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“Scoprire nuovamente Keynes?Qua c’è da rispolverare Marx. Epensare al ruolo del settore pub-blico, che dovrebbe essere un da-tore di lavoro di prima istanza”.E’ la tesi di Marco Passarella, ‘Re-search Fellow’ all’Economics Di-vision della Business School del-l’università di Leeds, nel RegnoUnito, dove lavora al progetto eu-ropeo ‘FESSUD’. Conseguito ildottorato, nel 2008, all’universitàdi Firenze, ha poi svolto attivitàdi ricerca e d’insegnamento negliatenei di Bergamo, Pavia e Vare-se.Professore, ha così ragione il suoamico, e collega, Emiliano Bran-caccio, quando sostiene che è venu-to il momento di rispolverare le tesidi John Maynard Keynes?“Eh sì. Il professor Brancaccio civede bene. Pensi che, fosse perme, sarebbe bene, anzi, rispolve-rare non soltanto le tesi di Key-nes, anche quelle di Hyman Min-sky e, soprattutto, di Marx. Si

tratta di restituire alla spesa pub-blica la funzione di volano del-l’economia ‘dal lato della doman-da’. Adottando, contemporanea-mente, anche delle misure legisla-tive che consentano d’imbriglia-re, e segmentare, i mercati finan-ziari. Dall’altro, visto il contestoattuale, serve un ripensamentodel ruolo del settore pubblico, chedeve divenire un vero e propriodatore di lavoro di prima istanza.In particolare lo Stato. O, nel ca-so fossero investite da un proces-so di reale democratizzazione, leentità sovrastatuali europee, chepotrebbero intervenire diretta-mente ‘dal lato dell’offerta’ perpianificare cosa, come e quantoprodurre. In particolare, agire eoperare sulla composizione dellaproduzione, riorientandola versola fornitura di ‘valori d’uso’ per lacollettività, la riconversione deisettori maturi (il caso, forse piùevidente, è il comparto auto), la ri-cerca scientifica, l’individuazionee lo sfruttamento di nuove fontienergetiche ‘pulite’, fino all’infra-strutturazione a basso impatto ealla valorizzazione del territorio.La chiave sarebbe l’accensione diun ‘motore interno’ dello svilup-po europeo. Non soltanto tramitepolitiche fiscali keynesiane (quin-di espansive), ma prefigurandoun nuovo modello di organizza-zione economica e sociale. Inutileaggiungere che, ora, siamo lonta-ni anni luce da una prospettiva si-mile”.Gli interessi di Marco Passarellaspaziano dalla macroeconomiamonetaria alle teorie dell’instabili-tà finanziaria, dall’analisi classi-co/marxiana dei prezzi e della di-stribuzione fino alla storia e allafilosofia del pensiero economico.Ha pubblicato numerosi saggi suriviste e volumi nazionali e inter-nazionali; è, inoltre, autore di ope-re e di articoli di carattere divulga-tivo.Dottor Passarella, spirano venti diliberalizzazioni e privatizzazioni: iprovvedimenti dell’attuale governoincideranno in positivo o sono per-sino troppo poco rispetto a quantovorrebbero i seguaci di Adam Smi-th?“Qui conviene partire dall’eviden-za disponibile. Negli anni Novan-ta, l’Italia ha conosciuto un impo-nente processo di privatizzazioned’imprese e settori che, un tempo,erano statali. L’esito, com’è noto,è stato il decennio di minor cresci-ta della nostra economia dal Do-poguerra a oggi. C’è di più: quelleprivatizzazioni hanno, spesso, ge-nerato un aumento, nonuna riduzione, dei prezzi.Una delle ragioni è cheun’impresa deve garanti-re dei dividendi appetibiliper gli azionisti. Inutile,inoltre, aggiungere che leattuali condizioni di mer-cato, con prezzi delle atti-vità ai loro livelli minimi,trasformerebbero taliprovvedimenti in regaliper la speculazione inter-nazionale. Basterebberoqueste osservazioni a to-gliere ogni valenza salvifi-ca ai processi di privatiz-zazione/liberalizzazione‘reali’. Non quelli solo im-maginati dagli economi-sti nei loro modelli eucli-dei. E a spingere, anzi, aun’inversione di tenden-za rispetto all’esperienzacatastrofica degli anniNovanta. Venendo aiprovvedimenti‘concreti’ di cuisi sta discuten-do, pare super-fluo notare chele liberalizza-zioni delle li-cenze dei taxi,delle professio-ni o, ancora,della venditadei medicinalinon sono capa-ci di produrrealcun impattorilevante sulleprincipali variabili macroecono-miche del Paese. Siamo, dunque,di fronte a una mera operazione‘promozionale’, il cui scopo è mo-strare che i ‘sacrifici’ imposti dalgoverno ricadono su tutte le cate-gorie sociali. La verità è che, purestavolta, a pagare veramente sa-ranno i lavoratori salariati (sianoessi precari o ‘garantiti’) e i pen-sionati. In generale, le fasce di red-dito medio basse”.Quali sono i punti di criticità delmercato del lavoro italiano rappor-tato ai principali Paesi europei eagli Stati Uniti?“Il suo quesito ammicca, involon-tariamente, all’idea che livello ecomposizione dell’occupazionedi uno Stato dipendano dalle con-dizioni di contrattazione vigenti.Dove? Nel cosiddetto ‘mercatodel lavoro’. Un’idea che costitui-sce uno dei fondamenti del pensie-

ro (economico) dominante. Talevisione si fonda, però, su un para-dossale rovesciamento della dire-zione del nesso causale tra occu-pazione e produzione. Non è, in-fatti, la presenza di ‘imperfezioni’nel mercato della forza lavoro avincolare le possibilità d’impiego.E, quindi, i livelli produttivi. Alcontrario, è la domanda effettivadi merci e di servizi che ne stimolala produzione e, percorrendo que-sta strada, determina numero ecomposizione degli occupati. Cirifletta. L’elevato livello di disoc-cupazione e di sottooccupazioneche si registra oggi in Italia e nellealtre periferie europee deriva pro-prio dalla mancanza di una ‘fonteautonoma’ di domanda aggrega-ta: investimenti privati, spesa pub-blica in disavanzo, esportazioninette e/o consumo a credito. Noncerto colpa di un presunto ecces-so di rigidità del mercato del lavo-ro. Pensi che, in tale contesto, al-tre iniezioni di flessibilità posso-no soltanto peggiorare la situazio-ne. Perché, se da un lato, riducen-do il potere contrattuale e, quin-di, i salari dei lavoratori, aumen-tano i profitti per unità di prodot-to realizzati dalle imprese, dall’al-

tro si abbatte la capa-cità di spesa delle fa-miglie. In assenza diuna domanda ade-guata, quei maggioriguadagni non si tra-durranno in ulterioriinvestimenti e in nuo-va occupazione, maaffluiranno sui mer-

cati delle attività finanziarie, ali-mentando la speculazione di bre-ve periodo. Con effetti destabiliz-zanti sul sistema. D’altra parte,l’idea di un’Europa a immagine esomiglianza della Germania,quindi di un’area economica vota-ta all’esportazione attraverso ilcontenimento salariale (relativo),si scontra con la mancanza di unacquirente mondiale di ultimaistanza delle merci prodotte. Ruo-lo che non può più essere svoltodagli Stati Uniti e che la stessa Ci-na, che ‘necessita’ di surplus siste-matici della propria bilancia com-merciale, non sarà in grado dicompiere per almeno un decen-nio. La sola strada percorribile è,quindi, l’individuazione di un‘motore interno’ dello sviluppoeconomico, sociale italiano ed eu-ropeo”.Sia governi di centro sinistra, sia

esecutivi di centro destra, da Treua Sacconi, passando per Biagi, so-no intervenuti sulla flessibilità dellavoro. Dopo anni, guardando almercato italiano, ritiene che siastata imboccata la strada giusta?“No. È, anzi, undato di fatto chela precarietà occu-pazionale e reddi-tuale, che l’intro-duzione dei con-tratti atipici (oflessibili) ha ali-mentato, siano,assieme agli scarsiinvestimenti in in-novazione e ricer-ca, (sia privati, siapubblici) uno deifattori alla basedella stagnazionedei livelli di pro-duttività del lavo-ro in Italia. E,quindi, della man-cata crescita delPaese. Come ha ri-levato in uno stu-dio anche l’econo-mista capo delFondo Moneta-rio, Olivier Blanchard, non c’è al-

cuna correlazione indica-tiva tra le differenze na-zionali riscontrabili negliindici di protezione del la-voro e quelle tra i relativitassi di disoccupazione.Non v’è prova che la mag-giore flessibilità contrat-tuale si traduca in un in-cremento del numero de-gli occupati. Neppure inpiù crescita economica.La ragione è piuttosto in-tuitiva. Anche ammessoche la prospettiva di un li-cenziamento facile e/o diun rapporto di lavoro me-no vincolante induca leimprese ad assumere dipiù, consente, altresì, dimandare a casa altrettan-to agevolmente. Daun’iniezione di flessibili-tà, dati tutti gli altri fatto-ri, quello che ci si può ra-gionevolmente attendereè, dunque, un aumentodella variabilità (il turnover, o la ‘varianza’, co-me spiegherebbero gli sta-tistici) delle variabili oc-cupazionali. Non certo

un aumento del loro valore me-dio. Un esito tutt’altro che deside-rabile per gli effetti che producesulle condizioni d’impiego, di red-dito, di vita delle persone, e, di ri-flesso, sulla quantità e sulla quali-tà del lavoro erogato. In effetti, sel’obiettivo del governo è di rende-re le produzioni italiane più com-petitive sui mercati internaziona-li, la direzione da seguire è l’oppo-sta. Si vada verso una stabilizza-zione e una valorizzazione del rap-porto. Che rilanci così la produtti-vità oraria del lavoro”.E’ acceso il dibattito, in Italia, sul-l’abolizione dell’articolo 18.“È evidente che è una discussionepretestuosa. Anche a voler ignora-re che la maggior parte dei nuovioccupati è, oggi, assunta con con-tratti atipici, rispetto ai quali l’ar-ticolo 18 dello ‘Statuto dei Lavo-ratori’ non trova applicazione, iltessuto produttivo italiano è com-posto di una miriade di piccole epiccolissime imprese. Per le qualinon vale la possibilità di reintegrodel licenziato in modo illegittimo.Che è, invece, una tutela previstaper le realtà con oltre i quindici di-pendenti. Il sospetto è, perciò, chetale provvedimento sia evocatoda alcuni esponenti del governo e

di Confindustria solo per fare sal-tare il tavolo della trattativa conle forze sindacali sui temi del lavo-ro. L’obiettivo non dichiarato è ildefinitivo annichilimento del si-stema di contrattazione naziona-

le, già messo a dura prova dallenote vicende Fiat/Marchionne.Se il fine perseguito dal governofosse spingere davvero le impresea ‘crescere’, (con l’eliminazionedella disparità di trattamento legi-slativo), allora si potrebbe argo-mentare che la strada dovrebbeessere l’estensione dell’articolo 18alle piccole imprese, invece del-l’abolizione”.Per il presidente del consiglio Mon-ti cimentarsi nello stesso lavoroper tutta la vita è monotono. E’d’accordo?“No. Per nulla. E’ sorprendenteche l’affermazione provenga daun docente universitario (nonchéex consulente d’importanti corpo-ration e banche d’affari), già com-missario europeo, neoeletto sena-tore a vita e, infine, primo mini-stro e ministro dell’Economia,delle Finanze del governo italia-no. Una condizione d’iper garan-tito che, da sola, avrebbe dovutosuggerire maggiore prudenza les-sicale nell’affrontare un tema cosìdelicato. Se poi la dichiarazionedel presidente Monti è intesa insenso ampio, come un elogio del-le presunte, maggiori, possibilitàd’impiego legate all’adozione dicontratti ‘atipici’, è un’afferma-zione falsa. Il cosiddetto ‘postofisso’ non implica, infatti, alcunvincolo alla mobilità del lavorato-re, ma solo alcune tutele del suoimpiego. Per esempio, contro il li-cenziamento discriminatorio.L’assunto con contratto a tempoindeterminato è, anzi, sempre (te-oricamente), libero di preferireun nuovo impiego. Per contro, è ilprecario che, spesso, è nella condi-zione di non poter scegliere, perl’assenza di forme, anche minime,di protezione reddituale e lavora-tiva. Per milioni di giovani italia-ni, d’indeterminato e di ‘monoto-no’ pare esservi, in effetti, soltan-to la propria, endemica, condizio-ne d’incertezza. Comunque las’interpreti, quella del primo mini-stro suona come una dichiarazio-ne assai infelice. Che, non solomal si concilia con il presunto ‘sti-le Monti’, ma che dà prova delladistanza siderale che si frapponetra la realtà concreta vissuta damilioni d’italiani e la rappresenta-zione che, di essa, ne danno i no-stri gruppi dirigenti. E gli econo-misti mainstream, dei quali il pro-fessor Monti è, non a caso, unesponente di primo piano”.

(r.g.)

Invece di prendere sempre, co-me degli esempi virtuosi, le na-zioni scandinave o mitteleuro-pee, perché, per una volta, nonproviamo noi a brillare perun’eccellenza? Il livello di serie-tà di un Paese spicca per il tassodi funzionamento della giustiziae per il grado di sostegno alle fa-sce sociali meno protette. Anchetemporaneamente, non certo avita. Decidere di avere un figlionel ‘Belpaese’ non è proprio co-me vederlo nascere, e crescere,in Francia o in Svizzera. Comepuò l’Italia essere credibile, do-po le politiche che, negli ultimitre decenni, ha perseguito per ilsostegno alle famiglie e alle don-ne? Puntualmente noi, invece,brilliamo per il contrario. Men-tre in Europa lo Stato sostiene,in Italia le famiglie lo sostitui-scono. Le generazioni più vec-chie mettono mano ai risparmi emantengono quelle giovani. Edel mondo femminile chi si occu-pa? Tanto se ne parla, poco sifa. Così, conseguire una laurea,per una donna, non incrementa,in Italia, le possibilità di trovareun posto di lavoro. E coniugareoccupazione e famiglia, se ieriera un problema, ora è un’illu-sione. La percentuale di donneitaliane che lavora a orario ri-dotto (il 29%) si colloca sottola media europea (il 31,4%).Molto peggio il confronto conPaesi come la Germania el’Olanda. Da loro la quota didonne, con il part time, raggiun-ge, rispettivamente, il 45% e il76%. Ma noi non siamo il Paesedei ministeri alle Pari Opportu-nità e alle Politiche per la fami-glia? Boh.

(r.g.)

Quella mamma disoccupata del terzo millennioIl dramma di Anna Paola Cavazzuti e il tanto agognato part time

La Provincia di Modena ha stanziato900 mila euro per la formazionedelle persone interessate daprovvedimenti di esecuzionepenale, dipendenze, situazioni didisagio psichico e a rischio diemarginazione sociale.

Wwf e la sua ricetta anticrisi

La Provincia e i casi di disagio

“Il top sarebbe l’eliminazionedella burocrazia. Siccome non èpossibile, almeno, in Italia, con-teniamo gli iter così farraginosi.Riduciamo quantitativamente lealiquote fiscali, limitandole adue. Abbassiamo, così, la tassa-zione e, quanto risparmiato, la-sciamolo, non dico nelle taschedegli imprenditori, bensì in quel-le dei lavoratori”.Parola di Massimo Zanotti, com-mercialista modenese. Sì, pensa-te, proprio un commercialista. Ecome lui la pensa pure il suo col-

lega Andrea Medici. I due sonocommercialisti e revisori contabi-li dello studio A.M.Z. di Mode-na. E ora, sono pure in politica,essendo entrambi i referenti perl’economia e per la tesoreria diLega Moderna, il movimentoche vede al timone i consigliericomunali Nicola Rossi e WalterBianchini.Massimo Zanotti rilancia: “Se isoldi rimasti in tasca agli impren-ditori, frutto di una ridotta tassa-zione, fossero investiti in azien-da, allora sì che si creerebbe un

circuito più virtuoso. Le risorsesi potrebbero trovare con unprovvedimento preciso: peresempio, la detassazione totaledei nuovi assunti. E contare su diloro sperando in un aumento del-la domanda dei consumi. Nelcontesto modenese non è che visiano delle grandi società. Proli-ferano, soprattutto, le piccole ele micro imprese. Fra queste, di-verse potrebbero anche trovareuna ragione per compiere dellenuove assunzioni. Infine, biso-gna tagliare. E tanto. Ovviamen-

te - spiega Zanotti - all’internodella spesa pubblica. Dove si an-nida pure la corruzione. Che al-tro non è se non lo spreco di de-naro. Che va sì a scapito dellaspesa pubblica, intesa però comela produttiva.Quella che, se s’investisse vera-mente e bene, creerebbe dell’oc-cupazione. Queste enormi cifre,invece, sono stornate e finisconoin altri portafogli. Che non sonoquelli pubblici. Si crea così un cir-colo vizioso. E’ una piaga assolu-ta. Se in Italia c’è un partito chenon esiste più, e perde, non si sacome, 13 milioni di euro, ecco co-me gettiamo delle risorse chenon sono investite. E che, invece,servirebbero per l’occupazione ola ricerca”.Sul livello di pressione tributariaanche il collega di Zanotti va giùduro.“La tassazione? Altro che il 44%- attacca Medici - è molto più al-ta. Il cittadino può superare il li-mite del 50%, ma nelle società siva anche oltre il 100% dell’utilenetto. Pensi che ci sono dei bilan-ci in perdita a causa delle impo-ste. E se poi ti presenti in banca,chiedendo il rinnovo dell’affida-mento con un ‘profitti e perdite’che è in rosso per colpa delle tas-se? Mica te li danno i soldi. Il co-sto del lavoro è alto; non certoper colpa dell’imprenditore. E,purtroppo, gli stipendi dei lavo-ratori non sono capaci di fare davolano ai consumi”.E i furbi? Massimo Zanotti fini-sce così: “Combattere l’evasionefiscale, poi, è certamente diffici-le. In Italia, forse, si poteva at-tuare in epoche precedenti all’at-tuale. Pagare tutti per sborsaremeno. Non ho dubbi: il carico fi-scale è un po’ eccessivo da noi.Sono convinto che, abbassarlo,alla fine porterebbe lo stesso a in-cassare quanto s’introita oggi.Non intendo, però, essere frain-teso. Chi gira in Ferrari e non di-chiara niente, e, oltretutto, sem-mai ottiene anche delle agevola-zioni per un asilo o per abitareuna casa, è un ladro. E va puni-to”.Sul fronte disoccupazione, inve-ce, Andrea Medici attacca: “Lecifre ufficiali sono più basse dellereali. Con riferimento ai lavora-tori dipendenti, perché gli auto-nomi non si rivolgono certamen-te al Centro per l’impiego. Lorocercheranno di ‘riciclarsi’ in altriambiti. Il dato dei dipendenti

può essere sottostimato, conside-rando le province dove la culturaprevalente non è certo il rivolger-si a un centro per trovare un’oc-cupazione. Non esiste; si optaper il passaparola, l’amicizia o laconoscenza. Certo, la situazioneeconomica generale è gravissi-ma. Anche per le aziende di gran-di dimensioni. Penso, per esem-pio, alla Faral di Campogallianoche impiega centinaia di perso-ne. Quello che mi stupisce è l’at-tuale governo nazionale - prose-gue Medici - che è convinto di au-mentare i posti di lavoro con le li-beralizzazioni delle attività pro-fessionali: avvocati, commercia-listi, notai. E farmacie. A scapi-to, però, della qualità del profes-sionista. Il problema del lavoronon si risolve certo con 5 mila

farmacie o con 500 notai in piùin Italia. Proprio loro che, ope-rando sia nell’immobiliare, sianel societario, oggi fanno, in unmese, quello che, anni fa, attua-vano in un giorno. Sono attivitàgià molto difficili, che richiedo-no un livello di preparazione dibase decente. Veniamo ai com-mercialisti, per esempio. Se dimi-nuiamo lo standard di professio-nalità, che fine farà la tutela delcittadino? Diciamolo chiaramen-te. Rendere facile l’accesso al me-stiere vuol dire diminuire la pro-fessionalità. E viviamo in un’Ita-lia piena di servizi, dove non siproduce quasi più nulla. Si delo-calizza solo - termina il commer-cialista Andrea Medici - e nonc’è un’economia reale”.

(r.g.)

Agiamo,dunque,sullacomposizionedellaproduzione,orientandolasullafornituradi ‘valorid’uso’, infavoreditutta lacollettività.

Una ricetta anticrisi dal W.W.F. Perl’associazione, grazie a uno studio,“investendo 1 miliardo di euro ininfrastrutture e programmisostenibili in agricoltura, sipotrebbero creare 29 mila posti dilavoro in tutta Europa”.

Investimenti in agricoltura e la formazione in città

Senza un lavoro. Perché, in que-sto Paese, se sei donna, fai figli edai la priorità al crescerli, lo Statoti ringrazia, ma poi non ti sostie-ne. Così, fatichi a rientrare nelmondo del lavoro, paghi, senzasconti, la recessione economica, iprocessi di globalizzazione e, co-me se non bastasse, se proprio tigira male, perdi anche un pezzo difamiglia. Quando tocchi con ma-no che gli uomini che ti sono statial fianco per una parte della vita,ti lasciano sola. E’ già dura legger-la, questa storia. Figuratevi viver-la sulla propria pelle, come accadead Anna Paola Cavazzuti. Una34enne modenese Doc, che oggi,da sola, cresce due figli. Un 13en-ne che frequenta le medie e unopiù piccolo, di appena 4 (mater-na). La situazione della giovanemamma ha, però, un’aggravante.Ex compagni che, nonostante ibambini, non si sperticano nel dar-le una mano.“Ho iniziato a lavorare a dician-nove anni, come commessa all’in-terno di un centro commerciale -dice Anna Paola Cavazzuti - dopoavere chiuso il ciclo delle scuole su-periori. Avevo frequentato, infat-ti, un liceo socio psicopedagogicoa Modena. Circa un anno dopo, aventi, ho avuto il mio primo figlio.Per una ragione di orari ho lascia-to il lavoro di commessa. Il nego-zio chiudeva tardi la sera, si lavo-rava il sabato, talvolta pure la do-menica. E avevo un neonato da ac-cudire. Così, cercai un lavoro condegli orari diversi. La prima op-portunità la colsi come centralini-sta. Avevo trovato un’inserzionesu un giornale; eravamo a cavallotra il 2000 e il 2001. Lì, in un cen-tro estetico nel quale non mi trova-vo tanto bene, rimasi nemmenoun anno. Mi appoggiai poi - rac-conta la Cavazzuti - a un’agenziainterinale di Modena. Mi propose-ro diversi lavori. Accettai un po-sto come impiegata in un’aziendadi Nonantola. Il mio rapportocon questa impresa è durato da di-

cembre 2001 fino alla fine del2005. Mi trovavo bene; eraun’azienda grande, che fa parte diun noto gruppo. Siccome ero allaricerca di un secondo figlio, avan-zai una richiesta per passare da untempo pieno al part time. La pro-prietà, però, non mi accolse la do-manda. Mi sono così licenziata esono andata alla ricerca di un tem-po parziale”.L’obiettivo fu centrato. A Mode-na trovò velocemente un’occupa-zione presso una società di artigia-ni. Era un’impiegata che lavoravain ufficio, seguiva l’amministrazio-ne e la gestione dei cantieri.“Nel frattempo - prosegue la mo-denese - i miei figli erano saliti adue. Alla fine del 2007 ero ancorain maternità, quando i soci si divi-sero. Quello che rimase riuscì a sal-vare tre posti: io come segretaria edue apprendisti, oltre alla società.Non durò molto, però. Tra la finedel 2008 e l’inizio del 2009 l’im-prenditore non ce la fece più a te-nerla in piedi, e lasciò a casa i duedipendenti. Chiudendo la S.r.l. etrasformandola in ditta individua-

le. Restai io come impiegata”.Un film, quello della separazionetra i soci che, oggi, drammatica-mente, si rivive in molte zone ita-liane. Tra le cause delle discussio-ni tra gli artigiani, che erano im-piantisti ed elettricisti, c’erano an-che i mancati introiti. Alcuni entinon avevano pagato, erano falliti;dopo avere, però, fatto eseguiredegli interventi. Mesi di lavorinon retribuiti, che si aggiungeva-no a tutti i costi vivi. Per esempio,per i materiali acquistati. Qualcheanno fa la discussione portò così auna separazione tra i soci. Oggi,davanti a crediti non riscossi e allebanche che ti sbattono la porta infaccia, gli imprenditori si ammaz-zano.“Il socio rimasto - svela Anna Pao-la Cavazzuti - ha provato in ognimodo, a tenermi. Il mio costo, pe-rò, era, per quasi un biennio, supe-riore alle entrate. Il titolare nonportava a casa lo stipendio. A gen-naio del 2010, valutando la situa-zione complessiva, drammaticaper l’azienda, mi ha comunicatoche non riusciva più a mantenere

il mio posto di lavoro. Sono entra-ta così in disoccupazione. In listadi mobilità già da marzo. Da quel-la data sono stata senza un lavoroper circa undici mesi. In tale perio-do ho avuto riconosciuti gli ottomesi di disoccupazione dell’Inps.Pari al 60% dell’ultimo stipendio,che, ricordo, era un part time. Inquei mesi - ammette la giovanemamma modenese - ho inviatonon so quanti curriculum a tuttele agenzie interinali. Mi sono pun-tualmente iscritta ai siti internetche ospitano le offerte per la cittàdi residenza. Il quadro finale è sta-to sconfortante. Due chiamate incirca dieci mesi. Uno riguardavaun lavoro serale che non ho potu-to accettare, non sapendo come fa-re con i figli. Il secondo era statoun contatto per sapere se ero di-sponibile. Peccato che dopo nonmi abbiano mai chiamata. Pensicom’è cambiato il mondo. Un de-cennio fa era bastato che mi rivol-gessi a un’agenzia interinale; a ini-zio 2011, invece, tutto diverso”.Proprio quando la situazione pa-reva preoccupante, nel febbraio2011, un anno fa, il cellulare di An-na Paola Cavazzuti squilla. Alladonna arriva la telefonata di unsuo conoscente. Che era rimastosenza una dipendente che svolge-va il part time. Occasione perfet-ta. La modenese non solo è avver-tita, pure assunta. Con un contrat-to a tempo determinato (scadenza31 dicembre 2011), con la promes-sa di una trasformazione in inde-terminato. Alla 34enne è chiestodi seguire la contabilità, l’ammini-strazione, oltre alle spedizioni e gliordini. Un’impiegata tuttofare inun’impresa che ha sede a Modenacittà, guidata, come visto, da unconoscente, al timone di un’azien-da, una S.r.l. che commercializzadegli strumenti elettronici per ilmercato audio e video.“La società - racconta Anna Pao-la Cavazzuti - ha poi cambiato se-de, come ubicazione, nell’aprile.A settembre il titolare ha deciso diassumere anche sua moglie, rite-nendo, mi disse, che il volume di

affari crescesse. Anche se non sosulla base di quali criteri lo pensas-se. A novembre mi ha comunicatoche avrebbe tenuto la moglie a la-vorare nell’impresa, che io sarei ri-masta a casa. E pensare che miaveva assunto ottenendo delle age-volazioni, perché ero in mobilità.Oggi sono disponibile a fare qua-lunque lavoro, chiaramente chepossa combaciare con l’impegnodi crescere due figli, quindi unpart time. Se tornassi indietro?Compirei le stesse scelte. Sonosoddisfatta del percorso che homaturato; quando io lavoravo giàda 6/7 anni, e ne avevo 25, le miecoetanee, semmai con in tasca untitolo di studio più elevato, comela laurea, erano messe come me al-l’inizio. Erano delle commesse.Farmi tanta esperienza è statauna buona scelta; ovviamente perchi, come me, aveva dei progettilavorativi che non m’imponesse-ro, ovviamente, un passaggio inun ateneo. Proprio per ciò che hotoccato con mano, ho capito chenelle aziende italiane c’è molta di-sattenzione, poca responsabilità.Ci sono persone che sono lì a scal-dare le sedie, ma così pagano e cirimettono anche quelli che lavora-no bene. Oggi, è vero, i lavoratorisono poco tutelati; in passato, pe-rò, assumendo tutti con contrattoa tempo indeterminato, avevamochi, dopo anni, si adagiava e nonrendeva più. E ora c’è poco spazioper i giovani, le donne. E le fami-glie ne risentono tantissimo. Nonposso passare il mio tempo - termi-na la mamma - a dire ‘oddio nonce la farò’. Devo, invece, cercaredi lavorare, pensare ai bambini etirare fuori le unghie con chi di do-vere. Pensi che ho anche continua-to a coltivare le mie passioni. Hocompletato un corso di truccatri-ce. Peccato che, per continuare apraticare la professione, avrei do-vuto trasferirmi. Cambiare città,spostarmi a Milano, dove c’è lavo-ro per le truccatrici”.Ancora una volta nella vita, inve-ce, la Cavazzuti ha dato prioritàalla famiglia. Chapò.

Piccola industria di produzione con 26 dipendenti e 4 soci/amministratori che lavorano COSTI RICAVIMerce destinata alla produzione 628.000,00 Ricavi da vendite 2.200.000,00Stipendi dipendenti (26) ¹ 936.000,00 Compensi agli amministratori (4) ¹ 154.000,00 Leasing capannone ² 72.000,00 Altri costi di gestione 260.000,00Interessi passivi banche e mutui ³ 50.000,00Totale costi 2.100.000,00 Totale ricavi 2.200.000,00

Utile civile 100.000,00 Totale imposte -79.956,50 Utile effettivo 20.043,50

Come si vede dalla tabella il contribuente non paga imposte sull’utile conseguito, bensì su un imponibile che è ‘maggiorato’ da una serie d’importi (costi), da considerarsi come indeducibili dalle varie imposte al solo fine di aumentare il gettito fiscale. Così abbiamo le: spese di telefonia (sia fissa, sia mobile) deducibili solo per l’80%; spese per autoveicoli deducibili solo al 40%, che è calcolato su un importo massimo di 18.076 euro. Al massimo, quindi, 7.230 euro da suddividere in 4 anni (1.807) per ogni auto; spese di manutenzione e utilizzo sulle auto (assicurazione, bollo, carbolubrificanti) deducibili solo per un importo del 40% dei costi sostenuti; interessi passivi deducibili solo per il 30% del R.O.L. (Reddito Operativo Lordo) ai fini Ires e totalmente indeducibili ai fini Irap; ammortamenti e leasing su uffici e capannoni indeducibili per il 20% del costo sostenuto ai fini Ires e Irpef;1: costo del personale dipendente e compensi agli amministratori indeducibili ai fini Irap;2: immobili (uffici/capannoni): indeducibile il 20% del costo di acquisto o dei canoni leasing ai fini Ires;3: interessi passivi indeducibili al 100% ai fini Irap (compresi quelli sui leasing).E’ evidente come all'aumentare dei costi dei dipendenti e degli interessi passivi la tassazione cresce in modo più che proporzionale, superando notevolmente la media dichiarata dagli organi d’informazione. Sono tanti, inoltre, i casi in cui, per effetto della tassazione, il bilancio si chiude in perdita, con conseguenze negative sul piano dell'accesso al credito nei confronti delle banche. Si noti bene che gli stipendi dei dipendenti e i compensi dei soci/amministratori sono già assogget-tati a tassazione Irpef e Inps.

Calcolo Ires Importi Aliquota Imposta Tassazione effettivaUtile civile 100.000,00 Leasing capannone 14.400,00 Imponibile fiscale Ires 114.400,00 27,50% 31.460,00 31,46%

Calcolo Irap Utile civile 100.000,00 Stipendi dipendenti 936.000,00 Compenso agli amministratori 154.000,00 Interessi passivi banche e mutui 50.000,00 Interessi passivi su leasing capannone 3.500,00 Imponibile fiscale Irap 1.243.500,00 3,90% 48.496,50 48,50%Totale tassazione teorica 31,40% Totale tassazione effettiva 79.956,50 79,96%

“Riduciamo a due le aliquote fiscali, lasciamo i soldi ai lavoratori”Le proposte dei commercialisti gialloblù Zanotti e Medici, contrari all’alta tassazione in Italia

“Il 2011 è risultato un anno alta-lenante per i distretti produttiviitaliani. Si è registrata una cresci-ta, che, però, non ha avuto ilconforto della continuità. Il ci-clo economico, rispetto al 2010,è migliorato; infatti, è aumenta-to il numero di aziende distret-tuali. Che segnalano un incre-mento del fatturato, degli ordinie, soprattutto, delle esportazio-ni. Si sono acuite, però, delleproblematiche, come l’occupa-zione”.Valter Taranzano, presidente

della Federazione dei Distretti,sintetizza così i risultati del terzo‘Rapporto dell’Osservatorio Na-zionale dei Distretti Italiani’,che ha esaminato il loro anda-mento nel 2011, tracciando, inol-tre, delle previsioni per il 2012.“Sebbene l’export, inoltre - spie-ga Valter Taranzano - abbia, or-mai, un ruolo determinante, èuna variabile che, da sola, non èin grado d’innescare un’inversio-ne del ciclo. Così, per i distretti,permane una situazione in bili-co. Vi è, poi, un secondo aspettoche è il finanziario: mezzi liquidiinsufficienti, difficoltà di recupe-ro dei crediti commerciali (unproblema che coinvolge il 70%degli intervistati), problemi a ot-tenere dei finanziamenti a causadella crisi (il 50% degli interpella-ti). Sono tutti elementi che nonrendono sereni i nostri imprendi-

tori. I distretti, comunque, ri-mangono lo zoccolo duro del-l’Italia che investe. Dimostrano,ancora una volta, non solo di re-sistere a una fase recessiva, an-che d’anticipare le tendenze e dirappresentare un modello di rife-rimento per le modalità d’intera-zione e di collaborazione tra leimprese. Vuoi per la propensio-ne a investire, per l’accesso ainuovi mercati, per la capacità diamalgamare ruoli differenti e ge-nerare, contemporaneamente,dei processi produttivi e organiz-zativi con un elevato grado d’in-novazione e, infine, per la voca-zione alla sostenibilità”.Il terzo ‘Rapporto dell’Osserva-torio’ ha posto sotto la lented’ingrandimento ben 101 distret-ti. Dove operano 283 mila azien-de, con circa 1,4 milioni di addet-ti, che rappresentano il 30% deltotale manifatturiero. Di questi,il 38% coinvolge il settore tessileabbigliamento, il 22% l’arredocasa, il 12% l’agroalimentare, il26% l’automazione e la me-talmeccanica, il 2% la cartotecni-ca/poligrafici e, infine, l’1% lacultura. La Federazione dei Di-stretti Italiani, coordinatrice deirapporti annuali, anche nell’ulti-ma occasione, si è avvalsa del la-voro congiunto di prestigiosipartner quali Unioncamere, In-tesa San Paolo, Banca d’Italia,Censis, Cna, Confartigianato,Confindustria, Fondazione Edi-son, Fondazione Symbola eIstat. Ovvero, quindi, tutti colo-ro che lavorano sulle dinamichedistrettuali, realizzando, unavolta di più, un lavoro di raccol-ta dei dati e di analisi che è uniconel suo genere.

L’approfondimento

Anna Paola Cavazzuti, disoccupata, e la sede del Centro per l’impiego di Modena

I commercialisti modenesi Massimo Zanotti e Andrea Medici; sotto, una farmacia

VALTERTARANZANO“Attenzioneall’aspetto

finanziario:mezzi liquidiinsufficientiedifficoltànel

recuperareivaricrediti”.

di Roberto Giovannini

Per dimostrarcidavvero credibiliaiutiamo i deboli

Bene i distretti industrialima occorre la continuità

Valter Taranzano, presidente della Federazione dei Distretti Italiani

“Spesa pubblica, il volano dell’economia”Il professor Passarella: “Rispolveriamo Karl Marx”

In alto, John Maynard Keynes; sotto, il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti e l’economista Marco Passarella

6 QuiVenerdì 24 febbraio 2012 Venerdì 24 febbraio 2012 7Qui