L’ultimo minuto - Scienza & Vita Donadio e...L’ultimo minuto 33 VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2008 La...

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L’ultimo minuto 33 VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2008 La scienza ELENA DUSI I legionari dell’antica Roma e i segreti dei virus killer Il racconto GIANNI MURA Campioni in bici musica e poesia il fascino nascosto del Tour de France La scoperta La foresta tropicale in Siberia Sondaggio Ipr Repubblica Tv Aspettando il concerto di Madonna Il video Lily Allen contro Elton John Animali Danni in casa? Alani e chihuahua i più “cari” OGGI SU REPUBBLICA.IT INFLAZIONE E LAVORO: LE PRIORITÀ DEGLI ITALIANI Ilmiolibro.it Votate i migliori incipit VENERDÌ ALLA DONNA NON SERVE PIÙ UN SANTO NATALIA ASPESI D el ministro della giustizia francese, incinta, l’informazione ha rilevato prima l’età (42 anni, per alcuni vecchissima), poi lo stato di single (il che non va tanto bene). Quindi si è scatenata ogni illazio- ne sul fortunato fecondatore, una simpatica folla i cui no- mi fanno pensare, con ammirazione e invidia, che Ra- chida Dati ha sempre saputo scegliere bene i suoi com- pagni. Per ora solo uno, certo il più sempliciotto e il meno di mondo, l’ex premier spagnolo, ha minacciato querele. Ancora inquieta questa autonomia, l’assenza di un re- sponsabilemaschio,checomunqueproteggaesantifichi la famigliola altrimenti mutilata, anche se nessuno dubi- ta che un ministro cattivissimo come Rachida possa be- nissimofaredasé.Mivieneinmenteunabravaattriceche anni fa, fissando la sua meravigliosa neonata, le chiede- va, in milanese, “Ma chi l’è el to’ papà?”. Non credo sia il caso del ministro che sarà costretta, supplicata dal com- pagno stesso per ora tenuto in cantina causa qualche mo- glie inferocita, a esporlo sulla pubblica piazza. MAURIZIO CROSETTI TORINO F orse la morte abita dentro questo schermo di computer che il professore mostra con delica- tezza, voltandolo un po’: è un arcipelago di iso- le blu notte, appena cerchiate di un pallido az- zurro. «L’azzurro è l’ossigeno, vede, ormai è so- lo all’esterno del cervello, tutto il resto non esi- ste più». Da quell’arcipelago non si torna: è la morte cere- brale vista da una “spect”, vale a dire una scintigrafia (li- quido di contrasto, immagine, verdetto). Il professor Pier Paolo Donadio, primario di anestesia e rianimazione al- l’ospedale Molinette di Torino, non ha dubbi: «Io non so- no un filosofo e neppure un teologo, pur essendo un cre- dente. Non so cos’è la morte, ma so quando è avvenuta. E so cosa dice la legge, per la quale la morte cerebrale è “ces- sazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”. Una condizione dalla quale non si riemerge, mai». Un cervello che muore, un corpo che ancora pulsa ma solo perché lo fanno pulsare le macchine, il respiratore, i farmaci. I parenti che aspettano la risposta tremenda, un medico che è testimone infallibile, a presidio di quel- l’ultimo confine come una sentinella che ha combattu- to, più spesso ha vinto («La rianimazione è un luogo di vita, qui si salvano sette, otto persone su dieci») e qual- che volta ha perso. Ma dove abita la morte, professore? «Nel cervello. Il quale si gonfia, per un trauma o una ma- lattia, e la pressione non lascia più entrare sangue e os- sigeno. Dopo venti minuti circa, le cellule muoiono e marciscono. L’encefalo si disfa, diventa poltiglia e sia- mo di fronte a un cadavere che respira artificialmente, però un cadavere senza dubbio». Gli ultimi istanti di una vita sono quasi sempre prece- duti da quella che tecnicamente si chiama “tempesta neurovegetativa”: è il momento in cui, in un certo sen- so, il cervello si rifiuta di morire anche se è già quasi morto. È il punto di non ritorno che il medico rianima- tore segue e accompagna, avendo prima tentato tutto il possibile per evitarlo. «È l’ultima scarica di adrenalina, manifestata da un picco di segni: alterazione del ritmo cardiaco, ipertensione, una sorta di estrema codata del pesce ormai quasi senza ossigeno». Da lì in avanti si è morti anche se non lo è il cuore, non ancora. SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI CARLO ALBERTO DEFANTI Dopo le polemiche sulla morte cerebrale siamo andati tra i medici anestesisti. Ecco i loro racconti sulla fine della vita

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L’ultimominuto

■ 33

VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2008 La scienza

ELENA DUSI

I legionaridell’antica Romae i segretidei virus killer

Il racconto

GIANNI MURA

Campioni in bicimusica e poesiail fascino nascostodel Tour de France

La scoperta

La forestatropicalein Siberia

Sondaggio Ipr

Repubblica Tv

Aspettandoil concertodi Madonna

Il video

Lily AllencontroElton John

Animali

Danni in casa?Alani e chihuahuai più “cari”

OGGI SUREPUBBLICA.IT

INFLAZIONE E LAVORO: LE PRIORITÀ DEGLI ITALIANI

Ilmiolibro.it

Votatei miglioriincipit

VENERDÌ

ALLA DONNA NON SERVE PIÙ UN SANTO

NATALIA ASPESI

Del ministro della giustizia francese, incinta,l’informazione ha rilevato prima l’età (42 anni,per alcuni vecchissima), poi lo stato di single (il

che non va tanto bene). Quindi si è scatenata ogni illazio-ne sul fortunato fecondatore, una simpatica folla i cui no-mi fanno pensare, con ammirazione e invidia, che Ra-chida Dati ha sempre saputo scegliere bene i suoi com-pagni. Per ora solo uno, certo il più sempliciotto e il menodi mondo, l’ex premier spagnolo, ha minacciato querele.Ancora inquieta questa autonomia, l’assenza di un re-sponsabile maschio, che comunque protegga e santifichila famigliola altrimenti mutilata, anche se nessuno dubi-ta che un ministro cattivissimo come Rachida possa be-nissimo fare da sé. Mi viene in mente una brava attrice cheanni fa, fissando la sua meravigliosa neonata, le chiede-va, in milanese, “Ma chi l’è el to’ papà?”. Non credo sia ilcaso del ministro che sarà costretta, supplicata dal com-pagno stesso per ora tenuto in cantina causa qualche mo-glie inferocita, a esporlo sulla pubblica piazza.

MAURIZIO CROSETTI

TORINO

Forse la morte abita dentro questo schermo dicomputer che il professore mostra con delica-tezza, voltandolo un po’: è un arcipelago di iso-le blu notte, appena cerchiate di un pallido az-zurro. «L’azzurro è l’ossigeno, vede, ormai è so-lo all’esterno del cervello, tutto il resto non esi-

ste più». Da quell’arcipelago non si torna: è la morte cere-brale vista da una “spect”, vale a dire una scintigrafia (li-quido di contrasto, immagine, verdetto). Il professor PierPaolo Donadio, primario di anestesia e rianimazione al-l’ospedale Molinette di Torino, non ha dubbi: «Io non so-no un filosofo e neppure un teologo, pur essendo un cre-dente. Non so cos’è la morte, ma so quando è avvenuta. Eso cosa dice la legge, per la quale la morte cerebrale è “ces-sazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo”.Una condizione dalla quale non si riemerge, mai».

Un cervello che muore, un corpo che ancora pulsa masolo perché lo fanno pulsare le macchine, il respiratore,i farmaci. I parenti che aspettano la risposta tremenda,un medico che è testimone infallibile, a presidio di quel-

l’ultimo confine come una sentinella che ha combattu-to, più spesso ha vinto («La rianimazione è un luogo divita, qui si salvano sette, otto persone su dieci») e qual-che volta ha perso. Ma dove abita la morte, professore?«Nel cervello. Il quale si gonfia, per un trauma o una ma-lattia, e la pressione non lascia più entrare sangue e os-sigeno. Dopo venti minuti circa, le cellule muoiono emarciscono. L’encefalo si disfa, diventa poltiglia e sia-mo di fronte a un cadavere che respira artificialmente,però un cadavere senza dubbio».

Gli ultimi istanti di una vita sono quasi sempre prece-duti da quella che tecnicamente si chiama “tempestaneurovegetativa”: è il momento in cui, in un certo sen-so, il cervello si rifiuta di morire anche se è già quasimorto. È il punto di non ritorno che il medico rianima-tore segue e accompagna, avendo prima tentato tutto ilpossibile per evitarlo. «È l’ultima scarica di adrenalina,manifestata da un picco di segni: alterazione del ritmocardiaco, ipertensione, una sorta di estrema codata delpesce ormai quasi senza ossigeno». Da lì in avanti si èmorti anche se non lo è il cuore, non ancora.

SEGUE NELLE PAGINE SUCCESSIVE CON UN ARTICOLO DI CARLO ALBERTO DEFANTI

Dopo le polemiche sulla morte cerebrale siamo andati tra i medici anestesisti. Ecco i loro racconti sulla fine della vita

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Mentre la morte cerebrale continua a

far discutere, i medici anestesisti

raccontano il momento delicato del

passaggio dall’esistenza alla morte

Come avviene e, soprattutto, come

spiegarlo alle famiglieche spesso

non sono preparate al distacco

(segue dalla copertina)

MAURIZIO CROSETTI

Nel l ’uf f ic io delprofessor Dona-dio c’è una mac-chinetta per l’e-spresso. «Portoqui i parenti, pre-

paro il caffè e accendo il com-puter». Ecco l’arcipelago dellamorte blu. «Parlo con loro,spiego con le immagini e mirendo conto di quanto sia diffi-cile accettare non dico la fine,ma la fine di un corpo che è an-cora caldo, che sembra solodormire, che fa la pipì. Duemi-la persone sono in quello statoogni anno in Italia, 200 mila nel

mondo e mai nessuno si è sve-gliato, perché è impossibile».

Cosa succede quando il me-dico deve scostarsi e far passa-re la fine? Come la certifica? Co-me ne prende atto, senza temadi smentita? «Ogni malattia ce-rebrale, così come ogni malat-tia, ha una storia clinica. Io laconosco e parto da lì. Poi verifi-co l’assenza di determinati ri-flessi. Illumino l’occhio, e lapupilla non si restringe. Toccola laringe, e niente tosse. Versodell’acqua gelata nel timpano,e l’occhio resta immobile. Ol-tre, naturalmente, all’assenzadi respiro spontaneo. L’osser-vazione di questi dati dura seiore e viene ripetuta per tre vol-te. Si effettuano gli elettroence-falogrammi e i riflessi del tron-co, lo fanno il rianimatore, ilneurologo e il medico legale. Se

è il caso si procede alla scinti-grafia, ma certamente il per-corso è segnato. Una cosa di-versissima dal coma, dove ilcervello non funziona ma è an-cora vivo. Qui, lo ripeto, si trat-ta di cadaveri».

Torniamo per un momentodavanti alla macchinetta delcaffè. La luce del giorno entra fil-trata, qui al terzo piano, nellostudio del primario. Un pac-chetto di Gauloises sulla scriva-nia, le foto della moglie e dei tre

figli alle pareti, un crocifisso,un’icona. Sulle sedie, i parentidi quel cadavere che ancora re-spira. Capiranno? Perché inquei momenti si parla anche didonazione d’organi. «In tuttiquesti anni non ho trovato un

solo individuo che non abbiacapito, poi elaborare il lutto èun’altra faccenda. Mi chiedonose il loro caro è morto davvero,se è stato fatto il possibile e se c’ètrasparenza nell’assegnazionedegli organi, in caso di eventua-le donazione. Le tre risposte so-no altrettanti sì. Al massimo, ilparente dice: aspettiamo il mi-racolo. E io pacatamente ri-spondo, da credente tra l’altro,che il miracolo non contemplala resurrezione».

In quella terra di nessuno cheè la vita sospesa, in realtà una vi-ta già morta che però mantienealcuni preziosissimi organi, siinserisce il gigantesco tema deitrapianti. Che in Italia nel 2007sono stati 3.020, per un totale di

1.084 donatori. Il dottor Riccar-do Bosco, anestesista, è il re-sponsabile del coordinamentoprelievi della regione Piemonte.«Abbiamo una rete di coordina-tori locali, specialisti che si oc-cupano di donazioni e dei rap-porti con le famiglie dei defunti.Prima di tutto, però, conta la for-mazione: e noi la facciamo per ilnostro personale, compresi icentralinisti e gli addetti alle pu-lizie». Le ultime polemiche sullamorte cerebrale vi compliche-ranno il lavoro? «È presto perdirlo. Di sicuro dovremo infor-mare sempre meglio, usandoanche quel grande strumentoche è Internet». Navigando nelsito “www. donalavita. net” èpossibile saperne di più.

«Lo confermo, le persone chepuliscono le nostre sale operato-rie sanno perfettamente cos’è la

“In tutti questianni non hotrovato un soloindividuo che nonabbia capito”

“Il vero problemaè l’ignoranza, ènon sapere di cosastiamo parlando”,spiega il primario

vita

CRONACA■ 34

R2VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2008la Repubblica

L’INCHIESTA

Quando lafinisce

I casi

MORTE CEREBRALELa morte vienedecretata quandoc’è la certezzadella morte clinica,con assenza dellefunzioni respiratorie eneurologiche.Riguarda la cortecciae il tronco cerebrale

MORTE CLINICALa morte clinicaè l’assenza di alcunisegni vitali (battitocardiaco). Vienedichiarata dopoalcune ore dielettroencefalogrammapiatto, con procedurasorvegliata dai medici

COMA IRREVERSIBILESi parla di comairreversibile quandole lesioni sonocosì gravi da nonpotere essererecuperate. Iparametri: reattivitàpupillare e attivitàelettrica cerebrale

COMA REVERSIBILEIl coma reversibileè lo stato diincoscienza dovuto adanni cerebrali chepossono guarire.Il coma ha quattrostadi: dal superficialeal profondo

Fearless: dialoghi per combattere le paure planetarie

Sotto l’Alto Patronato del

PRESIDENTE

DELLA REPUBBLICA ITALIANA

Con il patrocinio del

MINISTERO DEGLI ESTERI

ROMA, Villa Miani 24 - 26 SETTEMBRE 2008

David Altheide, Jacques Attali, Zygmunt Bauman, Gary S. Becker, Daniel Bell, Edoardo Boncinelli, Joanna

Bourke, Robert Castel, Giuseppe De Rita, Emmanuele F. M. Emanuele, Bill Emmott, Frank Furedi,

Massimiliano Fuksas, Anthony Giddens, James Hillman, Michel Maffesoli, Suketu Mehta, Angela Melo, Esther

Mujawayo, Ellin Nan, Ashis Nandy, Salvatore Natoli, Giuseppe Roma, Roberto Saviano, Pier Luigi Vigna

www.worldsocialsummit.org

World Social Summit è un’iniziativadella Fondazione Roma

realizzata in collaborazione con la Fondazione Censis

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CARLO ALBERTO DEFANTI

Il camice bianco non è una co-razza che mette al riparo i me-dici dalla sofferenza. Assiste-re agli ultimi momenti di vita

di un paziente ti commuove, titocca dentro. Profondamente.Quando ti rendi conto che la fine èvicina, che il paziente sta attraver-sando quella soglia dalla qualenon si torna, si prova dolore. E, in-sieme, ai parenti, si accompagnail malato agli ultimi istanti dellasua vita. Ma c’è una morte che lagente fa fatica ad accettare. Ed è la“morte cerebrale”. Sì perché que-sta morte è qualcosa di invisibile,che non tocchi con mano. Nellanostra testa, un morto è un cada-vere immobile, freddo e privo divita. Ma la “morte cerebrale” è pa-radossale. Sì, perché quel corpo ècaldo e respira grazie alle macchi-ne. Così la gente pensa e spera cheda un momento all’altro quellapersona possa risvegliarsi e torna-re a vivere. Ma noi medici sappia-mo che quando il cervello non ri-sponde più agli stimoli e si spen-gono i riflessi del tronco cerebra-le, non c’è più nulla da fare.

La scienza è una cosa e quel checrede la gente un’altra. Io che so-no neurologo, anni fa fui chiama-to a consulto dai familiari di unagiovane ricoverata in coma, inrianimazione. Loro si aspettava-no il salvatore, l’uomo dei mira-coli. Ma quando, con delicatez-za, spiegai che non c’era più nul-la da fare, confermando la dia-gnosi dei miei colleghi, se la pre-sero con me, diventarono ag-gressivi. Certo, è difficilesopportare l’idea che una perso-na cara, magari tuo figlio o tuamadre, con il corpo ancora caldo,apparentemente solo in coma,sia di fatto morta. Ma la scienza, imedici, hanno gli strumenti pervalutare la situazione. Le sei oredi osservazione dopo la “mortecerebrale” che servono a captareanche la più debole traccia di vi-ta, sono una garanzia per tutti.

È arduo il compito dei mediciche devono spiegare ai parentiqueste cose. I rianimatori che la-vorano in prima linea, non solodevono dare il triste annuncio aiparenti, ma spesso devono poterchiedere il consenso anche per ilprelievo degli organi. Organi cheservono per dare vita ad altre per-sone. Ma la richiesta, a volte, è vis-suta dai parenti come un atto pre-datorio. Sono nel pieno di una tra-

gedia familiare e non voglionosentire altro.

Le polemiche e gli scontri ces-sano invece quando il paziente siavvia verso la morte dopo una ma-lattia cronica, che debilita e segna,giorno dopo giorno, il suo fisico.Quando la medicina era orientatain senso tradizionale, era cioè vol-ta unicamente alla cura della ma-lattia, il medico si sentiva impo-tente di fronte al malato senzasperanze e spesso aveva con lui unrapporto formale e distante. Gliprescriveva i farmaci e basta. Ogginon è più così. Da quando abbia-mo adottato le cure palliative e ri-corriamo di più alla morfina, cheallevia il dolore, noi medici riu-sciamo a stare a fianco del malatosino alla fine. Io, personalmentesono per dire sempre la verità alpaziente. E se un malato, in faseterminale, mi dice: “Dottore, sen-to che sto per morire”, io non gli ri-spondo “ma non è vero, cosa di-ce”. Mentire è sbagliato e preferi-sco dire: “Stai sereno, io ti staròsempre vicino, non sarai solo”. Eallora stare al letto del malato, ac-carezzargli un mano quando oc-corre, dare conforto ai suoi paren-ti diventa un modo per affrontarela morte con più serenità. Perchéè qualcosa a cui si va incontro inmaniera consapevole. Diverso è iltrauma, l’incidente, che, all’im-provviso, trascina una personaverso il coma irreversibile, con la“morte cerebrale” che soprag-giunge e con i parenti attorno a luisconvolti e increduli di fronte allatragedia. La morte invisibile li haprivati di una persona cara, i me-dici confermano che non ci sonopiù speranze ma loro non si vo-gliono arrendere. È una reazionemolto umana questa ma la “mor-te cerebrale” c’è, esiste, si misurascientificamente e va spiegatacon tutta la delicatezza possibileai parenti. Io personalmente, nonsono lontano dalle posizioni diLucetta Scaraffia, autrice dell’arti-colo sull’Osservatore romano cheha sollevato la polemica sullamorte cerebrale: è vero che noimedici dovremmo poterci con-frontare e aggiornare sul concettodi morte cerebrale, elaborato 40anni fa. Questo però senza mette-re in forse i trapianti.

L’autore, neurologo, ha scrittoil libro “Soglie, medicina e finedella vita (Bollati Boringhieri)

ed è stato il neurologodi Eluana Englaro

Testo raccolto da Laura Asnaghi

morte cerebrale». Maurizio Be-rardino, camice celeste (è appe-na salito dal reparto) è il primariodi rianimazione della neurochi-rurgia delle Molinette. Anche lui,ogni giorno, sentinella sul confi-ne della morte. «La quale, non hodubbi, abita là dove non si puòtornare indietro. Il cuore è unmuscolo, il cervello è la sede del-la nostra identità biologica. Lamorte cerebrale non ci coglie maidi sorpresa, è un evento attesoche si sviluppa con passaggi se-gnati e prevedibili, non è un arre-sto cardiaco. Ma questi repartinon sono l’anticamera dell’obi-torio, qui si salvano migliaia dipersone e si lotta per garantire laqualità della vita migliore possi-bile a chi sarà dimesso. Il veroproblema è l’ignoranza, è non sa-pere di cosa stiamo parlando. In

fondo, la medicina è fatta di cosesemplici». Ma la morte, dottore,la morte del cervello si vede arri-vare? «È quell’ultima scarica diadrenalina, è quella tempesta. Ilproblema diventa raccontarlo al-le famiglie, dando loro il tempo diabituarsi all’idea. Spesso bastanoquarantotto ore, altre volte nonsarà sufficiente un’intera vita».

Macchine che soffiano come ilrespiro, monitor che pulsanocon gentilezza. Ma poi cosa suc-cede, professor Donadio? Comesi varca la soglia ultima, un mi-nuto dopo le sei ore di osserva-zione? «In quel momento, il me-dico è di fronte a un preparatobiologico dagli occhi in giù. Fac-cio sempre un esempio: quandomuore una nonna in corsia, mi-ca si tiene la flebo nella vena, do-po. Per la morte cerebrale è lo

stesso: si staccano i tubi». A quelpunto, l’ultimo secondo di vitadel cervello è già trascorso, nonquello del cuore. «Io spengo ilmonitor. Perché mi sembra un’i-nutile agonia anche visiva, quel-l’onda elettrica sul monitor cheperde il passo». Siamo alla fine,adesso sì. «Il cuore, anche senzail respiro continua a battere dinorma per cinque o sei minuti,che nel caso dei giovani possonodiventare venti. Ma quella, damolte ore non era più una perso-na viva». Perché poi l’ultimo pas-so è sempre il penultimo. Resta-no ben vivi coloro che soffrono laperdita. Resta il dovere e il biso-gno delle parole per dirlo, per ri-spondere e chiarire, per confor-tare. «Però le persone capiscono.Io gli voglio bene, ma bene sul se-rio, e loro lo sanno».

L’intervento

Un medico e gli ultimi istanti di un paziente

Il nostro doloretra quei corpi spenti

VENERDÌ 5 SETTEMBRE 2008@

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la Repubblica PER SAPERNE DI PIÙwww.trapianti.ministerosalute.itwww.governo.it/BIOETICAwww.donalavita.net

IN ITALIASono duemila le morticerebrali certificate ognianno nel nostro Paese;nel mondo 200mila