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“L’intuizione fondamentale di Keynes riguarda la nostra impossibilità di sapere (o calcolare) che

cosa ci porterà il futuro.”R. Skidelsky, Keynes, il Mulino, Bologna 1998

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Una doverosa premessa: non eccedere nella semplificazione

Mi scuserete quindi se, per dirla con le parole di

Keynes,

“Dirò troppo per l’inesperto, troppo poco per l’esperto. Benché nessuno ci creda, infatti, l’economia è materia tecnica e difficile. Sta perfino diventando una scienza.”

John Maynard Keynes, La Grande Depressione del 1930, in Esortazioni e profezie, Garzanti, Milano 1968

Non pretendere l’impossibile

Non sono un tuttologo: so poco di questioni finanziarie (Banche, Borse, Istituzioni finanziarie, Casinò) e non sono

uno storico del pensiero economico. Sono un cultore dell’Economia dello sviluppo e di quella branca della

Macroeconomia che si occupa del comportamento dei sistemi economici reali.

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Di cosa parleremo

Da Marx a Keynes (e dopo)

Alle origini della crisi attuale

Ritorno a Keynes?

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Da Marx a Keynes (e dopo). Alcuni cenni all’evoluzione del pensiero economico.

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Da Marx a Keynes (e dopo)

L’economia classica(dal 1750 al 1850 circa)

A. Smith (1723-1790)D. Ricardo (1772-1823)R. Malthus (1766-1834)

K. Marx (1818-1883)

La rivoluzione marginalista(dal 1850 ca. al 1936)

L. Walras (1834-1910) A. Marshall (1842-1924)V. Pareto (1848-1923)

La rivoluzione keynesiana(dal 1936 al 1970 circa)

J.M. Keynes (1883-1946)R. Harrod (1900 – 1978 )N. Kaldor (1905-1986)

L’economia neoclassica

Non prevede le crisi: grazie al mercato il sistema economico possiede meccanismi

spontanei di aggiustamento che lo conduconoalla piena occupazione.

L’economia keynesiana

Prevede che il sistema economico non possa raggiungere la piena occupazione senza

un intervento correttivo di politica economica.

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Il paradigma della «fiera del villaggio»:

• Attraverso lo scambio, le esigenze

dei consumatori e quelle dei

produttori concorrono a

determinare il prezzo della merce,

in relazione alla particolare

situazione di mercato in cui

avviene lo scambio.

• La forma di mercato più efficiente è

quello della libera concorrenza nella

quale eventuali eccessi di offerta o di

domanda daranno luogo ad un processo

di aggiustamento del prezzo fino a

raggiungere una situazione «di

equilibrio».

• In situazioni come il monopolio,

oppure in presenza di asimmetrie

nelle informazioni, di beni pubblici o

di esternalità, il mercato diviene

inefficiente (fallisce), nel senso che

non raggiunge l’ottimalità paretiana.

• L’economia neoclassica è incentrata

sul momento dello scambio di una

data quantità di merce. In questo contesto la domanda di beni si adegua all’offerta (data) attraverso il meccanismo della

variazione dei prezzi. Non è prevista l’esistenza di crisi e la

Politica economica interviene solo quale rimedio al fallimento dei

mercati.

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Il paradigma keynesiano

• la produzione industriale richiede tempo;

• le imprese agiscono in condizioni di incertezza e possono commettere errori;

• gli errori nella stima della quantità da produrre si tradurranno in variazioni indesiderate delle scorte;

• nel tentativo di porre rimedio a tali errori, le imprese cercheranno di aggiustare la quantità prodotta (l’offerta aggregata) alla domanda aggregata;

• se la domanda aggregata risulterà inferiore alla capacità produttiva del sistema si avrà «disoccupazione involontaria».

• L’economia keynesiana è incentrata invece sul momento della produzione;

In questo contesto, per usare le parole di Luigi Pasinetti

(1977), “Ci sono macchine e ci sono lavoratori in grado di farle funzionare, ma il tutto

rimane inattivo per insufficienza di domanda

effettiva”.

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L’economia keynesiana in pillole

• L’esigenza di descrivere, di quantificare e di comparare i sistemi economici ha portato alla creazione degli schemi di «contabilità nazionale»;

• il funzionamento del sistema economico viene descritto mediante il principio della domanda effettiva e le teorie della domanda effettiva;

• Il sistema economico viene scomposto in due sottosistemi tra di loro interdipendenti, quello reale e quello monetario. Dal primo trae origine la politica fiscale (la gestione del bilancio pubblico) e dal secondo la politica monetaria (la gestione della quantità di moneta in circolazione).

• il sistema economico nel suo complesso viene analizzato nelle sue caratteristiche e nella sua evoluzione nel tempo;

• L’approccio keynesiano è simile a quello degli economisti classici:

In questo contesto, si assume che la politica fiscale che la politica monetaria abbiano

efficacia nello stimolare l’attività produttiva in funzione

anticrisi.

Ma nella realtà le cose funzionano cosi?

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La teoria e la realtà

• Gli obiettivi della politica monetaria: la BCE e la politica monetaria orientata alla

lotta all’inflazione.

• I limiti della politica monetaria: quanto è efficace nello stimolare l’attività

produttiva?

• Con internet e la globalizzazione il mondo è profondamente mutato e molto più

complesso.

Qual è dunque oggi l’eredità di Keynes? Provo ad indicare alcune geniali intuizioni di

questo grande economista:

• il suo approccio macroeconomico; • il ruolo dell’incertezza che governa gli

investimenti privati; • l’opportunità dell’intervento pubblico in

economia;• l’importanza delle istituzioni nel governo

dell’economia;• l’imprescindibilità del ruolo moneta;

• la necessità di tenere sotto controllo la speculazione.

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Le origini della crisi attuale e il suo trasferimento all’economia reale.

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Le crisi economiche, siano esse di dimensione locale oppure globale, sono endemiche al sistema capitalistico. Esse sono riconducibili a due diverse tipologie: le crisi finanziarie e le crisi reali.

Le crisi sono endemiche al sistema di produzione capitalistico

Tra la prima e la seconda guerra mondiale si sono verificate, a livello mondiale, otto crisi, tra cui la Grande Crisi degli anni ’30. Tra il 1944 e il 1971 vi sono state 6 crisi e tra

il 1974 e il 2008 16.

Le crisi economiche si susseguono dunque sempre più

rapidamente!

Le crisi finanziarie aumentano con la liberalizzazione e l’apertura dei mercati. Esse possono avere origine:

1. sul mercato valutario (sterlina, lira, 1992) 2. dalla insostenibilità del debito (Argentina 2001) 3. sul mercato del credito (USA 2007-8)

Le crisi sui mercati finanziari sono originate dal venir meno della fiducia sulla capacità del debitore di onorare i propri debiti.

Le crisi sul mercato reale hanno origine, invece, o da una carenza di domanda effettiva, dalla scarsità di materie prime, oppure da tensioni sui mercati delle fonti energetiche.

Essendo il sistema economico fortemente interconnesso, le crisi finanziarie si trasmettono al mercato reale e viceversa.

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L’economia americana innova

• I bassi tassi d’interesse praticati dalla FED favoriscono l’espansione dei mutui e la nascita di nuovi intermediari finanziari con lo scopo di procurare sempre nuovi clienti (debitori) a cui vendere una casa mediante l’accensione di un mutuo.

• Ma l’accensione di un mutuo (senza garanzia reale) richiede che il debitore sia affidabile, vale a dire deve disporre di un flusso di reddito certo che gli consenta di rimborsare il mutuo acceso.

• Per garantirsi contro il rischio di insolvibilità, gli intermediari finanziari attuano la cosiddetta «cartolarizzazione» dei crediti.

• Dalla seconda metà degli anni ’90 negli USA ha inizio una forte crescita del settore delle costruzioni, crescita che durerà fino al 2006.

Si innesca la cosiddetta bolla speculativa sul prezzo delle abitazioni, che riguarda sia le abitazioni nuove che quelle già esistenti.

Con la nuova liquidità così acquisita vengono concessi nuovi mutui, mettendo in moto un processo di moltiplicazione dei depositi.

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• Con l’ascesa dei prezzi delle abitazioni si afferma la pratica della ricontrattazione dei mutui.

La crisi finanziaria si trasmette all’economia reale

• Ma quando l’economia reale rallenta, come è accaduto a seguito dell’attentato alle Torri Gemelle nel 2001, qualche debitore (specie coloro che hanno perso il lavoro) inizia a dichiararsi insolvente e i prezzi delle abitazioni cessano di aumentare. Mediante questa pratica le famiglie

americane finanziano i consumi, ma nel contempo l’indebitamento aumenta.

Le banche rilevano le abitazioni dei debitori e le immettono sul mercato favorendo in tal modo l’inversione della tendenza all’aumento dei prezzi delle abitazioni sul mercato immobiliare.

• Infine, quando a partire dal 2006 il prezzo delle abitazioni crolla, le banche chiedono ai debitori di rientrare sul valore dei mutui concessi e ciò si traduce in una forte riduzione dei consumi.

Con la caduta dei consumi la crisi finanziaria si trasmette all’economia reale.

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Tanti debiti

• In sintesi, la crisi finanziaria è stata causata da un eccesso di debito e dalla distruzione di ricchezza finanziaria. Di per sé il debito non è un male: esso si può intendere, infatti, come l’opposto della ricchezza, o meglio, una forma di ricchezza futura goduta anticipatamente.

• Per comprendere l’importanza del concetto di sostenibilità del debito si può fare riferimento ai quattro operatori di spesa considerati dalla Macroeconomia:

Le famiglie

Le imprese

Lo Stato

L’estero

E verificare per ciascuno di essi quali possono essere i motivi dai quali può insorgere un debito e qual è il criterio più appropriato per valutare la sostenibilità del debito stesso

Al pari della ricchezza, il debito si manifesta con diverse modalità e ciascuna modalità possiede un diverso criterio di sostenibilità del debito.

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Come varia la sostenibilità del debito:

Per le famiglie:

Consiste nell’affidabilità basata sulla disponibilità di un congruo stock di ricchezza e sulla continuità del flusso del reddito.

Per le imprese

Consiste nell’affidabilità basata sull’efficienza dell’impresa, sulle sue buone prospettive di mercato sulla solidità del sistema economico.

Per lo Stato:

In assenza di disavanzo primario, la sostenibilità del debito pubblico è affidata alla condizione che l’economia cresca ad un tasso non inferiore al tasso di interesse.

Per l’estero

Non esiste un criterio generale per valutare la sostenibilità di questa forma di debito. Tuttavia, nel lungo periodo a nessuna economia è consentito di accumulare un consistente debito nei sui rapporti commerciali.

La speculazione, che scommette sulla sostenibilità del debito delle imprese

(acquistando e vendendo azioni e obbligazioni), del debito pubblico

(acquistando e vendendo titoli dello stato) e sul debito estero (acquistando e

vendendo valuta), non è la causa dei fenomeni, ma li amplifica e, a seconda

della disponibilità liquida, talvolta asseconda l’autorealizzazione delle

previsioni

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La ricchezza reale non svanisce con le crisi

La crisi finanziaria ha distrutto in poche settimane “una quantità di ricchezza pari a quella svanita nell’intero secolo precedente: più che nelle due guerre mondiali messe assieme”. Ma quale forma di ricchezza svanisce con le crisi?

Possiamo individuare almeno tre diversi tipi di ricchezza:

1. la ricchezza reale2. La ricchezza finanziaria3. La ricchezza sociale

La ricchezza reale, che deriva dall’eccedenza del reddito sui consumi e prende la forma di abitazioni e di capitale fisso industriale non svanisce con le crisi finanziarie, semplicemente passa di mano!

La ricchezza finanziaria, che deriva dall’aumento del valore degli assets (il portafoglio dei titoli di credito) in seguito a fenomeni come l’inflazione o come le bolle speculative, svanisce invece con le crisi finanziarie.

La ricchezza sociale consiste invece nel capitale umano e nel capitale sociale. Ma mentre il capitale umano non svanisce con le crisi, il capitale sociale, che si esprime nella fiducia, svanisce repentinamente; concorre a favorire le crisi e richiede molto tempo per la sua ricostituzione. Talvolta la ricostituzione del capitale sociale passa attraverso eventi sociali traumatici come i cambiamenti di regime.

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La ricchezza finanziaria svanisce con la crisi

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Ricchezza USA (mila miliardi $)Ricchezza netta ex debito

US Assets: uno shock senza precedenti

La crisi finanziaria attuale

Fonte: L. Noto (Senior Economist & Fund Manager del Monte Paschi Asset Management SGR), Obama-economics: la ricetta contro la depressione?

L’attacco terroristico alle Torri Gemelle

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Tasso di risparmio, in % del reddito disponibile

Fonte: L. Noto (Senior Economist & Fund Manager del Monte Paschi Asset Management SGR), Obama-economics: la ricetta contro la depressione?

Dalla seconda metà degli anni ’80 il tasso di crescita dei consumi si è mantenuto, negli USA,

molto al di sopra del tasso di crescita dell’economia Il crollo dei consumi nel 2008

La crisi dei consumi dopo l’attentato alle Torri Gemelle …

Consumi, risparmio e ricchezza reale negli USA

Con il crollo dei consumi il risparmio torna ad aumentare!

In pratica, dalla seconda metà degli anni ’80 le famiglie americane hanno

continuato a consumare la maggior parte del loro reddito (indebitandosi con le

banche); acquistando beni di importazione (indebitandosi con l’estero)

e ricorrendo al risparmio altrui!

Nello stesso periodo, la quota del risparmio sul reddito si è ridotta progressivamente fino ad

annullarsi dal 2005 in poi.

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• La recessione americana si trasmette ai sistemi economici con i quali l’economia statunitense ha delle relazioni di scambio (gli USA producono circa il 28% del PIL mondiale), principalmente le economie asiatiche (la Cina e l’India producono assieme il 7,3% del PIL mondiale), ma anche quelle europee (la UE a 27 paesi produce il 30% del PIL mondiale).

L’economia mondiale entra in crisi

Si può interrompere la spirale della recessione?

•Secondo la teoria economica di ispirazione keynesiana, è possibile intervenire con opportune misure di

politica monetaria e di politica fiscale.

Con la riduzione della domanda estera, anche queste economie vedranno ridursi le loro esportazioni e, quanto più l’economia è aperta, tanto maggiormente risentirà della crisi reale.

La politica monetaria consiste nel controllo, da parte delle Banche Centrali (la FED, la BCE) della quantità di moneta in circolazione per contrastare la crisi di liquidità delle istituzioni creditizie.

La politica fiscale, consiste invece nella gestione del bilancio dello stato. L’operatore pubblico può attuare misure compensative della domanda aggregata allo scopo di contrastare la riduzione dei consumi delle famiglie ed avviare nuovi investimenti reali in infrastrutture. Ma gli interventi in deficit fanno aumentare il debito pubblico.

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Come uscire dalla crisi

1. il mercato non si corregge da sé

2. i mercati falliscono

3. le politiche keynesiane funzionano

4. la politica monetaria non deve

limitarsi alla lotta all’inflazione

5. le innovazioni finanziarie hanno un

costo sociale

Cinque mosse da Nobel: secondo il Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, la crisi ci ha insegnato che:

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Come uscire dalla crisi

la politica monetaria non deve limitarsi alla lotta all’inflazione

Cinque mosse da Nobel:

secondo il Premio Nobel per l’Economia Joseph Stiglitz, la crisi ci ha insegnato che:

i mercati falliscono

il mercato non si corregge da sé

le politiche keynesiane funzionano

le innovazioni finanziarie hanno un costo sociale

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Ritorno a Keynes?

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E’ possibile un ritorno a Keynes?

• Per fronteggiare la recessione e per giustificare le misure di intervento volte a sostenere la domanda aggregata, molti osservatori hanno evocato un ritorno a Keynes. Ma è realistico questo riferimento?

• John Maynard Keynes ha elaborato le sue teorie tra il 1930 e il 1936.

• La diffusione delle sue teorie, specie negli Stati Uniti è avvenuta dopo la fine della Seconda Guerra mondiale.

• Molti di coloro che sostengono l’efficacia delle teorie keynesiane guardano con nostalgia agli anni ’50 e ’60 del Novecento.

• Ma quale è stato il contesto (irripetibile) in cui tali politiche hanno avuto successo?

Il contesto internazionale

Il contesto interno

• Oggi le condizioni che hanno favorito la Golden Age dello sviluppo economico non esistono più

• l’economia mondiale è fortemente interconnessa (globalizzazione);

• gli Usa stanno perdendo la leadership di potenza economica mondiale a favore di Cina e India;

• l’Europa ha difficoltà a trovare un suo ruolo politico, oltre che economico, e la sua popolazione è fortemente in declino;

• e anche Continente Africano si sta muovendo

•Gli Accordi di Bretton Woods sono venuti meno nell’agosto del 1971;

•gli effetti del Piano Marshall si sono esauriti;•gli USA vivevano una fase non isolazionistica; •i paesi europei vivevano una intensa fase di

collaborazione che ha visto la nascita prima della CEE, poi dello SME e infine dell’Unione Europea;

•Le economie occidentali sperimentavano un clima improntato all’ottimismo, in cui aspettative economiche a lungo termine erano favorevoli;

• Tutti i paesi occidentali avevano esigenza di ricostruire l’apparato produttivo distrutto dalla guerra; • In ciascun paese vi era una domanda

sostenuta per i consumi interni, che a sua volta induceva domanda di investimenti produttivi;• Le imprese manifestavano una elevata

propensione al reinvestimento dei profitti;• In ogni paese vi era un elevato clima di

coesione sociale e di attaccamento al lavoro, con condizioni del mercato del lavoro coerenti con i valori sociali condivisi;• In ogni paese, infine, l’esistenza di un

sistema di valori condivisi poneva un freno agli egoismi individuali in favore dell’interesse collettivo.

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E per concludere: «Casinò»

“… quanto più perfezionata è l’organizzazione dei mercati di investimento, tanto maggiore sarà il rischio che la speculazione prenda il sopravvento

sull’intraprendenza. (…) Quando lo sviluppo del capitale di un paese diventa un sottoprodotto delle attività di un casinò da gioco, è probabile

che vi sia qualcosa che non va bene”.

John Maynard Keynes, Lo stato dell’aspettativa a lungo termine, cap. XII della Teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta, UTET,

Torino 1971, pp. 298-299.

Page 26: “L’intuizione fondamentale di Keynes riguarda la nostra impossibilità di sapere (o calcolare) che cosa ci porterà il futuro.” R. Skidelsky, Keynes, il.

• J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta, UTET, Torino 1971

• J. M. Keynes, Esortazioni e profezie, Garzanti, Milano 1968

• G. La Malfa, J.M. Keynes, Luiss, Roma, 2006

• A. Minc, Diavolo di un Keynes. La vita di John Maynard Keynes, Utet, Torino, 2008

• R. Newbury, J.M. Keynes. Vita pubblica e privata di un grande economista ed esteta trasgressivo, Boroli Editore, Milano 2007

• L. Pasinetti, Sviluppo economico e distribuzione del reddito, il Mulino, Bologna, 1974

• R. Skidelsky, Keynes, il Mulino, Bologna, 1998

• J. Stiglitz, Le cinque mosse contro lo stallo, Il Sole 24 Ore, 3 gennaio 2010

Per saperne di più

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E per ripassare la lezione

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