizionali e tecnico-tat-

tici anche in stato di affaticamento o sotto l’assillo degli avversari

la cui azione di contrasto rende sicuramente più impegnativa l’e-

sercitazione sia dal punto di vista tecnico che fisico( studi di Ma-

rella hanno dimostrato che in gara le maggiori frequenze cardia-

che si hanno proprio durante le azioni di contrasto)

Queste considerazioni non vogliono tuttavia significare che in de-

terminati periodi del processo pluriennale dell’allenamento( in fa-

se di apprendimento della tecnica o quando le abilità tecniche

non sono ancora sufficientemente consolidate) o dell’allenamen-

to annuale( nella fase iniziale della preparazione precampionato)

lo sviluppo delle qualità fisiche non debba avvenire anche con

mezzi generali, ma solo sostenere un’applicazione maggiore, fino

a diventare nettamente prevalenti con atleti evoluti, di forme di

allenamento che, utilizzando azioni di gioco, stimolano i fattori

condizionali unitamente a quelli tecnico-tattici.

Certamente, quando si utilizzano esercitazioni “a secco” basate,

per esempio, su un determinato numero di ripetizioni di una certa

distanza in un determinato tempo e con un determinato tempo di

recupero, più facile e più precisa è la determinazione del loro ca-

rico di lavoro esterno. Più difficile e approssimativamente è farlo

con esercitazioni tecnico-tattiche o quando si giocano partite o

partitelle di vario genere, nelle quali, per giunta, non tutti i parte-

cipanti effettuano lo stesso carico di lavoro.E questo è uno dei

motivi per cui, solo però come attività complementare, non siamo

contrari in assoluto a esercitazioni squisitamente di tipo atletico

senza l’utilizzo della palla.

Ma, se si accetta il principio di uno sviluppo unitario delle capacità

fisiche e delle abilità tecnico-tattiche, allora se ne devono trarre del-

le conseguenze anche per quanto riguarda la determinazione ed il

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controllo del carico di lavoro delle singole esercitazioni e dell’intera

seduta di allenamento, da effettuare non tramite i criteri del carico

esterno ma di quello interno, cioè attraverso la rilevazione dei valori

di acido lattico nel sangue e soprattutto, perchè più facilmente ed

immediatamente realizzabili, di quelli della frequenza cardiaca.

Questo tipo di controllo, cioè degli effetti fisiologici degli esercizi,

oltre a permettere di adattare il carico di lavoro al livello funziona-

le dell’organismo dell’atleta, è importante per conoscere più preci-

samente la sua finalità metabolica così come risulta, per esempio,

dalla tabella sottostante in base ai valori della frequenza cardiaca:

Frequenza Finalitàcardiaca metabolica del carico

fino a 135 aerobico di bassa intensità

135-150 aerobico di media intensità

150-165 aerobico di alta intensità (potenza aerobica)

165-180 anaerobico(superamento della soglia anaerobica)

oltre 180 anaerobico di alta intensità (sub-massimale-massimale)

Conoscendo le caratteristiche metaboliche del carico, è evidente

che per l’allenatore diventa più facile pianificare e controllare l’al-

lenamento, nonchè renderlo adeguato agli obiettivi condizionali

che si vogliono raggiungere.

CONCLUSIONI

Nel calcio la maggior parte dell’allenamento condizionale dovreb-

be essere effettuato con la palla, cioè in stretto collegamento con

la componente tecnico-tattica della prestazione sportiva, in quan-

to solo così il miglioramento delle capacità fisiche si rivela real-

mente efficace in gara.

Si ritiene invece che in Italia, ancora oggi, sia prevalente una

concezione e, quindi, un’impostazione dell’allenamento indiriz-

zato allo sviluppo della condizione fisica separato da quello del-

la tecnica e della tattica. Tale impostazione, in generale, è op-

portuna solo con i giovani, nel periodo di apprendimento della

tecnica e finchè questa non si sia stabilmente consolidata. Nel

periodo in cui l’atleta raggiunge un livello elevato di maestria

sportiva, invece, l’utilizzazione dei mezzi e dei metodi della pre-

parazione fisica speciale deve essere considerata il fattore prin-

cipale per il progresso delle capacità energetico-condizionali.

Per cui ad essa deve essere attribuito un ruolo prioritario nel si-

stema di allenamento.

Inoltre va attirata l’attenzione su un fatto molto importante. Que-

ste forme di esercitazioni, che si avvicinano al massimo alle con-

dizioni dell’attività di gara e che sviluppano le capacità fisiche

unitamente alle abilità tecniche e tattiche, servono anche a mi-

gliorare la capacità di percezione, di anticipazione e a stimolare la

fantasia, l’inventiva, la creatività del calciatore, tutte componenti

che influenzano in maniera determinante il rendimento in gara,

rendendolo più efficace sia nel suo agire individuale che in co-

operazione con gli altri.

In definitiva, il processo di allenamento, anche quando si vuole

accentuare l’aspetto condizionale, deve essere sempre più diretto

allo sviluppo unitario di tutti i fattori della prestazione e questa è

la ragione principale per cui la preparazione fisica del calciatore

deve essere effettuata fondamentalmente con la palla.

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FORMAZIONE E ISTRUZIONE TECNICATECNICA

ell’aprile scorso si è tenuto

presso il Centro Tecnico di

Coverciano un dibattito sulla

salute del calcio italiano a li-

vello di campionato naziona-

le e di competizioni interna-

zionali, in occasione dell’as-

segnazione della “Panchina d’oro e d’ar-

gento” riconoscimenti attribuiti, come no-

to, rispettivamente a Fabio Capello e Gio-

vanni De Biasi.

Nei vari interventi dei dirigenti e tecnici fe-

derali, nonché degli allenatori professioni-

sti presenti, è stato evidenziato il malesse-

re sia a livello economico che tecnico che

sta attraversando il nostro calcio.

A distanza di pochi mesi le grosse difficol-

tà palesate da diversi club e le aspettative

disattese a tutti i livelli dalle nostre nazio-

nali, hanno senz’altro contribuito ad acui-

re questo malanno.

Senza entrare nel merito degli aspetti eco-

nomici che ci riguardano indirettamente,

corre il dovere di esaminare e possibil-

mente porre rimedio a tutte quelle defi-

cienze tecniche già individuate nel suddet-

to incontro di Coverciano.

Spogliamoci quindi della veste dei più bra-

vi, che abbiamo indossato per molto tem-

po, e con la dovuta umiltà facciamo un

esame critico senza tuttavia rimanere vit-

tima di eccessivi pessimismi.

Rifuggiamo, sia a livello nazionale che in-

ternazionale, da tutti quegli alibi che fan-

no risalire i risultati negativi alla presunta

debolezza del potere politico ed agli erro-

ri arbitrali, ed esaminiamo invece gli

aspetti tecnici e tattici che hanno determi-

nato la flessione del nostro calcio.

Nell’apprendimento della tattica, per

esempio, ha preso sempre più piede l’esi-

genza di addestrarsi a rompere anziché a

costruire il gioco, attribuendo quindi

grandissima importanza alla riconquista

della palla.

Qualche tempo addietro, ciò era prerogati-

va dei club privi di risorse economiche e

pertanto impossibilitati ad avvalersi di

giocatori particolarmente dotati sul piano

tecnico. Per competere con le squadre più

blasonate, i rispettivi allenatori erano co-

stretti ad aguzzare il loro ingegno operan-

do soprattutto sull’aspetto difensivo.

Ma quando si è constatato che è più faci-

le andare in gol dopo aver riconquistato la

palla con gli avversari sbilanciati e sorpre-

si, anziché con il gioco manovrato ed arti-

colato, anche le squadre d’élite si sono

MENO PALESTRA E PIÙ TECNICAdi Roberto Clagluna

N

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adeguate a questa tendenza con atteggia-

menti difensivi sempre più organizzati, la

cui massima espressione si è concretizzata

nei raddoppi di marcatura, nella pressione,

e nel pressing, intendendo per pressione

l’azione individuale e per pressing quella

di un reparto o dell’intera squadra.

Tutto questo, naturalmente, a scapito del-

lo spettacolo e della qualità del gioco. An-

che sotto l’aspetto tecnico è necessario re-

citare qualche “mea culpa”.

Da qualche tempo a questa parte, se è ve-

ro che è stato svolto con molto scrupolo il

lavoro attinente alla preparazione fisica,

non altrettanto è stato fatto per l’adde-

stramento della tecnica, con il risultato

che Paesi notoriamente inferiori a noi sot-

to il profilo tecnico, ci hanno nettamente

sopravanzato sotto questo aspetto.

Se si sottraesse, ad esempio, nei program-

mi di allenamento una mezz’ora al lavoro

di palestra, di cui forse ultimamente si è

troppo abusato, a favore di una seduta di

tecnica, riferendosi non solo a quella dei

fondamentali ma anche a quella in situa-

zione (tecnica applicata) se ne trarrebbero

sicuramente notevoli vantaggi.

A questo proposito, assai significativo è ri-

sultato l’intervento di Carlo Mazzone, a

cui il Settore Tecnico ha assegnato, nella

passata edizione, un meritatissimo premio

alla carriera.

Il tecnico romano, ha infatti asserito che si

sta giocando un brutto calcio perché ab-

biamo impoverito le qualità tecniche dei

centrocampisti, ora quasi esclusivamente

dediti a “rubar palla”, e le capacità degli

esterni non più in grado di saltare il pro-

prio avversario.

“Le tattiche esasperate”, aggiunge Mazzo-

sono in grado di costruire ed in nostri at-

taccanti palesano difficoltà nell’effettuare

un dribbling.

Cerchiamo allora di dedicare molto più

del nostro tempo all’addestramento del

singolo, e una volta individuatone il ruo-

lo più congeniale (nella fascia di età Al-

lievi - Primavera), operiamo in maniera

specializzata.

Confrontiamoci e prendiamo esempi an-

che dagli altri Paesi. Se Francia, Spagna ed

ultimamente anche Germania ed Inghilter-

ra hanno fatto passi da gigante a livello

giovanile ci sarà pure una ragione!

Sarà quindi compito dei nostri istruttori ri-

volgere tutto il loro impegno verso un la-

voro tecnico qualificato affinché quanto

prima si ponga fine all’attuale malessere.

ne confermando in maniera colorita quan-

to sopra espresso, “sono il pane dei poveri

mentre la tecnica è il pane dei ricchi”.

Anche nell’attività del settore giovanile si

è data troppa importanza alla tattica e al-

la preparazione fisica trascurando l’adde-

stramento tecnico.

Forse in questo settore si risente ancora

fin troppo l’influenza del calcio olandese

degli anni settanta che, dovendo esprime-

re un gioco totale, si doveva avvalere di

calciatori universali. Per diversi anni i no-

stri istruttori giovanili hanno continuato

ad impegnarsi nella formazione di questo

prototipo di calciatore trascurando la spe-

cializzazione e il lavoro sul ruolo.

Ecco perché i nostri difensori non sanno

più marcare, i nostri centrocampisti non

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30

FORMAZIONE E ISTRUZIONE TECNICAPREPARAZIONE ATLETICA

’obiettivo che si intende raggiungere con questo

studio è quello di verificare sperimentalmente lo

stato di idratazione post gara in una squadra di

calcio a seguito di reidratazione volontaria da par-

te degli atleti.

Dall’analisi dei dati ottenuti si dovrà stabilire se gli

atleti hanno una buona educazione ad integrare i li-

quidi persi durante una gara o è necessario controllare tale as-

sunzione in modo da evitare che si possa arrivare ad una diminu-

zione della capacità di termoregolazione dell’organismo e ad un

conseguente calo della prestazione.

Occorre precisare che per questo studio è stato preso in esame

esclusivamente il lasso di tempo che va da due ore prima della

gara alla fine della stessa. Risulta quindi evidente che nel valu-

tare lo stato di idratazione non si è tenuto conto di tutto ciò

che non rientra nel periodo di tempo considerato (per es. l’ali-

mentazione).

Questa scelta è stata fatta perché l’applicazione di questo studio

e le conclusioni che se ne trarranno dovranno permettere allo

staff tecnico e medico di intervenire concretamente sugli atleti

dal momento che sono a completa disposizione, mentre occorre

confidare nella professionalità dei giocatori nel seguire quotidia-

namente i consigli alimentari loro suggeriti.

La prima considerazione per valutare lo stato di idratazione post

gara va fatta sulle modalità e i tempi di svolgimento delle partite.

Nel calcio ci sono due tempi da 45’ e l’unico intervallo di 15’ è fra

il primo e il secondo tempo.

Date le dimensioni del campo, anche durante le interruzioni del

gioco, non è agevole per tutti avvicinarsi a bordo campo per bere.

Si ricorda, inoltre, che è vietato dal regolamento l’uscita dei cal-

ciatori e/o l’ingresso di chiunque sul terreno di gioco, se non die-

tro autorizzazione dell’arbitro.

ANALISI DEI RISULTATIDOPO LA REIDRATAZIONE VOLONTARIA

Dall’analisi dei dati raccolti nella tabella 1 risulta evidente che si

è avuto un calo medio di kg 1,295 , che in percentuale rappre-

senta l’1,78 del peso corporeo.

C’è da aggiungere che in alcuni calciatori, soprattutto fra i difen-

sori e i centrocampisti, il calo ha superato il 2%, infrangendo quel

limite entro cui è necessario rimanere per non pregiudicare la ca-

pacità di termoregolazione, e quindi la prestazione.

Per questi motivi si è ritenuto di dover intervenire controllando la

reidratazione attraverso un protocollo che tenesse conto dei dati

raccolti, del ruolo e dei risultati degli esami ematici.

CONSIDERAZIONI E SUGGERIMENTIDOPO LA REIDRATAZIONE VOLONTARIA

Prima di definire un protocollo per la reidratazione sono stati fatti

degli approfondimenti, sia con esami ematici, volti a verificare even-

tuali perdite di elettroliti, sia evidenziando differenze fra i ruoli.

Per ciò che concerne gli esami ematici (vedi tabelle 2 e 3) sono

stati effettuati due prelievi 30 minuti prima della gara ad un di-

fensore e ad un attaccante.

Durante la partita i giocatori sono stati lasciati liberi di bere a lo-

ro piacimento, e alla fine sono stati effettuati nuovamente i pre-

lievi sugli atleti presi in considerazione.

In entrambi i casi non ci sono state perdite di elettroliti tali da giu-

stificare una integrazione, nonostante il calo ponderale del difen-

sore fosse tra i più elevati.

Per maggior chiarezza si riportano nelle tabelle 2 e 3 i dati rela-

tivi ai due soggetti esaminati.

DISIDRATAZIONE INDOTTADA ESERCIZIO FISICO NEL CALCIOConfronto sperimentale trareidratazione volontaria e controllatadi Vincenzo Pellicani*

*Preparatore atletico. Allenatore di Base.

L

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Tabella 1: dati relativi alla reidratazione volontaria nel calcio.

atleta ruolo altezza età peso pre BMI peso post calo in Kg calo in %

1 C 1,72 18 62,300 21,06 61,100 1,200 1,932 C 1,76 27 73,900 23,86 72,200 1,700 2,303 D 1,74 22 75,700 25,00 73,400 2,300 3,044 C 1,75 28 62,500 20,41 60,900 1,600 2,565 A 1,75 20 69,900 22,82 67,700 2,200 3,156 D 1,86 24 80,400 23,24 78,200 2,200 2,747 C 1,75 19 66,400 21,68 65,200 1,200 1,818 D 1,75 18 71,100 23,22 69,500 1,600 2,259 P 1,83 20 76,200 22,75 75,100 1,100 1,4410 A 1,71 20 61,400 21,00 60,900 0,500 0,8111 A 1,71 17 61,000 20,86 60,600 0,400 0,6612 P 1,76 28 86,700 27,99 85,700 1,000 1,1513 D 1,75 18 75,700 24,72 73,900 1,800 2,3814 A 1,83 20 79,300 23,68 78,600 0,700 0,8815 D 1,77 18 76,900 24,55 75,500 1,400 1,8216 D 1,78 17 76,400 24,11 74,000 2,400 3,1417 C 1,74 19 58,300 19,26 57,100 1,200 2,0618 D 1,79 21 75,400 23,53 73,200 2,200 2,9219 A 1,75 22 74,800 24,42 72,900 1,900 2,5420 C 1,76 21 74,000 23,89 72,300 1,700 2,3021 D 1,82 20 83,100 25,09 81,100 2,000 2,4122 D 1,74 20 71,500 23,62 70,700 0,800 1,1223 A 1,80 20 62,600 19,32 61,400 1,200 1,9224 D 1,78 17 75,800 23,92 74,800 1,000 1,3225 C 1,78 33 69,800 22,03 68,600 1,200 1,7226 A 1,85 19 79,600 23,26 79,100 0,500 0,6327 D 1,78 23 76,800 24,24 76,200 0,600 0,7828 D 1,79 21 74,000 23,10 73,300 0,700 0,9529 C 1,75 28 63,300 20,67 62,600 0,700 1,1130 D 1,82 26 80,200 24,21 78,600 1,600 2,0031 A 1,75 22 74,500 24,33 73,700 0,800 1,0732 D 1,74 21 74,200 24,51 72,800 1,400 1,8933 C 1,78 24 74,900 23,64 73,000 1,900 2,5434 D 1,75 18 69,600 22,73 68,700 0,900 1,2935 C 1,75 19 66,900 21,84 66,000 0,900 1,3536 P 1,83 20 75,700 22,60 74,800 0,900 1,1937 D 1,82 20 82,500 24,91 81,700 0,800 0,9738 C 1,83 19 75,400 22,51 74,000 1,400 1,8639 D 1,76 18 76,700 24,76 76,100 0,600 0,7840 C 1,76 27 74,400 24,02 72,600 1,800 2,4241 A 1,71 20 59,600 20,38 58,500 1,100 1,85

medie 1,77 21 72,668 23,12 71,373 1,295 1,78

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Per quanto riguarda l’analisi delle differenze per ruoli, i calciatori

sono stati raggruppati in quattro categorie: portieri, difensori,

centrocampisti, attaccanti.

Come si può evincere dalla tabella 4 e dalla figura 1 il calo mag-

giore, in percentuale sul peso corporeo, si è avuto nei centrocam-

pisti, seguiti dai difensori, dagli attaccanti, ed infine nei portieri.

E’ curioso notare che, se si analizza il calo in kg, chi mediamente

ha perso di più sono i difensori, seguiti dai centrocampisti, dagli

attaccanti e dai portieri. La spiegazione di ciò sta nel fatto che i

difensori hanno una struttura fisica più possente (quindi sono più

pesanti) e di conseguenza hanno un calo maggiore, se espresso in

kg, ma tale calo rappresenta una percentuale inferiore del peso

corporeo rispetto ai centrocampisti.

FORMAZIONE E ISTRUZIONE TECNICAPREPARAZIONE ATLETICA

Tabella 2

DIFENSORE Peso Kg Sodio mEq/l Potassio mEq/l

PRIMA 75.700 142 4.44

DOPO 73.400 144 4.24

Tabella 3

ATTACCANTE Peso Kg Sodio mEq/l Potassio mEq/l

PRIMA 79.300 142 5.39

DOPO 78.600 142 4.66

Tabella 4: dati relativi alla reidratazione volontaria nel calcio. I giocatori sono stati raggruppati per ruolo (P=portiere; D=difensore;C=centrocampista; A=attaccante).

calo kg P calo % P calo kg D calo % D calo kg C calo % C calo kg A calo % A

1,100 1,44 2,300 3,04 1,200 1,93 2,200 3,15

1,000 1,15 2,200 2,74 1,700 2,30 0,500 0,81

0,900 1,19 1,600 2,25 1,600 2,56 0,400 0,66

1,800 2,38 1,200 1,81 0,700 0,88

1,400 1,82 1,200 2,06 1,900 2,54

2,400 3,14 1,700 2,30 1,200 1,92

2,200 2,92 1,200 1,72 0,500 0,63

2,000 2,41 0,700 1,11 0,800 1,07

0,800 1,12 1,900 2,54 1,100 1,85

1,000 1,32 0,900 1,35

0,600 0,78 1,400 1,86

0,700 0,95 1,800 2,42

1,600 2,00

1,400 1,89

0,900 1,29

0,800 0,97

0,600 0,78

1,000 1,26 1,429 1,87 1,375 2,00 1,033 1,50 medie

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PROTOCOLLO ADOTTATOPER IL REINTEGRO IDRICO CONTROLLATO

Dall’analisi dei risultati ottenuti con il peso e gli esami ematici pre

e post gara si evince che nel calcio sarebbe utile controllare, so-

prattutto per centrocampisti e difensori, il reintegro idrico, mentre

risulta essere del tutto superflua l’integrazione di sodio e potas-

sio, considerato che anche nei soggetti con un maggior calo pon-

derale non si verificano perdite di tali elettroliti.

Una corretta strategia di reintegro deve svilupparsi in tre mo-

menti: prima, durante e dopo la gara.

Il protocollo adottato per verificare se si riesce a migliorare lo sta-

to di idratazione è il seguente:

6 ml/kg di massa corporea da assumere in modo frazionato nei

trenta minuti precedenti la gara e, quindi, durante il riscaldamento.

La pre-idratazione non può avere inizio prima perché ciò po-

trebbe provocare lo stimolo alla diuresi durante la partita, men-

tre quando l’acqua viene assunta nell’intervallo di tempo indi-

cato, e quindi quando ha inizio l’attività fisica, si ha sia la libe-

razione di sostanze ad azione anti diuretica che la riduzione del

flusso ematico renale.

Durante la partita la frequenza ed il volume dei rifornimenti va-

rieranno in base alle condizioni ambientali e al calo di peso indi-

viduale verificatosi in controlli precedenti.

In questo caso, visti i risultati medi (vedi tabelle 1 e 4), si è fatta

una differenziazione per ruoli:

• centrocampisti e difensorifi 200ml di acqua ogni 15 min. per un

totale di 1200ml;

• portiere ed attaccantifi 150ml di acqua ogni 15 min. per un to-

tale di 900ml.

Il controllo del peso di ogni singolo calciatore è avvenuto prima

dell’inizio del riscaldamento ed immediatamente dopo la gara

(per tutti coloro che hanno giocato 90 min.).

Ovviamente l’azione di reintegro non deve concludersi al termine

della gara ma continuare anche dopo fino al recupero del peso ed

al ripristino della diuresi.

ANALISI DEI RISULTATIDOPO LA REIDRATAZIONE CONTROLLATA

Il controllo della reidratazione, seguendo il protocollo di cui si è

parlato in precedenza, è stato fatto su tutti gli 11 calciatori di una

squadra militante nel campionato di Eccellenza pugliese che

prendeva parte ad una gara ufficiale svoltasi in data 25/11/2001

alle ore 14,30. La temperatura era di 15°C e l’U.R. 76%.

L’avvio del riscaldamento e della pre-idratazione è iniziato alle

14,00.

Analizzando i dati raccolti ed esposti nella tabella 5 risulta evi-

dente che lo stato di idratazione a fine gara è nettamente mi-

gliorato rispetto a quello riscontrato quando la reidratazione era

stata lasciata alla discrezione del calciatore.

Infatti il calo medio in kg è passato da circa kg 1,300 ( nel ca-

so di reidratazione volontaria ) a kg 0,791 ( con reidratazione

controllata ), mentre quello in percentuale è sceso dall’ 1,78

all’ 1,07.

Quest’ultima percentuale non rappresenta un rischio sia per la sa-

lute dell’atleta sia per la prestazione, e sta ad indicare che il pro-

tocollo adottato ha raggiunto l’obiettivo prefissato.

Tutto ciò considerando, ovviamente, le condizioni climatiche ed

individuali presenti al momento della gara.

Il miglioramento dello stato di idratazione interessa tutti i calcia-

tori, in qualunque ruolo essi giochino (confronta tab. 4 con tab. 6

e figura 1 con figura 2).

Figura 1

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Oltre ai dati oggettivi raccolti è stato chiesto ai calciatori se l’i-

dratazione, sicuramente superiore a quella a cui erano abituati,

avesse causato loro fastidi, e la risposta è stata negativa per qua-

si tutti.

CONSIDERAZIONI E SUGGERIMENTIDOPO LA REIDRATAZIONE CONTROLLATA

Innanzitutto occorre dire che si ritiene necessario il controllo del-

la reidratazione nel calcio visto che il miglioramento è evidente.

A questo va aggiunto che spesso si gioca in condizioni meno fa-

vorevoli dei 21°C e dei 15°C riscontrati quando è stato fatto lo

studio. Per ciò che concerne il senso di pesantezza denunciato

da un calciatore si potrebbe porre rimedio abituando gradual-

mente l’atleta ad assumere maggiori quantità di acqua e, ma-

gari, per migliorarne l’assorbimento sciogliendo in essa il 2% di

carboidrati.

FORMAZIONE E ISTRUZIONE TECNICAPREPARAZIONE ATLETICA

Tabella 5: dati relativi alla reidratazione controllata nel calcio. Per ulteriori dettagli vedi la tabella in appendice.

atleta ruolo altezza età peso pre BMI peso post calo in Kg calo in %

1 P 1,83 20 78,700 23,50 78,300 0,400 0,51

2 D 1,74 22 75,400 24,90 74,700 0,700 0,93

3 D 1,86 24 77,400 22,37 76,900 0,500 0,65

4 D 1,82 26 79,800 24,09 78,100 1,700 2,13

5 D 1,74 19 62,900 20,78 62,800 0,100 0,16

6 C 1,75 28 61,700 20,15 61,100 0,600 0,97

7 C 1,77 21 77,400 24,71 76,100 1,300 1,68

8 C 1,75 19 62,800 20,51 62,100 0,700 1,11

9 C 1,76 27 73,700 23,79 72,800 0,900 1,22

10 A 1,75 22 74,400 24,29 73,100 1,300 1,75

11 A 1,83 20 80,500 24,04 80,000 0,500 0,62

medie 1,78 23 73,155 23,01 72,364 0,791 1,07

Tabella 6: dati relativi alla reidratazione controllata nel calcio. I giocatori sono stati raggruppati per ruolo (P=portiere; D=difensore;C=centrocampista; A=attaccante).

calo kg P calo % P calo kg D calo % D calo kg C calo % C calo kg A calo % A

0,400 0,51 0,700 0,93 0,600 0,97 1,300 1,75

0,500 0,65 1,300 1,68 0,500 0,62

1,700 2,13 0,700 1,11

0,100 0,16 0,900 1,22

0,400 0,51 0,750 0,97 0,875 1,25 0,900 1,19 medie

Figura 2

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La difficoltà maggiore è stata, comunque, quella di riuscire a far

bere a tutti gli atleti le quantità stabilite agli intervalli previsti.

Per come è strutturata una partita di calcio attualmente, il proto-

collo prestabilito sarebbe quasi impossibile da applicare.

Si ritiene che ciò possa incidere negativamente sulla salute del-

l’atleta e quindi sulla sua prestazione.

Per questi motivi è auspicabile che le partite di calcio si svolgano

con diverse modalità.

La proposta è quella di due tempi effettivi da 30 min. con un in-

tervallo di 15 min. e la possibilità di chiedere un time out di 2 min.

per ogni tempo e per ciascuna squadra.

Si ritiene che ciò produrrebbe effetti benefici sulla condizione psi-

co-fisica dell’atleta e di conseguenza sulla sua prestazione.

C’è da aggiungere che anche molti tecnici professionisti hanno

avanzato la proposta di inserire il time out in modo da poter ap-

portare modifiche tattiche alla squadra prima dello scadere degli

attuali 45 min. .

Inoltre il tempo effettivo eviterebbe molte simulazioni di infortu-

nio e tutte le altre perdite di tempo, oggi abituali in ogni partita,

da parte dei calciatori della squadra soddisfatta del risultato ac-

quisito fino a quel momento.

Le modifiche proposte non sembra snaturino il gioco del calcio, an-

zi lo renderebbero più interessante e vivace fino all’ultimo secondo.

In conclusione si può dire che :

“se fossimo in grado di fornire a ciascuno la giusta dose di nutri-

mento ed esercizio fisico, né in difetto né in eccesso, avremmo

trovato la strada per la salute” ( IPPOCRATE 460-377 a.C.)

e, a mio giudizio, anche per uno spettacolo migliore.

Tabella 7: riepilogo dei dati relativi alla reidratazione volontarianel calcio.

n° atleti esaminati 41

Campionato Eccellenza Pugliese

Ora d’inizio della gara 14.30

Luogo della gara Campo sportivo di Ruvo di Puglia

Tempo medio giocato 90’

% umidita’ relativa 65

Temperatura 21° c

Acqua utilizzata Oligominerale

Bilancia utilizzata Tanita tbf 401 a

Laboratorio analisi Azienda Unità Sanitaria Locale diRuvo di Puglia

Tabella 8: riepilogo dei dati relativi alla reidratazione controlla-ta nel calcio.

n° atleti esaminati 11

Campionato Eccellenza Pugliese

Ora d’inizio della gara 14.30

Luogo della gara Campo sportivo di Ruvo di Puglia

Tempo medio giocato 90’

% umidita’ relativa 76

Temperatura 15° c

Acqua utilizzata Oligominerale

Bilancia utilizzata Tanita tbf 401 a

Sostanze disciolte nell’acqua oligominerale utilizzataper il reintegro

Anidride carbonica libera alla sorgente 32.00 mg/l

Silice 16.70 mg/l

Bicarbonati 85.40 mg/l

Cloruri 16.32 mg/l

Solfati 6.20 mg/l

Sodio 15.30 mg/l

Potassio 1.39 mg/l

Calcio 9.20 mg/l

Magnesio 7.03 mg/l

Fluoro 0.45 mg/l

Litio 0.01 mg/l

Iodio 0.001 mg/l

Nitrati 2.20 mg/l

Nitriti Assenti

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FONDAZIONE«MUSEO DEL CALCIO»PERSONAGGI

a detto Alberto Sordi: “Se

oggi dovessi rifare il presi-

dente del Borgorosso Foot-

ball Club sarei in gravi diffi-

coltà perché il mondo del

calcio è cambiato. Purtroppo

non ci sono più i presidenti-

papà di una volta.Mi riferisco a personag-

gi come Rizzoli per il Milan, Moratti senior

per l’Inter, Agnelli per la Juve “.

Andrea Rizzoli appunto, un mecenate co-

me tutti i presidenti di una volta, che ama-

va definirsi non un “tifoso” bensì uno

“sportivo”, ha sempre creduto in una So-

cietà calcistica che impartisse rigorose le-

zioni di morale, di comportamento, desti-

nate alle coscienze degli spettatori ed il ri-

spetto che si deve portare al giocatore che

giochi da questa o da quella parte (vin-

centi e perdenti).

Le storie personali dei presidenti non so-

no mai uguali e Rizzoli è stato protagoni-

sta sulla scena del calcio per dieci anni.

Impegnato a continuare la storia del Mi-

lan, si è trovato benissimo nella realtà del

momento adeguandosi perfettamente agli

scenari dello sport più bello del mondo,

assicurandosi il successo con giuste intui-

zioni, lui che era un neofito del football. E’

stato in realtà un abile architetto dotato

di ingegno, attento, sensibile al punto di

unire alla concretezza dei fatti la compo-

nente visiva. Rizzoli non voleva che si

stravincesse, che si maramaldeggiasse

perché, diceva, “non fa parte dello stile del

Milan e perché bisogna saper vincere per

saper perdere”.

Stagione sportiva 1958-59:il Milan con-

quista il suo nono scudetto. Nella prece-

dente stagione la squadra rossonera si era

classificata al nono posto, sotto la guida di

“Gipo” Viani, pur esaltando i suoi tifosi

per le imprese in Coppa dei Campioni ed

disputando la finale, perdendola, contro il

Real Madrid di Di Stefano. Alcuni giorni

dopo questa partita, assunsi la direzione

tecnica della squadra rossonera per dispu-

tare le qualificazioni in Coppa Italia ed an-

dare in tournee in Sud America. Ero stato

ingaggiato in Aprile, con un contratto

biennale, sapendo già che alla scadenza

del secondo campionato me ne sarei an-

dato perché Rizzoli teneva un tecnico non

più di due anni. Rocco, che pure aveva vin-

to, dovette andarsene al Torino per poi ri-

entrare al Milan con Carraro presidente.

“Lei è l’unico responsabile. Viani è il diret-

tore sportivo” mi disse subito Rizzoli. Il

presidente pretendeva la massima discipli-

na ed il rispetto della divisa sportiva: i cal-

zettoni allacciati appena sotto il ginoc-

chio, niente maglietta fuori dai pantalonci-

ni, tutti al centro del campo appena finita

la gara, vinta, persa o pareggiata che fos-

se, a salutare il pubblico. Le penalità erano

elevate per gli inadempienti.Il reparto me-

dico era formato da undici medici di cui

due psicologi. Alla guida di questo impor-

tante reparto c’era il prof.Borselli. I medici

erano in grado di fornire lo stato di salute

di tutti i giocatori e, dopo i rilevamenti

eseguiti col metodo Knipping,che riscon-

tra il debito d’ossigeno sotto sforzo e

quindi la tabella di marcia settimanale su

cui basare l’allenamento individuale. Co-

sicché io ed il preparatore atletico (Van

Zandt, un uomo di colore alto circa due

metri, proveniente dai marines americani

e che aveva portato, si può dire, lo sport

della pallacanestro in Italia)potevamo pro-

grammare gli allenamenti settimanali.

Eravamo sul finire degli anni Cinquanta,

l’importanza degli psicologi la potei ri-

scontrare allorché li invitai a portare a ce-

na un giocatore che era stato piuttosto in-

disciplinato e che andava, quindi, punito.

C’era da stabilire come avrei dovuto com-

portarmi con lui. Conclusione:”Basta il ri-

chiamo verbale, altrimenti finisce per per-

derlo per sempre.Se ne torna da dove è

venuto”.

L’ambiente, comunque, era sempre tran-

quillo: Schiaffino e Liedholm facevano

scuola. Se si perdeva non si creavano si-

tuazioni difficili e nemmeno ci si esaltava

in caso di vittoria. Nell’anno in cui vin-

cemmo il campionato, dopo un inizio fol-

gorante, perdemmo a Vicenza soprattutto

sul piano tattico. La colpa era mia, e pen-

sare che ero ritenuto un buon tattico! De-

ANDREA RIZZOLI:UN PRESIDENTE DI GRANDE INGEGNOdi Luigi “Cina” Bonizzoni*

H

* Direttore Tecnico

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luso per la sconfitta ma, soprattutto, per

l’intrigo tattico in cui ero caduto, il matti-

no dopo mi recai in sede abbastanza pre-

sto. Avendomi visto piuttosto pensieroso,

la segretaria, la signorina Pinuccia, pensò

di avvisarne il presidente il quale si preci-

pitò in sede accompagnato dai tre vice, il

dr. Spadaccini, il dr. Girolamo Carraio e

l’avvocato Polverini. Le sue prime parole

furono:”Perché se la prende tanto, non

abbiamo mica perso la guerra”. Poi mi

chiese i miei impegni per l’ora di pranzo e,

saputo che non ne avevo, mi disse: “Avvi-

si sua moglie che viene a pranzo con noi”.

Quella che seguì fu una settimana indi-

menticabile durante la quale mi sentii or-

goglioso d’essere al Milan e di battermi

per le sue fortune. Dal lunedì al venerdì

continuammo a pasteggiare a champa-

gne, in compagnia dei vicepresidenti e del

prof. Borselli. Dopo alcuni mesi chiesi a

Rizzoli quando avremmo nuovamente ce-

nato insieme e questa fu la risposta:

“Quando perderà di nuovo, adesso il suo

morale è alto”.

Ogni lunedì e venerdì ci si riuniva in sede

col presidente, il responsabile del reparto

medico ed il preparatore atletico. Definivo

questa riunione “l’ammasso dei cervel-

li”.Ognuno era autorizzato ad invadere il

campo altrui perché, secondo Rizzoli, per

poter giungere ad un sincero accordo tra

tutti occorreva parlare uno stesso linguag-

gio. Lo scopo era quello di progredire e di

commettere il minor numero di errori e fu

proprio attraverso questi colloqui che, co-

me vedremo, nacque l’idea di realizzare un

Centro Tecnico a Carnago, vicino a Vare-

se,chiamato Milanello.

Il sottoscritto rimaneva comunque l’unico

responsabile decisionale della

conduzione tecnica della squa-

dra. Alla vigilia di una gara di

campionato, il professor Borselli

mi riferì che i test effettuati sul

giocatore Ochetta erano risultati

pessimi. Risposi che il mio “oc-

chio clinico”, invece, mi diceva il

contrario e quindi lo feci giocare

a Trieste. La prestazione risultò

però negativa. Il lunedì successi-

vo dovetti riconoscere di aver

commesso un errore e Rizzoli mi

disse: “Vorrà dire che, da oggi,

darà meno credito al suo “occhio

clinico” e più valore a quelli esa-

mi clinici che stabiliscono le con-

dizioni fisiche di un atleta”.

Rizzoli decise di affidare alla cure

di un pedagogo le forze emergen-

ti. Trapattoni, Noletti, Tebbi, Ferra-

rio, Pelagalli, tutti i giovani che allenavo

con la prima squadra perché imparassero

da Schiaffino, Liedholm, Maldini, Altafini

etc. I sopra citati giovani frequentavano

una specie di corso nel quale, tra le altre

cose, studiavano anche una lingua stranie-

ra in quanto, diceva il Presidente: “I gioca-

tori del Milan si recano spesso all’estero e

non sanno nemmeno chiedere un caffè!”.

Andrea Rizzoli non interveniva mai sul

“mercato dei calciatori” e si curava di

mettere ai posti di comando gente predi-

sposta. Agli acquisti c’era Toni Busini,

che suggerì l’acquisto di Schiaffino, il mi-

glior regista mai esistito, quindi “Gipo”

Viani, che esortò per far diventare Rivera

rossonero.

Nasce Milanello. Durante quelle riunioni

serali di cui ho fatto cenno, si discuteva

anche dei problemi inerenti l’organizza-

zione societaria. Quando Rizzoli gettava il

sasso, bisognava essere pronti a racco-

glierlo: “Bisogna mettere a disposizione

dei giocatori e dell’allenatore l’ambiente

più adatto per ben operare”. Egli distribui-

va il lievito della sua intelligenza, del suo

talento costruttivo che era straordinario.

Dopo aver visto la struttura organizzativa

del Racing di Parigi lanciò il suo annuncio.

Un lunedì mi telefonò a casa chiedendomi

quale fosse il mio programma per il pome-

riggio. Quindi fissò l’ora ed il luogo dove

incontrarci.Ci recammo a Cogliate, vicino

a Como.”Andiamo a vedere un terreno do-

ve costruirci un impianto per potersi alle-

nare e per poter dare alloggio ai giocatori

senza venire investiti dalla nebbia”. A Co-

gliate non c’era la nebbia, bensì un castel-

Andrea Rizzoli, presidente dell’A.C. Milan

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lo tutto da ristrutturare. Da lì ci recammo

allora a Carnate e fu qui che Rizzoli volle

costruire gli impianti di Milanello.

Rizzoli ci teneva alle tradizioni, a tutto ciò

che era legato al passato. Il Milan dei tem-

pi andati indossava la maglia con le strisce

rosse e nere e così le volle ripristinare. Ero

al seguito della Nazionale Juniores, che

disputava a Montecarlo un torneo e, sa-

pendo che Rizzoli era lì a pochi chilometri

di distanza, a Cap Ferrat, mi recai a tro-

varlo insieme al professor Mario Ferrari e al

professor Comucci. Fu felicissimo di veder-

mi e mi disse: “Ricorda quando le feci la

proposta di rimanere al Milan, con un con-

tratto di cinque anni, in veste di segreta-

rio?Ebbene, sarebbe ancora lì (si era negli

anni Ottanta) perché lei è un ottimo orga-

nizzatore. Lo diceva anche mio padre, ma

lei ha preferito i campi di gioco”. Mi ricor-

do pure quando, il giorno dopo aver vinto

lo scudetto, mi trovavo in sede, pensieroso

riguardo il mio futuro. Rizzoli arrivò in sede

e mi disse: “Cosa fa qui invece di andare a

festeggiare?”. Gli risposi che pensavo a

come avrei potuto ripetere un tale succes-

so ma mi interruppe: “Faccia l’esame di

tutti i fattori favorevoli, gli autogol, gli sta-

ti di forma particolari, del lavoro fatto in

equipe e vedrà che sarà difficile fare coin-

cidere tutto, direi anzi impossibile”.

Rizzoli se andò dal Milan, ma prima volle

vincere, nella stagione 1962-63, quella

Coppa dei Campioni che nessuna squadra

italiana aveva mai vinto prima d’allora.

Aveva preso in considerazione l’idea del-

l’alternanza, ma sarebbe stato saggio an-

darsene col “gran pavese a riva”, come

dicono i marinai, cioè da vincitore.

Dopo alcuni anni lo rincontrai e mi dis-

se:”Caro Bonizzoni, per fare il presidente

bisogna essere presenti a tempo pieno ed

io questo tempo non l’avevo. Mi creda, ho

vissuto momenti bellissimi, è stata un’e-

sperienza formidabile, s’è vinto molto.

Non creda che questa scelta non mi abbia

addolorato, ho provato lo stesso dolore

che ho avvertito quando sciolsi la “Rizzoli

Calcio” che disputava il campionato di se-

rie C. Allora la decisione fu dovuta al fat-

to che preferii as-

sumere trenta

operai dando lo-

ro da lavorare al-

la Rizzoli. Di cal-

cio non ne voglio

più sapere, anche

se ho imparato

molte cose che

mi sono servite e

mi servono tut-

t’ora nella vita.”

Rizzoli era una

persona molto

chiusa in se stes-

so, ma era anche

uomo di grande

umanità. Allorché

in Argentina la

moneta ebbe una

forte svalutazio-

ne, chiamo Grillo

e gli disse:”Gli

stipendi ed i pre-

mi che le spetta-

no da oggi glieli

darò in dollari e,

a proposito, mi

dica l’entità del

danno che ha su-

bito”. Aveva una grande ammirazione per

i grandi campioni: “L’arte dei giocatori

non va messa mai da parte. I grandi cam-

pioni non dovrebbero mai invecchiare!”.

Invogliava i giocatori a battersi con stile,

“identificare il proprio successo in quello

della società significa acquistare una di-

mensione morale” quella stessa che si ri-

scontrò nel periodo in cui alla presidenza

del Milan c’era Andrea Rizzoli.

FONDAZIONE«MUSEO DEL CALCIO»PERSONAGGI

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QUANDO E COME ALLENARE IN ETÀ PREPUBERE E PUBERE

eter Tschiene (1987), parlando al congresso di Pecs,

affermava che la teoria dell’allenamento giovanile

richiede di essere corretta, non esistendone attual-

mente una definita: “Abbiamo tentativi di un suo

abbozzo che si basano principalmente sulle espe-

rienze pratiche degli allenatori, su nozioni parziali,

su suggerimenti metodologici ricavati dalle scienze

biologiche e pedagogiche”.

In una situazione ancora così incerta cercheremo di offrire alcune

indicazioni agli studiosi della materia.

L’attività motoria e sportiva in età prepuberale ha avuto, in Italia

(negli anni 70), un periodo di grande dibattito e ricerca che ha vi-

sto nascere due opposte proposte:

1. approccio psicomotorio

2. approccio sportivo

Il primo approccio è iniziato negli anni 75- 80 (Vayer, (’73)Le

Boulch (75) e ha avuto per diversi anni una vasta eco soprattutto

nel mondo della scuola. Il bambino che apprende attraverso il

corpo, come l’atleta che inventa azione, prestazione. Questo indi-

rizzo motorio ha valorizzato la “corporeità” e l’espressività del

gesto, ha introdotto il linguaggio del corpo, mutuando via via le

varie tecniche dal mondo del teatro (Grotowski ’68, Moreno ‘73)

, della danza (Stanislavskij ’75), del mimo (Chekov ’53), ecc.

E’ stato un movimento alternativo alla ricerca di nuove strategie

che, sotto il nome di “psicomotricità” ha chiarito i limiti di un con-

cetto dualistico troppo marcato che separava la sfera intellettua-

le da quella corporea. Il limite di questo filone culturale è stato

nella poco attenta analisi dei carichi di lavoro,(nessun testo in-

troduce la componente fisiologica), in una concezione che pro-

lungava il periodo dell’infanzia ben oltre la realtà culturale del pe-

riodo. I meriti sono soprattutto quelli di aver evidenziato, anche al

mondo sportivo, la dignità e la specificità di un’attività motoria

fin dalla scuola materna, di aver convinto la scuola dell’impor-

tanza del corpo, di aver introdotto e valorizzato l’importanza del

gioco e della gioia di muoversi. Il mondo sportivo ha conosciuto

autori come Wallon,(1970), Gratiot, Alphandery Zazzo,(1973) Ge-

sell (1959) e attraverso Ajuriaguerra e Le Camus (1970), Lacan

(1966) l’importanza delle emozioni ed il loro stretto legame nella

funzione posturale e la corporeità in genere.

Il secondo approccio è quello sportivo, quello che cercheremo di

trattare, pieno di difetti e di limiti, stretto tra la ricerca del cam-

pione subito e di modelli troppo spesso mutuati dal mondo dei

grandi. Questo mondo non ha ancora valorizzato la dignità del-

l’essere tecnico ed educatore, veicolo di gioia e di apprendimenti

tecnici, vincolato com’è dal numero, dagli obiettivi da raggiunge-

re. Un esempio può essere sintomatico, da una ricerca fatta dalla

Scuola dello Sport negli anni ’80 è risultato che gli allenatori e pre-

paratori che operano nel mondo giovanile hanno una dimensione

del tempo che inizia col primo giorno di allenamento con il grup-

po e termina alla fine del periodo che in generale non è superiore

ad un anno. Ebbene in questo arco di tempo pensano di dover agi-

re e sviluppare tutto, dimenticando che questo è soltanto un bre-

ve periodo da inquadrare in un piano pluriennale di sviluppo. So-

no presi come da una frenesia che li porta ad accelerare i tempi

proponendo una vasta gamma di stimoli, esaltandosi su risultati

positivi o deprimendosi quando questi non vengono raggiunti;

l’ambiente sociale ( società, famiglie, adulti) non li facilitano.

Sappiamo che in ogni sport, per determinare le tappe for-

mative, prima viene stabilito l’arco di anni nel quale cade

l’età delle massime prestazioni, per poi, con un calcolo al-

l’inverso, si costruisce un modello di suddivisione delle tap-

pe formative.

Martin (1982). Reib ed altri (1993) indicano in 8-10 anni il tempo

necessario nella individuazione e selezione del talento sportivo e

nell’allenamento speciale. E’ chiaro che ad esempio nel pattinag-

gio artistico, nella ginnastica, nel nuoto, atleti che si trovano nel-

P

STATO DELL’ARTE NELL’ALLENAMENTOIN ETA’ PREPUBERE E PUBEREdel Prof. Mario Marella

SCUOLAALLENATORISETTORE GIOVANILE

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SCUOLAALLENATORI

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SETTORE GIOVANILE

l’età dell’adolescenza già svolgono un allenamento di alto livello,

mentre vi sono sport nei quali, alla stessa età, si è ancora a livel-

lo di allenamento giovanile.

Quando parliamo di sport giovanile dobbiamo individuare per lo

meno due piani:

1. quello relativo all’apprendimento del gesto tecnico,

2. quello dei servo meccanismi motori (pianificazione, capacità co-

ordinative e condizionali)

APPRENDIMENTO DEL GESTO

Meinel e Schnabel (1977) hanno individuato le fasi dell’apprendi-

mento della tecnica distinguendole in:

a) prima fase di apprendimento: sviluppo della coordinazio-

ne grezza. Comprende un processo di apprendimento che va dal-

la comprensione del compito motorio fino allo stadio della coor-

dinazione grezza. La comprensione del compito include una prima

comprensione mentale della nuova esecuzione motoria.

b) seconda fase di apprendimento: sviluppo della coordina-

zione fine e comprende il processo di apprendimento che va dal-

lo stadio della coordinazione grezza a quello della coordinazione

fine. Il soggetto riesce ad eseguire il nuovo movimento in modo

aderente al modello tecnico, quasi senza errori, e quindi raggiun-

gere già buone prestazioni

c) terza fase di apprendimento: consolidamento della coor-

dinazione fine e della disponibilità variabile, può definirsi stadio

della“maestria”. L’allievo è in grado di utilizzare efficacemente il

nuovo movimento anche in condizioni difficili e non abituali.

Sul versante dell’apprendimento della tecnica, sono state fatti

molti passi in avanti, anche se spesso prevale il tentativo di tra-

sportare sul piano motorio le metodiche dell’apprendimento sco-

lastico (leggere e scrivere) dimenticandosi che, nei gesti sportivi,

esiste una componente determinante che è il tempo (inteso come

velocità di esecuzione) ed i servo meccanismi (la corporeità). Non

è stato focalizzato che l’apprendimento di un gesto ad una deter-

minata velocità di esecuzione si discosta dall’esecuzione dello

stesso gesto eseguito ad una velocità superiore. La tendenza pe-

dagogica attuale si può riassumere in due fasi:

1) dal semplice al complesso dal lento al veloce:

questa strategia risulta, per certi versi, non particolarmente

precisa e la strada per raggiungere l’apprendimento fine è più

lunga e complessa.

L’applicazione delle neuroscienze si è fermata ai modelli di Sher-

rington (1947). Pribam ed altri (1976) hanno indicato, attraver-

so il modello che va sotto il nome di “tote”, un meccanismo del-

l’organizzazione dell’apprendimento umano in parte diverso dal

precedente. Il modello futuro che dovremo ancora studiarne le

applicazioni e soprattutto gli stimoli capibili, avverrà attraverso

una sequenza motoria in cui l’approccio metodologico deve

tendere alla ricerca fin dal primo momento della:

2) massima precisione nella massima velocità possibile.

La didattica dell’insegnamento basata sui principi che ci proven-

gono dalle neuroscienze, tenderà a proporre degli stimoli com-

prensibili e, di fronte ad una risposta in cui l’obiettivo non è rag-

giunto con successo, la sua riproposizione dovrà cercare, abbas-

sando lo stimolo, di ottenere un feedback positivo. Il principio di

Graham (1980) pone in sequenza il raggiungimento dell’abilità

fine (livello di maestria) attraverso un percorso avanti e indietro

nella scala delle difficoltà suggellato da successi. L’esempio che

riportiamo (Fig.1) riguarda un’abilità di base (lanciare)

La biomeccanica dei gesti motori ha messo in crisi la stessa con-

cezione di “modello di riferimento” inteso come punto di arrivo

di una strategia “ad immagine”, perché ha evidenziato come le

componenti quali il somatotipo, le caratteristiche muscolari e

neuro-muscolari ecc., incidano nella personalizzazione del gesto

facendolo diventare un unicum.

Fig. 1

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Su questo versante c’è ancora molta strada da percorrere, molte

scoperte da fare, un percorso in cui ancora una volta la rivisita-

zione dei progressi scientifici devono essere applicati alla realtà

del campo.

SERVO MECCANISMI MOTORI (LA PIANIFICAZIONE)

Abbiamo identificato tra i numerosi ricercatori che hanno studia-

to la pianificazione dell’attività motoria in età prepuberale e pu-

berale alcuni che ci sembrano più significativi:

a) Bley (1977) propone una periodizzazione che tiene conto del-

le esigenze scolastiche dei bambini scolarizzati.

Fig. 2

La figura 2 indica la strategia proposta con i vantaggi di questa

soluzione. L’autore in questo contesto non tratta delle priorità del-

l’intervento ma solo dei vantaggi di una metodologia che si basa

prevalentemente sulla gara che diventa momento allenante e

motivante. I vantaggi che individua sono:

- con l’inserimento di competizioni per tutto l’anno, l’allenamen-

to diventa più efficace e gradito;

- con le gare è possibile avere il controllo dell’efficacia dei contenuti

- i periodi di allenamento brevi garantiscono sufficienti fasi di re-

cupero e di rigenerazione;

- attraverso le gare si mantiene alta la motivazione. Fig. 3

b) Martin (1980) individua 5 tappe nel processo di allenamento:

1 tappa - età prescolare (fino a 7 anni) giochi creativi svi-

luppo psicomotorio

2 tappa - età scolare ( fino a 10 anni) spazio creativo molti

elementi tecnici rapidità giochi formazione sporti-

va e specifica di base

3 tappa - età scolare (fino a 13 anni) scelta dello sport, au-

mento dei compiti, formazione degli interessi du-

raturi, rapidità forza resistenza mobilità articolare

4 tappa - fase puberale (fino a 15 anni) sviluppo completo

delle qualità motorie, aumento del carico, stabiliz-

zazione del bagaglio tecnico.

5 tappa - fase puberale (fino a 18 anni) allenabilità quasi il-

limitata.

La soluzione proposta dall’autore ha il limite di non aver sottoli-

neato con forza la differenza, specialmente nella fase prepubera-

le, tra età cronologica e quella di sviluppo. Dobbiamo però sotto-

lineare lo sforzo dell’autore nel proporre un processo graduale di

allenamento che tiene conto delle necessità di un approccio che

da estremamente libero e gioioso (con l’obbiettivo principale le-

gato alla creatività/inventiva) si trasforma lentamente verso una

forma sempre più vincolata al sapere tecnico.

c) Achemerov, Geller, Ostrovskij (1982) propone una esperienza

pratica nelle varie tappe di allenamento pluriennale nei giochi

sportivi. Questo modello (fig.3) ci permette di osservare il rap-

porto tra i mezzi ludici e gli esercizi “severamente regolarizza-

ti” nella preparazione fisica e tecnico-tattica dei giovani atleti.

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SCUOLAALLENATORI

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SETTORE GIOVANILE

La strategia di Achemerov e altri, è interessante soprattutto per-

ché evidenzia la necessità di mantenere, anche nell’alta specializ-

zazione, un margine legato alla creatività ludica, quello che

Bersch (1986) individua come momento fondamentale per tra-

sformare le informazioni (esercitazioni regolarizzate) in valori (ri-

elaborazione in forma ludica delle informazioni)

d) Tschiene (1987) afferma che costruire un modello di allena-

mento giovanile significa individuare “principi”, ma soprat-

tutto modelli dell’attività di gara, e cioè caratteristiche fun-

zionali ed antropometriche e del carico di allenamento, con

scale concrete di valutazione.

L’allenamento è basato sulla costruzione di un modello dell’al-

lenamento, sul controllo e valutazione su piani diversi.(Nabat-

nikova 1982) in cui vengono precisati i parametri del volume e

dell’intensità oltre che dei mezzi. L’obiettivo è quello di preci-

sare il carico specifico. Con la formula di Nikitushkin e Malygin

(1987) l’autore tenta di avere la valutazione del carico globa-

le e dell’effetto cumulativo dell’allenamento giovanile. Questo

modello di allenamento presuppone prioritariamente quello

della gara e della prestazione giovanile che si deve costruire.

E’ il principio della programmazione rigida (sedute-microcili-mesoci-

cli- macrocicli) che ha portato negli anni ad un pensiero stereotipa-

to della teoria dell’allenamento e che ora grazie anche a Werchos-

hanskij (1999-2000) si sono individuati i limiti e le imprecisioni.

e) Joch (1992) propone due tappe di allenamento:

1 tappa - allenamento di base: comprende soprattutto lo

sviluppo delle capacità coordinative. L’obiettivo è

dunque l’apprendimento di semplici abilità e com-

binazioni di abilità motorie di vario tipo adattate

al relativo stato di sviluppo

2 tappa - allenamento generale di base: che rende possibile un

ampliamento sistematico del patrimonio di movi-

mento e dell’accumularsi delle più diverse esperienze

motorie. In questo stadio si deve tener presente il

principio del carico progressivo, l’aumento della com-

plessità delle sequenze, della rapidità e precisione.

Il lavoro di Joch pone l’accento sull’adeguamento della program-

mazione allo sviluppo morfologico, alle necessità del ragazzo in

questo periodo della vita così vario e poco classificabile attraver-

so il parametro cronologico

f) Reib (1993) propone tre tappe:

1 tappa - allenamento di base, ha queste finalità:

- formazione di base multilaterale indirizzata verso uno sport

- impiego di contenuti e metodi di allenamento a carattere

generale

- acquisizione delle abilità tecniche di base o delle doti ne-

cessarie per una ampia base di movimenti.

2 tappa - ha questi obiettivi:

- sviluppo e incremento degli obiettivi della prima tappa

- orientamento più specifico dello sport prescelto

- crescente specializzazionedei contenuti e metodi di allena-

mento

- creazione dei presupposti per il passaggio all’allenamento di

alto livello

- aumento del volume e della intensità

3 tappa - allenamento di transizione all’alto livello: questa è

la tappa più dinamica di preparazione di tutto il

processo dell’allenamento. Prevede:

- aumento significativo della capacità di carico

- periodizzazione plurima, accenni alla preparazione imme-

diata alla gara

- consapevolezza nella dinamica tra carico e recupero

- accumulare esperienze con metodi di allenamento non uti-

lizzati (forza resistenza-velocità,ecc.)

- valutazione funzionale e analisi della gara

g) Winter (1995), dopo aver precisato che un fattore di indiscus-

sa importanza della competenza sportiva è il controllo della

tecnica e che questa costituisce l’espressione della “maestria

“, vede nell’accurata formazione coordinativa e nella tecnica

sportiva l’obiettivo principale dell’allenamento sportivo.

Per quanto riguarda gli orientamenti metodologici divide l’ap-

proccio in due tappe:

1. tappa: prepubertà;

2. tappa adolescenza (intesa come prima e seconda fase di

maturazione).

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L’autore si sofferma soprattutto nell’indicare le strategie metodo-

logiche della seconda tappa che suddivide in due fasi:

1° fase puberale: avverte che vi è un ristagno od addirittu-

ra una diminuzione di efficacia dell’utilizzazione del potenzia-

le fisico nella realizzazione del risultato. Di conseguenza

(Djackov 1971) bisognerà ricorrere ad una accentuazione del-

la formazione tecnico-coordinativa dei presupposti della pre-

stazione. Se allora l’allenatore si troverà in queste difficoltà

dovrà considerare che non si tratta di una crisi, ma di un pro-

cesso temporaneo dovuto allo sviluppo. Metodologicamente

dovrà accentuare l’allenamento delle capacità condizionali,

intensificare l’allenamento tattico per formare ulteriori pre-

supposti della prestazione, ritornare su tecniche già acquisite

utilizzandole per accentuare l’addestramento delle capacità

coordinative specifiche.

2° fase puberale: è caratterizzata:

1. dall’evidenziarsi di una differenza tra i sessi;

2. dalla progressiva accentuazione delle caratteristiche indivi-

duali;

3. da una crescente stabilizzazione.

Nei soggetti che hanno un allenamento pluriennale l’occasione è

favorevole per un ulteriore approfondimento delle tecniche e del-

la preparazione fisica mantenendo un processo di individualizza-

zione per le diversità costituzionali dei singoli atleti.

Siamo di fronte all’attualità nella programmazione dell’allena-

mento in età prepubere e pubere. Pur diversificandosi nelle stra-

tegie, la caratteristica comune in quest’ultimi autori sta nella gra-

dualità dell’intervento,nella individualizzazione biologica, nella

specificità dell’allenamento con tutti i suoi alti e bassi,nel rispet-

to dei periodi di sviluppo e di stasi.

CONCLUSIONI

• Obiettivi:

- ricerca della maestria

- sviluppo delle capacità coordinative

• Il gioco è importante per:

- mantenere la motivazione

- il controllo del livello

- il recupero

• Nella seduta - avere sempre uno spazio libero per educare la

creatività

• Età cronologica - porta sempre ad un grave errore di valuta-

zione

• Nel primo periodo della pubertà si può assistere ad

un calo momentaneo della prestazione.

SERVO MECCANISMI (CAPACITÀ COORDINATIVE)

Un fattore di indiscussa importanza della “competenza” sportiva

è il “controllo” della tecnica. Negli sport il livello di controllo del-

la tecnica costituisce la manifestazione specifica della maestria di

un atleta. (Meinel ’87; Schanbel ’87), è per questo che, senza ec-

cezioni, una accurata formazione tecnica sportiva va considerata

tra le componenti principali, irrinunciabili dell’allenamento in tut-

ti gli sport (Winter, ’93). La tecnica, più correttamente può essere

definita come “skill”, si acquisisce attraverso l’apprendimento di

un gesto ma ogni abilità si costruisce sulle capacità motorie, sia

condizionali che coordinative, preesistenti negli individui, sia pu-

re a livelli diversi di espressione, condizionati dall’età, dal grado

di preparazione e di talento. Più basse sono le capacità più diffi-

cile sarà apprendere una nuova abilità od affinarla e renderla dis-

ponibile in situazioni varie. In conclusione le abilità motorie na-

scono sulle capacità coordinative, ma le capacità coordinative

possono essere incrementate solo attraverso una vasta pratica di

un numero elevato di abilità. (Manno ’82)

Definizioni

Che le capacità coordinative siano un problema ancora da chiari-

re lo dimostra la stessa difficoltà nel definirle:

- Meinel ’67 le identificava con l’agilità,

- Zaciorski ’70 ha diviso il complesso della coordinazione motoria

in tratti: abilità (forza resistenza velocità) e considerando (la

flessibilità, l’agilità ), e includendo con quest’ultime (percezio-

ne dello spazio, rilassamento, equilibrio),

- Gundlach ’70 ha separato le abilità motorie in capacità coordi-

native identificando nelle coordinative (gestione e regolazione

del movimento) e le abilità in capacità fisiche (determinate dai

processi energetici),

- Raeder ’70 ha diviso le capacità coordinative in generali ( sono

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SCUOLAALLENATORI

44

SETTORE GIOVANILE

il prodotto di un allenamento multilaterale), speciali (vengono

formate nel quadro della disciplina sportiva),

- Morecki ’71 le ha definite una sinergia di meccanismi fisiologici

che assicurano l’esecuzione di un compito motorio reale e defi-

nito in base al programma motorio,

- Berstein ’75 in una speciale forma di servomeccanismo,

- Schanbel. Meinel ’76 come organizzatrici di azioni motorie,

- Blume’78, Groppler Thiess ’79, Hirtz ’85, Kasa ’83, Schnabel

’74, con differenti caratteristiche, hanno diviso le capacità coor-

dinative in tre gruppi: apprendimento, gestione e regolazione

del movimento,adattamento motorio.

- Hirtz ’81 rappresentano i presupposti di base per tutta una serie

di azioni motorie,

- Hirtz ’85, Willimczuk e Roth ’83 hanno tentato di ordinare le ca-

papcità coordinative in base ad una gerarchia,

- Starosta ’99 partendo dall’idea di Gundlach ha introdotto una

nuova concezione.

a) l’importanza delle capacità coordinative rispetto alle condizionali

b) data la superiorità e la priorità ha mantenuto anche capacità

coordinative che si appoggiavano a capacità fisiche

c) ha mantenuto le 11 capacità fino ad ora classificate,

d) ha aumentato una nuova categoria di abilità motorie miste co-

me la resistenza coordinativa

e) ha reintrodotto l’agilità che influenza l’efficienza di tutte le ma-

nifestazioni

- Starosta (’00) la nozione di capacità coordinative non è ancora

abbastanza precisa, poiché essa può anche essere intesa come

coordinazione interna dell’uomo, che è intramuscolare ed inter-

muscolare, come anche quella esistente tra ogni sistema dell’or-

ganismo umano, come il sistema cardio-vascolare e respiratorio

- Berstein (1967) la coordinazione di un movimento è il processo

per cui si riescono a padroneggiare i gradi ridondanti di libertà

dell’organo in movimento, in altre parole la sua conversione in

un sistema controllabile.

La coordinazione, comunque, è condizionata da fattori genetici

e ambientali che la possono affinare ed esaltare riflettendo in-

direttamente l’efficienza del sistema nervoso e le sue caratteri-

stiche. Poiché sarebbe la capacità di integrare o di organizzare

l’espressione di altre abilità durante le varie attività può essere

chiamata “struttura superiore” (Starosta ’00) o “super

abilità”(Hirtz ’89).

N.B. le definizioni delle capacità coordinative sono tratte da Wlod-

zimierz Starosta.

Classificazione

Differenziazione: E’ la capacità di avere una precisa percezione

di forza, tempo, spazio, nell’esecuzione di attività motorie e nel

considerare le soluzioni più efficaci per l’intero compito motorio

Essa segue il principio del “massimo effetto col minimo sforzo”

La capacità nel modulare la forza Sieczenow ’53 chiama la com-

ponente della percezione della forza “oscuro sentire muscola-

re”altri (Raczek, Mynarski ’91) “sentire la forza”.

La capacità spazio-temporale vengono espresse nel “sentire la

palla”, “sentire il ghiaccio”, “sentire l’avversario” ma anche nel

“sentire la distanza”.

Il “sentire il tempo” che rappresenta la disposizione del movi-

mento nello spazio e nel tempo appartiene ai complessi elemen-

ti che compongono le capacità di differenziazione.

Si riferisce alla coincidenza tra piano (obbiettivo) e risultato del-

l’esecuzione motoria. Prestazioni elevate di precisione sono pos-

sibili solo con un buon funzionamento del sistema di regolazione

del movimento (Lehmann ’83)

Equilibrio: permette il mantenimento di una posizione stabile

del corpo (equilibrio statico), come anche il mantenimento o la ri-

presa della posizione (equilibrio dinamico) durante l’attività o su-

bito dopo la sua effettuazione.

Si divide in statico e dinamico.

L’equilibrio dinamico si suddivide in:

a) permanente- quando viene alterato l’equilibrio e riesce a ritor-

nare all’equilibrio originale. E’ quello normalmente accettato in

molte espressioni motorie

b) indifferente- quando l’equilibrio viene alterato mail corpo lo ri-

trova in una posizione differente. E’ quello che si ritrova nelle

gare in motocicletta, nella vela nel windsurf.

c) instabile- corrisponde allo stadio in cui il centro di gravità cam-

bia di posizione e la sua deviazione provoca uno spostamento

dell’intero corpo ( Wazny ’89). Si ritrova nell’acrobatica, nei sal-

ti dal trampolino, nei tuffi.

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Anche questa capacità coordinativa non è ancora molto chiara

nella sua allenabilità (Guidetti, 1995. Pulejo 1991). In una ricerca

con soggetti normali, ginnasti e nuotatori di 10-11 anni gli auto-

ri hanno potuto verificare che non esistevano differenze significa-

tive nel test sulla postura eretta sia a occhi aperti che chiusi. Ri-

sulta evidente che le strategie nell’equilibrio sono più complesse

dell’immaginabile in quanto i fattori che concorrono e di conse-

guenza le strategie per il mantenimento della postura possono

essere diverse.

Velocità di reazione: permette una veloce esecuzione di un ge-

sto finalizzato (azione) di breve durata, ad un segnale (acustico,

ottico, tattile),in cui partecipa l’intero corpo (reazione globale), o

una parte di esso (reazione locale).

Si divide in:

- semplice- ad un segnale determinato la risposta è univoca. Si

ha nella partenza in una corsa veloce,nella partenza dell’auto

da corsa

- complessa- ad un segnale si deve discriminare e scegliere la ri-

sposta. Si ha nei giochi sportivi, nella scherma, nella lotta.

Negli sport è essenziale per l’esecuzione di movimenti parziali di

singoli processi motori, di combinazioni, di catene di azioni e per

iniziare gli attacchi o difese (Lehmann ’83)

La velocità della reazione semplice,come pure quella complessa,

è condizionata dal punto di vista genetico (Sergienko, Starosta

’98-’00). Winter (1984) indica il periodo di formazione della ca-

pacità di reazione unita alla capacità di eseguire movimenti ad

elevata frequenza, l’arco di età compresa tra i 6/7 anni e gli

11/12, per l’autore non ci sono differenze sessuali.

Orientamento spaziale e temporale: permette di definire la

posizione del corpo, e le modificazioni che si verificano durante lo

spostamento dell’intero corpo ( o una parte),nello spazio e nel

tempo in relazione allo specifico campo di azione (il terreno di

gioco, la sal, la pista, gli attrezzi ginnici), o in relazione all’ogget-

to-soggetto in movimento(palla compagno, avversario), combi-

nando percezione ed azione motoria.

La sua informazione dipende dai vari tipi di informazione. Sono

predominanti le informazioni visive poi quelle cinestesiche e tat-

tili. Condizioni molto complesse si notano nei giochi sportivi in cui

devono essere coniugate: campo/terreno di gioco, ma contempo-

raneamente: palla/avversari/compagni, e tutto questo con una ve-

locità via via sempre crescente.

Ritmizzazione del movimento: permette il riconoscimento, la

riproduzione e l’esecuzione delle modificazioni dinamiche dei mo-

vimenti in un ciclo ordinato e ripetitivo. La nozione del ritmo è di

solito inteso come movimenti che sono uniformi e ripetuti in ba-

se ad uno schema, e che costituisce un’attività definita

E’ tipica degli sport quali la ginnastica, il pattinaggio artistico, ecc.

E’ interessante anche la sua funzione nel determinare quello che

va sotto il nome di “ritmo di gioco” inteso come rapporto tra mo-

vimento individuale e quello dell’intera squadra,o dell’avversario.

Adattamento: permette un’effettuazione del programma ottima-

le di azione, le sue modificazioni in caso di situazioni che mutano

in maniera inaspettata. Queste modificazioni possono essere più o

meno anticipate (giochi sportivi) ma può sorprendere l’avversario.

La diversità ed il rapido cambiamento delle situazioni di gara ri-

chiede una adeguata adattabilità del processo motorio, prima ed

anche durante l’esecuzione ( Lehmann ’83)

E’ tipico negli sport: scii (cambiamento improvviso del fondo) nei

giochi sportivi (cambiamento della situazione tattica e risposta

anomala della traiettoria della palla, dell’avversario ecc.) nella

scherma o lotta (cambiamento di un’azione di risposta o di attac-

co rispetto ad un piano prestabilito ecc. ).

Combinazione dei movimenti: assicura un’organizzazione fi-

nalizzata del movimento che porta all’integrazione dello spazio e

del tempo, alle proprietà dinamiche del movimento e alla loro

subordinazione al compito motorio eseguito da tutto il corpo.

Riguardano quei movimenti facilitanti in preparazione di un gesto

tecnico che ne permettono l’espressione ottimale; ad esempio i

movimenti delle braccia che favoriscono la rotazione nel patti-

naggio artistico o nella ginnastica, ma anche i movimenti delle

braccia che facilitano lo stacco nel salto in lungo ecc.

Simmetrizzazione del movimento: è la capacità di trasferire le

tecniche del movimento da un lato del corpo o una sua parte dal-

l’altro. Richiede la cooperazione (sincinesi) di entrambi gli emi-

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SCUOLAALLENATORI

46

SETTORE GIOVANILE

sferi del cervello, cioè essa avvia (mette in moto) le riserve del si-

stema nervoso centrale.

Starosta nel 1991 ha fatto una scala relativa alla complessità del-

le simmetrizzazione nello sport. La scala va dal più semplice al più

complesso:

mov. gambe/mani con rotazioni del corpo in aria

mov. delle gambe/mani in rotaz. del corpo con contatto mobile

sul terreno

mov. delle gambe/mani in rotazioni del corpo con appoggio sul

terreno

mov. delle gambe e delle mani nella locomozione

movimenti delle gambe e delle mani

movimenti degli arti superiori

movimenti arti inferiori

Suggestione del movimento (espressione): e’ costituita da

un’espressione suggestiva di emozioni suscitate da ritmo, dal

suono e dalla melodia, con l’aiuto di gesti estetici. Questo tipo di

comunicazione non verbale viene chiamata linguaggio del corpo.

E’ importante per tutte quelle discipline in cui al gesto tecnico si

deve trasmettere una emozione che fa aumentare la spettacolari-

tà del movimento.

Rilassamento muscolare: consiste nel rilassamento selettivo di

muscoli o parti di muscoli che non sono coinvolti nel movimento.

Essa è anche costituita dal massimo rilassamento di muscoli im-

pegnati nel movimento e, immediatamente dopo l’esecuzione di

un movimento.

Zaciorski (1970) divide questa capacità in:

- tonico

- veloce

- coordinativo

Anche se discutibile, anche se la capacità di rilassamento combina-

ta a varie forme di tensione è di grande importanza, sia per l’eco-

nomia del gesto, per la sua fluidità e per la precisione. Diventa fon-

damentale negli sport di combattimento che negli sport di squadra.

Cooperazione: consiste nell’unire i propri movimenti a quelli del

partner, nell’anticipare i gesti, e nell’essere capace di modificare

i propri movimenti in maniera adeguata e simultanea.

Più sono i partner più risulta complessa la cooperazione. Questa

cooperazione avviene attraverso un lungo processo di aggiusta-

mento, ma è anche condizionata da aspetti genetici e attraverso

misure tecniche, tattiche e psicologiche integrate.

CAPACITÀ COORDINATIVE NEI VARI SPORT DI SQUADRA

Ogni allenatore o preparatore atletico, a conoscenza dell’impor-

tanza delle capacità coordinative, si chiede quali sono le capacità

da sensibilizzare e che riguardano un determinato sport.

Sicuramente ogni attività sportiva non si può riassumere attra-

verso una sola capacità, come pure non si può disperdere il tem-

po occupandosi di tutte in ugual misura,ma ogni sport ha delle

capacità prioritarie ed altre meno interessate. E’ altrettanto chia-

ro che nel processo di educazione sportiva l’uso di un maggiore

numero di capacità coordinative può garantire una più rapida pa-

dronanza di esercizi complessi tipici degli sport.

Da molti anni si sono fatti molti tentativi nel definire le capacità

motorie. Per utilità di spazio, alleghiamo le proposte riguardanti al-

cuni sport di squadra che Ljach (1995) ha cercato di riassumere.

Certo che questa classificazione lascia molti dubbi sulla scelta di

poche capacità ordinate e considerate primarie, come pure sulla

scala di priorità che le classifica, pur tuttavia può essere un con-

tributo su una tematica che ha ancora molti lati non certi e in par-

te ancora sconosciuti

CALCIOAUTORE CAPACITA’ COORDINATIVE

Gagajewa (’69) Rapidità di reazione- differenziazione – Bril (’90) anticipazione - adattamentoMeier (’82) Rapidità di reazione – orientamento –

differenziazione – adattamento - combi-nazione

Zimmermann (’82) Rapidità di reazione – orientamento –differenziazione - adattamento

Ljach (’94) Rapidità di reazione – orientamento –differenziazione – adattamento - combi-nazione

Marella (98) Rapidità di reazione – orientamento –adattamento – combinazione - coopera-zione

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1. Rapidità di reazione (presente in tutti)

2. Differenziazione (presente per 5 autori)

3. Orientamento (presente in 9 autori come seconda)

4. Adattamento ( presente su 10 autori come quarta )

LE FASI SENSIBILI

Tutti coloro che si interessano di bambini sono certi dell’importan-

za che assume l’intervento motorio in età prepubere. Il problema

però sul che cosa fare ad una età rispetto ad un’altra è altrettan-

to comune. Già Hirz nel (1954) e nel (1979), Martin (1982) aveva-

no introdotto il concetto di “fasi sensibili” indicando periodi in cui

l’organismo del bambino era “preparato” e quindi più sensibile a

determinate sollecitazioni. Il famoso allenatore di pattinaggio a

rotelle M.Obrecht (1982) aveva indicato tra il decimo ed il dodice-

simo anno “l’età migliore per sviluppare le abilità.” Allo stato at-

tuale delle conoscenze, si può affermare che molto probabilmente

esiste una fase sensibile per la formazione delle capacità coordi-

native che va dai 7 agli 11 anni (per le bambine), ai 12 (per i ma-

schi).Ma le possibilità motorie vanno sviluppate attraverso gli

schemi motori di base con i piccoli già in età prescolare in quanto

lo sviluppo del controllo neuromuscolare avviene ai primi anni di

vita. Molti bambini ritenuti maldestri non nascono come tali: lo di-

ventano, perché hanno avuto poche possibilità di svilupparsi au-

tonomamente e perché la loro motricità è stata repressa dall’am-

biente umano che li circondava (Farfel’59; Israel ’76).

Molti autori però nutrono dubbi sull’esistenza di queste fasi. Baur

(1987) aveva dimostrato come fosse possibile ottenere un mi-

gliore successo nell’apprendimento motorio al di fuori dell’età mi-

gliore per l’apprendimento.Altri autori Fetz (1989) Willlimczik

(1999) sono dello stesso parere.

- L’auxologia in questi anni ha dimostrato che esiste una divari-

cazione tra età biologica e cronologica (Hale ’56, Clarke ’71,

Cunning ’72, Stolz 1981, Manila 1988, Nicoletti,1993, Joch, Ha-

senberg ’98, ecc.). Le classificazioni che identificano le “fasi sen-

sibili” attraverso l’età cronologica partono da questo gap risul-

tando quindi molto incerte. Se però rileggiamo i libri di Meinel e

Winter (1960-1987) nell’ottica che questi autori non parlano di

tutto l’arco della vita ma della sola infanzia (fino alla pubertà)

allora potremmo capire in parte quello che asserivano e cioè che

Rapidità di reazione

Differenziazione Orientamento

Adattamento

La difficoltà primaria di questa classificazione sta nel fatto che

negli sport aciclici, e quindi di tutti i giochi sportivi, la scelta del-

le capacità coordinative prioritare diventa quindi approssimativa

e convenzionale. Analizzando i vari autori, ci sembra interessante

fare una sintesi delle capacità coordinative comuni a tutti i giochi

di squadra . La sequenza ordinata per importanza:

HOCKEY SU GHIACCIO AUTORE CAPACITA’ COORDINATIVE

Breza (1985) Rapidità di reazione- orientamento – dif-ferenziazione – connessione –adatta-mento – equilibrio - ritmizzazione

PALLACANESTROAUTORE CAPACITA’ COORDINATIVE

Bril (’80) Rapidità di reazione – differenziazione –combinazione - adattamento

Raczek (’90) Rapidità di reazione – orientamento –differenziazione - adattamento

Ljach ( ’94) Rapidità di reazione – orientamento –differenziazione – adattamento - combi-nazione

PALLAMANOAUTORE CAPACITA’ COORDINATIVE

Zimmermann Rapidità di reazione – differenziazione – (’82,’86) orientamento - adattamentoLjach (’94) Rapidità di reazione – orientamento -

differenziazione – adattamento - combi-nazione

PALLAVOLOAUTORE CAPACITA’ COORDINATIVE

Zimmermann (’82) Rapidità di reazione – differenziazione –Brant (‘85) combinazioneRaczek (’90 Rapidità di reazione – orientamento -

differenziazione – adattamentoLjach (’94) Rapidità di reazione – orientamento - diffe-

renziazione – adattamento- combinazione

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SCUOLAALLENATORI

48

SETTORE GIOVANILE

all’interno di questa parentesi che si chiude con la pubertà ab-

biamo dei momenti facilitanti.

- Le spinte di sviluppo possono anche essere determinate unica-

mente da processi di maturazione. E’ probabile che anche nello

sviluppo motorio avvenga secondo le leggi del sistema per cui de-

vono essere raggiunte certi livelli di capacità prima che sia possi-

bile acquisire nuove capacità o un livello più elevato di capacità

- Le spinte allo sviluppo non sarebbero quindi il prodotto delle

“fasi sensibili”, ma la conseguenza del livello di sviluppo moto-

rio strutturale acquisito ad una certa età.Tutte le capacità mo-

torie possono essere influenzate positivamente per l’intero arco

della vita con processi di allenamento adeguati.

- I percorsi di sviluppo individuale suffragati con indagini longitudi-

nali hanno evidenziato un collegamento diretto tra una stagnazio-

ne del picco di crescita (tipico del periodo immediatamente prece-

dente allo sviluppo puberale) e un peggioramento nella coordina-

zione (Greifswald da Starosta ’90) Questo non significa che in una

fase con evidenti tassi di crescita corrisponda un periodo sensibile.

E’ probabile però che anche nello sviluppo motorio il progresso av-

venga secondo le leggi immanenti al sistema per cui devono esse-

re state raggiunte certe capacità ( o determinanti livelli di capaci-

tà), prima che sia possibile acquisire nuove capacità od un livello

più elevato di queste (Baur 1988). Hirtz e Starosta, (2000) hanno

dimostrato che un intervento coordinativo tra gli 8 ed i 10 anni ha

avuto un successo ben superiore a quello dell’inizio e della puber-

tà. Per altri autori (Stemmler ’77, Hirtz ’76, dal settimo anno all’i-

nizio della pubertà. Se osserviamo l’incremento dell’abilità tecnica,

(Sharma, Wutscherk ’87; Sharma ’91 e ’93; Hirtz ’77) sono concor-

di nello stabilire una stagnazione o addirittura una regressione, ri-

spetto ai livelli raggiunti, durante la fase della pubertà.

CONCLUSIONI

• È probabile che anche nello sviluppo motorio il pro-

gresso avvenga secondo le leggi immanenti al siste-

ma per cui debbano essere state raggiunte certe ca-

pacità prima che sia possibile acquisirne altre

• Le indagini longitudinali hanno evidenziato un colle-

gamento diretto tra una stagnazione del picco di cre-

scita ed un peggioramento nella coordinazione.

SERVO-MECCANISMI (CAPACITÀ CONDIZIONALI)

La forza:

a) Tschiene (1975) Considera la forza veloce il punto di partenza

di ogni allenamento della forza speciale. Anche se per Vercho-

sanskij (1997) le componenti della forza veloce sono già pre-

senti dai quattro agli otto anni. Per l’autore è la capacità tipi-

ca dei giovani fino all’età di 14-15 anni, da questa dipende lo

sviluppo della forza esplosiva, negli sport di tipo aciclico, lo svi-

luppo della resistenza alla forza, lo sviluppo della forza “mi-

sta” nei giochi sportivi e tecnico-compositori.

b) Winter (1987) colloca la fase sensibile della forza rapida e della

forza resistente attorno agli 8 anni. L’autore però avverte che re-

sistenze esterne debbano essere così scarse da rendere possibile

un’elevata rapidità di contrazione o un numero di ripetizioni suf-

ficienti ad ottenere un effetto elementare d’allenamento. Ben di-

verso il discorso diventa nella prima fase della maturazione ses-

suale (11 a 13-14 nelle femmine, 12-13 nei maschi). Nella fase pu-

berale l’allenabilità diventa notevole e negli adolescenti l’aumen-

to della tolleranza del carico risulta più evidente. Di questo stesso

parere sono anche Farfel 1959, Stemmler 1977, Crasselt 1982

c) Baur (1988) in accordo con Carron e Bailey (1974) pone l’alle-

nabilità all’inizio della pubertà (specialmente nei maschi)

d) Viru, Smirnova, Voler,e altri (1996) hanno evidenziato che la

maggiore velocità di sviluppo della forza muscolare nel 12% dei

maschi e nel 40% delle femmine si nota prima del periodo del-

la massima velocità di crescita e nel 40% dei maschi e nel 77%

delle femmine dopo. Per 11% dei maschi e delle femmine i due

sviluppi coincidono. Lo studio sull’allenabilità della forza nelle

ragazze ha evidenziato ( studio si è basato sulla classificazione

dei caratteri sessuali primari e secondari secondo il metodo di

Tanner) che l’effetto migliore della forza negli arti inferiori, si ha

durante lo stadio II, della forza esplosiva nel III stadio.

e) Weineck (2001) L’autore pone nella prima età scolare la possibilità

di allenare le qualità della forza rapida. Gli allenamenti previsti però

non sono superiori a due volte la settimana ed i mezzi usati sono lan-

ci, salti, scatti. Negli anni che vanno da 11 a 14 è consigliato un alle-

namento in circuito (una volta la settimana). L’autore pensa che que-

sta metodica di allenamento sia adatta per tutto l’arco dell’allena-

mento giovanile e per la composizione del circuito che può essere ric-

ca di variazioni e di cambiamenti a seconda della capacità individuale

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di prestazione. La durata del carico in questa fascia non deve supera-

re i 20 s. con una pausa di 40”per ogni stazione, le stazioni non devo-

no essere superiori a sette. L’attenzione deve essere concentrata sul-

l’esecuzione che deve essere più rapida possibile. L’obiettivo è di ricer-

care un irrobustimento generale.

Nella seconda età scolare le esercitazioni di forza ad indi-

rizzo generale e multilaterale, è ulteriormente incrementato.Si

possono introdurre esercizi diretti al rafforzamento della mu-

scolatura dorsale e addominale.

Nell’adolescenza: prima età puberale il periodo è contrad-

distinto in una aumento dell’allenabilità che però si accompa-

gna ad una diminuzione della capacità di carico.E’ consigliabile

sviluppare esercizi di lancio, salto e la forza nei contrasti. Si de-

vono sfruttare tutte le opportunità che ci offrono le forme di gio-

co per aumentare la forza degli arti superiori ed inferiori facen-

do molta attenzione a possibili danni all’apparato scheletrico.

Adolescenza è l’età della massima alienabilità della forza ed

è l’età nella quale si rilevano i massimi tassi di incremento di

questa qualità.La crescente stabilizzazione del sistema schele-

trico ci permette di utilizzare i carichi ed i metodi di allena-

mento degli adulti.. Comunque anche in questa età prevale il

lavoro basato sul volume rispetto all’intensità.

In sintesi, la forza veloce può essere allenata anche prima dello sviluppo

puberale, è sufficiente che le resistenze esterne siano così scarse da ren-

dere possibile un’elevata rapidità di contrazione o un numero di ripeti-

zioni sufficienti ad ottenere un effetto elementare d’allenamento. Sol-

tanto nella fase puberale (II III stadio) possiamo affrontare un lavoro si-

stematico sulla forza veloce ed esplosiva, dopo (IV e soprattutto V sta-

dio) possiamo iniziare un graduale allenamento sulla forza massima.

CONCLUSIONI

• La forza veloce può essere allenata anche prima del-

lo sviluppo puberale basta che le resistenze esterne

permettano una esecuzione rapida.

• Nella fase di sviluppo puberale (II e III stadio) possia-

mo impostare un lavoro sistematico della forza velo-

ce ed esplosiva.

• Nella III e IV stadio possiamo iniziare un graduale al-

lenamento della forza massima.

RESISTENZA

a) Goertler, Buhl, Israel 1979 pensano che la capacità aerobica è com-

pito principale e fondamentale per la formazione della resistenza nel-

l’età infantile. Altrettanto indiscutibile è la buona allenabilità nel pe-

riodo successivo

b) Donald, Bayley,Robert et altri (1984) La massima potenza aerobica è

stata studiata più diffusamente. Gli autori citano gli studi di Shephard

(1980) che mostrano come lo sviluppo non risenta, fino alla pubertà di

significative variazioni. Bar-Or (1983) ha invece dimostrato che diffe-

renze sessuali sono presenti prima dei 10 anni. L’attività fisica o l’alle-

namento hanno un effetto ridotto o limitato sulla massima potenza

aerobica prima dell’adolescenza. Poiché la maggior parte delle attivi-

tà fisiche raggiunge livelli di lavoro submassimali, usare la massima

potenza aerobica come misura per valutare l’efficienza del sistema di

trasporto dell’ossigeno, potrebbe indurre a conclusioni errate ( Stewart

Gutin 1976). Nei bambini l’allenabilità è inferiore alle aspettative, mal-

grado le migliorate prestazioni atletiche (Mocellin Wasmund 1973,

Bar-Or 1974, Gilliam e Freedson 1980, Yoshida 1980)

c) Manila (1988) Per l’autore gli studi sui bambini di età inferiore a 10 an-

ni, indicano una alienabilità scarsa, se non nulla, della massima potenza

aerobica. Gli incrementi della massima potenza aerobica per kilogrammo

di peso corporeo vanno da 0 a circa il 4%. Non è certo che questi risul-

tati siano dovuti ad una bassa alienabilità, cioè ad un basso potenziale

adattativi all’allenamento aerobico, o all’inadeguatezza dei programmi di

allenamento. Nei fanciulli di età maggiore le risposte all’allenamento mi-

gliorano ma i risultati sei vari studi non sono del tutto univoci.

d) Martin, Jurgen (1997) affronta il problema non dal versante dello svi-

luppo delle capacità ma da quello della prestazione.

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SCUOLAALLENATORI

50

SETTORE GIOVANILE

Da questo grafico si può dedurre che la capacità di presta-

zione (Cooper 8’) cresce con l’andamento temporale dello

sviluppo. Se i ragazzi vengono sottoposti a sollecitazioni at-

traverso prestazioni motorie-sportive, l’incremento procede

sempre di pari passo ma ad un livello superiore. Se le solle-

citazioni sono molto intense (quantitativamente) l’incre-

mento prestativo cresce con lo sviluppo ma ad un livello in-

feriore (N.a)

e) Viru, Smirnova, Voler,e altri (1996) Se la classificazione viene

fatta attraverso l’età cronologica nel periodo compreso tra gli

11 e 14 anni il massimo consumo d’ossigeno aumenta brusca-

mente nei maschi che hanno uno sviluppo osseo accelerato.

Per mezzo della regressione lineare è stato stabilito che, negli

adolescenti di entrambi i sessi, il massimo consumo d’ossige-

no aumenta con l’età scheletrica, però se il VO2 Max viene cal-

colato per 1 Kg. di massa corporea questo diminuisce con l’au-

mento dell’età scheletrica. Secondo Kemper (1981) i parame-

tri relativi al VO2 Max. viene determinato quasi completamen-

te dall’aumento della massa corporea. Gli adolescenti caratte-

rizzati da uno sviluppo sessuale accelerato hanno un VO2 Max

più elevato.

Nelle femmine si può notare un buon rapporto tra aumento del

VO2 Max ed aumento della massa corporea fino al IV stadio

dello sviluppo sessuale mentre al V stadio si nota una diminu-

zione dei valori relativi

f) Weineck (2001) l’autore considera possibile allenare la resi-

stenza fino dall’età prescolare in accordo con Folov Kurko e

Kabackova (1976). Le forme di allenamento suggerito sono il

metodo prolungato ed i carichi intervallati Le controindicazioni

che però indica ( rischio di frenare la spinta ormonale verso la

crescita) lasciano perplessi sull’effettiva utilità di questi mezzi.

Il suggerimento finale ci convince maggiormente quando indi-

ca come mezzi giochi di movimento vari, di breve durata e di

frequenza elevata svolti con grande gioia e partecipazione.

Allenamento nella prima e seconda età scolare in questo

periodo i soggetti che hanno uno sviluppo accelerato hanno ca-

pacità di prestazione superiore a quelli con sviluppo ritardato.In

questa fascia d’età lo sviluppo della resistenza di base si ottiene

con metodo del carico prolungato, con velocità di corsa quanto

più regolare possibile. Dovrebbero essere evitati intensità sub-

massimali e massimali, cambi di velocità e scatti intermedi e fi-

nali. Va ricordato infine che i tempi di recupero molto lunghi. “Ciò

che stronca non è la distanza ma la velocità”

Prima e seconda fase puberale. Il suo periodo ottimale di

allenabilità si trova soprattutto nei momenti della spinta pubera-

le di accrescimento in altezza. Se nel periodo della prima pubertà

la capacità di adattamento funzionale viene sollecitata solo scar-

samente non si raggiunge il pieno sviluppo della capacità di pre-

stazione di resistenza. Quindi in accordo con Kindermann (’74),

Dietrich (’74), Sperling (’75) in questa età l’allenamento decide

quale sarà la futura capacità di prestazione

In sintesi se si pensa che in età prepuberale si possa incremen-

tare la resistenza in modo evidente, attraverso un lavoro orien-

tato quantitativamente, i risultati non saranno eclatanti. Anche

se i ragazzi riescono a produrre sforzi superiori alla prevedibili-

tà i tempi di recupero saranno più lunghi e quindi si può incor-

rere ad uno stress che non facilità l’incremento. L’abitudine a

svolgere compiti volti alla resistenza migliora la prestazione for-

se perché migliora anche l’economia del gesto. Ben diverso è,

anche in questa capacità, il lavoro dopo lo sviluppo sessuale an-

che se i fattori genetici ed ambientali la influenzano in maniera

importante.

CONCLUSIONI

• Nel periodo prepuberale lo sviluppo della capacità è

scarso. La sola differenza tra i bambini sportivi e i se-

dentari si osserva nelle prestazioni. (forse per una

biomeccanica del gesto più economica). L’allenamen-

to in questa capacità si ottiene col gioco.

• Il periodo puberale è quello maggiormente indicato,

anche se i fattori genetici e ambientali la influenzano

in maniera importante.

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