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Laura De Luca (a cura di) CARA RADIO “Cartoline” dal mondo della radio nell’epoca del web Prefazione di Gianpiero Gamaleri ARMANDO EDITORE

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Laura De Luca(a cura di)

CARA RADIO “Cartoline” dal mondo della radio

nell’epoca del web

Prefazione di Gianpiero Gamaleri

ARMANDO EDITORE

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Sommario

Premessa 7

PrefazioneL’era dell’oralità 11Gianpiero Gamaleri

L’autorevole invisibilità 21Laura De Luca

Le Cartoline 27Barbara Valotti 27Gabriele Falciasecca 28Cosimo Alvati 30Eduardo Montefusco 34Dario Busolini 34Alessandra Maria Tocci 36Enrico Menduni 39Luigi Cobisi 44Gianluca Teodori 45Federico Lombardi SJ 47Gianluca Nicoletti 52Fabio Martini 57Marianna Milo 59Gianpiero Gamaleri 64Paola Gallo 68Masimiliano Coccia 69Sabrina Alessia Mastrangeli 76Marcello Lazzerini 78

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Federica Gentile 82Fabio Colagrande 86Anna Lucia Natale 88Mino Caprio 92Andrea Borgnino 94Elena Farcasiu 100Fabio Cruciani 102Mathilde Imberty 103Enrica Bonaccorti 106Walter Lobina 110Giorgio Simonelli 113Anna Benassi 119Roberta Gisotti 121Carlo Posio 124Cristina Del Sordo 128Nestor Pongutà 129Elisabetta De Toma 132Giuliano Canevacci 135Maria Luisa Di Blasi 140Jan-Cristoph Kitzler 141Raffaele Vincenti 143Lorenza Garbarino e Silverio D’Arco 145Fabrizio Noli 148Lucio Adrian Ruiz 151Mariù Safier 153Elio Pandolfi 157Jorge Milan Fitera 158Giulia Carnevali 161Adriano Mazzoletti 163Carlo Sacchettoni 169Paolo Lombardi 174Adriano Vitali 176Massimo Vallati, con Alessandra Bonifazi e Roberto Pagano 178Laura De Luca 181

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Premessa

Questo album di testimonianze prende la maggior parte della sua sostanza da un incontro organizzato a Roma, il 30 ottobre 2017, presso l’auditorium dell’ Istituto Centrale per i beni Sonori e Audiovisivi, dove si confrontarono sto-rici, conduttori, radio-giornalisti, registi, produttori, autori, attori, tecnici e appassionati per esporre le loro esperienze di radio a fronte delle mutate abitudini di ascolto e di con-sumo radiofonico nell’epoca del web. A quella collezione di appunti e di impressioni estemporanee dei presenti e di molti che inviarono i loro messaggi da lontano si sono ag-giunte nei mesi successivi altre gradite “cartoline” sia da parte di firme importanti che di semplici utenti, venendosi così a comporre un patchwork di riconoscimenti entusiasti-ci ma anche critici alla nostra cara, vecchia radio.

Sono davvero tanti coloro che, da professionisti, da studiosi o da utenti potrebbero aggiungere un tassello di questo omaggio: all’epoca seguimmo il criterio della par-te per il tutto, individuando macrocategorie di “rappre-sentanze” radiofoniche, a cominciare dalle istituzioni, per includere esponenti di radio pubbliche e private, commer-ciali e istituzionali, grandi e piccole, senza dimenticare alcuni corrispondenti di radio non italiane… Ma un cen-simento globale è praticamente impossibile.

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La scelta della sede di quel primo round di testimo-nianze fu quasi obbligata. Come sottolineò Piero Ca-vallari, esperto e bibliotecario dell’Istituto, “il vecchio nome glorioso della ex Discoteca di Stato ha una parti-colare importanza, proprio per il connubio che ha avuto con la radio sin dagli inizi (…) non solo nel nostro pa-ese, ma ‘soprattutto’ nel nostro paese. La Discoteca di Stato nasceva nel 1928, dunque è abbastanza coeva alla radio italiana, e lo stesso disco è un elemento fondamen-tale per le trasmissioni radiofoniche, soprattutto in caso di impossibilità di dirette: all’epoca era l’unico oggetto

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su cui poteva essere inciso un suono. Per ovvi motivi istituzionali (…) con l’EIAR la Discoteca ebbe un ruolo decisivo: basti pensare che tutta la comunicazione uffi-ciale del regime, incisa in diretta dall’EIAR, veniva poi affidata alla Discoteca di Stato perché pubblicasse i di-schi del materiale montato su propria etichetta”. Molti esemplari di vecchi 78 giri sono infatti esposti ancora oggi nell’Istituto.

Il rapporto forte della Discoteca di Stato con la radio-fonia del nostro paese “prosegue anche con la radio della Resistenza, – riferisce ancora Cavallari- con le trasmis-sioni ‘Italia combatte’, anche queste arrivate a noi su di-sco. La Discoteca di Stato ha spesso acquisito materiale che la RAI o altre aziende non sapevano più come conser-vare e per nostra fortuna veniva consegnato proprio qui; nel tempo ci siamo muniti di macchinari per decifrarne i contenuti. È stato ritrovato per esempio un disco con

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un diametro di 50 cm e più (in gergo “padellone”) con-tenente il discorso di apertura dell’assemblea del primo parlamento democratico del nostro paese, pronunciato da Vittorio Emanuele Orlando, primo presidente provvisorio dell’Italia democratica e repubblicana: in pratica il primo vagito della repubblica”.

La Discoteca di Stato ha collaborato anche con la Radio Vaticana, e con tutta la radiofonia libera e privata nel nostro paese. Frequenti rapporti con Radio 24 ve-dono l’acquisizione di importante documentazione. Per non parlare della RAI, in ambito produttivo: Ad alta voce e tante altre trasmissioni sono state regi-strate nell’auditorium ICBSA, con la partecipazione di attori importanti.

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PrefazioneL’era dell’oralitàGianpiero Gamaleri

Il mio incontro con Walter Ong nel suo studio all’U-niversità di Saint Louis, Missouri, fu quasi commoven-te. Eravamo nella primavera del 1984, attorniati da una troupe canadese affittata dalla Rai per la realizzazio-ne del programma “Il villaggio elettronico di Marshall McLuhan”. Intorno a noi, non solo obiettivi che ci scruta-vano e il frusciare delle Arriflex, ma anche le luci riflesse da una grande ombrello bianco rovesciato per addolcire l’ambientazione. Il regista e i tecnici avevano fatto bene il loro lavoro. La mia commozione derivava dal sentimen-to di trovarmi di fronte a chi più di ogni altro incarnava il pensiero e la sensibilità del grande studioso canadese a soli cinque anni dalla sua scomparsa: un gesuita, un mite sacerdote che però diventava energico, autorevole non appena ci si inoltrava nelle domande e risposte che costituivano la sostanza dell’intervista e di quell’incon-tro pieno di curiosità, ma altrettanto carico di umanità. Di qualche anno più giovane, Ong non solo conosceva benissimo, ma incarnava il pensiero ed anche la vitalità

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di McLuhan, essendone stato prima allievo e poi collega e continuatore. E naturalmente il grande tema del nostro incontro non poteva essere che uno: come interpretare la società di allora e i suoi sviluppi – che in realtà sono i nostri, a trentacinque anni di distanza – alla luce dei gran-di cambiamenti socio-politici indotti dall’evoluzione dei media. E questo sforzo si traduceva in uno slogan che tutti ormai conosciamo e che era ed è il leit motiv del pensiero di Walter Ong: stiamo attraversando l’era dell’oralità.

Ed è questo che spiega il modo d’essere dell’uomo con-temporaneo, che vive per immersione in una “realtà sono-ra”, ma spiega in particolare anche il significato profondo della permanenza e della sempre più diffusa presenza tra noi della radio o meglio sarebbe dire di quell’amplissimo arco di mezzi e messaggi che colpiscono il nostro udito.

L’udito che è per eccellenza il senso della vicinanza, del coinvolgimento, del rapporto solidale, del tessuto di parole, suoni, sospiri, rumori e grida che costituiscono il tappeto sonoro della nostra esperienza.

E la presenza del “suono” si manifesta in modo com-plementare e spesso alternativo rispetto alla tanto celebra-ta “immagine” che invece si incanala nel senso distaccato della vista, che con tutti i suoi indiscussi meriti, ha però come effetto-base quello di segnare la distanza, la separa-zione, la distinzione tra me e l’altro, tra me e l’oggetto. In una parola: ciò che divide più che ciò che unisce. Provate a vedere una sequenza televisiva spegnendo l’audio e vi accorgerete quale rilevante parte di significato degli even-ti rappresentati vi sarà sfuggita. Il video estranea ciò che l’audio unifica.

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Siamo nel luogo della voce, della musica, del rumore, della conversazione, della parola, fino ad arrivare al Ver-bo, espressione della facoltà massima dell’uomo e di Dio. La permanente giovinezza della radio non è altro che la conseguenza di questa grande “onda gravitazionale” so-cioculturale in cui siamo immersi: l’onda dell’oralità.

Che cos’è la radio nel tempo della de-materializzazione?

Ma questa impostazione cosmologica del problema ci porta inevitabilmente a chiederci: “Che cos’è la Radio?”.

Guardando l’intera parabola della sua evoluzione, dob-biamo subito aggiungere che siamo in presenza di una vita che non è stata lineare, ma ha subíto alcune fasi, con momenti di sviluppo e altri di declino e con impatti poli-tico-sociali e culturali contraddittori.

Una vita controversa, dunque, quella della radio, e – sulla base delle innovazioni tecnologiche e dell’impegno di molti operatori del settore – destinata a svilupparsi an-cora a lungo. Facciamo qualche calcolo. Se si fa coinci-dere il suo inizio con il famoso colpo di fucile sparato dal fattore Antonio Marchi in risposta al primo segnale wireless trasmesso da Marconi nella tenuta Griffone di Pontecchio, nel 1895, si attribuiscono alla radio 120 anni di vita. Se ci riferisce alle prime trasmissioni destinate al pubblico, per l’Italia siamo nel 1924, con la nascita dell’Unione Radiofonica Italiana – URI – gli anni sono più di 90: li abbiamo festeggiati recentemente.

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Abbiamo parlato però di una vita controversa, contra-stata, fatta di periodi positivi ma anche di momenti bui. Per adottare un’immagine eloquente, un paragone antro-pomorfo, possiamo paragonare la radio a una bella si-gnora in piena maturità, che tuttavia ha avuto un passato molto equivoco, specie in quel non breve periodo in cui si è messa al servizio dei peggiori regimi che hanno caratte-rizzato il nostro continente. Ci riferiamo ovviamente a tre dittature: quella fascista, quella nazista e quella staliniana.

Le tre fasi della vita della radio

Effettivamente la storia della radio è riassumibile, schematicamente ma realisticamente, in tre momenti.

C’è un primo breve momento di euforia liberal-illumi-nistica, proiezione vie etere negli anni venti del clima va-gamente euforico della Belle Époque, una volta superato l’incubo della Grande Guerra. La radio affianca la stam-pa, con una gestione in Europa affidata non già a inizia-tive private, ma a servizi pubblici. E sempre rispetto alla stampa comincia a raggiungere anche i ceti meno abbien-ti e meno acculturati, potendo essere ascoltata anche da quanti hanno meno dimestichezza con le diverse lingue. Diventa quello strumento di unificazione linguistica delle varie nazioni così com’è stato riconosciuto, e ciò specie in Italia, caratterizzata da un alto tasso di analfabetismo.

Ma segue ben presto un secondo periodo che in alcune nazioni si caratterizza per il suo asservimento ai regimi totalitari che le governano. Eloquente a questo proposito

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è il titolo stesso dello studio dello storico italo-americano Philip V. Cannistraro La fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, pubblicato nel 1975 con una prefazione di Renzo De Felice. Accanto alla stampa e al cinema – so-stiene Cannistraro con dovizia di documentazione, la ra-dio fu un fondamentale canale di contatto con la pubblica opinione attraverso cui il regime fascista, dalla presa del potere negli anni ’20 fino agli ultimi atti della repubblica di Salò nel ’44-’45, tentò di ispirare e controllare la vita e le opinioni del popolo italiano. E proprio l’ultima tra-gica fase della guerra fu caratterizzato da uno scontro di messaggi lanciati nell’etere dalle trasmissioni della Re-pubblica Sociale, da una parte, di altre stazioni dell’Eiar e della neonata RAI rimaste in mani alleate (come Radio Cagliari e Radio Bari), dall’altra ed anche dalla famosa Radio Londra, da cui i cittadini italiani nei territori ancora nazi-fascisti cercavano di ricavare clandestinamente in-formazioni anche a costo della vita. Analoghe dinamiche comunicative caratterizzarono il regime nazista e quello sovietico ed accompagnarono la guerra civile spagnola.

Infine, c’è la terza fase conclusiva, quella che dal se-condo dopoguerra si protrae fino a noi, e che potremmo chiamare di rifondazione e di riscatto di una radio, anzi, di tante radio che si sono poste e si pongono l’obiettivo di contribuire alla rinascita civile e culturale dei nostri Paesi, al mantenimento e allo sviluppo della vita democratica tra le nostre nazioni e all’interno di esse. Ed ovviamente di questa fase contemporanea e futura intendiamo parlare in queste riflessioni.

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La radio, dalla “piccola scatola” alla “nuvola di messaggi”

Fino ad arrivare alla domanda che ci poniamo oggi – e che è la chiave di questa pubblicazione – su come po-tenziare ulteriormente questo medium e la sua funzione culturale, civile e imprenditoriale nell’ambito del sistema integrato digitale che sta giungendo a maturazione. E ci poniamo anche il problema di che cosa sia la radio oggi, ma soprattutto che cosa sarà domani, quando la sua voce e i suoi messaggi multimediali arriveranno a noi per tante strade diverse, favorite come si diceva, dall’adozione del DAB, Digital Audio Broadcasting, che, come si nota, non parla più specificamente di “radio”, ma si riferisce a tutti i segnali “audio” che ci giungeranno attraverso i più di-versi percorsi, portandoci un’ eccezionale qualità sonora, nell’ambito di un sistema integrato di messaggi e di servizi.

In una parola, ci domandiamo come potrà essere col-tivato nel futuro prossimo venturo il nostro “udito”, l’or-gano appunto di ricezione dei segnali sonori, quando non saranno più non più incapsulati – e già avviene – in quella “… piccola scatola che ho tenuto stretto mentre fuggivo perché le tue valvole non si spaccassero, che ho portato dalla casa alla nave e dalla nave al treno…” di cui parlava Bertold Brecht.

La radio sarà sempre meno la “piccola scatola” che ab-biamo conosciuto e sempre più una “nuvola di messag-gi”: stimoli e segnali audio veicolati nell’ambito di una percezione multisensoriale, ma non meno importanti ai fini di una nostra crescita civile, democratica, culturale,

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di ricchezza informativa e di gusto estetico. E dobbiamo attrezzarci a vivere e a utilizzare appieno questa trasfor-mazione.

In questo senso, il guardare indietro, fino ai tempi bui della radio, non costituisce un atteggiamento passatistico o tanto meno nostalgico, ma un richiamo a valorizzare con un grande respiro culturale le potenzialità positive di questo medium, sia per la nostra convivenza sociale, sia per la crescita umana di ciascuno di noi come utilizzatori – sempre più attivi e sempre meno passivi – di un medium dalle eccezionali potenzialità.

Ci possiamo fare accompagnare, in questo pensiero, dal ricordo della figura emblematica di Peppino Impasta-to, che visse alla fine degli anni Settanta (nello stesso pe-riodo dell’uccisione di Aldo Moro) il suo rapporto con la modesta ma tanto incisiva Radio Aut, da lui diretta come strumento di lotta alla mafia, in modo tale da fargli pagare con la vita il suo impegno civile, com’è stato rappresenta-to con scrupolosa fedeltà nel film I cento passi di Marco Tullio Giordana.

Ecco quindi le due immagini che ci possono accompa-gnare in queste nostre riflessioni: da una parte, quella di una radio che è stata serva dei totalitarismi e, dall’altra, quella di una radio che ha contribuito e contribuisce al riscatto e allo sviluppo politico e morale di un popolo, di ogni popolo.

Il futuro di questo mezzo, che l’opinione pubblica conti-nua a premiare con ascolti crescenti, ci interpella anche ri-guardo la direzione da prendere: se porre la radio a servizio del pubblico per la sua più piena maturazione democratica

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e culturale oppure usarla per catturarne il consenso con le più sofisticate tecniche della propaganda politica e della pubblicità commerciale. La risposta a questa alternativa non è indifferente anche ai fini dei progetti industriali a più lunga scadenza che si vogliono investire in questo settore.

Quale “domanda di audio” nel futuro?

Ma a questo punto rimane ancora sospesa la domanda che ci siamo posti all’inizio: qual è la ragione di fondo, duratura e non occasionale, che fa ottenere a questo me-dium un consenso crescente? Qual è e quale sarà la “do-manda di audio” che caratterizzerà la nostra società nel prossimo futuro, a partire dai giovani, che sono i maggiori fruitori potenziali e reali di questo mezzo?

Come sempre le domande più impegnative – che sono anche quella più produttive di indicazioni pratiche – esi-gono risposte non banali, ma approfondite e di ampio respiro.

Dobbiamo interrogarci sulla “dimensione audio” che vive in ciascuno di noi e nell’intera società. In una pa-rola, dopo la civiltà alfabetica e della scrittura, dopo la nascita e l’affermazione della stampa, in un mondo ormai dominato dalle immagini televisive ad alta definizione e 4K, dalle pagine web, dai contatti via mail, Skype, dalle riproduzioni tridimensionali ed olografiche, dalle inesplo-rate applicazioni della imminente tecnologia 5G e da tan-ti altri stimoli estremamente accattivanti, stiamo più che mai riscoprendo l’insostituibilità della parola, “il primo

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strumento portatile che l’uomo si è trovato addosso”, per riprendere la suggestiva e vagamente ironica battuta di Marshall McLuhan.

E insieme alla parola parlata, regina della conversazio-ne faccia a faccia, ma elemento fondamentale di espres-sione anche della radio, riscopriamo l’intero repertorio delle comunicazioni audio, musica, suoni, dai concerti rock alle cerimonie religiose. In sintesi: tutti i generi, i programmi, i servizi che la radio può offrire. La “dimen-sione audio” domina la nostra società, soprattutto il mon-do giovanile, e ci conferma che la comunicazione radiofo-nica – con i suoi ritmi, contenuti e messaggi – costituisce il “tam tam tribale del villaggio globale”. Ma tutto ciò non viene vissuto in termini di regressione primitiva, quanto di proiezione verso un mondo dominato dall’immediatez-za della parola, della voce, dei suoni. Riecheggia in noi il primo verso del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo”. Ed il verbo, con la “v” maiuscola o minuscola che sia, accompagna la nostra vita e segna il nostro de-stino. Oggi, potremmo dire, c’è un forte risveglio, specie nei giovani, di questa sensibilità, di questa immersione nella soggettività audio-tattile della vicinanza, quasi a compensazione dell’eccessivo stimolo ai sensi della lon-tananza indotto dall’eccesso delle immagini, dai messag-gi dell’oggettivazione e del distacco.

Questa ci sembra essere una chiave persuasiva di spie-gazione della permanente attualità della radio: una condi-zione non destinata a esaurirsi nel tempo, perché risponde a un’esigenza fondamentale della natura umana.

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L’autorevole invisibilitàLaura De Luca

È difficile spiegare la radio ai millennials, o anche sem-plicemente a persone che oggi hanno meno di trent’anni.

È difficile spiegare l’autorevolezza di una voce scor-porata, di una fonte invisibile legata alla percezione di un senso solo, l’udito.

Oggi tutto è corpo, materia, immagine incarnata, e an-cora di più materia digitalizzata, virtualizzata, de-materia-lizzata. Per decenni la carne è stata fin troppo esposta in una fiera di visibilità, quindi successivamente frantumata, democratizzata all’estremo, esplosa alle mille periferie del mondo, celebrata in miliardi di pixel. È stato questo processo il segno del passaggio di millennio: incarnazio-ne sfrenata e virtualizzazione spinta. Tutto sotto il segno della visibilità, anzi dell’esposizione.

È difficile spiegare anche l’autorevolezza tout court: neppure la materia, ci avvisa la fisica quantistica, ha più un substrato solido. Neppure la materia resiste allo sfal-darsi di infinite possibili realtà. Neppure la materia è più… autorevole.

La radio è inattuale e insieme attualissima: invisibile nei suoi contenuti, e dunque in controtendenza rispetto

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alla fiera di visibilità del nostro tempo è però immateriale, araldo di ogni successiva virtualizzazione.

Per questo è nata proprio quando doveva nascere: quando il mondo appariva ancora solido, tangibile, con-creto, tristemente univoco.

E allora folgorò tutti proprio per la sua magica imma-terialità: la radio, prima agente del virtuale, primo scanda-loso assaggio della second life.

Agli inizi del novecento il principio di autorità, benché progressivamente contestato dal relativismo, dal positivi-smo, dal nihilismo, rappresentava un riferimento stabile, nel bene e nel male. C’erano gli imperi, le monarchie, i poteri forti, la nostalgia dell’assoluto, la fiducia nella scienza, i moloch da distruggere…

In quel nodo compatto di potenza oscura che era la re-altà mondana, silenziosa, remota e per molti versi inac-cessibile ai più, ma comunque presente, si insinuò uno strano strumento tecnologico che cominciò a farne emer-gere indizi nuovi, sorprendenti, immateriali e sonanti…

L’altro capo del mondo aveva una voce. I potenti ave-vano una voce! Tutto il mondo iniziò a suonare di annun-ci, di strane lingue, di proclami, di musiche…

Il nuovo secolo, l’ultimo del secondo millennio, stupì i suoi figli di immagini (il cinema, la fotografia) e di suoni.

Tanto più divenne reale quanto più però contempora-neamente divenne fantastico, intangibile, sempre più inaf-ferrabile. Rutilante e colorato, ma anche stupendamente sfuggente. Tanto più vicino quanto più teorico, remoto, e proprio per questo autorevole.

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