L’approfondimento Quella mamma disoccupata del terzo … · “Scoprire nuovamente Keynes? Qua...

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“Scoprire nuovamente Keynes? Qua c’è da rispolverare Marx. E pensare al ruolo del settore pub- blico, che dovrebbe essere un da- tore di lavoro di prima istanza”. E’ la tesi di Marco Passarella, ‘Re- search Fellow’ all’Economics Di- vision della Business School del- l’università di Leeds, nel Regno Unito, dove lavora al progetto eu- ropeo ‘FESSUD’. Conseguito il dottorato, nel 2008, all’università di Firenze, ha poi svolto attività di ricerca e d’insegnamento negli atenei di Bergamo, Pavia e Vare- se. Professore, ha così ragione il suo amico, e collega, Emiliano Bran- caccio, quando sostiene che è venu- to il momento di rispolverare le tesi di John Maynard Keynes? “Eh sì. Il professor Brancaccio ci vede bene. Pensi che, fosse per me, sarebbe bene, anzi, rispolve- rare non soltanto le tesi di Key- nes, anche quelle di Hyman Min- sky e, soprattutto, di Marx. Si tratta di restituire alla spesa pub- blica la funzione di volano del- l’economia ‘dal lato della doman- da’. Adottando, contemporanea- mente, anche delle misure legisla- tive che consentano d’imbriglia- re, e segmentare, i mercati finan- ziari. Dall’altro, visto il contesto attuale, serve un ripensamento del ruolo del settore pubblico, che deve divenire un vero e proprio datore di lavoro di prima istanza. In particolare lo Stato. O, nel ca- so fossero investite da un proces- so di reale democratizzazione, le entità sovrastatuali europee, che potrebbero intervenire diretta- mente ‘dal lato dell’offerta’ per pianificare cosa, come e quanto produrre. In particolare, agire e operare sulla composizione della produzione, riorientandola verso la fornitura di ‘valori d’uso’ per la collettività, la riconversione dei settori maturi (il caso, forse più evidente, è il comparto auto), la ri- cerca scientifica, l’individuazione e lo sfruttamento di nuove fonti energetiche ‘pulite’, fino all’infra- strutturazione a basso impatto e alla valorizzazione del territorio. La chiave sarebbe l’accensione di un ‘motore interno’ dello svilup- po europeo. Non soltanto tramite politiche fiscali keynesiane (quin- di espansive), ma prefigurando un nuovo modello di organizza- zione economica e sociale. Inutile aggiungere che, ora, siamo lonta- ni anni luce da una prospettiva si- mile”. Gli interessi di Marco Passarella spaziano dalla macroeconomia monetaria alle teorie dell’instabili- tà finanziaria, dall’analisi classi- co/marxiana dei prezzi e della di- stribuzione fino alla storia e alla filosofia del pensiero economico. Ha pubblicato numerosi saggi su riviste e volumi nazionali e inter- nazionali; è, inoltre, autore di ope- re e di articoli di carattere divulga- tivo. Dottor Passarella, spirano venti di liberalizzazioni e privatizzazioni: i provvedimenti dell’attuale governo incideranno in positivo o sono per- sino troppo poco rispetto a quanto vorrebbero i seguaci di Adam Smi- th? “Qui conviene partire dall’eviden- za disponibile. Negli anni Novan- ta, l’Italia ha conosciuto un impo- nente processo di privatizzazione d’imprese e settori che, un tempo, erano statali. L’esito, com’è noto, è stato il decennio di minor cresci- ta della nostra economia dal Do- poguerra a oggi. C’è di più: quelle privatizzazioni hanno, spesso, ge- nerato un aumento, non una riduzione, dei prezzi. Una delle ragioni è che un’impresa deve garanti- re dei dividendi appetibili per gli azionisti. Inutile, inoltre, aggiungere che le attuali condizioni di mer- cato, con prezzi delle atti- vità ai loro livelli minimi, trasformerebbero tali provvedimenti in regali per la speculazione inter- nazionale. Basterebbero queste osservazioni a to- gliere ogni valenza salvifi- ca ai processi di privatiz- zazione/liberalizzazione ‘reali’. Non quelli solo im- maginati dagli economi- sti nei loro modelli eucli- dei. E a spingere, anzi, a un’inversione di tenden- za rispetto all’esperienza catastrofica degli anni Novanta. Venendo ai provvedimenti ‘concreti’ di cui si sta discuten- do, pare super- fluo notare che le liberalizza- zioni delle li- cenze dei taxi, delle professio- ni o, ancora, della vendita dei medicinali non sono capa- ci di produrre alcun impatto rilevante sulle principali variabili macroecono- miche del Paese. Siamo, dunque, di fronte a una mera operazione ‘promozionale’, il cui scopo è mo- strare che i ‘sacrifici’ imposti dal governo ricadono su tutte le cate- gorie sociali. La verità è che, pure stavolta, a pagare veramente sa- ranno i lavoratori salariati (siano essi precari o ‘garantiti’) e i pen- sionati. In generale, le fasce di red- dito medio basse”. Quali sono i punti di criticità del mercato del lavoro italiano rappor- tato ai principali Paesi europei e agli Stati Uniti? “Il suo quesito ammicca, involon- tariamente, all’idea che livello e composizione dell’occupazione di uno Stato dipendano dalle con- dizioni di contrattazione vigenti. Dove? Nel cosiddetto ‘mercato del lavoro’. Un’idea che costitui- sce uno dei fondamenti del pensie- ro (economico) dominante. Tale visione si fonda, però, su un para- dossale rovesciamento della dire- zione del nesso causale tra occu- pazione e produzione. Non è, in- fatti, la presenza di ‘imperfezioni’ nel mercato della forza lavoro a vincolare le possibilità d’impiego. E, quindi, i livelli produttivi. Al contrario, è la domanda effettiva di merci e di servizi che ne stimola la produzione e, percorrendo que- sta strada, determina numero e composizione degli occupati. Ci rifletta. L’elevato livello di disoc- cupazione e di sottooccupazione che si registra oggi in Italia e nelle altre periferie europee deriva pro- prio dalla mancanza di una ‘fonte autonoma’ di domanda aggrega- ta: investimenti privati, spesa pub- blica in disavanzo, esportazioni nette e/o consumo a credito. Non certo colpa di un presunto ecces- so di rigidità del mercato del lavo- ro. Pensi che, in tale contesto, al- tre iniezioni di flessibilità posso- no soltanto peggiorare la situazio- ne. Perché, se da un lato, riducen- do il potere contrattuale e, quin- di, i salari dei lavoratori, aumen- tano i profitti per unità di prodot- to realizzati dalle imprese, dall’al- tro si abbatte la capa- cità di spesa delle fa- miglie. In assenza di una domanda ade- guata, quei maggiori guadagni non si tra- durranno in ulteriori investimenti e in nuo- va occupazione, ma affluiranno sui mer- cati delle attività finanziarie, ali- mentando la speculazione di bre- ve periodo. Con effetti destabiliz- zanti sul sistema. D’altra parte, l’idea di un’Europa a immagine e somiglianza della Germania, quindi di un’area economica vota- ta all’esportazione attraverso il contenimento salariale (relativo), si scontra con la mancanza di un acquirente mondiale di ultima istanza delle merci prodotte. Ruo- lo che non può più essere svolto dagli Stati Uniti e che la stessa Ci- na, che ‘necessita’ di surplus siste- matici della propria bilancia com- merciale, non sarà in grado di compiere per almeno un decen- nio. La sola strada percorribile è, quindi, l’individuazione di un ‘motore interno’ dello sviluppo economico, sociale italiano ed eu- ropeo”. Sia governi di centro sinistra, sia esecutivi di centro destra, da Treu a Sacconi, passando per Biagi, so- no intervenuti sulla flessibilità del lavoro. Dopo anni, guardando al mercato italiano, ritiene che sia stata imboccata la strada giusta? “No. È, anzi, un dato di fatto che la precarietà occu- pazionale e reddi- tuale, che l’intro- duzione dei con- tratti atipici (o flessibili) ha ali- mentato, siano, assieme agli scarsi investimenti in in- novazione e ricer- ca, (sia privati, sia pubblici) uno dei fattori alla base della stagnazione dei livelli di pro- duttività del lavo- ro in Italia. E, quindi, della man- cata crescita del Paese. Come ha ri- levato in uno stu- dio anche l’econo- mista capo del Fondo Moneta- rio, Olivier Blanchard, non c’è al- cuna correlazione indica- tiva tra le differenze na- zionali riscontrabili negli indici di protezione del la- voro e quelle tra i relativi tassi di disoccupazione. Non v’è prova che la mag- giore flessibilità contrat- tuale si traduca in un in- cremento del numero de- gli occupati. Neppure in più crescita economica. La ragione è piuttosto in- tuitiva. Anche ammesso che la prospettiva di un li- cenziamento facile e/o di un rapporto di lavoro me- no vincolante induca le imprese ad assumere di più, consente, altresì, di mandare a casa altrettan- to agevolmente. Da un’iniezione di flessibili- tà, dati tutti gli altri fatto- ri, quello che ci si può ra- gionevolmente attendere è, dunque, un aumento della variabilità (il turn over, o la ‘varianza’, co- me spiegherebbero gli sta- tistici) delle variabili oc- cupazionali. Non certo un aumento del loro valore me- dio. Un esito tutt’altro che deside- rabile per gli effetti che produce sulle condizioni d’impiego, di red- dito, di vita delle persone, e, di ri- flesso, sulla quantità e sulla quali- tà del lavoro erogato. In effetti, se l’obiettivo del governo è di rende- re le produzioni italiane più com- petitive sui mercati internaziona- li, la direzione da seguire è l’oppo- sta. Si vada verso una stabilizza- zione e una valorizzazione del rap- porto. Che rilanci così la produtti- vità oraria del lavoro”. E’ acceso il dibattito, in Italia, sul- l’abolizione dell’articolo 18. “È evidente che è una discussione pretestuosa. Anche a voler ignora- re che la maggior parte dei nuovi occupati è, oggi, assunta con con- tratti atipici, rispetto ai quali l’ar- ticolo 18 dello ‘Statuto dei Lavo- ratori’ non trova applicazione, il tessuto produttivo italiano è com- posto di una miriade di piccole e piccolissime imprese. Per le quali non vale la possibilità di reintegro del licenziato in modo illegittimo. Che è, invece, una tutela prevista per le realtà con oltre i quindici di- pendenti. Il sospetto è, perciò, che tale provvedimento sia evocato da alcuni esponenti del governo e di Confindustria solo per fare sal- tare il tavolo della trattativa con le forze sindacali sui temi del lavo- ro. L’obiettivo non dichiarato è il definitivo annichilimento del si- stema di contrattazione naziona- le, già messo a dura prova dalle note vicende Fiat/Marchionne. Se il fine perseguito dal governo fosse spingere davvero le imprese a ‘crescere’, (con l’eliminazione della disparità di trattamento legi- slativo), allora si potrebbe argo- mentare che la strada dovrebbe essere l’estensione dell’articolo 18 alle piccole imprese, invece del- l’abolizione”. Per il presidente del consiglio Mon- ti cimentarsi nello stesso lavoro per tutta la vita è monotono. E’ d’accordo? “No. Per nulla. E’ sorprendente che l’affermazione provenga da un docente universitario (nonché ex consulente d’importanti corpo- ration e banche d’affari), già com- missario europeo, neoeletto sena- tore a vita e, infine, primo mini- stro e ministro dell’Economia, delle Finanze del governo italia- no. Una condizione d’iper garan- tito che, da sola, avrebbe dovuto suggerire maggiore prudenza les- sicale nell’affrontare un tema così delicato. Se poi la dichiarazione del presidente Monti è intesa in senso ampio, come un elogio del- le presunte, maggiori, possibilità d’impiego legate all’adozione di contratti ‘atipici’, è un’afferma- zione falsa. Il cosiddetto ‘posto fisso’ non implica, infatti, alcun vincolo alla mobilità del lavorato- re, ma solo alcune tutele del suo impiego. Per esempio, contro il li- cenziamento discriminatorio. L’assunto con contratto a tempo indeterminato è, anzi, sempre (te- oricamente), libero di preferire un nuovo impiego. Per contro, è il precario che, spesso, è nella condi- zione di non poter scegliere, per l’assenza di forme, anche minime, di protezione reddituale e lavora- tiva. Per milioni di giovani italia- ni, d’indeterminato e di ‘monoto- no’ pare esservi, in effetti, soltan- to la propria, endemica, condizio- ne d’incertezza. Comunque la s’interpreti, quella del primo mini- stro suona come una dichiarazio- ne assai infelice. Che, non solo mal si concilia con il presunto ‘sti- le Monti’, ma che dà prova della distanza siderale che si frappone tra la realtà concreta vissuta da milioni d’italiani e la rappresenta- zione che, di essa, ne danno i no- stri gruppi dirigenti. E gli econo- misti mainstream, dei quali il pro- fessor Monti è, non a caso, un esponente di primo piano”. (r.g.) Invece di prendere sempre, co- me degli esempi virtuosi, le na- zioni scandinave o mitteleuro- pee, perché, per una volta, non proviamo noi a brillare per un’eccellenza? Il livello di serie- tà di un Paese spicca per il tasso di funzionamento della giustizia e per il grado di sostegno alle fa- sce sociali meno protette. Anche temporaneamente, non certo a vita. Decidere di avere un figlio nel ‘Belpaese’ non è proprio co- me vederlo nascere, e crescere, in Francia o in Svizzera. Come può l’Italia essere credibile, do- po le politiche che, negli ultimi tre decenni, ha perseguito per il sostegno alle famiglie e alle don- ne? Puntualmente noi, invece, brilliamo per il contrario. Men- tre in Europa lo Stato sostiene, in Italia le famiglie lo sostitui- scono. Le generazioni più vec- chie mettono mano ai risparmi e mantengono quelle giovani. E del mondo femminile chi si occu- pa? Tanto se ne parla, poco si fa. Così, conseguire una laurea, per una donna, non incrementa, in Italia, le possibilità di trovare un posto di lavoro. E coniugare occupazione e famiglia, se ieri era un problema, ora è un’illu- sione. La percentuale di donne italiane che lavora a orario ri- dotto (il 29%) si colloca sotto la media europea (il 31,4%). Molto peggio il confronto con Paesi come la Germania e l’Olanda. Da loro la quota di donne, con il part time, raggiun- ge, rispettivamente, il 45% e il 76%. Ma noi non siamo il Paese dei ministeri alle Pari Opportu- nità e alle Politiche per la fami- glia? Boh. (r.g.) Quella mamma disoccupata del terzo millennio Il dramma di Anna Paola Cavazzuti e il tanto agognato part time La Provincia di Modena ha stanziato 900 mila euro per la formazione delle persone interessate da provvedimenti di esecuzione penale, dipendenze, situazioni di disagio psichico e a rischio di emarginazione sociale. Wwf e la sua ricetta anticrisi La Provincia e i casi di disagio “Il top sarebbe l’eliminazione della burocrazia. Siccome non è possibile, almeno, in Italia, con- teniamo gli iter così farraginosi. Riduciamo quantitativamente le aliquote fiscali, limitandole a due. Abbassiamo, così, la tassa- zione e, quanto risparmiato, la- sciamolo, non dico nelle tasche degli imprenditori, bensì in quel- le dei lavoratori”. Parola di Massimo Zanotti, com- mercialista modenese. Sì, pensa- te, proprio un commercialista. E come lui la pensa pure il suo col- lega Andrea Medici. I due sono commercialisti e revisori contabi- li dello studio A.M.Z. di Mode- na. E ora, sono pure in politica, essendo entrambi i referenti per l’economia e per la tesoreria di Lega Moderna, il movimento che vede al timone i consiglieri comunali Nicola Rossi e Walter Bianchini. Massimo Zanotti rilancia: “Se i soldi rimasti in tasca agli impren- ditori, frutto di una ridotta tassa- zione, fossero investiti in azien- da, allora sì che si creerebbe un circuito più virtuoso. Le risorse si potrebbero trovare con un provvedimento preciso: per esempio, la detassazione totale dei nuovi assunti. E contare su di loro sperando in un aumento del- la domanda dei consumi. Nel contesto modenese non è che vi siano delle grandi società. Proli- ferano, soprattutto, le piccole e le micro imprese. Fra queste, di- verse potrebbero anche trovare una ragione per compiere delle nuove assunzioni. Infine, biso- gna tagliare. E tanto. Ovviamen- te - spiega Zanotti - all’interno della spesa pubblica. Dove si an- nida pure la corruzione. Che al- tro non è se non lo spreco di de- naro. Che va sì a scapito della spesa pubblica, intesa però come la produttiva. Quella che, se s’investisse vera- mente e bene, creerebbe dell’oc- cupazione. Queste enormi cifre, invece, sono stornate e finiscono in altri portafogli. Che non sono quelli pubblici. Si crea così un cir- colo vizioso. E’ una piaga assolu- ta. Se in Italia c’è un partito che non esiste più, e perde, non si sa come, 13 milioni di euro, ecco co- me gettiamo delle risorse che non sono investite. E che, invece, servirebbero per l’occupazione o la ricerca”. Sul livello di pressione tributaria anche il collega di Zanotti va giù duro. “La tassazione? Altro che il 44% - attacca Medici - è molto più al- ta. Il cittadino può superare il li- mite del 50%, ma nelle società si va anche oltre il 100% dell’utile netto. Pensi che ci sono dei bilan- ci in perdita a causa delle impo- ste. E se poi ti presenti in banca, chiedendo il rinnovo dell’affida- mento con un ‘profitti e perdite’ che è in rosso per colpa delle tas- se? Mica te li danno i soldi. Il co- sto del lavoro è alto; non certo per colpa dell’imprenditore. E, purtroppo, gli stipendi dei lavo- ratori non sono capaci di fare da volano ai consumi”. E i furbi? Massimo Zanotti fini- sce così: “Combattere l’evasione fiscale, poi, è certamente diffici- le. In Italia, forse, si poteva at- tuare in epoche precedenti all’at- tuale. Pagare tutti per sborsare meno. Non ho dubbi: il carico fi- scale è un po’ eccessivo da noi. Sono convinto che, abbassarlo, alla fine porterebbe lo stesso a in- cassare quanto s’introita oggi. Non intendo, però, essere frain- teso. Chi gira in Ferrari e non di- chiara niente, e, oltretutto, sem- mai ottiene anche delle agevola- zioni per un asilo o per abitare una casa, è un ladro. E va puni- to”. Sul fronte disoccupazione, inve- ce, Andrea Medici attacca: “Le cifre ufficiali sono più basse delle reali. Con riferimento ai lavora- tori dipendenti, perché gli auto- nomi non si rivolgono certamen- te al Centro per l’impiego. Loro cercheranno di ‘riciclarsi’ in altri ambiti. Il dato dei dipendenti può essere sottostimato, conside- rando le province dove la cultura prevalente non è certo il rivolger- si a un centro per trovare un’oc- cupazione. Non esiste; si opta per il passaparola, l’amicizia o la conoscenza. Certo, la situazione economica generale è gravissi- ma. Anche per le aziende di gran- di dimensioni. Penso, per esem- pio, alla Faral di Campogalliano che impiega centinaia di perso- ne. Quello che mi stupisce è l’at- tuale governo nazionale - prose- gue Medici - che è convinto di au- mentare i posti di lavoro con le li- beralizzazioni delle attività pro- fessionali: avvocati, commercia- listi, notai. E farmacie. A scapi- to, però, della qualità del profes- sionista. Il problema del lavoro non si risolve certo con 5 mila farmacie o con 500 notai in più in Italia. Proprio loro che, ope- rando sia nell’immobiliare, sia nel societario, oggi fanno, in un mese, quello che, anni fa, attua- vano in un giorno. Sono attività già molto difficili, che richiedo- no un livello di preparazione di base decente. Veniamo ai com- mercialisti, per esempio. Se dimi- nuiamo lo standard di professio- nalità, che fine farà la tutela del cittadino? Diciamolo chiaramen- te. Rendere facile l’accesso al me- stiere vuol dire diminuire la pro- fessionalità. E viviamo in un’Ita- lia piena di servizi, dove non si produce quasi più nulla. Si delo- calizza solo - termina il commer- cialista Andrea Medici - e non c’è un’economia reale”. (r.g.) Agiamo, dunque, sulla composizione della produzione, orientandola sulla fornitura di ‘valori d’uso’, in favore di tutta la collettività. Una ricetta anticrisi dal W.W.F. Per l’associazione, grazie a uno studio, “investendo 1 miliardo di euro in infrastrutture e programmi sostenibili in agricoltura, si potrebbero creare 29 mila posti di lavoro in tutta Europa”. Investimenti in agricoltura e la formazione in città Senza un lavoro. Perché, in que- sto Paese, se sei donna, fai figli e dai la priorità al crescerli, lo Stato ti ringrazia, ma poi non ti sostie- ne. Così, fatichi a rientrare nel mondo del lavoro, paghi, senza sconti, la recessione economica, i processi di globalizzazione e, co- me se non bastasse, se proprio ti gira male, perdi anche un pezzo di famiglia. Quando tocchi con ma- no che gli uomini che ti sono stati al fianco per una parte della vita, ti lasciano sola. E’ già dura legger- la, questa storia. Figuratevi viver- la sulla propria pelle, come accade ad Anna Paola Cavazzuti. Una 34enne modenese Doc, che oggi, da sola, cresce due figli. Un 13en- ne che frequenta le medie e uno più piccolo, di appena 4 (mater- na). La situazione della giovane mamma ha, però, un’aggravante. Ex compagni che, nonostante i bambini, non si sperticano nel dar- le una mano. “Ho iniziato a lavorare a dician- nove anni, come commessa all’in- terno di un centro commerciale - dice Anna Paola Cavazzuti - dopo avere chiuso il ciclo delle scuole su- periori. Avevo frequentato, infat- ti, un liceo socio psicopedagogico a Modena. Circa un anno dopo, a venti, ho avuto il mio primo figlio. Per una ragione di orari ho lascia- to il lavoro di commessa. Il nego- zio chiudeva tardi la sera, si lavo- rava il sabato, talvolta pure la do- menica. E avevo un neonato da ac- cudire. Così, cercai un lavoro con degli orari diversi. La prima op- portunità la colsi come centralini- sta. Avevo trovato un’inserzione su un giornale; eravamo a cavallo tra il 2000 e il 2001. Lì, in un cen- tro estetico nel quale non mi trova- vo tanto bene, rimasi nemmeno un anno. Mi appoggiai poi - rac- conta la Cavazzuti - a un’agenzia interinale di Modena. Mi propose- ro diversi lavori. Accettai un po- sto come impiegata in un’azienda di Nonantola. Il mio rapporto con questa impresa è durato da di- cembre 2001 fino alla fine del 2005. Mi trovavo bene; era un’azienda grande, che fa parte di un noto gruppo. Siccome ero alla ricerca di un secondo figlio, avan- zai una richiesta per passare da un tempo pieno al part time. La pro- prietà, però, non mi accolse la do- manda. Mi sono così licenziata e sono andata alla ricerca di un tem- po parziale”. L’obiettivo fu centrato. A Mode- na trovò velocemente un’occupa- zione presso una società di artigia- ni. Era un’impiegata che lavorava in ufficio, seguiva l’amministrazio- ne e la gestione dei cantieri. “Nel frattempo - prosegue la mo- denese - i miei figli erano saliti a due. Alla fine del 2007 ero ancora in maternità, quando i soci si divi- sero. Quello che rimase riuscì a sal- vare tre posti: io come segretaria e due apprendisti, oltre alla società. Non durò molto, però. Tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 l’im- prenditore non ce la fece più a te- nerla in piedi, e lasciò a casa i due dipendenti. Chiudendo la S.r.l. e trasformandola in ditta individua- le. Restai io come impiegata”. Un film, quello della separazione tra i soci che, oggi, drammatica- mente, si rivive in molte zone ita- liane. Tra le cause delle discussio- ni tra gli artigiani, che erano im- piantisti ed elettricisti, c’erano an- che i mancati introiti. Alcuni enti non avevano pagato, erano falliti; dopo avere, però, fatto eseguire degli interventi. Mesi di lavori non retribuiti, che si aggiungeva- no a tutti i costi vivi. Per esempio, per i materiali acquistati. Qualche anno fa la discussione portò così a una separazione tra i soci. Oggi, davanti a crediti non riscossi e alle banche che ti sbattono la porta in faccia, gli imprenditori si ammaz- zano. “Il socio rimasto - svela Anna Pao- la Cavazzuti - ha provato in ogni modo, a tenermi. Il mio costo, pe- rò, era, per quasi un biennio, supe- riore alle entrate. Il titolare non portava a casa lo stipendio. A gen- naio del 2010, valutando la situa- zione complessiva, drammatica per l’azienda, mi ha comunicato che non riusciva più a mantenere il mio posto di lavoro. Sono entra- ta così in disoccupazione. In lista di mobilità già da marzo. Da quel- la data sono stata senza un lavoro per circa undici mesi. In tale perio- do ho avuto riconosciuti gli otto mesi di disoccupazione dell’Inps. Pari al 60% dell’ultimo stipendio, che, ricordo, era un part time. In quei mesi - ammette la giovane mamma modenese - ho inviato non so quanti curriculum a tutte le agenzie interinali. Mi sono pun- tualmente iscritta ai siti internet che ospitano le offerte per la città di residenza. Il quadro finale è sta- to sconfortante. Due chiamate in circa dieci mesi. Uno riguardava un lavoro serale che non ho potu- to accettare, non sapendo come fa- re con i figli. Il secondo era stato un contatto per sapere se ero di- sponibile. Peccato che dopo non mi abbiano mai chiamata. Pensi com’è cambiato il mondo. Un de- cennio fa era bastato che mi rivol- gessi a un’agenzia interinale; a ini- zio 2011, invece, tutto diverso”. Proprio quando la situazione pa- reva preoccupante, nel febbraio 2011, un anno fa, il cellulare di An- na Paola Cavazzuti squilla. Alla donna arriva la telefonata di un suo conoscente. Che era rimasto senza una dipendente che svolge- va il part time. Occasione perfet- ta. La modenese non solo è avver- tita, pure assunta. Con un contrat- to a tempo determinato (scadenza 31 dicembre 2011), con la promes- sa di una trasformazione in inde- terminato. Alla 34enne è chiesto di seguire la contabilità, l’ammini- strazione, oltre alle spedizioni e gli ordini. Un’impiegata tuttofare in un’impresa che ha sede a Modena città, guidata, come visto, da un conoscente, al timone di un’azien- da, una S.r.l. che commercializza degli strumenti elettronici per il mercato audio e video. “La società - racconta Anna Pao- la Cavazzuti - ha poi cambiato se- de, come ubicazione, nell’aprile. A settembre il titolare ha deciso di assumere anche sua moglie, rite- nendo, mi disse, che il volume di affari crescesse. Anche se non so sulla base di quali criteri lo pensas- se. A novembre mi ha comunicato che avrebbe tenuto la moglie a la- vorare nell’impresa, che io sarei ri- masta a casa. E pensare che mi aveva assunto ottenendo delle age- volazioni, perché ero in mobilità. Oggi sono disponibile a fare qua- lunque lavoro, chiaramente che possa combaciare con l’impegno di crescere due figli, quindi un part time. Se tornassi indietro? Compirei le stesse scelte. Sono soddisfatta del percorso che ho maturato; quando io lavoravo già da 6/7 anni, e ne avevo 25, le mie coetanee, semmai con in tasca un titolo di studio più elevato, come la laurea, erano messe come me al- l’inizio. Erano delle commesse. Farmi tanta esperienza è stata una buona scelta; ovviamente per chi, come me, aveva dei progetti lavorativi che non m’imponesse- ro, ovviamente, un passaggio in un ateneo. Proprio per ciò che ho toccato con mano, ho capito che nelle aziende italiane c’è molta di- sattenzione, poca responsabilità. Ci sono persone che sono lì a scal- dare le sedie, ma così pagano e ci rimettono anche quelli che lavora- no bene. Oggi, è vero, i lavoratori sono poco tutelati; in passato, pe- rò, assumendo tutti con contratto a tempo indeterminato, avevamo chi, dopo anni, si adagiava e non rendeva più. E ora c’è poco spazio per i giovani, le donne. E le fami- glie ne risentono tantissimo. Non posso passare il mio tempo - termi- na la mamma - a dire ‘oddio non ce la farò’. Devo, invece, cercare di lavorare, pensare ai bambini e tirare fuori le unghie con chi di do- vere. Pensi che ho anche continua- to a coltivare le mie passioni. Ho completato un corso di truccatri- ce. Peccato che, per continuare a praticare la professione, avrei do- vuto trasferirmi. Cambiare città, spostarmi a Milano, dove c’è lavo- ro per le truccatrici”. Ancora una volta nella vita, inve- ce, la Cavazzuti ha dato priorità alla famiglia. Chapò. Piccola industria di produzione con 26 dipendenti e 4 soci/amministratori che lavorano COSTI RICAVI Merce destinata alla produzione 628.000,00 Ricavi da vendite 2.200.000,00 Stipendi dipendenti (26) ¹ 936.000,00 Compensi agli amministratori (4) ¹ 154.000,00 Leasing capannone ² 72.000,00 Altri costi di gestione 260.000,00 Interessi passivi banche e mutui ³ 50.000,00 Totale costi 2.100.000,00 Totale ricavi 2.200.000,00 Utile civile 100.000,00 Totale imposte -79.956,50 Utile effettivo 20.043,50 Come si vede dalla tabella il contribuente non paga imposte sull’utile conseguito, bensì su un imponibile che è ‘maggiorato’ da una serie d’importi (costi), da considerarsi come indeducibili dalle varie imposte al solo fine di aumentare il gettito fiscale. Così abbiamo le: spese di telefonia (sia fissa, sia mobile) deducibili solo per l’80%; spese per autoveicoli deducibili solo al 40%, che è calcolato su un importo massimo di 18.076 euro. Al massimo, quindi, 7.230 euro da suddividere in 4 anni (1.807) per ogni auto; spese di manutenzione e utilizzo sulle auto (assicurazione, bollo, carbolubrificanti) deducibili solo per un importo del 40% dei costi sostenuti; interessi passivi deducibili solo per il 30% del R.O.L. (Reddito Operativo Lordo) ai fini Ires e totalmente indeducibili ai fini Irap; ammortamenti e leasing su uffici e capannoni indeducibili per il 20% del costo sostenuto ai fini Ires e Irpef; 1: costo del personale dipendente e compensi agli amministratori indeducibili ai fini Irap; 2: immobili (uffici/capannoni): indeducibile il 20% del costo di acquisto o dei canoni leasing ai fini Ires; 3: interessi passivi indeducibili al 100% ai fini Irap (compresi quelli sui leasing). E’ evidente come all'aumentare dei costi dei dipendenti e degli interessi passivi la tassazione cresce in modo più che proporzionale, superando notevolmente la media dichiarata dagli organi d’informazione. Sono tanti, inoltre, i casi in cui, per effetto della tassazione, il bilancio si chiude in perdita, con conseguenze negative sul piano dell'accesso al credito nei confronti delle banche. Si noti bene che gli stipendi dei dipendenti e i compensi dei soci/amministratori sono già assogget- tati a tassazione Irpef e Inps. Calcolo Ires Importi Aliquota Imposta Tassazione effettiva Utile civile 100.000,00 Leasing capannone 14.400,00 Imponibile fiscale Ires 114.400,00 27,50% 31.460,00 31,46% Calcolo Irap Utile civile 100.000,00 Stipendi dipendenti 936.000,00 Compenso agli amministratori 154.000,00 Interessi passivi banche e mutui 50.000,00 Interessi passivi su leasing capannone 3.500,00 Imponibile fiscale Irap 1.243.500,00 3,90% 48.496,50 48,50% Totale tassazione teorica 31,40% Totale tassazione effettiva 79.956,50 79,96% “Riduciamo a due le aliquote fiscali, lasciamo i soldi ai lavoratori” Le proposte dei commercialisti gialloblù Zanotti e Medici, contrari all’alta tassazione in Italia “Il 2011 è risultato un anno alta- lenante per i distretti produttivi italiani. Si è registrata una cresci- ta, che, però, non ha avuto il conforto della continuità. Il ci- clo economico, rispetto al 2010, è migliorato; infatti, è aumenta- to il numero di aziende distret- tuali. Che segnalano un incre- mento del fatturato, degli ordini e, soprattutto, delle esportazio- ni. Si sono acuite, però, delle problematiche, come l’occupa- zione”. Valter Taranzano, presidente della Federazione dei Distretti, sintetizza così i risultati del terzo ‘Rapporto dell’Osservatorio Na- zionale dei Distretti Italiani’, che ha esaminato il loro anda- mento nel 2011, tracciando, inol- tre, delle previsioni per il 2012. “Sebbene l’export, inoltre - spie- ga Valter Taranzano - abbia, or- mai, un ruolo determinante, è una variabile che, da sola, non è in grado d’innescare un’inversio- ne del ciclo. Così, per i distretti, permane una situazione in bili- co. Vi è, poi, un secondo aspetto che è il finanziario: mezzi liquidi insufficienti, difficoltà di recupe- ro dei crediti commerciali (un problema che coinvolge il 70% degli intervistati), problemi a ot- tenere dei finanziamenti a causa della crisi (il 50% degli interpella- ti). Sono tutti elementi che non rendono sereni i nostri imprendi- tori. I distretti, comunque, ri- mangono lo zoccolo duro del- l’Italia che investe. Dimostrano, ancora una volta, non solo di re- sistere a una fase recessiva, an- che d’anticipare le tendenze e di rappresentare un modello di rife- rimento per le modalità d’intera- zione e di collaborazione tra le imprese. Vuoi per la propensio- ne a investire, per l’accesso ai nuovi mercati, per la capacità di amalgamare ruoli differenti e ge- nerare, contemporaneamente, dei processi produttivi e organiz- zativi con un elevato grado d’in- novazione e, infine, per la voca- zione alla sostenibilità”. Il terzo ‘Rapporto dell’Osserva- torio’ ha posto sotto la lente d’ingrandimento ben 101 distret- ti. Dove operano 283 mila azien- de, con circa 1,4 milioni di addet- ti, che rappresentano il 30% del totale manifatturiero. Di questi, il 38% coinvolge il settore tessile abbigliamento, il 22% l’arredo casa, il 12% l’agroalimentare, il 26% l’automazione e la me- talmeccanica, il 2% la cartotecni- ca/poligrafici e, infine, l’1% la cultura. La Federazione dei Di- stretti Italiani, coordinatrice dei rapporti annuali, anche nell’ulti- ma occasione, si è avvalsa del la- voro congiunto di prestigiosi partner quali Unioncamere, In- tesa San Paolo, Banca d’Italia, Censis, Cna, Confartigianato, Confindustria, Fondazione Edi- son, Fondazione Symbola e Istat. Ovvero, quindi, tutti colo- ro che lavorano sulle dinamiche distrettuali, realizzando, una volta di più, un lavoro di raccol- ta dei dati e di analisi che è unico nel suo genere. L’approfondimento Anna Paola Cavazzuti, disoccupata, e la sede del Centro per l’impiego di Modena I commercialisti modenesi Massimo Zanotti e Andrea Medici; sotto, una farmacia VALTER TARANZANO “Attenzione all’aspetto finanziario: mezzi liquidi insufficienti e difficoltà nel recuperare i vari crediti”. di Roberto Giovannini Per dimostrarci davvero credibili aiutiamo i deboli Bene i distretti industriali ma occorre la continuità Valter Taranzano, presidente della Federazione dei Distretti Italiani “Spesa pubblica, il volano dell’economia” Il professor Passarella: “Rispolveriamo Karl Marx” In alto, John Maynard Keynes; sotto, il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti e l’economista Marco Passarella 6 Qui Venerdì 24 febbraio 2012 Venerdì 24 febbraio 2012 7 Qui

Transcript of L’approfondimento Quella mamma disoccupata del terzo … · “Scoprire nuovamente Keynes? Qua...

“Scoprire nuovamente Keynes?Qua c’è da rispolverare Marx. Epensare al ruolo del settore pub-blico, che dovrebbe essere un da-tore di lavoro di prima istanza”.E’ la tesi di Marco Passarella, ‘Re-search Fellow’ all’Economics Di-vision della Business School del-l’università di Leeds, nel RegnoUnito, dove lavora al progetto eu-ropeo ‘FESSUD’. Conseguito ildottorato, nel 2008, all’universitàdi Firenze, ha poi svolto attivitàdi ricerca e d’insegnamento negliatenei di Bergamo, Pavia e Vare-se.Professore, ha così ragione il suoamico, e collega, Emiliano Bran-caccio, quando sostiene che è venu-to il momento di rispolverare le tesidi John Maynard Keynes?“Eh sì. Il professor Brancaccio civede bene. Pensi che, fosse perme, sarebbe bene, anzi, rispolve-rare non soltanto le tesi di Key-nes, anche quelle di Hyman Min-sky e, soprattutto, di Marx. Si

tratta di restituire alla spesa pub-blica la funzione di volano del-l’economia ‘dal lato della doman-da’. Adottando, contemporanea-mente, anche delle misure legisla-tive che consentano d’imbriglia-re, e segmentare, i mercati finan-ziari. Dall’altro, visto il contestoattuale, serve un ripensamentodel ruolo del settore pubblico, chedeve divenire un vero e propriodatore di lavoro di prima istanza.In particolare lo Stato. O, nel ca-so fossero investite da un proces-so di reale democratizzazione, leentità sovrastatuali europee, chepotrebbero intervenire diretta-mente ‘dal lato dell’offerta’ perpianificare cosa, come e quantoprodurre. In particolare, agire eoperare sulla composizione dellaproduzione, riorientandola versola fornitura di ‘valori d’uso’ per lacollettività, la riconversione deisettori maturi (il caso, forse piùevidente, è il comparto auto), la ri-cerca scientifica, l’individuazionee lo sfruttamento di nuove fontienergetiche ‘pulite’, fino all’infra-strutturazione a basso impatto ealla valorizzazione del territorio.La chiave sarebbe l’accensione diun ‘motore interno’ dello svilup-po europeo. Non soltanto tramitepolitiche fiscali keynesiane (quin-di espansive), ma prefigurandoun nuovo modello di organizza-zione economica e sociale. Inutileaggiungere che, ora, siamo lonta-ni anni luce da una prospettiva si-mile”.Gli interessi di Marco Passarellaspaziano dalla macroeconomiamonetaria alle teorie dell’instabili-tà finanziaria, dall’analisi classi-co/marxiana dei prezzi e della di-stribuzione fino alla storia e allafilosofia del pensiero economico.Ha pubblicato numerosi saggi suriviste e volumi nazionali e inter-nazionali; è, inoltre, autore di ope-re e di articoli di carattere divulga-tivo.Dottor Passarella, spirano venti diliberalizzazioni e privatizzazioni: iprovvedimenti dell’attuale governoincideranno in positivo o sono per-sino troppo poco rispetto a quantovorrebbero i seguaci di Adam Smi-th?“Qui conviene partire dall’eviden-za disponibile. Negli anni Novan-ta, l’Italia ha conosciuto un impo-nente processo di privatizzazioned’imprese e settori che, un tempo,erano statali. L’esito, com’è noto,è stato il decennio di minor cresci-ta della nostra economia dal Do-poguerra a oggi. C’è di più: quelleprivatizzazioni hanno, spesso, ge-nerato un aumento, nonuna riduzione, dei prezzi.Una delle ragioni è cheun’impresa deve garanti-re dei dividendi appetibiliper gli azionisti. Inutile,inoltre, aggiungere che leattuali condizioni di mer-cato, con prezzi delle atti-vità ai loro livelli minimi,trasformerebbero taliprovvedimenti in regaliper la speculazione inter-nazionale. Basterebberoqueste osservazioni a to-gliere ogni valenza salvifi-ca ai processi di privatiz-zazione/liberalizzazione‘reali’. Non quelli solo im-maginati dagli economi-sti nei loro modelli eucli-dei. E a spingere, anzi, aun’inversione di tenden-za rispetto all’esperienzacatastrofica degli anniNovanta. Venendo aiprovvedimenti‘concreti’ di cuisi sta discuten-do, pare super-fluo notare chele liberalizza-zioni delle li-cenze dei taxi,delle professio-ni o, ancora,della venditadei medicinalinon sono capa-ci di produrrealcun impattorilevante sulleprincipali variabili macroecono-miche del Paese. Siamo, dunque,di fronte a una mera operazione‘promozionale’, il cui scopo è mo-strare che i ‘sacrifici’ imposti dalgoverno ricadono su tutte le cate-gorie sociali. La verità è che, purestavolta, a pagare veramente sa-ranno i lavoratori salariati (sianoessi precari o ‘garantiti’) e i pen-sionati. In generale, le fasce di red-dito medio basse”.Quali sono i punti di criticità delmercato del lavoro italiano rappor-tato ai principali Paesi europei eagli Stati Uniti?“Il suo quesito ammicca, involon-tariamente, all’idea che livello ecomposizione dell’occupazionedi uno Stato dipendano dalle con-dizioni di contrattazione vigenti.Dove? Nel cosiddetto ‘mercatodel lavoro’. Un’idea che costitui-sce uno dei fondamenti del pensie-

ro (economico) dominante. Talevisione si fonda, però, su un para-dossale rovesciamento della dire-zione del nesso causale tra occu-pazione e produzione. Non è, in-fatti, la presenza di ‘imperfezioni’nel mercato della forza lavoro avincolare le possibilità d’impiego.E, quindi, i livelli produttivi. Alcontrario, è la domanda effettivadi merci e di servizi che ne stimolala produzione e, percorrendo que-sta strada, determina numero ecomposizione degli occupati. Cirifletta. L’elevato livello di disoc-cupazione e di sottooccupazioneche si registra oggi in Italia e nellealtre periferie europee deriva pro-prio dalla mancanza di una ‘fonteautonoma’ di domanda aggrega-ta: investimenti privati, spesa pub-blica in disavanzo, esportazioninette e/o consumo a credito. Noncerto colpa di un presunto ecces-so di rigidità del mercato del lavo-ro. Pensi che, in tale contesto, al-tre iniezioni di flessibilità posso-no soltanto peggiorare la situazio-ne. Perché, se da un lato, riducen-do il potere contrattuale e, quin-di, i salari dei lavoratori, aumen-tano i profitti per unità di prodot-to realizzati dalle imprese, dall’al-

tro si abbatte la capa-cità di spesa delle fa-miglie. In assenza diuna domanda ade-guata, quei maggioriguadagni non si tra-durranno in ulterioriinvestimenti e in nuo-va occupazione, maaffluiranno sui mer-

cati delle attività finanziarie, ali-mentando la speculazione di bre-ve periodo. Con effetti destabiliz-zanti sul sistema. D’altra parte,l’idea di un’Europa a immagine esomiglianza della Germania,quindi di un’area economica vota-ta all’esportazione attraverso ilcontenimento salariale (relativo),si scontra con la mancanza di unacquirente mondiale di ultimaistanza delle merci prodotte. Ruo-lo che non può più essere svoltodagli Stati Uniti e che la stessa Ci-na, che ‘necessita’ di surplus siste-matici della propria bilancia com-merciale, non sarà in grado dicompiere per almeno un decen-nio. La sola strada percorribile è,quindi, l’individuazione di un‘motore interno’ dello sviluppoeconomico, sociale italiano ed eu-ropeo”.Sia governi di centro sinistra, sia

esecutivi di centro destra, da Treua Sacconi, passando per Biagi, so-no intervenuti sulla flessibilità dellavoro. Dopo anni, guardando almercato italiano, ritiene che siastata imboccata la strada giusta?“No. È, anzi, undato di fatto chela precarietà occu-pazionale e reddi-tuale, che l’intro-duzione dei con-tratti atipici (oflessibili) ha ali-mentato, siano,assieme agli scarsiinvestimenti in in-novazione e ricer-ca, (sia privati, siapubblici) uno deifattori alla basedella stagnazionedei livelli di pro-duttività del lavo-ro in Italia. E,quindi, della man-cata crescita delPaese. Come ha ri-levato in uno stu-dio anche l’econo-mista capo delFondo Moneta-rio, Olivier Blanchard, non c’è al-

cuna correlazione indica-tiva tra le differenze na-zionali riscontrabili negliindici di protezione del la-voro e quelle tra i relativitassi di disoccupazione.Non v’è prova che la mag-giore flessibilità contrat-tuale si traduca in un in-cremento del numero de-gli occupati. Neppure inpiù crescita economica.La ragione è piuttosto in-tuitiva. Anche ammessoche la prospettiva di un li-cenziamento facile e/o diun rapporto di lavoro me-no vincolante induca leimprese ad assumere dipiù, consente, altresì, dimandare a casa altrettan-to agevolmente. Daun’iniezione di flessibili-tà, dati tutti gli altri fatto-ri, quello che ci si può ra-gionevolmente attendereè, dunque, un aumentodella variabilità (il turnover, o la ‘varianza’, co-me spiegherebbero gli sta-tistici) delle variabili oc-cupazionali. Non certo

un aumento del loro valore me-dio. Un esito tutt’altro che deside-rabile per gli effetti che producesulle condizioni d’impiego, di red-dito, di vita delle persone, e, di ri-flesso, sulla quantità e sulla quali-tà del lavoro erogato. In effetti, sel’obiettivo del governo è di rende-re le produzioni italiane più com-petitive sui mercati internaziona-li, la direzione da seguire è l’oppo-sta. Si vada verso una stabilizza-zione e una valorizzazione del rap-porto. Che rilanci così la produtti-vità oraria del lavoro”.E’ acceso il dibattito, in Italia, sul-l’abolizione dell’articolo 18.“È evidente che è una discussionepretestuosa. Anche a voler ignora-re che la maggior parte dei nuovioccupati è, oggi, assunta con con-tratti atipici, rispetto ai quali l’ar-ticolo 18 dello ‘Statuto dei Lavo-ratori’ non trova applicazione, iltessuto produttivo italiano è com-posto di una miriade di piccole epiccolissime imprese. Per le qualinon vale la possibilità di reintegrodel licenziato in modo illegittimo.Che è, invece, una tutela previstaper le realtà con oltre i quindici di-pendenti. Il sospetto è, perciò, chetale provvedimento sia evocatoda alcuni esponenti del governo e

di Confindustria solo per fare sal-tare il tavolo della trattativa conle forze sindacali sui temi del lavo-ro. L’obiettivo non dichiarato è ildefinitivo annichilimento del si-stema di contrattazione naziona-

le, già messo a dura prova dallenote vicende Fiat/Marchionne.Se il fine perseguito dal governofosse spingere davvero le impresea ‘crescere’, (con l’eliminazionedella disparità di trattamento legi-slativo), allora si potrebbe argo-mentare che la strada dovrebbeessere l’estensione dell’articolo 18alle piccole imprese, invece del-l’abolizione”.Per il presidente del consiglio Mon-ti cimentarsi nello stesso lavoroper tutta la vita è monotono. E’d’accordo?“No. Per nulla. E’ sorprendenteche l’affermazione provenga daun docente universitario (nonchéex consulente d’importanti corpo-ration e banche d’affari), già com-missario europeo, neoeletto sena-tore a vita e, infine, primo mini-stro e ministro dell’Economia,delle Finanze del governo italia-no. Una condizione d’iper garan-tito che, da sola, avrebbe dovutosuggerire maggiore prudenza les-sicale nell’affrontare un tema cosìdelicato. Se poi la dichiarazionedel presidente Monti è intesa insenso ampio, come un elogio del-le presunte, maggiori, possibilitàd’impiego legate all’adozione dicontratti ‘atipici’, è un’afferma-zione falsa. Il cosiddetto ‘postofisso’ non implica, infatti, alcunvincolo alla mobilità del lavorato-re, ma solo alcune tutele del suoimpiego. Per esempio, contro il li-cenziamento discriminatorio.L’assunto con contratto a tempoindeterminato è, anzi, sempre (te-oricamente), libero di preferireun nuovo impiego. Per contro, è ilprecario che, spesso, è nella condi-zione di non poter scegliere, perl’assenza di forme, anche minime,di protezione reddituale e lavora-tiva. Per milioni di giovani italia-ni, d’indeterminato e di ‘monoto-no’ pare esservi, in effetti, soltan-to la propria, endemica, condizio-ne d’incertezza. Comunque las’interpreti, quella del primo mini-stro suona come una dichiarazio-ne assai infelice. Che, non solomal si concilia con il presunto ‘sti-le Monti’, ma che dà prova delladistanza siderale che si frapponetra la realtà concreta vissuta damilioni d’italiani e la rappresenta-zione che, di essa, ne danno i no-stri gruppi dirigenti. E gli econo-misti mainstream, dei quali il pro-fessor Monti è, non a caso, unesponente di primo piano”.

(r.g.)

Invece di prendere sempre, co-me degli esempi virtuosi, le na-zioni scandinave o mitteleuro-pee, perché, per una volta, nonproviamo noi a brillare perun’eccellenza? Il livello di serie-tà di un Paese spicca per il tassodi funzionamento della giustiziae per il grado di sostegno alle fa-sce sociali meno protette. Anchetemporaneamente, non certo avita. Decidere di avere un figlionel ‘Belpaese’ non è proprio co-me vederlo nascere, e crescere,in Francia o in Svizzera. Comepuò l’Italia essere credibile, do-po le politiche che, negli ultimitre decenni, ha perseguito per ilsostegno alle famiglie e alle don-ne? Puntualmente noi, invece,brilliamo per il contrario. Men-tre in Europa lo Stato sostiene,in Italia le famiglie lo sostitui-scono. Le generazioni più vec-chie mettono mano ai risparmi emantengono quelle giovani. Edel mondo femminile chi si occu-pa? Tanto se ne parla, poco sifa. Così, conseguire una laurea,per una donna, non incrementa,in Italia, le possibilità di trovareun posto di lavoro. E coniugareoccupazione e famiglia, se ieriera un problema, ora è un’illu-sione. La percentuale di donneitaliane che lavora a orario ri-dotto (il 29%) si colloca sottola media europea (il 31,4%).Molto peggio il confronto conPaesi come la Germania el’Olanda. Da loro la quota didonne, con il part time, raggiun-ge, rispettivamente, il 45% e il76%. Ma noi non siamo il Paesedei ministeri alle Pari Opportu-nità e alle Politiche per la fami-glia? Boh.

(r.g.)

Quella mamma disoccupata del terzo millennioIl dramma di Anna Paola Cavazzuti e il tanto agognato part time

La Provincia di Modena ha stanziato900 mila euro per la formazionedelle persone interessate daprovvedimenti di esecuzionepenale, dipendenze, situazioni didisagio psichico e a rischio diemarginazione sociale.

Wwf e la sua ricetta anticrisi

La Provincia e i casi di disagio

“Il top sarebbe l’eliminazionedella burocrazia. Siccome non èpossibile, almeno, in Italia, con-teniamo gli iter così farraginosi.Riduciamo quantitativamente lealiquote fiscali, limitandole adue. Abbassiamo, così, la tassa-zione e, quanto risparmiato, la-sciamolo, non dico nelle taschedegli imprenditori, bensì in quel-le dei lavoratori”.Parola di Massimo Zanotti, com-mercialista modenese. Sì, pensa-te, proprio un commercialista. Ecome lui la pensa pure il suo col-

lega Andrea Medici. I due sonocommercialisti e revisori contabi-li dello studio A.M.Z. di Mode-na. E ora, sono pure in politica,essendo entrambi i referenti perl’economia e per la tesoreria diLega Moderna, il movimentoche vede al timone i consigliericomunali Nicola Rossi e WalterBianchini.Massimo Zanotti rilancia: “Se isoldi rimasti in tasca agli impren-ditori, frutto di una ridotta tassa-zione, fossero investiti in azien-da, allora sì che si creerebbe un

circuito più virtuoso. Le risorsesi potrebbero trovare con unprovvedimento preciso: peresempio, la detassazione totaledei nuovi assunti. E contare su diloro sperando in un aumento del-la domanda dei consumi. Nelcontesto modenese non è che visiano delle grandi società. Proli-ferano, soprattutto, le piccole ele micro imprese. Fra queste, di-verse potrebbero anche trovareuna ragione per compiere dellenuove assunzioni. Infine, biso-gna tagliare. E tanto. Ovviamen-

te - spiega Zanotti - all’internodella spesa pubblica. Dove si an-nida pure la corruzione. Che al-tro non è se non lo spreco di de-naro. Che va sì a scapito dellaspesa pubblica, intesa però comela produttiva.Quella che, se s’investisse vera-mente e bene, creerebbe dell’oc-cupazione. Queste enormi cifre,invece, sono stornate e finisconoin altri portafogli. Che non sonoquelli pubblici. Si crea così un cir-colo vizioso. E’ una piaga assolu-ta. Se in Italia c’è un partito chenon esiste più, e perde, non si sacome, 13 milioni di euro, ecco co-me gettiamo delle risorse chenon sono investite. E che, invece,servirebbero per l’occupazione ola ricerca”.Sul livello di pressione tributariaanche il collega di Zanotti va giùduro.“La tassazione? Altro che il 44%- attacca Medici - è molto più al-ta. Il cittadino può superare il li-mite del 50%, ma nelle società siva anche oltre il 100% dell’utilenetto. Pensi che ci sono dei bilan-ci in perdita a causa delle impo-ste. E se poi ti presenti in banca,chiedendo il rinnovo dell’affida-mento con un ‘profitti e perdite’che è in rosso per colpa delle tas-se? Mica te li danno i soldi. Il co-sto del lavoro è alto; non certoper colpa dell’imprenditore. E,purtroppo, gli stipendi dei lavo-ratori non sono capaci di fare davolano ai consumi”.E i furbi? Massimo Zanotti fini-sce così: “Combattere l’evasionefiscale, poi, è certamente diffici-le. In Italia, forse, si poteva at-tuare in epoche precedenti all’at-tuale. Pagare tutti per sborsaremeno. Non ho dubbi: il carico fi-scale è un po’ eccessivo da noi.Sono convinto che, abbassarlo,alla fine porterebbe lo stesso a in-cassare quanto s’introita oggi.Non intendo, però, essere frain-teso. Chi gira in Ferrari e non di-chiara niente, e, oltretutto, sem-mai ottiene anche delle agevola-zioni per un asilo o per abitareuna casa, è un ladro. E va puni-to”.Sul fronte disoccupazione, inve-ce, Andrea Medici attacca: “Lecifre ufficiali sono più basse dellereali. Con riferimento ai lavora-tori dipendenti, perché gli auto-nomi non si rivolgono certamen-te al Centro per l’impiego. Lorocercheranno di ‘riciclarsi’ in altriambiti. Il dato dei dipendenti

può essere sottostimato, conside-rando le province dove la culturaprevalente non è certo il rivolger-si a un centro per trovare un’oc-cupazione. Non esiste; si optaper il passaparola, l’amicizia o laconoscenza. Certo, la situazioneeconomica generale è gravissi-ma. Anche per le aziende di gran-di dimensioni. Penso, per esem-pio, alla Faral di Campogallianoche impiega centinaia di perso-ne. Quello che mi stupisce è l’at-tuale governo nazionale - prose-gue Medici - che è convinto di au-mentare i posti di lavoro con le li-beralizzazioni delle attività pro-fessionali: avvocati, commercia-listi, notai. E farmacie. A scapi-to, però, della qualità del profes-sionista. Il problema del lavoronon si risolve certo con 5 mila

farmacie o con 500 notai in piùin Italia. Proprio loro che, ope-rando sia nell’immobiliare, sianel societario, oggi fanno, in unmese, quello che, anni fa, attua-vano in un giorno. Sono attivitàgià molto difficili, che richiedo-no un livello di preparazione dibase decente. Veniamo ai com-mercialisti, per esempio. Se dimi-nuiamo lo standard di professio-nalità, che fine farà la tutela delcittadino? Diciamolo chiaramen-te. Rendere facile l’accesso al me-stiere vuol dire diminuire la pro-fessionalità. E viviamo in un’Ita-lia piena di servizi, dove non siproduce quasi più nulla. Si delo-calizza solo - termina il commer-cialista Andrea Medici - e nonc’è un’economia reale”.

(r.g.)

Agiamo,dunque,sullacomposizionedellaproduzione,orientandolasullafornituradi ‘valorid’uso’, infavoreditutta lacollettività.

Una ricetta anticrisi dal W.W.F. Perl’associazione, grazie a uno studio,“investendo 1 miliardo di euro ininfrastrutture e programmisostenibili in agricoltura, sipotrebbero creare 29 mila posti dilavoro in tutta Europa”.

Investimenti in agricoltura e la formazione in città

Senza un lavoro. Perché, in que-sto Paese, se sei donna, fai figli edai la priorità al crescerli, lo Statoti ringrazia, ma poi non ti sostie-ne. Così, fatichi a rientrare nelmondo del lavoro, paghi, senzasconti, la recessione economica, iprocessi di globalizzazione e, co-me se non bastasse, se proprio tigira male, perdi anche un pezzo difamiglia. Quando tocchi con ma-no che gli uomini che ti sono statial fianco per una parte della vita,ti lasciano sola. E’ già dura legger-la, questa storia. Figuratevi viver-la sulla propria pelle, come accadead Anna Paola Cavazzuti. Una34enne modenese Doc, che oggi,da sola, cresce due figli. Un 13en-ne che frequenta le medie e unopiù piccolo, di appena 4 (mater-na). La situazione della giovanemamma ha, però, un’aggravante.Ex compagni che, nonostante ibambini, non si sperticano nel dar-le una mano.“Ho iniziato a lavorare a dician-nove anni, come commessa all’in-terno di un centro commerciale -dice Anna Paola Cavazzuti - dopoavere chiuso il ciclo delle scuole su-periori. Avevo frequentato, infat-ti, un liceo socio psicopedagogicoa Modena. Circa un anno dopo, aventi, ho avuto il mio primo figlio.Per una ragione di orari ho lascia-to il lavoro di commessa. Il nego-zio chiudeva tardi la sera, si lavo-rava il sabato, talvolta pure la do-menica. E avevo un neonato da ac-cudire. Così, cercai un lavoro condegli orari diversi. La prima op-portunità la colsi come centralini-sta. Avevo trovato un’inserzionesu un giornale; eravamo a cavallotra il 2000 e il 2001. Lì, in un cen-tro estetico nel quale non mi trova-vo tanto bene, rimasi nemmenoun anno. Mi appoggiai poi - rac-conta la Cavazzuti - a un’agenziainterinale di Modena. Mi propose-ro diversi lavori. Accettai un po-sto come impiegata in un’aziendadi Nonantola. Il mio rapportocon questa impresa è durato da di-

cembre 2001 fino alla fine del2005. Mi trovavo bene; eraun’azienda grande, che fa parte diun noto gruppo. Siccome ero allaricerca di un secondo figlio, avan-zai una richiesta per passare da untempo pieno al part time. La pro-prietà, però, non mi accolse la do-manda. Mi sono così licenziata esono andata alla ricerca di un tem-po parziale”.L’obiettivo fu centrato. A Mode-na trovò velocemente un’occupa-zione presso una società di artigia-ni. Era un’impiegata che lavoravain ufficio, seguiva l’amministrazio-ne e la gestione dei cantieri.“Nel frattempo - prosegue la mo-denese - i miei figli erano saliti adue. Alla fine del 2007 ero ancorain maternità, quando i soci si divi-sero. Quello che rimase riuscì a sal-vare tre posti: io come segretaria edue apprendisti, oltre alla società.Non durò molto, però. Tra la finedel 2008 e l’inizio del 2009 l’im-prenditore non ce la fece più a te-nerla in piedi, e lasciò a casa i duedipendenti. Chiudendo la S.r.l. etrasformandola in ditta individua-

le. Restai io come impiegata”.Un film, quello della separazionetra i soci che, oggi, drammatica-mente, si rivive in molte zone ita-liane. Tra le cause delle discussio-ni tra gli artigiani, che erano im-piantisti ed elettricisti, c’erano an-che i mancati introiti. Alcuni entinon avevano pagato, erano falliti;dopo avere, però, fatto eseguiredegli interventi. Mesi di lavorinon retribuiti, che si aggiungeva-no a tutti i costi vivi. Per esempio,per i materiali acquistati. Qualcheanno fa la discussione portò così auna separazione tra i soci. Oggi,davanti a crediti non riscossi e allebanche che ti sbattono la porta infaccia, gli imprenditori si ammaz-zano.“Il socio rimasto - svela Anna Pao-la Cavazzuti - ha provato in ognimodo, a tenermi. Il mio costo, pe-rò, era, per quasi un biennio, supe-riore alle entrate. Il titolare nonportava a casa lo stipendio. A gen-naio del 2010, valutando la situa-zione complessiva, drammaticaper l’azienda, mi ha comunicatoche non riusciva più a mantenere

il mio posto di lavoro. Sono entra-ta così in disoccupazione. In listadi mobilità già da marzo. Da quel-la data sono stata senza un lavoroper circa undici mesi. In tale perio-do ho avuto riconosciuti gli ottomesi di disoccupazione dell’Inps.Pari al 60% dell’ultimo stipendio,che, ricordo, era un part time. Inquei mesi - ammette la giovanemamma modenese - ho inviatonon so quanti curriculum a tuttele agenzie interinali. Mi sono pun-tualmente iscritta ai siti internetche ospitano le offerte per la cittàdi residenza. Il quadro finale è sta-to sconfortante. Due chiamate incirca dieci mesi. Uno riguardavaun lavoro serale che non ho potu-to accettare, non sapendo come fa-re con i figli. Il secondo era statoun contatto per sapere se ero di-sponibile. Peccato che dopo nonmi abbiano mai chiamata. Pensicom’è cambiato il mondo. Un de-cennio fa era bastato che mi rivol-gessi a un’agenzia interinale; a ini-zio 2011, invece, tutto diverso”.Proprio quando la situazione pa-reva preoccupante, nel febbraio2011, un anno fa, il cellulare di An-na Paola Cavazzuti squilla. Alladonna arriva la telefonata di unsuo conoscente. Che era rimastosenza una dipendente che svolge-va il part time. Occasione perfet-ta. La modenese non solo è avver-tita, pure assunta. Con un contrat-to a tempo determinato (scadenza31 dicembre 2011), con la promes-sa di una trasformazione in inde-terminato. Alla 34enne è chiestodi seguire la contabilità, l’ammini-strazione, oltre alle spedizioni e gliordini. Un’impiegata tuttofare inun’impresa che ha sede a Modenacittà, guidata, come visto, da unconoscente, al timone di un’azien-da, una S.r.l. che commercializzadegli strumenti elettronici per ilmercato audio e video.“La società - racconta Anna Pao-la Cavazzuti - ha poi cambiato se-de, come ubicazione, nell’aprile.A settembre il titolare ha deciso diassumere anche sua moglie, rite-nendo, mi disse, che il volume di

affari crescesse. Anche se non sosulla base di quali criteri lo pensas-se. A novembre mi ha comunicatoche avrebbe tenuto la moglie a la-vorare nell’impresa, che io sarei ri-masta a casa. E pensare che miaveva assunto ottenendo delle age-volazioni, perché ero in mobilità.Oggi sono disponibile a fare qua-lunque lavoro, chiaramente chepossa combaciare con l’impegnodi crescere due figli, quindi unpart time. Se tornassi indietro?Compirei le stesse scelte. Sonosoddisfatta del percorso che homaturato; quando io lavoravo giàda 6/7 anni, e ne avevo 25, le miecoetanee, semmai con in tasca untitolo di studio più elevato, comela laurea, erano messe come me al-l’inizio. Erano delle commesse.Farmi tanta esperienza è statauna buona scelta; ovviamente perchi, come me, aveva dei progettilavorativi che non m’imponesse-ro, ovviamente, un passaggio inun ateneo. Proprio per ciò che hotoccato con mano, ho capito chenelle aziende italiane c’è molta di-sattenzione, poca responsabilità.Ci sono persone che sono lì a scal-dare le sedie, ma così pagano e cirimettono anche quelli che lavora-no bene. Oggi, è vero, i lavoratorisono poco tutelati; in passato, pe-rò, assumendo tutti con contrattoa tempo indeterminato, avevamochi, dopo anni, si adagiava e nonrendeva più. E ora c’è poco spazioper i giovani, le donne. E le fami-glie ne risentono tantissimo. Nonposso passare il mio tempo - termi-na la mamma - a dire ‘oddio nonce la farò’. Devo, invece, cercaredi lavorare, pensare ai bambini etirare fuori le unghie con chi di do-vere. Pensi che ho anche continua-to a coltivare le mie passioni. Hocompletato un corso di truccatri-ce. Peccato che, per continuare apraticare la professione, avrei do-vuto trasferirmi. Cambiare città,spostarmi a Milano, dove c’è lavo-ro per le truccatrici”.Ancora una volta nella vita, inve-ce, la Cavazzuti ha dato prioritàalla famiglia. Chapò.

Piccola industria di produzione con 26 dipendenti e 4 soci/amministratori che lavorano COSTI RICAVIMerce destinata alla produzione 628.000,00 Ricavi da vendite 2.200.000,00Stipendi dipendenti (26) ¹ 936.000,00 Compensi agli amministratori (4) ¹ 154.000,00 Leasing capannone ² 72.000,00 Altri costi di gestione 260.000,00Interessi passivi banche e mutui ³ 50.000,00Totale costi 2.100.000,00 Totale ricavi 2.200.000,00

Utile civile 100.000,00 Totale imposte -79.956,50 Utile effettivo 20.043,50

Come si vede dalla tabella il contribuente non paga imposte sull’utile conseguito, bensì su un imponibile che è ‘maggiorato’ da una serie d’importi (costi), da considerarsi come indeducibili dalle varie imposte al solo fine di aumentare il gettito fiscale. Così abbiamo le: spese di telefonia (sia fissa, sia mobile) deducibili solo per l’80%; spese per autoveicoli deducibili solo al 40%, che è calcolato su un importo massimo di 18.076 euro. Al massimo, quindi, 7.230 euro da suddividere in 4 anni (1.807) per ogni auto; spese di manutenzione e utilizzo sulle auto (assicurazione, bollo, carbolubrificanti) deducibili solo per un importo del 40% dei costi sostenuti; interessi passivi deducibili solo per il 30% del R.O.L. (Reddito Operativo Lordo) ai fini Ires e totalmente indeducibili ai fini Irap; ammortamenti e leasing su uffici e capannoni indeducibili per il 20% del costo sostenuto ai fini Ires e Irpef;1: costo del personale dipendente e compensi agli amministratori indeducibili ai fini Irap;2: immobili (uffici/capannoni): indeducibile il 20% del costo di acquisto o dei canoni leasing ai fini Ires;3: interessi passivi indeducibili al 100% ai fini Irap (compresi quelli sui leasing).E’ evidente come all'aumentare dei costi dei dipendenti e degli interessi passivi la tassazione cresce in modo più che proporzionale, superando notevolmente la media dichiarata dagli organi d’informazione. Sono tanti, inoltre, i casi in cui, per effetto della tassazione, il bilancio si chiude in perdita, con conseguenze negative sul piano dell'accesso al credito nei confronti delle banche. Si noti bene che gli stipendi dei dipendenti e i compensi dei soci/amministratori sono già assogget-tati a tassazione Irpef e Inps.

Calcolo Ires Importi Aliquota Imposta Tassazione effettivaUtile civile 100.000,00 Leasing capannone 14.400,00 Imponibile fiscale Ires 114.400,00 27,50% 31.460,00 31,46%

Calcolo Irap Utile civile 100.000,00 Stipendi dipendenti 936.000,00 Compenso agli amministratori 154.000,00 Interessi passivi banche e mutui 50.000,00 Interessi passivi su leasing capannone 3.500,00 Imponibile fiscale Irap 1.243.500,00 3,90% 48.496,50 48,50%Totale tassazione teorica 31,40% Totale tassazione effettiva 79.956,50 79,96%

“Riduciamo a due le aliquote fiscali, lasciamo i soldi ai lavoratori”Le proposte dei commercialisti gialloblù Zanotti e Medici, contrari all’alta tassazione in Italia

“Il 2011 è risultato un anno alta-lenante per i distretti produttiviitaliani. Si è registrata una cresci-ta, che, però, non ha avuto ilconforto della continuità. Il ci-clo economico, rispetto al 2010,è migliorato; infatti, è aumenta-to il numero di aziende distret-tuali. Che segnalano un incre-mento del fatturato, degli ordinie, soprattutto, delle esportazio-ni. Si sono acuite, però, delleproblematiche, come l’occupa-zione”.Valter Taranzano, presidente

della Federazione dei Distretti,sintetizza così i risultati del terzo‘Rapporto dell’Osservatorio Na-zionale dei Distretti Italiani’,che ha esaminato il loro anda-mento nel 2011, tracciando, inol-tre, delle previsioni per il 2012.“Sebbene l’export, inoltre - spie-ga Valter Taranzano - abbia, or-mai, un ruolo determinante, èuna variabile che, da sola, non èin grado d’innescare un’inversio-ne del ciclo. Così, per i distretti,permane una situazione in bili-co. Vi è, poi, un secondo aspettoche è il finanziario: mezzi liquidiinsufficienti, difficoltà di recupe-ro dei crediti commerciali (unproblema che coinvolge il 70%degli intervistati), problemi a ot-tenere dei finanziamenti a causadella crisi (il 50% degli interpella-ti). Sono tutti elementi che nonrendono sereni i nostri imprendi-

tori. I distretti, comunque, ri-mangono lo zoccolo duro del-l’Italia che investe. Dimostrano,ancora una volta, non solo di re-sistere a una fase recessiva, an-che d’anticipare le tendenze e dirappresentare un modello di rife-rimento per le modalità d’intera-zione e di collaborazione tra leimprese. Vuoi per la propensio-ne a investire, per l’accesso ainuovi mercati, per la capacità diamalgamare ruoli differenti e ge-nerare, contemporaneamente,dei processi produttivi e organiz-zativi con un elevato grado d’in-novazione e, infine, per la voca-zione alla sostenibilità”.Il terzo ‘Rapporto dell’Osserva-torio’ ha posto sotto la lented’ingrandimento ben 101 distret-ti. Dove operano 283 mila azien-de, con circa 1,4 milioni di addet-ti, che rappresentano il 30% deltotale manifatturiero. Di questi,il 38% coinvolge il settore tessileabbigliamento, il 22% l’arredocasa, il 12% l’agroalimentare, il26% l’automazione e la me-talmeccanica, il 2% la cartotecni-ca/poligrafici e, infine, l’1% lacultura. La Federazione dei Di-stretti Italiani, coordinatrice deirapporti annuali, anche nell’ulti-ma occasione, si è avvalsa del la-voro congiunto di prestigiosipartner quali Unioncamere, In-tesa San Paolo, Banca d’Italia,Censis, Cna, Confartigianato,Confindustria, Fondazione Edi-son, Fondazione Symbola eIstat. Ovvero, quindi, tutti colo-ro che lavorano sulle dinamichedistrettuali, realizzando, unavolta di più, un lavoro di raccol-ta dei dati e di analisi che è uniconel suo genere.

L’approfondimento

Anna Paola Cavazzuti, disoccupata, e la sede del Centro per l’impiego di Modena

I commercialisti modenesi Massimo Zanotti e Andrea Medici; sotto, una farmacia

VALTERTARANZANO“Attenzioneall’aspetto

finanziario:mezzi liquidiinsufficientiedifficoltànel

recuperareivaricrediti”.

di Roberto Giovannini

Per dimostrarcidavvero credibiliaiutiamo i deboli

Bene i distretti industrialima occorre la continuità

Valter Taranzano, presidente della Federazione dei Distretti Italiani

“Spesa pubblica, il volano dell’economia”Il professor Passarella: “Rispolveriamo Karl Marx”

In alto, John Maynard Keynes; sotto, il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti e l’economista Marco Passarella

6 QuiVenerdì 24 febbraio 2012 Venerdì 24 febbraio 2012 7Qui