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Logìa

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Prima EdizioneGiugno 2005

ANNULLI EDITORIRedazione e amministrazioneVia F. Bonaparte, 401010 Latera (VT)Tel. 328 9058094www.annullieditori.it

Finito di Stamparenel mese di Giugno 2005dalla Tipografia Ceccarelli - Grotte di Castro (VT)per conto di ©ANNULLI EDITORI

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Giancarlo Breccola

Viaggio nella civiltà contadinaL’abbigliamento

ANNULLI EDITORI

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INTRODUZIONE

Quando l’abito “faceva il monaco”Riflessioni sull’abbigliamento contadino

Agli occhi di chi come me è nato ed ha vissuto dopo ilboom economico degli anni Sessanta, in un periodo nelquale il nostro Paese ha attraversato una fase di radicali tra-sformazioni economiche e sociali, le differenze tra città ecampagna, benché fossero ancora molto marcate sul pianoeconomico, culturale, o rispetto ai pregiudizi di classe, simostravano già fortemente indebolite sul piano di quelli chene erano i segni più visibili, cioè nell’abbigliamento.

Nei miei ricordi di infanzia, infatti, e in quelli che ho“ereditato” dai racconti dei miei genitori, il modo di vestiredei contadini riaffiora in forme che dovevano essere sicura-mente residuali rispetto ad una organicità presente nel pas-sato. E nonostante che nella percezione dei “cittadini” di unaqualsiasi città di media grandezza dell’Italia centrale, la vi-sibilità sociale e culturale di chi veniva dalle vicine campa-gne fosse evidente non solo dal modo di vestire e fosseoggetto di forti stigmatizzazioni (chi non ricorda quelle stu-pide barzellette diffamatorie sui contadini che circolavanonegli ambienti borghesi e che oggi non farebbero ridere piùnessuno?), l’abbigliamento contadino, quello che avrei im-parato a conoscere solo molti anni più tardi dagli studi ditradizioni popolari, era certamente scomparso dall’uso. Imercati cittadini erano i luoghi nei quali questa visibilità deicontadini si mostrava in ambiente urbano.

Le contadine con il fazzoletto in testa e con le gonne lun-ghe con sopra il sinale, i contadini con il cappello nero difeltro a falde larghe (che negli anni Sessanta non era più dimoda nei ceti elevati); la camicia bianca con il colletto “a

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cinturino”, o come si direbbe oggi “all’orientale”; qualchesomaro (anche loro oggi totalmente scomparsi dal paesag-gio), qualche vecchio carretto, frammenti di un abbiglia-mento di lavoro che era tutt’uno con la vita stessa, e cheesprimeva fatica, sudore e ritmi di vita legati alla ciclicitàdella natura.

Anche la festa cittadina, patronale o mariana, così comeemerge dai miei ricordi, richiamava gente dalle campagne eanche qui il modo di vestire distingueva chi proveniva daipaesi agricoli vicini, per un uso dell’abbigliamento festivoche benché fosse già urbanizzato, potremmo dire “omolo-gato” e timidamente al passo con la moda degli anni, deno-tava ugualmente una provenienza, un confine sociale eculturale che la gente di città coglieva nei dettagli. In se-guito, negli anni a seguire, questa residualità nell’abbiglia-mento contadino, soprattutto l’abbigliamento quotidiano dilavoro, ha iniziato a diventare un demarcatore soprattutto diuna “classe d’età” dentro un mondo contadino in rapida tra-sformazione. Erano infatti sempre più le contadine o i con-tadini più anziani a mostrare nell’abbiglia-mento questidettagli residuali, fino a quando anche questi non sono deltutto scomparsi con i loro ultimi portatori.

D’altra parte, già negli anni successivi alla secondaguerra mondiale, che era stata un potente acceleratore di tra-sformazioni per il nostro Paese, l’abbigliamento dei conta-dini, in particolare gli abiti femminili festivi, cioè quelli usatinei giorni di festa, erano da molto tempo diventati un “co-stume folkloristico”, usati o per foto ricordo, anche da partedei ceti borghesi, o per spettacoli folkloristici.

Gunnelle, polacche, sottovesti e busti che erano stati la-sciati per anni nei cassetti e non più indossati, forse per lavergogna dello stigma sociale che portavano con sé, già du-rante il ventennio fascista erano stati abbondantemente “ri-

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valorizzati” in un’ottica nazional-popolare, che li relegavaperò ad un ambito di “riproposta” folklorica puramente de-contestualizzato ed estetizzante.

Se la spinta alla modernizzazione aveva portato i conta-dini un po’ dappertutto a voler rifiutare i “segni” di un’ap-partenenza sociale che li marginalizzava nell’orizzonte della“barbarie”, e tra questi c’era l’abbigliamento (ma anche altricampi come l’architettura rurale, per esempio, che quasiovunque in Italia, salvo alcuni fortunati e noti casi regionali,è stata soppiantata da un modello di abitazioni cittadine),prima il regime fascista, con i suoi organi di promozionedella cultura popolare come l’Opera Nazionale Dopolavoro,in seguito altre istituzioni locali, come le Pro loco, hannosottratto alcune forme di abbigliamento popolare all’oblio,decontestualizzandole, tuttavia, e dando loro una funziona-lità che si muoveva solo nell’orizzonte celebrativo.

Solo in alcuni rari casi il costume popolare ha continuatoad avere una sua funzionalità in specifiche località, dove perragioni culturali, politiche o di promozione turistica delluogo, è rimasto nell’uso.

Come è accaduto per esempio a Scanno in Abruzzo, casonoto forse a tutti, dove l’abito tradizionale è usato nella vitaquotidiana, anche come momento di interfaccia con losguardo turistico che si intromette nella quotidianità, madove tuttavia non si tratta di un costume prettamente conta-dino, bensì cittadino.

1 Per esempio in Sardegna, oggi, ogni paese ha il suo costume “tradi-zionale” che viene utilizzato per occasioni festive, un abito che però haperso la sua connotazione sociale, cioè di distinzione di status. Cfr. M.Atzori, “Il corpo e la sua identità: abbigliamento popolare, divise e di-stintivi”, in M. Pinna (a cura di), L’Europa delle diversità. Identità eculture alle soglie del terzo millennio, Milano, Franco Angeli, 1993, pp.311-322.

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Sempre a Scanno, infatti, fin dagli anni Cinquanta e forseanche prima, questa quotidianità dell’abito tradizionale dia-logava con il turismo, più precisamente con le turiste, chequi potevano farsi fotografare con l’abito scannese da foto-grafi specializzati.

Più spesso invece l’abito contadino è stato conservato, oè “passato” nei contesti festivi, dove ha acquisito una fun-zione cerimoniale, cioè rituale, ed ha assunto una connota-zione fortemente identitaria per l’intera collettività.1

Fenomeno questo al quale negli ultimi decenni si sta so-stituendo in molti paesi italiani la pratica di “inventare” rie-vocazioni storiche di tipo medievale o rinascimentale conl’introduzione di abiti in stile medievale, i quali tuttavia nonhanno alcun nesso con la memoria storica della comunità.

Eppure questa residualità dell’abbigliamento contadino,così come emergeva negli anni della modernizzazione delnostro Paese, richiamava una organicità, una complessitàche fino a qualche decennio precedente doveva essere moltovisibile nei ceti rurali. Una organicità che era legata innan-zitutto a precise leggi suntuarie, cioè a regolamentazioni chenei secoli precedenti fissavano delle regole di abbigliamentoper ceto, professione, etc.

Tali leggi suntuarie, tuttavia, toccavano i ceti contadinimeno rispetto ad esempio ai ceti popolari urbani o a quelliprofessionali, che erano più controllabili dal potere. Ancheperché una delle finalità delle leggi suntuarie era quella dimantenere i privilegi delle classi aristocratiche, nei cui con-fronti la minaccia maggiore era rappresentata dalle classi piùvicine a queste o dall’avanzata, ad esempio, della borghesiamercantile, o dagli artigiani, e non dai contadini che vive-vano in aree più isolate e lontane dalla città.2

2 E. Silvestrini, “L’abbigliamento popolare italiano”, in La Ricerca Fol-klorica, n. 14 1986, pp. 5-44.

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Si trattava di una complessità, quella dell’abito conta-dino, che era legata ad altri fattori; ad una distinzione tra imomenti lavorativi nella vita quotidiana ed i momenti fe-stivi, che implicava l’uso di forme di abbigliamento diverseche sottolineassero l’eccezionalità del momento festivo ri-spetto al tempo del lavoro. O ad una distinzione tra abito fe-stivo in generale, cioè tra l’abito della festa e l’abitoprocessionale, rituale, come il caso ad esempio degli abitidelle confraternite, o degli abiti delle cosiddette Zitelle nelpellegrinaggio al Santuario della SS. Trinità di Vallepietrain provincia di Roma, o ancora delle Zitelle nella proces-sione di S. Famiano di Gallese nel viterbese e ancora comein moltissimi altri casi. Ma per un individuo l’abito si tra-sformava nel corso stesso della vita in forme molto più vi-sibili di quanto non accada nella nostra modernità.

Cambiamenti di abito, o l’introduzione di alcuni acces-sori, si verificavano infatti in alcune fasi di passaggio im-portanti della vita, come l’inizio della pubertà, ilfidanzamento, il periodo matrimoniale, la fase post matri-moniale e la morte, sia per il defunto stesso, che spesso finoal secolo scorso veniva seppellito con abiti particolari(spesso abiti nuziali), che per i parenti (soprattutto le ve-dove) che attraverso l’abbigliamento segnalavano lo stato dilutto.

Non meno importante e strettamente collegato alle fasidella vita è il simbolismo dei colori che nella cultura popo-lare (e non solo) assumevano particolari significati. Bianco,rosso e giallo erano colori connotati in senso specifico, conil bianco colore nuziale, il rosso come simbolo matrimonialee il giallo come colore infamante, che in alcuni contesti eraimposto alle prostitute.

Sempre a Scanno ad esempio, accessori dell’abbiglia-mento femminile cambiavano colore a seconda dei momenti

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dell’anno (rosso per la Pasqua, celeste per la SettimanaSanta) e le gonne cambiavano colore a seconda dell’agia-tezza socio-economica di chi le indossava.3

Questa complessità dell’abbigliamento tradizionale equesto suo seguire ogni tipo di mutamento di condizionenella vita individuale, ribalta forse il famoso detto che vuoleche “l’abito non fa il monaco” e ci porta a credere che invecel’abito, almeno per come era concepito e utilizzato in pas-sato, “faceva il monaco”, fornendo sull’individuo molte piùinformazioni di quanto non faccia oggi.

Una complessità e un potere comunicativo che viene il-lustrato con grande ricchezza di documentazione fotograficain questo lavoro di Giancarlo Breccola dedicato al costumecontadino nel viterbese. Il volume, frutto di una pazienteraccolta di documentazione fotografica fatta sul territoriodel Viterbese e proveniente soprattutto dall’area di Monte-fiascone, mostra, infatti, in tutti i suoi aspetti e limitatamentealla reperibilità delle fonti iconografiche locali, la comples-sità dell’abbigliamento contadino e le relazioni che questoha avuto, non solo con i ceti dominanti, ma anche con alcunimutamenti politici intervenuti nel nostro paese, andando adindividuare, molto opportunamente, alcune fasi che hannocontrassegnato le trasformazioni dell’abito contadino, dalleleggi suntuarie più antiche fino al periodo fascista che delcostume popolare fece un uso celebrativo e strumentale peril regime stesso.

Ma oltre a ciò, il volume di Breccola analizza anche neldettaglio le diverse componenti dell’abbigliamento conta-dino, sia maschile che femminile, con camicie, giacchette,calzoni, fasce, mantelle, straccali (orcali), e mutande per gliuomini e sottovesti, busti, polacche, camicie, sinali (grem-

3 G. Morelli, Il costume di Scanno, Pescara, “Attraverso l’Abruzzo”,1960.

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biuli), fazzoletti per il capo, scialli, fiocchi e gunnelle per ledonne, insieme ad un’infinità di possibili accessori che an-davano a segnalare provenienze geografiche e socio-econo-miche differenti, accessori che andavano dall’acconciaturaai gioielli, alle scarpe.

Una carrellata di fotografie dalle quali emerge un’Italiache sicuramente non c’è più, ma che ci appare più vicina inquelle fotografie più recenti dove quei frammenti di abbi-gliamento dei quali si parlava in apertura riemergono soprat-tutto nei contadini più anziani, testimoni e portatori di unabbigliamento in via di scomparsa.

Ecco allora che all’anonimato delle foto più antiche, sisostituiscono foto di personaggi ancora presenti nella me-moria locale, come quella di un certo Baronesso, un anzianoche viveva al Poggetto, che in una foto certamente più vicinaai nostri giorni, appare con i cosciali di pelle di capra, il cap-pello con la penna e le inseparabili bisaccie (vertole), o unaltro anziano della zona, Francesco Mezzoprete, che in unafoto della fine degli anni Settanta, è ritratto ancora con lebretelle (in dialetto orcale), e con la fusciacca.

Ma c’è ancora un altro aspetto che forse più degli altri miha colpito di queste fotografie. Vedendole in sequenza, in-fatti, oltre al loro potere informativo relativo al tipo di abitiindossati dai ceti contadini, le fotografie che compongonoil volume si pongono anche come prezioso documento chetestimonia l’uso che veniva fatto della fotografia all’iniziodel secolo e il significato che veniva attribuito per esempioal gioiello o all’abbiglia-mento festivo nell’ambito dellafoto-ricordo.

Alcune delle fotografie raccolte da Breccola sono, infatti,delle foto-ricordo eseguite all’inizio del Novecento nellostudio fotografico del fotografo viterbese Edoardo Furia,dove è soprattutto la donna a fare mostra di sé attraverso

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gioielli e accessori eleganti e preziosi, come per esempioquella foto di una contadina che si fa ritrarre con una polaccaalla quale sono state applicate guarnizioni di pelliccia, oquelle foto-ricordo dove fanno sempre bella mostra di sé vi-stose collane di coralli o vezzi di perle. Ed era soprattuttol’abito festivo, l’abito migliore che si possedeva ad essereindossato il giorno della fotografia, abito-che poteva ancheessere scambiato tra amiche o sorelle, come è il divertentecaso di due fotografie eseguite nello stesso studio e con lostesso fondale, che mostrano due ragazze con lo stesso abito,probabilmente prestato da una delle due per la fotografia.

Un volume quindi questo di Giancarlo Breccola, chemancava nell’area del viterbese. Pur essendo, infatti, quellodell’abbigliamento popolare un campo molto frequentatodagli studi di tradizioni popolari e molto presente nella pub-blicistica locale, fino ad oggi non aveva mai dato luogo nelviterbese a ricognizioni fotografiche accurate che tentasserouna ricostruzione delle forme di abbigliamento contadino.

Stupirà sapere, per esempio, che attualmente non ci sonoa livello nazionale libri in catalogo, cioè materialmente ac-quistabili, dedicati al costume contadino. Con il suo riccocorredo fotografico questo volume offre quindi al lettore lapossibilità di reimmergersi in un passato forse di ricordi diinfanzia, ma anche al lettore più “evoluto” o allo specialistala possibilità di fare tesoro di una documentazione fotogra-fica che può far riflettere sulle trasformazioni economichee sociali intervenute nel nostro Paese e comparativamentesul ruolo che l’abbigliamento, oggi come in passato, haavuto ed ha ancora della definizione delle identità sociali eculturali.

Alessandra BroccoliniPROF. FACOLTÀ DI SOCIOLOGIA

UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” ROMA

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1 - IL VESTIRE CONTADINO TRA COSTUME E MODA

“Il binario si allunga in mezzo a una fuga di campi e dipiccoli poggi. Dalla parte di Montefiascone la campagnacomincia ad avere un aspetto ridente. Spuntano fra gli alberidi tratto in tratto dei casolari. Gruppetti di contadine gio-vani dal viso abbronzato, dalle vesti turchiniccie, e con unfazzoletto di un rosso fiammante, stretto alla testa, che vi in-sidian con il luccichio degli occhi e il candor dei denti, sonla nota più fresca e rigogliosa dello splendido quadro cam-pestre...”1

1 RAVIGNANI, A., Ricordo Della Inaugurazione Della Ferrovia Viterbo-Attigliano, 1886.

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Questa idilliaca visione della campagna montefiasconese,per l’evidente carattere celebrativo, costituisce una testimo-nianza parziale ed incompleta di una realtà contadina cheimplicava ben altre problematiche; ed anche le poche indi-cazioni relative a particolari aspetti del costume rurale sem-brano reclamare la restituzione di un quadro del fenomenopiù convincente e approfondito.

Costume rurale, dunque, e non moda, dato che il vestirecontadino rientrava più legittimamente in quel settore del-l’abbigliamento così indicato.

Per costume si intende infatti il modo di vestire propriodi una certa età, di chi esercita una certa professione o unadata arte, o quello tipico delle popolazioni che vivono in de-terminati paesi e regioni; quindi un modo di vestire contras-segnato da un carattere di discreta stabilità ed uniformità.

La moda, invece, coincide con il gusto o l’usanza predo-minante, più o meno passeggera, di particolari fogge di ab-bigliamento il cui aspetto tipico è la variabilità, al fine dipresentare sempre caratteri di novità, generalmente accom-pagnata, in modo più o meno accentuato, da sfoggio, esibi-zione ed esuberanza.

La possibilità di adottare l’una o l’altra di queste compo-nenti, anche con l’elaborazione di combinazioni intermedie,consente l’articolazione di un linguaggio comportamentalecapace di dichiarare lo stato, il carattere e la cultura di chilo utilizza e quindi, la realizzazione di un abbigliamento, nelsuo essenziale scopo di coprire e riparare il corpo, finisceper tener conto anche dei fattori sociali.

Del resto il valore simbolico dell’abbigliamento, qualeindicatore di ceto, è sempre stato riconosciuto sia dalle classisubalterne che da quelle signorili, ed entrambe lo hanno uti-lizzato adeguandolo alle loro esigenze e possibilità.

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Monsignor della Casa nel suo Galateo ammoniva che benvestito dee andar ciascuno, secondo la sua condizione, e se-condo la sua età; perciocché, altrimenti facendo, pare, cheegli sprezzi la gente.

E più dettagliatamente, in alcune “REGOLE DI BUONA

CREANZA” stampate ad uso del Seminario e Collegio diMontefiascone nel 1839, si trova specificato che i vestiti do-vevano essere convenienti all’età, alla condizione, al me-stiere; ed anche secondo il costume universale. Male fannoper conseguenza quelli, che sono intenti a seguire tutti i ca-pricci della moda, e quelli, che si ostinano a non voler maidipartirsi dall’antico; male i giovani, che vestono da vecchi,e i vecchi, che vestono da giovani; i ricchi, che vestono da

L’ABBIGLIAMENTO COME SEGNO CLASSIFICANTEDue bifolchi ed un proprietario terriero ad una fiera di bestiame (loca-lità Bertina 1934)

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poveri, e i poveri, che vestono da ricchi; i secolari che por-tano abiti da ecclesiastici, e gli ecclesiastici, che imitano lemaniere dei secolari.2 Lo sfarzo, l’ostentazione della ric-chezza e la bizzarria delle fogge caratterizzate da “sciupiivistosi”,3 si rivela quindi naturale appannaggio dell’abbiglia-mento delle classi dominanti.

2 Regole di civiltà e buona creanza ad uso del seminario e collegio diMontefiascone e Corneto, Tipografia del Seminario, Montefiascone1839, p. 80.3 VEBLEN, THORSTEIN, La teoria della classe agiata, Torino 1949.

L’ABBIGLIAMENTO COME SEGNO CLASSIFICANTEIn primo piano una donna appartenete alla classe abbiente, sullo sfondouna contadina con la “somara” (piazza Vittorio Emanuele 1930 circa)

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Lo sciupio vistoso, secondo Veblen, è quello dell’abbi-gliamento che non corrisponde a nessuno scopo funzionale,ma soltanto al desiderio di ostentare tanto la ricchezza,quanto la possibilità di non dover esercitare alcuna attivitàpratica.

Le particolari caratteristiche di un determinato abbiglia-mento sono dovute, dunque, a vari fattori, tra cui quelli legatialla tecnologia, alla tradizione, allo stato sociale, alle esi-genze morali e materiali e, ovviamente, al desiderio di no-vità. La moda, con la sua ricerca dell’effimero e delpasseggero, risponde pienamente a questa esigenza di cam-biamento e di ringiovanimento perché il nuovo è, per cosìdire, giovane. I giovani hanno infatti bisogno di affermarela loro personalità rifiutando il vecchio, il precostituito e unanuova moda nell’abbigliamento acquista, per loro, il vivacesignificato di richiamo amoroso.

Roland Barthes afferma che ogni nuova moda è rifiuto diereditare, è sovvertimento contro l’oppressione della vec-chia moda; la moda si vive come un diritto, il diritto natu-rale del presente sul passato.4

Ma non basta, il nuovo diventa necessario anche per ri-pristinare le distanze che le classi subalterne continuamenteerodono, appropriandosi, per quanto possibile, dei codiciestetici e di comportamento delle classi superiori; mentre leeccezioni non fanno altro che sottolineare l’incolmabile di-stanza tra i gruppi sociali.

Ad una classe popolare che riesce a sfoggiare, se non pro-prio il lusso, almeno il superfluo si contrappone un “lord”Brummel che sentenzia: “La vera eleganza non deve mai es-sere appariscente, e quindi non deve notarsi a prima vista”.

4 BARTHES, ROLAND, Sistema della Moda. La Moda nei giornali femmi-nili: un’analisi strutturale, Torino 1970.

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L’abbigliamento, che con lo sviluppo economico e tec-nologico tende a omologarsi, grazie alla moda torna ad es-sere fattore sociale discriminante. Il costume, invece, purconnotando lo stato sociale del suo utilizzatore, scaturiscequasi esclusivamente dalle esigenze pratiche, economiche estoriche delle categorie che possiedono una identità non sog-getta ad emulazione, ed il suo carattere di stabilità dipende,in buona parte, dall’immutabilità del tipo di lavoro svolto.

In quest’ottica non meraviglia la grande coerenza ed uni-formità generalmente presentata dall’abbigliamento ruralenel corso dei secoli. I lievi mutamenti subiti nel modo di ve-stire contadino, con soluzioni ispirate ad un criterio praticoe suggerite dalle esigenze della vita di tutti i giorni, nonfanno altro che riflettere la tradizionale modestia dei mezziusati.

L’ABBIGLIAMENTO COME SEGNO CLASSIFICANTEI vestiti delle fanciulle, realizzati ad imitazione di quelli materni, indi-

cavano con chiarezza l’estrazione sociale delle famiglie d’origine; labambina con il costume campagnolo doveva quindi appartenere ad unafamiglia di contadini benestanti (1902)

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Così i “villani”, addetti da secoli allo stesso tipo di lavorofaticoso, riducono al minimo il loro vestiario in modo dafarlo risultare comodo, pratico e durevole. In Toscana unanonimo rinascimentale scriveva: Che bella vita ha almondo un villanello / che ‘l giorno con due buoi per uncampo ara! / Se gli è d’inverno si ricopre quello / d’un saccoch’è la veste sua più cara, / se gli è d’estate in camicia e ‘ncappello / - andà jiò - sentir con voce chiara, / e la sera ri-mena a casa e’ buoi / et pasce loro et sé, et dorme poi.

E questo per il contadino poteva essere il costume defi-nitivo se non gli fosse stata data la possibilità di sottrarsi, al-meno temporaneamente, ai suoi obblighi e, maggiormente,se la tecnologia non avesse modificato gli strumenti ed itempi del suo lavoro.

Le occasioni festive diventano così gli spazi, oltre cheper l’amore, lo spirito, il gioco, anche per un nuovo tipo divestiario, più elaborato e non soggetto a contingenze prati-che, libero, quindi, di esprimere il desiderio di affermazionesociale.

Contadini del IX secolo al lavoro(dal “De Universo” di Rabano Mauro)

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L’àbboto mbroccato, il vestito delle grandi occasionidelle nostre contadine che a causa della rigidità del suo cor-setto non permetteva nemmeno di inchinarsi, si colloca, al-lora, su un percorso parallelo a quello della moda ufficialee, pur rimanendone sempre a discreta distanza, ne ripete le

Contadine che indossano il tradizionale vestito Ottocentesco - congonna, corpetto e grembiule di tulle riccamente ricamati - riservato alleoccasioni eccezionali. (Rocca dei Papi 1949)

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argomentazioni e le aspirazioni; in questo caso anche quelladi ripudio del lavoro.

La persistente distanza dell’abbigliamento contadino daimodelli proposti dalle classi dominanti, sembra dovuto allaconcreta posizione di forza del loro gruppo nell’ambito dellegerarchie sociali e quindi, in definitiva, al rifiuto di rinnegarela loro radicata identità.

Nel costume popolare e contadino, quindi, le fogge siadeguano lentamente e parzialmente alle novità tecnologi-che ed agli stili artistici del periodo, seguendo piuttosto altricriteri: accettazione della tradizione quale conseguenza diappartenenza a società e classi sociali statiche; dipendenzadel vestiario dalle esigenze del lavoro; forte senso d’identitàdel gruppo sociale

Comunicazione visiva del forte senso d’identità del gruppo sociale.

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Caratteristiche che, parzialmente si ritrovano nell’omo-geneità e praticità delle divise e delle uniformi, ove sussisteuna forte coerenza tra l’essere e l’apparire, ma ove le foggesi adeguano in modo sostanziale alle novità tecnologiche edagli stili artistici del periodo con aggiornamenti a scatti do-vuti alla necessità di identificare con esattezza ruoli ed ap-partenenze

Contadini e militari “al campo” (1910)

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2 - LIMITI DOCUMENTARI, CRONOLOGICI E GEOGRAFICI

La storia dell’abbigliamento, così come la conosciamooggi, deve molto al contributo offerto dalle fonti iconogra-fiche coeve e dall’arte figurativa in generale.

La deperibilità dei tessuti e degli indumenti ha reso dif-ficile l’acquisizione di reperti diretti e si è dovuto pertantoricorrere al patrimonio artistico e, in modo marginale, alletestimonianze scritte e orali.

Dobbiamo però considerare che una storia dell’abbiglia-mento così ricostruita presenta i limiti dovuti alla identitàdei committenti identificabili, quasi totalmente, con elementiappartenenti al ceto della classe agiata.

Per questo motivo le ricerche iconografiche hanno con-sentito di ricostruire una storia dell’abbigliamento riferita

Testimonianze iconografiche relative alla moda delle classi “dominanti”

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più al fenomeno della moda che a quello del costume popo-lare.

È soltanto dalla seconda metà dell’Ottocento che, con ladiffusione della tecnica fotografica, la quantità di materialeiconografico relativo all’abbigliamento rurale diventa cospi-cua.

Grazie a questo tipo di documentazione, ed alla memoriaorale di alcuni testimoni superstiti, è stato quindi possibilericostruire in maniera sufficientemente dettagliata un quadrodel costume contadino relativo alla campagna altoviterbese.

L’utilizzazione di testimonianze e documenti provenientiquasi esclusivamente da Montefiascone è dovuta alla voca-zione di questo paese a conservare, più degli altri centri, iltradizionale abbigliamento tra gli abitanti del contado.

Un blasone popolare di San Lorenzo Nuovo, ad esempio,menziona le fiocche rosse de Montefiascone, perché c’èrenole donne che vveniveno tutte con quelle bbuste.

Evidentemente, mentre a Montefiascone persisteval’usanza, a San Lorenzo, e nei paesi limitrofi, i fiocchi e ibusti erano scomparsi da tempo.5

Del resto anche Bonaventura Tecchi, in un breve scrittodel 1949 dedicato al folclore viterbese, prende atto e sotto-linea questa caratteristica:

Proprio in uno di questi paesi antichi [al-ludendo a Montefiascone] - che fino a pochianni fa era l’unico a mantenere tra le donnedel contado il modo di vestire dell’Alto Lazio- vedrete forse le più graziose ragazze dellenostre parti: sorprese proprio in quel loro di-

5 PETROSELLI , FRANCESCO, Blasoni popolari della provincia di Viterbo,parte prima, Viterbo, l978, p. l54.

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scendere verso sera, con passi di gazzella, giùper le strade ripide ed austere, in quel loro af-facciarsi, niente affatto impacciate, anzi gaiee disinvolte, su un mondo tutto nuovo…6

La relativa parzialità delle fonti, comunque, non costitui-sce pregiudizio ad una estensione dei risultati al territorio li-mitrofo poiché le caratteristiche di questo tipo diabbigliamento risultano, in tutta l’alta Tuscia, abbastanzaomogenee.

Del resto anche le affermazioni di alcuni studiosi di fol-clore secondo cui, nel passato, fogge particolari riuscivano

6 TECCHI, BONAVENTURA, Il folclore dell’alto Lazio, in “La provincia diViterbo alla Mostra Campionaria di Roma” depliant, 1949.

Omogeneità stilistica nella diffusione geografica e cronologica del co-stume contadino femminile romano e della Tuscia

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a contrassegnare, oltre che i vari strati sociali, anche “paeseda paese”, sembrano dovute prevalentemente ad un feno-meno di quantizzazione stilistica dei caratteri; all’esigenza,cioè, di delineare con linee nette contesti che, in realtà, sfu-mavano l’uno nell’altro senza soluzione di continuità.7

Le indicazioni che risultano da una immagine di fine ot-tocento relativa ad Orvieto e da una descrizione dell’abbi-gliamento popolare femminile di Bolsena, non fanno checonfermare la sostanziale congruenza delle informazioniraccolte.

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In questo disegno di contadina montefiasconese, realizzato nel 1821, ilcopricapo si presenta come un fazzoletto non inamidato, non ripiegatoe semplicemente appoggiato sulla testa. Una foggia simile, che nellasua semplicità si distingue dalle tante varianti di tovaglie locali, si ri-trova un affresco di Lorenzo da Viterbo di circa 450 anni prima e cioèad una delle figure femminili raffigurate nello “Sposalizio della Ver-gine” della cappella Mazzatosta.

7 MASSANO, G., Grazie e splendori dei costumi italiani, Roma 1930;CALDERINI, E., Il costume popolare in Italia, Milano 1934.

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…giacchetto in tessuto di cotone, scuro opolicromo, gonna arricciata, grembiule in co-tone rigato, fazzoletto da testa in tessuto fio-rato, annodato sotto il collo, o con le faldesciolte e ricadenti sul capo, o rialzate e anno-date sulla sommità del capo…8

Più in generale si rilevano modeste differenze negli in-dumenti femminili - particolarmente in quelli festivi - edaltre nella terminologia relativa.

Per quanto riguarda il periodo di tempo considerato, ilmateriale raccolto permette di analizzare un arco di tempoche va dall’inizio del XIX - anche se per la prima metà delsecolo si possiedono soltanto alcune indicazioni locali iso-late e poche altre, abbastanza sommarie, di carattere gene-rale - alla metà del XX.

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Incisione dal frontespizio di “Sketches illustrative of the manners andcostumes of France, Switzerland, and Italy”

8 AA.VV., Abbigliamento popolare e costumi nel Lazio, in “Costumi etradizioni popolari”, 2 voll., Firenze 1995, p. 397.

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3 - LEGGI SUNTUARIE

Tra le più antiche testimonianze riguardanti l’abbiglia-mento contadino altolaziale si trovano alcune disposizionisuntuarie, emanate nel 1703 in diversi paesi della provincia,tra cui Montefiascone e Marta, in occasione dei drammaticiterremoti che si erano verificati nell’Italia centrale. Il docu-mento di Montefiascone, che segue un’evidente gerarchiadi classi, dopo aver “moderato” il vestire degli uomini edelle donne dell’aristocrazia, quello dei normali cittadini equindi degli artigiani e dei plebei, passa a considerare ancheil costume rurale.9

Li Contadini vestissero di saia ordinaria, òLazzetto10 di qualunque colore, eccettuato ilnegro, rosso, ò paonazzo con il feraiolo dipanno di cerreto11 al più di colore oscuro, òbigio non portassero però calzette di seta, nemeno merletti alle Carvatte, ò altrove, ne cal-zette di capicciola.12 Le giubbe siano strette,con le maniche similmente tali senza alcunamostra di seta.

Le Contadine dovessero vestire di rove-scio,13 ò saia ordinaria di qualunque colore

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9 ASCM (Archivio Storico Comunale di Montefiascone), Riformanze,vol. XXXI 1693-1703, cc. 232r-236v.10 Per lazzo, o lazzetto, si intendeva un tessuto ruvido e grezzo.11 Panno di colore giallo. La cerretta, o più comunemente serretta, eral’erba usata per tingere la lana di giallo.12 Capicio è per il Sella sinonimo di tela generica, pro quoque capiciosive tela. Il capecchio era invece la filaccia grossa ricavata dalla primapettinatura del lino e della canapa. Da questa grossolana materia si ot-teneva un tessuto adatto a fettucce di rinforzo e a rozzi, ma resistenti,indumenti.13 Panno di lana con il pelo lungo e annodato da rovescio.

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non d’altra magior qualità, senza però mostradi seta alle maniche, e nessuna scuffia in testa,fittuccia, ò altro adornamento, ma che portas-sero nell’inverno una mantella rossa, ò d’altrocolore ordinaria, senz’alcuna guarnitione,bensì con una fittuccia di capicciola per for-tezza in orlo, e nell’estate il fazzoletto, ò sciu-gatoio con francia di refe bianco alto tre ditaspianate.

Che i busti, e mantò di tutte le Donne fos-sero accollati in modo, che, copri il petto.

Al di sotto della classe dei contadini, quindi ultima nellagerarchia sociale, si trova quella dei servi.

Li Servitori vestissero di Saia, ò panno or-dinario, senza guarnitione ò mostra di seta, ma

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Costumi di Sora, Civita Castellana e della Campagna romana(incisione Ottocentesca)

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solamente di Capicciola, e non di altra qualitàmag.te nelle maniche, ò nel bavero del fera-iolo con i bottoni coperti di saia conf.a allemostre, et i Cittadini solamente tenessero iservitori per [...] uno per Casa ò famiglia.

Nelle disposizioni della comunità di Marta si trovanougualmente considerate le varie classi sociali e quindi, dopoi gentiluomini e i cittadini definiti di seconda sfera, i conta-dini.14

In quanto poi alle persone di campagna etordinarie che non possino vestire d’altro chedi mezza lana ò di lazzo 15 ò di mezza lanetta

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Panorama del lago di Bolsena disegnato nel luglio 1842 da SamuelJames Ainsley (da “The Cemeteries of Etruria” di George Dennis

14 ANGELOTTI - FEDELI - FUCINI - IMPERIALI, A.D.1703… facciamo voto…, Marta 2003, p. 163.15 Per lazzo, o lazzetto, si intendeva un tessuto ruvido e grezzo.

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o panno grosso di Canepina, al più comeanche li ferraioli di fora, luzzo [sic] o del-l’istessa qualità, et in quanto alli cappelli non

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Contadina di Zepponami con abito Ottocentesco

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possino spendere più di tre Pavoli con un cor-done di pelo di cavallo come si usava antica-mente nel nostro Paese e che le calzette dimezza lana o lana grezza o panno di Canepinagrezzo.

Dopo le donne con 1000 scudi di dote, con 500, 300, econ meno di 100 scudi di dote, è la volta delle contadine.

In quanto alle contadine che vestono dimezza lana, un vezzo di coralli pazzi o altramistura di vil prezzo.

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Una famiglia di pastori offre la gioncata ai “padroni” sotto gli occhidel vergaro

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4 - PERCORSO STORICO

A distanza di un secolo, la campagna laziale e viterbeserimaneva, nonostante tutti gli sconvolgimenti politici portatidalla rivoluzione francese, sostanzialmente chiusa nei suoiusi e nelle sue abitudini. L’eleganza e la moda straniera, purconquistando le classi abbienti cittadine, non riuscivano adinfluenzare l’abbigliamento rurale che, costituendo l’espres-sione più semplice dell’abbigliamento dell’epoca, rimanevamolto simile a quello dei popolani.

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I personaggi che animano le vedute di Montefiascone disegnate nel lu-glio 1842 da Samuel James Ainsley, si presentano con indumenti che at-testano la persistenza della foggia “arcaica”: gli uomini con calzoniscuri al ginocchio, camicie e calze bianche, cappelli troncoconici; ledonne con gonnelloni e tovaglie bianche.

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Per gli uomini erano di uso comune le camicie bianchecon il collo aperto, le giacche corte a due petti, i calzoni -spesso azzurri - affibbiati sotto il ginocchio, le calze bianchee turchine, i corpetti di velluto o di panno multicolore, le vi-vacissime sciarpe che sorreggevano i calzoni.

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Contadina montefiasconese con tovaglia di lana a fasce colorate (par-ticolare di acquerello Ottocentesco, coll. Alesando Fioravanti, Bolsena)

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Il cappello a tronco di cono, duro e adatto a sfidare le in-temperie, veniva spesso personalizzato dai segni della fedee della superstizione: nastri, spille, medaglioni.

Le scarpe, grosse e spesse, avevano una lingua rimboc-cata sul davanti. I capelli erano portati lunghi e arricciolaticon grandi basette sulle guance, i baffi erano sempre rasi.

Le donne, nei giorni di lavoro, indossavano abiti semplicicostituiti da sottovesti più o meno numerose e dal busto, ocorsetto, che sosteneva il seno.

In tutta la provincia si usava il taccolino, un telo gene-ralmente rosso, spesso di forma quadrata o rettangolare, chesi portava come scialle in testa o alla cintura a secondo delleoccasioni - il grossolano tessuto era realizzato in modo darisultare impermeabile e quindi adatto a proteggersi dalle in-temperie.

Appariscenti erano invece i costumi della festa ove sete,broccati, merletti e ricami, utilizzati per le vesti ed i corsetti,apparivano in tutto il loro ricchezza. Comune era l’uso delgrembiule di tessuto prezioso di vari colori, e quello dellebretelle e dei fiocchi di nastro multicolore che sostenevanoi busti sulle spalle.

Le acconciature erano prevalentemente costituite da to-vaglie, o fazzoletti inamidati, trattenute da spilloni d’argentocon fiori di filigrana o mani o ghiande.

Vari gli ori e gli orecchini, a cerchio e a pendente.Una singolare testimonianza sull’abbigliamento popo-

lare, anche se non relativa all’ambiente rurale, si trova inuno scritto di Francesco Orioli, ove il letterato si sofferma adescrivere il vestiario di una particolare tipologia di paesanipresenti a Montefiascone verso la fine del Settecento. 16

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16 LUMBROSO, GIACOMO, Roma e lo Stato romano dopo il 1789, da unainedita autobiografia [di Francesco Orioli], Roma 1892. pp. 26-27.

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…non mancavano mai da 15 a 20 facino-rosi di tutti gli ordini della città, la cui profes-sione principale, oltre al bere e ribere da manea sera provetta, era il darsi ad ogni sciopera-tezza, facendosi legge della forza. Li ricono-scevi i più di loro al vestire pressochéuniforme: brache corte di velluto color olivotrafatto, o turchin cupo, casacchino dellostesso drappo, scarpini co’ fibbioni d’argento,cappello a cupola bassa e falda larga col suonastro a nappo sfoggiato; una fascia di seta ilpiù sovente rossa od a righe intorno a’ lombi;sul lato dritto del calzone in una guaina [...] ilcoltello genovese sfrondato col suo fodero; afianchi due mazzagatti corti; 17 nella pancierala provvista di cariche, la pera della polvere,la borsa delle palle, e tre altri o quattro pugnalidi rispetto per le altre tasche [...] Alcuni ave-vano per ajuto cani da presa…

Tra le scarse notazioni grafiche successive troviamo undisegno, realizzato da Ludwig Emil Grimm nel 1816, che cipresenta la piazza centrale di Montefiascone con alcuni per-sonaggi in costume dell’epoca.18

Si tratta di due popolani - forse appartenenti a quella ca-tegoria di facinorosi appena considerata - con cappello tron-coconico, pastrano pesante e grosse calze di lana rossiccia;in disparte una donna, con un vestito bianco ed un corsettoscuro, porta in testa una tovaglia bianca; sullo sfondo si vedeun personaggio di riguardo - notabile o magistrato della città- con tricorno, parrucca e cappa.

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17 Il “mazzagatto” era una piccola pistola inglese a pietra focaia.18 GRIMM, LUDWIG EMIL, Erinnerunger aus meinen Leben, 1950.

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Nel 1816 Ludwig Emil Grimm realizza un acquerello riproducente lapiazza centrale di Montefiascone con alcuni popolani in costume del-l’epoca.

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Più tardi, in una tavola pubblicata a Londra nel 1821,19 siravvisa - tra le altre di Sarzana, Lanslebourg, Firenze, Ostiae Gaeta - un’acconciatura di contadina montefiasconese chel’autore dovette ritenere particolarmente caratteristica. Il co-pricapo appare singolare in quanto si presenta come un faz-zoletto non inamidato, non ripiegato e semplicementeappoggiato sulla testa.

Una foggia simile, che nella sua semplicità si distinguedalle tante varianti di tovaglie locali, si ritrova un affrescodi Lorenzo da Viterbo di circa 450 anni prima e cioè ad unadelle figure femminili raffigurate nello “Sposalizio dellaVergine” della cappella Mazzatosta.

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Copricapi e acconciature da “Sketches illustrative of the manners andcostumes of France, Switzerland, and Italy” - 1821

19 BRIDGENS, RICHARD, Sketches illustrative of the manners and costumesof France, Switzerland, and Italy, Baldwin Cradock and Joy, London1821 (incisione in rame colorata da mano coeva).

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Altre indicazioni emergono da alcune tavole realizzatenel luglio 1842 da Samuel James Ainsley, disegnatore al se-guito di George Dennis.20 I personaggi che animano le scenerelative a Montefiascone si presentano con indumenti cheattestano la persistenza della foggia “arcaica”: gli uominicon calzoni scuri al ginocchio, camicie e calze bianche ecappelli troncoconici; le donne con gonnelloni e tovagliebianche.

L’ultima informazione sull’abbigliamento della primametà dell’Ottocento si trova su un acquerello 21 - probabil-mente opera di un artista inglese - ove è raffigurata una con-tadina sullo sfondo del lago di Bolsena con una tovaglia dilana a fasce colorate fissata da un lungo spillone d’argento.

A partire dalla metà dell’Ottocento, anche per il cambia-mento di mentalità che i fatti del ‘48 necessariamente com-portarono, l’abbigliamento contadino iniziò a modificarsi.

Le usuali brache corte al ginocchio furono sostituite dacalzoni lunghi; vennero abbandonate le calze bianche ed icappelli troncoconici; sempre più si diffusero le scarpe dicuoio; da parte delle donne si assiste alla progressiva rinun-cia delle tovaglie che sopravvivranno, ancora per alcuni de-cenni, soltanto nell’abito festivo, e all’uso di tessuti non fattiin casa quali broccati, damaschi, sete e cotonine stampate.

Avvenuti questi cambiamenti il contesto sembra stabiliz-zarsi per giungere, verso la metà XX secolo, con minimi mu-tamenti, al completo dissolvimento.

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20 DENNIS, GEORGE, Cities and Cemeteries of Etruria, 1848.21 Lago di Bolsena from Montefiascone, cm. 34x21 su foglio di cm.42,5x32,5, collezione ALESSANDRO FIORAVANTI, Bolsena.

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Costume tradizionale delle contadine montefiasconesi nel 1886. Tra itanti dettagli che compongono l’abito mbroccato si notano: l’antica mo-neta di argento appesa al filo più lungo dei coralli, il fazzoletto da testapiegato e inamidato, i fiocchi alle spalle e gli anelli in ogni dito dellemani.

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5 - PERIODO FASCISTA

Il progressivo fenomeno di perdita d’identità delle popo-lazioni rurali non era sfuggito ai responsabili del regime fa-scista che, nell’ambito delle varie “battaglie” sostenute perfavorire lo sviluppo agricolo e la tanto auspicata autarchia,ritennero opportuno promuovere una campagna di riscattodella classe contadina e delle sue tradizioni.

Nell’ambito di questo programma fu organizzata, nel1927, una grande mostra dedicata al costume di Roma e del

Lazio. Del comitato ordinatore faceva parte anche Ma-rino Lazzari, futuro podestà di Montefiascone.

Nel numero monografico di CAPITOLIUM, interamente de-dicato alla mostra, così introduceva Ceccarius, al secoloGiuseppe Ceccarelli.

…Sotto gli auspici del Governatorato edell’Amministrazione Provinciale di Roma,quale è stata ideata e voluta, la Mostra è unfatto compiuto e la sua riuscita è dovuta ad untenace, assiduo sforzo di volontà, e perciòdeve considerarsi una vittoria fascista.

E si svolge luminosa ed attraente non perrichiamare a vani ritorni del passato, ma permanifestare quanto di originale si è prodottoe si può ancora produrre con caratteri pretta-mente nazionali, per dare argomento di studiosulle nostre tradizioni, per raffrontare i varicostumi da paese a paese e sopratutto per spin-gere le autorità locali a far sì che qualcheesemplare dei costumi tradizionali sia conser-vato nella Casa del Comune, contrastando alla

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Copertina del numero di CAPITOLIUM completamente dedicato alla“Mostra del Costume” di Roma (1927)

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folle dispersione di veri tesori che per pochidanari finiscono nelle mani di speculatori. Lesete, i broccati, gli ornamenti d’oro, i merletti,i coralli, gli arredi - in una festa di luce e dicolore - costituiscono una pura manifesta-zione d’arte delle province sorelle di Rieti, diFrosinone, di Viterbo, esaltanti intorno aRoma le magnifiche bellezze della Sabina,della Ciociaria, della Tuscia, del Lazio e laeterna grandezza dell’Urbe…22

Nella mostra, organizzata con ricostruzioni di ambienti equadri plastici, il viterbese era rappresentato da tre scene: lariproduzione di una piazzetta di Viterbo con la tipica fon-tana, un diorama con una venditrice di cocci di Vetralla, eduna sala, animata da numerosi personaggi, dedicata a Mon-tefiascone.

…Nell’interno di Montefiascone, che cipresenta la Mostra, noi vediamo giungere, dauna scala, delle donne di Carbognano, di Ca-pranica di Sutri, di Viterbo, di Man-ziana, chescendono per vedere le stoffe offerte in ven-dita da un mercante di Tolfa, il quale sta espo-nendo il suo campionario sopra un grandetavolo.

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22 Capitolium, anno II, n. 11-12. febb. marzo 1927, Roma

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Nell’interno di Montefiascone, che ci presenta la Mostra, noi vediamogiungere, da una scala, delle donne di Carbognano, di Capranica diSutri, di Viterbo, di Manziana...

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Tutte queste donne indossano broccati pre-ziosi a fiori dai delicatissimi colori, i più sufondo bianco. Quelle di Manziana - le discen-denti degli antichi e fieri “capannari” - por-tano sul capo un velo arancione, mentre altrehanno le spalle coperte da quei caratteristiciscialli viterbesi neri, con i fiori ricamati amano, che sono oramai divenuti rarissimi. Ilgruppo, nel suo insieme, presenta un colpod’occhio dei più pittoreschi, per la sua varietàe per la sua ricchezza.

In basso, altre donne attendono le soprav-venienti, e il mercante tolfatano, con l’altocappello quasi cilindrico e il rosso mantello,non mostra nessuna impazienza, sicuro com’édell’effetto che le magnifiche stoffe produr-ranno sulle sue clienti. Sul tavolo, alcunebrocche stanno a dimostrare che non si puòconcludere nulla di buono senza il “goccetto”propiziatore.

Alcuni uomini di Viterbo, di Tolfa e diBracciano, dagli originali gambali dì cuoio, sene stanno in qua e in là, in attesa degli eventi,ben sapendo che allo stringere dei conti do-vranno pagar gli acquisti dalle loro donne.Due, appartati sotto la scala, sono impegnatiin una interessante partita alle carte, di cui unamanzianese, in piedi, segue con attenzione levicende…23

Il recupero dell’abbigliamento rurale divenne, all’epoca,un apprezzato elemento di rappresentanza.

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23 MASTRIGLI, FEDERICO, La mostra del costume di Roma e del Lazio,Roma 1927, pp. 60-61.

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1930 Un gruppo folcloristico di Montefiascone venne inviato a Roma,ove soggiornò per tre giorni all’osteria “La Rosetta”, in occasione dellenozze del principe Umberto di Savoia con Maria Josè.

1930 (decennio) Manifestazione a piazza della Rocca a Viterbo, neglianni ‘30, con la partecipazione di un gruppo di contadine montefiasco-nesi in abito tradizionale.

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1932 ottobre, X - La “Sagra dell’uva” era una manifestazione a livellonazionale, promossa dal regime, tesa a valorizzare la produzione del-l’uva e a propagandarne il consumo. In un banco approntato in piazzaVittorio Emanuele, a Montefiascone, due signore in costume contadinodistribuiscono uva agli avventori.

1936 - Un gruppo di donne della provincia partono dalla stazione di Vi-terbo per andare a Roma a rendere omaggio al Duce. Sulla destra sinota una rappresentanza delle contadine delle Coste, Cipollone e Fior-dine con il vestito delle grandi occasioni.

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1942 - Il prefetto di Viterbo, Florindo Giammichele, visita Montefia-scone tra autorità e massaie rurali indossanti i ricchi costumi locali

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6 - ABBIGLIAMENTO MASCHILE

L’abbigliamento maschile dei contadini della provinciadi Viterbo - generalmente costituito da un abito da lavoro edalmeno un cambio “buono” per le “occasioni” - pur essendodi foggia omogenea, differiva, da comune a comune, nellaqualità delle stoffe e nei colori: a Viterbo prevaleva il noc-ciola, a Vitorchiano il nero, a Montefiascone il marronescuro.24 Gli indumenti che lo componevano erano sostanzial-mente i seguenti:

CAMICIAle camicie da uomo, di canapa bianca tes-

suta in casa, erano originariamente con il col-letto a cinturino. Quelle delle feste avevanotre piccole pieghe ai due lati dell’allacciatura.Di regola venivano portate completamente ab-bottonate e senza cravatta.

CORPETTO E GIACCHETTAa secondo della stagione, sopra la camicia,

gli uomini indossavano un corpetto di saia -quello festivo era talvolta a doppio petto - edeventualmente una giacca di fattura semplice,sempre di saia.

CALZONIi calzoni erano di saia con una saccoccetta

interna per tenere i soldi. Gli spiccioli veni-vano conservati nelle tasche posteriori mentre,i contadini più facoltosi, utilizzavano un ca-pace portafoglio a orghinetto che rimaneva

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24 SANSONI, DOMENICO, La Tuscia alla mostra del costume di Roma, su“Capitolivm”, anno II, nn. 11-12, febbraio – marzo 1927, p.681.

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trattenuto alla tasca in-terna della giacca dauna catena. I calzoni,come la giacchetta ed ilcorpetto, erano tinticon colori scuri per “te-nere” bene lo sporcodato che, per evitare illogoramento del tes-suto, venivano rara-mente lavati.

MANTELLAla mantella senza

maniche con taglio a ruota, derivata dall’an-tico ferraiolo, costituiva il soprabito maschiledell’epoca. Di panno nero rasato, rotonda conil colletto, veniva indossata gettandone unlembo su una spalla.

FASCE, CINTURE E STRACCALInel XIX secolo i calzoni erano preferibil-

mente sostenuti da una specie di fusciacca dilana che, potendo essere di vari colori, costi-tuiva l’unica nota vivace dell’abbigliamentomaschile. In seguito fu sostituita da bretellestraccali (dial. orcale) 25 o, preferibilmente, dacinture di cuoio.

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Le camicie da uomo erano origina-riamente con il colletto a cinturino.

25 Il termine dialettale orcale deriva dalla voce di area umbro senese òrca= spalle.

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MAGLIA A PELLEsotto alla camicia veniva indossata una

maglia di lana che, specialmente da nuova, ri-sultava molto ruvida e provocava prurito e ir-ritazione.

“Veniva lavorata ascappatempo con i ferrida calza: il pezzo da-vanti, quello di dietro ele maniche. I quattropezzi venivano poi cu-citi con l’ago da lana edi bordi delle maniche edel collo rifinite ad un-cinetto in una sorta diricamo ondulato.

D’inverno era rigo-rosamente a manichelunghe poi, a primaverainoltrata, arrivavano lemaniche corte ed’estate, invece, erasenza maniche.

Le si attribuivanomiracolose proprietàsanitarie credendo chechi la indossava, anchese sudava come una be-stia, si sarebbe amma-lato di meno.

Oltre a proteggere ilcorpo, aveva anche una specie di protezioneper l’anima, infatti, sul petto, dalla parte delcuore, c’era cucita immancabilmente la me-daglietta con la madonna di qualche santua-rio o un francobollo di stoffa con il ricamo di

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Francesco Mezzoprete, con fascia e“orcale”, nel giorno del suo centesimocompleanno (29 maggio 1979)

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un cuore sanguinante che doveva essere ilsacro cuore di Gesù. Infilarsi la nuova cami-ciola di lana era una tortura sottile che si pro-traeva per due o tre giorni. Era comeindossare una veste fatta con il filo spinato.Muovercisi dentro era come rotolarsi nellalolla e appiccicarsi addosso mille forasac-chi.”26

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Contadini montefiasconesi di fronte alla chiesa di San Flaviano(primi anni del ‘900)

26 MANTILONI, GRAZIANO, La camiciola di lana, in “Le Antiche Dogane”,n. 65, novembre 2004, p. 11.

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MUTANDEle mutande - indumento prettamente ma-

schile derivato dalle brache romane - veni-vano portate lunghe sia d’estate che d’invernoed erano realizzate con canapa o pelosetto. Silegavano alla caviglia, insieme alle calze, conla filosella. Alla vita avevano dei bottoni, lafischia - o più propriamente pattina - rimanevaaperta.

Il pelosetto era una sorta di flanella costi-tuita da un tessuto in lana con trama di cotone.Morbido e leggermente peloso all’interno,aveva generalmente una trama a righe azzurre,grige e bianche su sfondo giallo. Veniva uti-lizzato, di regola, per gli indumenti, invernalied estivi, che si mettevano a contatto dellapelle.

Alcuni piccoli tocchi distinguevano il carattere e l’iden-tità dell’individuo: la piega del feltro, la penna al nastro delcappello, il fiore all’occhiello e i cerchietti d’oro.

CERCHIETTEl’orecchino d’oro portati dagli uomini co-

stituiva l’unico tocco di marcato esibizioni-smo dell’abbigliamento maschile. Venivaindossato specialmente dai contadini bene-stanti, come gli antichi capoccia, e costitui-vano il segno di una certa considerazionesociale e rispettabilità: “padron Trapè… pa-dron Rosetto…”. Una credenza popolare con-siderava i buchi nelle orecchie, ed il contattocon l’oro, scaramantici ed utili a salvaguar-dare la vista dagli inevitabili acciacchi del-l’età. Questa convinzione ebbe una grandediffusione geografica.

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CAPPELLONero di feltro veniva portato in due fogge,

con il fondo piatto circolare e con cupola alta.Talvolta nel nastro si inseriva una penna, piùo meno grande, un fiore o un fiocco.

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Gruppo di contadini al paese in un giorno di festa (1900 circa)

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FAZZOLETTOgli uomini, specialmente durante la mieti-

tura, portavano un fazzoletto annodato intornoal collo.

CATANAla catana era una borsa a forma di carniere

che si portava a tracolla.

VERTOLEle vertole, costituite da due sacche di tela

da portarsi a tracolla, erano l’equivalente dellebisacce.

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Fazzoletto a guisa di cravatta

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7 - ABBIGLIAMENTO FEMMINILE

Il vestire delle contadine, che durante i giorni feriali eracaratterizzato da abiti dalle tonalità spente, veste scepre,27

27 Da sceprece, semplice; il contrario di doppio: “rosa scepre” rosa ofiore con un solo giro di corolla.

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Giovani contadine con l’abito delle “grandi occasioni”

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nelle grandi occasioni prendeva la sua rivincita distinguen-dosi per gli azzardati accostamenti cromatici delle gunnellevermiglie e turchine, dei corsetti di raso e damasco a fioramiricamati, dei nastri multicolori, delle scarpette con fibbie edei calzari di cuoio colla linguetta, o orecchiozzo, ripiegataper nascondere i lacci.

Questo tradizionale abito da cerimonia era però usato ra-ramente; nelle festività normali le donne indossavano abitisimili a quelli feriali, confezionati, però, con tessuti più fini.

Questo abbigliamento - in cui alla canapa si sostituiva illino, alla mezzalana la lana, al cotone la seta - era general-mente composto da una gunnella di rigatino o di quadrijè;da una camicia bianca con le spalline ricamate o da una po-lacca di cotone violaceo a quadretti, ma talvolta anche divelluto o di raso; da uno scialle con frange, di giaconettabianca o fiorata, incrociato sul petto e infilato nel nastro-cin-tura; da un fazzoletto da testa di mussola bianco ricamato amano o di seta a colori vivaci.

Il guardaroba completo, quindi, era schematicamentecomposto dai seguenti indumenti: guarnello, sottanello, gun-nella, camicia, corpetto o più precisamente polacca, bustoo corsé, grembiule, scialle, fazzoletto da testa, calze, scarpe.

GUARNELLO o SOTTOVESTEIl guarnello, o camicia a pelle, era una

veste rustica femminile, scollata e general-mente senza maniche, indossata dalle conta-dine come veste da casa o come sottoveste diabiti più eleganti. Giungeva fino a metà cosciae in inverno si portava anche con le maniche;talvolta era ricamata sul petto. Il nome dell’in-dumento deriva dal dozzinale tipo di stoffautilizzata per confezionare vesti modeste e or-dinarie, fodere per abiti, coperte, guanciali.

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Foto ricordo di Ottavio Bertuccini con la moglie (1915 circa)

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Questo tessuto ordinario era composto da unmisto d’accia (stoppa o canapa), di bambagia(cotone di scarto), e di lino, e poteva essereraso o peloso.

Il nome sembra derivare dall’incrocio deitermini guarnacca28 e gonnella.

SOTTANELLOIl sottanello di canapa, o di pelosetto, era

strutturato come una gonna e aveva la fun-zione di sottana.

GUNNELLALa gunnella, gonna invariabilmente ampia

di taglio e lunga fino quasi a radere la terra,spesso increspata a scannellature alla vita, erapiù lunga e più adorna quanto più l’occasioneera festiva.

Per sostenere l’ampiezza della gunnella,far risaltare i fianchi e renderli ben arrotondatisi indossavano diversi sottanelli, anche sei osette; oppure si usavano le gunnelle più vec-chie indossandole una sopra l’altra, le più vec-chie sotto, le più nuove sopra.

La quantità delle gonne indossate dipen-deva dalla stagione e dalla disponibilità eco-nomica.

Le gunnelle, che per metonimia prende-vano il nome dalle caratteristiche della stoffacon le quali erano confezionate, potevano es-sere:

di saia marrone o grigia: tessuto di lanafilata a mano e fatta al telaio con i punti di le-

28 Sopravveste ampia, lunga, aperta sul davanti e senza maniche.

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La famiglia si ricompone idealmente con la foto del marito militare(molte delle foto d’inizio ‘900 sono state eseguite dal fotografo EdoardoFuria di Viterbo)

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gatura disposti in diagonale. La lana di cui erafatta la saia era generalmente secca, mentrenella confezione dei panni si usava lana in-grassata.

di mezzalana o menzalana: tessuto gros-solano di scarso pregio ottenuto disponendofilati di lana nella trama e nell’ordito di altrefibre, oppure impiegando filati costituiti damischia intima di lana e altre fibre. General-mente la mezzalana era un gonnellone di lanadi pecora, metà bianca e metà nera, lavorataal telaio. In caso di maltempo la veste di mez-zalana suppliva al soprabito e, alzandone laparte posteriore: se mettia ma la capoccia.29

di tessuto a quadrijè (derivato dal fran-cese quadrillé = a quadretti): il quadrigliè erail gonnellone estivo per i giorni feriali, di ca-napa e cotone spesso a quadretti bianchi e az-zurri

di cotone a righe o rigatina; questo tes-suto era spesso confezionata in casa

di doboletto: il dobletto era un panno dilino e bambagia a coste rilevate o a spina, tes-suto anticamente a Napoli su modello fran-cese. Doboletto veniva chiamata la gonnellabianca realizzata con questo tessuto.

di broccato o raso a fiori multicolori; que-sta gonnella, riservata alle grandi occasioni,era chiamata modetta.

29 Testimonianza orale di ADELE TRIPPA.

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BUSTO o CORSÈIl busto o corsetto (dal francese corset) era

un indumento, che cuopre e cinge la vita delledonne, affibbiato e sostenuto da stecche diferro o canne di bambù, in dialetto chiamatecannalenghie o candalindie (canna d’india).Generalmente riservato all’abito da cerimo-nia, veniva portato, più o meno elaborato eprezioso, sopra la camicia o sopra il corpetto,ma sempre dentro la sottana di sopra o gun-nella. In genere si agganciava sul davanti e siregolava per mezzo di lacci o strenghe postisulla schiena. “Più stretto se portaa e mejoadera.”30

30 Testimonianza orale di ADELE TRIPPA.

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“Al levar del sole, le contadine, coi fazzoletti rossi, la polacca bianca ela rigatina azzurra, apparivano timidamente in piazza...” (Zerbini)

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Vestita con la caratteristica polacca a quadrettini, questa “bellezza”contadina esibisce con orgoglio lo splendido vezzo di perle, le due lun-ghe file di corallo e gli orecchini d’oro a navetta o “pennente”

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POLACCALa polacca era un corpetto corto da donna,

arieggiante la foggia dei costumi polacchi, dicotone nei giorni feriali, di velluto e di raso inquelli festivi.

Si portava attillata e abbottonata quasicompletamente o chiusa alla gola.

Le maniche, piuttosto aderenti e lunghe, sipotevano rimboccare fino al gomito per esple-tare i vari lavori.

Poteva stare dentro o fuori la sottana, ed inquesto caso il grembiule le si allacciava sopra.Le polacche più eleganti erano talvolta arric-chite con colletti a giro collo e polsini plisset-tati posticci ed anche con una pettorina dettasciabò (dal francese jabot) che si presentavacome una specie di cravatta di trine o di stoffapieghettata.

La polacca a righette d’una vorta.31

La camicia, er corzè, la pollacchina.32

CAMICIALe camicie che si indossavano sotto il cor-

setto erano generalmente di ghinea, con col-letto bianco allacciato sul davanti e bottoni dimadreperla.

Quelle più elaborate erano ricamate sulpetto e sui polsi con filo bianco perlé (per-lato). La ghinea o chinea era un cotone di qua-lità piuttosto scadente, appena torto, utilizzatoper lenzuola, camicie e simili, originario del-l’Inghilterra, dove si tesseva per esportarlo inGuinea.

31 Dalle poesie di TRILUSSA.32 Dalle poesie di GIOACCHINO BELLI.

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SINALEIl sinale era un

grembiule di tessutovario, ampio, incre-spato o a pieghette,per i giorni di lavoro.

Era fornito di duetasche e rimanevasorretto da lunghestrenghe che, dopoaver fatto un giro in-torno alla vita, si an-nodavano sul davanti,pendendo fino apochi centimetridall’orlo della veste.

La strenga o filo-sella era una fettucciafatta al telaio in ca-napa o cotone.

Il sinale venivageneralmente confe-zionato con stoffepratiche e robustecome il rigatino, cheera un tessuto resi-stente di lino o di cotone con righe sottili,spesso blu e bianche, usato per gli indumentidi lavoro.

Per le feste e le occasioni particolari si usa-vano stoffe più pregiate: tulle nella secondametà dell’Ottocento, broccato nella primametà del Novecento.

Veniva riposto piegato a rettangoli a formadi organetto e così, quando si indossava, pre-sentava una grossolana plissettatura.

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La polacca di questa giovane conta-dina mostra un’insolita guarnizionedi pelliccia

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...Quanto sei bella il giorno di lavoro,Quando ti metti il zinale turchino;Pari una palombella in alto volo...33

PARAVANTEIl paravante era un piccolo grembiule a

uno, due, o tre teli, che si indossava sopra ilsinale ad ulteriore protezione delle gonne sot-tostanti. Si utilizzava anche per fare la coroja.“Tre tele copriva tutto, avante e reto.”34

FAZZOLETTO E COROJAIl fazzoletto da testa era onnipresente. Nel XIX secolo, anche a Montefiascone,

veniva portato nella foggia che è sopravvis-suta più a lungo nella campagna romana ecioè piegato in vari modi sempre mantenendo,comunque, la sua caratteristica di rettangolodi tela inamidata.

Realizzato quasi esclusivamente con tes-suti bianchi più o meno elaborati - ma più an-ticamente anche con teli di lana o canapa arighe colorate - veniva fermato sui capelli permezzo di spilli. Successivamente perse l’ina-midatura e venne indossato in maniera piùsemplice.

Tra le varie fogge usate vi era quella dettada chiesa (da inverno nel senese e in umbria),cioè piegato a triangolo e legato sotto la barba(mento) più in avanti o più sceso indietro a se-

33 MARSILIANI, ALESSANDRO, Canti Popolari dei dintorni del lago di Bol-sena, di Orvieto e delle campagne del Lazio, Orvieto, 1886, canto rac-colto a Gradoli. 34 Testimonianza orale di ADELE TRIPPA.

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condo delle situazioni; oppure alla segatora(mietitora in toscana e in romagna), vale adire posato più basso sulla fronte e legato sullanuca, sotto la crocchia (a Montefiascone si di-ceva a monica, ad Onano invece a mannoca).

Per tenerlo in forma, specie nei giorni fe-stivi, vi si inseriva un bastoncino o un salcinopiegato che fungeva da struttura portante.

Talvolta, quando era molto caldo, venivatenuto slegato con i due lembi laterali scioltiappoggiati sul capo.

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Una nuova “muta” poteva essere il pretesto per una foto ricordo. Ledue ragazze, probabilmente amiche, forse sorelle, hanno indossato lostesso abito festivo per meglio apparire in occasione del ritratto uffi-ciale. Le polacche più eleganti erano talvolta arricchite con colletti agiro collo e polsini plissettati posticci ed anche con una pettorina dettasciabò che si presentava come una specie di cravatta di trine o di stoffapieghettata.

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Nei primi decenni del Novecento, ai faz-zoletti bianchi si iniziarono a preferire quellidi seta stampata e quindi di cotone ponzòrosso vivo a fiori gialli o a fiori bianchi (dalfrancese antico ponceau = papavero).

In caso di necessità il mantile si poteva ac-corojare, cioè si arrotolava a coroja, e si met-teva in testa per collocarvi stabilmente leeventuali cose da trasportare: cesti, panate, re-cipienti, fagotti.

SCIALLEL’uso dello scialle si diffuse in epoca na-

poleonica diventando una vera mania e con-tagiando anche le classi meno agiate. Venivausato dalle contadine nelle occasioni festive,libero o fissato incrociato sul petto; di giaco-netta, seta o broccato, aveva normalmentedelle frange in seta.

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La contadina in groppa alla “somara” è Marsilia Scoponi nata a Mon-tefiascone nel 1889

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FETTUCCE E FIOCCHINelle grandi occasioni venivano messi

sulle spalle, e più raramente sul fazzoletto, fet-tucce e fiocchi colorati, talvolta ricamati arose bianche con fondo azzurro, larghi 7 o 8centimetri. Realizzati con raso mezzo lanoso,erano guarniti, scendendo dalle spalle, in co-tone. Il loro uso derivava dall’antica foggia diutilizzare maniche staccate che si fissavano albusto per mezzo di nastri.

“Che serve che t’attilli, che t’attilli, / Timetti le fettucce e virli-varli,35 / Tanto que-st’anno marito non pigli...”36

35 Virli-varli sta per zirlivarli che in dialetto romanesco è sinonimo diimbottiture, posticci o comunque artifici per modellare la figura.36 ALESSANDRO MARSILIANI, op.cit., canto raccolto a Montefiascone.

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Contadina con il fazzoletto alla “segatora”

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BIANCHERIA INTIMALa biancheria intima, come la intendiamo

oggi, non esisteva. Reggiseno e mutande nonvenivano usati.

Solo in tempi relativamente recenti, e congrande disapprovazione delle madri che leconsideravano indumento adatto solo a donnepoco serie, le giovani delle famiglie contadinebenestanti iniziarono ad indossare delle mu-tande di doboletto, fatte a calzoncino e lunghefino al ginocchio, con merletto ed elastico.

Questo indumento intimo, molto diversoda quello che conosciamo oggi, aveva deglispacchi sui fianchi e veniva legato alla vitacon filosello davanti e dietro. La parte bassadell’inforcatura non veniva comunque cucita

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In caso di necessità il fazzoletto si arrotolava e si metteva sulla testaper collocarvi le cose da trasportare

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e quindi rimanevano sempre aperte sul ca-vallo. Sopra le mutande le donne, all’occor-renza, legavano una saccoccia per tenere isoldi. Durante i cicli mestruali venivano uti-lizzate pezze di canapa recuperate da lenzuolae vecchie camicie.

ACCONCIATUREI capelli delle donne, che erano sempre la-

sciati lunghi, venivano acciucciati, cioè petti-nati con la scriminatura centrale, stretti in unatreccia e quindi arrotolati in un ciuccio (croc-chia) fissato sulla testa con una o più forcine.

GIOIELLINell’ideologia padronale l’acquisto di gio-

ielli rientrava in una serie di cattive abitudinidenominata generalmente il “lusso dei conta-dini”, ma, evidentemente, anche le contadinedesideravano avere i loro ornamenti che, purnon preziosissimi, dovevano almeno essereappariscenti. Il beato Giovanni Dominici os-servava: “Non appetisce contadina corona diperle, ben la vegga in testa alla contessa: enel suo grado le pare di essere ornata con unfrenello d’occhio di pesce e osso d’ostrica chesi chiama madreperla, come la gentildonnadelle perle e dei balasci fini”. Il lusso comesintesi del desiderio di affermare superioritàsociale, oltre ai tessuti pregiati, si manifestavaquindi nello sfoggio e nel valore intrinseco deigioielli. Le donne contadine portavano anelli,orecchini, e principalmente, un vezzo di pic-cole perle - disposte in fili di quantità propor-zionata all’agiatezza della famiglia - che per

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tradizione costituiva parte della dote di ogniragazza. Gli ornamenti preziosi costituivano,inoltre, una sorta di deposito assicurativo dautilizzare in situazioni di emergenza.

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I GIOIELLI DELLE CONTADINEvezzo, pendenti, coralli ed anelli in ogni dito delle mani.

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Un racconto di F. Orlandini intitolato“Sulle gemme ed altri ornamenti preziosi dellespose dei poveri di contado”, pubblicato nel“Giornale Agrario Toscano” del 1835, si rivelaparticolarmente esplicativo in merito.

Ad un contadino che si dirigeva con la fi-glia e il futuro genero alla fiera di Monte SanSavino, per acquistarle delle “gioje” in previ-sione del matrimonio, fu domandato che cosaavrebbe comprato. Il contadino rispose “Poco,perché i denari son pochi. Voglio comprarleun vezzo di perle che costi sei o sette scudi,

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Giovani contadini al paese in un giono di festa (1905)

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un paio d’orecchini e l’anello. In tutto per ilvalsente di dieci scudi, che tanta è la sua dote,e l’ho messa assieme proprio a briciole dipane”. Al commento che quei soldi avrebberopotuto essere spesi meglio, il contadino af-fermò “Meglio? ...non saprei davvero.

Che vorrebbe che io ne facessi? Lo sposonon ha dove assicurarli. Sciuparli in frasche-rie credo che sarebbe una pazzia. Un po’ divezzo, un po’ d’anello e qualche altra cosuc-cia, si sa, per le spose ci vogliono. E poi questisono oggetti che non si consumano, e hannosempre il loro prezzo, e se viene la disgraziadi qualche malattia o altro, se ne può fare unpegno e provvedere ai bisogni. Anco mia mo-glie, quando la sposai, ebbe la sua dote intante gioje. Piccola bagattella, veda! Vale-vano dieci scudi, quanto do alla mi’ figliuola;e con quelle gioje ai tempi della carestia piùd’una volta ho fatto dei pegni, e posso direche mi abbiano salvato la vita”.

Ad eccezione degli orecchini e della fedenuziale, tutte le altre gioie venivano indossatesoltanto in occasioni particolari come il ballo,le cerimonie civili e religiose, le foto ricordo.

PENNENTE - Orecchini che si portavano apendente con una tipica forma a navetta, inoro a cerchio con la goccia che scendeva.

ANELLI - Nelle occasioni importanti, se lasituazione economica lo permetteva, le conta-dine indossavano otto vistosi anelli distribuitiin ogni dito delle due mani, escludendo i pol-lici.

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VEZZO - Proba-bilmente risale alSettecento l’originedel vezzo di più fili -anche trenta - di pic-cole perle scara-mazze di acquadolce, spesso infilatea semenza in filefitte, con il ferma-glio d’oro.

CORALLE - I co-ralli venivano por-tati in forma dicollana costituita dadue fili uno deiquali, molto piùlungo dell’altro scendeva fin sotto il pettodella donna. Specialmente nell’Ottocento, alfilo più lungo era appesa un’antica moneta -piastra - di argento del diametro di circa 5 cm.Nell’oreficeria popolare al corallo erano rico-nosciute virtù apotropaiche e di protezionedall’anemia; tali peculiarità ne facevano unodei doni prediletti in relazione alla fertilità,alla nascita e all’allattamento.

MANUZZA - Spadino d’argento, legger-mente ricurvo e forgiato a lama, che le donneusavano come spillone ornamentale infilzan-dolo nella crocchia di capelli. Una estremitàdella manuzza era modellata a forma di manochiusa a pugno (manufica), quale simbolo fal-lico per scacciare il malocchio. Per estensionesi chiamavano manuzze anche altri tipi di fer-magli per capelli.

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Giovane madre con orecchini, vezzo ecoralli

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I GIOIELLI DELLE CONTADINE: in questa foto è ben visibile lo spa-dino d’argento leggermente ricurvo e forgiato a lama, detto manuzza,che le donne usavano come spillone ornamentale, infilzandolo nellacrocchia di capelli.

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8 - CALZE E SCARPE

CALZEAlle calze, lunghe, di lana nera, realizzate

con i ferri a cannolè (dal francese cannelé -scanalato), venivano applicate delle solette dicotone, più resistenti ed intercambiabili.Quelle da donna erano sorrette da nastri dilana di colore rosso, rosa o bianco, che termi-navano con una decorazione formata da cin-que pallette di lana per parte. Le persone piùpovere, in alternativa, si avvolgevano i piedicon delle fasce di ghinea. “Le porette co lepezze quell’altre co le calze.”37

GAMBALI DI CUOIOI gambali di cuoio erano usati dai contadini

benestanti per proteggere le gambe durante ilavori, per andare a cavallo ed anche comesegno di distinzione nei giorni di festa.

COSCIALII cosciali di pelle di capra o di pecora, ca-

ratteristici dei pastori, ricoprivano i calzoniper poter passare, senza danno attraverso mac-chie spinose.

BORZACCHELe borzacche erano una specie di ghette di

stoffa pesante, all’occorrenza realizzate constracci o vecchi cappelli, che i contadini in-

37 Testimonianza di orale ADELE TRIPPA.

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In questa foto del Baronesso - originale personaggio che viveva al Pog-getto - sono ben visibili alcuni elementi caratteristici dell’abbigliamentorurale maschile: il cappello con la penna, le vertole (bisacce) e i coscialidi pelle di capra.

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dossavano fino all’altezza delle caviglie perimpedirvi la penetrazione della terra o del-l’umidità.

Il nome deriva da borzacchino, antica-mente sinonimo di stivaletto, ghette.

“Calzan specie talor di borzacchino, / checon fiocchi, con cappi o con laccioli, / od’edere o di salice o di vinco, / alla gambastringean fino allo stinco...”38

POLACCHETTECalzature femminili a stivaletto, con gam-

baletto che copriva il collo del piede. Eranoallacciate sul davanti con legacci neri.

38 GIOVAN BATTISTA CASTI, Gli Animali Parlanti.

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Il secondo contadino da sinistra utilizza le borzacche, specie di ghettedi stoffa pesante legate fino all’altezza delle caviglie per impedirvi lapenetrazione della terra o dell’umidità.

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SCARPONCELLEScarpe femminili di vacchetta per la cam-

pagna con la suola di legno.

SCARPONE CO LE BOLLETTEGli scarponi imbollettati erano delle grosse

scarpe alte da lavoro a doppia suola rinforzatada numerose bullette, piantate nella suola perridurne l’usura e per avere una maggior presanel terreno. Venivano usati sia dagli uominiche dalle donne.

ZOCCOLIGli zoccoli, calzature caratteristiche dei

luoghi umidi e sabbiosi piuttosto che dellacollina, erano poco diffusi.

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Fisarmonicista con scarponi imbollettati

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9 - ABBIGLIAMENTO INFANTILE

Per i bambini - trascorso il periodo delle fasce, della cuf-fietta, della bavarola e del sinalone indifferenziato per ma-schi e femmine - l’abbigliamento riproduceva in miniatura,nei limiti del possibile e spesso con capi adattati, le soluzionie le tendenze di quello feriale degli adulti.

Alle bambine, già dai primi anni di vita, si bucavano ilobi delle orecchie con il gancio appuntito di piccoli orec-chini di scarso valore.

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L’abbigliamento dei bambini imitava, nei limiti del possibile, le soluzionie le tendenze di quello degli adulti

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10 - PULIZIA E CURA DEL VESTIARIO

Lavare i panni, compito che spettava alle donne, era unlavoro duro e faticoso che richiedeva tempo ed energie.

I panni colorati abitualmente si lavavanoal pozzo, in una piccola bagnarola di latta, conpoca acqua e strofinandoli su una grossa pietradopo averli insaponati doviziosamente con ilsapone in pezzi, spesso fatto in casa.

Tutto veniva risciacquato sempre in pocaacqua e steso sopra la siepe e sui rametti deifasci di legna; il sapone in pezzi insieme alranno di cenere e l’acqua molto calda eranogli unici detergenti per lavare sia tessuti chestoviglie e quant’altro avesse necessità di es-sere deterso.39

Il bucato “grosso”, o bucata, veniva fatto soprattuttocon il ranno, un miscuglio filtrato di cenere e acqua bol-lente, al quale seguiva un abbondante risciacquo.

La procedura si trova dettagliatamente descritta in que-ste due testimonianze.

La “bucata” aveva inizio di buon mattinoe quasi assumeva l’aspetto di un rito: ad unlato del camino, su una robusta panchetta dilegno, trovava posto, una volta lavata e ripu-lita accuratamente, la conca, provvista nelforo di base dell’apposito tubo di canna palu-

39 SCARINO, MARIA ASSUNTA, Pane e companatico, Montefiascone2003, pp. 90.

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Contadine e popolane di Orvieti alla fontana per il risciacquo dei panni(incisione di fine Ottocento)

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stre, lungo una ventina di centimetri munitodel suo turacciolo di sughero o di legno; allato opposto era ammucchiata una certa quan-tità di legna abbastanza secca e, nello stessotempo, i più giovani della famiglia facevanola spola tra la casa e la fontana più vicina perriempire bagnarole, brocche, secchie e catinidi tutta l’acqua necessaria.

Intanto da una cassina usciva fuori il “ce-narone”, un grande panno di tela grezza, la cuifunzione era fondamentale; dal ripostiglio poifaceva la sua comparsa un grosso recipientericolmo di cenere accuratamente mondata dacarboni e residui di legno e tenuta in serboproprio per questa circostanza.

Quando tutto era pronto, il fuoco comin-ciava ad ardere scoppiettando sotto il paioloe, in attesa che l’acqua arrivasse all’ebolli-zione la biancheria, bagnata il giorno prece-dente ai lavatoi, prendeva posto all’internodella conca. Sistemato l’ultimo capo, era lavolta del “cenarone”: steso per metà sullabiancheria fino a coprirla in ogni sua parte,spariva poi sotto un alto strato di cenere sulquale ricadeva l’altra metà del panno, rincal-zato tutto, torno torno, per impedire che que-sta ne uscisse anche in modica quantità. [...]

Intanto il fuoco, continuamente alimentatoe ravvivato, portava l’acqua all’ebollizione:allora il paiolo, staccato dalla catena e siste-mato sull’apposito cerchio di legno ai piedidella conca, era svuotato con un tegamino delsuo contenuto che finiva sulla cenere a ba-gnarla completamente; quindi riempito dinuovo, ritornava al suo posto sulla fiamma delcamino.

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Questa era una fase molto delicata, che ri-chiedeva la massima cautela e la più viva at-tenzione: maneggiare un recipiente cosìgrosso e pesante comportava ogni volta seririschi di gravi ustioni e scottature soprattuttoalle braccia e alle gambe. I quattro o cinquepaioli d’acqua bollente successivi erano suf-ficienti a riempire la conca e a inzuppare benbene il suo contenuto, che vi rimaneva a pur-gare per diverse ore.

Ma la vera fatica doveva ancora venire:trascorso il tempo ritenuto necessario per unabuona purgatura (esso variava a seconda dellaquantità della biancheria e del suo grado disporcizia) dava la stura alla cannella: neusciva un’acqua ancora calda, di un coloremarrone scuro, che prendeva il nome di“ranno”; come tale non finiva subito nellefogne, ma una certa quantità era conservata in

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Le “lavannare” del Cunicchio (loc. di Montefiascone)

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un capace recipiente per purgarvi indumentida lavoro particolarmente sporchi e gli stracciper le pulizie. Le sue proprietà detergenti, ac-quisite nel filtraggio della cenere, erano quelle

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Popolana viterbese con “fescina per i panni (G. Bauernfeind, Viterbo -Casa Poscia; da Stieler - Paulus - Kaden, L’Italia. Viaggio dall’Alpiall’Etna, Milano 1876)

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della liscivia caustica ed il suo uso richiedevaprudenza ed attenzione dal momento che pro-duceva dolorose screpolature nelle mani.

Attraverso la cannella, la biancheria era la-sciata scolare per tutta la notte e, al mattino,insieme al “cenarone” liberato del suo conte-nuto, essa era pronta per essere risciacquata:la madre di famiglia e le figlie più grandicelle,sotto il peso di bagnarole e di capistei ricolmiin precario equilibrio sulla testa, si dirigevanoverso i lavatoi pubblici, dove altre donneerano convenute per lo stesso lavoro.

Qui, dopo varie passate di sapone e reite-rati risciacqui in un’acqua fresca e limpidaogni capo, debitamente strizzato anche conl’aiuto delle lavatrici presenti, ritornava an-cora gocciolante negli stessi recipienti e sullestesse teste per essere steso ad asciugare ai filidelle finestre o semplicemente allargato sul-l’erba di un prato vicino…40

…si metteva tutta la biancheria sporcanelle fescine 41 da trasportare sulla testa op-pure nelle bisacce a dorso d’asino, e le donneandavano a lavare.

Quando l’acqua era abbondante si potevafare al pozzo ma spesso si dovevano recare inun fontanile molto distante; le lenzuola, comeogni capo di biancheria era confezionato conteli eseguiti con filati casalinghi molto spessi,quindi risultavano pesanti, soprattutto quandoerano bagnati.

40 PRUNAI, FRANCESCO, La “bucata”, in “Le Antiche Dogane”, n. 50,agosto 2003, p. 12.41 Ceste basse e larghe senza manici.

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Venivano insaponati, sciacquati e ritortipoi si tornava a casa e si aspettava la seraquando, con un po’ di tempo a disposizione,si poteva procedere alla mescita del ranno [...]si componeva la biancheria nel bucatoio [obucatoro]42 iniziando sul fondo con i cano-vacci più vecchi e proseguendo con tutti ipezzi, adoperandosi nel disporli affinché fos-sero ben aperti da poter essere bagnati agevol-mente dall’acqua bollente; da ultimo si

42 Il bucatóro poteva essere costituito da un recipiente di terracotta, inmuratura, oppure da una buca ricavata in un angolo della cucina o diun’altra stanza.

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Fase preparatoria della “bucata (da Le Antiche Dogane”, n. 50)

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stendeva un vecchio cencio [o ceneraccio]43

che avrebbe trattenuto le impurità. La magi-strale operazione della mescita doveva rico-prire tutta la superficie del contenitoreaffinché non si creassero chiazze nella bian-cheria [...] Non si era soliti stirare la bianche-ria e i ferri da stiro, a carbone o scaldatidavanti alla fiamma, si usavano solo per gliindumenti di cotone, soprattutto le camicie.44

Per la biancheria fine si utilizzava un ranno più delicato,ottenuto con acqua non bollente passata su cenere vagliata.Oltre ad essere messo in ammollo in tali miscele, il bucatoveniva spesso liberato dalla sporcizia strofinandolo e soprat-tutto battendolo.

La frequenza del bucato dipendeva, comunque, dalla di-sponibilità di acqua, di tempo e di indumenti di ricambio.

In una società necessariamente parsimoniosa come quellacontadina, tutti gli oggetti, non esclusi quelli del vestiario,dovevano comunque essere sfruttati al massimo e il riciclag-gio era imperativo.

Gli abiti da lavoro venivano abilmenterammendati, rattoppati, scorciati, allungati,stretti o allargati secondo le esigenze, passatida chi era ingrassato a chi poteva ancora in-dossarli, soprattutto tra sorelle, cognate e cu-gine.

43 Tra le varianti che il termine presenta nel territorio altoviterbese tro-viamo: cenneràccio, cennaràccio, cenaràccio, cendaràccio, cenderàc-cio, ceneracchio, cennarajjo. Cfr. ENZO MATTESINI - NICOLETTA

UGOCCIONI, Vocabolario del dialetto del territorio Orvietano, Perugia1992.44 SCARINO cit., pp. 89-91.

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Tutti i colli ed i polsi delle camicie dauomo venivano prima girati poi cambiati [...]la maglieria intima e le calze da lavoro veni-vano eseguite a maglia con lana prodotta e fi-lata in casa; le calze, una volta rotte, eranomagistralmente rinsitate;45 giacche e cappotticonsunti venivano “rivoltati” e facevano bellamostra del “nuovo” dritto [...]

Le mamme erano specializzate nell’artedel “passaggio”: ogni capo infantile venivapassato e ripassato da un bimbo all’altro senzail minimo problema [...]

Le scarpe venivano confezionate a manoe, nell’età della crescita, dovevano durare al-meno tre stagioni; si finiva col portare un anno

45 Rammendate.

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Pastore a Borgheriglia (Montefiascone)

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scarpe grosse, un anno giuste e l’anno succes-sivo strette. Erano preferibilmente da ma-schio, affinché potessero essere indossateindifferentemente da maschietti e femminucce[...] il ciabattino arrivava con una grossa borsain una mano, il deschetto chiuso in spalla enell’altra mano la pesante forma in ferro chemostrava i suoi bordi consumati, testimoni lu-centi di tanti anni di lavoro.

L’uomo allestiva subito il suo angolo vi-cino alla finestra o, in estate, all’aperto, poiindossava il nero grembiule con sul petto unagrossa toppa di pesante cuoio che lui chia-mava “salvacamicie”, ma che forse era piùgiusto chiamare “salvapelle”, e subito gli pio-vevano accanto scarpe vecchie con i peggiomali: buchi sul fondo, squarci laterali, decinedi bollette mancanti e tacchi disastrati.

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Pastori a Borgheriglia (Montefiascone)

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Iniziava così l’opera di salvataggio di scar-poni e scarpette che sotto le sue mani abili ri-prendevano vita e forma, e da ultimo anchecolore. Amavo tanto osservarlo mentre prepa-rava la lesina, torceva e ritorceva lo spago fa-cendolo scorrere nella pallottolina di pece.

Poi faceva la punta allo spago con la setoladi maiale che gli permetteva di infilarlo age-volmente nella cruna della subbia, indossandouno strano guanto di cuoio per tirare con forzasenza farsi male alle mani.

La parte più lunga del lavoro era sempre lariflessione che precedeva l’inizio dell’opera-zione su ogni scarpa; quando era impossibileogni intervento di restauro veniva doviziosa-mente recuperato tutto il possibile: toppemesse in precedenza e ancora buone, pezzi ditomaia adatti a divenire toppe, strati di suolaper rabberciare buchi sul fondo e persino se-menze, bollette e “ferretti”.

Spettacolare il momento della lucidatura:lucido e saliva per le scarpe in pelle morbidae sego per quelle da lavoro; l’operazione av-veniva in piedi quasi a proclamare l’avvenutomiracolo, poi la scarpa veniva girata sul fondoa mostrare fiera la nuova dentatura... e sì po-teva riprendere il cammino.46

46 SCARINO cit., pp. 19-20.

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11 - OCCASIONI PARTICOLARI

Il matrimonio

La giovane contadina, nei giorni che precedevano lenozze, e cioè dal momento in cui erano state fatte le pubbli-cazioni del matrimonio, metteva un fiocco caratteristico co-stituito da un lungo nastro di seta rossa che scendeva adoppio sulle spalle. La madre dello sposo, il mercoledì cheprecedeva lo sposalizio, si recava in casa della futura nuorae, dopo averla riconosciuta come tale, estraeva da uno scri-gnetto il vezzo, ossia i fili di perle che lo sposo, secondo leproprie possibilità, offriva in dono alla compagna.47

La cerimonia nuziale vera e propria veniva celebrata,senza alcuna pompa, la mattina del sabato. Per l’occasionela sposa indossava il normale vestito della festa, il vezzo do-nato dalla suocera ed i coralli; lo sposo un vestito tessuto incasa di saia scura. Assistevano al rito religioso solo i testi-moni i quali, dopo la cerimonia, si recavano con gli sposi aconsumare nella più vicina osteria una parca colazione, dopodi che ciascuno tornava alla propria abitazione.

Il giorno dopo, domenica, la sposa si preparava vesten-dosi col tradizionale costume che usava tramandarsi damadre in figlia e che veniva utilizzato solo nelle grandi oc-casioni. Dalla ricchezza del costume, e dal valore dei gioielliche lo adornavano, si poteva comprendere quale fosse ladote della ragazza. Sul capo veniva poi posto un fazzolettodi pizzo bianco ricamato.

47 GIANLORENZO, GIUSEPPE, ‘L Campo de le Rose, Montefiascone, 1980.

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Il pezzo più importante del costume, la gunnella, eramolto ampia, di broccato bianco, giallo, rosso o verde e confiori di vari colori. Sopra una camicetta di mussola biancasi indossava poi il busto, spesso realizzato con la medesimastoffa della gonna.

Le piccole bretelle del corsetto venivano arricchite daquattro fiocchi colorati e listate con un nastrino dorato.

Alcuni lacci fermavano le maniche, sempre della stessastoffa, alle bretelline del busto terminanti con un nastro pie-ghettato del colore di quelli che adornavano il busto.

La sposa non indossava il grembiule e questo era unsegno di distinzione nei confronti delle altre donne che pren-devano parte alle nozze; portava invece, attorno alla vita, unnastro uguale a quelli già descritti.

Uno scialle di pizzo bianco ricamato in lana a vari colori,di forma triangolare, veniva posto sulle spalle, incrociato sulpetto e fermato entro la cintura. Le calze erano nere e cosìpure le scarpe a foggia di stivaletto con il tacco alto.

La sposa, oltre al vezzo ed ai coralli, portava numerosianelli alle dita ed orecchini d’oro.

Le spose che per le loro condizioni economiche non po-tevano permettersi il lusso di un costume così ricco, ne in-dossavano uno più modesto composto da un fazzoletto dimussola bianco ricamato, da un busto e da una gonna di setaa fiorellini colorati.

Il busto, inoltre, non era adornato di fiocchi e non era li-stato con il nastrino dorato.

Completava l’abbigliamento un piccolo scialle di seta confrange; questo veniva incrociato sul petto e le sue estremitàerano formate entro il nastro-cintura.

Una volta formato il corteo, gli sposi si avviavano versoil paese per la tradizionale “comparsa in pubblico”; avantiandavano le donne, tutte sposate con i loro sgargianti co-

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stumi - non erano ammesse le ragazze - seguivano gli uo-mini, ammogliati e scapoli con i vestiti delle feste .

È da notare che la sposa non portava un mazzo di fiori,bensì un fazzoletto bianco ricolmo di confetti, annodato perle cocche e infilato nel braccio sinistro.

Questi confetti la sposa li distribuiva alle persone cono-scenti che incontrava lungo il cammino.

Il corteo verso il mezzogiorno, riprendeva la via del ri-torno, dirigendosi, fra l’allegria generale e numerosi lancidi confetti, alla casa dello sposo ove aveva luogo il pranzo.48

48 Molte informazioni di questo paragrafo sono tratte da VOLPINI L.,Dalla culla alla bara nelle tradizioni popolari di Montefiascone, tesi dilaurea, Università degli Studi di Roma, anno accademico 1952-1953.

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Fidanzamento nel contado di Montefiascone (anni ‘20)

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Il funerale

Appena avvenuto il decesso, il morto veniva spogliatodelle vesti che indossava e completamente lavato; questocompito era assolto dagli amici del morto aiutati da un fa-miliare. Veniva quindi rivestito con i suoi abiti migliori per-ché, dovendosi presentare al tribunale divino, era bene chefosse abbigliato il più decentemente possibile.

Per l’uomo si usava l’abito del giorno delle nozze oppure,se consumato, il migliore che possedeva. Le vecchie conta-dine, invece, venivano acconciate con il sinalone nuovo, laveste di rigatino, la polacca e le calze; le ragazze con un ve-stito bianco, quale simbolo del loro candore.

Se il morto aveva fatto parte di una associazione religiosao confraternita, veniva abbigliato con l’uniforme relativa.

I bambini erano rivestiti dei loro abiti più graziosi è co-sparsi di fiori. Vi era poi la credenza che il cadavere dovesseessere seppellito senza scarpe, perché Nostro Signore, nellasua vita terrena, non le aveva mai avute ed anche perché,prima di giungere al tribunale divino, il defunto doveva per-correre una lunga strada che, in segno di penitenza, era benepercorrere scalzo.

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1908: invasioni contadine delle terre di Mezzano (La Loggetta, n. 51)

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CONCLUSIONE

La sostanziale trasformazione delle tecnologie agricole,unita ai grandi cambiamenti sociali intervenuti in questi ul-timi decenni - omologazione dei modelli di classe, dilata-zione e intersezione degli spazi culturali - hanno ridotto inmaniera sensibile le distinzioni tra gruppi sociali, intaccandoi presupposti della sopravvivenza anche di questo particolareaspetto della cultura contadina.

L’agricoltore e il professionista, pur in diversa misura,sono ormai coinvolti in quel business della moda che si pro-pone quale origine di tutte le rivoluzioni estetiche possibilianche se, in definitiva, fittizie e tautologiche.

La scomparsa del costume rurale non è avvenuta, comun-que, senza nostalgia e rimpianti.

In particolar modo da parte di quei testimoni in grado dipercepire, più con il cuore che con la ragione, i segni deigrandi cambiamenti che, inesorabilmente, ne condannavanola cultura e ne disconoscevano l’identità.

Le tre poesie che seguono possono quindi intendersicome loro estrema e malinconica testimonianza.

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1908: invasioni contadine delle terre di Mezzano (La Loggetta, n. 51)

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EPILOGO POETICO

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CONTADINELLA di Giuseppe Gianlorenzo

Contadinella mia, contadinellaCon quelle belle fiocche su le spallePe’ cento volte me sapìe più bellaCo’ la manuzza in testa e le coralle;Adesso ci hae de velo la gunnellaAl posto de le saje azzurre e gialle.Col sinaletto ricamato in oroContadinella, allora ere un tesoro.

E mo’ te vedo co’ ‘no spolverinoCucito male e che nun te sta bene,Che si te chiappa un pinzo ma ‘no spinoA’ voja de tirà, che nun te viene,Lo perde tutto e addio soprabbetino,Lo spino se l’è preso e se lo tiene.E dimme un po’: co’ ‘ste scarpette basseCome camminarae tra streppe e sasse?

Quel fazzoletto e quella polacchettaÈrono mejo de ‘st’abbetuccioneE delle france della tu sciallettaChe porte su le spalle a pendolone.Ere graziosa e cara, ere perfetta,Bellezza e vanto de Montefiascone;E mò si voe tajatte le capelleDe bono nun ci hae più mamanco quelle.

Ci avevo la ragazza e m’ha lasciatoE con un altro adè fuggita via,Nun posso accapezzà come sia stato,e poe j’annavo tanto in simpatia.

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Vorèe brucià ‘l ritratto che m’ha datoQuanno che me giurava d’esse mia;Ma vestita è lì su da contadina...Nu’ lo posso abbrucià...me sa carina...

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GLI ABITI DEL VILLANOdi Pietro Angelone

La forte giacca di fustagno aveste edi velluto spesso fu il calzone,diverse pezze sopra lor poneste,ché questa fu la vostra condizione.

Le scarpe voi portaste bullettate,di feltro o paglia fu il vostro cappello,le prime non l’avete risparmiate,l’altro protesse quel “fino cervello”.

D’inverno vi coprì panno pesantee nell’estate più ci s’arrangiava,la “robba militare” fu costante,la maglia sferruzzata vi bastava.

Il nome del panciotto fu corpettocon qualche raro “orlogio” nei taschini,il cui tic-tac fu inteso con dilettodalle curiose orecchie dei bambini.

Camicia di flanella fu presentein questo abbigliamento contadino,che all’eleganza non richiese nientee che non vide mai seta con lino.

Le mogli si coprir con larga vestecon il sinale sopra sempre scuro,portarono le teste tante ceste,e i piedi scarpe basse, di sicuro.

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Fu molto usato allora il nero scialletra vedove oppur tra gente anziana,la cuffia dei bambini era con pallee per le mamme sempre la sottana.

Il fazzoletto in testa per le donnevolle significare compostezza;lanosa pellegrina per le nonnevinse dei freddi inverni la durezza.

[...]

“La muta”,49 non fu donna senza voce,ma buon “pilorre” 50 fatto per “completo”,quasi dicessi stoffa come il noce,facendovi al rinnovo il cuore lieto.

La testa del villano fu rasata,le mogli si raccolsero i capelli,una fotografia ben conservatafu oggetto per ricordi così belli.

49 “Fasse la muta” significava rinnovare il guardaroba, generalmente cal-zoni con giacca e corpetto, confezionati “a mano’’; per i bambini tratta-vasi di un “completino” e veniva usata l’espressione “fasse la mutina”.50 Si trattava di un tipo particolare di fustagno.

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UNA VOLTA A MONTEDOROdi Diodato Piciollo

Il Romito suonava la campanaInvitando alla Messa le persone.Nell’adunanza la gente cristianaLa giornata iniziava e l’Orazione.

Anche quando spirava tramontanaStava in attesa presso lo scalone,Avvolti e cinti dalla mezzalana:Veniva il prete da Montefiascone.

Il quadrigliè oppur la RigatinaTogliea dal basso per coprir la testa;Era il cappotto d’ogni contadina.

Busto, polacca, fazzoletto e vestaNel caldo, nella pioggia, nella brina;Ungea le scarpe, dicendo “oggi è festa”.

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BIBLIOGRAFIA E FONTI

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INDICE

Introduzione 51. Il vestire contadino tra costume e moda 132. Limiti documentari, cronologici e geografici 233. Leggi suntuarie 284. Percorso storico 335. Periodo fascista 416. Abbigliamento maschile 497. Abbigliamento femminile 568. Calze e scarpe 779. Abbigliamento infantile 8110. Pulizia e cura del vestiario 8211. Occasioni particolari 93Conclusione 97Epilogo poetico 99Bibliografia e fonti 105

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