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Libertá di Parola 3/2015 —— CODICE A S-BARRE INVIATI NEL MONDO PANKAROCK a pagina 18 Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire) a pagina 14 a pagina 13 a pagina 4 CELOX Nel 2010 nacque a Porde- none, in via Brusafiera, uno spazio inedito, denominato PArCo2. Un edificio che un tempo ospitava una scuola fu trasformato in un luogo dove i pordenonesi potevano incon- trarsi partecipando ad innu- merevoli e coinvolgenti even- ti culturali. PArCo2 significava anche molto altro: permette- va alle persone di incontrarsi in luogo della memoria. Sui muri erano state lasciate visi- bili le stratificazioni del tempo. Fra i quadri e i filmati era pos- sibile rivivere ricordi ed emo- zioni. Soprattutto era possibile condividerli. Dopo solo quat- tro anni, decisioni politiche im- posero a questo spazio un fu- nesto oblio: la trasformazione L'orto urbano nel cuore della città Da un'idea del Ballo della Scrivania, gruppo di cittadini di Marco Ciot in uffici. La città stava perden- do un luogo ormai familiare. Alcuni cittadini coscienti della perdita, iniziarono perciò a di- scutere sulle diverse alterna- tive. Si venne così a formare autonomamente il gruppo de “Il Ballo della Scrivania”. Dal confronto fra persone nac- quero molte idee, progetti e proposte. Uno di questi prese vita e divenne realtà: si tratta di “Oltre il Giardino”, labora- torio di Permacultura Urbana. Luogo dove si creano relazio- ni reciproche fra persone per mezzo del divertimento, dal latino "divertere", uscire da sé stessi per incontrare il volto dell'altro. Il progetto oggi ha dato vita ad un orto urbano a due passi dal cuore della città, un’esperienza unica nel suo genere che non si è an- cora conclusa. L'Europa secondo me dopo il caso Grecia. Urge una vera unione Vasco Rossi, anche noi al cospetto del Komandante. Il viaggio Magica Budapest, tra archittetura e luoghi di incontro per giovani Quando per i detenuti si aprono le porte del carcere APPROFONDIMENTO pordenonelegge Dal 16 al 20 settembre il capoluogo si tinge di gial- lo, il colore della mani- festazione, e aprirà le porte ad autori, editori e pubblico del festival let- terario più atteso del dopo estate in Italia. Ritorna Por- denonelegge, con i suoi oltre 300 autori ospiti. Cul- tura, ma anche turismo: una grande macchina organizzativa che porta sul territorio ricadute eco- nomiche ed occupazionali importanti. Ecco il viaggio nel dietro le quinte della manifestazione. a pagina 9 a pagina 16 NON SOLO SPORT Per la Carlito's cup record di presenze e di beneficenza

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Libertá di Parola. Trimestrale d'Informazione dei Ragazzi della Panchina di Pordenone

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Libertá di ParolaN°3/2015 ——

CODICE A S-BARRE

INVIATI NEL MONDO

PANKAROCK

a pagina 18

Disapprovo quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo. (Voltaire)

a pagina 14

a pagina 13

a pagina 4

CELOX

Nel 2010 nacque a Porde-none, in via Brusafiera, uno spazio inedito, denominato PArCo2. Un edificio che un tempo ospitava una scuola fu trasformato in un luogo dove i pordenonesi potevano incon-trarsi partecipando ad innu-merevoli e coinvolgenti even-ti culturali. PArCo2 significava anche molto altro: permette-

va alle persone di incontrarsi in luogo della memoria. Sui muri erano state lasciate visi-bili le stratificazioni del tempo. Fra i quadri e i filmati era pos-sibile rivivere ricordi ed emo-zioni. Soprattutto era possibile condividerli. Dopo solo quat-tro anni, decisioni politiche im-posero a questo spazio un fu-nesto oblio: la trasformazione

L'orto urbano nel cuore della città Da un'idea del Ballo della Scrivania, gruppo di cittadinidi Marco Ciot

in uffici. La città stava perden-do un luogo ormai familiare. Alcuni cittadini coscienti della perdita, iniziarono perciò a di-scutere sulle diverse alterna-tive. Si venne così a formare autonomamente il gruppo de “Il Ballo della Scrivania”. Dal confronto fra persone nac-quero molte idee, progetti e proposte. Uno di questi prese vita e divenne realtà: si tratta di “Oltre il Giardino”, labora-torio di Permacultura Urbana. Luogo dove si creano relazio-ni reciproche fra persone per mezzo del divertimento, dal latino "divertere", uscire da sé stessi per incontrare il volto dell'altro. Il progetto oggi ha dato vita ad un orto urbano a due passi dal cuore della città, un’esperienza unica nel suo genere che non si è an-cora conclusa.

L'Europa secondo me dopo il caso Grecia. Urge una vera unione

Vasco Rossi, anche noi al cospetto del Komandante. Il viaggio

Magica Budapest, tra archittetura e luoghi di incontro per giovani

Quando per i detenuti si aprono le porte del carcere

APPROFONDIMENTO

pordenoneleggeDal 16 al 20 settembre il capoluogo si tinge di gial-lo, il colore della mani-festazione, e aprirà le porte ad autori, editori e pubblico del festival let-terario più atteso del dopo estate in Italia. Ritorna Por-denonelegge, con i suoi oltre 300 autori ospiti. Cul-tura, ma anche turismo: una grande macchina organizzativa che porta sul territorio ricadute eco-nomiche ed occupazionali importanti. Ecco il viaggio nel dietro le quinte della manifestazione.

a pagina 9

a pagina 16

NON SOLO SPORT

Per la Carlito's cup record di presenze e di beneficenza

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creare ma soprattutto a fare qualcosa di positivo per Por-denone. Rappresentano la miccia, la scintilla del pro-cesso partecipativo. Attorno a loro, fuori e dentro “Oltre il Giardino in Permacultura”, si muovono singoli, associazio-ni formali e non, (99mq, Ubik art) che lavorano insieme per ricreare quegli spazi di cultu-

ra andati perduti nel “walzer dei palazzi”, che ha portato PArCo2 allo stato di meri uffi-ci. Non ci sono regole, non ci sono vincoli. Chiunque abbia il positivo desiderio di parte-cipare è caldamente invitato a farlo, perché questo piccolo angolo verde sia solo il primo di una lunga serie di luoghi ritrovati dai cittadini. La riap-

IL TEMA

Molto di più di un semplice ortoNato nel 2014, è il primo esempio a Pordenone di Permacultura. Laddove prima c'era ParCo2di Maeco Ciot

Può un giardino rappresenta-re una metafora sociale? Nel caso di “Oltre il Giardino” si tratta proprio di questo: è un piccolo orto nel pieno centro di Pordenone, in via Busafie-ra alle spalle di piazzetta Ca-vour. Per chi vi si avvicina per la prima volta, può trasmette-re una gran confusione: tante aiuole semicircolari e rettan-golari piene di piante diver-se: aromatiche, fiori ed erbe che normalmente vengono definite “cattive”, da estirpate. Tutto questo potrebbe appa-rire senza ordine e privo di logica. Infatti non si tratta di

un orto convenzionale, ma segue il metodo della Perma-cultura: significa creare, attra-verso cicli di progettazione, dei sistemi stabili, resilienti e sostenibili. Non ci sono regole o leggi. Tutto si basa sull’osser-vazione e sui feedback, che produrranno soluzioni crea-tive agli eventuali problemi in un contesto continuamente mutevole. Secondo questa te-oria tutto va conservato, tutto è in relazione, tutto ha un suo senso e un suo ruolo. La cura delle persone e la cura della terra vanno di pari passo e si accompagnano per ritrovare

i ritmi lenti e la pazienza, vir-tù sempre più rara al giorno d’oggi. Permacultura significa dinamismo, adattamento, e soprattutto che il problema è la soluzione. Un altro interes-sante principio è che tutto fa parte di un ecosistema, ognu-no contribuisce con la sua specificità e unicità. Nell’orto coltivato secondo la Perma-cultura, “se non ti diverti c’è qualcosa che non va” (Davi-de). Cos’è tutto questo se non la rappresentazione di quello che dovrebbe essere la no-stra società? Ognuno di noi ha un ruolo (convenzionale o

no), ed ognuno porta il suo contributo indispensabile al funzionamento dell’organi-smo sociale. Ma il fatto che funzioni non significa che se-gua una direzione auspicabi-le. Si può sempre fare meglio. La Permacultura ci propone una strada sostenibile da percorrere. Lo scopo di que-sto progetto, come molti altri simili sparsi per il mondo, è quello di creare luoghi da-gli spazi trascurati della città. Luoghi dove persone che probabilmente non si sareb-bero mai parlate si ritrovano a commentare la vitale sere-nità di questo singolare orto, a condividere esperienze, storie tristi e belle. È basta-to passarci davanti qualche minuto per cogliere l’azione magnetica della terra: bam-bini, anziani, animali trovano finalmente un luogo di svago e di comunità. Tutto questo stando seduti su dei tronchi, sotto l’ombra degli alberi e degli edifici che circondano l’area “Le Tombe” fra via Ber-tossi e via Brusafiera. Qui la tranquillità è inoltre assicurata dal costante scrosciare della fonte d’acqua che scorre vici-nissima all’orto. Questo è un luogo dove si può imparare molto sulla natura, sull’ecolo-gia, sull’amicizia e sull’umani-tà. Perché siamo tutti connessi e siamo immersi nel contesto naturale che dovremmo pro-teggere, rispettare ed alimen-tare in senso globale, ma ce ne siamo dimenticati. L’orto nasce nel novembre 2014, dopo un percorso di studio e sensibilizzazione, dall’incon-

Ho conosciuto quelli de “Il Ballo della Scrivania” a fine luglio. Avevo una vaga idea di quello che avrei visto e di chi avrei incontrato. Queste confuse aspettative si sono trasformate in fantastiche e concrete rivelazioni. Quello che mi si è svelato è un grup-po di persone affascinanti e concretamente interessate a

propriazione degli spazi ur-bani da parte degli abitanti è fondamentale. Aree comuni lasciate a sé stesse inizieran-no a respirare nuova aria di un futuro condiviso più soste-nibile per tutti. La stabilità di questi luoghi di sussidiarietà, socializzazione e coinvolgi-mento sarà assicurata dall’a-more ritrovato dei cittadini

Riappropriarsi del territorioÈ l'obiettivo del Ballo della Scrivania, promotore di Oltre il Giardino in Permaculturadi Marco Ciot

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Quello che “Oltre il Giardi-no” sta realizzando presso lo spazio pubblico di via Ber-tossi è un progetto di parte-cipazione alquanto innovati-vo, non sempre semplice da comprendere e condividere. Nell’accogliere le proposte di “Oltre il Giardino” l’Ammini-strazione comunale ha inteso iniziare un nuovo rapporto tra cittadino e pubblica ammi-nistrazione che li vede posti alle stesso livello in termini di azione e proposta. Il citta-dino propone o raccoglie le proposte di collaborazione e la pubblica amministrazione crea gli strumenti ed agevola il percorso a che il progetto di collaborazione abbia a realiz-zarsi con l’obiettivo di tutelare e curare un bene comune. Da una iniziale diffidenza, dovuta anche alle modalità innovati-ve con cui il gruppo di “Oltre il Giardino” si è rapportato con l’amministrazione si è passati ad un continuo confronto vol-to a sviluppare il progetto di Permacultura in città. Le città necessitano sempre più di nuove energie, energie che non consumino il territorio e che siano di ridotto o assente impatto ambientale, energie che anche in termini di costi per le pubbliche amministra-zioni siano poco o nulla im-pattanti. Il progetto di “Oltre il Giardino”, da questo punto di vista, ne è un innovativo precursore che ci auguriamo possa avere seguito in altri luoghi della città. Se dovessi-

mo valutare i pro e i contro rispetto al progetto, credo non vi siano dubbi: i pro sono tali e tanti da rendere impercetti-bili i contro. Da qui è partita anche l’iniziativa di redigere, con un processo partecipato, il regolamento per la cura e tutela dei Beni Comuni che prossimamente passerà in Consiglio comunale. Regola-mento che dovrà dare piena attuazione a quel principio della sussidiarietà orizzontale che, pur previsto dall’art.118 della nostra Costituzione già dal 2001 con la modifica del titolo V, è rimasto per troppi anni poco o per nulla attua-to. Già oggi vi sono anche altre forme di collaborazio-ne basate sul principio della sussidiarietà tra pubblica am-ministrazione e cittadini, basti pensare alle decine di geni-tori che in questi ultimi anni hanno svolto lavori presso le scuole frequentati dai propri figli. Inoltre, per il solo fatto di aver reso pubblica l’intenzio-ne di redigere ed approvare il regolamento, parecchi cit-tadini, sia in forma associata che singola, si sono proposti o hanno presentato proposte di collaborazione basate sui principi della sussidiarietà. Nel prossimo futuro sarà sem-pre più necessario ridurre il ri-corso alla spesa pubblica per alcune attività della pubblica amministrazione ed affidarsi alla collaborazione stretta e paritaria tra cittadini e pub-bliche amministrazioni.

tro di persone che volevano fare qualcosa di concreto per la città. Ho conosciuto Flavia, Davide e Antonio. La passio-ne che provano per questa avventura è pari solo alla sua potenza politica e sociale. Soprattutto in una piccola re-altà. È stato fantastico per me, tornato a casa dopo quasi tre anni vissuti a Torino, trovare un volantino che parlava di un orto urbano a Pordeno-ne! Questo orto ha una storia particolare: nasce su un’area resa disponibile dal Comu-ne in seguito alla raccolta di 1200 firme per contrastare la trasformazione degli spazi culturali di ParCo2 in uffici. Questo progetto è stato mo-dificato ricavando uno spazio autonomo adiacente all’orto, direttamente accessibile dal giardino. Il risultato finale ot-tenuto è a mio avviso ancora più potente: quegli spazi cul-turali non esistono più nella loro forma originale, ma ne è nato un luogo concreto di

vita in una zona altrimenti nota per essere frequentata da “malerbe sociali”, con la speranza che questo nuovo corso delle cose possa aiuta-re e stimolare positivamente chi ne ha bisogno. “Oltre il Giardino” è uno spazio dove persone e piante riscoprono la resilienza perduta negli anni caotici dell’industrializ-zazione e ancora di più negli ultimi anni di crisi, che non è solo economica, ma prima di tutto politica e sociale. Il futuro dell’orto è nelle mani della città. Più concretamen-te nelle mani e nel sudore di quelli che ci hanno creduto e di ognuno che in futuro vor-rà frequentarlo. È possibile che da un piccolo orto nasca nuova consapevolezza; Che un orto sia una atto politico? Certo che è possibile e “Oltre il Giardino” è un grande esem-pio di “una vita che nasce in un contesto cementificato che nega la vita” (Bussolati). Il problema è la soluzione.

Sussidiarietà tra pubblico e privatoL'assessore Moro: «Il progetto è precursore di quelle che saranno le città del futuro»di Flavio Moro, assessore al Patrimonio del Comune di Pordenone

per i medesimi, rendendoli quasi una estensione della propria abitazione da condi-videre con il prossimo. Non è una lotta contro qualcuno o qualcosa, ma un flusso cre-ativo dove il problema (la necessità di una condivisio-ne e di una partecipazione) è la soluzione, secondo uno dei principi delle Permacul-tura. Questo è quello che sta succedendo con l’esperienza di “Oltre il Giardino”, labora-torio urbano di Permacultu-ra. Luogo vivo ricavato negli spazi verdi di via Brusafiera. Istruzione ambientale, musi-ca, proiezioni, tornei, eventi e soprattutto amicizia sono alla portata di tutti coloro che sia-no interessati al presente e al futuro di Pordenone. Questo luogo rappresenta quello spa-zio urbano passato da “sfa-scio in virtù”. Un luogo dove si formano reti fra cittadini, con-nessioni, spunti e nuove idee

in un contesto indipendente. Un luogo dove tutti si possono incontrare per discutere senza filtri, della città, di quello che va bene e delle cose che non funzionano. Confronto è una delle parole d’ordine, insieme a biodiversità: vegetale ma soprattutto umana. Solo nel confronto aperto e schietto fra chi condivide lo spazio si possono trovare nuove possi-bili vie da percorrere. Azioni come queste sono oggi di più facile attuazione attraverso l’art. 23 D.L. 185/2008, conver-tito in Legge n.2/2009. È infatti possibile per i cittadini pro-porre “microprogetti di arredo urbano o d’interesse locale operati dalla società civile nello spirito della sussidiarie-tà”, mediante la formulazione di Proposte Operative di Pron-ta Realizzabilità, come quella che ha dato vita ad Oltre il Giardino. Questi strumenti esi-stono. Utilizziamoli.

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Prosegue il lavoro della redazione del nostro giornale nata all'interno della Casa circondariale di Pordenone. “Codi-ce a s-barre” è uno spazio interamente gestito dai suoi detenuti.

Il trasferimento del mio compagno di cella«Trovare un equilibrio nella convivenza forzata tra detenuti è una fortuna. E ad ogni cambio si ricomincia d’accapo»

di Massimo

Ecco ci risiamo. L’assistente en-tra in cella come tutte le mat-tine per fare la battitura, salu-ta e poi dice «Preparati le tue cose che oggi sarai trasferito». Da quel momento hai pochi minuti per riordinare le tue cose, salutare gli altri, amici e non, e buttarti alle spalle quel-la che fino a quel momento consideravi la “tua” cella. Mol-ti lo vivono come uno shock, una violenza, soprattutto se era da molto tempo che stavi

Come pacchi postaliSecondo trasferimento di carcere in pochi mesi per Paolo. Cronaca di una giornata senza destinazione notadi Paolo

Alle 9 sento qualcuno gridare il mio nome dal corridoio del raggio dove mi trovo. Mi pre-cipito fuori dalla cella e, in fon-do al cancello, vedo un assi-stente che mi sta attendendo con un biglietto in mano. Mi dice di preparare tutta la mia roba per poi depositarla in magazzino: l’indomani sarò trasferito. Non riesco a crede-re che stia succedendo anco-ra, due trasferimenti in pochi mesi. In un istante mille cose mi passano per la mente: il perché, dove andrò a finire, la famiglia, ricominciare tut-to da capo con persone che non conosco. Ma purtroppo c’è ben poco da fare, noi detenuti siamo come pacchi

li, se la tua famiglia è vicina al carcere. In un attimo ti trovi catapultato in una nuova re-altà di cui non conosci nulla, infatti, fino al momento della partenza non sai nemmeno dove sarai diretto. E’ difficile spiegare il perché - la na-tura umana infatti è strana - quando passi molto tempo in un posto, a stretto contatto con delle persone, si crea un legame e quando questo s’in-terrompe un po’ di sconforto

lo leggi negli sguardi di chi parte. Alcuni se lo aspettano, ma sperano di non partire, al-tri non se lo aspettano proprio. Oggi è partito un mio compa-gno di cella, ci conosciamo da un anno, ma condivide-vamo la stessa cella da circa sette mesi. Purtroppo, dato il sovraffollamento del carcere, un po’ mi aspettavo che se ne andasse, e credo anche lui. Però la notizia ci ha colti di sorpresa lo stesso. A lui è

arrivata come un destro ben piazzato in mezzo al naso; a me dispiaceva per lui e per il fatto di perdere un compa-gno con cui mi trovavo bene, che definirei quasi un amico. Qui in carcere, infatti, è difficile trovare persone con cui con-dividere qualcosa di più dei problemi giudiziari, detenuti con cui creare un rapporto umano. Con il mio compa-gno non si parlava quasi mai di avvocati o udienze, ma di

postali, veniamo spediti senza sapere la destinazione. Rien-tro in camera deluso e demo-ralizzato per ciò che sta suc-cedendo, vengo attorniato dai miei compagni di cella, anche loro dispiaciuti, e cer-chiamo di capire i motivi di questo trasferimento. Ho fati-cato non poco per riuscire ad organizzare una cella come quella in cui mi trovo: quattro non fumatori tutti over qua-ranta, quattro persone con cui ci si capisce con poche parole, il modo migliore per poter affrontare una detenzio-ne serena. Preparati tutti i miei indumenti, libri, carte proces-suali riempio due sacchi e vado al magazzino, dove

cominciano a concretizzarsi i primi problemi di un trasferi-mento. Un detenuto tradotto non può viaggiare con più di 8 chilogrammi di peso e i miei sacchi li superano. Mi vengono consegnati due zai-ni dove dovrei infilare tutta la mia roba, tutto il resto deve rimanere fuori; cominciano così le prime discussioni ma alla fine riesco a raggiunge-re un compromesso per por-tare via le mie cose. Tornato in cella mi getto sulla branda esausto e la mente comincia ad immaginare il domani. Dove sto per andare? Con chi e perché? Ricominciare tutto dall’inizio. Spero soltanto di andare a finire in un carce-

re dove le celle sono da due posti o ancor meglio singole. Ho il terrore di finire in quelle stanze con sette, otto persone di culture diverse in cui ognu-no la pensa a modo suo, dove nessuno ha rispetto per nessuno e dove per un nulla si accende una discussione, dove non c’è rispetto per chi non fuma o per quelli che vorrebbero dormire quando altri vogliono giocare a car-te. Per non parlare della tv, delle pulizie o di chi mangia per conto suo, dove insom-ma non esistono regole e dove alla fine credi di poter perdere la dignità. Alle 18 io e miei compagni di cella ci troviamo tutti seduti intono al tavolo a sorseggiare l’ultimo caffè insieme e a raccoman-darci l’un l’altro. Ci stringiamo in un forte abbraccio e vado via. Giù trovo la scorta con i miei zaini, vengo ammanet-tato e salgo sul furgone, una volta partito chiedo a uno degli agenti dove sono stato assegnato e li si concretizzano alcune mie preoccupazioni: Pordenone, un carcere che mi calza stretto.

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L’occasione inattesa di un’uscita premio«Le operatrici dei Rdp hanno saputo alleggerire l’ansia di quel ritorno alla realtà»di Alessandro

«L’abbiamo proposta per un permesso premio». Questo l’invito che mi ha fatto l’edu-catrice alcuni giorni fa; un invito giuntomi improvviso ed inaspettato che, quindi, mi ha colto impreparato. L’op-portunità di poter usufruire di questo momento di libertà ha innescato in me un insieme di emozioni che, dopo due anni di reclusione, il tempo sem-brava aver fatto evaporare. I giorni antecedenti all’evento, pertanto, sono stati costellati da nervosismo e da un’al-trettanta giustificata ansietà. Ma, poiché il tempo scorre in

maniera inesorabile, il giorno tanto atteso dell’uscita premio è arrivato senza dover far cal-coli matematici di conto alla rovescia. Al portone d’ingres-so della Casa circondariale, quel giorno, ad attendermi c’erano due operatrici dell’as-sociazione “I Ragazzi della Panchina” che gestiscono il progetto “Codice a s-barre” al quale anche io partecipo. Era facile supporre che, dopo tanti mesi di esilio forzato, la magia di poter riabbracciare degli spazi aperti potesse dar-mi della sensazioni di novità spettacolari; con mio grande

stupore, però, tutto quello che, potenzialmente, sarebbe do-vuto succedere, come ansia e paura, in realtà non è suc-cesso. L’apprensione che mi aveva attanagliato nei giorni precedenti, infatti, scomparve come d’incanto alla vista del-la dimenticata realtà esterna. Ero piuttosto tranquillo e rilas-sato di vivere questo momen-to. Il permesso era finalizzato a partecipare all’incontro di presentazione del video “Tut-to quello che abbiamo Den-tro”, un cortometraggio realiz-zato nel percorso di “Codice a s-barre”. In esso si racconta di tre persone che le vicissitu-dini della vita hanno reso si-curamente meno fortunate di me, rispetto a quanto io stavo attraversando. Nella bibliote-ca, luogo dell’incontro, erano presenti diverse persone, tra le quali anche delle persona-lità della città stessa, visi più o meno conosciuti, la cui vista, però, non ha alterato la mia tranquillità iniziale. Come è ovvio tutto inizia e tutto finisce e così anche le ore di permes-so concessemi sono giunte al termine e alle 21 sono rientra-

to in carcere, non ricevendo-ne però, come era capitato in precedenza, forti emozioni negative. Riflettendo, in se-guito, sullo stato d’animo che ho avuto durante il permesso, penso che la mia tranquillità sia stata determinata dalla presenza delle due operatri-ci che già conoscevo e che sono riuscite, scherzando e parlando con me e gli altri ragazzi in permesso, ad alleg-gerire la tensione nervosa e a farmi sentire più sicuro, cosa che forse non avrei provato se mi avessero accompagna-to degli sconosciuti.

famiglia, dei nostri affetti, di cosa avremmo fatto “domani” (inteso come la data di uscita che per molti è un’incognita). Quando, con enormi sforzi, ri-esci a far sì che una cella, se pur assortita e variopinta, fun-zioni bene grazie al rispetto reciproco e alla pulizia, cose banali cioè ma che qui den-tro a volte rappresentano dei veri problemi, dispiace perde-re dei compagni. Nel giro di un mese mi sono ritrovato in cella solo con cinque estranei e dover ristabilire delle rego-le e trovare nuovi equilibri non è sempre facile. Spesso è proprio la convivenza forzata l’aspetto più duro da soppor-tare in carcere. In una Casa circondariale però devi presto abituarti a questa situazione, perché i trasferimenti sono una routine; in questi luoghi, infatti, si è in transito e una volta fatto il processo di primo grado si viene trasferiti in un altro penitenziario. Ripensan-do al mio compagno di cella posso solo dire che spero di avere presto sue notizie e di sapere che si trova bene nel carcere dov’è ora.

IN MEMORIA DI STEFANO Lettere della redazione di Codice a s-barre

A distanza di qualche giorno ci chiediediamo se è stato proprio Dio a portarselo via. Se, così, come l’ha fatto venire al mondo lo ha chiamato al suo cospetto con molti anni d’anticipo, come se avesse qualcosa di molto importante da dirgli, senza poter aspettare un giorno in più. Forse però tutto questo non c’entra niente, forse l’unica cosa vera è che Stefano se n’è anda-to per sempre. Non riusciamo però ad accettare che questo fosse il suo vero destino, troppo crudele. Ci piace invece credere che ora Stefano si trovi serenamente in qualche posto per noi an-cora sconosciuto, ma molto migliore e che tutto ciò duri per l’eternità.

La perdita di una vita lascia un vuoto, una lacuna che non si può colmare. E’ come un’opera incompleta, dove la composizione dell’artista emerge, ma non nella sua interezza. Anche se tutto si può comprendere e riferire alla natura caduca delle cose, un respiro angoscioso ti travolge ed il vuoto si riempie di tristezza.Si fatica a trattenere le lacrime e a contenere le emozioni in quel guscio dell’animo umano. Ma l’uomo, opera straordinaria, eccellente della natura, ha la capacità di vivere quest’e-sperienza facendosene carico, come con qualsiasi altro sentimento, e viverlo per ciò che è, dandogli un ruolo dentro di sé. Come nella chimica degli elementi, ognuno assorbe gli atomi o le molecole che servono, così ognuno assume o perde qualcosa da questa reazione evento, poi sta all’elemento umano darne la valenza.

Ciao Stefano da tutti noi

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A causa di un illecito com-messo nel 2013, di recen-te, ho dovuto scontare una pena alternativa al carcere: 126 ore di lavori socialmen-te utili a favore di un ente locale. Questo percorso l’ho svolto presso l’associazione “I Ragazzi della Panchina”, rimanendo in sede dalle 14 alle 18, dal lunedì al vener-dì, svolgendo una serie di azioni a favore dell’associa-zione stessa. L’opportunità di svolgere i lavori socialmen-te utili presso questa realtà è stata decisa dal giudice, ma è nata grazie alla di-sponibilità di Ada Motznich, presidente dell’associazione, e grazie alla mia avvocates-sa, che si è data molto da

126 ORE NELLA SEDE DEI RAGAZZI DELLA PANCHINA «Un periodo di lavori socialmente utili che mi ha insegnato tanto»di Mauro Paludetto

fare per raggiungere questo obiettivo. Ho iniziato que-sto percorso il 28 maggio e l'ho finito verso metà luglio. Stare qui in sede mi è pia-ciuto molto perché ho potuto svolgere diverse mansioni: ho aiutato nella pulizia del-lo stabile, ho tagliato l’erba del giardino ed altri picco-li compiti che mi sono stati proposti dai vari operatori presenti. Inoltre, in questo periodo, ho avuto varie oc-casioni di confronto con gli educatori dell’associazione; queste si sono rivelate del-le opportunità per, non dico superare definitivamente, ma almeno affrontare nel migliore dei modi vari miei problemi. Mi ha fatto molto

piacere, poi, la fiducia che il dott. Alessandro Zamai ha investito nei miei confronti

coinvolgendomi nella strut-turazione di un nuovo grup-po terapeutico-educativo da tenere in sede, attraverso il quale aiutare, per quel che è possibile, persone con le più svariate difficoltà. Essere coinvolto in questo picco-lo, ma importante progetto, mi ha fatto capire che val-go ancora qualcosa e che posso dare il mio contributo anche per la mia più che trentennale esperienza con le sostanze e con tutto quello che comprende la vita di un “tossico”. Questi lavori social-mente utili sono stati tradotti

LE CRONACHE DI CHANEL

«Buon giorno umani» Cronache di Chanel parte seconda: pronti per raggiungere la sede di Rdpdi Chanel Giacomelli

Ciao a tutti, la lingua più ve-loce del Nord est è tornata! Perchè inizio così il mio ar-ticolo? He He voi non vi im-maginate nemmeno a che velocità da record viaggiano i miei bacini! Per chi non lo sapesse noi cani baciamo così, non ci sfreghiamo le labbra o altro come fate voi umani. Dunque è una bella giornata! Sole, sole, sole, trop-po sole. Ma perché l’idiota (il papà di Chanel ndr) deve aprire la finestra alle sei del mattino? Non si può iniziare così la giornata. Parti già di mattina ad esser più scler-ata di una gatta in calore. Avete mai visto una gatta in calore? Ma poi, perché in calore? Sono le umane in menopausa ad avere mol-to calore, delle vere vam-pate. Noi animali andiam in amore, perché siam teneri e coccolosi! Ma le gatte non

sono animali, sono delle as-satanate: urlano, sbraitano, fanno le idiote in cerca dis-perata di un pirla di gatto che scappa, vaga ascoltan-do il loro richiamo, quasi un’eco, e che, come Ulisse rimbambito dalle sirene il rincretinito si fionda come la mosca nel letame. Sapeste le vere “cagnette” prima di con-cedersi quanto la fanno an-nusare! Mica si può far così tanto per fare? Ma che bene che si sta a dormire sul Mem-ory AffOnD, io poi che mi ac-ciambello sembro una pra-lina deliziosa in una scatola di dolciumi per palati fini, affondo come nella scatola, comoda comoda e dovermi alzare mi scoccia. Mica vado io a lavorare? Ma devo an-dare in bagno e la mia aiuo-la mi aspetta, poi inizierò la ronda per i gatti clandestini, invasori. Proprio a casa mia

vengono sti mangia lische. Comunque sia, mi stiracchio comodamente e scendo dal lettone, non vorrei mai scen-dere perché qua sdraiati con mamma e papà si sta ben-one. Il papi mi abbraccia come un peluche, anche se la verità è che sono io che vengo abbracciata da un’an-imale (sempre l’idiota di pri-ma) che russa di notte come un facocero della Savana. E sapeste che allegria avere una mietitrebbia all’orec-chio, mentre cerchi di addor-mentarti! Dai, sù, via verso la ciotola dell’acqua, qual-

che sorso benfatto, magari mangio anche qualcosina. Ecco fatto, sono pronto: sal-go in auto e pronti, partenza, viaaaa! All’aperto, si stareb-be divinamente se l’idiota con la sua automobile non ci litigasse, producendo una nuvola nera di smog puzzo-lente, che il mio real tartufo è costretto ad odorare. I cani sì che hanno naso, anche troppo. Non vi dico cosa sen-to dopo che papà è stato al bagno! Kill the animal, save me! Il papi dice che siam in direzione de la sede de “I Ragazzi della Panchina”. «Ve-

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«Disegnare, una passione che mantiene stabile la mia salute» Talento innato, per Patty il disegno riempie il tempo altrimenti occupato dalle sostanzedi Patty Isola

Ho cominciato a disegnare fin da piccola. Il mio talento è sta-to subito notato da maestri e genitori che mi hanno indiriz-zato a frequentare una scuo-la d’arte e a specializzarmi nelle discipline pittoriche: era proprio la scuola che faceva per me. Per mia incoscienza e mancanza di giudizio, però, non sono riuscita a terminare gli studi. Bocciata più volte e con il sette in condotta era lo-gico che, nonostante il mio ta-lento, non potessi continuare i miei studi, soprattutto dopo l’o-verdose che, all’età di dician-nove anni, mi ha tenuto tre giorni in coma. La passione per la pittura è nata con me ed è dentro di me. Per que-sto, nonostante tutto, ho scelto di non abbandonarla e, da autodidatta, di perfezionare la mia tecnica: ho imparato, così, nuovi “trucchetti” e stra-tegie per le proporzioni; ho imparato ad utilizzare profon-dità, luminosità, chiaroscuri, tratteggi ed altri sistemi utili a rendere un semplice disegno un qualcosa di più. Le mie capacità artistiche unite ad una buona manualità nelle discipline plastiche, mi hanno permesso di realizzare diversi lavori come le ceramiche ar-tigianali che facevo e deco-

ravo da me stessa e gra-zie a queste capacità ho trovato vari impieghi nel settore come restauratrice di vecchi af-freschi, in par-ticolare a Ve-nezia, dove quest’attività è molto dif-fusa. Si trat-tava di lavo-retti saltuari, che però mi davano sod-d i s fa z i one . Avrei potuto andare mol-to avanti in questo setto-re, se la mia vita non mi avesse sca-raventato in

un altro mondo, quello della droga, dove il disegno non mi permetteva di guadagna-re abbastanza e dove la mia dipendenza mi faceva per-dere gradualmente l’interesse e anche la possibilità di man-tenere un hobby così costoso. Nonostante questo, per tutti gli anni della tossicodipendenza, ho continuato a disegnare per lo più schizzi su foglietti, soprattutto a penna biro, per-ché per me l’arte era ed è so-prattutto passione e, col tem-po, sono riuscita a sfruttare ed incanalare questa passione a mio vantaggio. La pittura è diventata così una strate-gia contro i periodi bui di de-pressione. Certo l’arte non mi cura ma, ancora oggi, noto che i disegni più belli li realizzo pro-prio quando il mio umo-re è a terra. Un giorno ho detto «finché non finirò di p i a n g e r e , non smetterò di disegnare». Per me dise-gnare è una vera e pro-pria valvola

di sfogo attraverso la quale butto fuori tutto il male che al-trimenti mi farebbe esplode-re. Adesso disegno nel tempo libero, non è un lavoro che mi dà reddito, ma qualcosa di più importante: mantiene stabile la mia salute. Mi ricor-do che all’inizio delle scuole superiori, quando per me era difficile socializzare e non ero più in classe con mia sorel-la, disegnavo: era molto più semplice! Quando terminavo un dipinto mai avrei voluto separarmene. Ma, rendendo-mi conto che, con l’accumu-larsi dei miei lavori, perdevo l’interesse nel farne dei nuovi, ad un certo punto ho deciso di liberarmene, vendendoli anche a poco, oppure re-galandoli, per ritrovarmi poi a volerne fare di nuovi. Per me disegnare è diventato un modo per allontanarmi dai vizi, un modo sano per riem-pire giornate altrimenti fru-stranti, ma soprattutto un’atti-vità che mi dà soddisfazione. Tale sensazione è una cosa nuova, perché dopo più di tredici anni di tossicodipen-denza, una soddisfazione che non proviene dalla droga per me è qualcosa di grandioso. E per fare quello che faccio io credo che gli ingredien-ti siano pochi, se il talento è innato, ci vuole pratica, tanta pratica, ma soprattutto tanta fantasia. Adesso, oltre a dise-gnare a tempo libero, dipin-go anche su commissione. La mia passione maggiore rima-ne tuttavia disegnare a perdi-tempo, nelle notti insonni che altrimenti avrei riempito con le sostanze o con l’autolesioni-smo: per me disegnare è vita.

drai che ti ameranno tutti», mi garantisce. Poco dopo sopra di me leggo un cartello che indica che siam arrivati. E qui inizia il bello. Punto uno, attivazione naso formidabile. Devo passare in rassegna la zona per capire, analizzare, catalogare. Dopo poche an-nusate capisco che qua ogni tanto ci passan dei gatti e qualche cane di taglia nana: quindi è zona mia. Varcata la porta di ingresso, intrave-do qualche ceffo che già co-nosco. Il primo che noto è un tizio alto con un cespuglione in testa, una barba curata, vestito sportivo che mi scruta diffidente, magari crede pure che lo morda? Se si abbassa forse, ma se no mica penserà che mi metto a saltare per lui? Più in là una signora con occhiali. Ho sentito che la chi-amavano Ada. Lei mi sorride a piena dentiera. Meno male che io sono una signora e che conosco il linguaggio umano e percepisco l’umore. Non ho il sesto senso per ni-ente. Mostrare i denti per molti animaletti è un segno di aggressività. Non per gli umani però. Quindi ricambio il suo sorriso inondandola di bava, leccandola a raffica con la mitralinguetta!!! Il res-to alla prossima puntata. Bye Bye Chany

in 126 ore piacevoli, perché ho potuto dedicarmi alla sede, anche attraverso di-verse attività manuali, e ciò mi è piaciuto molto. Ora che è terminato questo periodo, posso tirare le somme e dire che è stato assolutamente positivo, anche se devo am-mettere che per alcuni gior-ni non mi sono comportato al massimo. Nonostante ciò mi sono comportato quasi sempre bene e mi sono re-lazionato in modo positivo sia con gli operatori che con le altre persone che fre-quentano la sede, aiutando, in alcune occasioni, dei ra-gazzi in difficoltà. Spero di cuore di continuare in que-sto modo, al di là della fine delle pena, impegnandomi per l’associazione e per me stesso, perché considero l’as-sociazione la mia seconda famiglia e la sede, per me, è un posto sano dove si può vivere serenamente condivi-dendo le difficoltà ed i pro-blemi che si possono verifi-care nella vita quotidiana; questa è, quindi, un’oppor-tunità che non posso, come il mio solito, abbandonare per tornare in “strada”. Mau-ro datti Fare!

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L'ANGOLO DELLA FRANCA

Addio richiami vivi: vietate le catture Dopo decenni di "resistenza", una nuova legge europea vieta per la prima volta l'uccellagione di Paola Doretto LAC (Lega Abolizione Caccia)

Apprendo da uno dei tanti siti animalisti questa bella notizia: dopo decenni di "resistenza" alla crudele pratica dell'uc-cellagione, portata avanti da giovani e coraggiosi volonta-ri (spesso correndo dei rischi seri) è arrivato finalmente l'articolo 21 della legge eu-ropea. Cito dal blog, «per decine di uccellini selvatici il futuro si tinge di speranza. Con questo articolo di legge, infatti, il Senato ha sancito in via definitiva il divieto di cat-turare tordi, merli, pavoncelle, colombacci, allodole e altre specie per farne richiami vivi. E' stato messo infatti al ban-do ogni sistema di prelievo escluso dalla direttiva uccelli, come trappole, reti e vischio». La pratica dell'uccellagione è

diffusissima anche se è un ar-gomento che non trova molto spazio nei media. Non se ne parla, ma sono milioni gli uc-celli che ogni anno vengono catturati e uccisi durante le loro migrazioni, per alcune specie c'è addirittura il rischio di estinzione. I cacciatori con la patente e non, di solito li attendono nei luoghi dove trovano sosta e riparo duran-te il lunghissimo viaggio che compiono, attraversando tut-to il Mediterraneo. Più spesso sono le isole, Cipro, Malta e anche la nostra Sardegna: lì con metodi crudelissimi come appunto le reti o il vischio vengono catturati. Una parte di loro verrà venduta ad al-tri cacciatori perché li usino come richiami vivi per la cat-

tura di altri esemplari della stessa specie. Un'altra parte, e forse la più cospicua, verrà invece venduta ai ristoratori come cibo tipico. La crudeltà della cattura con la rete o con il vischio è qualcosa di vera-mente perverso. L'animale, libero, in volo, viene d'un trat-to a trovarsi imprigionato e poi lasciato lì, come se fosse una cosa, senza alcuna pie-tà, nella più totale indifferen-za alla loro libertà e alla loro bellezza. Qualcuno dice che la nuova legge è ambigua e che comunque non riuscirà a fermare del tutto i bracco-nieri. Ma io voglio pensare invece che qualcosa è stato fatto, un primo passo, al qua-le speriamo ne seguiranno altri. Soprattutto cambieranno

le cose per i ragazzi volontari del Cabs (una delle associa-zioni tra le più attive contro il bracconaggio), che non sa-ranno più dei fuorilegge che devono rischiare a volte la loro stessa vita per contrastare i cacciatori più violenti. Un rin-graziamento da parte mia va sempre a loro che, nell'ombra e senza ricompense o glorie di nessun tipo ,da anni, lonta-no dalla legge, hanno lottato per liberare queste piccole meravigliose e innocenti cre-ature.

L’ecologia integrale come nuovo paradigma di giustiziaLaudato si’, l’enciclica del Papa sulla cura della casa comunedi Franca Merlo

Non credevo che la recente enciclica di papa Francesco fosse così straordinariamente ricca, finchè non l’ho letta. La si trova facilmente nel web. E’ una lettura lunga, ma vale davvero la pena. Trovo che sia una sintesi perfetta della situazione del nostro Pianeta, che va facendosi dispera-ta e si avvicina al punto di non ritorno; sintesi realistica e supportata da una solida conoscenza dei fenomeni esaminati, però sempre ac-compagnata dalla visione positiva della vita, dalla scom-messa sulla capacità dell’uo-mo di risollevarsi e volgersi al bene. Francesco, con quel parlare laico che lo caratte-rizza, si rivolge «a ogni perso-na che abita questo pianeta» perchè è preoccupato della

sorte degli uomini e soprattut-to dei più deboli della Terra, quelli che più risentono della sua cattiva gestione. Analizza mali che conosciamo, come la privatizzazione dell’acqua, la perdita della biodiversità, il deterioramento della qua-lità della vita e parla di sot-tomissione della politica alla tecnologia e alla finanza. Parla della debolezza della reazione politica internazio-nale e scrive senza mezzi ter-mini: «Ci sono troppi interessi particolari e molto facilmente l’interesse economico arriva a prevalere sul bene comune e a manipolare l’informazione per non vedere colpiti i suoi progetti». Usa parole forti, il buon Francesco. «La finan-za soffoca l’economia reale». Parla di peccato in un conte-

sto che sembrerebbe del tutto laico: distruggere la diversità biologica, spogliare la terra delle sue foreste naturali con-tribuendo al cambiamento climatico, inquinare le ac-que, il suolo, l’aria: un crimi-ne contro la natura è sempre un crimine contro noi stessi e un peccato contro Dio. «L’am-biente è un bene collettivo, patrimonio di tutta l’umanità e responsabilità di tutti. Chi ne possiede una parte è solo per amministrarla a beneficio di tutti. Se non lo facciamo, ci carichiamo sulla coscienza il peso di negare l’esistenza de-gli altri. Per questo i Vescovi della Nuova Zelanda si sono chiesti che cosa significa il co-mandamento “non uccidere” quando un venti per cento della popolazione mondia-le consuma risorse in misura tale da rubare alle nazioni povere e alle future genera-zioni ciò di cui hanno bisogno per sopravvivere». A supporto dell’impegno ecologico che tutti dovremmo avere, Fran-cesco propone una corag-giosa rivoluzione culturale. Accenna a San Francesco d’Assisi come esempio di eco-logia integrale, vissuta con gioia. «Egli entrava in comu-nicazione con tutto il creato, predicava persino ai fiori e li invitava a lodare e amare Dio... Questa convinzione non può essere disprezzata come

un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scel-te che determinano il nostro comportamento. Se noi ci ac-costiamo alla natura e all’am-biente senza questa apertura allo stupore e alla meravi-glia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra re-lazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consu-matore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapa-ce di porre un limite ai suoi interessi immediati. Viceversa, se noi ci sentiamo intimamen-te uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiran-no in maniera spontanea». Passare dal consumismo alla capacità di condividere si-gnifica imparare a dare, non semplicemente rinunciare. «E’ un modo di amare, è libera-zione dalla paura, dall’avidi-tà e dalla dipendenza. Si può aver bisogno di poco e vivere molto, soprattutto quando si è capaci di dare spazio ad altri piaceri e si trova soddisfazio-ne negli incontri fraterni, nel servizio, nel mettere a frutto i propri carismi, nella musica e nell’arte, nel contatto con la natura, nella preghiera. La felicità richiede di saper limi-tare alcune necessità che ci stordiscono, restando così di-sponibili per le molteplici pos-sibilità che offre la vita».

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L'APPROFONDIMENTO

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PORDENONELEGGE DIETRO LE QUINTE«C’è una parola che abbiamo incontrato spesso, in quest’ultimo anno, nei libri che abbiamo incrociato o che ci sono stati pro-posti. Non è difficile indovinare: è la parola “crisi”. Una parola declinata in tutti gli accostamenti possibili, dall’economia alle isti-tuzioni, dalla famiglia all’impresa, e poi fin dentro lo specifico di cui ci occupiamo: crisi dell’editoria, crisi del libro. Crisi, ovvero, necessariamente: cambiamento. Il momento della crisi è quello di un passaggio, di cui avvertiamo gli effetti, e di solito generano segnali di disagio, peggioramento, allarme. E’ necessario cercare di capire che cosa sta accadendo, durante una crisi. E oggi più di sempre è proprio nei libri che si trovano, se non le risposte, le domande giuste. E poi nei libri di quest’anno ricorre, senza che vi sia paradosso, un’altra parola: “futuro”. Solo il futuro, il futuro che è già qui e che dobbiamo imparare a vedere sarà non la soluzio-ne, ma la conseguenza della crisi. Ci appare chiaro, oramai, che quello che è stato il mondo della crisi, è il mondo di ieri, e il suo tempo non avrà più corso. Mentre il mondo dove le conseguen-ze della crisi sono già all’opera si lascia intravedere, soprattutto attraverso i libri, nell’avvento di nuove dimensioni di esistenza, di produzione e di relazione comunicativa. Abbiamo cinque lunghi giorni, meravigliosamente intensi, per imparare a leggerle me-glio e per parlarne insieme» Così Gianmario Villalta, direttore ar-tistico, assieme a Alberto Garlini e a Valentina Gasparet, ovvero i tre curatori della manifestazione, salutano quest'anno il pubblico della 15ª edizione di Pordenonelegge, in programma in città dal 16 al 20 settembre. “Crisi vs futuro” è il loro augurio: un obiettivo verso il quale il festival con gli autori è tutt'altro che passivo. I curatori hanno confezionato oltre 300 eventi con i maggiori pro-tagonisti della scena letteraria nazionale ed internazionale, tra i quali ci saranno anche ben 27 anticipazioni letterarie riservate al pubblico del festival. La Fondazione Pordenonelegge, che dal

di Milena Bidinost

2013 guida l'intera macchina organizzativa dell'evento, ha defi-nito luoghi, accoglienza, promozione: in una parola, il contenitore del festival. Saranno cinque giornate con gli autori in cui la città cambierà volto, puntando a superare le presenze dello scorso anno: nel 2014 ce ne furono ben 130.000. Ma è un indotto non solo culturale ed intellettuale, bensì anche economico, occupa-zionale e sociale quello che il festival ogni anno garantisce a capoluogo e provincia e che induce a dire che Pordenonelegge sta facendo la sua parte per portare futuro laddove c'è la crisi. Lo confermano i dati della ricerca svolta da un team di profes-sori universitari di tutta Italia, con a capo l'Università Bocconi di Milano, chiusa nella primavera di quest'anno. E' un focus sulle ricadute economiche ed occupazionali che ha portato la passa-ta edizione. I risultati sono tutti positivi, a partire dall'investimento messo in campo dalla Fondazione: 868.612 mila euro di cui il 25% di fondi della locale Cciaa, 34% di finanziamenti pubblici e 40% di sponsor e partner privati. Ben il 76% del totale è rimasto in città e provincia, il 4% entro i confini della regione. Tale inve-stimento si è tradotto in un impatto economico pari a 934.720 euro. E' invece stato di 5.381.650 euro quello prodotto dalla spesa totale fatta dal pubblico della manifestazione (3.218.720 euro), tenendo conto solo dei turisti che hanno pernottato in città e dei pendolari dalla regione. L’impatto economico totale del Festival Pordenonelegge nel 2014 è stato quindi pari a 6.316.370 euro: per ogni euro investito ne sono ritornati nel territorio della provin-cia di Pordenone 7,27, uno dei valori più alti tra i festival italiani. Ma l'effetto è andato ben oltre ai numeri economici: un son-daggio proposto ad un campione di visitatori ha fatto emergere che il 69% degli intervistati ritiene che Pordenonelegge abbia in generale contribuito a modificare il suo modo di vivere la città e il suo territorio.

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Non solo libri, ma anche turismo commercialeProsegue la collaborazione tra la Fondazione e “Sviluppo e Territorio”. Tra le proposte, “A spasso con gusto” e una nuova convenzione per i possessori del pass staffdi Rafael

Tra i collaboratori di Pordeno-nelegge c’è anche “Sviluppo e Territorio”, associazione pre-sieduta da Alberto Marchiori e nata per creare occasioni d’interesse per il centro stori-co. Le proposte che arrivano dai negozianti anche in que-sta edizione del Festival, non mancano quindi. E’ infatti una sinergia, quella instauratasi tra l’organizzazione del Festi-val da un lato e l’associazione di promozione commerciale dall’altro, che va avanti con successo oramai da sei anni. “Sviluppo e Territorio” ha due anime: una più istituzionale, che riunisce attorno ad un tavolo tutte le istituzioni della città per realizzare una poli-tica di marketing legata al territorio, e una più commer-ciale che ha la funzione di promuovere i negozi del cen-tro. L’obiettivo è promuovere il turismo commerciale, quindi è legato al bilancio dei ne-gozi. Le proposte arrivano dal basso, ovvero dai com-mercianti stessi: “Sviluppo e territorio” le valuta e ne fa un progetto che poi divulga agli altri tramite mail, visite dirette o attraverso delle riunioni nel-la propria sede. Nel caso di Pordenonelegge “Sviluppo e territorio” non interviene nella sua organizzazione, ma vi ab-bina iniziative realizzate con i negozianti. L’associazione coordina e dà cioè supporto ai commercianti del centro storico. Le cinque giornate della manifestazione culturale sono, infatti, ogni anno vola-no per la cultura ma anche per il commercio locale. Porta la firma di “Sviluppo e Territo-rio” ad esempio l’iniziativa “A spasso con gusto”, una sorta di percorso enogastromico realizzato in collaborazione con i locali del centro, che in questi cinque giorni, propon-gono alla clientela menu con prodotti tipici della zona, i vini e pietanze, al fine di promuo-vere le bontà della provincia. La Fondazione Pordenone-legge, attraverso i suoi cen-tomila volantini, pubblicizza

questi percorsi e quindi i bar dove si possono gustare tali prodotti. Oltre all’iniziativa “A spasso con gusto”, in passato l’associazione ha realizzato anche alcune proposte per i bambini, “i baby care”, dove i genitori potevano lasciare i bambini che venivano ac-cuditi ed accompagnati in un percorso di avvicinamen-to alla lettura. La novità che “Sviluppo e territorio” ha in serbo per quest’anno duran-te il festival è una particolare convenzione con Pordenone-legge: per tutti gli scrittori, gli editori, i giornalisti, quindi per coloro che hanno il pass di “staff”, saranno previsti degli sconti nei negozi. L’obiettivo è quello di catturare l’attenzio-ne delle migliaia di visitatori. «Manifestazioni come Porde-nonelegge – spiega il mana-ger dell’associazione, Andrea Malacart - non sono fatte per aumentare il lavoro dei nego-zi, ma sono comunque molto sentite da tutti i commercianti anche perché possono porta-re in città anche 150.000 per-sone. Non tutti ne beneficiano in eguale misura – prosegue

- ma in ogni evento c’è una diffe-renza nella tipologia di esercizio com-merciale più o meno coin-volto». Secon-do la lettura che dà lo stesso Malacart, la manifestazione settembrina dedicata agli autori e al libro, «è un grosso traino soprattutto per i pubblici esercizi, come i ristoranti e gli alberghi, che ne traggono profitto, ma anche per quei negozi che benefi-ciano di qualsiasi evento che porta tanta gente a Pordeno-ne. La percezione dei com-mercianti è che questo Festi-val negli anni sia cresciuto tantissimo e che sia un evento importante per la città, è senti-to assolutamente da tutti. I ne-gozianti oggi - è l’analisi fatta dal manager - sono consa-pevoli che Pordenonelegge, come anche le Giornate del Cinema muto, Dedica Festival e il Blues festival sono even-ti che stanno caratterizzando Pordenone quale città di cul-

tura». E la cultura può e deve fare da traino all’economia. «Favorisce indirettamente an-che l’occupazione – aggiun-ge Malacart - perché Porde-nonelegge in particolare è un’ottima occasione per i gio-vani per farsi conoscere. La cultura ed il turismo culturale sono uno dei driver su cui l’Ita-lia dovrebbe puntare, quindi sicuramente Pordenonelegge la sua piccola parte la fa». Il bilancio di “Sviluppo e territo-rio” rispetto a questi sei anni di collaborazione con Pordeno-nelegge è sicuramente positi-vo; da quando l’associazione ha iniziato a proporre “A spas-so con gusto” sono aumentati gli aderenti all’iniziativa ed è stato evidente come promuo-vere i prodotti tipici regionali sia stata una scelta vincente.

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Zanolin dell’Hotel Moderno «Per rendere bello il festival anche il commercio deve fare la sua parte»

Parola d’ordine: ospitalità

di Cristina Colautti

Affinché il turista stia bene a Pordenone ed i festival come Pordenonelegge continui-no a crescere è importante, secondo il titolare dell’Hotel Moderno Gianpietro Zanolin, «che tutti facciano la propria parte» e che, quindi, anche le attività commerciali coa-diuvino gli enti istituzionali e gli organizzatori. A partire dall’accoglienza. I turisti per un hotel come il Moderno,

che si affaccia sul Teatro co-munale Verdi di piazza XX Settembre, sono soprattutto gli ospiti della manifestazione. L’hotel rappresenta per loro il luogo del “rientro”, un piccolo spazio di privacy tra tanta fol-la. «Volendo fare un confronto - dice a riguardo Zanolin - il personaggio dell’ambiente letterario è meno capriccio-so della star dello spettacolo: ha le sue manie, ma sono

meno estrose e più facili da soddisfare». Tra gli ospiti del Festival, il titolare ricorda con piacere Giorgio Faletti, una persona molto alla mano, che andava nel retro porti-neria e prendeva il caffè con lo staff dell’albergo. «Inoltre - prosegue Zanolin - gli autori, a differenza di alcuni cantan-ti, si rivolgono a un genere di pubblico che tendenzial-mente non viene in albergo per chiedere loro l’autografo, non ne invade cioè la priva-cy”. Ma come sono gli autori di Pordenonelegge fuori dal palco? « Le loro richieste - dice Zanolin - in media sono abbastanza semplici e riguar-dano prevalentemente la si-stemazione della camera. Ci danno molti spunti per miglio-rare i nostri standard di servi-zio nel caso di un loro ritorno a Pordenone, come a volte succede. Lo staff dell’hotel ad esempio - aggiunge - cerca

di ricordare le varie abitudi-ni di ciascuno di loro per farli sentire, nel limite del possibile, a casa». L’albergo infatti, se-condo. Zanolin, «è un’attività economica, ma noi diamo in primo luogo ospitalità. La persona è un ospite pagante, ma pur sempre un ospite». Il bilancio dell’esperienza ultra decennale di Pordenoneleg-ge è sicuramente positivo. «La città - dice Zanolin - vive se si riescono a far crescere queste manifestazioni, che hanno un ritorno importante in termini di promozione fuori confine della nostra città: stimolano il turismo. Pordenone piace a chi la visita - è l’impressione che si è fatto l’albergatore- Pur non avendo molti monumenti importanti, dal punto di vista dell’ospitalità, della ristorazio-ne, della viabilità, della puli-zia e della sicurezza è nell’in-sieme una bella apprezzata da chi viene da fuori».

Vigili, tutto pronto per coordinare sicurezza e viabilitàBuranel, «È un pubblico che non ha mai comportato problemi»di Guerrino Faggiani

«Pordenonelegge è una ma-nifestazione che a fronte del grande ritorno per la città, richiede una gestione poco più che ordinaria da parte della amministrazione comu-nale e del nostro comando». Lo afferma il comandante della polizia municipale, Arri-go Buranel. «Certo - continua - richiede attenzione per una presenza e controllo parti-colari del territorio, sia con pattuglie automontate che a piedi, fondamentali in quei giorni in cui in centro città si tiene anche il mercato citta-dino». Ma nella sua opera il comando è coadiuvato an-che dall’elettronica: sono 52 le telecamere attive 24 ore su 24 dislocate in tutta la città. «Servono per una sicurezza - continua Buranel - sia delle persone che del traffico, ma vanno comunque di buon grado affiancate alla presen-za fisica delle pattuglie, sia ai fini della tempestività di inter-vento sia come deterrente. E non escludo di utilizzare per-sonale in borghese: lo utiliz-ziamo soprattutto come azio-ne di antidegrado della città».

Pordenonelegge da quindici anni a questa parte è in ogni caso un evento che non ha mai creato problemi di or-dine pubblico o emergenze particolari, «solo positività», ri-badisce Buranel. Unica nota che comunque non è consi-derato un problema dal co-mandante, è che la grande presenza di gente può attira-re in città un maggior numero di mendicanti, come succes-

so a maggio con l’Adunata degli alpini in cui se ne sono contati a centinaia. «Ricordo – afferma – che l’accattonag-gio non è vietato, purché non sia invasivo: si può chiedere l’elemosina, ma senza distur-bare, senza usare minori e o animali allo scopo». Dunque il festival è un evento che non ha nulla da scoprire grazie ad una gestione ormai col-laudata. La città inoltre offre agli ospiti una sua ottima fru-izione grazie a parcheggi sia in strada che in struttura, che consentono una accoglienza agile e senza grossi traumi e disagi per i cittadini. Ai quali, tra l’altro, non dispiace essere assorbiti dalla colorata bara-onda di quei giorni. «È una manifestazione molto pacata - rileva Buranel - che coinvol-ge gente dal temperamento pacifico, che ama la cultura e rispetta le regole. Diversa-mente da sagre e fiera in cui alcuni sono indisciplinati, e per colpa dei quali noi agen-ti di polizia locale veniamo

chiamati soprattutto per risol-vere casi di auto parcheggia-te su passi carrai o in punti in cui intralciano la normale fruizione degli abitanti, co-stringendoci all’intervento an-che sanzionatorio». Nel caso queste siano parcheggiate in posti chiave o spazi destina-ti al passaggio dei mezzi di soccorso scatta la rimozione, come prevede il codice. Sono situazioni queste ultime in cui il comandante garantisce che i suoi uomini sono infles-sibili. «La verifica sul campo a che sia sempre assicurato lo spazio per i mezzi di soc-corso - dice - dal passaggio di un’ambulanza ad un’au-toscala dei vigili del fuoco, è di fondamentale importanza. In caso di necessità di inter-vento i soccorsi non possono bloccarsi davanti ad un osta-colo. E’ fondamentale quindi il rispetto di tali disposizioni, che il comando fa rispettare con fermezza. Questo vale per tutti gli spazi in città e per tutto l’anno”. E’ un consiglio questo che vale anche per i frequentatori di Pordenoleg-ge, dunque, e che non gua-sta mai. Unica nota dolente, ma che nulla c’entra con la manifestazione, è la cronica carenza di personale che ri-guarda tutte le forze di polizia. Con un organico di 50 agenti effettivi di età media 50 anni, attraverso i quali coprire i ter-ritorio comunali di Pordenone e Roveredo in Piano, Buranel avrebbe bisogno di innesti di giovani rincalzi, ma il perdu-rare annoso del blocco delle assunzioni non lo consente. «Ne va dell’efficienza del ser-vizio – afferma – con le forze che abbiamo facciamo quel-lo che possiamo”.

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ECCO COME NASCE PORDENONELEGGEIl quartier generale della manifestazione per l'organizzazione dell’evento è la Fondazione che porta il suo nome. Ce ne parlano il direttore, Miche Zin, assieme ad una delle sue collaboratrici Paola Schiffodi Irene Vendrame

La manifestazione di Porde-nonelegge registra ogni anno un’affluenza sempre maggio-re e riscuote molto successo. Ma che tipo di progettazio-ne si nasconde dietro ad un evento di questa portata? Ce lo spiega Michela Zin, diret-tore della Fondazione Por-denonelegge, nata nel 2013 per volontà della Camera di Commercio di Pordenone e dei rappresentanti delle asso-ciazioni di categoria che ne compongono la giunta e pre-sieduta da Giovanni Pavan. La Fondazione ha, tra i suoi eventi di promozione della cultura e del territorio, pro-prio il festival del libro come fiore all’occhiello. Con il di-rettore lavorano, tutto l’anno, Debora Dal Bo, Paola Schiffo e Monica Bonacotta. Il team non si occupa soltanto della creazione del programma, ma di tutto ciò che concorre alla buona riuscita del festi-val. Il nostro tour nel dietro le quinte di un mega evento come quello settembrino par-te dal loro quartier generale, la sede della Fondazione di via Castello 4.

L’organizzazione. Nella sede della Fondazione ci lavorano queste quattro operatrici alle quali, nel periodo più impe-gnativo che va da giugno a settembre, si affiancano altri collaboratori fino a raggiun-gere un totale di una decina di persone. Da qui vengono tenuti i rapporti organizzativi con i circa 360 ospiti, tra au-tori, presentatori e giornalisti individuati dai curatori ar-tistici della manifestazione, ovvero Giammario Villalta, Alberto Garlini e Valentina Gasparet. Da qui partono gli inviti con un’offerta di parte-cipazione che comprende il viaggio (solitamente in tre-no), il servizio taxi, l’albergo, i gadget e soprattutto viene seguita tutta l’accoglienza degli ospiti una volta arrivati in città. «Quello che è impor-tante infatti - sottolinea Zin- è porre l’autore al centro del-la festa. E’ lui il protagonista, quindi nei preparativi biso-gna assolutamente tenerne

conto. Il corpo organizzativo si occupa inoltre dell’allesti-mento dei luoghi del festival (dopo aver concordato con il Comune tutti i permessi ne-cessari), dell’acquisto di spazi pubblicitari, soprattutto nelle testate giornalistiche locali. Sceglie ogni anno la grafica che caratterizzerà cartelloni e gadget – prosegue - contat-ta gli interpreti per gli invitati stranieri e si fa carico della formazione degli Angeli, os-sia delle braccia concrete della manifestazione». Porde-nonelegge è presente in tutti i social: facebook, twitter, in-stagram, i quali vengono ag-giornati costantemente ed è disponibile, oltre ovviamente al sito internet www.porde-nonelegge.it, l’app scaricabi-le su tutte le piattaforme. Un ufficio stampa esterno segue la comunicazione attraverso i media. «Tutto ciò è possibile – tiene a precisare il direttore - non solo grazie ai contribu-ti stanziati dal Comune, ma anche, in buona parte, agli sponsor privati, che riescono a coprire le spese del festival per il 45%, percentuale in au-mento». Parlando di denaro, questa iniziativa sembra ave-re una ricaduta nettamente positiva sull’economia del territorio, poiché si ottiene un guadagno che è circa sette volte maggiore della spesa.

Il libretto Pordenonelegge. Piccola Bibbia per i parteci-

panti al festival è la guida che raccoglie tutte le informa-zioni sugli eventi organizzati. Un visitatore non si immagi-na quanto lavoro ci sia die-tro e con quanta cura venga preparato il planning degli appuntamenti. Dopo che per un anno intero i curatori han-no attentamente selezionato gli ospiti e scelto i temi degli eventi e dopo aver indetto una riunione con il Comune, i vigili e tutte le associazioni coinvolte, si comincia a cre-are quello che è un grande puzzle. Già a giugno si co-minciano a delineare date ed orari. «È un processo piut-tosto delicato – spiega Zin - perché bisogna incastrare gli impegni di più persone e fare in modo che non si so-vrappongano, per questo è necessario pianificare tutto al minuto e prestabilire con precisione la durata dei me-eting. Ad agosto il program-ma è praticamente pronto ed è possibile consultarlo sul sito internet o direttamente dall’app, tuttavia la creazione dei libretti cartacei avviene solo in settembre, dopo il lan-cio del programma in confe-renza stampa, in modo che vengano apportate anche tutte le modifiche dell’ultimo momento». Di libretti ne ven-gono stampati circa 30.000 copie l’anno, il numero rima-ne stabile, perché sempre più utenti si avvalgono del for-mato digitale.

Gli Angeli. Sono circa una sessantina i giovani che si occupano del lavoro pratico durante le cinque giornate della manifestazione. Sono gli Angeli. Si può diventa-re un angelo a partire dai 16 anni; il primo anno lo si svolge da volontario, mentre quelli successivi, se l’espe-rienza si è rivelata positiva e si è stati promossi ad angelo Junior, è previsto un compen-so. Se si continua a lavorare come Angeli anche negli anni successivi si può aspira-re a ricoprire il ruolo di Ange-lo Capo, ossia la figura più in alto della “gerarchia”. Per as-solvere alle diverse mansioni, vengono suddivisi in squadre miste di quattro o sei persone, in modo che i nuovi arrivati possano pian piano appren-dere dai più esperti; si opera in turni di mezza giornata ed ogni squadra ha un compito ben preciso, come, per esem-pio, la preparazione delle lo-cation per gli incontri, ossia posizionare il giusto numero di sedie, affiggere i manifesti e fare in modo che eventua-li esigenze dei partecipanti vengano rispettate, oppu-re la gestione del pubblico all’entrata delle sale, ma an-che accompagnare gli ospiti al loro arrivo e poi nei loro spostamenti. «Per diventare un angelo bisogna superare delle selezioni – spiega Paola Shiffo, che ne è la referente -. Inizialmente si invia il pro-prio curriculum e successi-vamente si partecipa ad un colloquio. È molto importante, come in un vero e proprio la-voro, la puntualità, ma ven-gono prese in considerazione anche le motivazioni che ti spingono a partecipare. Il ruolo di angelo infatti è mol-to impegnativo - dice -. Chi passa la selezione viene for-mato opportunamente, per-ché è fondamentale che si svolga un servizio di qualità, che rispettino i tempi, che si sappiano destreggiare in tut-te le situazioni senza perdere la calma e il sorriso» Sono gli Angeli che accompagnano autori e ospiti, loro che danno le prime informazioni al pub-blico in strada, sono loro cioè il volto di Pordenonelegge che si mescola tra la folla di quei giorni. Essere un Angelo è un’esperienza soprattutto a livello personale. «Di solito - racconta Schiffo - si crea un forte legame emotivo tra la Fondazione e gli Angeli, molti del quali nel tempo continua-no a dare il loro contributo anche se studiano o lavora-no lontani da Pordenone». A dimostrazione che Pordeno-nelegge ha saputo diventare nel tempo ben più di un sem-plice festival del libro.

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INVIATI NEL MONDO

Sedotta dalle luci e dalla gente di Budapest«Grazie all’amicizia stretta in quei giorni con Funni ho sentito che quella città mi apparteneva»di Irene Vendrame

Budapest è una città che mi è rimasta nel cuore. Ho avu-to occasione di vistarla grazie ad un progetto di scambio organizzato dalla mia scuo-la ed ero quindi qualcosa di più di una turista. Lo scambio culturale è più di un semplice viaggio, perché richiede una buona dose di spirito d’av-ventura: si viene ospitati da un ragazzo di cui non si sa praticamente nulla, sperando che capisca bene l’inglese, altrimenti si può andare in-contro ad una serie di proble-matiche d’aspetto pratico non indifferenti. Ma soprattutto si spera di trovare una sintonia con il proprio guest student, infatti non c’è situazione peg-giore di trovarsi a soggiornare presso una famiglia che non si conosce, in una città estra-nea e mettersi a litigare con la persona che dovrebbe es-sere il proprio punto di riferi-mento. Fortunatamente, ho trovato subito un’intesa con Fanni, la ragazza che mi ha

dato alloggio e, superata la timidezza iniziale, abbiamo subito capito di avere molto in comune: mi ha raccontato che è un’appassionata d’arte, che dipinge e le piacerebbe moltissimo venire in Italia per poterne sperimentare le ric-chezze culturali; inoltre anche a lei piace leggere e per di più ci siamo accorte di ascol-tare lo stesso genere di musi-ca. Lei abita in un paese ad un’ora di treno da Budapest, Felsogod, immerso nel verde, per questo, ogni giorno, anzi-ché tornare a casa dopo le attività che si svolgevano a scuola, per non perdere trop-po tempo nel tragitto, dato che avremmo dovuto ritor-nare in città per la sera, ci trasformavamo in vagabon-de per le strade di Budapest, mangiando un panino e pas-seggiando tra i palazzi, che si confondevano tra i rami de-gli alberi lungo i marciapiedi. Ed è gironzolando così, senza una meta precisa, chiacchie-

rando dei nostri interessi e delle nostre abitudini, che ho a poco a poco scoperto Buda-pest: la Piazza degli Eroi, con le sue statue scure, rappresen-tanti gli eroi storici d’Ungheria, o il grandioso Parlamento, il simbolo dell’indipendenza dall’Impero d’Austria, affac-ciato sul Danubio. Il fiume, prima del 1873, divideva la capitale in due città distin-te: Pest, situata sulla sponda orientale (e pianeggiante) e Buda, sulla collinosa sponda opposta. Qui si trova il mae-stoso castello di Buda, costru-zione eretta originariamente durante il 1200 che poi ha subito diverse variazioni ed è stata fin da subito residen-za dei reali e centro culturale d’Europa (soprattutto a parti-re dal Rinascimento). Le due parti della città sono collega-te da numerosi ponti di varie for-me architettoni-che, il più antico è il Ponte delle Catene, costruito a metà del 1800, distrutto sotto i bombardamenti della Seconda Guerra Mon-diale ed infine ripristinato nel ’49. Dopo le lun-ghe passeggia-te, le serate che ci attendevano erano sempre mov imen ta t e ed elettrizzan-ti, o almeno lo sono state per me, poiché ogni città quando cala la sera in-dossa una nuova veste, più luccicante ed affascinante. Ci muovevamo in gruppo pren-dendo prima la metro (che è una delle più antiche in Euro-pa), poi gli autobus, entrando ed uscendo dai locali più di-versi. Tipici di Budapest sono i ruin pubs (pub in rovina, il pri-mo ad aprire è stato il Szim-pla Kert che è anche il più famoso), delle strane birrerie, che a prima vista sembrano delle soffitte o dei rifugi mal assestati, si trovano in vecchi edifici d’epoca, nel cuore del-la città e sono riempiti dai più stravaganti pezzi d’arreda-mento: sedili d’auto, vasche da bagno, biciclette rotte penzolanti dal soffitto, vecchie stampe anni ’50, tele colora-te stile figli dei fiori, insomma sembra un ammasso di og-getti raggruppati a casaccio. Ma il bello è che il risultato è una sorta di tana accogliente dove potersi sedere per una birra o ascoltare musica o an-

che guardare un film proiet-tato su un muro scrostato. Ma i ruin pubs non sono l’unica attrattiva che ho potuto speri-mentare. Il venerdì e il sabato sera ci siamo recati a Erséber tér, un grande parco al centro del quale si trova l’Akvàrium klub, un altro locale che orga-nizza spesso serate e concerti. Il parco dalle nove di sera si riempie letteralmente di gio-vani, seduti sull’erba con le coperte, per chiacchierare o strimpellare la chitarra. Il clima che vi ho respirato è indescrivibile, vedere tanta gente riunita, con cui poter parlare e stringere amicizia, è stato straordinario per me, che vivo in un piccolo paese e in genere frequento sempre le stesse persone. Lo ammet-to, sono stata sedotta dalle luci e dalle genti della città.

Se ripenso a quelle giornate mi viene un po’ di nostalgia e non so delineare con pre-cisione ciò che mi è rimasto di questo viaggio. Quando ho chiesto a Fanni di scrivere due righe su ciò che pensas-se dello scambio, ha espresso il suo entusiasmo, ricordando quanto le fosse stato utile per conoscere meglio le altre cul-ture, capire il modo di pen-sare degli altri e scoprire con soddisfazione che potessimo lavorare in gruppo senza al-cun pregiudizio, nonostante avessimo origini diverse. Di come far parte di questo pro-getto abbia creato dei ricordi indelebili e sia stato indimen-ticabile per tutti noi. Questo è ciò che penso anche io; gra-zie a lei, alla sua disponibilità, alla sua amicizia ho sentito che quel posto mi è appar-tenuto, poiché sono convinta che a rendere speciale un’e-sperienza siano i legami che si creano e soprattutto la con-divisione.

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PANKAROCK

Vasco Rossi, il mito Trent’anni di carriera e ancora concerti da tutto esaurito. Il Komandante continua a segnare la storia della musica italianadi Alain Sacilotto

Dopo trent'anni di carriera sempre sulla cresta dell'on-da Vasco Rossi non riesce più a fermarsi: può passare il tempo, possono trascorrere gli anni, ma sul palco il Ko-mandante è sempre lo stes-so uomo pieno dell'energia e dell'entusiasmo tipici di un ventenne. Tutto questo si può capire dall'eloquenza di una sua frase: "Fare dischi mi an-noia, è sul palco che mi sen-to vivo". Alla veneranda età di 63 anni Vasco fa ancora emozionare i suoi fan “multi generazionali” e riempie gli stadi con il suo nuovo tour "Live Kom 015", composto da 8 tappe e 14 concerti da nord a sud della nostra pe-nisola, che si conclude con numeri sempre sbalorditivi! Per questo tour, andato in scena tra giugno e luglio di quest’anno, si parla di ben oltre 600.000 biglietti venduti, molti di questi “bruciati” dopo qualche minuto dall'apertu-

Direzione Firenze, stadio Artemio FranchiPronti a tutto pur di essere tra il pubblico di Live Kom 015, l'ultimo tour di Vasco Rossidi Alain Sacilotto e Andrea Lenardon

" Siamo solo noi che non ab-biamo vita regolare, che non ci sappiamo limitare", canta il Blasco. Siamo solo noi, che pensiamo che si può fare, perché quando ti convinci che non ce la farai quasi si-curamente sarà così, abbia-mo pensiamo noi quando ci siamo messi in testa di esserci, a tutti i costi, ad una delle tap-pe del suo “Live Kom 015. Ma noi non eravamo un gruppo come tanti, perché io a quel concerto dovevo arrivarci in sella alla mia carrozzina. Ecco allora che ci siamo messi all’o-pera. Primo passo, procurarci i biglietti. Tutto esaurito dopo

un’ora dall’apertura delle iscrizioni per lo stadio “Euga-neo” di Padova, ripieghiamo sull’”Artemio Franchi” di Firen-ze, 12 giugno. Secondo passo: inviare una richiesta via fax o e-mail all’organizzatore, nel nostro caso “Live Nation”, nel-la quale va indicato il nome e cognome del disabile e quello del suo accompagna-tore, con tanto di certificato di invalidità. Ciò dà diritto ad un ingresso gratuito per disabile e gratuito o al massimo scon-tato per l’accompagnatore. Le persone con disabilità ai concerti si garantiscono così un posto riservato in settori

speciali, a seconda che siano o meno in grado di stare in piedi autonomamente. Quin-di sistemata la questione dei biglietti, puntiamo alla tappa di Firenze. E’ il 12 giugno e, dopo un lungo sonno, ci pre-pariamo con i vari bagagli e accessori importantissimi per me: doppio ventilatore, pro-lunga, adattatore di corrente e via dicendo. Dopo un buon pranzo mi metto in viaggio assieme ai miei due compa-gni d'avventure, ovvero mio papà Graziano e l’ormai ex-bomber Andrea: senza di loro due non sarei mai riuscito a prender parte all'impresa. Se

vuoi puoi. Come successo a noi, che partiti alle 14.30 alla volta di Padova , dopo aver "sbancato" lo stadio “Franchi”, ci siamo rimettessi in macchi-na e siamo rientrati a casa alle 6.30 del mattino dopo. Mica un viaggio da poco, per uno come me. L'equipaggio è ottimista e va tutto bene fin-ché, lungo la strada, ci accor-giamo che bisogna sostituire un fusibile della macchina per un malfunzionamento. Li-bretto di istruzioni alla mano superiamo questo piccolo ostacolo consapevoli che non sarebbe una bella avventu-ra senza qualche imprevisto.

ra delle vendite. Il pubblico che lo segue è veramente eterogeneo: uomini, donne, romantici, rockers, nostalgi-ci, trasgressivi; Vasco arriva a tutti. Ai suoi concerti sono presenti tre generazioni, si vedono bambini con i loro

genitori e i loro nonni! Questo fenomeno sociale raggiun-ge migliaia di persone che lo seguono godendo dell'a-ria di libertà e voglia di vita che emanano le sue canzoni, unendo la spensieratezza e la vitalità dei teenagers alla

saggezza e serietà dei più adulti. Ci si chiede quale sia il suo segreto, cosa faccia del rocker di Zocca una leggen-da musicale italiana capace di irretire a qualsiasi età e farti cantare a squarciagola i suoi testi. Vasco piace soprat-tutto perché è un uomo sem-plice, rimasto sempre l'umile ragazzo di provincia nono-stante tutta la sua popolari-tà. Un esempio recente del-la sua semplicità: lunedì 13 giugno Vasco conclude con l'ultimo concerto a Padova il "Live Kom015", il giorno dopo viene avvistato nella sua Zocca, in piazza a giocare a carte con gli amici come un cittadino qualunque. Un'altra caratteristica principale del Blasco sono i testi delle sue canzoni che spaziano su di-versi argomenti: dalla critica alla classe politica italiana, alle tematiche legate alla vita, alla sofferenza della per-sone, passando per la critica

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Vasco Rossi anche detto "Il Komandante" nasce il 7 feb-braio 1952 a Zocca, paesino di quasi cinque mila anime in provincia di Modena. Cre-sce in una famiglia sempli-ce, suo padre è camionista e sua madre casalinga. Fin da bimbo Vasco, su iniziativa della madre che è appassio-nata di musica, viene iscritto a scuola di canto e inizia ad appassionarsi di musica. A 13 anni vince l'"Usignolo d'oro" una manifestazione canora modenese, mentre a 14 anni entra a far parte di un gruppo chiamato "Kil-ler". Dopo essersi diploma-to in ragioneria, si iscrive a Economia per poi passare a

Una vita per la musica Pedagogia che abbandona a soli otto esami dalla lau-rea. L'anno della svolta è però il 1975, quando fonda, a Zocca, Punto Radio, una radio libera. Quest’esperien-za in radio si rivela decisiva nella carriera del giovane Vasco, infatti in questi anni è invitato a numerose serate in discoteca come deejay. In questo periodo su consiglio di alcuni amici fidati inizia a comporre musica. Il suo primo album esce nel ’77. Nel ‘79 esordisce invece sul palco con il suo primo con-certo a Bologna: da questo ha inizio la sua fama di can-tautore. Fama che non si più arrestata.

Sballottati dalle curve degli Apennini e accompagnati da qualche goccia di piog-gia arriviamo a Firenze, ap-pena in tempo. Il traffico è da delirio, lo stadio sembra inar-rivabile, ma quando final-mente lo raggiungiamo, ci in-veste un'aria elettrizzante da pre-show! Piccola sosta per comprare la fascia di Vasco e dei panini alla porchetta e poi si balla, ci immettiamo nel fiume di persone che entra al "Franchi", tempio del rock per questa sera, e prendia-mo posto all'interno. L'atmo-sfera è unica, i cori a Vasco riempiono l'attesa e trenta-mila cuori palpitanti sono lì a spingere sull'acceleratore delle emozioni aspettando il Komandante! Spaccando il minuto, alle 21.30 finalmente Vasco esce ed è subito spet-tacolo. Il rombo delle casse ci risuona dentro riempien-doci il corpo di vibrazioni, la gola si spende tutta e la voce si perde insieme a quelle di tutti gli altri per cantare come un sol uomo le canzoni. Va-sco corre su binari diversi e

pur dedicando spazio al suo ultimo album "Sono innocen-te" ci regala anche le canzoni di sempre. Momenti diversi si alternano: dalla carica rock di "Deviazioni" e "C'è chi dice no" alla magia e poesia di "Sally", "Vivere" e "Gli angeli". Il Blasco non ci fa mancare niente, trasgressione e rifles-sione allo stesso tempo, riesce

religiosa ed infine sofferman-dosi sull'argomento che for-se il suo popolo preferisce, ovvero l'amore e soprattut-to il sesso. Queste tematiche escono dalle sue canzoni con un linguaggio semplice e comunicativo per raccontare le esperienze belle e brutte della sua vita spericolata che spesso si accomunano con le vite delle persone comuni. Nelle sue canzoni le emozio-ni entrano direttamente nel cuore della gente che sente propri i testi e che sente rac-contata la propria vita dalle parole “alla mano” del suo idolo. Durante i concerti negli stadi di tutta Italia, la folla lo incita e canta le sue canzoni a squarcia gola partecipan-do di un'empatia collettiva.

Negli anni in cui Vasco iniziò la sua carriera artistica, cioè fine anni ‘70 inizio anni ‘80, il panorama musicale italiano era caratterizzato da numero-si cantautori: da Lucio Dalla a Franco Battiato, passando per il grandissimo Fabrizio De Andrè considerato tutt'og-gi uno dei migliori cantau-tori italiani di sempre, fino a Francesco De Gregori detto "Il poeta". Vasco fu considerato un cantautore "rivoluzionario" perché a differenza dei vari cantautori del contesto italia-no, che si limitavano quasi sempre a comporre musica facendo sporadicamente dei concerti e non riuscendo a conquistare un ampissimo numero di persone, lui riuscì invece a compiere una vera

e propria rivoluzione musi-cale introducendo uno stile nuovo fortemente espressivo, che riesce a far partecipare il cuore della gente portan-do nei suoi testi temi cari al tessuto sociale italiano. Si è conquistato così un'ampia fetta di pubblico, riuscendo a toccare diversi temi dai più trasgressivi da sempre ca-rissimi alla platea giovanile, ai più seri avvicinando così un pubblico più maturo. Per concludere, c'è una canzone intramontabile che più di tut-

a far coesistere le novità con i mostri sacri del suo repertorio. E' difficile raccontare attraver-so le parole scritte le due ore abbondanti che passiamo, sembrano volare e quando arriva la sequenza di "Vita spericolata", "Canzone" e "Al-bachiara" il concerto finisce in un tripudio di applausi e di coriandoli luccicanti. L'espe-

rienza è stata indimenticabile. Ciò che volentieri la prossima volta eviteremmo sono inve-ce le due ore abbondanti di coda per uscire dalla città e raggiungere l'autostrada. Il viaggio di ritorno scorre tran-quillo, la testa di Andrea è quella che tende più a cion-dolare mentre i miei occhi spalancati riflettono ancora le emozioni vissute e sogna-no già il prossimo concerto incuranti delle sfuriate sul traf-fico del pilota (assolutamente giustificate!). Tornando a casa c'è spazio anche per una colazione furtiva delle 03.40 a base di brioche e red bull che ci tiene svegli fino all'ar-rivo a casa dove ognuno crolla con velocità record tra lenzuola e cuscini. Questa av-ventura ci ha dimostrato che il "si può fare" parte innanzi-tutto dalla testa e visto come è andata vi confidiamo che siamo già pronti per un nuo-vo tour, sempre convinti che "Vivere...è sorridere dei guai così come non hai fatto mai e poi pensare che domani sarà sempre meglio"!

te rappresenta Vasco, perso-naggio che probabilmente in assoluto ha fatto la storia de-gli ultimi trent'anni della mu-sica italiana. E’ quella in cui il Komandante canta: “Voglio una vita maleducata di quel-le vite fatte, fatte così. Voglio una vita che se ne frega, che se ne frega di tutto sì. Voglio una vita che non è mai tardi, di quelle che non dormo mai. Voglio una vita di quelle che non si sa mai...Voglio una vita spericolata, voglio una vita come quelle dei film...”.

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NON SOLO SPORT

Carlito’s Cup, calcio per beneficenzaTerza edizione per un evento dedicato alla memoria di un amico. Record di fondi a favore dell’Assistenza Domiciliare Pediatricadi Pasquale Bruno

Sono qui a raccontarvi la sto-ria della Carlito’s Cup, torneo di “Calcioabbestia” di Benefi-cenza che da tre anni orga-nizziamo a Pordenone. Nell’ot-tobre del 2012 è morto Carlo, il mio migliore amico, aveva 34 anni e amava far festa, “casino”, andare a ballare e guardare le tipe degli altri, uno di noi insomma; inoltre odiava lo sforzo fisico, però, per limitare i danni dei suoi vizi, una volta a settimana giocava a calcetto con una compagnia di suoi sodali. Per ricordarlo, nonostante a lui del calcio non fregasse molto, abbiamo pensato di organiz-zare un torneo di “Calcioab-bestia” per raccogliere un po’ di soldi di beneficenza e pro-vare a trasformare una cosa bruttissima in una cosa bella. La famiglia di Carlo ci ha in-dicato l’Assistenza Domicilia-re Pediatrica e noi ci siamo messi in moto organizzando torneo, pranzo, cena, lotteria e vendita magliette. Nelle prime due edizioni abbiamo raccolto rispettivamente 2.760 e 3.629 euro netti in una sola

giornata, abbiamo poleve-rizzato tanti record di “fighetti e femmenelle” da tornei con creste, polsini e cavigliere. Anche quest’anno, dopo aver sistemato i conti con tutti for-nitori, è stato consegnato ad Omar Leone dell’Assistenza Domiciliare Pediatrica l’incas-so netto della terza edizione della Carlito’s Cup: la somma devoluta in beneficenza è di ben 4200 euro, che rappre-senta il record di offerte per una manifestazione di una sola giornata (la Carlito’s de-teneva anche il record prece-dente). In queste tre edizioni la somma totale devoluta all’Assistenza Domiciliare Pe-diatrica supera gli undicimila euro. Il torneo, giocato il 9 maggio, ha visto la parteci-pazione di 16 squadre con circa 150 giocatori, la finale è stata vinta dal DC United che ha superato in finale I Bergogliosi; ma le questioni tecniche sono un dettaglio, infatti la Carlito’s è un torneo in cui il calcio è un semplice espediente per unire la gente, quello che conta è l’atmosfe-

ra di festa e di amicizia che si crea spontane-amente, sono i cori e le risa-te che portano ogni anno sem-pre più gente a stare insieme per ricordare Carlo, aiutando i bambini ma-lati ad essere curati nel posto che amano di più, cioè casa loro. Carlito’s Cup, infatti, non è solo il torneo di calcio, ma è anche il trofeo George Best (che premia il miglior gioca-

tore) vinto dal giocatore più anziano della manifestazio-ne, Giuseppe Crovato; Carli-to’s Cup è il trofeo Pasquale Bruno (che premia il miglior gesto d’ignoranza calcistica) vinto da Nicola Furlanetto, capitano dei campioni in ca-rica, che sbaglia un rigore apposta per consentire agli avversari di passare il turno; Carlito’s Cup è il trofeo Gaz-za Gascoigne (che premia l’i-gnoranza extracalcistica) vin-to dagli ultras de I Bergogliosi che hanno offerto una cor-nice di striscioni e fumogeni degni di un derby sudameri-cano; Carlito’s Cup è il Trofeo Materasso, consegnato alla peggior squadra del torneo, la cui coppa però è molto più grande di quella per i vinci-tori finali. Oltre ai calciatori, è stato stimato un afflusso di oltre 400 persone, tra cui tan-tissimi bimbi. Sono stati distri-buiti 250 piatti di pasta e 220 porzioni di pollo e patate an-naffiati da ben 660 litri di bir-ra, tutto questo in sole 12 ore. L’organizzazione dell’evento, oltre che grazie agli amici di

Carlo, è stata possibile grazie al decisivo aiuto dell’Associa-zione Festa in Piassa che ha messo a disposizione struttu-re e soprattutto volontari che, contagiati dall’atmosfera del-la Carlito’s, ormai fanno par-te in pianta stabile dell’orga-nizzazione. Infine la Carlito’s ha avuto un’eco altrettanto potente sulla pagina Face-book della manifestazione dove per giorni sono com-parsi decine di foto e post di ringraziamento per l’ottima riuscita della giornata. Sem-pre legato a Facebook è il concorso “Spreading Carlito’s Worldwide” che raccoglie le foto fatte con addosso la maglia della manifestazione dai posti più impensabili del pianeta come il deserto di Dubai, Singapore, Giappone, Canada, Texas e Capo Ver-de. L’intenzione per i prossimi anni è di provare a ritoccare ulteriormente il record stabili-to quest’anno, ma soprattutto di riunire di nuovo tantissime persone per aiutare chi ne ha bisogno e ricordare un gran-de amico.

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Quarant'anni di "Festa in Piassa"Ha attraversato la storia di Villanova, da dormitorio a quartiere vivo e protagonistadi Associazione Festa in piassa

Riassumere 40 anni di “Festa in Piassa Villanova” in 3000 battute non è certamente uno scherzo, perché “Festa in Pias-sa” non è un’entità ben defi-nita. È la storia di un quartiere dormitorio a sud di Pordeno-ne che a metà anni Settanta aveva più ombre che luci, ma

che ha saputo unirsi per risol-levarsi e risplendere. È “pias-sa” (con la S e non con la Z!), perché nel 1975 non c’era al-tro punto di aggregazione in tutta la zona. È il centro spor-tivo “Armando Lupieri” (intito-lato non a caso a una figura storica della nostra omonima associazione), struttura immer-sa nel verde che ospita gran parte delle attività associati-ve. É gruppo calcio che ogni anno fa praticare lo sport più amato dagli italiani ai ra-gazzi del quartiere. È Babbo Natale, che dalle 17 di ogni 24 dicembre parte con i suoi aiutanti per consegnare i re-gali a tutti i bimbi buoni per-correndo le vie di Villanova. È esempio tangibile di valori come unione, volontariato, condivisione, gratuità, ser-vizio, perché “tutti sono utili, ma nessuno è indispensabi-le”. È soprattutto gente che, a partire da quell’incontro al bar quasi casuale tra il prete del quartiere (don Romano Zovatto) e alcuni conoscen-ti, fino ad arrivare agli ultimi

giovanissimi che varcano per la prima volta il cancello di via Pirandello 33, ogni gior-no permette di dare vita alle molteplici iniziative di questa associazione. È senza dubbio sagra, anzi…Festa, che ormai da 40 anni anima le ultime due settimane di agosto tra

costa, birra, tornei, liscio e spettacolari fuochi artificiali, che, con un filo di malinconia, decretano la fine della mani-festazione e congiuntamente il termine dell’estate. È, infine, SkatePark, nato dall’idea di portare all’interno della Festa in Piassa una serie di serate con dj set per attrarre i molti ragazzi che, frequentando la sagra quasi abitualmente, se

ne andavano appena dopo cena non trovando una pro-posta adatta a loro. Per que-sto, dopo qualche anno di riflessione, alcuni tra i giovani “storici” dell’associazione han-no deciso di lanciarsi nell’or-ganizzare una manciata di eventi nella nuova area ska-te, edificata a pochi passi dal centro sportivo. Queste sem-plici serate musicali allo Ska-tePark, senza troppe pretese, negli anni si sono moltiplica-te di numero ed importanza, fino a diventare un riferimen-to per l'estate cittadina (basti pensare ai concerti live e ai contest di skate su scala na-zionale). In tale contesto si è sviluppata la collaborazione con "i Ragazzi della Panchi-na", che quest’anno sono stati, per la sesta edizione consecu-tiva, graditissimi ospiti durante tutte e 12 le sere di festeggia-menti. L’iniziativa si è materia-lizzata facilmente parlando con amicizie comuni: all’as-sociazione è sembrato utile offrire l'opportunità ad una realtà legata al nostro terri-torio di dare il proprio contri-buto, dando modo ai ragazzi che frequentano le serate di informarsi sugli effetti delle sostanze, sulla prevenzione, sull’abuso di alcol e pure di divertirsi con quiz, videointer-viste e giochi che i Ragazzi della Panchina hanno saputo ogni anno inventare. “Festa in Piassa Villanova” è, insomma, anche questo.

PANKA NEWS

LA PANKA IN "PIASSA"Si è conclusa anche la Festa in Piassa 2015 caratterizzata da un dato quasi incredi-bile: il bel tempo, che ha permesso di poter realizza-re tutto quello che c’era in programma con continuità ed un bel afflusso di gente. Tra la Festa e la Panka una collaborazione sempre frut-tuosa, affettuosa, mai bana-le. Quest’anno le persone che si sono “affacciate” agli stand Panka sono state, più che negli altri anni, molto curiose ed hanno chiesto informazioni rispetto a leg-gi, dati, pericoli, modalità di assunzione di sostanze ed alcol. In molti, inoltre, hanno esplicitato la bontà del servizio che propone-vamo e in due occasioni abbiamo ricevuto l’invito a partecipare con lo stand ad altri eventi pubblici. Meravigliosamente bene ha funzionato il gioco “Ma quante ne sai..?” : un torneo a gironi, in cui si doveva ri-spondere a 20 domande sia di cultura generale, che sulle sostanze e sulle malat-tie sessualmente trasmissibi-li. Un po’ di dati finali per quantificare la nostra pre-senza: siamo stati aperti 7 serate dalle ore 21 all’una di notte; si sono alternati nella gestione degli spazi 4 operatori Panka, una tiro-cinante, due educatrici del Ser.T e 2 volontari. Abbia-mo distribuito oltre 50 car-toline informative, altrettanti volantini e circa 70 giornali “Libertà di Parola”; abbia-mo effettuato 186 alcol test gratuiti; abbiamo realizzato 13 tornei del gioco per un totale di 104 partecipanti. E’ vero che i numeri dicono ma non raccontano, ma è anche vero che questi nu-meri raccontano da soli di una nostra presenza diven-tata ormai importante, sia per chi ne usufruisce e sia per chi la propone. Grazie a tutti quindi! Un grazie che potrebbe sembrare bana-le ma, essendo detto dal cuore, è un grazie colmo di gioia.

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Serve un’Europa più consapevole del suo ruoloIl caso Grecia induce alla riflessione. Il punto sull’Unione europea oggi di Emanuele Celotto

CELOX

Giugno 2015, per l’Europa sono giorni di fibrillazione. La Grecia è chiamata al paga-mento del debito col F.M.I, il Fondo monetario internazio-nale. Le banche greche sono senza liquidità; è un impegno che il premier greco, Alexªs Tsipras, non si sente di pren-dere. Segue perciò l’indizione di un referendum con l’ovvia vittoria del no (oltre il 60%). Qui si aprono scenari e pro-spettive tutt’altro che piace-voli, tra cui l’uscita dall’euro della Grecia o l’eventuale bancarotta. In Italia euroscet-tici e nazionalisti assortiti “se la ridono”. Alcuni evocano i fasti (tralasciando i nefasti) della lira. Intanto l’euro si deprezza e le borse entrano in un’al-talena al ribasso che brucia svariati miliardi. Alla fine pre-vale il buon senso e la B.C.E, la Banca centrale europea, immette una robusta dose di liquidità, che per la maggior parte verrà usata per il paga-mento del debito, riportando la calma nella zona euro. La questione greca ci mette da-vanti alcuni interrogativi: per-ché non è stato creato prima il fondo salva stati e non si è dato alla B.C.E. una maggior capacità di intervento? Si sa-rebbero risparmiati un sacco di tempo, energie e denaro. Le eventuali alternative all’i-niezione di capitale erano impraticabili (uscita dall’euro o bancarotta) perché avreb-bero condannato la Grecia, già duramente provata, a un ventennio di stenti. Io mi chie-do: ha ancora senso un’Euro-pa incentrata sull’euro e suoi parametri? No! Primo. La rigi-dità dei parametri e la stra-da del rigore (un po’ ecces-sivo) hanno messo un freno all’economia già traballante di alcuni paesi e rallentato la ripresa di altri. Secondo. Ormai da tempo l’Europa avrebbe dovuto ripensarsi. Ispirata dall’idea iniziale del-la C.E.C.A. (Comunità euro-pea carbone acciaio) creata per agevolare ricostruzione e sviluppo post-bellico e legare così le Nazioni con rapporti economici per evitare guerre, l’Unione europea nasce nel 1957 con il trattato di Roma, si evolve poi in M.E.C. (Mer-cato comune europeo) fino ad arrivare al trattato di Ma-astrich del 1992 e le diretti-ve per l’unione monetaria. Il processo di unione è stato lungo, ma ha sempre mante-nuto una visione commercia-le economica. Non si è mosso cioè verso un’Europa unica per davvero, nella quale ci siano le stesse leggi su cor-

ruzione, falso in bilancio ed altro ancora, un’unica tassa-zione per le imprese tale da evitare la delocalizzazione in Paesi, come ad oggi sono ad esempio Romania e Irlanda, dove i tassi sono più favore-voli. Ma l’Europa dovrebbe anche avere politiche eco-

logico-ambientali, energe-tiche, di difesa, di gestione dell’immigrazione… comuni. Certo, alcuni poteri li ha già, ma per lo più emette direttive che poi gli stati “dovrebbero” applicare; non ha sufficien-ti poteri legislativo-esecutivi utili ad arrivare ad un vera

Unione europea, quasi una sorta di Stati Uniti europei. In-somma, a mio avviso, serve una minor centralità degli Stati e un maggior potere all’Europa. Un esempio? L’Eu-ropa dovrebbe difendere e promuovere l’integrità dei prodotti territoriali invece di legiferare (un clamoroso au-togol) su questioni che sono strettamente nazionali come gli O.G.M. o il latte in polvere nei prodotti caseari, che fini-scono solo per alimentare il mercato dei “tarocchi”. Basti pensare che il made in Italy fattura una sessantina di mi-liardi e il tarocco del made in Italy oltre cento; sarà compito dell’Italia spingere l’Europa verso la difesa dei suoi pro-dotti. Per ora le ultime deci-sioni dell’Europa non vanno in questa direzione. Morale: serve un’Europa che sia con-sapevole del suo ruolo e dei cambiamenti che si sono cre-ati. Ormai la crisi riguarda tutta la zona euro e visto che, volenti o nolenti, siamo tut-ti legati, tentare delle strade comuni per uscire dalla situa-zione attuale mi appare l’uni-ca soluzione. La ripresa sarà più lenta, non solo per Gre-cia, Italia o altri Paesi, ma per tutta l’area euro e comunque non si potrà più arrivare al livello (non eccezionale) pre-crisi. Che sia arrivato il mo-mento di ripensare al sistema economico consumistico che per tanti anni ci ha accom-pagnato? Magari questo por-terebbe finalmente ad un’Eu-ropa dei cittadini, un’Europa “a misura d’uomo”. Sia l’Ita-lia che gli italiani hanno un gran bisogno di “europizzarsi” su tanti settori, soprattutto l’in-dustria. Devo aggiungere un dato non da poco: l’occiden-te (Europa più U.S.A.) non ha più la maggioranza del P.I.L. mondiale, ma è stato supe-rato dal resto del mondo. La continua crescita economica, adesso un po’ rallentata, de-gli stati emergenti, il T.R.I.C. (Turchia Russia India Cina), ha spostato gli equilibri eco-nomico-industriali, per cui L’Europa deve ripensare se stessa non solo in ottica euro-pea, ma anche nel suo ruolo nel mondo. Un mondo che nel 2025 (non manca tanto) avrà oltre 8 miliardi di perso-ne; un imput a intensificare le forze per la salvaguardia del-le risorse e delle biodiversità del pianeta, spingere sempre più all’utilizzo di energie pu-lite. «L’ambiente non è un’o-pinione ma una cosa che ri-guarda tutti!» ha detto Barack Obama.

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