L'archeologia: le virtù degli antichi Romani De Catilinae ... · PDF...

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L'"archeologia": le virtù degli antichi Romani De Catilinae coniuratione, 9 Si definisce "archeologia", in un'opera storica, l'esposizione degli antecedenti remoti: uno sguardo rivolto al passato, insomma, per meglio comprendere il presente. Sallustio, seguendo uno schema desunto dal suo grande modello Tucidide, dopo aver tracciato il ritratto di Catilina, dedica alcuni capitoli, a una vasta panoramica della storia di Roma, partendo dalle origini e rievocandone a grandi linee le fasi salienti. Vengono ricordati i primi contrasti, superati vittoriosamente, con le popolazioni vicine, l'ampliamento progressivo delle conquiste e il dominio incontrastato su molti popoli. S. attribuisce tale irresistibile ascesa alle virtù dei Romani antichi: l'onestà dei costumi, il vivo senso della giustizia, la sobrietà, l'amore disinteressato per la gloria e il disprezzo per le ricchezze. l'esaltazione dell'antica concordia pecca sicuramente di idealizzazione: l'autore dimentica le aspre lotte tra patrizi e plebei che lacerarono la società romana nella prima età repubblicana e offre una spiegazione molto semplicistica dei fattori che resero possibile l'espansione romana in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Questo atteggiamento moralistico, che rappresenta il principale limite di S. come storico, rispecchia un processo di sublimazione del passato piuttosto diffuso nella mentalità tradizionalista romana e che si era accentuato nell'età di Cesare in concomitanza con l'acuirsi della conflittualità interna, sfociata in sanguinose guerre civili. Igitur domi militaeque boni mores colebantur; concordia maxuma, minuma avaritia erat; ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. Iurgia, discordias, simultates cum hostibus exercebant, cives cum civibus de virtute certabant. In suppliciis deorum magnifici, domi parci, in amicos fideles erant. Duabus his artibus, audacia in bello, ubi pax evenerat, aequitate, seque remque publicam curabant. Quarum rerum ego maxuma documenta haec habeo, quod in bello saepius vindicatum est in eos, qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant, quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; in pace vero, quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant et accepta iniuria ignoscere quam persequi malebant. Così in pace e in guerra si onoravano i buoni costumi; la concordia era massima e l'avidità minima; presso di loro il giusto e l'onesto valevano non per forza di legge (lett. per le leggi), ma per natura. Mantenevano accese discordie, rivalità e litigi con i nemici, i cittadini rivaleggiavano tra loro in quanto a valore. Erano solenni nelle cerimonie religiose, sobri nelle abitazioni, fedeli in amicizia. Si preoccupavano di se stessi e dello stato attraverso queste due qualità, l'audacia in guerra e la giustizia in tempo di pace. Delle quali cose io ho queste due massime testimonianze: che più spesso in guerra si adottarono severe punizioni verso quelli che avevano combattuto con i nemici contro un ordine e coloro che, richiamati, si erano ritirati più tardi dal combattimento, piuttosto che chi osava abbandonare le insegne o, colpito, osava ritirarsi da una posizione; che invece in pace praticavano la loro autorità

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L'"archeologia": le virtù degli antichi Romani De Catilinae coniuratione, 9

Si definisce "archeologia", in un'opera storica, l'esposizione degli antecedenti remoti: uno sguardo rivolto al passato, insomma, per meglio comprendere il presente. Sallustio, seguendo uno schema desunto dal suo grande modello Tucidide, dopo aver tracciato il ritratto di Catilina, dedica alcuni capitoli, a una vasta panoramica della storia di Roma, partendo dalle origini e rievocandone a grandi linee le fasi salienti. Vengono ricordati i primi contrasti, superati vittoriosamente, con le popolazioni vicine, l'ampliamento progressivo delle conquiste e il dominio incontrastato su molti popoli. S. attribuisce tale irresistibile ascesa alle virtù dei Romani antichi: l'onestà dei costumi, il vivo senso della giustizia, la sobrietà, l'amore disinteressato per la gloria e il disprezzo per le ricchezze. l'esaltazione dell'antica concordia pecca sicuramente di idealizzazione: l'autore dimentica le aspre lotte tra patrizi e plebei che lacerarono la società romana nella prima età repubblicana e offre una spiegazione molto semplicistica dei fattori che resero possibile l'espansione romana in Italia e nel bacino del Mediterraneo. Questo atteggiamento moralistico, che rappresenta il principale limite di S. come storico, rispecchia un processo di sublimazione del passato piuttosto diffuso nella mentalità tradizionalista romana e che si era accentuato nell'età di Cesare in concomitanza con l'acuirsi della conflittualità interna, sfociata in sanguinose guerre civili.

Igitur domi militaeque boni mores colebantur; concordia maxuma, minuma avaritia erat; ius bonumque apud eos non legibus magis quam natura valebat. Iurgia, discordias, simultates cum hostibus exercebant, cives cum civibus de virtute certabant. In suppliciis deorum magnifici, domi parci, in amicos fideles erant. Duabus his artibus, audacia in bello, ubi pax evenerat, aequitate, seque remque publicam curabant. Quarum rerum ego maxuma documenta haec habeo, quod in bello saepius vindicatum est in eos, qui contra imperium in hostem pugnaverant quique tardius revocati proelio excesserant, quam qui signa relinquere aut pulsi loco cedere ausi erant; in pace vero, quod beneficiis magis quam metu imperium agitabant et accepta iniuria ignoscere quam persequi malebant.

Così in pace e in guerra si onoravano i buoni costumi; la concordia era massima e l'avidità minima; presso di loro il giusto e l'onesto valevano non per forza di legge (lett. per le leggi), ma per natura. Mantenevano accese discordie, rivalità e litigi con i nemici, i cittadini rivaleggiavano tra loro in quanto a valore. Erano solenni nelle cerimonie religiose, sobri nelle abitazioni, fedeli in amicizia. Si preoccupavano di se stessi e dello stato attraverso queste due qualità, l'audacia in guerra e la giustizia in tempo di pace. Delle quali cose io ho queste due massime testimonianze: che più spesso in guerra si adottarono severe punizioni verso quelli che avevano combattuto con i nemici contro un ordine e coloro che, richiamati, si erano ritirati più tardi dal combattimento, piuttosto che chi osava abbandonare le insegne o, colpito, osava ritirarsi da una posizione; che invece in pace praticavano la loro autorità

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con il favore piuttosto che la paura della popolazione e preferivano perdonare le ingiurie ricevute piuttosto che vendicarle.