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L’Arte nella riabilitazione psichiatrica Laura Palagini Cinema, fotografia, televisione I° Anno Corso di Laurea in Terapia Occupazionale Facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Pisa

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L’Arte nella riabilitazione psichiatrica

Laura Palagini

Cinema, fotografia, televisioneI° Anno

Corso di Laurea in Terapia OccupazionaleFacoltà di Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Pisa

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La fotografia

L’Arte nella riabilitazione psichiatrica

“Fotografare è trattenere il respiro quando tutte le nostre facoltà di percezione convergono davanti alla realtà che fugge:

in quell’istante la cattura dell’immagine si rivela un grande piacere fisico e intellettuale…fotografare è mettere sulla stessa

linea di mira la testa, l’occhio, il cuore..è un modo di capire che non differisce dalle altre forme di espressione visuale”

 Henri Cartier-Bresson

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La fotografia

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“La fotografia ha dato all’uomo la possibilità di salvare l’essere mediante l’apparenza..la possibilità cioè di trasportare nello spazio e nel tempo l’immagine delle persone e delle cose”

Paul Valery 1934

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Nel 1822 J Niepce scoprì che il bitume di Giudea era sensibile alla luce e lo utilizzò per produrre delle copie di una incisione del cardinale di Reims, Georges d'Amboise. Il bitume di Giudea è un tipo di asfalto che una volta esposto alla luce indurisce. Niepce cosparse una lastra di peltro con questa sostanza e vi sovrappose l'incisione del cardinale. Dove la luce riuscì a raggiungere la lastra di peltro attraverso le zone chiare dell'incisione, sensibilizzò il bitume, che indurendosi non poté essere eliminato dal successivo lavaggio con olio di lavanda. La superficie rimasta scoperta venne scavata con dell'acquaforte e la lastra finale poté essere utilizzata per la stampa.Nacque l’ eliografia

Cardinale Georges d'AmboiseA sinistra l'incisione originale del 1650, a destra la copia in eliografia del 1826 di Niepce

La fotografia: Cenni storici

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Nel 1827, Claude Niepce incontrò a Parigi Louis Jacques Mandé Daguerre: che era un pittore parigino conosciuto per aver realizzato il diorama, un teatro che presentava grandi quadri e giochi di luce, per cui Daguerre utilizzava la camera oscura. A Londra Niepce presentò l'eliografia alla Royal Society, che non accettò la comunicazione perché Niepce non volle rivelare tutto il procedimento. Tornò a Parigi e si mise in contatto con Daguerre, con il quale concluse nel dicembre 1829 un contratto valido dieci anni per continuare le ricerche in comune. Dopo quattro anni, nel 1833, Niepce morì senza aver potuto pubblicare il suo procedimento che nel frattempo si era perfezionato con l’uso del rame, del ioduro d’argento e la camera oscura. Daguerre modificò il contratto e impose il nome dell'invenzione in dagherrotipia, anche se mantenne il contributo di Joseph Niepce.

Natura morta, dagherrotipo del 1837, ad opera di Louis Daguerre

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Le prime fotografie destarono subito l'interesse e la meraviglia per la fedeltà dell'immagine e di come si potesse distinguere ogni minimo particolare, così che alcuni pensarono al fallimento della pittura o una drastica riduzione della sua pratica.

Le foto della fine del XIX secolo sono dei veri e propri ritratti in posa in cui ogni persona è lievemente voltata di tre quarti ed è totalmente rigida. Nelle foto più antiche lo scenario della foto è sempre accuratamente costruito. Ogni scatto, non certamente molto frequente, costituiva una importante documentazione e pertanto meritava grande cura nell'impostazione.

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Dal 1890 fino al 1910 le pose delle foto in studio sono ancora statiche ma la fotografia, nei primi del '900, comincia anche ad  affermarsi come innovativo mezzo di comunicazione. Contemporaneamente ai ritratti vengono infatti scattate fotografie di paesaggi, di guerre e scene di vita quotidiana. Si sviluppa il concetto di documentazione fotografica degli oggetti di pregio artistico e storico e nascono gli archivi di documentazione fotografica dei beni.

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Secondo la concezione dell'epoca, i ritratti dagherrotipici in una famiglia aristocratica venivano associati alla figura femminile, perché di basso costo e più veloci nell'esecuzione, mentre i ritratti a olio andavano al figlio maschio primogenito, che aveva il compito di proseguire la stirpe con il proprio cognome.

Il pregio maggiore della fotografia nella concezione dell'epoca, consisteva nel suo straordinario potere di mimesi : i prodotti della dagherrotipia, in cui alla ricchezza dei particolari si aggiungeva una straordinaria e puntuale definizione dei canoni, erano specchio fedele della natura.

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La fotografi si proponeva allora vari ruoli:

-riprodurre immagini esistenti-sostitutivo ritrattistica domestica-”congelamento” di un tempo, e delle attività dell’uomo-catalogare luoghi, razze, fenomeni sociali

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Sotto il punto di vista artistico, la fotografia diviene un nuovo mezzo espressivo, che inizia a sfruttare maggiormente i vantaggi dell'immediatezza e della fedeltà alla realtà.

Nel 1858 l'immagine Fading away di Henry Peach Robinson, raffigurante una giovane ragazza sul letto di morte circondata dai suoi parenti, venne criticata a causa del soggetto drammatico, ritenuto non opportuno per un'immagine fotografica, considerata ancora solo uno strumento per documentare la realtà e non per interpretarla artisticamente. Se da un lato la fotografia si adoperò per imitare la pittura, quest'ultima utilizzò sempre più frequentemente il dettaglio prodotto dalle fotografie come studio per la realizzazione dei quadri.

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Nel 1866 Peter Henry Emerson dichiarò la fotografia arte pittorica, anche se in seguito ritrattò dichiarando che la fotografia era inferiore alla pittura. Nonostante questo, la fotografia pittorica o pittorialismo conquistò diversi circoli fotografici.

L'inizio del nuovo secolo vide la negazione della fotografia come imitazione della pittura. Il nuovo corso propendeva verso la fotografia pura, diretta, come strumento estetico fine a se stesso. I fotografi scesero in strada e le nuove immagini ritraevano cantieri, metropoli, cieli drammatici, alla ricerca della forma pura o ripetuta, astratta, estetica comune al cubismo e ai nuovi movimenti artistici derivati.

Stairway di Aleksandr Rodchenko, 1930

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Dadaisti, surrealisti e costruttivisti scopriranno che la fotografia non era solo un occhio preciso costituito da un obiettivo e diaframma, ma anche camera oscura e schermo sensibile.

Ciò significava poter manipolare le immagini dando largo spazio al caso e quindi all'imprevisto all'inconscio e al non senso.

Con la sperimentazione e il collage essi contribuirono a rivoluzionare il concetto di arte che arriverà alle estreme conseguenze con il concettualismo degli anni sessanta e settanta.

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Con il progredire delle tecniche fotografiche è possibile individuare per mezzo dell'apparecchio fotografico, fenomeni che sfuggono alla percezione o alla ricezione del nostro strumento ottico, l'occhio.

L'apparecchio fotografico è perciò in grado di perfezionare e in particolare di integrare il nostro strumento visivo

Il segreto delle immagini "scorrette" : viste dall'alto, dal basso, di scorcio, risiede nel fatto che l'apparecchio fotografico riproduce la pura immagine ottica, mostrando così le distinzioni, le deformazioni, gli scorci ecc. otticamente reali, mentre il nostro occhio integra l'immagine ottica con la nostra esperienza intellettuale, mediante legami associativi formali e spaziali, in un immagine concettuale.

G. Chiesa 1980

La fotografia: Considerazioni sul linguaggio

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Con l'arte Concettuale, la fotografia si stacca da ogni legame con la realtà pittorica per acquisire gradatamente un linguaggio suo, non legato a tecniche particolari, ma che abbia in sé dei valori indiscutibili dal punto di vista concettuale.

Il linguaggio figurativo e il segno grafico sono entrambi elementi di comunicazione ma con caratteristiche specifiche autonome.

La comunicazione figurativa fotografica si riferisce sempre e soltanto ad una realtà specifica che può anche essere radicalmente trasformata ma che comunque esiste all'origine della fotografia

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Considerazioni sul linguaggio

G. Chiesa 1980

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La percezione fotografica impiega alcune fondamentali convenzioni che derivano dalla nostra esperienza di osservatori della realtà. Tali convenzioni tendono a stabilire relazioni tra i fenomeni abituali della visione e le reazioni che proviamo davanti alla fotografia. La lettura dell'immagine è anche condizionata da convenzioni sociali e culturali (prospettiva, educazione della percezione...), dalla personalità e dalle esperienze individuali di chi osserva.

Se consideriamo che nemmeno la realtà ha un significato obbligatorio, La fotografia può essere letta:

- per ciò che rappresenta l'immagine (livello denotativo);

- per quello che l'immagine significa (livello connotativo).

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Considerazioni sul linguaggio

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Questo ultimo tipo di lettura deve essere imparato perché non viene oggettivamente raffigurato ma viene istituito dalla tradizione culturale e dai meccanismi psicologici della percezione individuale.

Un'immagine pur possiede un evidente significato primario di realtà raffigurata, è proprio suscitando reazioni emotive, stimolando associazioni, richiamando attenzione, che l'immagine rivela il suo intero potenziale di elemento di comunicazione.

In questo senso la fotografia non è affatto un sistema oggettivo di comunicazione, in quanto ogni lettore può scorgervi dei significati che sono conseguenza del contesto in cui è collocata, della formazione culturale dell'osservatore, del suo patrimonio di esperienze e di conoscenze...

L'aspetto forse più rilevante della comunicazione visiva è l'induzione di significati che superano la forma di presentazione primaria.

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Considerazioni sul linguaggio

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Per leggere una fotografia bisogna porgere attenzione ad:

-contesti-forme-contenuti

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Considerazioni sul linguaggio

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Vi sono molte ragioni per ritenere la fotografia, insieme alle altre forme di espressione artistica già ampiamente utilizzate in contesti terapeutici o educativi, possa essere un valido strumento per approfondire la conoscenza del sè…

D. Ronchi 1998

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Applicazioni in ambito psichiatrico

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Anni 1940. J.L.Moreno e C.Rogers si sono interessati all’impiego terapeutico della fotografia

Bisogna però aspettare gli anni 1960 perché appaiano studi sistematici sulla sua applicazione in terapia. Cornelison e Arsenian pubblicano i primi risultati di uno studio su 16 pazienti schizofrenici. Il metodo terapeutico fu chiamato “esperienza di sé”, ed hanno proceduto scattando con la polaroid una foto ai pazienti, mostrandogliela e discutendone con loro. Gli autori registrarono una forte partecipazione emotiva dei soggetti nella discussione di ciò che vedevano di loro stessi e un miglioramento del quadro psicotico in metà dei soggetti

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L’utilizzo della fotografia in psicoterapia da allora:

- 1967. Von Gerhild Staabs- Anni '70. Kohut- 1973. S.Jennings- 1974. Fryrear, Nuell, & Ridley- 1976. Wolkan- 1977.Ziller, & Smith- 1977. Kaslow e Friedman- 1977, Fryrear- 1978 Rober- Anni '80. Fryrear e Corbit- 1980. Ehrlich & Tomkiewic- 1981. Hogan- 1984. Hunsberger- 1985. D.T.Wessels- 1986 Walker- 1987 Paniagua & Saee

- 1989 L.Hall e S.Lloyd- 1995.Arntzen & Westa- 1996. Castelnuovo-Tedesco- 1999. Novey- 1999. L.Milligan- 1971-72. Fanti- 1984. Peluffo

L’Arte nella riabilitazione psichiatrica Applicazioni in ambito psichiatrico

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Le fotografie: una tecnica micropsicoanalitica applicata in psicoterapia.

Nella pratica micropsicoanalitica, il lavoro in profondità, cioè quello che raggiunge le basi energetiche e pulsionali dell'uomo, si ottiene con la tecnica della seduta giornaliera, di molte ore consecutive, e con i seguenti supporti tecnici: --studio delle fotografie;- studio della corrispondenza;- studio dei disegni dei luoghi di abitazione;- studio dell'albero genealogico; - studio delle registrazioni di alcune sedute.

Peluffo 1984

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Applicazioni in ambito psichiatrico

E’ l'insieme di queste rappresentazioni-affetti e delle loro interazioni filogenetiche e ontogenetiche che definisce l'Immagine, così come la si intende in micropsicoanalisi. La descrizione dettagliata, per mezzo di lenti elettriche ad ingrandimenti progressivi, delle fotografie personali e di famiglia, recenti e passate, permette di assimilare e di ri-introiettare la propria persona, dalla nascita. Inoltre dà la possibilità di assimilare e di ri-introiettare i personaggi della propria vita madre, padre, fratelli, sorelle, nonni, avi, etc .... Questo lavoro di impregnazione fotografica favorisce il rivissuto delle rappresentazioni-affetti della vita infantile

Peluffo 1984

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Negli anni 80, un lavoro di Courtit-Codoni svolto presso l’Università di Besancon illustra il trattamento di pazienti psicotici ospedalizzati secondo quello che oggi chiamiamo “modello integrato”: psicoterapeutico, con l’impiego di tecniche attive e terapia farmacologica. In quell’occasione fu applicata la tecnica dello studio delle fotografie secondo il modello della micropsicoanalisi.

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Applicazioni in ambito psichiatrico

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Nel periodo 1989-1994 questa tecnica è stata applicata presso il Dipartimento di Salute Mentale di Frosinone.

Le sedute si svolgevano con cadenza bisettimanale della durata di circa 1 ora. I soggetti inclusi nello studio furono

-soggetti che, nel corso dei primi incontri, avevano fatto spontaneo riferimento a materiale fotografico indipendentemente dall’orientamento diagnostico;-soggetti che avevano già effettuato trattamenti psicoterapeutici e che presentavano una ripresa della sintomatologia;-situazioni borderline o psicosi emergenti;-casi in cui il materiale evocativo è scarso e la prepotenza dell’immagine può rappresentare un aggancio percettivo al dato di realtà.

    

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Applicazioni in ambito psichiatrico

Marzi 2004

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7 pazienti che hanno seguito il trattamento hanno raggiunto una buona stabilizzazione rispetto ai sintomi portati al momento dell’accoglienza e migliore compliance con la struttura.In particolare i due pazienti con diagnosi di psicosi non hanno subito ospedalizzazioni nei 5 anni successivi e, pur avendo presentato nuove crisi, si sono avvalsi del trattamento ambulatoriale avendo raggiunto una buona critica delle loro condizioni.

I dati di quell’esperienza, dunque, permettevano di sostenere che la psicoterapia con lo specifico supporto tecnico dello studio del materiale fotografico secondo la micropsicoanalisi, per quanto applicato su scala ridotta, può consentire anche in istituzione degli assestamenti soddisfacenti e costituire uno strumento di intervento.

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Marzi 2004

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La fotografia rappresenta una via di accesso privilegiata alle narrazioni del cliente e questo perché in grado di essere, allo stesso tempo, mezzo espressivo e linguaggio specifico dotato di un proprio codice.

Le foto rappresentano sempre il risultato di un momento percettivo in quanto metafora del modo che il cliente ha di percepire il mondo: del suo modo di essere, di relazionarsi, di vedere quello che gli è intorno (ciò che il mondo crede si aspetti da lui, ciò che crede di poter offrire, ciò che ritiene avere il diritto di ottenere o di dovere fare…).

Le immagini, infatti, non ritraggono una riproduzione fedele della realtà, in quanto la percezione di quest’ultima è soggetta all’interpretazione dell’osservatore. Ciò che ritraggono è una selezione interpretativa di essa, una reinvenzione. Non esiste una realtà universale ed un unico modo di percepirla; la realtà è relativa alla percezione che ognuno ha di essa e il suo significato è strettamente personale, sociale e culturale.

Rossi 1997

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Tale processo percettivo, di tipo visivo, avviene sia nel caso in cui è il cliente a scattare la foto, sia in fotografie in cui il cliente viene fotografato, sia lavorando su foto scelte da lui stesso per descriversi o per descrivere la propria famiglia, i parenti, gli amici…

Nel lavoro con la fotografia all’interno del setting terapeutico, ciò che riveste importanza non è la foto, e criterio che il cliente adotta nella scelta delle immagini da portare o da scattare all’interno del setting stesso.

Questa traccia del percepito ci offre la possibilità di operare un lavoro di consapevolezza, di esplicitazione dei rapporti di figura sfondo tra gli elementi che la foto ritrae. Il terapeuta entra nell’universo razionale del racconto del cliente e ne mette in evidenza le incongruenze ponendo accenti e domande. All’interno di questo percorso, il terapeuta compie un’operazione di facilitazione, di fiorire della memoria, del racconto di sé da parte del cliente. Ad interessare è ciò che la fotografia evoca nel paziente. La fotografia diventa come un diario che viene letto e verbalizzato dalla persona.

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Rossi 1997

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Il lavoro si sviluppa in più fasi: in un primo momento, viene chiesto alla persona di disporre le foto sul pavimento in modo casuale. Questo tipo di disposizione consente una maggiore plasticità sia perché il pavimento rappresenta un’area ampia che offre la possibilità di posizionare le immagini aldilà dei limiti ristretti di un tavolo, sia perché permette al cliente di creare dei percorsi, di muoversi tra le fotografie dando vita a forme.

Una volta disposte le fotografie, ha inizio tra cliente e terapeuta un’operazione di ricostruzione di senso che passa attraverso una serie di domande che in qualche modo esplicitino il motivo per cui sono state disposte in quella particolare posizione e quello che evocano il lui.

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Rossi 1997

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Sono vari i livelli che posseggono una loro valenza terapeutica all’interno del lavoro con le fotografie. Ad esempio, può ricoprire notevole importanza proprio il soggetto fotografato in quanto in grado di rimandare a degli eventi. La fotografia, è un momento, ma intorno a quel momento sicuramente c’è stato un evento, un accadimento, un processo relazionale. Può essere una modalità di lavoro anche andare a ricostruire il movimento che non c’è più nella foto, quello precedente e quello successivo all’istantanea.

Sono associazioni, fantasie, in quanto non sappiamo cosa è successo veramente nella realtà storica, tuttavia, questo giocare con la propria storia è molto probabile smuova il cliente e lo porti a prendere in considerazione nuove cose, alcune delle quali anche disconfermanti ciò che le immagini rappresentano

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Rossi 1997

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Studio condotto presso SEATT (Sezione Aperta per il Trattamento Tossicodipendenti) del carcere di Rimini.

ObiettivoPuò un sistema simbolico di rappresentazione del reale quale è la fotografia fungere da mezzo per operare su vari livelli di consapevolezza, farsi tramite per delle esperienze sull’autopercezione, sull’orientamento spaziale e temporale, sul vissuto autobiografico? La fotografia è stata usata in psicoterapia esclusivamente come strumento narrativo autobiografico, mentre in questa esperienza le immagini vengono costruite nel corso di un laboratorio con contenuti anche tecnici (l’uso della macchina fotografica) per giungere, manipolando materiali, alla reificazione di contenuti spesso astratti, inerenti alla psiche dell’individuo.

Ronchi 1998

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Gli esercizi Ecco ora alcuni degli esercizi proposti per approfondire e sperimentare la funzione sociale della fotografia in quanto reiterazione della memoria affettiva e sostituto oggettuale di realtà.l) Analizzare le immagini ritraenti i membri della propria famiglia o delle persone con cui sussiste un rapporto affettivo; chiedere il confronto tra l’allora ed il presente emotivo ed affettivo, chiedere di ricostruire in sala pose la postura e l’atteggiamento mentale che si aveva nell’istante in cui è stato eseguito il ritratto. 2) Nelle foto di gruppo, immaginare ciascun membro come un punto di forza che attrae e respinge gli altri, modificare le dinamiche di gruppo ritraendo i partecipanti in diverse configurazioni.

Sin dai suoi albori la fotografia ha assunto la funzione sociale di reiterazione della memoria affettiva e di mantenimento della identità familiare attraverso il tramandarsi delle icone di famiglia.

Ronchi 1998

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Foto di famigliaIl percorso del tossicodipendente è spesso caratterizzato dalla rottura con il legame familiare e la ricerca di una nuova identità sociale. Quando viene inserito all’interno del contesto carcerario le foto che ritraggono i momenti felici, le vacanze, rappresentano, testimonianze di un determinato status sociale, sintesi del proprio vissuto che aiutano a ritrovare un legame con il proprio nucleo di origine.

La foto di gruppo congela gerarchie del gruppo stesso, ti posiziona all’interno di un contesto strutturato e ti fornisce l’identità relazionale; difficilmente nel classico ritratto di famiglia patriarcale il nonno non posa al centro. Si tratta semplicemente di giocare con questi elementi creando consapevolezza, in maniera che le scelte di stile di vita, di appartenenza ad un gruppo, di ritualità inerenti ai vari gruppi sia una scelta meditata e consapevole.Il gioco delle maschere, fotografia come conflitto tra ciò che si è e ciò che si vorrebbe apparire, rapporta tra realtà e sistemi di rappresentazione.

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Altri esercizi

1) Interpretare liberamente se stessi in sala pose, con la macchina fotografica azionata da un timer e quindi in assenza di fotografo.2) Stampare un ingrandimento del proprio viso e sviluppare una ulteriore seduta di sala pose dove al posto della propria faccia si utilizzerà la propria immagine o l’immagine di altri membri del gruppo. 3) Tramite l’utilizzo di oggetti di scena e o didascalie, operare dei salti di contesto o di significato, modificando il significato o l’uso di un oggetto o di una immagine.

Il ritratto è uno specchio temporalmente sfalsato di fronte al quale sorge immediata la riflessione su ciò che si era al momento dello scatto e ciò che si è (o meglio, come ci si percepisce). si pone quindi come elemento per una vasta serie di riflessioni: l’io idealizzato, la propria maschera, il tempo come dimensione che separa l’allora fotografico dal presente, e quindi il cambiamento, l’analisi della postura, l’analisi del processo fotografico e di come questo, ben lungi dal documentare, interpreti il reale secondo gli specifici del mezzo

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La fotografia aiuta a pensare, intrecciare storie, mettere in relazione indizi e trovare nuovi significati alle cose. La fotografia aiuta a ricordare, collegare eventi lontani, a guardare oltre l'apparenza, a districarsi nel labirinto dei segni.

Anna D'Elia, critica e storica dell'arte, insegna Pedagogia dell'Arte presso l'Accademia di Belle Arti di Bari.

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