L’ORAZIONE E LA MEDITAZIONE SECONDO GAbRIELE...

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RVS 66 (2012) 157-196 L a vita spirituale e l’anelito alla santità hanno varie espres- sioni, anche pratiche, e arrivano a plasmare l’esistenza in- tera. La loro dimensione più importante, dalla quale fon- damentalmente dipende tutto, è la relazione con Dio. Questo rapporto immediato e concreto tra l’uomo e Dio si suole denomi- nare orazione. Nonostante l’immancabile impronta individuale ha anche delle manifestazioni comuni, che la stessa condizione creatu- rale e la lunga esperienza dei santi hanno permesso di classificare e rendere più comprensibile. Per Padre Gabriele di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi l’orazione occupava un posto importante e privilegiato nella sua vita religiosa e personale. Nello stesso tempo era anche un tema centrale della sua investigazione scientifica. Partendo dai classici Josip Mužić L’ORAZIONE E LA MEDITAZIONE SECONDO GABRIELE DI SANTA MARIA MADDALENA STUDI

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La vita spirituale e l’anelito alla santità hanno varie espres-sioni, anche pratiche, e arrivano a plasmare l’esistenza in-tera. La loro dimensione più importante, dalla quale fon-

damentalmente dipende tutto, è la relazione con Dio. Questo rapporto immediato e concreto tra l’uomo e Dio si suole denomi-nare orazione. Nonostante l’immancabile impronta individuale ha anche delle manifestazioni comuni, che la stessa condizione creatu-rale e la lunga esperienza dei santi hanno permesso di classificare e rendere più comprensibile.

Per Padre Gabriele di Santa Maria Maddalena de’ Pazzi l’orazione occupava un posto importante e privilegiato nella sua vita religiosa e personale. Nello stesso tempo era anche un tema centrale della sua investigazione scientifica. Partendo dai classici

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carmelitani egli ha cercato di approfondire e sistematizzare la dottrina sulla preghiera dando il suo contributo originale, ma avendo sempre come obiettivo anche la sua applicazione pratica. In modo particolare voleva renderla accessibile a tutti i cristiani e per questo ha cercato di semplificare e divulgare al più possibile i risultati ai quali perveniva.

La prima sezione di questo lavoro ci introduce nel tema della preghiera in generale ed è seguita dalle altre tre dedicate specificamente alla sua forma più personale che è la meditazione. Dopo una presentazione generale di quest’ultima – la natura, le forme principali e il metodo – passeremo progressivamente all’esposizione sistematica delle sue varie parti detenendoci in particolare sulle più importanti, quale il colloquio affettivo. In-fine vedremo gli sbocchi e le difficoltà che comporta l’esercizio di quest’orazione mentale.

La preghiera

Determinare in che consiste e come si definisce la pre-ghiera, ci aiuterà a capire anche perché è necessaria e che ca-ratteristiche ha. In seguito mostreremo le forme principali nelle quali si suddivide, soffermandoci in particolare sull’orazione vo-cale.

La nozione

La definizione fondamentale dell’orazione per P. Gabriele è quella presa dai catechismi e formulata come segue: «L’ora-zione è una conversazione con Dio, in cui noi Gli manifestiamo i desideri del nostro cuore»1. E poiché il desiderio dominante

1 La ripete con insistenza in quasi tutti i testi nei quali tratta direttamente del tema; cf Piccolo catechismo della vita di orazione, Firenze 1947, 8-9; Corso

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di un’anima innamorata di Gesù sarà di amarLo, la preghiera dovrà essere dunque «specialmente la manifestazione del nostro amore, del nostro desiderio d’amare»2. A questa sintesi il nostro autore arriva teologicamente riprendendo i rispettivi insegna-menti classici della tradizione greca e latina.

Il punto di partenza è san Giovanni Damasceno che pre-senta l’orazione come innalzamento della mente a Dio e ugual-mente come domanda indirizzata a Dio3. Qui al nostro au-tore preme mostrare che si tratta già per il santo in ambedue i casi di nozioni «ammesse» e «necessarie»4. Da questo imme-diatamente deduce la loro complementarietà5 argomentando che «esprimono due aspetti particolari della preghiera, che, in qualche modo, si riscontrano in tutte le sue forme»6. Lungi dal contrapporsi l’una all’altra, le nozioni in questione s’includono a vicenda. La ragione è che l’uomo per domandare aiuto da Dio deve prima avvicinarsi a Lui; e viceversa quando lo fa, anche se non motivato da nessuna necessità, la coscienza della propria precarietà include, sia pure implicitamente, il desiderio di essere aiutato7.

Conforme a questa dinamica connaturale all’uomo, do-vuta alla sua condizione di creatura, è anche l’insegnamento di Gesù. Egli quando insegna a pregare come condizione chiede

sistematico di teologia spirituale (primo anno), Roma, Collegio internazionale dei Carmelitani Scalzi, 1952, 66; «Piccolo catechismo della vita spirituale», Rivista di vita spirituale 3 (1949) 358; «Esortazioni alle religiose», Rivista di vita spirituale 5 (1951): vedi la parte ‘La vita interiore’ e particolarmente p. 255.

2 P. Gabriele lo afferma riguardo alle religiose, ma evidentemente è valido per tutti i cristiani («Esortazioni alle religiose», 255).

3 De fide ortodoxa, III, 24; cit. in Corso sistematico, 65.4 Corso sistematico, 65.5 Ibid., 65.6 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 356.7 Ibid., 356-357.

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isolamento e raccoglimento, ossia allontanamento dalle creature per potersi poi avvicinare a Dio e parlarGli8. Dopo fa seguire l’orazione di domanda consegnando ai suoi discepoli il “Padre nostro”. A sua volta questa bellissima formula riflette la stessa reciprocità perché delle sette petizioni che la compongono, le prime tre sono propriamente «atti di lode e di amore»9.

S. Tommaso d’Aquino diffonde la definizione di Dama-sceno e la completa specificando che nella prima accezione, come «ascensus mentis», la preghiera è «principalmente un atto di volontà», mentre nella seconda accezione l’orazione, consi-derata «come atto formale di petizione, è un atto dell’intelletto pratico»10. A fianco di queste due facoltà (intelligenza e volontà), che generano la preghiera e in generale anche la vita interiore11 secondo P. Gabriele, intervengono anche le potenze sensibili «con lo sguardo, il gesto, la parola, ecc.»12.

8 Corso sistematico, 65. Questo raccoglimento non bisogna intenderlo solo letteralmente perché si può ottenere sia con la separazione fisica sia anche moralmente concentrando l’attenzione su Dio («Piccolo catechismo della vita spirituale», 358). Pertanto S. Teresa d’Avila chiede la solitudine esterna e interna per essere occupati solo con il Signore (La via dell’orazione. Esposizione e commento dell’opera “Cammino di perfezione” di S. Teresa di Gesù, Roma, Monastero S. Giuseppe - Carmelitane scalze, [1955], 134).

9 Corso sistematico, 65. Sul commento di quest’orazione, cf «Piccolo catechismo della vita spirituale», 359-360.

10 Corso sistematico, 66.11 Che poi non è altro che «il tratto intimo con Dio»: cf «Esortazioni

alle religiose», 251 e 254.12 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 357.

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La necessità e le caratteristiche

Contro il pregiudizio secondo cui la preghiera in senso stretto, quella di supplica13, avrebbe uno scarso valore morale perché sarebbe sempre interessata, il nostro autore prende deci-samente posizione facendo vedere che essa non si riduce solo a domanda, come dimostra l’esempio del “Padre nostro”; e in più che anche in tal caso è perfettamente legittima perché spesso con essa si chiede «il necessario per servire meglio Dio e per fare più perfettamente il nostro dovere»14. La materia è tanto importante che basta che si chieda al Signore ciò che conviene per parlare di orazione15. In ogni caso bisogna tenere a mente che l’orazione, anche in senso di domanda, è necessaria all’uomo per la sua in-digenza «naturale e soprannaturale» e proprio per questo sorge spontaneamente dalla sua natura ed ha una tendenza a diven-tare continua16.

Questo bisogno è stato elevato a precetto dal Signore, che chiede un’orazione incessante17. Del resto è evidente che non possiamo fare del Cristo il centro della nostra vita e trasformare la nostra azione apostolica nella collaborazione con Lui senza la preghiera che, insieme alla mortificazione, è il mezzo principale per alimentare la vita interiore18. L’impegno personale di pre-ghiera, lungi dall’essere superfluo è positivamente richiesto19, e

13 Ibid., 356.14 Corso sistematico, 65-66.15 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 356.16 Ibid., 357.17 Ibid., 357; cita Lc 18,1 e 1Tes 5,17.18 È quanto afferma il nostro autore in «Esortazioni alle religiose», 254-

255.19 Concretamente è citato l’insegnamento di Pio XII in tal senso: «Le

caratteristiche della pietà cristiana», Rivista di vita spirituale 5 (1951) 401.

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gli effetti in chi coltiverà questa pratica saranno di avere deste «le forze spirituali» e il desiderio di santità20.

Le principali caratteristiche che dovrebbe riunire l’ora-zione cristiana sono riassunte dal nostro autore in quattro: dal punto di vista soggettivo deve essere solida e intima e da quello oggettivo cristocentrica e trinitaria21. Questi diversi aspetti che si im-plicano reciprocamente sono stati sviluppati specialmente, anche se non esclusivamente, dai vari ordini religiosi e concretamente il nostro autore rileva, ogni volta che gli si offre l’occasione, che la sua famiglia carmelitana si è distinta e si preoccupa specialmente dell’intimità dell’orazione; tanto che definisce la spiritualità del Carmelo come «spiritualità dell’intimità divina»22.

Le classificazioni e le forme

La preghiera come tale può distinguersi in vari modi e concretamente le suddivisioni più importanti sono fatte secondo la sua manifestazione esteriore. Una si fa in base al soggetto: se egli prega come individuo parliamo dell’orazione privata o perso-nale e se lo fa perché membro della Chiesa siamo davanti a quella

20 Questo si dice per la vita interiore ma visto che essa si riduce principalmente alla preghiera, vale indirettamente anche per essa (cf «Esortazioni alle religiose», 258).

21 In verità le attribuisce alla pietà, però siccome questa è la «vita di preghiera» è legittimo applicarle pure all’orazione come tale. Cf «Le caratteristiche», 398 e più diffusamente 402-406.

22 Vedi ibid., 398-399 e 403-404. Per la caratteristica della solidità risalta invece il contributo dei domenicani (402-403), che hanno dato i fondamenti sicuri della dottrina; per incentrare la preghiera in Cristo come maestro e fonte della vita spirituale segnala in particolare i francescani (404-405), mentre per il mistero della Trinità, centrale anche in questo campo come in tutta la vita di fede, non distingue nessun Ordine concreto (405-406).

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pubblica ossia liturgica con la quale coincide principalmente23. Queste due forme, che possono essere considerate anche come altre caratteristiche dell’orazione24, nella loro attuazione sono unite e non si contrappongono né devono separarsi, com’è suc-cesso con la deviazione della «liturgia oggettiva» che insisteva esclusivamente sulla «precisione del rito e delle cerimonie senza tener conto delle disposizioni personali del celebrante e di coloro che assistono alle funzioni»25. A ragione quindi la Chiesa insiste sull’importanza della partecipazione e dell’orazione personale negli stessi documenti dove chiede la partecipazione dei fedeli alla liturgia26.

La seconda suddivisione è fatta invece in base alle forme di espressione, e distingue l’orazione vocale e quella mentale27. Il criterio di separazione non è però la manifestazione esteriore di pronuncia, perché anche la preghiera mentale può esprimersi sensibilmente, ma piuttosto il fatto pratico di usare una formula prestabilita: in caso affermativo, infatti, siamo in presenza della

23 Corso sistematico, 66 e «Piccolo catechismo della vita spirituale», 358. Quest’ultima può considerarsi tanto in se stessa quanto «secondo la partecipazione che vi possono avere le persone singole»: Corso sistematico, 66. I principali atti nei quali si realizza questa preghiera liturgica sono in primo luogo la partecipazione alla S. Messa, la ricezione dei sacramenti e la recita dell’ufficio divino; cf Corso sistematico, 67-73 e «Le caratteristiche», 399-401.

24 Infatti, P. Gabriele le associa in un’occasione pure alle altre quattro suddette distaccando per l’aspetto liturgico il contributo dei benedettini e per quello personale il merito dei gesuiti («Le caratteristiche», 399-402).

25 Tale errore è stato corretto con l’enciclica Mediator Dei; cf «Le caratteristiche», 401.

26 A conferma sono citati Mediator Dei e Menti nostrae: vedi Corso sistematico, 73.

27 Corso sistematico, 66; «Piccolo catechismo della vita spirituale», 358.

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preghiera vocale; invece, quando uno comunica con Dio sponta-neamente, si tratta di quella mentale28.

La preghiera vocale

La formula che determina e costituisce l’orazione vo-cale può essere diversa; l’importante è che «esprime i nostri desideri»29. L’esempio più bello e più sostanzioso è la preghiera insegnataci da Gesù: il “Padre nostro”30. In essa, infatti, «espri-miamo al nostro Padre celeste tutto ciò che desideriamo sia per lui che per noi»31. Inoltre S. Teresa d’Avila afferma con con-vinzione che il Signore anche oggi insegna ad ogni anima ben disposta come recitare questa preghiera e pertanto invita a rima-nerGli vicino32.

Pronunciando le parole spesso succede che non se ne segua sempre il senso con il pensiero; ma ciò in sé non rende invalida la preghiera detta a voce. Basta, infatti, che ci sia un minimo di attenzione per mantenere l’intenzione di onorare Dio33 o i

28 Corso sistematico, 73-74; «Piccolo catechismo della vita spirituale», 358-359.

29 Piccolo catechismo, 9.30 Corso sistematico, 74. Commentando una per una le petizioni del “Pater

noster” S. Teresa espone nel suo Cammino di perfezione tutto il percorso di preghiera (cf La via dell’orazione, 143-239).

31 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 359.32 «È bene inoltre considerare che il Signore ha insegnato e continua

ad insegnare questa sua preghiera a ciascuno di noi in particolare. Il Maestro non è così lontano dal discepolo da aver bisogno di alzare la voce, anzi è molto vicino. Desidero che comprendiate come, per recitare bene il Pater noster, vi conviene non allontanarvi mai dal Maestro che ve lo insegnò» (Cammino di perfezione, XXIV, 5; cit. in La via dell’orazione, 134; vedi anche 133).

33 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 359; Corso sistematico, 74.

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santi34 e che «la formula sia recitata devotamente»35. Il che già «effettivamente esprime un intimo ricorso dell’anima a Dio», implicito, ma di reale intenzionalità36. L’attenzione costa sforzo specialmente all’inizio, ma come afferma S. Teresa d’Avila, è ob-bligatoria nella preghiera e quindi bisogna vincersi per averla37.

Per essere buona questa forma di preghiera, le si richiede in-vece che si cerchi d’intendere il senso delle parole che si dicono38 o che l’anima si mantenga alla presenza di Dio sapendo a chi si dirige39. Se si pratica in uno di questi due modi, è molto proba-bile che aumenti il fervore e l’efficacia dell’orazione40.

In ogni caso, giacché la preghiera deve essere la conver-sazione con Dio, non è sufficiente «capire ciò che diciamo, ma occorre essere occupati con Colui al quale parliamo»41. In questa maniera, se si fa attenzione più al Signore che alle parole, l’ora-zione vocale si unisce a quella mentale42. Quest’unione è auspi-cata e raccomandata da S. Teresa d’Avila come necessaria perché l’orazione vocale da sola non basta e deve essere «inquadrata»

34 Piccolo catechismo, 9.35 «La vita spirituale», Rivista di vita spirituale 7 (1953) 285.36 Corso sistematico, 74.37 Cammino, XXIV, 6; cit. in La via dell’orazione, 135.38 Questo intendimento, non manca di specificare il nostro autore,

deve essere «almeno in modo generale» (Corso sistematico, 74), ovvero: la recita sia accompagnata da «un atteggiamento spirituale adatto» (La via dell’orazione, 132), che è poi quello «di un figlio che sta volentieri con sua madre» (ibid., 141). Per raggiungerlo S. Teresa d’Avila consiglia di avere nelle preghiere consuete «un punto di riferimento su cui fissare la nostra attenzione» (ibid., 133).

39 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 359.40 Ibid., 359.41 La via dell’orazione, 133.42 Cammino, XXII, 1; cit. in La via dell’orazione, 129. P. Gabriele per questa

maggiore preoccupazione per il Signore afferma che allora «la nostra mente è totalmente occupata di lui» (ibid., 129).

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in quella mentale43. In conclusione, riassumendo il pensiero della Santa, il nostro autore afferma: «l’orazione vocale non è l’ora-zione mentale, ma non se ne stacca neppure nettamente anzi, per essere fatta bene, non può andare disgiunta dall’orazione mentale»44.

Si capisce facilmente la correlazione che s’instaura con la preghiera mentale perché l’anima che fa bene quest’ultima sarà facilitata anche a far bene l’altra45 e viceversa46. Non meraviglia pertanto che è possibile essere elevati dall’orazione vocale ben fatta direttamente alla contemplazione unitiva47.

L’orazione mentale

Questa forma di preghiera, nella quale l’intelletto ha una parte considerevole, può svolgersi in varie maniere, ma mantiene sempre gli stessi connotati fondamentali, il che ci permette di de-terminare tanto la sua natura quanto il ruolo che in essa riveste il metodo.

I modi

Come già abbiamo visto l’orazione mentale si caratterizza per la sua spontaneità e ha libertà di espressione giacché può esteriorizzarsi con la parola o rimanere interna. Tutto questo fa

43 La via dell’orazione, 128-130; 132.44 La via dell’orazione, 129.45 Corso sistematico, 74.46 Non a caso, infatti, per S. Teresa d’Avila uno dei modi per spiegare

l’orazione mentale è insegnare «a far bene l’orazione vocale» (La via dell’orazione, 132).

47 La via dell’orazione, 136.

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di essa un’orazione più personale perché «si affermano di più le caratteristiche, le tendenze, i bisogni della persona»48.

Si danno vari modi nei quali si può praticare e vivere. In primo luogo abbiamo l’orazione mentale di carattere «diffuso»49 che si applica anche in mezzo alle occupazioni, attraverso «bre-vissimi momenti di elevazione della nostra mente a Dio»; questi piccoli atti, con la frequente ripetizione possono darle una conti-nuità tale che copra quasi tutta la giornata50. Tale modo di pre-gare è ben conosciuto come esercizio della «presenza di Dio» e di essa ci occuperemo più avanti.

In secondo luogo abbiamo l’orazione mentale in senso stretto alla quale questo nome si assegna propriamente. Essa consiste nel dedicare di proposito un tempo determinato ed esclusivamente riservato a questo esercizio51.

A sua volta si divide in due forme diverse: una detta me-ditazione, che dipende dal nostro impegno e ci interessa ora, e l’altra chiamata contemplazione, fondamentalmente concessa da Dio e della quale ci occuperemo più avanti52. Il nome della me-ditazione si deve al fatto che l’anima in quest’orazione «riflette (medita) sulle verità della fede per penetrarle sempre più con l’in-telletto e per farle entrare profondamente nella sua vita»53.

La natura

Secondo P. Gabriele, S. Teresa d’Avila usa un duplice procedimento per determinare la natura della meditazione. Da

48 Corso sistematico, 74.49 Ibid., 75.50 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 360-361.51 Ibid., 360-361; Corso sistematico, 75.52 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 361.53 Ibid., 361.

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un lato attraverso il paragone con le altre due forme affini, ma non identiche, che sono la contemplazione e orazione vocale, e dall’altro lato dandone una definizione specifica54.

Concretamente per lei la meditazione «non è altra cosa che un tratto amichevole in cui l’anima parla spesso intimamente con Colui da cui sa di essere amata»55. Certo anche qui, come per la preghiera in generale, si attivano l’intelligenza e la volontà. Queste due facoltà cercano con i loro atti di metterci in contatto con Dio e in ciò «consiste essenzialmente» l’orazione mentale56. La santa specifica, il che è un suo contributo originale, anche l’atteggiamento con il quale la meditazione deve essere condotta facendo intendere che non bastano solo conoscenza e amore ma «che ciò a cui deve mirare l’intelligenza è specialmente capire l’amore di Dio per l’anima e che la risposta a quest’amore deve essere un parlare intimamente con Lui»57. L’essenziale, dunque, più che semplicemente comprendere, è «persuaderci attualmente che il Signore ci ama»58; dopo sarà evidente che non si deve trattare solo di un contatto ma che bisogna instaurare un colloquio in-timo col Signore59, ossia «una conversazione amichevole»60, ri-spondendo così al Suo invito ad amarLo61. L’aspetto importante che è messo in risalto è il carattere affettivo che deve avere questa

54 La via dell’orazione, 127-128.55 Vita, VIII, 5; cit. in La via dell’orazione, 127; cf anche «Orazione e

metodo» in La mistica teresiana, San Domenico di Fiesole - Firenze, «Vita Cristiana», [1935], 48 e «L’École d’Oraison Carmélitaine», Etudes Carmélitaines, 17 (1932: vol. II) 6-7.

56 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 360.57 Corso sistematico, 74-75.58 «La vita», 285.59 La via dell’orazione, 127; Orazione, 48.60 La via dell’orazione, 148.61 Piccolo catechismo, 10.

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preghiera62, che in fondo vuol dire che essa «è opera d’amore»63. Pur valorizzando debitamente il ruolo del pensiero, esso occupa il secondo piano, e si aspira a una sua semplificazione64 in modo che S. Teresa può affermare: «L’orazione non consiste nel molto pensare, ma nel molto amare»65. E il nostro autore finisce: «L’o-razione è un esercizio di vita spirituale non intellettuale, è un fatto di amore che tende a promuovere la vita interiore, il cui principio è la carità»66.

Il contenuto della meditazione sarà connotato da questa caratteristica pur essendo variato. In particolare, secondo il no-stro autore, può essere triplice: sia la petizione semplicemente, sia la meditazione delle verità rivelate della fede, sia lo stare alla presenza di Dio e avanzare nella sua intimità67. Oppure, detto in altra maniera, seguendo la santa d’Avila, risulterà dal «pensare ed intendere quello che diciamo, a chi ci rivolgiamo e chi siamo noi per parlare ad un Dio così grande»68.

Tutto però sarà nel segno dell’amore perché «pensiamo soltanto per amare, per nutrire l’amore»69. Infatti, l’anima, in

62 La via dell’orazione, 127-128 e Corso sistematico, 75; Orizzonti contemplativi, Roma, Monastero S. Giuseppe - Carmelitane Scalze, 1980, 27.

63 Orazione, 48.64 «L’École», 6.65 Castello, Mansioni IV, I, 7; cit. in La via dell’orazione, 127. Questa

massima è applicata anche per misurare il progresso nell’orazione: Fondazioni, V, 2 cit. in «L’École», 7.

66 Orizzonti, 28.67 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 360. In un altro luogo

invece più genericamente menziona prima la riflessione e poi il ricordo sempre vertenti sull’amore di Dio e sulla sua bontà (Piccolo catechismo, 10-11).

68 «Occuparci di questi pensieri – prosegue la Santa – e di altri somiglianti, come ad esempio del poco che abbiamo fatto per lui e dell’obbligo che ci incombe di servirlo, è orazione mentale»: Cammino, XXV, 3; cit. in La via dell’orazione, 128.

69 Piccolo catechismo, 11.

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modo particolare quella della vita contemplativa, preferirà espri-mere al Signore specialmente il suo amore per Lui, o per lo meno il desiderio di amarLo, perché «l’amore, appunto, fa fiorire l’a-micizia e introduce nell’intimità»70. Quest’amore, come ben mo-stra p. Gabriele, non deve essere quello sensibile, se non come complemento ausiliare nel caso che Dio lo conceda, bensì amore di volontà71. La ragione è che quest’ultimo dipende dall’uomo ed è quello che gli chiede Dio come la cosa più personale che ha72.

Insomma la meditazione è un’orazione alla portata di tutti, che non richiede istruzione o capacità particolari73, ma si distingue per la semplicità ed è priva di formalità74; perciò non meraviglia che S. Teresa d’Avila la consideri come una forma di preghiera conveniente ai principianti75.

La preghiera metodica

Per fare la meditazione, il mezzo utile è servirsi di un me-todo appropriato che insegna una serie di atti successivi con il fine di rendere più agevole questa forma di orazione76. Ne esi-

70 Ibid., 10.71 Ibid., 11-13. La definizione dei due amori è la seguente: «L’amore

sensibile consiste in un sentimento che ci porta affettuosamente verso una persona e ci fa provare piacere alla sua presenza o al ricordo di lei. L’amore di volontà consiste nel ‘voler bene’ a una persona, per libera scelta e determinazione della nostra volontà. Quando poi quest’amore prende tutta l’anima, allora si vuole appartenere alla persona amata e consacrare a lei tutta la propria vita» (ibid., 11).

72 Difatti proprio la volontà è la sede della libertà con la quale l’uomo può realizzare la piena donazione di se stesso a Dio (Piccolo catechismo, 11-13).

73 Orizzonti, 29.74 Corso sistematico, 75.75 Vita, cc. XI-XIII; cit. in «L’École», 5.76 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 361.

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stono diversi adatti alle varie circostanze e caratteri77, che riflet-tono le caratteristiche della scuola di spiritualità dalla quale sono stati creati; però tutti convengono nella sostanza78: che non è nient’altro che l’esercizio dell’amore79. Trattandosi di un mezzo, l’anima può scegliere il metodo più adatto ai suoi bisogni con piena libertà; e se è necessario anche cambiarlo80.

All’inizio del secolo, sulla scia del movimento liturgico e a partire della contestazione di alcuni, si è sviluppata la di-scussione sull’opportunità dei metodi di orazione in generale81. Tutto è finito presto, conciliando generalmente l’affermazione dell’utilità del metodo con la necessità di essere liberi nel suo uso, in modo da non attaccarvisi troppo e di potersi privare di esso quando è il caso82.

Una delle «principali innovazioni della Riforma teresiana» è la richiesta, codificata dalla Regola, di due ore di meditazione al giorno, fatte in comune, il che per adempimento presuppone

77 Ibid., 361.78 Corso sistematico, 75.79 Orizzonti, 28.80 «Piccolo catechismo della vita spirituale», 361-362.81 L’avvio a questo dibattito lo diede il saggio di Dom FestuGière (La

liturgie catholique. Esquisse d’une synthèse, suivie de quelques développements, «Revue de philosophie» 1 (1913) 692-886) nel quale egli, spinto dal desiderio di ridare alla liturgia il posto dovuto, «ebbe – come costata con insolita durezza P. Gabriele – la poco felice idea di accentuare troppo l’opposizione, abbastanza radicale, che gli era sembrato di scoprire fra lo ‘spirito di libertà liturgica’ e il metodo ‘militare’ (la parola è sua) di S. Ignazio» (Orazione, 45-46). Presto da questo sospetto d’incompatibilità tra i due si arrivò a mettere in questione generalmente l’utilità dei metodi di meditazione (Orazione, 46-47).

82 Corso sistematico, 75. L’Ordine Carmelitano si schierò nella discussione in difesa del metodo perché, come commenta il nostro autore, ha un metodo proprio e possiede l’esperienza pratica della possibilità di unirlo con l’educazione liturgica (Orazione, 47).

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in pratica già un metodo83. Il metodo carmelitano si basa fon-damentalmente sulla concezione che santa Teresa aveva della meditazione come orazione incentrata sul colloquio intimo con Dio84. Lei, infatti, conosce l’orazione metodica e raccomanda come utile il suo metodo pratico85, sebbene non fosse riuscita a metterlo in pratica personalmente86. Di conseguenza non si preoccupa di farne uno proprio87. Insieme agli insegnamenti della santa, pure quelli di S. Giovanni della Croce hanno avuto particolare importanza per la formulazione del metodo nel suo Ordine; «la sua forma definitiva e concreta, però, fu data dai loro discepoli»88.

Concretamente, alla meditazione propriamente detta segue e si collega la conversazione amorosa, con la quale l’uomo risponde all’invito divino. Intorno al nucleo così formato si ag-giungono le altre parti o atti: le prime due sono introduttive (la preparazione e la lettura) e le ultime tre sono complementari e fa-coltative (il ringraziamento, l’offerta e la domanda)89. In tutto ci sono

83 Orazione, 49-51.84 Corso sistematico, 75-76; Piccolo catechismo, 15-16.85 Così, da buona conoscitrice dei libri sull’argomento, espressamente

cita le opere e il metodo di Luigi di Granada e di Pietro di Alcantara e alcune altre (Costituzioni, Silv., 5; cit. in Orazione, 52), alludendo elogiativamente pure agli Esercizi spirituali di S. Ignazio (Cammino, XIX, 1; cit. in Orazione, 52-53).

86 «Sainte Thérèse – afferma infatti P. Gabriele – connaît et apprécie l’oraison méthodique, bien qu’elle n’y ait jamais réussi» [«École mystique thérésienne (Carmes déchaussés)», in Dictionnaire de Spiritualité, II, fasc. 7, Paris, Beauchesne, 1937, 179].

87 Orizzonti, 28.88 Vedi Piccolo catechismo, 14-15. In particolare lo troviamo esposto per

la prima volta in maniera completa nelle due più antiche Istruzioni dei novizi dell’Ordine: una del 1591 in lingua spagnola, e l’altra un poco posteriore del 1605 in lingua italiana (ibid., 14).

89 Piccolo catechismo, 15-16; Corso sistematico, 76.

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sette parti90, delle quali la meditazione e specialmente il collo-quio sono quelle essenziali91. Di fatto però si riducono a tre o due – l’introduzione, la parte centrale e quella finale (non indispensa-bile) – e quindi la distinzione introdotta «non complica la pratica dell’orazione mentale»92.

In conformità poi con l’impostazione data da S. Teresa di Gesù, è da aggiungere che «tutte queste parti devono sfociare nel colloquio intimo con Dio, o trovare il loro posto nel colloquio stesso»93. È possibile, tra l’altro, cambiare il loro ordine, e alcune parti possono addirittura omettersi, tutto secondo le disposizioni e i bisogni individuali, perché esse sono solo un aiuto, partico-larmente indicato per i principianti: essenziale è raggiungere lo scopo dell’orazione che indica la santa94.

La meditazione

Passando in particolare alla meditazione esporremo le parti che la compongono per concentrarci poi specialmente sulle due propriamente costitutive che sono la rappresentazione e la riflessione. In ultimo vedremo brevemente anche la maniera al-ternativa per meditare che si raccomanda nel Carmelo.

90 Troviamo per la prima volta la divisione settenaria dell’orazione mentale nell’Istruzione dei novizi del 1591 e P. Gabriele la attribuisce direttamente a san Giovanni della Croce, pur ammettendo anche il contributo di santa Teresa (Orazione, 61). In particolare, per le ragioni a favore della paternità del santo per la suddetta divisione, cf ibid., 56-60 ed anche «L’École», 11-13.

91 Corso sistematico, 76. Se consideriamo questi due atti centrali congiuntamente, le parti si riducono a sei (Piccolo catechismo, 15).

92 Piccolo catechismo, 15.93 Orizzonti, 32.94 Ibid., 32-33.

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L’introduzione

La preparazione in particolare serve per entrare subito, all’i-nizio della preghiera, in contatto con Dio, accentuando la fede e la coscienza della Sua presenza95. Come nelle relazioni so-ciali, anche con Dio «dobbiamo prima di tutto sapere e pensare con chi dobbiamo trattare e che cosa gli diciamo, in qualunque preghiera»96.

Si raccomanda di incominciare la preparazione con un esame di coscienza e il Confiteor97. Questo è un modo, spiega P. Gabriele, allora in uso nei monasteri e non più valido di altri; come tale può benissimo essere cambiato o sostituito98. Dopo bi-sogna passare, con umiltà e confidenza, a mettersi alla presenza del Signore, specialmente nell’Eucaristia o nella propria anima in grazia99, semplicemente guardandoLo100.

P. Aravalles elabora ulteriormente questa fase, chiedendo per una buona preparazione di considerare a chi ci rivolgiamo, chi siamo noi e che cosa chiediamo101. In ogni caso, questa presa

95 La via dell’orazione, 130-131; Corso sistematico, 76; Piccolo catechismo, 16.96 La via dell’orazione, 130, a commento di Cammino, XXII, 3.97 A questi due S. Teresa consiglia di premettere anche il segno della

croce: Cammino, XXVI, 1; cit. in La via dell’orazione, 146; similmente anche P. Aravalles: vedi «L’École», 16.

98 Infatti «qualunque atto di umiliazione può servire all’intento» (La via dell’orazione, 146; vedi anche 145).

99 Piccolo catechismo, 24-25.100 Questo è ciò su cui insiste la santa Riformatrice (cf Cammino, XXVI,

3; cit. in «L’École», 8) raccomandando di aiutarsi anche con l’immaginazione, la lettura o un’immagine adeguata (rispettivamente Cammino, XXVI, 4, 10, 9; cit. in «L’École», 8).

101 «Il faut considérer qui est ce Dieu à qui nous voulons présenter nos requêtes; en second lieu, qui je suis, moi qui demande; en troisième lieu, quel est l’objet de ma supplique» (Tratado de oracíon, III, 16; cit. in «L’École», 16).

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di coscienza della presenza del Signore è tanto importante che, se da un lato abbiamo piena libertà nello sceglierne il modo102, dall’altro lato merita ogni sforzo da parte nostra, anche se do-vesse prolungarsi per anni, perché ci permetterà di formare la rispettiva abitudine permanente103. Infatti, per arrivare al collo-quio intimo con il Signore la condizione indispensabile è prima realizzare un contatto con Lui e averlo vicino; il che spiega l’insi-stenza di S. Teresa di Gesù su questo esercizio iniziale104.

Infine bisogna dire che a fianco di questa preparazione, detta prossima o immediata, la scuola teresiana conosce anche la cosiddetta preparazione remota, che consiste nell’avere il cuore e lo spirito liberi e praticare l’esercizio della presenza di Dio105.

La lettura ha come fine fornirci un soggetto determinato per il colloquio con Dio, che può essere tanto un mistero della fede quanto la considerazione della bontà che ci ha mostrato il Signore106; l’importante è che sia «capable d’exciter nos affections»107. Non bisogna abbandonarsi in questo alla spontaneità, ma sce-gliere un argomento determinato che ci possa servire per medi-tare, perché «benché l’orazione sia un colloquio con Dio, è ben chiaro che ordinariamente Iddio non vi prenderà parte in modo sensibile»108. Pertanto è necessario scegliere un libro adatto che ci aiuti a questo e non abbia altra finalità, tipo quella di istru-

Questo schema tripartito ricorda quello che S. Teresa di Gesù raccomanda per la riflessione, ma se ne distingue.

102 La via dell’orazione, 149-150.103 Ibid., 146-148, a commento di Cammino, XXVI, 1-2.104 Ibid., 148.105 Cf più diffusamente Piccolo catechismo, 22-24; cf anche «L’École», 16-

17.106 Piccolo catechismo, 16-17. Si può fare sia dopo la preparazione sia

anche la sera prima (Corso sistematico, 76).107 «L’École», 17.108 Orazione, 62.

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irci. La lettura poi non deve sostituire l’orazione109, ma bisogna che sia meditata, senza cadere negli eccessi di leggere troppo o poco110.

Insomma queste prime due parti hanno la funzione di in-trodurci, in sé sono d’importanza secondaria, «non presentano qui nessuna originalità»111 e il loro ordine si può anche cam-biare112.

La meditazione

Prima di passare a trattare direttamente della meditazione e in seguito del colloquio affettivo, per le ultime tre parti basta dire che sono «atti affettivi più determinati» ed hanno per scopo il prolungamento del colloquio perché in sé non rivestono molta importanza113. Infatti, di loro si può fare anche a meno, anche se per i principianti generalmente sono utili, e il loro ordine non è fisso, ma si può adattare ai bisogni anche con le ripetizioni114.

Nella scuola carmelitana esistono alcune differenze nella presentazione, tanto dell’orazione mentale nelle sue varie parti,

109 Vedi più dettagliatamente Piccolo catechismo, 25-30. Abbiamo anche la lettura spirituale che invece ha lo scopo di istruire nelle cose spirituali, però è affine e può facilmente e con piena legittimità trasformarsi nella meditazione (cf sull’argomento Corso sistematico, 79-81).

110 «L’École», 17, con riferimento a Tratado de oracíon, IV, 22.111 Orazione, 62.112 «L’École», 16.113 Piccolo catechismo, 19. Ecco come si pronuncia sinteticamente a loro

riguardo il nostro autore: «Col ringraziamento l’anima che ne sente la voglia o l’opportunità, può prolungare più agevolmente il suo colloquio. Coll’offerta sia di se stessa, sia di un proposito particolare, l’anima cerca di ripagare la benevolenza divina per la quale ha ringraziato. Con la domanda, chiede la grazia per poter esser fedele, e la chiede tanto per sé quanto per gli altri» (Corso sistematico, 76; vedi anche «L’École», 34-35).

114 Piccolo catechismo, 20-21.

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quanto anche della stessa meditazione, ma esiste un accordo fon-damentale finanche nella classificazione. Su questa base P. Ga-briele opera una sintesi, che vede avallata da maggior – seppur non sempre esplicito – consenso, che gli rende possibile distin-guere in tutto tre elementi nella meditazione115. Essi sono, in suc-cessione, la rappresentazione, la riflessione e il colloquio, dovuti rispet-tivamente a tre facoltà: immaginazione, intelligenza e volontà116. Il colloquio affettivo a sua volta include anche come sostegno «un semplice sguardo gettato su Cristo o su Dio»117.

Dato che l’ultimo elemento è considerato poi, di solito, in maniera separata, ci interesseremo ora alle prime due parti, più legate tra loro.

La rappresentazione

La rappresentazione è il primo atto che si compie ed è un’attività immaginativa con la quale formiamo nel nostro in-terno, senza avere riscontro esteriore, «una specie di quadro o di rappresentazione del mistero118 che vogliamo meditare o, secondo i casi, degli oggetti sensibili dai quali la nostra rifles-sione si innalza a Dio»119. Ha una duplice finalità: da un lato

115 Ibid., 31.116 Ibid., 31-32. Questa distinzione sembra risalire direttamente allo

stesso S. Giovanni della Croce, secondo la testimonianza che ci lascia P. Giuseppe di Gesù-Maria (Quiroga) anche se l’ultimo elemento è presentato come «un repos attentif et amoureux à Dieu» (cf più diffusamente «L’École», 8-11).

117 Questo, secondo il nostro autore, non è solo l’insegnamento della santa Riformatrice, ma è comune a tutta la sua scuola (École mystique, 179-180).

118 Nella scelta del mistero abbiamo la libertà di deciderci per quello che ci è più adeguato (La via dell’orazione, 148; cf Cammino, XXVI, 4 e 5).

119 Piccolo catechismo, 32. Se non è possibile formare il soggetto dentro di noi, il ven. Giovanni di Gesù-maria, nella sua opera del 1610, consiglia di

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mette ordine nella fantasia concentrandola e dall’altro facilita il successivo lavoro dell’intelligenza120. Infatti, la conoscenza intellettiva può partire dalla rappresentazione, anche di un og-getto sensibile, per arrivare alla considerazione di un mistero dei più astratti121. In sintesi lo scopo di quest’attività immaginativa, come già S. Giovanni della Croce ha mostrato, è ben preciso: aiutare la riflessione122. La valorizzazione della rappresentazione negli autori carmelitani parte dalla costatazione di questa sua utilità, ma con la coscienza che la sua importanza è relativa123; il che li porta a insistere non tanto sulla sua necessità, quanto piuttosto su come renderla più fruttuosa in pratica124. Pertanto, con molto buon senso, a quelli che sono dotati d’immaginazione, raccomandano di servirsene, mentre a quelli cui ciò è difficile, consigliano di farne anche a meno, quando è il caso125. In più in-dicano alcune regole per praticare la rappresentazione in modo più adeguato. P. Gabriele le riassume nelle tre seguenti:

1. Impiegare l’attenzione, però non «eccitare troppo l’immaginativa quasi per vedere ‘al vivo’ il soggetto che vogliamo meditare»126, così eviteremo il rischio dell’illusione o della per-dita di tempo127.

farlo vicino a noi, compiendo comunque dei tentativi, anche se ci riusciamo imperfettamente (Schola de Oratione et Contemplatione, Florentiae 1772, II, 510-511; cit. in «L’École», 19).

120 Piccolo catechismo, 32.121 Ibid., 33.122 Salita, II, XII, 3; cit. in «L’École», 9. Il santo distingue la fantasia

dall’immaginazione affermando la necessità di servirsi di entrambe (ibid.).123 «La rappresentazione – il nostro autore è categorico – deve servire

unicamente a fissare le idee, ma non è per se stessa un fine» (Orazione, 63-64).124 Piccolo catechismo, 33, 35.125 Ibid., 33, 35.126 Ibid., 34.127 Orazione, 63.

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2. La rappresentazione non va precisata nei dettagli: è pre-feribile farla in maniera sommaria128.

3. Alla formazione dell’immagine occorre dedicare poco tempo, invece è bene mantenerla durante tutta la meditazione, il che aiuta a evitare le distrazioni129.

La riflessione

La riflessione che «è il primo degli elementi direttamente costitutivi della meditazione» ha un ruolo intermedio perché subordina a se stessa la rappresentazione e a sua volta è subor-dinata al colloquio affettuoso130. Il suo dover essere solo «un preliminare»131, ossia «il fondamento e stimolo»132 della parte propriamente centrale dell’orazione mentale, definisce anche il suo ruolo e condiziona il suo svolgimento. Consci di questo, S. Giovanni della Croce e S. Teresa consigliano di servirsi della ri-flessione con moderazione133.

Nell’applicazione immediata ciò significa controllare il suo operare, affinché non si prolunghi né finisca prima del neces-sario, evitando così da un lato il rischio di scambiarla con un fine, anche per poco tempo, e dall’altro lato di non accontentarsi su-bito di «qualche pio affetto»134. Il criterio che permette di deter-

128 Ibid., 64; Piccolo catechismo, 34. È indicativo in questo senso che nella scuola carmelitana non si chiede mai la cosiddetta «applicazione dei sensi» (ibid., 34-35).

129 Piccolo catechismo, 35.130 Ibid., 35.131 Orazione, 64.132 Piccolo catechismo, 35.133 Orazione, 64.134 Piccolo catechismo, 36.

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minare la giusta durata è quello della volontà135; quando siamo certi che essa si è mossa, l’obiettivo è stato raggiunto e il discorso intellettuale deve cedere il posto al colloquio136.

Il lavoro compiuto dall’intelletto è stato quello di ragio-nare, servendosi dell’argomento ottenuto dalla lettura, «pour ar-river à persuader et a mouvoir la volonté» ad affezionarsi al bene e a rifiutare il male137. Il che vuol dire applicarsi fino a generare nell’anima la convinzione, che sappiamo fondamentale per il colloquio, «di essere amata da Dio e invitata a riamarlo»138. Una volta che la volontà si è mossa il ragionamento che ci portava a una conoscenza intellettuale di Dio sarà sostituito da un’altra conoscenza, molto più efficace e profonda, che è quella della fede nella quale propriamente si realizza l’orazione mentale139. «Questa conoscenza è dell’intelligenza, ma si acquista sotto la spinta della volontà»; pertanto in essa «entra tutta l’anima, cioè l’intelletto e la volontà e allora l’adesione è completa e così forte che ci prende tutti»140.

In sintesi, lo scopo della riflessione è duplice: da un lato quello intellettuale, che consiste nell’intendere e convincersi me-

135 Così nell’Istruzione dei novizi in lingua italiana, apparsa già nel 1607, il cui autore è il ven. Giovanni di Gesù-Maria, si stabilisce: «Quand la volonté commence à s’échauffer, qu’on cesse le raisonnement puor intensifier les affections»: Instructio novitiorum, III, II, 33; cit. in «L’École», 18; sull’autore vedi p. 13.

136 Piccolo catechismo, 36.137 In questo modo si esprime P. Aravalles, uno dei redattori della prima

Istruzione dei novizi (1591), che sembra essere stato in contatto diretto con S. Giovanni della Croce, nel suo libro sulla preghiera (Juan de Jesús-maría [aravaLLes], Tratado de Oración, V, 23; cit. in «L’École», 17; sull’autore cf p. 12). Nello stesso senso vedi pure l’italiana Instructio novitiorum (III, II, 30; cit. in «L’École», 18).

138 Piccolo catechismo, 36.139 La via dell’orazione, 140-141.140 Ibid., 140.

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glio dell’amore divino attraverso il soggetto meditato, e dall’altro lato quello affettivo, che si realizza muovendo la volontà a ri-spondere a sua volta con l’amore141.

Santa Teresa si spinge oltre e approva e raccomanda anche un metodo di riflessione142, quello di Luigi di Granada e di Pietro di Alcantara, e in ciò la segue pure san Giovanni della Croce143. Esso è insegnato dalla santa con riferimento a Cristo e più speci-ficamente alla Sua santa umanità, che per lei riveste grandissima importanza144 e vuole che sia spesso oggetto della meditazione145. Il metodo deve svolgersi nella seguente maniera: «Sarà utile di-scorrere durante un certo tempo e pensare alle sue sofferenze, al motivo per cui egli soffre, chi è che soffre e l’amore con cui soffre»146. Comunque, anche questo è solo un mezzo e pertanto non è necessario osservare rigidamente l’ordine delle domande né dei pensieri che esse possano generare; l’importante è che ci conduca allo scopo prefisso, cioè alla conversazione intima col

141 Piccolo catechismo, 17-18.142 Orazione, 54.143 Così secondo Quiroga (Orazione, 64).144 Basta dire che il libro sull’orazione che la aiutò moltissimo e che

menziona nella sua autobiografia (Osuna, Tercera parte del libro llamado Abecedario espiritual) non viene da lei raccomandato alle sue figlie, perché il suo autore escludeva in alcuni periodi della vita di preghiera la meditazione della santa Umanità di Cristo (Orazione, 52-54).

145 Cf «L’École», 6. Secondo la santa, la persona di Cristo, che è considerata non meno anche nella sua divinità, è di tale importanza in tutta l’orazione mentale, di modo che proprio da essa lei invita a iniziare la meditazione (La via dell’orazione, 130).

146 Vita, XIII, 22; cit. in Orazione, 54. Lo schema dei due santi a lei contemporanei è: «Chi ha sofferto, per chi, perché, come?» (Luis de Granada, Libro de la oración y meditación, 1559, II, 202 e Pedro de aLcántara, Tratado de la oración y meditación, IV; cit. in Orazione, 54, n. 23. Bisogna dire pure che le quattro domande sono usate tanto dalla santa quanto da S. Giovanni della Croce in particolare per meditare sulla flagellazione di Gesù (L’unione con Dio, 97).

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Signore147. Il dinamismo, come l’oggetto della meditazione, va-rieranno anche secondo le fasi di vita spirituale in cui l’anima si troverà. Di conseguenza S. Giovanni come prima cosa racco-manda all’anima che si trova agli inizi, prima di entrare nella notte attiva del senso, la meditazione assidua della vita ed esempi di Gesù148, mentre da quella già avanzata, che sta per adden-trarsi nella notte dello spirito, chiede di considerare Gesù sulla croce dove ha compiuto la più grande opera e di non distaccarsi più da Lui149. Pertanto anche quando sarà finita la purificazione e l’anima non avrà più bisogno della meditazione, ossia «sarà giunta alla perfetta unione con Dio, il suo sguardo e il suo cuore rimarranno sempre fissi in» Gesù Crocifisso150.

La meditazione alternativa

S. Teresa d’Avila è dotata di un grande realismo che si riflette poi in una notevole duttilità pratica. Così, mentre da un lato è categorica sulla necessità delle due ore quotidiane di meditazione in comune, e raccomanda per esse un metodo de-terminato, dall’altro lato è anche conscia che quest’obbligo non potrà essere adempiuto da tutti ugualmente. Di conseguenza, contempla varie maniere in cui si può farlo, esortando espressa-mente: «Sorelle mie, fate orazione mentale! Quelle che non la potranno fare, cerchino di pregare vocalmente, oppure di leg-

147 Piccolo catechismo, 36-37.148 Corso sullo Spirito Santo, dattiloscritto, Biblioteca del Monastero di S.

Giuseppe, Roma 1949, 27.149 Ibid., 28.150 Ibid., 28.

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gere, o di conversare con Dio…»151. Insomma, basta non per-dere la calma e fare quello che si può per pregare152.

Più strettamente la sua dottrina caratteristica, che P. Ga-briele vede come la formulazione di un metodo “originale” di meditazione153, è proporre un modo per trasformare la preghiera vocale in mentale a quelli che non riescono a servirsi debita-mente né della rappresentazione né della riflessione154, perché manca loro «uno spirito ben regolato»155. Tali persone devono semplicemente «raccogliersi nell’intimo del proprio animo, e re-citare lentamente qualche preghiera vocale sostanziosa cercando di penetrare il senso delle parole che si pronunziano e mesco-lando pii affetti alla nostra recita»156. Infatti, l’uomo può da parte sua «procurare di stare in solitudine»157, e se non lo fa, è per la

151 Cammino, XVIII, 4; cit. in Orazione, 50.152 P. Gabriele lo mostra debitamente elogiando il buon senso di S.

Teresa d’Avila e citando in proposito la seguente ammonizione sua: «Perciò non si inquieti, ché sarebbe peggio, né si stanchi per rimettere in carreggiata l’intelletto, ma preghi come può» (Cammino, XXIV, 5; cit. in La via dell’orazione, 134).

153 Cf «L’École», 7. Infatti, lo vede come «ricetta personale e molto pratica» pur riconoscendo che si può parlare solo di metodo «un po’ nuovo», perché qualcosa di simile s’incontra già in S. Ignazio (Orazione, 55, n. 27), quando raccomanda di «peser attentivement la signification de chaque parole d’une prière» (Exercices, Tr. Jennesseaux, Paris 1924, 153; cit. in «L’École», 7, n. 4). La differenza, secondo P. Gabriele, è nell’impiego, ossia nell’orientamento particolare che la santa dà a questo metodo («L’École», 7, n. 4).

154 Piccolo catechismo, 37.155 Cammino, XIX, 1; cit. in Orazione, 54. Un po’ più avanti la santa li

descrive così: «Vi sono certi intelletti e certi spiriti così mobili, che possono paragonarsi a cavalli che non sentono il freno e che nessuno può fermare. Vanno di qua e di là, sono sempre in agitazione... » (ibid., XIX, 2).

156 Orazione, 55 o similmente Piccolo catechismo, 37 e «L’École», 7.157 Cammino, XXIV, 5; cit. in La via dell’orazione, 134.

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comodità di non imporsi il necessario sforzo iniziale158. E se non si riuscisse a pensare alle parole che si pronunciano, basta ac-compagnarle con l’atteggiamento interiore «di un figlio che sta volentieri con sua madre», per fare una «buonissima orazione vocale e mentale»159.

Alla fine, in questo modo si ottengono gli stessi effetti che si ricevono con la meditazione, anche se in maniera diversa160 e intellettualmente meno ordinata161.

Il colloquio e le difficoltà

Che cos’è il colloquio affettivo, come rendere l’ora-zione continua e infine quali sono le difficoltà principali che si trovano nell’orazione mentale? Le risposte a tali domande ci permetteranno di finire e di completare l’esposizione sulla meditazione.

Il colloquio affettivo

Arrivati a questa parte, la più importante, del metodo car-melitano162, che quelle precedenti, e soprattutto la meditazione, avevano preparato, e che le ultime parti devono prolungare, ci troviamo davanti al nucleo nel quale esse ricevono la loro piena giustificazione. Infatti, il colloquio affettivo è la realizzazione di-

158 «Vi sono, infatti, persone così amanti del proprio comodo da non volersi dare nessuna pena e, siccome non hanno l’abitudine di raccogliere sul principio il pensiero, per non stancarsi un poco, dicono che non lo sanno fare e che sanno soltanto pregare vocalmente» (Cammino, XXIV, 6; cit. in La via dell’orazione, 135).

159 La via dell’orazione, 141.160 Orazione, 55.161 «L’École», 7-8.162 Ibid., 6.

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retta del concetto che santa Teresa aveva dell’orazione mentale (come conversazione intima col Signore vertente sull’amore) e come tale può occupare anche tutto il tempo previsto per la pre-ghiera163.

Il passaggio dalla meditazione in senso stretto al colloquio non va forzato, ma deve avvenire in modo spontaneo e quindi è facile che all’inizio, per qualche tempo, la comunicazione con Dio sia accompagnata ancora dalla riflessione prima che l’a-nima possa dedicarsi esclusivamente alla manifestazione del suo amore164. Il momento adatto è quando l’anima arriva alla dispo-sizione nella quale ha convinto l’intelletto dell’amore divino ed ha mosso la volontà a risponderGli165. Con la pratica è possibile acquistare la disposizione a farlo con prontezza166.

Una volta arrivati al colloquio, «scompare ogni metodo e non troviamo che il più libero abbandono»167; l’atteggiamento dell’anima non deve essere forzato, ma «calmo, riposante, vin-cendo la tentazione di voler aggiungere parole a parole, pensieri a pensieri, senza sosta né respiro»168.

A questo punto ormai il lavoro dell’intelletto è cessato: l’im-portante è esercitare l’amore verso Dio esprimendo i propositi, gli aneliti e i desideri che esso genera; di conseguenza, le ripeti-zioni in questo campo saranno frequenti169. S. Teresa di Gesù lo illustra con molta chiarezza: «Non ci stanchiamo con incessanti considerazioni, ma piuttosto ponendo a tacere l’intelletto, stia-mocene ben vicine al Signore. Se possiamo, consideriamo che

163 Piccolo catechismo, 19.164 Ibid., 18.165 Ibid., 37-38.166 Ibid., 38.167 Orazione, 65.168 Orizzonti, 31.169 Piccolo catechismo, 18.

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ci stia guardando. Facciamogli compagnia, parliamo con Lui, esponiamogli le nostre suppliche, umiliamoci, deliziamoci con Lui e ricordiamoci che siamo indegni di stargli davanti»170. «L’a-more», poi, a sua volta «ci fa penetrare molto più addentro nelle verità della fede»171.

Il modo in cui si svolge il colloquio non è in primo piano è pertanto può variare da un colloquio solamente interiore «con espressioni del cuore e della volontà» a un colloquio accompa-gnato anche da manifestazioni esterne (vocali)172. Non ci sono re-gole fisse, neanche per la formulazione di queste espressioni che possono essere brevi e frequenti, lunghe e rare, o semplicemente possono essere sostituite da un «fare amorosamente compagnia a Dio»173.

Con quest’ultima forma silenziosa di conversazione, evi-dentemente il nostro autore si riferisce direttamente a quello che S. Teresa d’Avila e S. Giovanni della Croce chiamano semplice-mente «guardare» Dio174. Ciò non toglie le differenze nella pre-sentazione, perché la Santa vede tale sguardo come un accompa-gnamento del colloquio175, mentre San Giovanni sembra vederlo come una fase particolare, alla quale si arriva acquistando l’abito della meditazione176.

170 Vita, XIII, 11; cit. in Orazione, 64-65.171 La via dell’orazione, 140.172 Piccolo catechismo, 38.173 Ibid., 38-39.174 I due lo fanno con diverse espressioni, ma si riferiscono alla stessa

realtà (cf École mystique, 179-180).175 Vita, cc. XII e XIII; cit. in École mystique, 179-180 e anche «L’École»,

6.176 Salita, II, XIV, 2; cit. in «L’École», 9. Quiroga di conseguenza,

riportando l’insegnamento del santo, dopo la rappresentazione e la riflessione fa seguire come terza parte il «repos attentif et amoureux à Dieu» (Don que tuvo…, III, 515; cit. in «L’École», 10).

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In ogni caso il colloquio, per essere tale, non sarà com-posto solo da parole, ma anche dalle interruzioni pacifiche che eviteranno all’anima il rischio del monologo e dell’agitazione, e le permetteranno di udire la risposta di Dio177. Dio, infatti, parla all’uomo che s’impegna a pregare di cuore178; e lo fa a suo modo, non materialmente con le parole, ma inviando le «grazie di luce e di amore» che aumentano l’intellezione e la generosità179. Lo-gicamente la risposta dell’anima non si può limitare al puro ren-dersi conto di questo, ma si manifesterà nell’accettazione e «nel fermarvisi cercando di approfittarne»180.

Tutto questo scambio di amore, che costituisce la parte fondamentale della preghiera dei principianti, produce effetti particolari che si fanno sentire prontamente. L’anima che s’im-pegna, infatti, scopre e acquista la famigliarità con Dio e avanza molto rapidamente nella vita spirituale181.

L’orazione continua

Le Costituzioni carmelitane del 1611 sono chiare e pre-cise. «Il fine principale del nostro Istituto è la contemplazione: bisogna tendergli con la continua presenza di Dio e le regolate e quotidiane ore d’orazione»182. Un’affermazione concisa, ma molto chiara e programmatica, che condensa la posizione del

177 Piccolo catechismo, 39.178 «Credete forse che egli non parli perché non ne udiamo la voce? Egli

parla certamente al cuore quando di cuore lo preghiamo» (Cammino, XXIV, 5; cit. in La via dell’orazione, 134).

179 Piccolo catechismo, 39-40; cf La via dell’orazione, 135.180 Piccolo catechismo, 40.181 «L’École», 6; cf Vita, XII, 2 e 3; XIII, 22.182 Constitutiones, I, IV, 1; cit. in «L’École», 17.

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Carmelo riguardo alla preghiera183, che il nostro autore definisce come «l’elemento più positivo della sua vita»184. Si mette in ri-salto la contemplazione come obiettivo fondamentale da rag-giungere, e nello stesso tempo s’indicano i mezzi per realizzarlo: la preghiera, cioè, come sappiamo, specialmente la meditazione, e la pratica della presenza di Dio. Di questa ci occuperemo ora.

Non si tratta dell’omonimo esercizio breve, con il quale incomincia l’orazione mentale, ma come indica l’aggettivo “con-tinua”, di una presenza di Dio incessante che merita propria-mente tale nome. È un modo concreto di adempiere il rispettivo precetto del Signore della preghiera continua e viene incontro all’intrinseca costituzione dell’uomo.

Questo esercizio ha lo scopo di «mantenerci in contatto con Dio nelle nostre varie occupazioni quotidiane»185. Dato che tratta di un’orazione mentale “diluita” o prolungata, la sua natura è a essa comune: è quindi composta principalmente di pensiero, che dà orientamento al cuore, e affetto, che è sempre l’elemento principale e unisce maggiormente la volontà a Dio186. Quello che è completamente diverso è la durata, che qui copre tutto il giorno, e la realizzazione, che avviene in mezzo alle atti-vità. Questa specificità avvantaggia di nuovo il ruolo dell’affetto (volontà), perché, a differenza dell’intelletto, che potrà applicarsi

183 P. Gabriele lo riassume a sua volta, affermando che nella regola del suo Ordine «il precetto centrale è quello dell’orazione continua» (Piccolo catechismo, 8).

184 «La spiritualità carmelitana», in Le scuole cattoliche di spiritualità. Ciclo di lezioni promosse dall’Università Cattolica del S. Cuore e tenute in Roma nella primavera del 1943, Milano, VP, 1944, 149.

185 Piccolo catechismo, 55; Corso sistematico, 78.186 Piccolo catechismo, 55-56; Orizzonti, 50. A questi due elementi si

aggiunge la rappresentazione, ma rivestendo meno importanza (cf Corso sistematico, 78, che si richiama particolarmente al breve Trattato della presenza di Dio contenuto nell’opera Scuola di orazione del ven. Giovanni di Gesù-Maria).

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a Dio solamente con quei lavori che non richiedono piena at-tenzione, la volontà almeno con l’intenzione può restare indiriz-zata al Signore anche quando il pensiero è completamente oc-cupato187. Perché quest’orientamento sia continuo, occorre che sia sostenuto spesso con il pensiero del Signore188, che può essere anche del tutto semplice189.

Difatti, anche le occupazioni che richiedono la piena con-centrazione dell’intelligenza possono sempre essere fatte per Dio, «per compiere cioè la sua volontà e per glorificarlo»190. Svilup-pando l’idea, anche le azioni che eccedono il concetto di lavoro in senso stretto, da quelle più comuni, come il mangiare, fino a quelle che ci procurano sollievo191 o servono semplicemente per riposare, come il dormire, possono unirsi a questo esercizio ed essere così santificate in modo speciale con l’offerta192. La tra-sformazione della vita in preghiera, poiché di valore generale, include evidentemente anche i momenti poco piacevoli193. Final-

187 Piccolo catechismo, 56; Corso sistematico, 79; «La vita», 286.188 Piccolo catechismo, 56-57; «La vita», 286.189 Orizzonti, 51.190 Piccolo catechismo, 56. In questo senso vedi più ampiamente Corso

sistematico, 83-84.191 Vedi Orizzonti, 56. Sulla natura e uso dei sollievi naturali cf Corso

sistematico, 84-87.192 Piccolo catechismo, 61-62. «Si comprende allora il significato della bella

tradizione cristiana di benedire la mensa, come pure dell’offerta a Dio del riposo la sera prima di coricarsi, o del pensiero rivolto a Lui al mattino al primo risveglio. Abitudini sante e tutt’altro che puerili. Ridotte a gesti meccanici, sono di poco o nessun valore; animate da vero spirito interiore, hanno il potere di santificare ogni azione e di mantenere il cuore e lo sguardo rivolti al Signore» (Orizzonti, 56).

193 Infatti, l’offerta dei sacrifici può trasformare anche le nostre sofferenze, le difficoltà e i dispiaceri in tanti atti d’amore a Dio come ci insegna eloquentemente l’esempio di santa Teresa del Bambino Gesù (cf «Esortazioni alle religiose», 257-258).

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mente tutta la nostra giornata e tutto il tempo di cui disponiamo potranno così essere trasformati in preghiera.

E questo esercizio permanente, lungi dal renderci estranei a tutto ciò che è umano, ci «renderà più solleciti nel compiere la sua volontà espressa dal dovere, più premurosi e generosi nella carità fraterna»194.

La presenza di Dio

Per dissipare equivoci bisogna mettere in chiaro che la pre-senza di Dio che si cerca non è quella “oggettiva”, ma quella “soggettiva” che presuppone la sua conoscenza e si fonda su di essa come sua applicazione nella vita personale195. Infatti, perché la presenza di Dio possa essere un ideale efficace e fecondo, è necessario che l’anima ne abbia un concetto chiaro196 e concre-tamente che sappia che Dio è presente non solo in ogni luogo ma anche dentro di lei197, in modo che possa cercare di convivere con Lui.

In tutto ci sono tre modi di praticare la presenza di Dio a seconda di come si fa la rappresentazione198:

194 Orizzonti, 54.195 La presenza di Dio, 147-148.196 In proposito P. Gabriele si lamenta della confusione e dell’ignoranza

di questa verità, adducendo anche l’esperienza personale e quella di S. Teresa di Gesù, e ne indica la causa in una formazione manchevole dall’infanzia (La presenza di Dio, 146-150).

197 Si distingue una triplice presenza di Dio «oggettiva» nell’anima: «la prima assolutamente comune a tutte» le anime, che si chiama presenza d’immensità; «la seconda che si realizza in ogni anima in grazia di Dio», detta presenza d’inabitazione e «la terza che appartiene alla vita mistica» e si chiama presenza mistica (cf ibid.,150; sulle tre forme di presenza vedi più diffusamente ibid., 150-161).

198 Corso sistematico, 79; Piccolo catechismo, 57-60.

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1. Quando si fa con l’aiuto diretto degli oggetti esterni o del loro ricordo per elevare il pensiero a Dio si chiama esterna199.

2. Quando si adopera l’immaginazione per rappresentarsi e comunicare con il Signore, la Madonna, gli angeli o i Santi, si dice immaginaria ed ha una giustificazione spirituale.

3. Infine, quando ci si serve di un pensiero di fede espresso da un concetto parliamo di una presenza intellettuale200.

Insieme con quest’opera, che sarà svolta dall’intelligenza, abbiamo anche le piccole pratiche adeguate per alimentare in maniera appropriata l’affetto, tipo «le giaculatorie, gli atti ana-gogici, le pie aspirazioni, etc.»201.

Il criterio fondamentale per scegliere la forma in cui praticheremo la presenza di Dio è la libertà regolata secondo quello che ci indica il buon senso (l’indole, le circostanze) e l’e-sperienza202. Tutte queste forme, infatti, sono perfettamente le-gittime perché si basano su «verità oggettive»203, e la migliore è quella che personalmente è più proficua204.

Visto in una prospettiva più ampia, l’impegno di instau-rare un’orazione continua, per essere fruttuoso, dovrà riflettere in certo modo la personalità di ciascuno. Ugualmente, questo sforzo individuale dovrà essere pure ininterrotto e come tale, stando ai termini del nostro autore, potrebbe essere denominato

199 S. Teresa del Bambino Gesù si aiutava così con il Crocifisso della sua professione religiosa che teneva sempre vicino a sé (Orizzonti, 52).

200 S. Teresa Margherita del Cuore di Gesù si aiutava con il pensiero della presenza di Gesù Sacramentato nel suo monastero; la beata Elisabetta della Trinità invece «viveva continuamente alla presenza della SS. Trinità» (ibid., 52-53).

201 Corso sistematico, 79; Piccolo catechismo, 56-57.202 Piccolo catechismo, 60-61; Corso sistematico, 79. Lo stesso vale anche per

il soggetto (Orizzonti, 51).203 Orizzonti, 52.204 Ibid., 54.

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anche come pietà205. Per raggiungere tale disposizione interiore certamente sarà di grande aiuto la formazione di un’abitudine di preghiera mentale206.

Le distrazioni

L’orazione mentale ha anche le sue difficoltà, che si mani-festano in correlazione con le due facoltà principali che la gene-rano: nell’ambito della volontà abbiamo così l’aridità, e in quello dell’intelligenza le distrazioni207.

Le tratteremo separatamente cominciando dalle ultime.Una prima forma di disturbo intellettuale, abbastanza fre-

quente, è la difficoltà a fissare l’attenzione, che può essere tanto passeggera quanto durevole, a seconda che sia dovuta al tempe-ramento o alla stanchezza208. I mezzi raccomandati per combat-terla sono: la preghiera vocale accompagnata dalla riflessione, la lettura meditata o un’immagine adeguata209. In ogni caso aiuta molto farsi un’abitudine positiva di raccoglimento al principio dell’orazione mentale210, anche se questo dovrà esigere un po’ di

205 P. Gabriele, infatti, definisce la pietà come la vita di preghiera e nello stesso tempo «un atteggiamento durevole che permane nell’anima al di là delle ore di preghiera e quindi l’accompagna dappertutto» («Le caratteristiche», 398). Ossia, detto in altre parole: «Vita di preghiera, slancio verso il Signore, spiritualità: sono, più o meno, tutte cose che s’identificano» (ibid.).

206 Il nostro scrittore non manca di risaltare l’importanza di tale abitudine: vedi per es. «Esortazioni alle religiose», 256.

207 «La vita», 286; «Piccolo catechismo della vita spirituale», 362; Corso sistematico, 76-77.

208 Corso sistematico, 77.209 Questi mezzi, come fa notare P. Gabriele, sono consigliati da santa

Teresa (Corso sistematico, 77) e sembra che siano gli stessi dei quali parla per mantenere la presenza di Dio.

210 Cammino, XXIV, 6; cit. in La via dell’orazione, 135.

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violenza da parte nostra211, perché pure quando ci si presente-ranno le distrazioni, sarà più facile raccogliersi di nuovo212.

La distrazione invece propriamente significa l’intromis-sione «nella mente dei pensieri incompatibili con l’orazione»213, sia che siano estranei, sia che siano direttamente contrari214. Essa si distingue in volontaria e involontaria, secondo l’atteggiamento assunto dinanzi al pensiero inopportuno. Nel caso della distra-zione volontaria esso s’introduce deliberatamente, o semplice-mente vi si acconsente e lo si segue, il che lo rende moralmente colpevole215. Se questo succede senza un motivo sufficiente, l’a-nima compie un’irriverenza verso Dio; il che permette di parlare d’infedeltà piuttosto che di pura difficoltà216.

Le distrazioni involontarie possono essere o esterne, che provengono dalle impressioni sensibili che ci forniscono i sensi, o interne, dovute alle tendenze profonde della nostra natura, «che richiamano spontaneamente alla memoria le cose che amiamo e quelle che temiamo»217. I rimedi son diversi nei due casi, perché mentre le distrazioni esterne si possono evitare abbastanza bene,

211 La via dell’orazione, 149; cit. in Cammino, XXVI, 8. Che non sia sempre una cosa facile lo testimonia anche santa Teresa d’Avila: «Per più anni ho sofferto anch’io il tormento di non potermi fermare su nessun soggetto e so che è molto penoso» (Cammino, XXVI, 2; cit. in ibid.,147).

212 Ibid., 148.213 Corso sistematico, 77.214 Piccolo catechismo, 45.215 Corso sistematico, 77. Di questo gruppo fanno parte evidentemente

anche quelle dovute alla pigrizia nel raccogliersi di cui parla S. Teresa d’Avila (Cammino, XXIV, 6; cit. in La via dell’orazione, 135).

216 Piccolo catechismo, 46.217 Corso sistematico, 77. Secondo la loro causa, P. Gabriele chiama anche

quelle esterne «occasionali» e quelle interne «naturali» (Piccolo catechismo, 46).

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tenendo raccolti i sensi e trovando un luogo appartato218, per quelle interne la soluzione è molto più difficile, proprio perché derivano dal profondo del nostro essere219. Per queste ultime aiuta molto concentrare deliberatamente l’attenzione cosciente, che prende il sopravvento su queste tendenze spontanee, oppure bisogna combatterle col procedere con l’intensificazione della vita spirituale220. In ogni caso, se l’anima s’impegna, quanto di-pende da lei per mantenere l’attenzione, pur provando dolore, questo stato involontario anziché nocivo diventa un’occasione di crescita e di merito221.

L’aridità

«Per aridità s’intende la soppressione del conforto che fa-cilmente l’anima sente, almeno per qualche tempo, dopo essersi ‘convertita’ alla vita spirituale»222 ed è accompagnata «con gran difficoltà di meditare e di esprimere affetti»223. Il conforto nasce, secondo la legge psicologica, in base alla coscienza di possedere un gran bene che s’identifica precisamente con la vita spirituale; la quale però può esistere separatamente perché non consiste in ciò224. Moralmente l’aridità è colpevole se è dovuta a noi e non lo è se dipende dalle altre cause225.

218 Perciò S. Teresa d’Avila chiede come disposizione idonea per pregare la solitudine interna ed esterna (La via dell’orazione, 134).

219 Piccolo catechismo, 47.220 Ibid., 48-49; Corso sistematico, 77.221 Piccolo catechismo, 49.222 Corso sistematico, 77.223 «La vita», 286.224 Piccolo catechismo, 50.225 Ibid., 50.

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L’aridità colpevole è causata dall’infedeltà dell’anima226 che ritorna alle creature perdendo la generosità primitiva e si può riparare ritornando al fervore e al distacco di prima227.

L’altra forma d’aridità è quella non-colpevole, indipen-dente dalla volontà umana e che, secondo la sua origine, possa essere classificata in due generi. Il primo si dà quando l’aridità è originata dalle «circostanze fisiche o morali indipendenti dall’a-nima» ai quali bisogna rispondere con la pazienza-offerta o con un impegno più forte228. Il secondo si dà quando invece l’aridità è più direttamente opera di Dio ed ha il fine di invitare l’anima a lasciare la meditazione, che ormai è impossibile, per un grado più alto d’orazione che per san Giovanni della Croce è «la con-templazione iniziale»229.

Conclusione

Ai nostri tempi è diffusa una richiesta sempre crescente della spiritualità accompagnata spesso da parte dei cattolici di un complesso d’inferiorità che li spinge a cercare fuori dalla sua fede le risposte necessarie. Padre Gabriele già nella prima metà del secolo scorso si è reso conto di questa sfida ed ha dato un contributo notevole nella rivalutazione dei tesori del patrimonio spirituale cristiano. Concretamente egli, come abbiamo avuto occasione di vedere in questo lavoro, ha dato un’esposizione molto coerente e chiara della preghiera mentale. In buona parte ciò è dettato dalla sua preoccupazione di far pervenire a tutti i

226 Specificando questa infedeltà si manifesta in «mancanza di preparazione-dissipazione-imperfezioni volontarie-peccati volontari» («La vita», 286).

227 Corso sistematico, 78; Piccolo catechismo, 50-51.228 Corso sistematico, 78; Piccolo catechismo, 51-52.229 Piccolo catechismo, 52-53; Corso sistematico, 78.

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fedeli la conoscenza integrale della dottrina sulla preghiera in modo da facilitare la sua pratica e districarsi nelle sfide concrete. Ottimo conoscitore delle fonti, in particolare quelle del suo or-dine carmelitano, sistematizza una materia ampia, rendendola attraente e facilmente divulgabile, ma senza cadere nella super-ficialità. Ha trattato in maniera esauriente il tema della medita-zione ponendo i presupposti contemporaneamente per un suo successivo e più intimo sviluppo che è quello della contempla-zione. In conclusione l’autore ci ha dato gli strumenti necessari e concreti per la messa in atto nella vita spirituale della chiamata universale alla santità cui ci invita il Vaticano II. Questa è una delle ragioni che spiega perché i suoi scritti sono ancora attuali e sono continuamente ristampati in varie lingue.