Laparoscopia 3D FUTURO IN-DOLORE MAMMA E BAMBINO · tema a lei caro, quello della nutri-zione. Cosa...

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MUSCOLI RIGENERATI: UNA SPERANZA DALLE STAMINALI APPROFONDIMENTI Intervista al prof. Girolamo Sirchia SANITÀ FUTURO Numero 28 - Estate 2015 Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica AL CHIRURGIA Laparoscopia 3D IN-DOLORE Una squadra contro l’osteoporosi MAMMA E BAMBINO Gravidanza e Ipertensione

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MUSCOLIRIGENERATI:

UNA SPERANZADALLE STAMINALI

APPROFONDIMENTI Intervista al prof. Girolamo SirchiaSANITÀ

FUTURO

Numero 28 - Estate 2015

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica

AL CHIRURGIA Laparoscopia 3D

IN-DOLORE Una squadra contro l’osteoporosi

MAMMA E BAMBINO Gravidanza e Ipertensione

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MUSCOLIRIGENERATI:

UNA SPERANZADALLE STAMINALI

APPROFONDIMENTI Intervista al prof. Girolamo SirchiaSANITÀ

FUTURO

Numero 28 - Estate 2015

Periodico di informazione del Gruppo MultiMedica

AL CHIRURGIA Laparoscopia 3D

IN-DOLORE Una squadra contro l’osteoporosi

MAMMA E BAMBINO Gravidanza e Ipetensione

ricercaCELLULE STAMINALI.DEFINIZIONE,DIFFERENZE, UTILIZZI

Sanità al FuturoPeriodico di informazione del Gruppo MultiMedica

Reg. Tribunale di Milano n. 336 del 19 maggio 2003Direttore responsabile: ALESSANDRA CHIARELLO, Responsabile Comunicazione e Formazione, Gruppo MultiMedicaIn Redazione: SIMONA PAGANINI, PIERLUIGI VILLA, Gruppo MultiMedicaEditore: Fondazione MultiMedica ONLUSe-mail della redazione: [email protected]

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indice

RUBRICHEARTICOLI

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La corrente degli “inter-nauti della salute” cre-sce un po’ in tutto il mondo. In Italia, in par-ticolare, gli ultimi dati del Censis indicano

che quattro italiani su dieci van-no a caccia sul web di malattie da associare ai propri disturbi e ma-lesseri (non è un caso che Goo-gle abbia deciso di correlare a una qualunque ricerca di patologia l’a-pertura di una finestra con informa-zioni aggiuntive come sintomi, trat-tamenti e contagiosità). Si cercano approfondimenti per capire meglio le indicazioni del proprio medico (58,1%), oppure per verificare dia-gnosi e terapie (55,3%). In altri casi i risultati delle ricerche online sono spunto di discussione con il medi-co stesso (37,1%) o pretesto per contestarlo (20,5%). Accade an-che che le informazioni reperite in internet siano fonte di automedica-zione, senza intermediazione dello Specialista (18,8%).Rebus sic stantibus, cari Medici, rassegnatevi. Ripetere ai pazien-

ti di non cercare diagnosi online e di contattarvi alla comparsa dei pri-mi sintomi è un inutile spreco di tempo. Anche secondo l’indagine Pharma Digital 2014 di Reputation Manager presentata all’ultima edi-zione di Cosmofarma, l’89% dei cittadini si rivolge a internet princi-palmente per porre domande, ma c’è un buon 11% che va in rete per fornire le risposte; di questi, il 72% è rappresentato da medici e il 19% da influencer web, persone, spes-so prive di formazione scientifica, che raccontano esperienze diret-te. Questi scambi avvengono per lo più su forum (71%) e portali tematici (18%), meno su blog, siti aziendali o istituzionali e siti di opinioni e recen-sioni. Peccato che ben il 90% dei suddetti blog e forum offra indica-zioni generalmente imprecise, in al-cuni casi totalmente inattendibili, o addirittura con finalità commerciali. Cautela e sospetto devono quindi essere le parole d’ordine per chi si rivolge a “Dottor Internet” per ave-re informazioni su malattie e cure. Bisogna sempre verificare le fonti e

privilegiare quelle nozioni che sia-no supportate da riscontri scienti-fici e citazioni bibliografiche certifi-cate. Come nel caso dei social che anche MultiMedica ha recentemen-te attivato: due profili su Facebook (Gruppo MultiMedica e Ospedale San Giuseppe), un profilo su Linke-din e su Youtube e ben tre “canali” dedicati alla maternità: Instagram, Youtube e il blog nascereinsangiu-seppe.blogspot.it.Ricordiamoci, quindi, che la rete è una fonte davvero preziosa di infor-mazioni, ma al tempo stesso non è controllata da nessuno. È fonda-mentale non prendere per oro co-lato tutto ciò che si legge, ma man-tenere vivo e continuativo il dialogo e il confronto con il proprio me-dico, che, conoscendo la nostra storia clinica, i disturbi e le malat-tie pregressi, la familiarità per de-terminate patologie, i risultati de-gli esami, l'eventuale assunzione di farmaci, è il solo che può pre-scriverci le terapie più appropriate e l’unico a potersi prendere davve-ro cura di noi.

editoriale

SALUTE VIRALE

mamma e bambinoIPERTENSIONEIN GRAVIDANZA.COSA FARE?

in-doloreCONTRO L’OSTEOPOROSICI VUOLE GIOCO DI SQUADRA

buono & sanoQUANDO IL CIBOFA BUON SANGUE

parlami di teGRAZIE "SANITÀ AL FUTURO"!

la posta del cuore

MultiMedica FLASH

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ricercaMUSCOLI DA STAMINALI:UNA RICERCA SUI TOPIACCENDE NUOVE SPERANZE

chirurgiaLA CONQUISTA DI UNA NUOVA DIMENSIONE CHIRURGICA:LA LAPAROSCOPIA 3D

chirurgia vascolareLA FISTOLA ARTERO-VENOSAPER EMODIALISI

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sanitàLA SALUTE IN ITALIA:UN PROBLEMA CRONICO

editorialeSALUTE VIRALE

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Alessandra Chiarello

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LA SALUTE IN ITALIA:UN PROBLEMA CRONICO

Luminare di Immunoe-matologia; co-fonda-tore nel 1972 del Nord Italian Transplant; Mi-nistro della Salute dal 2001 al 2005 (sua la

legge antifumo presa a modello da molti Pesi europei). Avrete già ca-pito che il protagonista di questa breve intervista è il prof. Girolamo Sirchia, da alcune settimane Pre-sidente del Comitato Scientifi-co del Gruppo MultiMedica. Con lui proveremo a capire quale sia lo “stato di salute” del nostro Paese.

Professore, gli ultimi dati Istat confermano ancora una volta che l’Italia è un Paese che sta in-vecchiando, nel quale le pato-logie croniche sono sempre più diffuse. Ma il nostro Sistema Sa-nitario è pronto a rispondere alle domande di salute che questo nuovo assetto sociale porta con sé?Domanda complessa, che merite-rebbe una trattazione lunga e arti-colata. Proverò a rispondere bre-vemente. Se ci limitassimo ad osservare il nostro Sistema Sanita-rio dall’esterno, non potremmo non

riconoscerne e apprezzarne la na-tura totalmente solidaristica: pre-stazioni gratuite per tutti, a prescin-dere da provenienza, reddito, età. Per di più a costi limitati: in Italia, infatti, l’ammontare del fondo sa-nitario nazionale tende al 7% del PIL, cui si aggiunge un 2% circa di spesa privata. Si arriva così al 9%: davvero poco se confrontato, per esempio, con il 17% degli Sta-ti Uniti.

Descritta così la nostra Sanità sembra l'Eden…Certamente, ma non appena inco-minciano ad analizzarla da vicino la percezione cambia ed emergo-no tutte le inefficienze del Sistema.

Cioè?Il nostro Sistema Sanitario non ha saputo evolvere in relazione al mu-tare dei bisogni della popolazione. Concepito trent’anni fa per la cura del malato acuto e, quindi, incen-trato sulla medicina ospedaliera, non è oggi in grado di rispondere alle necessità assistenziali di malati cronici e cittadini anziani, che spes-so sono fragili e richiedono servizi sociali oltre che sanitari. Questi pa-

zienti devono avere un medico di riferimento che li prenda in carico individualmente, li segua e li guidi nel loro percorso di salute con at-teggiamento olistico, disponibilità e responsabilità, in collaborazione con altre figure professionali. Per far fronte a queste nuove esigenze in altri Paesi europei, in Inghilterra per esempio, da tempo sono sta-ti attivati presidi socio-sanitari terri-toriali come le cosiddette Case del-la Salute o i Darzi walk-in centres, che invece in Italia faticano a pren-dere piede. La Casa della Salute, in particola-re, è un presidio per cronici, aperto tutto il giorno e tutto l’anno, com-posto da un team (infermiere, fisio-terapista, assistente sociale) che affianca il Generalista per l’assi-stenza sia interna che domiciliare. In altri termini, una struttura poliva-lente e funzionale in grado di ero-gare l’insieme delle cure primarie e di garantire la continuità assisten-ziale con l’ospedale. Da qui, infatti, dovrebbe partire una serie di attivi-tà organizzate in aree specifiche di intervento per una vera presa in ca-rico del cittadino: dalla prevenzio-ne primaria, secondaria e terziaria,

all’educazione sanitaria, dalle cor-rette pratiche di autogestione del-le malattie croniche all’assistenza domiciliare. I walk-in centres, invece, sono dei poliambulatori a pagamento, con accesso diretto, aperti 24 ore al giorno 7 giorni su 7, che suppor-tano i medici generalisti per le pa-tologie acute che non abbiano ca-ratteristiche d’emergenza, per gli approfondimenti diagnostici, per la second opinion, per le attività fuori orario. In occasione di Expo Regio-ne Lombardia, su nostro suggeri-mento, ne ha aper-to uno nel centro di Milano, precisamen-te in via Rugabella. Speriamo possa es-sere il primo di una lunga serie.

Mi sembra di ca-pire che in questa politica di cambia-mento la relazione medico-pazien-te rivesta un ruolo strategico. Esatto. Uno dei problemi cardine della sanità con-temporanea è pro-prio la “morte” del medico di fiducia come lo si intende-va una volta, quel-lo che si prende-va cura dell’intera persona con tutti i suoi problemi, non solo quelli medici, aiutando i pazien-ti a superare le dif-ficoltà di vita quo-tidiana, al fine di costruire insieme un percorso di salute e benessere. Oggi, purtroppo, il Generalista ha difficoltà anche solo ad effettuare visite domiciliari, fa orari di studio limitati, non ha incentivi per cono-scere e seguire il paziente. E anche l’Internista privato non esiste più. Risultato? Anche chi vuol pagare non trova più un medico che lo curi con continuità e i Pronto Soccorso si intasano di casi differibili. Il pro-blema sarebbe facilmente risolvibi-le se, per esempio, i medici potes-sero esercitare la libera professione

A.C.

senza inutili vincoli, o se si attivas-sero davvero le Case della Salute precedentemente descritte, all’in-terno delle quali il case manager, che opera con il medico generali-sta, può garantire la gestione e la presa in carico continuativa e per-sonalizzata del paziente.

Infine l’annoso problema degli sprechi.Molto ci sarebbe da dire a riguar-do, soprattutto se consideriamo la spesa per farmaci e presidi (19 mi-liardi di euro all’anno!). Bisognereb-

be avere il coraggio di predispor-re un prontuario minimo garantito, chiedendo ai cittadini di partecipa-re alla spesa. Ma questo comporta una vera e propria rivoluzione cultu-rale non realizzabile in tempi brevi.Più semplice sarebbe intervenire sull’appropriatezza della prescri-zione. Negli anziani e in tutti i pa-zienti polipatologici la prima cosa che il medico dovrebbe chiedersi è: “Posso ridurre i farmaci di questo paziente?”. In altre parole, non pre-scrivere ma de-prescrivere; pratica

assai più complessa perché richie-de non solo capacità clinica ma anche comunicazionale con il pa-ziente, che deve capire bene quello che il medico gli propone. Anche in questo caso, quindi, visione olisti-ca e qualità relazionali del medico sono requisiti indispensabili.

Mi conceda un’ultima doman-da di attualità. È da poco iniziato Expo Milano 2015, dedicato a un tema a lei caro, quello della nutri-zione. Cosa ne pensa?Le do qualche numero. Nel mondo

ci sono oltre 800 mi-lioni di malnutriti e 500 milioni di obe-si. Expo potrà dir-si un successo se, una volta chiusi i “padiglioni vetrina”, restituirà al mon-do soluzioni con-crete al problema della ridistribuzio-ne equa delle risor-se alimentari. In tal senso proprio Mila-no si è fatta capofila di un documento - la “Carta di Milano” appunto – che vuo-le in qualche modo essere l’eredità cul-turale di questa Esposizione Uni-versale. Una car-ta di responsabilità e impegni concre-ti e misurabili dedi-cata ai temi dell’o-besità, dello spreco di cibo e dell’agri-coltura sostenibile. I singoli cittadini, le associazioni, le im-prese, sottoscriven-

do la Carta di Milano, si assumo-no responsabilità precise rispetto alle proprie abitudini e chiedono con forza ai governi e alle istituzio-ni internazionali di adottare regole e politiche atte a garantire al Piane-ta un futuro più equo e sostenibile. Tutto questo in vista dell’aggiorna-mento degli Obiettivi del Millen-nio delle Nazioni Unite (che proprio quest’anno saranno sostituiti dai nuovi Obiettivi di Sviluppo Sosteni-bile) nell’ambito del quale l’Italia ed Expo saranno protagoniste.

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sanità

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CELLULE STAMINALI.DEFINIZIONE,

DIFFERENZE, UTILIZZI

La comparsa del termi-ne "cellula staminale" nella letteratura scien-tifica risale al 1868 e all'opera del biologo te-desco Ernst Haeckel.

Nel dimostrare le prove dell'evolu-zionismo darwiniano, Haeckel svi-luppava il concetto di "albero filo-genetico" e utilizzava appunto il termine Stammzelle (cellula stami-nale) per descrivere l'organismo unicellulare progenitore dal quale, presumeva, erano poi evoluti tut-ti gli organismi multicellulari. In se-guito, questo organismo unicellu-lare fu oggetto di numerosi studi, finché negli anni Ottanta del seco-lo scorso due ricerche indipendenti condotte da Gail Martins della Uni-versity of California di San Franci-sco e da Martin Evans e Matthew Kaufman della University of Cam-bridge riuscirono a isolare cellu-le staminali da embrioni di topi e le descrissero come "cellule staminali embrionali". La maggior parte delle conoscenze relative a queste cel-lule è stata acquisita nel corso de-gli ultimi 20 anni, grazie al lavoro di molti scienziati in tutto il mondo.

Le caratteristiche comuni delle cel-lule staminali sono la loro illimita-ta capacità di auto-rinnovamento e l'alto potenziale di differenziazione multilineare, che le rendono fonda-mentali sia durante lo sviluppo em-brionale-fetale sia durante l'intero arco di vita adulta. A seconda del loro potenziale di sviluppo, le cel-lule staminali possono essere clas-sificate in diverse categorie: toti-potenti, pluripotenti, multipotenti e unipotenti. Le cellule staminali to-tipotenti si trovano nelle prime fasi di sviluppo embrionale, successive alle prime divisioni cellulari; queste cellule sono in grado di differenziar-si in tutti i tipi di tessuti embrionali. Dopo la prima fase di separazione cellulare, giunto alla fase della bla-stocisti, l'embrione presenta un am-masso cellulare interno, dal quale è possibile isolare le cellule stamina-li embrionali (Embrional Stem Cells - ESCs). Le ESCs sono definite come cellule staminali pluripotenti, in quanto possono differenziarsi in cellule della maggior parte dei tes-suti, ma non di tutti i tessuti. In una posizione inferiore nella gerarchia delle cellule staminali ci sono quindi

le cellule staminali multipotenti, iso-late da nicchie specifiche in molti tessuti adulti. Queste cellule stami-nali possono produrre una gamma limitata di linee cellulari differenzia-te. Infine, vi sono le cellule stamina-li unipotenti, che possono genera-re solo un tipo specifico di cellula e hanno un potenziale proliferativo molto più limitato.Data la loro presenza nei tessu-ti adulti e il loro elevato potenzia-le nella rigenerazione dei tessuti danneggiati, in anni recenti le cellu-le staminali sono diventate ogget-to di numerosi trial clinici. Su base mondiale, oggi se ne contano circa cinquemila, e si tratta di studi clinici che utilizzano cellule staminali pro-venienti da fonti diverse e utilizzate per diverse applicazioni.Volendo restringere il campo alle cellule staminali pluripotenti e mul-tipotenti, che possono essere rac-colte da diversi tessuti adulti, pos-siamo ulteriormente distinguere due categorie principali di cellule staminali:• cellule staminali ematopoieti-che (HSCs). Sono in grado di dif-ferenziarsi in cellule più mature del

Veronica AlbertiniChief Scientific Officer,SSCB Swiss Stem Cell Bank

sangue (globuli bianchi, globu-li rossi e piastrine), possono essere prelevate principalmente dal midol-lo osseo e dal sangue del cordone ombelicale e vengono soprattut-to utilizzate per trattare le malattie ematologiche, ad esempio nella ri-costruzione del sistema immunita-rio a seguito di una mieloablazione da chemioterapia nel trattamento di una leucemia, o per trattare ma-lattie genetiche come la betatalas-semia, l'anemia di Fanconi e altre.• Cellule staminali mesenchimali (MSCs). Sono in grado di differen-ziarsi in diversi tipi di tessuto con-nettivo (ad esempio ossa e cartila-gine, ma anche muscoli e neuroni) e avere effetti pro-angiogenici e immunomodulanti. Grazie a que-sta caratteristica, le MSCs sono potenzialmente utilizzabili per il trattamento di un'ampia varietà di malattie, tra cui la Graft-versus-host-disease, le malattie cardiovascolari, le le-sioni e i traumi al cervello e al midollo

spinale, le malattie del polmone, del fegato e del rene, le lesioni schele-triche e le malattie osteo-degenera-tive. Queste cellule possono essere raccolte dal midollo osseo, dal tes-suto adiposo e, in quantità minore, dal cordone ombelicale, dal sangue cordonale, dal liquido amniotico, dalla placenta e dai denti decidui.

Per quanto riguarda le modalità di utilizzo delle cellule staminali, si di-stinguono un uso autologo e un uso allogenico. Nel primo caso, il soggetto per il quale vengono uti-lizzate le cellule staminali è il me-desimo dal quale sono state pre-levate; in caso di uso allogenico, invece, donatore e ricevente sono soggetti diversi ma istocompatibi-li HLA. Negli ultimi anni, l'uso au-tologo è rapidamente aumentato e

oggi supera l'utilizzo allogenico.Va infine ricordato che un nume-ro crescente di studi clinici oggi utilizza cellule staminali anche in trial di ingegneria tissutale, defini-ta nel 1984 da Eugene Bell come "una combinazione di cellule, inge-gneria, materiali, metodiche e fat-tori biochimici e chimico-fisici fi-nalizzata a migliorare o sostituire funzioni biologiche". L'ingegneria dei tessuti mira cioè ad applicare i principi dell'ingegneria alle scienze della vita, per sviluppare "sostituti biologici" in grado di ripristinare o migliorare la funzione di un tessuto o di un intero organo.

Da questa breve panoramica si può comprendere quale sia l'oriz-zonte della ricerca medica e qua-le importanza abbiano le cellule staminali nel definire nuovi ed ef-

ficaci approcci terapeutici per combattere innumerevo-

li patologie e miglio-rare l'aspettativa e

la qualità della nostra vita.

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ricerca

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Il successo di una ricerca scien-tifica è frutto di un meticoloso lavoro che parte dallo studio dei casi precedenti, dall’analisi delle cause, spesso non scrit-te, che non hanno permesso il

raggiungimento dei risultati sperati. Ma questo è solo un aspetto, lavo-rare nel campo scientifico significa anche essere “creativi”, cercare e alimentare quelle intuizioni che na-scono quasi casualmente nel team, idee che scaturiscono perché si è capaci di guardare le cose attraver-so il pensiero laterale.

Così è successo per un’importan-te scoperta, fatta da un team in-ternazionale composto da ricer-catori provenienti da Italia, Israele e Regno Unito. Lo studio, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista EMBO Molecular Medicine, vede l’Italia coinvolta con l’Università di Roma Tor Vergata, l’Università di Pavia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) e l’Istituto Scientifi-co di Ricovero e Cura MultiMedica. Per la prima volta, in laboratorio, si è riusciti a ricreare un muscolo par-tendo da cellule staminali adulte. Questo muscolo, impiantato nella zampa di un topo, è cresciuto ed è perfettamente funzionante, integra-to naturalmente con i tessuti mu-scolari circostanti. I primi tentati-

vi in questo campo risalgono già ai primi anni ’90, quando un ricercato-re olandese aveva provato a ricrea-re tessuti muscolari partendo dalle cellule staminali, ma il risultato non fu all’altezza delle attese.Finora gli sforzi di ricreare un mu-scolo funzionante all’esterno o di-rettamente all’interno del corpo hanno avuto un successo relativo. I muscoli artificiali generati in vitro normalmente non sono sopravvis-suti al trasferimento perché l’ospite non fornisce nervi e vasi sanguigni abbastanza rapidamente da soste-nere la notevole esigenza di ossi-geno richiesta dalle fibre muscola-ri già mature.

In questo studio si è utilizzato un nuovo approccio di ingegneria dei tessuti: si sono impiantate in vivo cellule ingegnerizzate e cresciute su un biomateriale di supporto. Si-gnifica aver impiantato delle cellu-le staminali, incapsulate all’interno di un gel solidificato a forma cilin-drica di alcuni millimetri di lunghez-za, sulla superficie di un muscolo funzionante che, con le sue naturali contrazioni, ha permesso alle cellu-le di crescere e di organizzarsi ge-nerando un muscolo artificiale. Il ri-sultato è stato totalmente positivo.Le cellule, geneticamente modifi-cate con un fattore di crescita per

richiamare efficacemente vasi san-guigni, hanno svolto perfettamente questa funzione garantendo ossi-geno e apporto nutritivo, succes-sivamente i nervi sono cresciuti spontaneamente all’interno dell’im-pianto. Poche settimane dopo l’in-serimento si sono generate fibre muscolari del tutto simili a quelle naturali.

Questo successo, e le prospetti-ve terapeutiche che lascia intrave-dere con il suo sviluppo, ha spin-to il team a presentare un progetto al Consiglio europeo per la ricerca (ERC), ancora in attesa di finanzia-mento, impostato su cinque anni di ricerca. Nella prima fase cercheranno con-ferme a quanto scoperto studian-do la ricostruzione di muscoli di mi-ni-pig, animali che raggiungono un peso di circa 50 Kg, che hanno un apparato muscolare evidentemen-te più grande di quello dei topi e di dimensioni paragonabili a quel-lo umano. I ricercatori sono ottimi-sti, anche se non si sbilanciano sui tempi necessari. Soprattutto sul-la valutazione delle insidie che do-vranno affrontare lavorando con muscoli di dimensioni maggiori. Da un lato il metabolismo dei topi, più accelerato rispetto a quello uma-no, ha permesso lo sviluppo di fi-

MUSCOLI DA STAMINALI:UNA RICERCA SUI TOPI

ACCENDE NUOVE SPERANZEPierluigi Villa

XxxxxricercaL’ingegneria dei tessuti, o ingegneria tissutale, è un campo interdisciplinare che applica i principi dell’ingegneria e delle scienze della vita allo sviluppo, in vitro, di sostituti biologici per ristabilire, man-tenere o migliorare la funzione di tessuti e organi danneggiati.La riparazione cutanea e l’ortopedia sono stati i primi campi di applicazione delle tecniche del Tissue Engineering e sono tuttora il settore nel quale i prodotti dell’ingegneria tissutale sono più numerosi e maggiormente diffusi in ambito clinico.

bre muscolari dopo alcune settima-ne, ma, dall’altro, si augurano che la maggior quantità di cellule sta-minali adulte impiantabili (si parla di centinaia di milioni contro pochi milioni) possa colmare questa diffe-renza, rendendo le tempistiche ac-cettabili e adatte al corretto svilup-po dei vasi sanguigni e dei nervi.

Nella seconda fase del progetto, il dr. Cesare Gargioli e il dr. Rober-to Rizzi, due degli autori principa-li dello studio che hanno svolto la ricerca presso i laboratori di Multi-Medica, auspicano di poter passa-re allo studio dei muscoli umani.I primi ad essere testati saranno i muscoli sfinterici (muscoli che se danneggiati provocano incontinen-za). Non è un caso che l’attenzione

si sia concentrata su di essi. Prin-cipalmente perché, per le loro di-mensioni e per il loro funzionamen-to, hanno le caratteristiche migliori per questa indagine, ma anche per-ché la diffusione dell’incontinenza fecale è molto elevata. Vi riportia-mo, per darvi un quadro quantita-tivo del problema, un dato riferito alla popolazione americana, dove circa il 20% dei cittadini soffre di questa patologia. È facile immagi-nare come possa migliorare la qua-lità di vita di queste persone col-mando, in tutto o almeno in parte, il deficit muscolare che provoca que-sti disturbi.

L’ingegneria tissutale di un musco-lo scheletrico è una sfida impor-tante e offre un considerevole po-

tenziale per il trattamento di molte tipologie di danni muscolari, a oggi irreversibili. Basti pensare alle ri-costruzioni post traumatiche o alle ablazioni post cancro, ad alcune forme di distrofia localizzata come l’Oculo Faringea. Se questo stu-dio darà i risultati auspicati si potrà, per esempio, potenzialmente recu-perare il funzionamento dei musco-li respiratori colpiti da Distrofia di Duchenne, aiutando molti pazienti e migliorando considerevolmente il loro stile di vita.Ma come per tutte le ricerche di questa portata, bisogna procede-re con calma, passo dopo passo, non tralasciando nulla, con ottimi-smo ma senza generare speranze che, alla prova dei fatti, potrebbero essere disattese.

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LA CONQUISTA DI UNA NUOVA DIMENSIONE CHIRURGICA:

LA LAPAROSCOPIA 3DValerio CerianiDirettore del Dipartimento Chirurgico Interaziendale,Gruppo MultiMedica

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e privo di incertezze. Tali vantaggi risultano immediatamente apprez-zabili nell’identificazione e nella corretta dissezione dei piani anato-mici, così come nell’esecuzione di suture laparoscopiche con tecnica intracorporea.MultiMedica è tra i primi gruppi ospedalieri in Italia ad aver usufrui-to di tale strumento, e oramai lo uti-lizza routinariamente da più di tre mesi per interventi di chirurgia lapa-roscopica maggiore, in ambito co-lo-rettale, oncologico gastrico, ba-riatrico, per la chirurgia del rene e del surrene e per peculiari procedu-re di chirurgia pancreatica ed epati-che. Durante l’esperienza maturata fino a oggi, non è stato necessario in alcun caso convertire la procedu-ra chirurgica a una visione laparo-scopica tradizionale né a chirurgia open. L’introduzione della nuova metodica nella pratica clinica non pare aver determinato fenomeni ne-gativi correlati all’apprendimento: infatti, i tempi operatori sono piena-mente sovrapponibili alla chirurgia laparoscopica tradizionale, pur con un’evidente sensazione di maggiore

La chirurgia laparosco-pia rappresenta oggi la metodica mini-inva-siva di riferimento per la terapia di una quota maggioritaria della pa-

tologia addominale, sia neoplasti-ca che funzionale. Vengono infat-ti abitualmente trattate con tecnica laparoscopica, oltre alla patologia litiasica della colecisti, la patologia funzionale del giunto gastro-esofa-geo, l’obesità patologica, la pato-logia del surrene e del corpo-coda pancreas, oltre a una porzione si-gnificativa della patologia neoplasti-ca del colon-retto e dello stomaco.

Tuttavia, la laparoscopia classica presenta un importante limite tec-nico, costituito dalla perdita della profondità tridimensionale del cam-po operatorio, che, visualizzato su un monitor ad alta definizione, vie-ne percepito come uno spazio piat-to bidimensionale. Le conseguenze per il chirurgo sono rappresentate da un’alterata percezione della po-sizione reciproca dei visceri e de-gli strumenti chirurgici nello spazio

e da un’esecuzione dei movimen-ti durante l’intervento chirurgico si-mile a quanto sperimentabile nel-la vita quotidiana quando si guardi con un occhio solo. Solo l’esercizio protratto e la progressiva esperien-za con la metodica permettono di ridurre il disagio provocato da tale effetto visivo.La chirurgia robotica, oltre a elimi-nare il tremore naturale degli stru-menti chirurgici, permette di recupe-rare la percezione della profondità del campo operatorio grazie a una ricostruzione tridimensionale dello spazio. Tuttavia, gli elevatissimi co-sti delle apparecchiature e della loro manutenzione, unitamente all’allun-gamento dei tempi operatori e alla necessità costante di personale tec-nico specializzato per il funziona-mento della macchina, ne limitano significativamente la diffusione.Con l’intento di superare i limiti del-la laparoscopia tradizionale, l’èqui-pe chirurgica da me diretta si ap-proccia ora a una nuova frontiera della chirurgia mini-invasiva: la la-paroscopia 3D.È recente, infatti, l’introduzione del

sistema Conmed/Viking 3DHD Vi-sion nella strumentazione tecno-logica in dotazione al reparto di Chirurgia Generale. Tale sistema sfrutta una tecnologia ottica ana-loga a quella in uso nei sistemi ro-botici, utilizzando una telecamera 3D a doppio canale e una testina 3DHD con una coppia di sensori 3CCD HD, per una resa dell’imma-gine in tre dimensioni su monitor ad alta definizione. Il risultato del siste-ma Viking 3DHD rappresenta una rivoluzione in termini concettuali e pratici: la tecnologia visiva 3D, si-mile a quella utilizzata nelle sale ci-nematografiche, unitamente alla definizione garantita da un siste-ma video HD di ultima generazione rende oggi possibile riconquista-re in sala operatoria quella visione stereoscopica, cui la laparoscopia tradizionale aveva dovuto rinuncia-re. L’immagine estremamente reali-stica che il sistema 3DHD permette di ottenere sul monitor operatorio garantisce un’eccellente percezio-ne del campo laparoscopico in tre dimensioni, rendendo possibile per il chirurgo un gesto tecnico preciso

facilità tecnica per il chirurgo.I vantaggi della nuova metodica ri-sultano evidenti sopratutto in cor-so di interventi chirurgici su campi anatomici complessi, quali la pelvi e il retroperitoneo. Analogamente, viene reso nettamente più agevole il confezionamento di suture intra-corporee, grazie a una migliore per-cezione della posizione degli stru-menti chirurgici nello spazio e a una più facile coordinazione dei movi-menti dell’operatore.Poiché la laparoscopia 3D non pare gravata da curve di apprendimento specifiche particolarmente lunghe, oltre a quanto necessario per ac-quisire la manualità di base con le tecniche laparoscopiche tradizio-nali, è lecito pensare che anche per i chirurghi in formazione possa es-sere vantaggioso confrontarsi pre-cocemente con tale metodica. In-fatti, il centro di Chirurgia Generale, sede didattica della Scuola ACOI-SICOB Umberto Parini di Chirurgia Bariatrica, propone tale metodica ai propri discenti già nella fase ini-ziale del loro addestramento.Allo stato attuale non si hanno con-

ferme scientifiche a riguardo, ma non si può escludere che l’introdu-zione della laparoscopia 3D nella pratica clinica, grazie a un miglio-ramento della visione intraoperato-ria e una più semplice esecuzione dei movimenti in corso di interven-to chirurgico rispetto alla laparo-scopia tradizionale, possa contri-buire a una progressiva riduzione dei tempi operatori, determinando quindi un vantaggio diretto anche per i pazienti.In sintesi, l’interesse per la nuo-va metodica appare evidente: la tecnologia 3D riapre al chirurgo quell’occhio che era stato chiuso di necessità dalla laparoscopia tradi-zionale, permettendo, grazie al re-cupero della visione stereoscopica, una maggiore precisione e natura-lezza dei movimenti e trasferendo nel campo della chirurgia mini-inva-siva una visione tridimensionale, si-mile a quella sperimentata nella vita quotidiana.

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chirurgia

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anche il paziente ha una parte at-tiva in una buona gestione della fi-stola per emodialisi. Innanzitutto è consigliabile valutarne periodi-camente la funzionalità con i pol-pastrelli delle dita, evitare traumi o lesioni della cute a livello della fi-stola, ed evitare anche di misura-re la pressione sul braccio fisto-lizzato per evitare una eccessiva compressione dei vasi. Per ridur-re al massimo il rischio di infezio-ne è importante curare l’igiene del braccio, lavandolo con acqua e sa-pone prima di ogni seduta di emo-dialisi. Vale la pena infine sottoline-are che il braccio della fistola non è malato, può comunque essere uti-lizzato normalmente nelle varie at-tività quotidiane, ha solo bisogno di qualche attenzione in più.

sangue in un tempo relativamente breve. La fistola artero-venosa vie-ne confezionata a livello degli arti superiori, in genere tra arteria ra-diale e vena cefalica (fistola dista-le) o più frequentemente tra arte-ria omerale e vena cefalica (fistola prossimale), più raramente tra ar-teria omerale e vena basilica. L'in-

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LA FISTOLA ARTERO-VENOSA PER EMODIALISI

Quando la funzio-ne renale declina, nel nostro organi-smo tendono ad accumularsi acqua e tossine che nor-

malmente dovrebbero essere eli-minate dal rene attraverso l'urina. Quando i reni smettono del tutto di funzionare, questa funzione di pu-lizia del nostro organismo deve es-sere svolta da una macchina, de-nominata “rene artificiale” dove viene fatto passare il sangue spor-co per poi restituirlo al paziente de-purato. Il sangue viene prelevato e poi restituito al paziente attraverso degli aghi che vengono posiziona-ti in una fistola artero-venosa (FAV).

La fistola artero-venosa è una "co-municazione" tra arteria e vena cre-ata tramite un piccolo intervento chirurgico per permettere un mag-gior afflusso di sangue: in tal modo le pareti delle vene diventano più robuste, più facilmente pungibili e soprattutto con una portata mag-giore (mediamente 300 ml/min, ma fistole grosse possono arrivare an-che a 600-700 ml/min) per permet-tere di aspirare maggiori quantità di

ziente, perché rende difficoltosa la propria igiene personale non po-tendo venire in contatto con acqua o altri agenti non sterili. Per questo il confezionamento di una fistola artero-venosa rimane l’opzione preferenziale, per quanto non sia del tutto scevra da compli-canze. In circa il 30-40% dei casi, per esempio, si può osservare un mancato sviluppo della fistola per emodialisi, che ne rende impossi-bile l’utilizzo; questo avviene anche se l’intervento è stato eseguito al meglio, ed è dovuto generalmen-te alla rigidità dei vasi, alla presen-za di stenosi a livello delle arterie o delle vene (spesso esiti di flebiti) o anche ad una ridotta portata dei vasi arteriosi.L’evenienza più frequente che pone fine all’utilizzo della fisto-la per emodialisi è sicuramente la trombosi, caratterizzata dalla for-mazione di un trombo a livello della

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chirurgiavascolare

Amelia LiccardoMedico Specialista dell'Unitàdi Nefrologia e Dialisi,Ospedale MultiMedica Castellanza

Lorella ZorzanMedico Specialista dell'Unitàdi Chirurgia Vascolare,Ospedale MultiMedica Castellanza

fistola stessa o a livello della vena principale, soprattutto a causa del-le continue punture. La trombo-si della fistola si verifica nel 55,7% dei pazienti con età inferiore ai 65 anni e nel 43,9% dei pazienti con età superiore ai 65 anni.Nel 20% dei pazienti può soprag-giungere un’infezione, in genere da Staphilococco Aureo, trattabile con terapia antibiotica. Molto più raro il rischio di ischemia della mano (1,6%) o di scompen-so cardiaco congestizio (tra l’1% e il 3,3%) o di aneurismi (tra 1,8% e 4,9%).Per evitare le suddette complican-ze e garantire una maggiore so-pravvivenza della fistola è utile sot-toporsi con una certa periodicità (6/12 mesi, su indicazione dello Specialista) ad un esame EcoCo-lorDoppler, che permette di valu-tare, in modo non invasivo, la per-vietà e il buon flusso dei vasi. Ma

tervento chirurgico è breve, dura circa un'ora, e può essere effettua-to in anestesia locale o tronculare (blocco del plesso brachiale). Subi-to dopo l’intervento il paziente do-vrebbe mantenere il riposo a letto con l’arto in scarico (ovvero solle-vato con un cuscino).Nel caso il paziente non avesse delle vene facilmente utilizzabili, o qualora ci fosse qualche problema tecnico nella realizzazione di una fi-stola nativa, si può creare il colle-gamento tra arteria e vena tramite un vaso artificiale in materiale bio-compatibile. In questo caso la pun-tura dei due aghi verrà effettuata a livello della protesi. Seppur presen-tino una portata maggiore (circa 800-900 ml/min), le fistole prote-siche hanno lo svantaggio di ave-re una durata inferiore, in quanto tendono più facilmente a formare nel proprio interno dei trombi, an-che in presenza di terapia antiag-gregante.Un’altra alternativa al confeziona-mento di fistola artero-venosa è il posizionamento di un catetere ve-noso centrale per emodialisi con tunnellizzazione sottocutanea, che però risulta più scomodo per il pa-

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pie farmacologiche sopra descritte. Verranno poi intensificati i control-li ecoflussimetrici sul feto, onde in-tercettare e gestire eventuali casi di iposviluppo. In ogni caso si cerche-rà di procrastinare la nascita in fun-zione della maturità del feto e del grado di controllo dell'ipertensione materna.E proprio qui sta il difficile compito del patologo della gravidanza nella cura dell'IPA gestazionale. Lo Spe-cialista, infatti, non solo sarà chia-mato a valutare il percorso terapeu-tico più idoneo alle caratteristiche di ogni singola paziente, ma potrebbe trovarsi nella drammatica situazione di dover scegliere, con lei, se prose-guire o interrompere una gravidan-za rischiosa per la madre stessa e/o il nascituro.

della resistenza periferica; o per at-tività lavorative stressanti, per au-mento della Gc, per tachicardia indotta e della R per vaso costri-zione. È la IPA più benigna, tratta-bile, se riconosciuta, agendo sulle cause patogenetiche e con uso di blandi anti ipertensivi.3. Eclampsia e HELLP Syndrome: sono le peggiori complicanze della gravidanza per la mamma, che può incorrere in accidenti cardiaci e ce-lebrali anche mortali, e per il neo-nato, che rischia grave immaturità e deficit di crescita. L'Eclampsia è caratterizzata dalla presenza di IPA anche grave, di proteinuria (perdi-ta di albumina nelle urine per lesio-ni renali) ed edemi declivi. Il quadro è naturalmente ingravescente tanto da necessitare l'interruzione della gravidanza anche in periodi gesta-zionali precoci. Nella HELLP Syn-drome ai segni della Eclampsia si aggiungono grave calo delle piastri-

ne e danni epatici: è un quadro an-cora più preoccupante e pericoloso per la mamma e il nascituro.

La terapia dell'IPA in gravidanza purtroppo non può avvalersi di tut-ti i farmaci anti ipertensivi, perché nella maggior parte di essi, essen-do farmaci di recente introduzio-ne, non è provata l'innocuità sullo sviluppo fetale (teratogenesi). I più usati sono l'alfa-metil-dopa, la nife-dipina e il labetalolo cloridrato nei casi più gravi.In conclusione è importante che venga controllata con cura la pres-sione arteriosa per identificare i casi di IPA e verificare a quali categorie di rischio la gestante appartenga. A seconda della classificazione, l’IPA verrà curata con cambiamenti delle abitudini di vita, se necessario con allontanamento dall'ambien-te di lavoro, con diete appropria-te e, se indispensabile, con le tera-

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IPERTENSIONEIN GRAVIDANZA.

COSA FARE?

mamma e bambino

A tutt'oggi l'ipertensio-ne arteriosa (IPA) rap-presenta un grave ri-schio di complicanze invalidanti o mortali a carico del cuore (in-

farto) e del cervello (ictus). Il valore della pressione arteriosa (PA) è de-finito dalla formula Gc × R dove Gc (gittata cardiaca) dipende a sua vol-ta dal volume ventricolare sinistro e dalla frequenza cardiaca mentre R dalle resistenze periferiche. Ogni aumento di questi indici comporta un' aumento della PA. In ostetricia l'IPA e le sindromi ad essa correla-te (eclampsia e HELLP Syndrome) sono tra le complicanze più temibi-li per la gestante e il feto.

Ma come mai l'IPA è diventata fre-quente in gravidanza? In primo luogo per ereditarietà: le gestanti figlie di ipertesi più facil-mente manifestano IPA in gravidan-za. Anche l'innalzamento dell'età media materna in gestazione com-porta maggior frequenza di com-parsa di IPA per l'irrigidimento arte-rioso indotto dall'età che aumenta la R (resistenza periferica al flus-so ematico). Quest’ultimo valore, inoltre, aumenta anche a causa del

fumo di sigaretta, dell'obesità sem-pre più frequente e del prolungato uso pregravidico di estro-progesti-nici (pillola contraccettiva) che in-ducono ritenzione idrica. L'iperten-sione gestazionale è anche indotta dalle attività lavorative, come ve-dremo in seguito. Anche il sempre più frequente uso della procreazio-ne medico assistita, che utilizza te-rapie ormonali pesanti e prolunga-te, può indurre IPA per azione su R e frequenza cardiaca. Inoltre le gestazioni in pazienti con malattie croniche (diabete, nefropatie, car-diopatie, malattie autoimmuni) a causa della stessa malattia o delle sue cure spesso presentano com-parsa di IPA.

E come si comporta normalmen-te la pressione arteriosa nella gra-vidanza? Nel primo trimestre la PA cala per diminuzione della R periferica; nel secondo trimestre la PA torna nor-male per stabilizzazione della R pe-riferica; nel terzo trimestre la PA tende a crescere per aumento della Gc dovuto ad espansione del volu-me ematico circolante.Un singolo rilievo di IPA in gravi-danza non è patognomonico di

ipertensione gravidica. Va valuta-ta la pressione con Holter pressorio controllando il ritmo sonno-veglia.

Le ipertensioni in gravidanza ven-gono così raggruppate in tre tipi:1. IPA pre-esistente alla gravi-danza: sono gravide già ipertese prima della gravidanza che nel se-condo e terzo trimestre di gestazio-ne peggiorano lo stato ipertensi-vo per le cause già descritte. Sono gravide a rischio per i danni d'or-gano indotti dall'IPA pre-esistente su cuore, reni e sistema vascola-re. Questo richiede attenta valuta-zione della crescita fetale in ute-ro che può essere compromessa. Spesso questa forma di ipertensio-ne può complicarsi in eclampsia. In queste pazienti problematico risul-ta il cambio di terapia anti iperten-siva con farmaci compatibili con la gravidanza.2. IPA indotta dalla gravidanza, per tutte le cause sopra descritte che inducono aumento della R (re-sistenza periferica). È indotta anche da attività lavorative costrittive del-la postura: eretta o seduta conti-nuativa comporta ristagno di circo-lo degli arti inferiori con comparsa di edemi declivi e quindi aumento

Emilio GrossiDirettore dell'Unità di Fisiopatologia della Gravidanza,Ospedale San Giuseppe

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mente e l’80% non è più in grado di svolgere in autonomia almeno un’attività della vita quotidiana.La frattura vertebrale è un evento frequente, invalidante, che spesso coincide con l’esordio clinico dell’osteoporosi, motivo per cui tale patologia è anche considerata una ma-lattia silente, in quanto riduce la massa ossea senza dare sintomi. La frattura di una vertebra, rilevata da una radio-grafia del rachide, è descritta come riduzione o abbassa-mento in altezza del corpo vertebrale, e si può presentare come deformità a cuneo anteriore, a lente biconcava op-pure come crollo vertebrale completo. Una frattura verte-brale da fragilità può manifestarsi per minimi sforzi, come sollevare la borsa della spesa, chinarsi in avanti, prende-re in braccio il nipotino o, addirittura, spontaneamente. La sintomatologia della frattura vertebrale è ingannevole, spesso confusa con un banale mal di schiena e pertanto sottovalutata. Esordisce talvolta con un dolore improvvi-so, localizzato alla colonna dorsale o lombare. Il disturbo inizialmente continuo, si accentua stando in piedi e si at-tenua rimanendo distesi. Si riduce con il tempo (circa 3-4 settimane), senza scomparire poi del tutto. Altri segni cli-nici da non sottovalutare sono il calo di statura di molti centimetri, l’ipercifosi dorsale (la cosiddetta “gobba della vedova”) e l’addome sporgente. Altre volte, la frattura da fragilità vertebrale può essere asintomatica, detta anche “frattura morfometrica” in quanto rilevabile esclusivamen-te attraverso un’analisi della radiografia del rachide dorsa-le e lombare. Questa indagine risulta dunque essere fon-damentale per stimare in maniera appropriata il grado di severità dell’osteoporosi. Va sottolineato che, dopo una prima frattura vertebrale, aumenta considerevolmente il rischio di averne altre (una sorta di effetto domino). Tale rischio deve essere contra-stato non solo con il ricorso a farmaci o a interventi chi-rurgici (vertebro-cifoplastica) ma anche con programmi educativi e riabilitativi che mirino a correggere se non ad evitare vizi posturali.Come già accennato, dietro ad una frattura vertebrale si possono celare altre patologie condizionanti una osteo-porosi secondaria, ovvero dovuta ad una patologia sot-tostante (endocrinologica, reumatologica, ematologica, ecc.) di cui, nuovamente, la frattura rappresenta il primo segno clinico di malattia. Questo difetto diagnostico e di conseguenza terapeutico può essere colmato da una figu-ra clinica di riferimento con specifiche competenze relati-ve alla patologia osteometabolica, che prenda in carico il Paziente con frattura da fragilità attraverso percorsi clini-ci condivisi con altre figure sanitarie (internista, ortopedi-co, reumatologo, fisiatra, nefrologo) che, a diverso titolo, debbano trattare i molteplici risvolti della stessa malattia. L’Ambulatorio di Osteoporosi attivo presso il Gruppo Mul-tiMedica ha proprio questa finalità: attraverso un approc-cio multidisciplinare diventa il riferimento per tutti gli ope-ratori sanitari ed i Pazienti proprio perché è in grado di gestire diagnosi e cure - farmacologiche, chirurgiche, ria-bilitative - al meglio delle possibilità. Perché l’osteoporosi di per sé non fa male, sono le sue conseguenze ad essere molto dolorose, ma se adeguatamente affrontate possono essere ben curate.

CONTRO L’OSTEOPOROSICI VUOLE

GIOCO DI SQUADRA

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in-dolore

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Le patologie muscolo-scheletriche sono tra le principali cause di dolo-re nella popolazione an-ziana, con notevoli ri-svolti socio-economico

sia in termini di costi diretti che in-diretti. Si calcola che almeno il 25% della popolazione si rivolga ai Me-dici di Medicina Generale per que-sto tipo di dolore. Le patologie che più comunemente lo determinano sono quelle artrosiche degenera-tive, mentre le artriti e le altre for-me infiammatorie risultano esse-re meno frequenti. È fondamentale che il medico individui le possibi-li cause di dolore scheletrico che, specie nelle donne ultracinquanten-ni, può ricondursi all’osteoporosi.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce l’osteopo-rosi come “la malattia caratteriz-zata da una riduzione della mas-sa ossea e da un deterioramento della microarchitettura del tessu-to osseo, che induce un’aumentata fragilità dello stesso, con un conse-guente aumento del rischio di frat-tura”. L’osteoporosi interessa oltre 200 milioni di individui nel mondo,

potenzialmente 5 milioni di perso-ne in Italia, di cui l’80% donne in post menopausa. Comunque non si tratta di una patologia esclusiva-mente femminile, dato che risulta esserne affetto anche un uomo an-ziano su otto. Trova il suo dramma-tico epilogo nella frattura da fragi-lità, ovvero in seguito a un trauma a bassa energia. Una ridotta densi-tà ossea è l’aspetto principale del-la predisposizione alle fratture e si misura mediante la densitometria (MOC DXA), strumento di riferimen-to per porre diagnosi di osteoporo-si. È importante sottolineare altre-sì che numerosi altri fattori clinici (età, stili di vita, familiarità, patolo-gie associate, terapie che riducono la densità ossea) concorrono a de-terminare il rischio fratturativo. Per alcuni casi, come ad esempio una pregressa frattura osteoporotica, la presenza di diabete mellito o l’uti-lizzo di terapia steroidea, il rischio di frattura è così elevato da rendere indicato un trattamento farmacolo-gico specifico indipendentemente dal dato densitometrico. In prati-ca per stimare il rischio frattura da fragilità, sono stati predisposti degli algoritmi di calcolo (in Italia il DE-

FRA), di facile utilizzo e compilabi-li online. I segmenti scheletrici tipi-ci per questo tipo di lesione sono quelli a maggior contenuto di osso trabecolare, ossia il femore prossi-male, il polso, l’omero prossimale e soprattutto le vertebre. Ogni anno in Italia il numero di ri-coverati per fratture da fragilità è di oltre 130.000 individui, ma il dato è probabilmente sottostimato. Si deve aggiungere che l’osteoporosi rimane una patologia sottodiagno-sticata e sottotrattata. La maggior parte dei Pazienti che ha subito una frattura da fragilità è trattata solo per quella, senza considerare l’osteoporosi sottostante e quindi senza ricevere una corretta diagno-si e un trattamento specifico per la malattia di base, con rischio di ri-frattura e di altri effetti a lungo ter-mine, come appunto il dolore e la disabilità cronica se non la morte prematura. Viene stimato infatti che le fratture di femore comportano la mortalità nel periodo immediata-mente successivo l’evento nel 5% dei casi, percentuale che raggiunge il 20% entro un anno dalla frattura; mentre il 40% dei Pazienti perde la capacità di camminare autonoma-

Patrizia OrlandoMedico Specialista dell’Unità di Ortopedia,IRCCS MultiMedica

Maurizio RondinelliMedico Specialista dell’Unità di Diabetologiae Malattie Metaboliche,IRCCS MultiMedica

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Paziente affetta da importante cifosidorsale in cedimento somatico.

Sotto: Immagine radiografica di cifosidorsale in cedimento somatico da "fragilità".

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QUANDO IL CIBOFA BUON SANGUE

buono& sano

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Augusta SonatoSpecialista in Scienzadell’alimentazione e Dietetica,IRCCS MultiMedica

Tutte le cellule del no-stro corpo devono es-sere nutrite e ossigena-te. Questa è una delle funzioni svolte dal san-gue che, ricco di ossi-

geno ed elementi nutritivi, raggiun-ge organi e tessuti attraverso una rete vastissima di arterie e arteriole fino ai capillari e poi dalla periferia ritorna al cuore drenando le sostan-ze da eliminare attraverso le vene. Un corretto funzionamento del no-stro apparato circolatorio è quindi indispensabile per il benessere.

Il sangue non deve essere viscoso, ma fluido per poter scorrere con fa-cilità senza ostruire o danneggiare le pareti dei vasi. A loro volta arte-rie e vene devono avere pareti toni-che, elastiche e integre per facilita-re il circolo ematico.Avere cura del nostro apparato cir-colatorio comporta innanzitutto combattere alcune cattive abitudi-ni: l’eccessivo consumo di alcool e di caffeina, insieme al fumo di si-garetta, danneggia in modo impor-tante i vasi sanguigni, così come la sedentarietà, l’eccessiva espo-sizione al sole, abbigliamenti trop-po stretti.Anche all’alimentazione spetta un ruolo importante nella prevenzione

e cura dei difetti circolatori.Innanzitutto è indispensabile segui-re un regime alimentare calorica-mente adeguato. L’eccesso calo-rico, infatti, comporta sovrappeso e obesità, condizioni che rendono più difficile la circolazione, soprat-tutto il ritorno venoso, e affaticano la pompa cardiaca. Occorre quindi prima di tutto riacquistare o mante-nere il normopeso.Altro fattore molto importante è l’acqua. Il sangue è composto da acqua e per essere mantenuto flu-ido l’organismo deve essere ben idratato. È indispensabile, quindi, assicurarsi quotidianamente l’in-gresso di almeno un litro e mezzo di liquidi sotto forma di acqua natu-rale o oligominerale, tisane, centri-fugati di verdure e quant’altro.Il sale da cucina deve essere ridot-to drasticamente perché danneggia direttamente le pareti dei vasi. Oc-corre quindi sostituirlo con aromi e spezie per insaporire in modo alter-nativo i cibi.L’assunzione di alimenti ricchi in grassi saturi (insaccati, formag-gi, uova, burro, panna, strutto, sal-se, besciamella, gelato, creme, dol-ci) e in zuccheri semplici (zucchero, miele, marmellata, dolci) deve es-sere limitata. Pane e pasta devono essere presenti nella nostra dieta

nella giusta quantità e senza ec-cessi.Il consumo di alimenti ricchi in Omega 3, come il pesce azzurro, l’olio di oliva, le noci, le mandor-le, le nocciole riduce l’eccesso di colesterolo nel sangue e lo rende quindi più fluido.Via libera alle verdure e alla frutta. In particolare saranno da consu-mare alimenti ricchi in vitamina C, E ed antiossidanti. Alimenti ricchi in Vitamina C sono gli agrumi, le fra-gole, l’anguria, il melone, i pepero-ni, i pomodori, gli spinaci, il mirtillo rosso, i cavolini di Bruxelles, il prez-zemolo. Ricchi in vitamina E, oltre agli spinaci e ai broccoli, sono il lie-vito di birra e il germe di grano.Aglio e cipolle contengono flavo-noidi che migliorano la circolazio-ne periferica.Il mirtillo rosso contiene molte so-stanze antiossidanti e antinfiam-matorie.L’ananas contiene bromelina con proprietà antiedematose, antitrom-botiche e antiaggreganti.Infusi di achillea, zenzero, equise-to, vischio, timo, salvia, rosmarino possono infine costituire rimedi na-turali validi ed efficaci.

IL MENÙ PER FAVORIRE LA CIRCOLAZIONE

• Colazione: Infuso di achillea, centrifugato di melone, una fetta di pane con marmellata di arancio• Spuntino della mattina: fragole al limone e yogurt agli agrumi• Pranzo: pasta aglio e olio, insalatona di verdure miste con pomodori, cipolle, olive, peperoni, germe di grano, noci, condita con olio di oliva e senza sale, pane alle olive, una fetta di anguria• Spuntino del pomeriggio: infuso di equiseto, qualche fetta di ananas• Cena: zuppa di cipolle, sgombro grigliato, spinaci al limone, pane alle olive, macedonia di fragole e mirtilli.

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Le vertigini e i capogirinon cessavano, ne con la fisioterapia ne con l'agopuntura.Ero paralizzata dalla paura.Finche un giorno, una collega...

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Simona Paganini

parlamidi te

GRAZIE "SANITÀ AL FUTURO"!

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È capitato a molti di leggere un articolo dedicato a qualche tematica connessa alla salute e di sentir-si addosso tutti i sin-

tomi del disturbo descritto. Non fa eccezione la protagonista di que-sta intervista, Eleonora Torre, da anni dipendente di MultiMedica, prima nel Presidio di Castellanza e ora di Milano, che ha potuto risol-vere il suo problema di salute gra-zie alle indicazioni contenute in un articolo proprio di questo giornale.

"È stato nel settembre del 2013, du-rante la notte, che sono comparsi i primi sintomi: una sorta di stordi-mento, misto a un malessere gene-rale che, contrariamente a quanto immaginato al momento, mi avreb-be accompagnato per diverso tem-po. Siccome avevo appena trascor-so qualche ora in palestra, attribuii immediatamente la colpa dei ca-pogiri comparsi a un esercizio che avevo appena svolto e che aveva sollecitato, magari più del dovuto, la colonna cervicale, provocandomi il malessere che sentivo".

Eleonora, che sintomi accusavi?Principalmente capogiri, soprat-tutto la notte, che aumentava-no quando mi giravo nel letto. Tal-mente fastidiosi da svegliarmi. In breve tempo però le vertigini, dalle sole ore notturne, si sono protrat-te anche al giorno, fino a rendermi conto che mentre camminavo, ten-devo a sbandare perdendo l’equi-librio. Dopo poco più di un mese dalla comparsa dal primo episo-dio, ormai convivevo con un gene-rale senso di paura che mi prende-va ogni volta che dovevo muovere o spostare la testa, che rallentava le mie attività quotidiane. Per dir-ne una, ho smesso di andare in pa-lestra. Allora ho deciso di chiede-re aiuto.

E cosa hai fatto?Convinta che il problema fosse le-gato alla sollecitazione della cervi-cale, in prima battuta mi sono ri-volta a uno Specialista Fisiatra. Una volta raccontato il modo in cui comparirono i sintomi, concor-dammo di rivederci dopo l’esecu-zione di una risonanza magneti-ca alla colonna. Eseguito l’esame,

l’esito evidenziò una rettilineizza-zione del rachide, che il medico reputò compatibile con la sintoma-tologia che mi assillava. Allora mi prescrisse un ciclo di tens e un ci-clo di massaggi. Non mi aspettavo certo di guarire subito, ma neppu-re dopo più della metà delle sedu-te vidi miglioramenti alla sintoma-tologia, anzi, di notte, l’intensità dei capogiri e del fastidio tende-va ad aumentare. Ero in costante tensione, soprattutto di notte, per-ché i sintomi si acuivano proprio quando ero stesa a letto: cambia-re la posizione della testa durante il sonno mi provocava un capogiro talmente forte da svegliarmi.

Perciò hai cambiato approccio?Esatto, mi mancava ormai solo qualche seduta per completare i cicli di terapia fisica, e pensai di provare una soluzione di cura al-ternativa a quella tradizionale: l’a-gopuntura, pratica che avevo già sperimentato, in quel caso con successo, per altri disturbi. Al pri-mo incontro spiegai i miei disturbi con il supporto del referto della ri-sonanza magnetica fatta e comin-

Eleonora Torre

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ciai le sedute, circa una ogni dieci giorni. Dopo circa un mese e mez-zo, anche questa terapia si rivelò poco efficace: il malessere persi-steva e, alle solite manifestazioni di vertigini e di stordimento, si era aggiunta una sensazione di im-potenza che sfociò in un costan-te nervosismo. Lo sanno bene le persone a me più vicine, che no-tavano quanto mi invalidasse que-sta situazione. Tra loro i miei col-leghi di lavoro, ai quali confidavo i miei disturbi e gli scarsi progres-si delle terapie, ed è stato proprio grazie al suggerimento di una mia collega che ho potuto risolvere la situazione!

Cioè?Galeotta è stata l’intervista al Dr. Claudio Albizzati, Responsabi-le del Servizio di Otorinolaringo-iatria dell’Ospedale MultiMedica di Castellanza, pubblicata alcu-ni mesi fa su "Sanità al Futuro" (n° 24), il magazine nel quale ora sto raccontando la mia storia! In quell’intervista, realizzata proprio

dalla suddetta collega, venivano descritti i miei sintomi, correlati a una patologia definita Vertigine Parossistica Posizionale Beni-gna (VPPB), un disturbo che inte-ressa l’orecchio interno, scatena-to da particolari cambiamenti della posizione della testa. Mi sono at-tivata subito per una visita con il Dr. Albizzati che confermò la dia-gnosi.

È stato necessario eseguire qualche esame strumentale ag-giuntivo? No, nessun ulteriore esame. Du-rante la visita, una volta racconta-ti i miei disturbi e spiegato come si presentavano, il Medico mi ha fatto sedere sul lettino e, utilizzan-do la manovra detta "test di Dix-Hallpike", mi ha sdraiato veloce-mente, mobilizzandomi il capo in diverse angolazioni. Dalla mia ri-sposta a questa manovra ha po-tuto diagnosticare con certezza la patologia che mi affliggeva, spie-gandomi che i colpevoli della mia sintomatologia erano dei "cristal-

li" contenuti in una specie di "sac-chetto" posto all’interno dell’orec-chio, che per diversi motivi erano fuoriusciti invadendo lo spazio cir-costante.

Com’è riuscito a risolvere il pro-blema? Potremmo dire con una tera-pia manuale! Sempre eseguendo una serie di movimenti di mobi-lizzazione della testa, con questa manovra detta "di Epley", ha eli-minato i sintomi che mi tormenta-vano ormai da mesi. Perché ca-pogiri, mancanza di equilibrio, per non parlare del mancato riposo, e la conseguente paura di muovere la testa, mi accompagnavano da settembre e la visita con il Dr. Al-bizzati è avvenuta in primavera. Ci lasciammo con l’indicazione di un controllo dopo un paio di settima-ne, ma già la notte stessa mi resi conto di aver risolto il mio proble-ma. E così è stato.

Gentile dott. Lombardo,un cattivo funzionamento della tiroide può avere ripercussioni sulla salute del cuore? Soffro di ipotiroi-dismo e vorrei sapere se questa patologia determina un aumentato rischio di incorrere in una malattia cardiovascolare. Grazie per la delucidazione, Carla

Gentile Signora,

la sua domanda solleva una questione di grande rilievo. L’ormone tiroideo, infatti, è fondamen-tale per la normale funzione cardiaca, come di molti altri organi. Se la sua mancata produ-zione da parte della ghiandola tiroidea non viene corretta da un’assunzione adeguata di levotiroxina, il muscolo cardiaco nel corso del tempo riduce l’efficacia della funzione contrattile (cioè pompa il sangue con minore forza durante la sistole) e del suo rila-sciamento (non si riempie adeguatamente durante la diastole). Inoltre, la frequen-za cardiaca che è modulata dagli ormoni tiroidei è più lenta del normale di cir-ca 10-20 battiti al minuto (bradicardia sinusale), mentre si osserva un aumento della pressione arteriosa, in particolare diastolica, a seguito dell’irrigidimento dei vasi sanguigni. La conseguenza è che, mentre aumenta il lavoro complessivo cui il cuore è sottoposto, la sua fun-zionalità si riduce, fino a configurare una vera cardiomiopatia (ma-lattia del muscolo cardiaco). Nei casi estremi, se non si interviene con la terapia sostitutiva, il cuore si ingrossa, può comparire un versamento nel pericardio, il paziente manifesta una ridotta ca-pacità allo sforzo e una progressiva mancanza di respiro anche a riposo. Inoltre si osserva un caratteristico ispessimento del-la cute (mixedema), particolarmente evidente attorno agli oc-chi e sulla regione anteriore delle gambe, ben diverso dal gon-fiore delle gambe per accumulo di liquido che si osserva nello scompenso cardiaco. Inoltre, può comparire un’aritmia cardiaca ca-ratterizzata da un battito caotico e disordinato, la fibrillazione atriale, men-tre l’aumento del colesterolo LDL e della proteina C-reattiva, può predispor-re alla progressione della malattia coronarica. Tuttavia, nel suo caso la diagnosi è stata già fatta e la terapia sostitutiva av-viata, pertanto il rischio di manifestare una condizione di sofferenza cardia-ca, con le conseguenze sopra descritte, è virtualmente annullato. Il man-tenimento entro valori di normalità degli ormoni circolanti (TSH, FT3, FT4) a seguito del corretto dosaggio della levotiroxina, il controllo pressorio e una visita cardiologica annuale potranno facilmente ras-sicurarla che le sue prospettive di buona salute sono le stesse di una persona con normale funzionamento della tiroide.

la postadel cuore

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Risponde Michele Lombardo, direttore dell’Unità di Cardiologia dell’Ospedale San Giuseppe. Inviate le vostre domande per po-sta elettronica a [email protected]

Per appuntamentiSSN: 02-999.61.999

È la malattia più comune dell’orec-chio interno, ovvero dell’apparato vestibolare. È caratterizzata da bre-vi episodi di capogiro di intensità me-dia o forte. I sintomi sono scatenati da particolari cambiamenti di posi-

zione della testa, ad esempio rialzar-la e abbassarla, girarsi o mettersi a sedere dopo essere stati sdraiati. Si può avere il capogiro anche quando si sta in piedi o si cammina. Come dice il nome stesso, si tratta

di una patologia benigna, che non rappresenta quindi una minaccia per la vita del paziente, e che può diventare grave solo in rari casi, cioè quando fa aumentare il rischio di cadute.

VERTIGINE PAROSSISTICA POSIZIONALE BENIGNA

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MULTIMEDICAFLASH

P.V.

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I l 2015 è l’anno di EXPO, a Milano si susseguono inte-ressanti incontri che hanno come comune denomina-

tore la nutrizione, in tutte le sue declinazioni. Sappiamo bene come corretti stili di vita a tavola possono aiutare a prevenire patologie anche importanti. Volendo sensibiliz-zare la popolazione su questo tema, la Società Italiana di Nefrologia ha organizzato una serie di 5 incontri dedicati alla “Cucina amica dei Reni”, secondo la formula del talk show durante uno showcooking.L’appuntamento del 10 settembre ha tra i protagonisti Sil-vio Volmer Bertoli, direttore dell’Unità di Nefrologia e Dia-lisi del Gruppo MultiMedica. A lui il piacere di presentare al pubblico la dieta ipoproteica nella malattia renale cronica.Per maggiori informazioni e per l’elenco completo degli appuntamenti: www.sin-italy.org

10 SETTEMBRE: MULTIMEDICA A EXPOCON LA CUCINA AMICA DEI RENI

22 maggio 2015, ore 17.30Ipertensione arteriosa: il sale è necessario?Nefrologi: Maurizio Gallieni (Milano, H. San Carlo)Federico Pieruzzi (Monza, H. San Gerardo)Dietista: Silvana Mastriani (Monza, H. San Gerardo)Cuochi: Scuola Alberghiera “Don Gnocchi” di Carate Brianza

11 giugno 2015, ore 17.30Diabete mellito: come sostituiamo lo zucchero?Nefrologi: Ugo Teatini (Bollate, H. Salvini)Donatella Spotti (Milano, H. San Raffaele)Dietista: Gabriella Panigoni (Milano, H. San Raffaele)Cuochi: Scuola Alberghiera “A. Olivetti” di Monza

9 luglio 2015, ore 17.30Obesità: cibi gustosi con poche calorieNefrologi: Carlo Guastoni (Legnano, H. Civile)Claudio Pozzi (Cinisello B, H. Bassini)Dietista: Cecilia Biazzi (Cinisello B, H. Bassini)Cuochi: Scuola Alberghiera “G. Brera” di Milano

10 settembre 2015, ore 17.30Malattia renale cronica: piatti buoni anche senza proteineNefrologi: Aurelio Limido (Milano, H. Fatebenefratelli)Silvio Bertoli (Sesto S. Giovanni, H. Multimedica)Nutrizionista: Ilaria De Simone (Cinisello B, H. Bassini)Cuoco esperto di prodotti aproteici e allievi Scuola Alberghiera “G. Brera” di Milano

8 ottobre 2015, ore 17.30Calcolosi renale: acqua e agrumi sono un aiuto importanteNefrologi: Piergiorgio Messa (Milano, H. Policlinico)Mario Cozzolino (Milano, H. San Paolo)Nutrizionista: Laura Soldati (Milano, H. San Paolo)Cuochi: Scuola Alberghiera “A. Olivetti” di Monza

Ingresso libero ad esaurimento dei posti.

Milano, via Tortona 32Italian Makers Village

La cucinaamica dei reni

C erchiamo volontari per l’Assistenza Domicilia-re di Cure Palliative: la tua presenza accanto ai

pazienti può fare la differenza!L’invito è rivolto a tutti, è sufficiente avere un po’ di tempo libero da dedicare alle persone seguite dal suddetto servizio. Per alcune di loro avere vicino una persona che li può aiutare nelle faccende pratiche o solo per scambiare qualche parola durante il giorno significa ricevere conforto in un momento particolar-mente difficile della loro vita.Per informazioni: Francesco Lombardo,T. 02 2420 9043

L’ASSOCIAZIONE ONCOLOGIA MULTIMEDICA ONLUS HA BISOGNO DEL TUO TEMPO

tipo, dall'area nido alla pallavolo, dal calcetto al basket.Sarà organizzato il pranzo per tut-ti, bambini, ragazzi, fratelli e pa-renti, perché sia un vero momen-to di festa.Per informazioni:www.manobambino.org

Un evento nazionale dedica-to a tutti i bambini che han-

no problemi con le loro manine. L'Associazione Mano del Bam-bino e l’Unità di Chirurgia della Mano del Gruppo MultiMedica, insieme all'Istituto Buon Pastore, invitano tutte le famiglie ad una

giornata di incontro, di gioco, di confronto prezioso (con chirurghi, psicologi, terapisti) per aiutarli a scegliere il percorso terapeutico più idoneo al proprio bambino e ricevere consigli, aiuto, incorag-giamento.La giornata prevede giochi di ogni

C orrado Taglieri è il nuovo Di-rettore della Cardiochirurgia

dell’IRCCS MultiMedica. Già Direttore dell’Unità di Cardio-chirurgia di Niguarda, con una tra le più vaste casistiche di trapianti effettuati, il Dott. Taglieri può van-tare un’esperienza di tutto rilievo per la chirurgia conservativa mi-tralica e per la chirurgia conserva-tiva della valvola aortica. L’utilizzo di tecniche innovative per il tratta-mento dei casi di distacchi pluri-recidivi di protesi valvolari e lesio-ni cardiache altrimenti intrattabili, così come la sua capacità di ef-fettuare interventi conservativi sul-le valvulopatie mitraliche anche in presenza di lesioni molto comples-se, lo collocano tra i più autorevo-li cardiochirurghi nel panorama eu-ropeo.

NUOVO DIRETTOREIN CARDIOCHIRURGIA

19 SETTEMBRE: 4ª EDIZIONE DEL CAMPUS LA MANO DEL BAMBINO

Ampliate le prestazioni “Tempo Zero”dell’IRCCS MultiMedica di Sesto San Giovanni

Ora è infatti possibile sottoporsi ad una TAC senza mezzo di contrasto, senza bisogno di prenotarla in anticipo: è sufficiente presentarsi in ospedale duran-te le fasce orarie previste (dal lunedì al venerdì dalle ore 8 alle ore 15), muniti di una richiesta del medico specialista. Come per le altre prestazioni a “Tempo-Zero”, Radiografie e ECG (ElettroCardioGramma), è prevista una tariffa agevolata.Di seguito le TAC erogate a “TempoZero”:∙ TAC CAPO∙ TAC MASSICCIO FACCIALE∙ TAC ORECCHIO∙ TAC TORACE∙ TAC ADDOME COMPLETO∙ TAC ADDOME SUPERIORE∙ TAC ADDOME INFERIORE

TAC A TEMPO ZERO

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Ospedale MultiMedica Castellanzav.le Piemonte 70Castellanza (VA)

A8 Autostrada dei Laghi

Ospedale San Giuseppevia San Vittore 12Milano

Ospedale MultiMedica Limbiatevia Fratelli Bandiera 3Limbiate (MB)

Centro AmbulatorialeMultispecialistico MultiMedicavia San Barnaba 29Milano

IRCCS Cardiovascolare MultiMedicavia Milanese 300Sesto San Giovanni (MI)

MultiLab - Polo Scientifico e Tecnologicovia Fantoli 16/15Milano

Centro Dialisi MultiMedicac/o Pio Albergo Trivulziovia Trivulzio 15Milano

IL MONDOMULTIMEDICA

PER PRENOTAZIONI CON

SERVIZIO SANITARIO NAZIONALE:

02-86.87.88.89 PER PRENOTAZIONIIN SOLVENZAO CON FONDIE ASSICURAZIONI:

02-999.61.999

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