LAVORI IN CORSO - caritaslivorno.it filema in fondo la volontà di continuare a vivere vicini....

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luci alla ribalta Settembre 2012 - n° 4 - periodico stampato in proprio a diffusione interna - LAVORI IN CORSO...

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luci a l la r ibal ta Settembre 2012 - n° 4 - periodico stampato in proprio a diffusione interna -

LAVORI IN CORSO... 

I ricordi sono tanti… segnati da emozio-ni, paure, gioie, speranze. L’inverno è alle porte, l’estate ha scaldato le nostre vite, è tempo di tracciare insieme un bi-lancio, di prenderci una pausa di ristoro prima di riprendere il cammino. L’imma-gine che ci affiora alla mente ricorda il cantiere, quel luogo agitato da continui movimenti di persone e mezzi in cui si costruisce partendo dalle fondamenta e dal sudore della fronte, … E’ proprio così … siamo un cantiere perché voglia-mo costruire insieme una casa accoglien-te, un luogo di relazione in cui riscoprire che è bello stare insieme, faticoso ma ricco di vita e stupore. Il lavoro è tanto ma un progetto è stato scritto. Finalmen-te. Si tratta di realizzare ogni giorno un piccolo passo in avanti. La “messe è ab-bondante” e allora non lasciamoci sco-raggiare... Chiamati a costruire partendo dalle fondamenta della relazione sono tutti ma proprio tutte le persone che af-follano le “banchine” del porto di Frater-nità… Nessuno si senta tirato fuori o escluso, il progetto può essere rivisto e migliorato per non scontentare nessuno. La costruzione deve però stare in piedi, avere un ordine architettonico, seguire regole e criteri precisi. A lavoro ma gui-dati da un “Capo Cantiere” che non ci lascerà mai soli. Se ti capita di passare dal porto ti abituerai a riconoscere un continuo movimento, volti e storie che si intrecciano quotidianamente…c’è chi passa e c’è chi resta “fedele” al lavoro da anni… l’importante è che giovani e me-no giovani, alti o bassi…tutti possiamo insieme fermarci all’ora della canicola

per pranzare e schiacciare un pisolino. Non solo, finito il lavoro è bello anche ripensare al “fuoco” acceso insieme per riscaldare le gelide notti invernali o alle risate del film del lunedì pomeriggio. Le riunioni dell’Assemblea poi prefigurano il condominio che sorgerà, piccoli screzi ma in fondo la volontà di continuare a vivere vicini. Insomma, la casa è in co-struzione, la speranza è che diventi con-fortevole e che non lasci fuori nessuno. L’inverno bussa… In conclusione ci piace ricordare Giam-paolo, così come lo abbiamo conosciuto “cordiale”, affettuoso, in sella alla sua bicicletta. Buon viaggio.

Giovanni e Valentina

L’EDITORIALE

PAGINA 2

Comitato di REDAZIONE

Direttore: Luca Santoni

Redattori:

Romano Turri

Ivo Barsellotti

SOMMARIO

L’EDITORIALE

di Giovanni e Valentina

ADDIO GIAMPAOLO

di Romano Turri

L’ANGOLO DELLO SPIRITO

del diacono Enrico

L’INTERVISTA

A BRUNA

LA CARITAS NON E’ UN ENTE INUTILE

di Pier Luigi Muti

GITA A SIENA

LA MIA ESTATE AL “ PORTO DI FRATERNITA’ ” di Luca B.

LE ACQUE DELLA SALUTE

di Romano Turri

PELLLEGRINAGGIO DA

PADRE PIO

di Romano Turri e Antonino Rapi-sarda

VI PRESENTO I NOSTRI OPERA-TORI di Ivo Barsellotti

FIOCCO CELESTE ALLA CARI-TAS di Ivo Barsellotti

FESTA DEL VOLONTARIATO

di Ivo Barsellotti

COSA BOLLE IN PENTOLA

RUBRICA CULINARIA

L’EMOZIONE DELLA POESIA

TORNEO DI BRISCOLA E SCO-PA di Romano Turri

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Settembre 2012 - n°4

Una casa in costruzione

La strada è lunga,

ma non esiste che un solo mezzo

per sapere dove può condurre,

proseguire il cammino.

(da "Alla finestra la speranza"- Don Antonino Bello)

Tanti auguri a Giulia ed al nostro caro direttore Luca che il 15 settembre formeranno una nuova famiglia

Settembre 2012 - n°4

Il testimone, nello sport, è un bastoncino che viene usato nella corsa a squadre, la staffetta: gli atleti se lo passano l’uno l’altro per testimoniare che hanno fatto un percorso e l’hanno fatto insieme. C’è poi il testimone di un fatto che lo racconta così come l’ha visto, cercando di non omettere o aggiungere niente che possa alterare il senso di quanto avvenuto. C’è il testimone di nozze … e potremmo continuare. Gli avveni-menti di questi ultimi giorni ci mettono davanti due testimoni, che hanno lasciato il nostro mon-do, estremamente diversi tra loro e tali anche nella loro testimonianza. Un testimone cristiano, grande padre della Chiesa e un testimone di povertà estrema, morto solo, sulla sua bicicletta, mezzo di locomozione di se stesso e delle pro-prie cose. Un accostamento, audace forse, che ci ricorda come, davanti al passaggio finale della nostra vita, si ritorna ad essere uguali. Tutti attraversiamo sofferenze e gioie, difficoltà e speranze, diversi sono i percorsi che ciascuno di noi compie. Li ricordiamo con rispetto e con affetto.

Il primo che vogliamo ricordare è il cardinale

Carlo Maria Martini; un grande testimone della

fede, un uomo di Dio, un uomo del dialogo.

Perché possiamo dirlo un testimone della fede in

Gesù, il Cristo? Perché lo conosceva molto

bene; lo frequentava quotidianamente nella

lettura e nell’approfondimento del suo Vangelo;

lo assimilava nella comunione, come ogni cibo

che mangiamo. Ne poteva così parlare con gran-

de facilità e lo faceva vivere in lui, facendolo

trasparire dai suoi gesti, dalle sue riflessioni,

dalle sue idee. Una fede non ottusa ma da ricon-

quistare giorno dopo giorno, per metterla al

servizio degli altri, come ogni buon cristiano

dovrebbe fare. Il cardinal Martini è stato anche

un uomo di Dio. Un vero profeta, mandato da

Lui a ricordare che non ci lascia soli, non ci

abbandona, rimane pre-

sente nella storia di cia-

scuno di noi e nella storia

del mondo. Perché solo

con lui possiamo seguire

le vie giuste, quelle che ci

portano ad essere felici,

anche nel buio della

nostra esistenza: Lui mai viene meno. Un uomo

di dialogo, capace di parlare con tutti, di ascolta-

re tutti, di non escludere mai. Ha interpretato così

l’amore, la caritas, l’unico vero mezzo per arri-

vare a Dio. Una vita, la sua, tutta costruita attor-

no a Gesù, il Dio in terra; per questo ha voluto

fosse inciso sulla sua pietra tombale il versetto

del salmo, Lampada per i miei passi è la tua

Parola, luce per il mio cammino. In Giampaolo

Cardosi, morto solitario così come ha vissuto

tanta parte della sua vita, vediamo un testimone

di tenace e coerente scelta di vita, nata dalla

volontà di combattere quella che lui ha ritenuto

una ingiustizia subita. Una scelta che lo ha porta-

to ai margini della società, sino a vivere di carità,

a non avere un luogo dove stare, un posto dove

posare il capo. La Caritas lo ha incontrato tante

volte attraverso i servizi offerti, e attraverso i

suoi volontari, qualcuno, in particolare, era riu-

scito ad entrare nel suo mondo ormai fuori dal

mondo. Aveva una onestà di fondo ed una digni-

tà nella sua ormai estrema povertà. La povertà è

la mancanza di cose e persone di cui ognuno di

noi ha bisogno: il Signore predilige chi soffre di

questa mancanza; non è una magra consolazione:

se il Signore chiede a tutti di essere poveri ed

umili certamente ed a maggior ragione sono

vicini a lui quelli che nella vita hanno subito

ingiurie e sofferenze dal mondo.

L’angolo dello Spirito del diacono Enrico

TESTIMONI

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A D D I O , G I A M PA O L O

Se Cardosi stava tanto a cuore alla gente tanto da tributargli un funerale in pompa magna, tanto da vestir-lo con la divisa di vigile urbano tanto amata da lui, tanto da ricevere in dono il funerale, la bara ed il loculo, perché non è stato aiutato quando era in vita? O forse il falso perbenismo ci insegna che bisogna amare la povera gente solo quando muore e non quando vive? Ai posteri l'ardua sentenza!

Romano Turri

Alcuni giorni fa è venuto a mancare il nostro caro compagno di “sventura” Giampaolo Cardosi. La morte è so-praggiunta in seguito ad una caduta di bicicletta in Via di Popo-

gna, nella quale ha sbattuto fortemente la testa. Trasportato all'ospedale è morto dopo solo alcune ore. Che cosa possiamo (o vo-gliamo) dire a questo punto? Solo recitare una preghiera affinché il buon Dio accolga la sua anima in Paradiso, con l'augu-rio che il suo post mortem sia migliore del suo ante mortem. Giampaolo Cardosi era molto noto nella nostra città, dapprima come vigile urbano del Comune di Livorno, e poi, dopo la ra-diazione dal Corpo dei vigili, per la sua vita trascorsa da derelitto. Le notizie scritte sui giornali o narrate dalle emittenti (e non solo locali: la notizia è stata data anche da TG5) di questi ultimi giorni è stato definito “barbone” e “clochard” per non usare il termine “derelitto” (lasciato solo e abbando-nato al suo destino), forse per addolcire la pillola e far apparire la sua vita trascorsa un po' più rosea, usando eufemismi come oggi si suole fare. Una persona che non vede io la chiamo “cieco” e non “non vedente”, così come una persona che non sente io la chia-mo “sordo” e non “non udente”. In questi casi i “dolci eufemismi” di cui ho parlato non servono a niente: il cieco continuerà a non vederci in qualunque modo “dolce” lo si chiami, così come il sordo continuerà a non sentirci, così come il derelitto continue-rà a calcare le panchine della città anche nei periodi notturni, anche se lo definiamo con un appellativo alla francese. Oltretutto, il termine clochard deriva dal verbo clocher che in francese significa zoppicare. Niente a che vedere con il nostro Giampaolo . Ma lasciamo perdere gli sfoghi personali di fronte a queste parole. Ciò che volevo met-tere in risalto è un'altra cosa. Sempre la stampa (e non solo) di questi giorni ha usato per Giampaolo locuzioni che suonavano come epitaffi, parole che si pronunciano alla morte di un eroe, definendolo come “cantastorie della giustizia”, “cantastorie della povertà”, “poeta (e questa è grossa!) della povertà. Cardosi non ha mai cantato alcuna storia di giustizia o di povertà, così come non ha mai scritto alcuna poesia. Cardosi ha sempre “cantato” la sua storia (questo sì) di sete di giustizia, ma non ha mai “cantato” la sua storia di povertà. Eppu-re ha sempre vissuto di espedienti per vivere alla giornata, come si è soliti dire.

sono cresciuti abbiamo trovato il tempo di fare qualcosa per gli altri. Mio marito ha fatto per anni l'amministratore nella Co-munità di S. Benedetto, ha fatto corsi in-sieme a don Medori, che conoscete tutti, e anch'io ho fatto questo e il mio lavoro principale è stato quello di dare una mano ai ragazzi che in quel momento avevano bisogno. Si parla di tantissimi anni fare di ragazzi che avevano incontrato la tossico-dipendenza. Con don Medori abbiamo sempre cercato di fare un lavoro di gruppo per dare una mano... la prima mano, penso, su Livorno. E quindi , quando capitavano alla parrocchia – ormai si era sparsa la voce che davamo una mano a questi ragaz-zi – abbiamo avuto degli incontri nati pro-prio dalla volontà di fare qualcosa. E piano piano siamo cresciuti. Siamo cresciuti sia nell'esperienza e sia nella capacità. Mio marito, poi, insieme a don Medori ha crea-to la famosa Comunità di San Benedetto, è stato uno dei fondatori. Io, invece, ho fatto i colloqui cpme operatore. Come è finita alla Caritas? Ci parli anche del gruppo di volontarie con cui collabora. Le volontarie che hanno collaborato con me sono state a decine, perché era un lavo-ro, visto come un bel lavoro. All'inizio c'è stato una specie di passa parola nel senso che le collaboratrici ne parlavano all'ami-ca, l'amica ne parlava al medico, “vengo anch'io, vengo anch'io...”, però non aveva-no veramente lo scopo di fare il lavoro che doveva essere fatto. Si sentivano importan-ti. E quindi c'è stato un susseguirsi di per-sone che venivano con me a fare questo lavoro, però duravano tre, quattro mesi, cinque. Naturalmente ce n'è stata qualcu-na, come Giuliana che da quando mi ha incontrato è sempre stata con me. Le altre sono persone che hanno voglia di fare.

Anche questo mese eccoci con una intervista importante. In questo nume-ro ascolteremo Bruna, responsabile della Commissione dipendenze, ma soprattutto persona molto cara a tante persone che in lei hanno trovato una mamma, una famiglia e un aiuto con-creto. Ci può parlare delle sue origini e del perché ha scelto di fare la volonta-ria in questo settore? Le mie origini sono livornesi. Sono nata a Livorno e sono sempre stata in questa città. Ho una famiglia numero-sa con quattro figli e ringrazio il Si-gnore che si sono sistemati tutti bene, sono laureati, ora hanno le loro fami-glie ed ho anche quattro nipoti. La scelta di fare del volontariato l'abbia-mo fatta insieme con mio marito. Fin da quando ci siamo sposati pratica-mente avevamo la voglia di fare qual-cosa per gli altri perché avevamo sempre sentito che il Signore ci aveva dato una grande mano a creare questa bella famiglia con questi quattro ra-gazzi che ci hanno dato sempre delle grandi soddisfazioni. Al momento che

Non so se posso dire delle cose piuttosto private. Qualcuna è venuta anche perché ha cercato di dare qualcosa, perché aveva rice-vuto qualcosa. Nuccia, ad esempio, aveva tre figli che avevano incontrato la tossicodipen-denza. Credo di non dire niente di privato, perché lo dice anche lei. Tre bravissimi figli – devo essere sincera – che ne sono usciti meravigliosamente bene. E poi devo anche raccontarvi che dalla tossicodipendenza non si esce tanto facilmente. Io, dopo trentacin-que anni, posso dire che le persone che ne sono uscite si possono contare sulle dita di due mani, e i ragazzi che ho conosciuto sono a centinaia. Mi piace anche raccontare che ho fatto tanti corsi a Livorno, ma tanti anche a Roma. Alla Caritas di Roma, dove ho cono-sciuto Maria Teresa di Calcutta. Non so se questo lo sapevate. Credo di averla sempre vicina perché un giorno mi disse: “Non ti devi preoccupare, se dai 100, non te ne arriva né 99, né 101. Te ne arriva 100”. E io vi di-co, davanti al Signore, che qui siamo in un luogo protetto da Lui, a parte che Lui proteg-ge il mondo, ma qui in modo particolare, a me la Caritas, anche se è un discorso che esula da tutto quello che verrà detto, che mi passa 300 Euro al mese e con 300 Euro cosa ci faccio? Quando ti viene quello, l'affitto; quello, gli staccano la luce; quello, ci ha il bimbo piccino... Non ci faccio nulla. Però io vi dico che, ad oggi, non ho mai mandato indietro nessuno perché non avevo i soldi per aiutarlo. Ad oggi, io ho 55 Euro fuori e Giu-liana ne ha 45, ma tanto tra qualche giorno si riscuotono le 300 Euro e ritiriamo i nostri soldi. Però non ho mai mandato indietro nes-suno. E' come disse Madre Teresa di Calcut-ta. Da me venne una mia amica, che è anche la moglie di un personaggio importantissimo a Livorno, la quale mi disse: “Bruna, mi è capitata una piccola eredità di una mia zia che è morta. Questi soldi sono tuoi per i tuoi

DOBBIAMO IMPARARE ANCHE A DARE QUALCOSA AGLI ALTRI

L’intervista a Bruna volontaria della Caritas

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avvocato... E' tutto un po' più nascosto alla società di oggi. La cosa che io non comprendo è che negli anni '70 non c'era l'informazione o forse era scarsa, ma oggi... Forse non hai capito che il tossico non ragiona con la testa. C'è un altro tipo di rapporto. Certamente ora la siringa non se la passano più. Prima una siringa la usava-no in dieci. Se il primo era già contagiato, contagiava tutti. Oggi è un altro tipo di rap-porto la gente è cambiata. Secondo me, se vai all'ospedale, alle malattie infettive, ti rendi conto che ci sono i vecchi, gli anziani. I giovani non li trovi. La malattia esiste sempre, ricordatevelo. Se ne parlerà me-no, ma è ancora presente. Dal parroco alla Diocesi, alla Caritas,

come dovrebbe rispondere la Chiesa alle persone che si trovano in questa condizione di disagio? Questa è una bella domanda! Io vi posso parlare della mia espe-rienza vissuta ai tempi in cui la Caritas era veramente un ente di sostegno, un ente di amore. Voi mi direte. “Perché, ora no?”. Ora è più un'azienda. Scusate-mi, se mi permetto questa espressione. “Bisogna fare così, bisogna fare così”. Ora andrà anche meglio sotto l'aspetto finanziario, sarà meglio sotto l'aspetto delle situazioni. Però io vorrei che fosse fatto un po' più di aiuto sotto i punti di vista,

come posso dire... Personalizzato? Personalizzato cerchiamo già di farlo. Però mancano delle strutture in cui uno si può rifugiare. Le persone che dormono alla Stazione, salgono sul treno, a mezzanotte il treno parte per La Spezia, poi alle sei ritornano a Livorno, devono scendere. Allora, interroghiamoci su questo: cosa si può fare per questo? Si può fare poco. Facciamo magari un dormitorio. Noi do-vremmo fare un bel dormitorio gestito bene con persone che aiutano, che parlano con questi disagiati. Noi chi? Caritas? La Chiesa in generale. La Caritas sta già facendo tanto. Il nostro Vescovo, che pen-sa di costruire moltissimo, perché non co-struisce qualcosa per questi disgraziati? L'amore sta nel dare ad una persona la possibilità di vivere e di cercare di educar-lo. A me piace che uno si sieda al tavolino,

me. Anche quando vengono questi ragaz-zi, dei disgraziati, basta toccarli e la volta dopo tornano, perché hanno avuto un contatto d'amore, un contatto d'affetto. Questo è l'importante: amare l'altro. Non guardarlo, ti voglio bene perché sei bello, perché sei ricco, perché sei simpatico... No. Il Signore ci ha creato e il Signore vuole bene a tutti nella stessa maniera: al tossico, al brutto, allo storpio, a tutti. Che cosa hanno portato in lei le espe-rienze che ha fatto, le persone che ha conosciuto, che ha seguito e che ma-gari adesso no ci sono più? Oltre questo io ho fatto otto anni di vo-lontariato all'interno del nono padiglione

dell'ospedale: il reparto delle malattie infettive e ho visto morire tanta gente di AIDS. Quando in quel reparto bisognava entrare con la mascherina e con i guanti, io ho fatto dei corsi insieme al dott. Par-delli padre, al dott. Barbanera e al dott. Pardelli figlio, ho fatto otto anni all'inter-no dell'ospedale, come ho fatto sette anni all'interno del carcere, sempre al riguardo della tossicodipendenza. Questa malattia, purtroppo, conta ancora molti malati, perché ora ci sono quelli che non si cono-sce. La gente non viene da me, mi chia-mano a casa: “Bruna? Senta, io avrei bisogno di parlare con lei, perché ho delle cose... Non potrebbe mica venire?”. Io le rispondo: “Venga alla Caritas”. Non ci viene. Allora io ci vado e mi racconta che ha un figlio tossicodipendente, che magari è il figlio di un medico, di un

assistiti. Io vi dico davanti a Dio che, quando non ci ho una Lira, viene lei e mi dice: “Guarda, ti ho portato questi questi 500 Euro”. Vi dico anche un'altra cosa: io vado avanti con le 300 Euro che mi danno anche se so di contare sulla mia amica, però non mando mai a casa nessuno senza averlo aiutato. Secondo lei, che cosa è la tossicodipen-denza? La tossicodipendenza è la più grossa schiavitù che esista sulla Terra, perché la tossicodipendenza ti prende nell'immedia-tezza e, purtroppo, dipende molto anche dalla capacità del soggetto di riuscire a vivere nella maniera giusta, perché la tos-sicodipendenza prende lo storpio, il povero, il ricco, l'ammalato, il sano, l'anzia-no... Prende tutti. Della tossicodipendenza dobbia-mo aver paura e bisogna creare il nostro carattere e abituarlo a ripetersi che “Io voglio essere io”, perché quando tu sei tossico non sei più te stesso. Sei solo una persona agganciata a qualcosa di malefico che non esiste. Questa tossicodipenden-za come cambia la vita di una persona? Completamente. E difficil-mente la fa ritornare una persona normale. Se le conto sulle dita delle mani, le perso-ne che conosco e che si sono create una famiglia, lavorano, stanno bene, sono in salute, le dita sono poche. Quindi vuol dire che la tossicodipendenza ci limita sotto tutti i punti di vista. Certamente il tossico è un ragazzo che ha grossi disagi. Può lasciare un messaggio a tutte le persone che leggono questo giornali-no? Un messaggio è dura a doverlo dare. Qui non si tratta di un certo ceto sociale, per-ché ce ne sono di tutti i tipi, si tratta di avere un bel carattere, avere sempre la speranza di migliorare se stessi e di mi-gliorare il mondo. Dobbiamo imparare anche a dare qualcosa agli altri. Se te hai un grosso egoismo è un problema. L'im-portante è dare. Se dai, ricevi, secondo

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LA CARITAS NON E' UN ENTE INUTILE

Quando, nel 2000, vennero ristrutturati i locali dell'attuale sede della Caritas, io lavoravo come autotrasportatore e fui inca-ricato di portare con il mio camion varie attrezzature in questa sede, come le cucine, i tavoli, le sedie, la caldaia e tanta altra roba. Io mi chiedevo a che cosa servissero tutte quelle attrezzature e qualcuno mi rispose che in quel luogo doveva nascere una mensa per i poveri. Da buon italiano, anzi da buon livornese, pensavo che si trattasse di uno di quegli enti inutili creati solo per percepire dei fondi da convertire in un più o meno lauto guadagno per i gestori stessi. Purtroppo, oggi di imbrogli simili se ne sente parlare tutti i giorni e l'opinione pubblica vive nello scetticismo ed è poco propensa a credere che qualcuno possa far del bene senza ricevere niente in cambio. Addirittura, non credevo che le stesse persone disposte a fare del volonta-riato per amore di coloro che ne hanno bisogno, non ricevessero niente in cambio, ma pensavo che alla fine un qualcosa da mettere in tasca ci fosse anche per loro. Proprio non riuscivo ad arrivare a concepi-re che ci fossero delle persone così buone e disposte a fare tanto del bene! Sono passati tanti anni da allora ed anch'io sono caduto in disgrazia. Prima ho perso il lavoro e mi bastava avere un tetto, una casa per ripararmi. Per il resto, in qualche modo cercavo di arrangiarmi con piccoli lavori. Ma un brutto giorno successe l'irre-parabile: mi bruciarono la casa e così rima-si senza un posto per andare a dormire. A questo punto, a malincuore per tutto ciò che pensavo, sono stato costretto a rivol-germi alla Caritas. Devo ammetterlo: ero ancora molto titubante sulla credibilità della loro missione volta a fare del bene alle persone bisognose, senza ricevere nulla in cambio. Adesso le cose sono cambiate. Fin dai primi giorni mi sono reso conto che le persone che operano in questo ambiente non sono come le immaginavo io e che i miei pensieri, come quelli della maggior parte dell'opinione pubblica, sono dovuti ai troppi imbrogli che quotidianamente ascol-tiamo alla televisione o leggiamo sui quoti-

diani. Qui ho trovato persone che mi hanno voluto bene e che mi hanno sempre aiutato e attraverso questo giornalino mi sento in dovere di ringraziare calorosamente tutti gli operatori ed i volontari, ma in special modo la signora Bruna insieme al suo gruppo e la signora Elvira che tanto hanno fatto per me.

Pier Luigi Muti

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GITA A SIENA Prima gita con gli amici della Caritas: la scelta della meta, stabilita nel corso di una delle abituali assemblee in cui ci con-frontiamo e scambiamo idee con i nostri Amici, è ricaduta su Siena. Ci siamo trovati di fronte al orto di Fraternità e dopo due ore trascorse serenamente chiacchierando siamo arrivati a destinazione. Dopo esserci rifo-cillati avevamo appuntamento con il direttore della Caritas locale che ci attendeva in Piaz-za del Campo. Abbiamo avuto la possibilità di ammirarla in versione Palio, da poco trascor-so, con la sabbia che ancora portava le orme dei cavalli. Per alcuni era la prima volta nella città e non siamo rimasti delusi, rappresentava bene quella storicità che tutti si aspettavano. Prima del pranzo abbiamo proseguito la gita turi-stica con una visita del bellissi-mo Duomo godendoci una pia-cevole passeggiata. Il pranzo dalle Figlie della Carità è stato per tutti una parte molto signifi-cativa della giornata, ci siamo sentiti accolti con semplicità e verità, tutti uguali, tutti a casa. Condividere il pasto e la gior-nata in un contesto diverso da quello in cui, operatori, volon-

tari ed ospiti, ci incontriamo quotidianamente è stata un’oc-casione importante che ci ha aiutati a viverci più liberamen-te, un po’distanti dai problemi e le polemiche che possono pre-sentarsi nel giorno per giorno. Terminato il pasto è stato inte-ressante visitare con una delle sorelle la locale mensa Caritas per scoprire insieme similarità e divergenze e notare per chi non ne aveva avuto l’occasione lo sforzo che sta’ dietro all’orga-nizzazione dei pasti dal recupe-ro dei cibi freschi alla corretta conservazione. Nella fase dige-stiva, dato anche il caldo, ab-biamo optato per un po’di ripo-so nella cornice dell’orto dei Pecci, orto medievale gestito da una cooperativa sociale che fa-vorisce il reinserimento di ra-gazzi con problemi di dipen-denze. Lì abbiamo passato un po’di tempo al fresco e ci siamo rimessi in sesto per ripartire. Tutti i partecipanti hanno vissu-to una giornata positiva e ci au-guriamo che ci siano altre occa-sioni per scoprirci in maniera diversa ed accrescere il senso di familiarità che si sta costruendo negli ambienti Caritas.

Tutti i partecipanti

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Settembre 2012 - n°4

Il mio primo approdo nel "Porto di Fraternità" è stato all'inizio della pri-mavera, in una giornata alquanto in-vernale, con addosso uno stato d'ani-mo piuttosto depresso da diversi mesi, soprattutto per il mio stato di inoccu-pato, o disoccupato, scegliete voi il termine: il risultato non cambia. Per

questo motivo, stavo cercando di occupare il mio tem-po, che nessuno voleva, rendendomi utile agli altri e quindi di sentirmi utile. Insomma facendo del volonta-riato. Mi accolse una ragazza minuta, con una vocina gentilissima. Dopo avergli lasciato il numero del mio cellulare, mi promise di farmi chiamare al più presto da chi avrebbe dovuto darmi un appuntamento per un col-loquio, o per meglio dire, per una chiacchierata frater-na. Dopo qualche settimana arrivò la telefonata, e la settimana dopo arrivò anche l'appuntamento con un primo sguardo al "Porto". Dopo un'ulteriore attesa, ci fu l'incontro "clou" che mi ha permesso di gettare l'ancora. Tutto questo, giusto giusto per poter essere presente, come volontario, all'allestimento della prima Festa della Caritas di Livorno che si è tenuta il 19 Maggio in Piaz-za XX Settembre.

Da qui è iniziata la mia estate in questo meraviglioso Centro dell'Accoglienza che è la Caritas di Livorno. Ho conosciuto tantissime stupende persone che, a vario titolo, operano all'interno della struttura, ma con un uni-co scopo: accogliere il prossimo. Ho conosciuto tantis-simi personaggi che sono il nostro prossimo quotidiano.

La mia estate al "Porto di Fraternità": un'esperienza indimenticabile

Penso che, come ho avuto modo di dire qualche vol-ta, queste "figure", così come si dice a Livorno, sono la parte più bella della Caritas, nel senso che sono loro che ti fanno sentire utile, sono loro che ti arric-chiscono la vita con le loro storie drammatiche, in-quietanti, dolorose, faticose, ma uniche e sempre de-gne di essere ascoltate ed aiutate a diventare un pò migliori - così come deve essere la vita di ogni essere umano - con l'aiuto del Signore che opera in noi tra-mite lo Spirito Santo.

Prima che finissero le scuole è capitato, qualche vol-ta, che dei ragazzini siano venuti a "scontare" qual-che giorno si sospensione dalle lezioni, facendo ser-vizio civile. Ebbene, secondo me il servizio civile nelle associazioni tipo la Caritas, nelle scuole medie superiori dovrebbe essere inserito all'interno dell'ora-rio settimanale; per esempio, fare almeno un'ora di volontariato alla settimana. In questo modo, secondo me, i nostri figli avrebbero la possibilità di conoscere tante realtà che nei social networks, o nella playsta-tion, o nell'ultimo cellulare alla moda, o nella mag-gior parte dei programmi televisivi non ci sono, anzi vengono respinte per poter dare l'impressione di vive-re in un mondo fatto solo di produzione e di consu-mo. Adesso, che si affaccia l'autunno ed un nuovo anno lavorativo, confido che il signore faccia trovare un lavoro anche a me, e comunque non smetterò mai di ringraziarlo di avermi fatto approdare alla Caritas.

Luca B.

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LE ACQUE DELLA SALUTE Un capolavoro d'arte distrutto nel nome di un iniquo Piano Regolatore

La scoperta di acque medicamento-se nella città di Livorno risale al 1854, quando alcuni cittadini indivi-

duarono una polla d’acqua salata idonea alla cura delle malattie dell’apparato digerente. Gli stessi si adoperarono affinché la sorgente fosse chiusa all’interno di un tem-pietto ottagonale per favorirne lo sfruttamento commerciale. In se-guito furono scoperte altre quattro sorgenti di acque minerali dalle notevoli doti terapeutiche. Veniva-no impiegate per il trattamento di disturbi dello stomaco, del fegato e dell’intestino; nei postumi morbosi della malaria e per gli alcolizzati. Inoltre pare fossero efficaci anche per la cura dell’obesità, dell’urice-mia e della gotta. Queste acque si dividevano in tre classi. Quella di maggiore efficacia era la “Vittoria”; nella classe intermedia vi erano la “Preziosa” e la “Corsia”; la “Sovrana” e la “Corallo” erano decisamente più

leggere e più ad effetto diuretico. Il successo di quest'ultima scoperta fu tanto che circa mezzo secolo dopo, questo primordiale impianto fu rilevato dalla Società Acque della Salute che decise di costruirvi intor-no uno stabilimento termale vero e proprio. Il progettista fu Angiolo Ba-daloni – che a Livorno aveva già progettato il Mercato delle Vettova-glie (1894) – che si ispirò al movi-mento artistico dell'epoca: lo stile Liberty, facendone delle Terme un vero gioiello d'arte apprezzato, ol-treché dagli italiani, anche da gran parte dell'Europa. Le terme furono completate nel 1905, divenendo immediatamente uno dei principali centri di attrazione di Livorno, all’epoca ancora una delle capitali italiane del turismo balneare, e raggiunsero persino l’appellativo di “Montecatini a Mare”. Il progetto di Badaloni si articola in tre edifici funzionalmente distinti, collegati tra loro da eleganti colon-nati e disposti attorno ad un giardi-no aperto verso la strada: i padiglio-ni sono impreziositi da una elegante

decorazione liberty e, dal punto di vista della tecnica costruttiva, dall’impiego di molti elementi in ce-mento armato. L’edificio a sinistra del corpo cen-trale accoglieva i laboratori medici e gli uffici della direzione; il padi-glione destro, simile al precedente e caratterizzato da un’abside, era invece destinato alla distribuzione delle acque. Entrambi i padiglioni presentano maioliche, realizzate dall’artista Ernesto Bellandi, inse-rite a lato delle arcate che defini-scono gli ingressi ai due edifici. Il corpo centrale, ornato da un grande portico ad arcate a tutto sesto, ospi-tava, al piano seminterrato, i bagni per il trattamento termale, mentre, al piano superiore si trovava un grande salone delle feste, affianca-to da alcune sale minori riservate ad attività ricreative e ad un risto-rante. Per le cure termali all'interno dell'edificio venivano usate soprat-tutto le acque Vittoria, Preziosa e

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Le Acque della Salute intorno agli anni '50

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Corsia, mentre l'acqua Corallo e l'acqua Sovrana venivano imbotti-gliate per la distribuzione, la prima nel palazzo posto in angolo tra la Piazza Dante e la Via Orosi, dove tutt'ora si legge “Corallo”; la se-conda veniva imbottigliata in quell'edificio sovrastato da una torretta e ben visibile dal passaggio a livello di Via delle Sorgenti, co-nosciuto a tutt'oggi col nome “La Sovrana”. Lo stabilimento fu frequentato da subito principalmente dalla nobiltà, dalla borghesia e da famosi artisti italiani e non, tanto che si rese ne-cessaria la costruzione dell'Hotel Corallo, il monolitico edificio inaugu-rato nel 1907 a lato dello stabili-mento: anche in questo caso gli aspetti più vicini all’Art Nouveau sono da ricercare nelle finiture che adornano le numerose aperture dei prospetti. E' da notare con orgoglio che l'albergo era dotato già all’epo-ca di ascensori elettrici,quando in tutta Europa se ne contavano sol-tanto tre. L’attività delle Acque della Salute proseguì fino alla seconda guerra mondiale, dopodiché, per la esauri-mento delle acque, nel dopoguerra e fino alla fine degli anni '50 i padi-glioni dello stabilimento furono tra-sformati in un locale da ballo, men-tre fu potenziata l’attività di imbotti-gliamento e la distribuzione veniva effettuata in gran parte portando le bottiglie direttamente nelle case. E' da notare e da non dimenticare una cosa molto importante: i bom-bardamenti della seconda guerra mondiale hanno distrutto molti palazzi di Livorno e tra questi an-che molte opere d'arte (una su tutte

la Sinagoga), che poi, col tempo sono risorte più belle di prima. Il complesso delle Acque della Salu-te, un vero gioiello di architettura Liberty, sono state risparmiate dal-le bombe per poi venire distrutte dalla mano dell'uomo (livornese) con il progetto del cavalcavia, un obbrobrio che poteva essere co-struito in altro luogo. E le Belle Arti? Come al solito stanno a guar-dare. Strano destino quello della città di Livorno: a partire dagli anni settanta ha vissuto una progressiva quanto inarrestabile distruzione del patri-monio architettonico e ambientale, così evidente da accreditare la con-vinzione di un luogo senza monu-menti e senza storia, e da infondere una definitiva rassegnazione rispet-to agli scempi che in molti casi si sono perpetrati. Qualche esempio. Il primo è sotto gli occhi di tutti: la piazza Attias, dove fino ancora nel

1970 si poteva ammirare la sontuo-sa villa che un ricco mercante, Ni-cola Scaramangà, si era fatto co-struire alla fine dell’Ottocento, tra-sformando un precedente edificio dell’architetto romano Antonio Cipolla: immaginiamo una sorta di villa Mimbelli, perché non dissimi-le era questa residenza, forse anco-ra più sapiente nella ricchezza de-gli arredi e delle decorazioni, posta al centro della città e contornata da un ameno parco. Di questa resta solo il ricordo che il fotografo ci ha lasciato al momento della demoli-zione e qualche disegno conservato in un archivio romano: al suo posto possiamo solo trovare una cattiva interpretazione dell’architettura moderna: una piazza informe, un parcheggio sotterraneo riconoscibi-le solo dallo squallore degli accessi ed una corona di edifici assoluta-mente privi di qualità e di stile.

Le Acque della Salute viste dall’alto

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PELLEGRINAGGIO DA PADRE PIO: un'esperienza indimenticabile

parroco di S. Andrea e da Padre Luigi Senesi, molto pratico di quei luoghi e che ci ha fatto da padre spirituale, ab-biamo pregato per tre giorni ed abbiamo visita-to tutto quello che c'era da visitare. Ma veniamo alla cronaca. Alle ore 5 del mattino di venerdì 13 siamo partiti dalla Chiesa di S. An-drea con un pullman gran turismo. Alle 11,30,

Nei giorni 13, 14 e 15 luglio scorsi, organizzato dalla Parrocchia di S. Andrea, si è svolto un pellegrinaggio nei luoghi dove ha vissuto Padre Pio. I partecipanti erano cinquanta, tra i quali an-che noi (Romano Turri e Antonino Rapisarda. E' stato un pellegrinaggio stancante per il corpo, ma molto tonificante per lo spirito. Accompagnati da Don Edoardo Medori,

dopo aver fatto una sosta in un autogrill, siamo arrivati a Pietralcina, la città natale di Padre Pio. La prima tappa del no-stro pellegrinaggio l'ab-biamo fatta nel convento dove ha vissuto Padre Pio, ci siamo incontrati con il Padre Direttore del convento che ci ha illustrato alcuni passi della vita del Santo, ab-biamo pregato nella chiesa del convento ed

in ultimo abbiamo visita-to il Museo dedicato a Padre Pio. Qui mi ha impressionato una statua ad altezza d'uomo del Santo con le braccia aperte come se volesse abbracciare la persona che aveva di fronte. Sul piedistallo (ed è questo che mi ha impressionato) c'era la scritta “Ti stavo aspettando”: mi ha fatto venire un brivido lungo il corpo per alcuni eventi

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accadutimi nei giorni precedenti! Usciti dal convento abbiamo visi-tato le diverse case dove Padre Pio era solito tra-scorrere i suoi periodi di lontananza da S. Gio-vanni Rotondo. Alle tre e un quarto del pomeriggio abbiamo pranzato in un ristorante della città. Un'ora dopo eravamo di nuovo in viaggio con il pullman per andare nella Piana Romana, che era la mas-seria dei genitori di Pa-dre Pio ed abbiamo visto la casa dove il Santo ha trascorso la sua fanciul-

lezza. Sempre qui nella Piana Romana, abbiamo visto anche l'olmo, all'ombra del quale, mentre stava riposando in meditazione, Padre Pio ha ricevuto le stig-mate. Ormai non è più un albero vivo: si è sec-cato, e per conservarne la memoria lo hanno ricoperto di una speciale resina artificiale. Alle 17,30 siamo partiti con destinazione San Gio-vanni Rotondo, il luogo dove Padre Pio ha vissu-to come frate e dove ha voluto fosse costruito l'ospedale “Casa Sollie-

nocchiatoi, dove noi ab-biamo assistito alla Mes-sa concelebrata da don Edoardo e da padre Lui-gi. Nel pomeriggio, alle ore 16, abbiamo visitato il convento dove Padre Pio ha trascorso gran parte della sua vita, quindi siamo stati nella Basilica dedicata al san-to. Qui abbiamo visitato anche la cripta dove è sepolto Padre Pio ed ab-biamo pregato. La gior-nata di sabato si è con-clusa, alle ore 21, con una processione dedicata alla Madonna delle Gra-zie alla quale hanno assi-stito molte centinaia di persone. La processione si snodava dalla Casa Sollievo della Sofferenza fino al santuario della Madonna delle Grazie e durante il tragitto le per-sone presenti hanno reci-tato il Rosario. Questo è stato un momento vera-mente emozionante.

San Pio da Pietralcina (1887 - 1968)

vo della Sofferenza”. Il viaggio è durato tre ore e, data l'ora tarda, abbia-mo consumato un'ottima cena nel ristorante dell'albergo, quindi ci siamo concessi un un attimo di refrigerio, re-spirando all'aperto un po' di aria fresca dopo una giornata caldissima. Il giorno dopo (sabato 14 luglio), dopo un'otti-ma ed abbondante cola-zione consumata in al-bergo, siamo partiti alla volta di Monte Sant'An-gelo, una località distan-te mezz'ora di pullman. Qui abbiamo visitato il Santuario di San Miche-le Arcangelo che si trova a molte decine di metri sotto il livello del mare. Attraverso una scalinata, ci si trova in una grotta di arenaria risalente al periodo paleolitico supe-riore ed in questa grotta è stata allestita una chie-sa con l'altare e gli ingi-

LE TERRE DELLA PREGHIERA

Nelle Terre della preghiera, / dove tutto è silenzio, / pace e raccoglimento, / dove tutto ci parla di Dio / e del suo creato, / ho pregato per te, per noi. / Eri vicina a me / e mi hai dato grande forza. / Ti ho preso per mano / ed insieme / abbiamo camminato, / in silenzio, / lungo il sen-tiero / delle Terre della preghiera.

Romano Turri

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Approfitto dello spazio di queste colonne per ringraziare tutti gli operatori che, a vario titolo, ci aiu-tano e ci consigliano per poter af-frontare le nostre quotidiane diffi-coltà. Colgo l'occasione per presen-tarveli e descrivervi le loro mansio-ni: Giovanni: responsabile progetta-zione, gestione amministrativa, tutor servizio civile, tirocini e borse lavoro; Elvira: responsabile centro ascolto e centro ascolto famiglie; Serena: responsabile della segrete-ria; Antonella: accoglienza struttu-re Caritas, gestione approvvigiona-mento e donazioni, accoglienza servizi mensa, guardaroba e doccia; Maurizio: servizio accoglienza, amministrazione; Dario: responsa-bile area immigrazione e mondiali-tà, sportello immigrazione, respon-sabile manutenzione ambienti e impianti, area logistica servizi men-sa, doccia e guardaroba; Valentina: addetta area comunicazione interna ed esterna, centro ascolto e centro ascolto famiglie, referente area car-cere; M.Antonietta: area immigra-zione e mondialità, sportello immi-

grazione, centro ascolto, animatrice laboratori Caritas; Luca: responsabi-le area educazione, responsabile sportello accoglienza rom, responsa-bile centro diurno, animatore labora-tori Caritas; Filippo: coordinatore struttura accoglienza per madri e bambini (Villa Benedetta), acco-glienza servizi mensa, guardaroba e doccia; Stela: cura della preparazio-ne e del confezionamento dei viveri, coordinamento dei volontari della mensa; Adriana: cura della prepara-zione e del confezionamento dei vi-veri, coordinamento dei volontari della mensa; Liborio: custode, ma-nutenzione ambienti. Si ringraziano, inoltre, tutti i volonta-

ri e i ragazzi del servizio civile che ogni giorno condividono con noi parte del loro tempo e della loro vita. Questa affiatata squadra di lavoro è allenata da suor Raffaella Spiezio e dal diacono Enrico Sassano, rispet-tivamente la Presidente della Fonda-zione Caritas e il Direttore della Ca-ritas, che fanno il possibile e rendono possibile tutto questo: grazie!

Ivo Barsellotti

do agli scherzi e parliamo seria-mente. Si tratta della nascita di un nuovo servizio all'interno del-la Caritas: un servizio gratuito di parrucchiere per uomo e per don-na (unisex). Giunti a questo pun-to, vi chiederete cosa centra il fiocco celeste. Ma è semplice. “taglio dei capelli” è maschile e per i maschi si usa il fiocco cele-ste e non rosa che viene usato

Anche se non l'abbiamo fatto (forse per imperdonabile dimen-ticanza) il due luglio avremmo dovuto mettere un fiocco celeste alle porte della Caritas. Il fiocco celeste (o rosa) - si sa - viene apposto alla porta nel caso di una nascita in famiglia. Certamente vi chiederete - e sarete molto curiosi di sapere - chi può essere nato nei locali della Caritas. Ban-

per la nascita delle femmine. E veniamo alla notizia. Da lunedì

2 luglio è entrato in funzione que-sto servizio ad opera di un volon-tario, il quale è presente solo il lunedì, giorno di chiusura del suo negozio. Chi avesse il bisogno di usufruirne può rivolgersi al punto di accoglienza (Maurizio) e metter-si in nota per il lunedì successivo. Il servizio è completamente gratui-to e possiamo assicurarvi che... il

LUNEDI’ 2 LUGLIO

FIOCCO CELESTE ALLA CARITAS

VI PRESENTO I NOSTRI OPERATORI

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FESTA DEL VOLONTARIATO Dopo il primo Festival della Cari-

tà, la magnifica festa che si è svolta il 20 maggio in Piazza XX Settembre, non poteva certo mancare una altrettanto magnifica festa dedicata a tutti i volon-tari che svolgono la loro attività presso la Caritas: la Festa del Volontariato. E così il 20 giugno ci siamo ritrovati nel piazzale antistante la Caritas, dove era-no già pronti i tavoli, disposti a ferro di cavallo, con le relative panche e sedie per consumare una cena tutti insieme: volontari,operatori ed utenti.

Alle ore 17,30 abbiamo dato inizio alla festa con preghiere di ringraziamen-to recitate da Padre Francesco – il no-stro caro Padre che, pur abitando a Fi-renze, non disdegna di tanto in tanto di venirci a trovare – e dal diacono Enrico Sassano, direttore della Caritas. Termi-nata la doverosa parte “sacra” è iniziata la parte “profana” con il Karaoke, dove hanno cantato molti utenti della Caritas ed anche alcuni volontari, senza trala-sciare di menzionare la voce tenorile del nostro operatore Maurizio Giambini che ci ha cantato, sulle tracce, appunto, del Karaoke alcune belle canzoni. Non è mancata una lotteria dove sono stati assegnati sette premi ad altrettanti fortu-

nati. Giunti a questo punto - erano or-

mai le 19 – il programma prevedeva una cena all'aperto con una bruschetta come antipasto, per poi passare al riso freddo e ad un succolento ed abbondante fritto di paranza, il tutto accompagnato da qualche bicchiere di vino. E per finire, macedonia di frutta a volontà. Contenti di aver trascorso circa tre ore in allegria, la festa si è conclusa con baci, abbracci e strette di mano con l'augurio di ritro-varci il prossimo anno per festeggiare ancora una volta i nostri cari volontari.

A conclusione di questo sia pur breve ma sentito articolo, il nostro gior-nalino intende, tramite queste colonne, esprimere a nome di tutti gli utenti il proprio doveroso ringraziamento a tutti i volontari per tutto quello che, durante l'anno, fanno per noi.

Ivo Barsellotti

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creare, sbalordire, ridere e saper far ride-re, significa sentirsi storditi dal piacere...” (Paolo Guzzanti, Il Giornale, 05-02-03). Lo scopo principale del nostro Torneo era solo questo e non una lauta premiazione.

Romano Turri

Nelle giornate di mercoledì 27 e giovedì 28 giugno si è svolta nei locali della Cari-tas l'ultima attività del Centro Diurno prima della pausa estiva: un Torneo di Briscola e Scopa a carattere individuale. E' stata una bellissima iniziativa – sicura-mente da ripetere – che ha visto la parteci-pazione di 14 persone suddivise in tre gironi: Girone A, composto da 5 persone; Girone B, anch'esso composto da 5 perso-ne e Girone C, composto da 4 persone. Il Regolamento di gioco prevedeva, nella prima fase, incontri diretti per la qualifi-cazione ai quarti di finale (seconda fase di gioco), in base ad un punteggio. La for-mazione dei Gironi è stata fatta in base ad un sorteggio effettuato dalle nostre opera-trici Antonella e Valentina che fungevano da giudici di gara. Sempre secondo il regolamento, sono passati ai quarti di finale il primo ed il secondo classificato di ogni girone più altre due persone ripe-scate tra gli eliminati, per un totale di otto persone. Dopo i quarti di finale, siamo passati alle semifinali, alla finale per il terzo e quarto posto e alla finalissima per il primo e secondo posto. La premiazione ha visto l'assegnazione al primo classifi-cato di un buono da 20 Euro da spendere presso negozio “Decatlon” (porta a Ter-ra) ; il secondo classificato è stato premia-to con un telo da mare acquistato sempre nel negozio “Decatlon” ed il terzo classi-ficato è stato premiato con una borraccia termica. I premi sono stati offerti dalla Caritas. Certamente non sono stati premi all'altezza di certi tornei di carte dove si vedono prosciutti, salami e bottiglie di vino. In questi casi, però, l'iscrizione alla gara comporta una cifra più o meno alta, cosa che noi utenti non ci possiamo per-mettere. E fa veramente male pensare che tra noi ci siano delle persone che, dopo essersi iscritte al Torneo, si sono cancella-te solo perché i premi erano troppo sca-denti. Questo mette in luce sopratutto due cose: la prima è che esistono persone che sono ancora convinte che la Caritas sia la gallina dalle uova d'oro, una gallina da spennare il più possibile. In secondo luo-

go dimostra ampiamente che queste perso-ne non conoscono ancora (e non conosce-ranno mai) valori come la partecipazione, la condivisione (nel nostro caso anche mul-tietnica) e la relazione interpersonale. Non dimentichiamoci che si può arrivare alla condivisione e alla relazione interpersonale solo comunicando con gli altri, perché “Comunicare, ovvero fare cultura, significa

TORNEO DI BRISCOLA E SCOPA

Due momenti del torneo

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L’EMOZIONE DELLA POESIA

L'immensità del tuo deserto, la purezza del tuo mare e del tuo cielo, e il ghibli ardente fra sagge palme e tamerici in danza nelle felici oasi fragranti, fugarono le ombre della sofferta adolescenza mia Libia diletta. Mi conquistasti e per me fosti una seconda patria. Mi proteggesti e mi sentii al sicuro e per tant'anni vissi in te, con te amandoti più del mio paese, come stregato, senza aver paura. Poi un tuo figlio, certo il peggior nato; Privo d'amore e di timor di Dio gonfio soltanto di crudel razzismo tentò di violentar moral natura giusta, leale e fieramente pia dei suoi stessi fratelli, ormai fratelli miei. E dovei lasciarti, gentile e solitaria amata terra mia. Ah! potessi tornare ad ascoltare il ghibli saturo d'armonie sublimi e il tenue alitare delle dune nella genuinità della natura del tuo deserto antico, ad ammirare il godimento pieno i cromatici tramonti vespertini e il biancheggiar dell'alba nei tuoi vasti orizzonti senza fine. Non avrei più paure vane: tranquillamente appagato aspetterei, giocando in pace nel silenzio amico, fra le tue braccia, la fine degli anni miei.

Antonio

ALLA MIA AFRICA

Quando mi prendono, sono saturi, colmi di cattiveria, voglia di amare, dolce bambolina, femminilità, estasi di sensazioni, difficili da condividere. Il buio totale, la ricerca del tuo calore, il tuo odore, il tuo sapore. Non riesco 'più a vivere, voglio adorarti, tenera fanciulla dei miei sogni, devo trovarti. Ti darò tutto me stesso. Mi aiuterai a diventare magico, e voleremo insieme. Mia principessa vieni a me. La mia vita diventerà tua. La realtà non farà più paura, vivremo in eterno. Amore mio, ti cercherò all'infinito,

e io ti troverò, perché anche te hai bisogno di me. Continuerò a sognarti, e spero di non svegliarmi più. Il mio pensiero va a te, supremo stregone, che dalla cima del mio olimpo, oblio sconfinato di segrete, dolorose sensazioni profonde, vegli la mia vita trasformando per me la realtà, in quel fantastico mondo che la fantasia ci concede.

Alessandro

Sei uomo quando ridi, sei uomo quando piangi. Sei uomo nella tristezza, sei uomo nella felicità. Sei uomo nel lavoro, sei uomo nel riposo. Sei uomo nella depressione, sei uomo nell’allegria.

Ma, soprattutto, sei uomo perché esisti. E la tua vita appartiene al Grande Regno della Natura. Nel bene e nel male, nella gioia e nel dolore, vivi, dunque, la tua vita, e vivila intensamente. Fino alla fine!

Romano

SEI UN UOMO

FILETTO ALLA TARTARA Ingredienti per 4 persone: 800 gr. di filetto di vitello; una cipolla; una carota; una costa di sedano; un mazzetto di prezzemolo; uno spicchio d’aglio; due rametti di rosmarino; un dado da brodo; tre cetriolini sott’aceto; un cucchiaio di capperi; salsa tartara; sale. Con uno spago da cucina, legate il filetto con due rametti di rosmarino posti ai lati ed infilatelo in una reticella. Potete anche farvelo preparare dal macellaio. Mettete il filetto in una casseruola e ricopritelo di acqua fredda. Aggiungete la cipolla, il sedano e la carota tagliati a metà, uno spicchio d’aglio intero, il mazzetto di prezzemolo legato ed il dado da brodo. Salate pochissimo (il dado è già salato). Fate cuocere il filetto per venti minuti da quando l’acqua inizia a bollire: deve risultare cot-to al sangue come il Roast-beef. Scolate la carne, slegatela e fatela raffreddare sopra un tagliere. Tagliate il filetto in fette sottili ed adagiatele in un piatto da portata, accavallandole leggermente. Spalmatele completamente con la salsa tartara. Tagliate i cetriolini a fettine, lavate abbondante-mente in acqua corrente i capperi e strizzateli. Guarnite il filetto con le fettine dei cetriolini ed i capperi. Prima di portare il filetto in tavola, pone-telo nella parte bassa del frigo almeno per

COSA BOLLE IN PENTOLA

rubrica culinaria

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CROSTATA DI ZUCCA

Ingredienti per 4 persone: una confezione di pasta frolla. Per la marmellata: una zucca di un chilo; la scorza di un limone; zucchero. Cuocete la polpa della zucca ta-gliata a pezzi. Quando è morbida, passatela al passaverdure e pe-satela. Aggiungete 750 gr. di zuc-chero per ogni Kg. di polpa di zuc-ca. Mettete a bollire la polpa con lo zucchero fino a quando non solidifica. Quando la marmellata così ottenuta sarà pronta, proce-dete alla normale preparazione della crostata.

Adriana

PATATE ALLA CONTADINA

Ingredienti per 4 persone: 400 gr. di patate; quattro fette di pancetta fresca di maiale alte mezzo centimetro; due cipolline; uno spicchio d'aglio; olio da friggere; sale. Alla sera prima lavate le pata-te e mettetele a lessare con la loro buccia. Toglietele dall'acqua e fatele raffreddare un po', dopodiché ponetele nella parte alta del frigo. Al mattino seguente sbucciate le patate e tagliatele in dadi di circa due centimetri di lato. Tagliate la cipolla in fette sot-tili; schiacciate l'aglio con la sua buccia. In una padella da fritto con molto olio fate roso-lare la cipolla e l'aglio. Quan-do la cipolla avrà preso un bel colore dorato, togliete l'a-glio e mettete nella padella le patate e le fette di pancetta e fatele friggere, rigirando ogni tanto. A cottura ultimata, to-gliete il tutto dalla padella e mettetelo sopra a della carta da cucina per eliminare l'olio in eccesso. Una variante a questa ricetta: per chi non volesse usare la pancetta di maiale, si posso-no usare quattro salsicce in-tere, cotte nella stessa ma-niera, dopo averle sforacchia-te con una forchetta in diversi punti. Ivo Barsellotti

SALSA TARTARA Ingredienti. Due tuorli d’uovo; una cipolla; un ciuffo di prezze-molo; un cucchiaio di senape; un bicchiere di olio; il succo di un limone; sale. Tritate la cipolla ed il prezzemolo nel più fine dei modi. Meglio se usate un mixer. In una terrina non troppo grande e concava, schiac-ciate i tuorli con una forchetta. Aggiungete il trito di cipolla e prezzemolo, la senape ed un pizzi-co di sale. Con una frusta lavorate gli ingredienti sino ad ottenere un composto omogeneo. Senza mai cessare di lavorare la salsa, versate poco alla volta ed alternandoli, l’olio ed il succo di limone, fino a quando la salsa sarà sufficiente-mente omogenea. Un modo più sbrigativo per fare la salsa è quello di unire maionese e senape, ma nella maniera appena descritta è molto più gustosa.