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L'arte nelle corti del Trentino. Ricerca storico artistica e valorizzazione sul web sito web a cura di Jacopo D'Andreamatteo

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L'arte nelle corti del Trentino.

Ricerca storico artistica e valorizzazione sul web

sito web a cura di

Jacopo D'Andreamatteo

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GLI AFFRESCO DI PALAZZO NERO A COREDO

Le scene che compongono l'affresco della Sala del giudizio sono otto e raccontano le singole fasi

della leggenda:

• Nella prima porzione è rappresentato al centro il conte Sigfrido, in procinto di tornare al

castello dopo la guerra contro i saraceni; Golo gli viene incontro sussurrandogli all'orecchio

le falsità sulla sposa. (fig. 1)

Fig. 1

Il ritorno di Sigfrido

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• Nella seconda scena (fig. 2) si vede Sigfrido nelle stanze della moglie pronto a gettare dalla

finestra del castello il figlio di Genoveffa, la quale implora la grazie a mani giunte mentre un

terzo personaggio sembra cercare di far calmare l'ira del conte. L'affresco è molto rovinato,

motivo per il quale si distinguono soltanto le sagome dei protagonisti.

Fig. 2

Sigfrido, in preda all'ira, minaccia Genoveffa

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• Nella terza scena Drako parla con due paggi all'ombra di un albero, probabilmente intento a

diffondere la verità su Genoveffa e sul perfido Golo. (fig. 3)

Fig. 3

Drago parlamenta con due paggi

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• Segue la morte di Drako per mano di Golo (fig. 4) che con la lancia lo trafigge ponendo fine

all'inseguimento a cavallo; curiosa la presenza di un cane tra i due cavalli che abbaia contro

la figura del primo ministro facendo presumere che si tratti del cane di Drako.

Fig. 4

Golo uccide Drako

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• La scena successiva vede Sigfrido a banchetto all'interno di una sala (fig. 5): «la mensa è

imbandita con piatti di pesce, pollo, panini e bicchieri colmi. Il conte seduto nel mezzo, tra

due personaggi (uno è forse Golo?); ai lati stanno in piedi i due paggi, l'uno con le braccia

conserte, l'altro in atto di respingere il cane con un bastone.»1

Fig. 5

Il conte a banchetto

1 A. Morassi, Un nuovo ciclo di pittura profana nel Trentino, <http://www.bollettinodarte.beniculturali.it/opencms/multimedia/BollettinoArteIt/documents/1374489570209_07_-_Morassi_449.pdf>, p. 452.

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• La porzione che segue è centrale in tutto l'affresco: viene rappresentato il supplizio di Golo

tra due grandi alberi (fig. 6); il condannato è sepolto a metà in una fossa tenuto per i capelli

da un giustiziere; un cane gli azzanna il collo mentre il conte lo ferisce con una lancia. Al

centro una grande ruota domina la scena: la presenza di tale oggetto non è casuale poiché si

può intendere allegoricamente come la buona e la cattiva sorte dell'uomo e, più in generale,

come la rappresentazione della fortuna anche se la personificazione del concetto

prevederebbe la presenza di una figura femminile bendata intenta a girare la ruota.2

Fig. 6

Il supplizio di Golo

2 Cfr. M. Battistini, Simboli e allegorie, in S. Zuffi (a cura di), I Dizionari dell'Arte, Electa, Milano, 2002, pp. 310-311.

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• Nell'interno di una casa, dove colpisce la rappresentazione di un soffitto a cassettoni,

Sigfrido tiene una conversazione con una donna (fig. 7) di cui non si conosce l'identità.

Fig. 7

Sigfrido discute con una donna

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• Nell'ultima scena è rappresentato un corteo per il ritorno di Genoveffa dal bosco insieme al

conte, al bambino e ai servitori. (fig. 8)

Fig. 8

Il ritorno di Genoveffa

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La presenza di alcune raffigurazioni apparentemente esterna alla leggenda raccontata portano a

pensare che l'autore anonimo dell'affresco si sia ispirato ad una fonte letteraria rimaneggiata.

Genoveffa compare soltanto due volte – anche se lo stato dell'opera è tale da considerare perse

alcune scene – e durante compaiono personaggi di cui non si riesce a trovare l'identità, come la

donna che parla con Sigfrido nella penultima porzione o i due paggi presenti sia a colloquio con

Drako sia durante il banchetto del conte:

Ad onta di queste divergenze dalla leggenda comune e di questi punti oscuri nella interpretazione delle scene,

sembra fuori dubbio che si tratti del racconto di Genoveffa. Il significato stesso della leggenda e il fatto di trovarsi

collocata nella sala di un palazzo di Giustizia ci conferma nella nostra opinione. È evidente infatti che il

committente delle pitture (forse il Vescovo Hack) volle far rappresentare, per mezzo di una leggenda popolare, il

trionfo della verità e della giustizia, col ritrovamento dell'innocente Genoveffa e la condanna del falso Golo.3

Dal punto di vista stilistico il pittore rappresenta il racconto schematicamente limitandosi alle scene

più significative e ai personaggi principali (Sigfrido, Golo, Drako, Genoveffa) seguendo un ritmo

serratissimo; si ripetono spesso gli stessi paesaggi e gli stessi colori come il giallo, il verde e il

rosso, inoltre l'insieme delle pitture permette di cogliere una sorta di visione planimetrica, come si

trattasse di un arazzo.

La stessa linearità e incidenza si può ritrovare negli affreschi rappresentanti le gesta di Teodorico di

Verona che in origine si trovavano al castello di Montechiaro nella Val Venosta, mentre oggi sono

custoditi al Ferdinandeum di Innsbruck; quest'analogia denota la presenza di un arte locale propria

dei luoghi montani; quella di Coredo è indubbiamente più naturalistica rispetto a quella di

Montechiaro perché più vicina nel tempo, eppure entrambe risultano figurativamente lineari e

mancanti di profondità oltre ad essere ispirate ai modelli delle miniature dei Tacuina sanitatis.

3 A. Morassi, Un nuovo ciclo di pittura profana nel Trentino, op. cit., p. 455.