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L’ARDIA E LE CORSE RITUALI ALL’IPPODROMO DI COSTANTINOPOLI di Nicoletta Sanna L’Ardia è una cavalcata che si corre a Sedilo, in Sardegna, ogni anno il 6 e il 7 luglio, e secondo la comune opinione celebra la vittoria di Costantino il Grande su Massenzio nella battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 d.C., esplicitamente richiamata dagli stendardi con la dicitura In hoc signo vinces: Allo stesso modo si diffuse nell’isola il culto dell’imperatore Costantino, venerato come santo dagli ariani e considerato uguale ad un apostolo dai Bizantini. In suo onore e in analogia alle corse, che si tenevano nell’Ippodromo di Bisanzio, si svolgeva e si svolge tuttora una fantasia a cavallo, chiamata ardia; la cavalcata, che è una rievocazione della vittoria riportata dall’imperatore su Massenzio nella battaglia di Saxa Rubra presso il Ponte Milvio, si attua in alcuni paesi dell’isola, ma la più importante è quella che si svolge a Sedilo. I cavalieri che vi partecipano, tutti abilissimi, compiono per sette volte il giro della chiesa di S. Costantino, preceduti da un sacerdote e da tre vessilliferi, che recano tre bandiere, bianca, gialla e rossa; poi si lanciano a corsa sfrenata in una vallata e sempre di corsa girano per tre volte intorno a un recinto, nel quale al centro si erge una croce; infine corrono intorno a un monolito, che la leggenda individua in una donna, trasformata in pietra dal Santo per avere deriso la corsa in suo onore. Il culto del Santo, che in realtà non è stato mai riconosciuto come tale dalla Chiesa latina, era diffusissimo in Sardegna; a lui erano dedicate varie chiese e molti isolani avevano e portano il suo nome. 1 L’origine del nome è ricondotta al termine sardo bardiai, italiano guardare, che risale al germanico wardon. Si tratterebbe quindi di una denominazione di origine germanica, posteriore rispetto all’introduzione greco-bizantina della corsa in Sardegna; 1 A. Boscolo, La Sardegna bizantina e altogiudicale, Sassari 1978, p.106; ma vedi anche pp. 104-105: “La religiosità, molto sentita, non impediva tuttavia ai Sardi di abusare delle chiese; secondo il costume bizantino, in occasione di feste determinate, quali il Natale o il Giovedì Santo, o di feste campestri, nelle chiese dell’isola i fedeli mangiavano e bevevano, spesso ballavano. Le donne durante la Messa o durante le altre funzioni chiacchieravano sovente; nelle piazze antistanti le chiese o nei porticati degli edifici adibiti al culto, talvolta consacrati, si tenevano mercati di generi commestibili e di derrate di vario genere. Era un modo di vivere bizantino, condannato da un Concilio, ma destinato a restare a lungo; nel XVI secolo i sardi durante le feste ballavano ancora nelle chiese e i vescovi erano costretti a intervenire energicamente per sopprimere la consuetudine. Ancora oggi l’usanza di vendere carne e pesce arrosto, dolci e ghiottonerie durante le feste religiose è viva in tutti i paesi dell’isola e nelle piazze fede e peccati di gola si confondono”. www.martinosanna.de 1

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L’ARDIA E LE CORSE RITUALI

ALL’IPPODROMO DI COSTANTINOPOLI

di Nicoletta Sanna

L’Ardia è una cavalcata che si corre a Sedilo, in Sardegna, ogni anno il 6 e il 7 luglio, e

secondo la comune opinione celebra la vittoria di Costantino il Grande su Massenzio

nella battaglia di Ponte Milvio del 28 ottobre 312 d.C., esplicitamente richiamata dagli

stendardi con la dicitura In hoc signo vinces:

Allo stesso modo si diffuse nell’isola il culto dell’imperatore Costantino, venerato come santo

dagli ariani e considerato uguale ad un apostolo dai Bizantini. In suo onore e in analogia alle

corse, che si tenevano nell’Ippodromo di Bisanzio, si svolgeva e si svolge tuttora una fantasia a

cavallo, chiamata ardia; la cavalcata, che è una rievocazione della vittoria riportata

dall’imperatore su Massenzio nella battaglia di Saxa Rubra presso il Ponte Milvio, si attua in

alcuni paesi dell’isola, ma la più importante è quella che si svolge a Sedilo. I cavalieri che vi

partecipano, tutti abilissimi, compiono per sette volte il giro della chiesa di S. Costantino,

preceduti da un sacerdote e da tre vessilliferi, che recano tre bandiere, bianca, gialla e rossa;

poi si lanciano a corsa sfrenata in una vallata e sempre di corsa girano per tre volte intorno a

un recinto, nel quale al centro si erge una croce; infine corrono intorno a un monolito, che la

leggenda individua in una donna, trasformata in pietra dal Santo per avere deriso la corsa in

suo onore. Il culto del Santo, che in realtà non è stato mai riconosciuto come tale dalla Chiesa

latina, era diffusissimo in Sardegna; a lui erano dedicate varie chiese e molti isolani avevano e

portano il suo nome.1

L’origine del nome è ricondotta al termine sardo bardiai, italiano guardare, che risale al

germanico wardon. Si tratterebbe quindi di una denominazione di origine germanica,

posteriore rispetto all’introduzione greco-bizantina della corsa in Sardegna;

1 A. Boscolo, La Sardegna bizantina e altogiudicale, Sassari 1978, p.106; ma vedi anche pp. 104-105: “La religiosità, molto sentita, non impediva tuttavia ai Sardi di abusare delle chiese; secondo il costume bizantino, in occasione di feste determinate, quali il Natale o il Giovedì Santo, o di feste campestri, nelle chiese dell’isola i fedeli mangiavano e bevevano, spesso ballavano. Le donne durante la Messa o durante le altre funzioni chiacchieravano sovente; nelle piazze antistanti le chiese o nei porticati degli edifici adibiti al culto, talvolta consacrati, si tenevano mercati di generi commestibili e di derrate di vario genere. Era un modo di vivere bizantino, condannato da un Concilio, ma destinato a restare a lungo; nel XVI secolo i sardi durante le feste ballavano ancora nelle chiese e i vescovi erano costretti a intervenire energicamente per sopprimere la consuetudine. Ancora oggi l’usanza di vendere carne e pesce arrosto, dolci e ghiottonerie durante le feste religiose è viva in tutti i paesi dell’isola e nelle piazze fede e peccati di gola si confondono”.

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probabilmente giunta attraverso l’italiano come la maggior parte delle parole germaniche

nel sardo, peraltro rare. Il fenomeno non è affatto inconsueto, ma lo Spano ne dubitava:

“Ardia poi par sia corruzione di Guardia… Però, ancorché ciò sia tanto plausibile, stenterò

a credere, non rimonti ad origine più antica”; e poco sopra: “Certo che questa tal corsa

dev’essere in memoria di qualche gran battaglia del grande Costantino”. 2

La corsa sarebbe stata introdotta in Sardegna dai soldati greci, di stanza nell’isola a

partire dal VI secolo d.C., a imitazione delle corse tradizionali dell’Ippodromo di

Costantinopoli. 3

Costantinopoli aveva ereditato da Roma la passione delle corse e degli esercizi

equestri; ma nella “Nuova Roma”, ancor più che nell’antica, l’ippomania infuriava presso

tutte le classi sociali, tanto che numerosi imperatori manifestarono un gusto smodato per

le corse e qualcuno arrivò perfino a scendere personalmente in campo come auriga4.

L’Ippodromo era il cuore sociale di Costantinopoli, la cui fondazione era stata

caratterizzata dalla concessione al popolo, da parte di Costantino, dell’annona e

dell’Ippodromo (panem et circenses), all’interno di una politica consistente nel legare il

popolo della città alla persona dell’imperatore.

2 S. Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, I Dialetti Italiani – Dizionario Etimologico, Torino 1998; M.L. Wagner, DES – Dizionario etimologico Sardo, Cagliari 1989, alla voce gwardare: “E’ il luogo da dove si guarda uno spettacolo, soprattutto le cavalcate che si fanno in onore delle feste”; G. Spano, Di alcuni giochi equestri in feste popolari della Sardegna e specialmente della Sartilla di Oristano, Carteggio, ms. 48/3099.1, Biblioteca Universitaria di Cagliari: “Di queste Ardia, la più completa, e che con maggiore perfezione si eseguisca, è quella di Sedilo. Come in tutte le altre, così in questa ogni cavaliere, od almeno i capifila, han le loro bandiere, che danno in dono alla Cappella; la bandiera del Capitano è conservata nella Chiesa, ed ha i colori dell’Impero Greco. Tutti quelli che, o per voto o per semplice curiosità, partecipare vogliono alla corsa, vanno in un’altura a riunirsi al Capitano. Da questa altura scendono con grande rapidità, penetrano nel portone, salgono alla collina, ove a cavaliere è posta la Cappella, lasciando a sinistra un recinto che ha in mezzo una croce greca, e che serve per la seconda corsa. Una turba di pedoni, uomini e donne, scarmigliati, scalzi, che si disciplinano, e che van cantando queste strane lodi, od inno di guerra: Chereu, chereu=Su pennone meu; Santu Antinu=Imperadore e Re, ecc., fa già i suoi giri intorno intorno alla Cappella. I cavalieri sopraggiungono; ed allora una corsa sfrenata dei pedoni, incalzata dai cavalli, vi tien dietro. Certo che questa tal corsa dev’essere in memoria di qualche gran battaglia del grande Costantino. Ma prima che i cavalieri abbiano ultimato i loro tre giri, i pedoni scendono giù al secondo recinto, nel cui mezzo sta la meta, con sopravi una croce greca, e contro questa si stipano rivolgendovi le spalle. E non appena i pedoni son discesi, i cavalieri precipitano giù, rovinosamente, ed in file di dieci e più cavalli girano intorno intorno la meta, con questo però, che non appena han fornito il primo giro, invece di continuare direttamente, si rivolgono su se stessi e lo rifanno a rovescio, per tante volte come nella Chiesa; e ciò finito sempre a corsa sfrenata, sortono dal portone vanno all’altura e si sciolgono. L’istituzione di questa festa si attribuisce ad un sardo, che liberato dalla schiavitù per opera del Santo, gli eresse per devozione e memoria questa Cappella. Ardia poi par sia corruzione di Guardia, imperocché era appunto una guardia d’onore, che dovea fare una tale manovra, per riverire il Feudatario, od il Cappellano, che era in dovere di accompagnare. Però ancorché ciò sia tanto plausibile, stenterò a credere, non rimonti ad origine più antica, specialmente se si bada a quel che si canta da quelli che fanno l’Ardia a piedi”.

3 L’Ippodromo di Costantinopoli è l’unico ippodromo che continuerà a funzionare dopo il VI secolo e fino al XII, dopo la grande diffusione e moltiplicazione in tutto l’Oriente nei secoli IV e V degli ippodromi in quanto potenti fattori di romanizzazione. Cfr. G. Dagron, Architectures et rituels politiques, in Roma Fuori di Roma: Istituzioni e immagini. Da Roma alla Terza Roma, Documenti e Studi, Studi V, 21 aprile 1985, Roma 1994, p. 122 e 125.

4 Michele III (842-867), piuttosto che rinunciare ad una corsa nella quale doveva prendere il via come auriga, ordinò che fossero spenti i fari che annunciavano un’incursione degli Arabi nel territorio dell’Impero. Alla sua morte ebbe il sudario che meritava: una coperta da cavallo. R. Guillaud, Etudes de topographie de Constantinople byzantine, I, Berlino-Amsterdam 1969, pp. 556-561.

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L’Ippodromo era indissolubilmente legato all’atto della fondazione: ultimatane la

costruzione, Costantino gli aveva attribuito un preciso significato politico con la

cerimonia dell’11 maggio 330, poi diventata festa anniversaria della città, caratterizzata

dall’ingresso all’Ippodromo della statua di Costantino vittorioso sul Carro del Sole, con la

Tyche (la Fortuna) della città nella mano levata5.

Anche una moneta di consacrazione coniata dopo la sua morte recava sul verso

l’immagine di Costantino il quale “alla guida di una quadriga, viene portato su da una

mano che gli è porta dall’alto”6.

L’Ippodromo era il centro dell’esaltazione della vittoria imperiale e della prosperità

popolare, indissociabili da Costantino in poi, in un rituale che aveva come attore

principale il popolo e rinnovava perpetuamente il trionfo dell’imperatore attraverso la

celebrazione di “anniversari gloriosi e promesse di avvenire”7. A Costantinopoli, nel 390

l’imperatore Teodosio eresse un obelisco che è il primo importante monumento nel quale

l’imperatore è raffigurato nell’atto di presiedere i giochi (anche se poi Teodosio, quando li

presiedeva, cristianamente distoglieva lo sguardo) e inaugura il tema iconografico, tipico

di Costantinopoli, che lega le corse al trionfo imperiale. All’Ippodromo “l’imperatore ha il

privilegio permanente di essere il solo e perpetuo vincitore: l’Impero Romano riposa su

una teologia della vittoria imperiale”8 che culmina all’Ippodromo, attraverso

l’assimilazione della figura idealizzata dell’eroe eponimo, Costantino, con la persona

dell’auriga vittorioso9.

Costantino è il costruttore dell’Ippodromo; è il fondatore di Costantinopoli, “Nuova

Roma”, sulle rovine di Bisanzio distrutta da Licinio; è il rifondatore dell’Impero Romano

riunificato sotto le insegne del Cristianesimo. Le sue vittorie sono fuori dal tempo, in una

dimensione metastorica che le rinnova perpetuamente nelle corse ritualizzate

dell’Ippodromo. Costantino vive nel suo popolo assicurandone la prosperità, punto di

sintesi e di equilibrio tra Cristianesimo, romanità e reminiscenze di riti agrari ctoni. Le

celebrazioni si inscrivono infatti in un calendario “che fa risorgere alcuni antichi riti

5 G. Malala e Chronicon Paschale, citati in G. Dagron, Costantinopoli: Nascita di una capitale. 330-451, Torino 1991, p. 313.

6 “Una moneta di consacrazione, coniata dopo la sua morte, è indicativa di come la tradizione, che prevedeva la divinizzazione dell’imperatore defunto, potesse venire rinnovata dal Cristianesimo. Descrive molto bene quello che è raffigurato nel verso di questa moneta, che reca in basso la leggenda ‘Roma’, Eusebio di Cesarea: ‘L’imperatore, alla guida di una quadriga, viene portato su da una mano che gli è porta dall’alto’ ”. G.Geraci-A.Marcone, Storia Romana, Firenze 2004, pp. 239-240.

7 J. Gagé, La théologie de la victoire imperiale, in « Revue historique », CLXXI (1933), citato in G. Dagron, Nascita di una capitale, cit., p. 318.

8 Ibidem

9 G. Dagron, Nascita di una capitale, cit., pp. 317-318

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agrari… e in forme che ricordano sempre che la prosperità popolare è un criterio di

legittimità dell’autorità imperiale (la distribuzione di viveri durante la festa dell’11

maggio, a ricordo dell’istituzione dell’annona civica)”10.

Il momento del massimo successo delle corse e dei fantini, celebrati come vere e

proprie “vedettes mediatiche”11, fu proprio nel VI secolo, quando a Costantinopoli si

arrivò a disputare fino a cinquanta corse al giorno, venticinque al mattino e venticinque

al pomeriggio, come ci attestano gli epigrammi dedicati agli aurighi nell’Antologia

Planudea e nell’Antologia Palatina12.

In un anonimo testo dell’VIII secolo, le Parastaseis13, due versi (il quinto e il sesto)

dell’epigramma XV, 44 dell’Antologia Palatina, dedicato all’auriga Porfirio, sono citati a

proposito della statua di Costantino alla guida del Carro del Sole: ei/lev

paliénorson i|maésqlhn, w|v deè dièv h|bhésav maiéneai e\n stadié§ (hai scagliato all’indietro la

frusta, come in una seconda giovinezza infuri nell’arena). L’autore delle Parastaseis cita

questi versi tra le acclamazioni rivolte a Costantino vittorioso. “Ma tutta una tradizione

ricama sul tema di una lotta armata fra Costantino e Biza associato ad Antes (etimologia

leggendaria di Bisanzio) considerati entrambi come generali di Licinio (…) trasforma in

acclamazione delle fazioni alcuni versi che l’Antologia attribuisce al cocchiere Porfirio. Non

vi è nulla di verosimile in tutto ciò; ma l’idea di contrapporre, nel cuore stesso della città,

in un combattimento simbolico modellato sulla guerra effettiva del 324, i due fondatori

Biza e Costantino, di far colare il sangue “pagano” per assicurare la vittoria

dell’imperatore “cristiano”, rivela il senso profondo della cerimonia dell’Ippodromo, che

appare qui drammatizzata dall’immaginazione popolare, trasfigurata mediante un sottile

uso dei simboli, ma nient’affatto tradita nel suo significato”14.

10 Idem, p. 319. Cfr. citazione da A. Boscolo in nota 1.

11 G. Dagron, L’organisation et le déroulement des courses d’après le Livre des cérémonies, Travaux et Mémoires du Centre de Recherche d’Histoire et Civilisation de Byzance, 13, Paris 2000, p. 158

12 L’auriga Costantino vi è celebrato per avere vinto venticinque corse in una mattina.

13 Parastaseis Syntomoi Chronicai, in Scriptores Originum Constantinopolitanarum, ed. Th. Preger, Leipzig, 1989

14 G. Dagron, Nascita di una capitale, cit., pp. 314-315.Cfr. anche A. Cameron, Porphyrius the Charioteer, Oxford 1973, p.110: ”The Parastaseis are so stuffed with such staggering absurdities and confusions (especially where Constantine is concerned) that it is seldom worth even attempting to explain them, much less sift out the few grains of historical fact behind them. But it is possible to make a plausible guess at the source of part at least of this particularly dazzling fatuity. The complete collection of charioteer epigrams contains, in addition to thirty-two epigrams on Porphyrius, fourteen on another sixth-century charioteer, one Constantine. Now the statue in Parastaseis is of a four-horse chariot, and it is associated with a Constantine and a victory. A different Constantine, of course, and not a victory in the hippodrome. Nor is the epigram in question even about Constantine the charioteer in first place. But for someone who was familiar with the epigrams, the preliminary confusion between the charioteers Porphyrius and Constantine is at least comprehensible. A direct confusion between the charioteer Porphyrius and the Emperor Constantine is not. So our author quoted this couplet because he misremembered it as referring to a Constantine whom (of a piece with the fantastic ignorance that brightens his every page) he cheerfully took to be Constantine the Great!” (Le Parastaseis sono talmente infarcite di tali sconcertanti assurdità e confusioni – specialmente quando si tratta di Costantino – che raramente vale la pena

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In questa trasfigurazione simbolica la tradizione indica Licinio come antagonista

esemplare di Costantino.

La loro contesa, così come il conflitto con Massenzio, ebbe origine nell’implosione

del sistema tetrarchico, imperiale quadriga voluta da Diocleziano alla guida dell’Impero.

Costantino era figlio di Costanzo Cloro, augusto d’Occidente: alla morte di questi nel

306 l’esercito di stanza in Britannia acclamò augusto d’Occidente Costantino, che si trovò

a contendere con:

- Severo, augusto d’Occidente designato secondo il meccanismo del sistema

tetrarchico;

- Massenzio, figlio dell’ex augusto Massimiano, acclamato a sua volta augusto

d’Occidente due mesi dopo, a Roma;

- Massimiano, ex augusto rientrato in corsa;

- Licinio, designato nuovo augusto d’Occidente nel 310 da Diocleziano, Massimiano

e Galerio nella speranza di risolvere il pasticcio;

- Galerio, augusto d’Oriente;

- Massimino Daia, cesare d’Oriente.

Il definitivo sfacelo del sistema tetrarchico culminò, dopo la morte di Massimiano e

Galerio, con la guerra tra Licinio e Massimino Daia per la divisione dell’Oriente, e tra

Massenzio e Costantino per la supremazia in Occidente. Fu durante questa campagna

contro Massenzio che Costantino fece incidere per la prima volta sugli scudi dei suoi

soldati il monogramma di Cristo. Infatti, racconta Eusebio di Cesarea, mentre si trovava

ancora in Gallia Costantino ebbe la visione di una croce col motto touét§ niéka (in hoc signo

vinces) e vide in sogno il labarum, lo stendardo crociato col monogramma di Cristo che in

seguito avrebbe fatto approntare15.

Il 28 ottobre 312 sotto quelle insegne Costantino sconfisse Massenzio nella battaglia

di Ponte Milvio, presso Roma. Da quel momento quelle insegne, quel motto, seguiranno

Costantino in tutte le battaglie, e le immancabili vittorie.

di sforzarsi di spiegarle. Ma è possibile azzardare una plausibile congettura sulla fonte di almeno una parte di questa sciocchezza particolarmente fulminante. La collezione completa degli epigrammi degli aurighi contiene, in aggiunta ai trentadue su Porfirio, quattordici epigrammi su un altro auriga del VI secolo, tale Costantino. Ora, la statua, nelle Parastaseis, è un carro a quattro cavalli, ed è associato a un Costantino e a una vittoria: un diverso Costantino, è ovvio, e non una vittoria all’Ippodromo. Anzitutto nemmeno l’epigramma in questione è su Costantino l’auriga. Ma per qualcuno che aveva familiarità con gli epigrammi, la confusione preliminare tra gli aurighi Porfirio e Costantino è almeno comprensibile; una diretta confusione tra l’auriga Porfirio e l’imperatore Costantino non lo è. Così il nostro autore ha citato questo distico perché l’ha ricordato male come riferito a un Costantino che – in linea con la fantasiosa ignoranza che illustra ogni sua pagina – egli allegramente ha preso per Costantino il Grande!)

15 Eusebio di Cesarea, Vita Constantini, I, 27, 31. Lattanzio invece riferisce che Costantino fece un sogno, alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, nel quale fu avvertito affinché contrassegnasse gli scudi col simbolo divino: “commonitus est ut caeleste signum dei notaret in scutis”. De mortibus persecutorum, 44

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Dopo la sconfitta e la morte di Massenzio, Costantino e Licinio si incontrarono a

Milano, dove congiuntamente promulgarono l’Editto di tolleranza (313) che, concedendo

libertà di culto, portò al riconoscimento ufficiale del Cristianesimo in tutto l’Impero. Ma,

con la morte di Massimino, l’alleanza tra Costantino e Licinio, rimasti ormai in due a

contendersi l’Impero, si volse presto in guerra: nell’ottobre del 314 Costantino sconfisse

Licinio a Cibale, in Pannonia, e poi di nuovo in Tracia, presso Adrianopoli, al Campus

Ardiensis16.

La pace successiva riconobbe a Costantino la legittimità di augusto d’Occidente,

titolo che gli era stato solennemente attribuito dal Senato di Roma all’indomani di Ponte

Milvio, e che Licinio, nel corso del conflitto, aveva rimesso in discussione; nonché il

governo di Pannonia, Illirico, Macedonia, Grecia e Mesia. In Europa Licinio mantenne il

controllo della sola Tracia17.

Questo accordo non attenuò la reciproca diffidenza né migliorò i rapporti tra i due

imperatori, aggravati da rinnovate manifestazioni di ostilità nei confronti dei cristiani da

parte di Licinio18.

Durante questa seconda guerra Costantino rispolverò il labarum: in hoc signo vinces.

Ed effettivamente non perse mai una battaglia.

Il 3 luglio 324 Costantino riportò su Licinio una straordinaria vittoria in battaglia

campale, ancora una volta presso Adrianopoli. Ecco la descrizione che ne fornisce sir

Edwin Pears in quello che è stato definito “the best study of the campaign”:19

16 Excerpta Valesiana, Biblioteca Scriptorum Graecorum et Romanorum Teubneriana, Leipzig 1968: “in campum ardiensem ab utroque curritur”.Per la lezione ardiensem, cfr. H. Grégoire, Deux champs de bataille: “Campus Ergenus” et “Campus Ardiensis”, Byzantion, 13, 1938, pp. 585-586: «Le Campus [M]ardiensis ne peut donc être que la plaine de l’Arda, Campus Ardiensis».

17 The Cambridge Ancient History, vol. XII, 1971, p. 692: “…at Campus Mardiensis… a second battle was fought with

great determination, but with indecisive result… Constantine gained the provinces of Pannonia, Illyricum, Macedonia, Greece and Moesia, while in Europe Licinius retained only Thrace. Licinius sacrificed his newly created Augustus Valens, and an attempt to secure the recognition of his own son as Caesar was deflated by Constantine”.Ma davvero fu incerto l’esito di questa battaglia? Lo afferma Zosimo, lib. 2, cap. 19: "Pollw%n deè kaiè a\nariqmhétwn e\x e|kateérou pesoéntwn th%v te maéchv i\sopalou%v genomeénhv e\k sunqhématov a\llhélwn e\cwriéstqh taè strateuémata" (caduti in tanti, innumerevoli, da una parte e dall’altra in una battaglia alla pari, gli eserciti si separarono di comune accordo); ma cfr. Excerpta Valesiana, cit., 17-18: “…in campum ardiensem ab utroque curritur et post dubium ac diuturnum proelium Licini partibus inclinatis profuit noctis auxilium. Licinius et Valens credentes Constantinum, quod et verum erat, ad persequendum longius ad Byzantium processurum, flexi in partem Beroeam concesserunt” (dopo una battaglia a lungo incerta, alle schiere già piegate di Licinio giovò l’aiuto della notte. Licinio e Valente, credendo che Costantino sarebbe arrivato ad inseguirli fino a Bisanzio (il che era vero), tornati indietro si diressero verso Berea). La battaglia fu equilibrata, ma l’esito non fu incerto, se si concluse con la fuga di Licinio che approfittò del favore delle tenebre per sottrarsi a Costantino che lo cercava per finire il lavoro; e le succitate condizioni della pace successivamente conclusa non mi pare lascino dubbi.

18 Dopo l’Editto di Milano, soprattutto nell’Oriente controllato da Licinio si era tirato un sospiro di sollievo. Ma crescendo il disaccordo con Costantino, dopo il 320 era progressivamente cresciuta anche la persecuzione da parte di Licinio contro la fede cristiana: divieto di riunione nei luoghi chiusi, epurazione di cristiani dall’amministrazione con richiesta ai funzionari di sacrificare agli dei pagani, arresti, confische, condanne. Costantino si atteggiò a difensore del Cristianesimo; Licinio moltiplicò i sacrifici alle vecchie divinità. G.R. Palanque, Storia della Chiesa, 3, Torino, 1939; The Cambridge Ancient History, cit., pp. 693- 695

19 E. Pears, The Campaign against Paganism –A.D. 324, in “English Historical Review”, XXIV, 1909, pp. 1-17. Il giudizio sopra riportato è in The Cambridge Ancient History, cit., p. 695, nota 2.

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Costantino, lasciando Salonicco probabilmente nei primi giorni del giugno 324, guidò il suo

esercito verso Adrianopoli, una città che aveva già giocato, come avrebbe fatto

successivamente per molti secoli, una parte importante nella storia della penisola balcanica. E’

situata nella biforcazione costituita dalla confluenza della Maritza (l’antico Ebro) e del suo

tributario Tungia, un nome che riecheggia l’antico nome Tonus. E’ sulla riva orientale della

Maritza e sulla meridionale della Tungia. Il campo di Licinio si stendeva per 200 stadi20 dalla

Tungia lungo il lato orientale della Maritza (Zosimo e Excerpta Valesiana). La sua linea si

stendeva su una così grande distanza affinché egli potesse controllare tutti i guadi nelle

vicinanze. La posizione al di là del fiume era vantaggiosissima, dal momento che la città, e la

regione dove Licinio era accampato, erano in pendenza verso il fiume, mentre la riva opposta

era in molte parti paludosa. Licinio aveva costruito trincee in previsione di un’ulteriore

estrema difesa. Qui egli attendeva di essere attaccato. Costantino, dopo una marcia sotto il

solleone e attraverso un territorio difficile, arrivò alla riva occidentale della Maritza presso

Adrianopoli. Rendendosi conto che i suoi uomini erano affaticati dalla lunga marcia da

Salonicco, e che il suo potente ed esperto nemico aveva rafforzato una posizione naturalmente

vantaggiosa grazie alla sua abilità militare, Costantino non ebbe fretta di attaccare. Per

parecchi giorni le opposte armate rimasero inattive sulle opposte sponde della Maritza, eccetto

che per alcune scaramucce, ingaggiate probabilmente nel tentativo di prendere possesso di

guadi convenienti. Non è facile definire chiaramente quale fosse la tattica precisa di

Costantino; ma appare evidente che dall’esibizione della costruzione di un ponte di zattere

attraverso il fiume, per il quale le sue truppe portavano tronchi dalla foresta, l’attenzione del

nemico fu distratta, e una forza di 5.000 arcieri e 80 cavalieri segretamente attraversò il guado

e si nascose nella foresta. Allora Costantino, presi con sé 12 cavalieri, attraversò il fiume anche

lui, probabilmente con la copertura dei 5.000 arcieri, e diede il via ad un assalto contro il

nemico durante il quale il grosso del suo esercito attraversò il fiume a quanto pare senza

opposizione. Nel mezzo della battaglia che subito ebbe luogo Costantino riuscì a costringere il

nemico a lasciare il suo campo fortificato e a combattere dove non aveva vantaggio di

posizione. Lo scontro generale ebbe luogo il 3 luglio [...] Il suo esercito ben disciplinato e

largamente composto di veterani era un osso troppo duro per gli uomini dell’Asia Minore al

comando di Licinio che, benché più numerosi, erano mal disciplinati. Nondimeno la battaglia

fu combattutissima e continuò per tutta l’intera lunga giornata di luglio. Era ormai il tramonto

quando il campo di Licinio fu preso. Presto la battaglia divenne un “si salvi chi può”. I caduti

dell’esercito di Licinio furono 34.000. Nei giorni seguenti molti che erano fuggiti dal campo di

battaglia si arresero e, su invito di Costantino, si unirono al suo esercito; altri li perdonò, e

permise loro di tornarsene a casa. Il resto fuggì con Licinio a Bisanzio. Sebbene Costantino

avesse riportato una leggera ferita, aveva conseguito una notevole vittoria 21.

20 Lo stadio corrisponde a circa 170 metri; si tratta dunque di uno schieramento lungo decine di chilometri allo scopo, come si vedrà, di controllare i guadi sulla Maritza.

21 E. Pears, The Campaign against Paganism, cit., pp. 5-6.

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http://penelope.uchicago.edu/Thayer/I/Roman/home.html

Risulta evidente che Costantino, essendosi accampato presso la riva occidentale della

Maritza, a partire dalla confluenza con la Tungia subito dopo la confluenza con l’Arda, si

trova a fronteggiare l’esteso schieramento di Licinio dalla valle dell’Arda. Ci troviamo di

nuovo, al seguito di Costantino, nel Campus Ardiensis presso Adrianopoli, l’attuale Edirne.

E’ da qui che egli, alla testa di un drappello di 12 cavalieri, guida l’assalto al campo di

Licinio.

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Con la battaglia di Adrianopoli del 3 luglio 324 Costantino fu padrone di tutta l’Europa,

eccettuata Bisanzio, dove Licinio si era asserragliato. Mentre il figlio Crispo riportava una

vittoria navale presso l’Ellesponto, Costantino, lasciata la flotta ad assediare Bisanzio,

piombò in Asia Minore: dove, nel settembre dello stesso anno, ottenne a Crisopoli la

vittoria definitiva e la capitolazione dell’avversario. Licinio dovette riconoscere la

sconfitta ed ebbe salva la vita; ma l’anno dopo, accusato di alto tradimento, fu

condannato a morte.

Costantino era rimasto unico arbitro dell’Impero. La sua epopea vittoriosa alimentò

la sua leggenda, come abbiamo visto; ed è logico che all’Ippodromo, luogo per eccellenza

di celebrazione dei fasti imperiali, ne fossero rievocate le tappe più splendide: in

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particolare quelle battaglie per il cui successo era stata determinante la cavalleria, la cui

crescente importanza si era ulteriormente affermata sotto Costantino.

Egli infatti potenziò e privilegiò la cavalleria, portando a compimento un processo

avviato verso la metà del III secolo da Gallieno e proseguito da Diocleziano, con la

costituzione dei comitatenses, reparti scelti di guardie a cavallo alle dirette dipendenze

dell’imperatore, che vi ebbe un esercito sempre pronto per le necessità di raccordo e

intervento rapido22.

In una infuocata omelia del 399 Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli23, si

scaglia contro i costantinopolitani che, invece di essere in chiesa a partecipare alla Messa,

sono affluiti all’Ippodromo per assistere alle corse dei cavalli. Questo omelia fu

pronunciata domenica 3 luglio 399, come ha efficacemente dimostrato J. Pargoire24.

Nonostante il divieto di celebrare spettacoli e corse la domenica, il 3 luglio 399,

domenica, una corsa si tenne ugualmente, e i costantinopolitani vi accorsero disertando

la chiesa e scatenando le ire del proprio vescovo. E’ ragionevole dedurne che non si

trattasse di una celebrazione istituzionale, visto il divieto, e che si trattasse di una

rievocazione, di una commemorazione, vista la forza della data sulla domenica. Spesso,

come sappiamo, erano commemorate importanti vittorie: e noi conosciamo una grande

vittoria di Costantino su Licinio avvenuta il 3 luglio 324 presso Adrianopoli e la valle

dell’Arda; nome che se non ci è riferito dalle fonti relative a questa battaglia, ci è però

noto dal resoconto di una precedente battaglia di Costantino negli stessi dintorni da

parte dell’Anonimo Valesiano. Quest’ultimo ci descrive in rapidi tratti anche la battaglia

del 324, situandola genericamente presso Adrianopoli25; il cui nome, peraltro, non doveva

22 L’esigenza di corpi di cavalleria mobili ed efficienti era sorto nel basso Impero dalla frequente necessità di fronteggiare gli eserciti germanici e partici, costituiti in prevalenza da formazioni montate; ed è soprattutto ad imitazione della efficiente cavalleria partica - la cui mobilità e potenza, sviluppate nelle ampie piane dell’altopiano iranico, i Romani avevano imparato ad apprezzare loro malgrado – che l’esercito romano, essenzialmente fondato sulla fanteria, evolve fino a fare della cavalleria la propria arma fondamentale.

23 Homelia adversus eos qui ecclesia relicta ad circenses ludos et ad theatra transfugerunt, in Sancti Joannis Chrisostomi Opera omnia, accurante J.P. Migne, tomus VI, coll. 263-270, Petit-Montrouge 1859.

24 J. Pargoire, Les homeliés de saint Jean Chrysostome en juillet 399, in «Echos d’Orient», 3°, 1899, pp. 151-157.G. Dagron, dopo aver sostenuto questa datazione in Nascita di una capitale, cit., p. 352, nota 139, ha recentemente cambiato avviso, ritenendo che il divieto di organizzare le corse ippiche la domenica, già sollecitato dal Concilio di Cartagine del 394, dovesse essere senza dubbio rispettato: “Malgré le savant commentaire de J. Pargoire (...) nous semble préférable de revenir a l’hypothèse de Montfaucon: la série d’événements évoquée dans ces textes date probablement des jours précédant Pâques 399. L’interdiction du dimanche, dejà officielle, est sans doute respectée; celle concernant Pâques, ne porte encore que sur la semaine pascale proprement dite“. G.Dagron, L’organisation et le déroulement des courses, cit., p. 129 e nota 143. Ma Dagron nella stessa pagina ricorda anche che tale divieto fu reiterato per tutto il V secolo dall’autorità civile e religiosa: Teodosio, Arcadio, Onorio, Leone I, Concilio di Trullo (692!). Viene da pensare a Manzoni, che in una nota pagina dei Promessi Sposi ci insegna che norme reiterate significano tutt’altro che leggi rispettate. La forza intrinseca degli argomenti di Pargoire non mi pare affatto intaccata.

25 “Licinius vero circa Hadrianopolim maximo exercitu latera ardui montis impleverat. Illuc toto agmine Constantinus inflexit”(Licinio aveva coperto con un immenso esercito le pendici dell’erto monte presso Adrianopoli. Lì volse Costantino con tutto lo schieramento), Excerpta Valesiana, cit., 24, p. 7.

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essere evocato volentieri in circostanze gioiose dopo la tragica rotta, subita nel 378

dall’esercito romano ad opera dei Visigoti, in cui trovò la morte l’imperatore Valente.

Inseguendo le possibili origini dell’Ardia (che pure ai primi di luglio si corre a

Sedilo) nelle tradizionali corse di cavalli dell’Ippodromo di Costantinopoli, abbiamo

trovato conferma dell’importanza in esse della celebrazione di una teologia della vittoria

legata alla figura dell’imperatore Costantino, ma in particolare in quanto vittorioso su

Licinio; e fra le sue vittorie su quest’ultimo abbiamo avuto la sorpresa di trovarne una

verificatasi in un Campus Ardiensis. Negli stessi paraggi se ne svolse un’altra assai

significativa, un 3 luglio; e la data del 3 luglio la troviamo associata a celebrazioni ippiche

all’Ippodromo, 75 anni dopo.

Indizi suggestivi, o clamorose coincidenze, concorrono a farci pensare che potrebbe

essere esistita una corsa dal nome “Ardia” già all’Ippodromo di Costantinopoli; ma anche

se non possiamo affermarlo, crediamo di poter comunque concludere che già Costantino

corse l’Ardia. 26

26 Cfr. nota 16 e la traduzione di A.F. Spada dagli Excerpta Valesiana: “...ed entrambi gli eserciti raggiunsero il campo dell’Ardia”. A.F. Spada, Santu Antine: La Sagra di San Costantino Imperatore, Sassari 2001, p.130

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