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1 L’ANTICIPATA CESSAZIONE DEL CONTRATTO DI DISTRIBUZIONE PER L’ESTERO di Pierluigi Parrini (Avvocato in Firenze) L’anticipata risoluzione di un contratto di distribuzione per l’estero può presentare delicate problematiche in relazione anche alla legge applicabile al rapporto. Questo articolo si prefigge di fornire una informativa di base sulla normativa vigente in proposito in alcuni Paesi in cui è più frequente l’utilizzo di tale contratto Anche nell’ambito dei contratti di distribuzione , come del resto in tutti i contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo, può presentarsi la necessità di porre fine al contratto in epoca anticipata rispetto alla sua naturale scadenza. Può essere al riguardo molto opportuno prevedere espressamente nel contratto apposite clausole relative alla anticipata cessazione del contratto in modo da non essere impreparati nel caso che si presenti tale necessità. Ovviamente prima di accingersi alla formulazione delle clausole di interesse dovrà farsi “ mente locale” alla legge applicabile al contratto perché è proprio in base a tale legge che le clausole stesse dovranno essere predisposte. E’ preliminarmente da ricordare che gli studiosi di diritto internazionale comparato dividono i sistemi giuridici mondiali in due grandi famiglie: gli ordinamenti di Civil law in uso nell’Europa continentale (che discendono direttamente dal diritto romano e dal Codice napoleonico) e quelli di Common law adottati nei Paesi anglofoni e in buona parte di quelli in via di sviluppo. E’ subito da tener presente che, in linea generale, la cessazione di un contratto può verificarsi o per recesso unilaterale da parte di uno dei contraenti o per risoluzione del rapporto contrattuale. Sarà quindi utile passare brevemente in rassegna la normativa in materia vigente nei principali paesi con i quali le nostre imprese possono intrattenere rapporti commerciali, per la vendita dei propri prodotti, e ciò a cominciare dal nostro. Resta però esclusa, per economia di esposizione,tutta la problematica concernente la regolamentazione in ambito UE, in materia di concorrenza, nella quale i contratti di distribuzione sono assoggettati ad una particolare disciplina.

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L’ANTICIPATA CESSAZIONE DEL CONTRATTO 

 DI DISTRIBUZIONE PER L’ESTERO 

 di Pierluigi Parrini (Avvocato in Firenze) 

 

L’anticipata  risoluzione  di  un  contratto    di 

distribuzione  per  l’estero  può  presentare 

delicate  problematiche  in  relazione  anche  alla 

legge applicabile al rapporto. 

Questo  articolo  si  prefigge  di  fornire  una 

informativa  di  base  sulla  normativa  vigente  in 

proposito in alcuni  Paesi in cui  è più frequente 

l’utilizzo di tale contratto 

 

 

Anche nell’ambito dei contratti di distribuzione , come del resto in tutti i contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo, può presentarsi la necessità di porre fine al contratto in epoca anticipata rispetto alla sua naturale scadenza.

Può essere al riguardo molto opportuno prevedere espressamente nel contratto apposite clausole relative alla anticipata cessazione del contratto in modo da non essere impreparati nel caso che si presenti tale necessità.

Ovviamente prima di accingersi alla formulazione delle clausole di interesse dovrà farsi “ mente locale” alla legge applicabile al contratto perché è proprio in base a tale legge che le clausole stesse dovranno essere predisposte.

E’ preliminarmente da ricordare che gli studiosi di diritto internazionale comparato dividono i sistemi giuridici mondiali in due grandi famiglie: gli ordinamenti di Civil law in uso nell’Europa continentale (che discendono direttamente dal diritto romano e dal Codice napoleonico) e quelli di Common law adottati nei Paesi anglofoni e in buona parte di quelli in via di sviluppo.

E’ subito da tener presente che, in linea generale, la cessazione di un contratto può verificarsi o per recesso unilaterale da parte di uno dei contraenti o per risoluzione del rapporto contrattuale.

Sarà quindi utile passare brevemente in rassegna la normativa in materia vigente nei principali paesi con i quali le nostre imprese possono intrattenere rapporti commerciali, per la vendita dei propri prodotti, e ciò a cominciare dal nostro.

Resta però esclusa, per economia di esposizione,tutta la problematica concernente la regolamentazione in ambito UE, in materia di concorrenza, nella quale i contratti di distribuzione sono assoggettati ad una particolare disciplina.

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LA NORMATIVA ITALIANA

E’ subito da premettere che nel nostro ordinamento giuridico il contratto di distribuzione è una

fattispecie atipica , priva cioè di una specifica disciplina legislativa per cui dovrà farsi riferimento

alle disposizioni codicistiche che regolano i contratti in generale.

La cessazione del contratto a seguito di recesso unilaterale

Per quanto riguarda il nostro ordinamento il recesso ( disciplinato dal nostro codice civile dagli art, 1373) è costituito dal diritto di sciogliersi da un precedente vincolo contrattuale mediante una dichiarazione unilaterale di volontà comunicata alla controparte.

Il recesso può essere : legale ( se espressamente previsto dalla legge ) o convenzionale ( quando sia contrattualmente previsto mediante una apposita clausola).

Recesso legale

In taluni casi è la legge a stabilire, a favore di una o di entrambe le parti, il diritto di recedere dal

contratto.

Il legislatore al fine di evitare la formazione di vincoli contrattuali perpetui utilizza, con riguardo ai

negozi di durata, due strumenti, il termine ed il recesso, che in questi casi può essere esercitato

anche successivamente ma non produce effetti nei confronti delle prestazioni già eseguite o in corso

di esecuzione.

Pertanto se il contratto di distribuzione è stato stipulato a tempo indeterminato può trovare

applicazione l’art. 1569 c.c., che autorizza il recesso dal contratto dando preavviso nel termine

pattuito, in quello stabilito dagli usi o, in mancanza, avuto riguardo alla natura del contratto.

Recesso convenzionale .

Tale ipotesi si verifica quando sono state le stesse parti a prevedere tale possibilità;

Nella prassi contrattuale possono rinvenirsi due forme di recesso:

a) il recesso con preavviso che può essere esercitato dal concedente in presenza di determinate

circostanze espressamente previste nel contratto quali, ad esempi, i casi di fusione ,

incorporazione, modificazione del tipo sociale o della compagine sociale del

concessionario;

b) il recesso senza preavviso ;in tale ipotesi la relativa clausola contrattuale normalmente

utilizzata prevede che ciascuna parte possa recedere dal contratto senza darne preavviso

mediante dichiarazione da comunicare all’altra parte, a mezzo di lettera raccomandata con

avviso di ricevimento , in caso di insolvenza, fallimento e sottoposizione a procedure

concorsuali. Peraltro, a maggior tutela del concessionario potrà essere inserita nella clasuola

di interesse la facoltà dello stesso di recedre dal contratto senza preavviso, con le medesime

modalità,in caso di messa in liquidazione del concessionae o di sottoposizione dello stesso a

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sequestri da parte di creditori o da pubbliche autorità.L’esercizio di tale facoltà può al

riguardo rafforzare la tutela del concessionario sotto il profilo del diritto di credito

permettendo allo stesso di sottrarsi all’evasione degli ordini del concessionario e di

provocare lo sciogliemento del rapporto contrattuale prima che si verifichino inadempimenti

all’obbligo di pagamento del prezzo.

La cessazione del contratto per risoluzione

Con il termine risoluzione si indica lo scioglimento del vincolo contrattuale per fatti che si siano

verificati successivamente alla conclusione del contratto;essa può verificarsi a seguito di : -

- inadempimento;

- impossibilità sopravvenuta della prestazione;

- eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.

In relazione ai tre casi sopra indicati ci soffermiamo, per economia di esposizione, solo all’ipotesi di

inadempimento che ha più diffusa ricorrenza nell’operatività commerciale.

La risoluzione per inadempimento può verificarsi a seguito della mancata esecuzione di una

obbligazione , oppure da una esecuzione inesatta, tardiva o parziale con l’avvertenza però che

l’inadempimento stesso sia di non scarsa importanza occorrendo , al riguardo, che esso sia tale da

non rendere più giustificata la controprestazione dovuta dall’altra parte.

La risoluzione per inadempimento può verificarsi o a seguito di una pronuncia giudiziaria oppure di

diritto.

La risoluzione giudiziale per inadempimento

Per quanto concerne la risoluzione “ giudiziale” se una delle parti di un contratto a prestazioni

corrispettive non adempie la propria obbligazione il nostro ordinamento consente all’altra le seguenti

due facoltà:

a) agire in giudizio per l’adempimento, chiedendo al giudice di condannare l’inadempiente ad

eseguire la prestazione mancata (e offrendosi di eseguire la propria se non ancora l’ha eseguita)

restando tuttavia aperta la facoltà di richiedere, in difetto, la risoluzione del contratto. In tal caso

la sentenza che accolga la domanda di risoluzione ha carattere “ costitutivo” nel senso che la

stessa produce l’effetto di creare, modificare , estinguere una precedente situazione giuridica.

b) agire in giudizio per la risoluzione del contratto con richiesta di esonero dall’eseguire la propria

prestazione o, nell’ipotesi che essa sia stata già eseguita, con domanda che venga dichiarata,

oltre alla risoluzione del contratto anche la condanna della parte convenuta alla restituzione di

quanto ricevuto.

c) E’ al riguardo da avvertire che una volta chiesta la risoluzione, non potrà essere avanzata

domanda di adempimento, né la controparte potrà più adempiere alla propria obbligazione.

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La risoluzione di diritto

La risoluzione di diritto per inadempimento si produce automaticamente senza necessità di ricorrere

ad una pronuncia giudiziale. Ciò non toglie tuttavia che le parti , in caso di contestazioni, possano

adire l’Autorità Giudiziaria; in tal caso la pronuncia non avrà carattere costitutivo ma si limiterà ad

accertare se la risoluzione si sia o meno verificata.

I casi di risoluzione di diritto, espressamente regolati dal nostro Codice Civile, sono tre:

a) la diffida ad adempiere che consiste nella intimazione scritta compiuta dalla parte adempiente,

con l’assegnazione di un termine (di almeno 15 giorni) entro cui l’inadempiente deve eseguire la

propria prestazione.

Trascorso tale termine, il contratto si intende risolto di diritto, senza la necessità di rivolgersi al

giudice.

b) la clausola risolutiva espressa, consistente in una apposita pattuizione che viene inserita nel

contratto con la quale le parti espressamente convengono che se una di esse non eseguirà una delle

obbligazioni del contratto, questo si risolverà di diritto L’effetto risolutivo è però subordinato alla

dichiarazione della parte adempiente nei confronti dell’altra che essa intende valersi della clausola

risolutiva; sarà, perciò, questa dichiarazione a provocare la risoluzione del contratto con effetti

retroattivi fra le parti;

d) il termine essenziale che consiste nella previsione nel contratto di un

un termine per l’adempimento, scaduto il quale il contratto è risolto di diritto, se la parte

interessata, entro 3 giorni dalla scadenza del termine, non comunica alla controparte che intende

ugualmente esigere la prestazione, anche se tardiva.

Le specifiche clausole di anticipata risoluzione del contratto

In relazione alla disciplina di ordine generale sopra delineata è assai opportuno inserire nel contratto

di distribuzione specifiche pattuizioni che regolino l’ipotesi di anticipata risoluzione del contratto .

Al riguardo nella prassi contrattuale vengono utilizzate due distinte clausole, l’una concernente la

risoluzione senza preavviso e l’altra relativa alla risoluzione con preavviso.

La risoluzione anticipata senza preavviso si fonda su inadempimenti di gravità tale da non consentire

la prosecuzione anche temporanea del rapporto dalla quale consegue la possibilità di porre fine al

rapporto con effetto immediato e dunque senza preavviso.

Al riguardo, al fine di evitare incertezze interpretative è assai opportuno indicare nella clausola

contrattuale l’elencazione delle singole ipotesi degli specifici casi di inadempimento che giustificano

la risoluzione per giusta causa, sia per quanto concerne il concedente sia per quanto concerne il

concessionario e ciò in relazione all’importanza che le parti annettono all’adempimento dei

particolari obblighi previsti dal contratto.

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La risoluzione del contratto con preavviso concerne invece i casi di inadempimento che non siano

suscettibili di integrare di per sé l’ipotesi di giusta causa ma che pur tuttavia possano essere

soggettivamente ritenuti dalle parti tali da giustificare la risoluzione del contratto in relazione

all’economia del contratto considerata nella sua globalità o all’interesse della parte che si aspetta

l’adempimento.

In tale ottica viene utilizzata, nella prassi contrattuale, una apposita clausola che contempla la

risoluzione del contratto, mediante preavviso scritto, con espressa indicazione delle specifiche ipotesi

di inadempimento , sia per quanto concerne il concedente che il concessionario, e contenente anche

la comminatoria che, se entro il termine pattuito la parte inadempiente non rimedi all’inadempimento,

il contratto sarà considerato come risolto.

Tale intimazione costituisce l’ipotesi di diffida ad adempiere prevista dall’art. 1454 del nostro

codice civile i cui effetti sono già stati in precedenza delineati.

LA NORMATIVA FRANCESE

In Francia il diritto di recesso nei contratti commerciali è espressamente regolato negli artt. L. 442-

6 del Codice del Commercio e 1134 e 1135 del Codice Civile,

La disciplina in materia contempla due diverse ipotesi alle quali cui corrispondono due distinti

regimi di azione : da una parte, il recesso abusivo che protegge i contraenti da comportamenti

dannosi arrecati dalla controparte al momento del recesso stesso . Tale fonte di responsabilità è

fondata sull’obbligo di buona fede nell’esecuzione del contratto.

Dall’altra parte, il recesso “brutale” dalla relazione commerciale “stabile”, che riguarda il

risarcimento spettante alla parte economicamente debole, nel caso in cui tale recesso avvenga in

modo tale da non permettere al contraente di riorganizzarsi per fronteggiare la conseguente

mancanza di fatturato.

Sotto profilo di ordine generale è consentito a ciascuna delle parti il diritto di recedere dal

contratto, ossia il diritto di liberarsi unilateralmente dalle obbligazioni assunte in forza del contratto

medesimo.

Questo diritto è legittimamente esercitabile, salvo che la parte recedente non lo abbia esercitato,

violando le prescrizioni che la legge impone ai fini del suo esercizio, nel qual caso sarà ovviamente

fonte di responsabilità contrattuale per la parte medesima.

Sebbene parte della giurisprudenza richieda, ai fini dell’esercizio del diritto di recesso, la

sussistenza di una giusta causa, l’orientamento giurisprudenziale prevalente non impone al

contraente che intende avvalersi di tale diritto di indicarne i motivi, siano essi gravi o meno, che lo

hanno indotto a recedere dal contratto.

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In merito, anche la stessa Corte di Cassazione ha del resto chiarito che la valutazione da parte del

giudice circa la legittimità o meno del diritto di recesso esercitato da una delle parti prescinde

dall’analisi delle motivazioni che hanno indotto la stessa ad avvalersi di detta facoltà.

Fermo restando quanto sopra, vi sono tuttavia dei casi in cui la sussistenza di una giusta causa

diventa un elemento determinante ai fini del legittimo esercizio del diritto di recesso. Più

precisamente, si tratta di quei casi in cui il recesso viene esercitato “tout court”, ossia senza

concedere all’altra parte un termine di preavviso, per una causa di forza maggiore ovvero a fronte

del grave inadempimento dell’altra parte

In tutti questi casi, quindi, i motivi che hanno indotto una parte ad avvalersi della facoltà di recesso

devono essere indicati, non tanto a fini giustificativi dell’atto di recedere di per sé ma per

legittimarne le particolari modalità (assenza di preavviso..).

Il recesso abusivo

Il recesso si considera abusivo qualora la parte che si è avvalsa di detta facoltà abbia agito in mala

fede.

In particolare, sono stati ritenuti abusivi tutti quei comportamenti che mirano a nuocere in modo

“anormale” al contraente vittima del recesso e a pregiudicare l’attività commerciale di quest’ultimo.

E così, ad esempio, sono considerati recessi abusivi:

- il rifiuto di sospendere l’applicazione di una clausola di esclusiva durante il periodo di preavviso,

ponendo al contraente delle difficoltà tali da mettere in pericolo la sua esistenza;

- l’effettuazione di ordini in misura ridotta o insignificante, durante il periodo di preavviso, in

presenza di una clausola di esclusiva che impedisce all’altro contraente di vendere i propri prodotti

a terzi;

- in concomitanza con il recesso, l’assunzione di dipendenti del contraente, mediante la concessione

di vantaggi esorbitanti per ottenere il loro consenso.

Per quanto concerne la disciplina sanzionatoria del recesso abusivo, essa trova la propria fonte

negli art.1134 e 1135 del Codice Civile francese che disciplinano l’esercizio abusivo del diritto di

recesso in generale. Più precisamente, tali disposizioni stabiliscono che i comportamenti e le

circostanze relativi al recesso di un contraente, quando provocano un danno “anormale” all’altro

contraente, originano un diritto al risarcimento.

A tale riguardo si rileva, tuttavia, che il regime sanzionatorio in tema di recesso abusivo in generale

è più restrittivo rispetto a quello previsto per i casi di relazioni commerciali stabili, in quanto è fonte

di responsabilità soltanto qualora il contraente che pretende essere stato vittima di un danno

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“anormale” riesce a dimostrare la colpa dell’altro contraente o, quanto meno, la sua “negligence

fautive”

Il recesso “brutale”.

Il recesso da una relazione commerciale stabile, anche qualora non venga esercitato in modo

abusivo, si considera comunque illegittimo e, come tale, fonte di responsabilità, qualora venga

esercitato in modo improvviso ed imprevedibile.

La norma, disciplinata dall’articolo 442-6 del Codice di Commercio francese, trova applicazione,

come già anticipato, qualora il contratto sia disciplinato dal diritto francese.

E’ utile precisare che secondo parte della dottrina, la normativa in questione troverebbe invece

applicazione anche qualora il contratto non fosse disciplinato dal diritto francese.

Una simile interpretazione, tuttavia, impedirebbe ai contraenti stranieri e, cioè, di nazionalità non

francese, di sottrarsi agli obblighi previsti dalle predette disposizioni, scegliendo l’applicazione di

un diritto straniero. Infatti, in tale ipotesi, l’azione di risarcimento del danno, stante la sua

autonomia processuale rispetto al contratto cui è riferita, potrebbe essere proposta innanzi un

tribunale francese malgrado l’eventuale pendenza in giudizio di altre azioni contrattuali innanzi il

tribunale italiano.

Il recesso di una parte si considera quindi “brutale” qualora il contraente vittima del recesso, a

causa del comportamento della parte recedente, non abbia in alcun modo potuto prevedere la

volontà di quest’ultima di interrompere le relazioni contrattuali ovvero qualora la parte recedente

non abbia concesso all’altra parte un termine di preavviso sufficiente.

Per quanto concerne le modalità di notifica del recesso, in alcuni casi i giudici, oltre ad avere

ovviamente imposto il rispetto delle relative clausole contrattuali, hanno altresì imposto che il

recesso venisse notificato a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. In assenza di

pronunce giurisprudenziali che permettano di individuare i casi in cui i giudici possano ritenere

necessaria tale modalità di notificazione, si consiglia comunque di rispettarla in ogni caso.

Per quanto riguarda, infine, il contenuto della lettera di recesso, essa dovrà indicare la durata del

termine di preavviso e, nel caso in cui si tratti di un recesso senza preavviso, i motivi che hanno

indotto la parte a recedere dal contratto.

Potrà ora essere utile fornire alcune indicazioni in merito ai criteri cui i tribunali francesi si sono

attenuti per determinare la sussistenza di un “ recesso brutale”.

Innanzitutto i giudici tengono conto delle clausole contrattuali relative alla durata del contratto ed agli

eventuali obiettivi che le parti contrattuali si sono prefissate.

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Il recesso da un contratto dovrà, cioè, considerarsi inaspettato qualora, la particolare natura dell’affare faccia

presumere una certa durata, oppure qualora una delle parti receda dal contratto sebbene gli obbiettivi ivi

prefissati non siano ancora stati raggiunti.

Notevole rilevanza assumono anche gli eventuali comportamenti colposi del contraente in quanto

le comunicazioni tra le parti contraenti costituiscono un altro elemento importante al fine di determinare

l’illegittimità del recesso.

Possono al riguardo essere citati , a titolo esemplificativo :

non aver informato il contraente vittima del recesso di una riorganizzazione della propria rete di

distribuzione o di una sussistenza di difficoltà tali da comportare l’arresto totale o parziale degli ordini, sono

fatti omissivi di un dovere di informazione; una loro tempestiva comunicazione, infatti, avrebbe consentito al

contraente di riorganizzarsi in previsione di tale evoluzione negativa.

Sempre a titolo esemplificativo, l’avere indotto nell’altro contraente un ragionevole affidamento circa il

rinnovo del contratto in prossimità del recesso.

Può assumere grande rilievo anche l’importanza degli investimenti realizzati per l’esecuzione del

contratto:, difatti sarà considerato “brutale” il recesso che interviene poco dopo che il contraente abbia

effettuato, in previsione espressa dell’esecuzione del contratto, degli investimenti importanti, su richiesta del

contraente.

Al contrario questo criterio non ha invece alcuna valenza qualora il contraente abbia effettuato di propria

scelta degli investimenti non resi necessari dall’esecuzione del contratto, e soprattutto non richiesti

espressamente dal suo cliente. Questa distinzione deve condurre ad una certa prudenza da parte del

contraente al momento della conclusione del contratto, nel definire con precisione quali siano gli

investimenti resi necessari dall’esecuzione del contratto e richiesti dal contraente.

Nella giurisprudenza francese sono stati anche individuati i comportamenti di natura tale da escludere la

qualificazione di recesso colposo talchè ne è consigliata l’adozione qualora un soggetto italiano intenda

recedere da un contratto commerciale stipulato con un contraente francese e assoggettato alla legge della

controparte.

Ecco alcune delle ipotesi di interesse:

- contestazioni scritte relative all’inadempimento totale o parziale delle obbligazioni derivanti dal contratto,

se dimostrabili;

- diffide relative agli inadempimenti di cui sopra, qualora il contraente non vi abbia rimediato;

- cooperazione con il contraente al compimento di riflessioni sulla riorganizzazione della rete di

distribuzione;

- l’avvenuta comunicazione alla controparte, in tempi utili, della sussistenza di difficoltà ovvero della

necessità di modificare le proprie esigenze contrattuali;

Oltre a tali azioni per così dire “preventive”, vi sono poi altri comportamenti successivi all’esercizio del

diritto di recesso che hanno parimenti l’effetto di escludere la colpa della parte recedente o anche solo di

diminuirla. Ciò accade, ad esempio, quando la parte che ha esercitato il recesso:

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- aiuti l’altro contraente a riorganizzare la propria attività commerciale, sebbene tale comportamento, salva

la sussistenza di previsioni contrattuali in tal senso, non costituisca un obbligo per la parte recedente.

- rispetti le previsioni contrattuali relative al periodo di preavviso (ripresa delle merci in magazzino, ecc).

Il recesso parziale

Le disposizioni del Codice del Commercio, contemplano espressamente anche l’ipotesi di recesso parziale,

che si verifica nel caso in cui una parte diminuisca il proprio volume di ordini ovvero cessi gli ordini relativi

ad un determinato prodotto o ad una determinata gamma di prodotti o, ancora, non rinnovi il volume degli

ordini precedenti (si pensi, ad esempio, agli ordini stagionali che vengono rinnovati di anno in anno).

Al riguardo il recesso parziale può essere legittimamente esercitato resta qualora il contratto imponga un

quantitativo minimo di ordini ovvero, anche in assenza di una simile previsione, se la relazione commerciale

si è comunque stabilita sulla base di ordini regolari e di quantitativi minimi.

La durata del preavviso

L’illegittimità del recesso oltre ad altro, può essere determinata anche dal mancato rispetto del

termine di preavviso ovvero dalla concessione di un termine insufficiente.

A tale riguardo, si rileva tuttavia che anche il rispetto del termine di preavviso contrattualmente

pattuito può determinare l’illegittimità del recesso e, come tale, obbligare la parte recedente a

risarcire i danni alla parte vittima del recesso, qualora, in considerazione della natura del contratto o

della sua durata, il termine di preavviso non fosse comunque considerato congruo dal tribunale.

Per quanto concerne la data di decorrenza del preavviso, essa coincide con la data di notifica del

recesso e, precisamente, con la data di ricezione da parte dell’altro contraente della relativa

comunicazione.

Circa la durata minima del preavviso, la legge non fornisce invece alcuna indicazione al riguardo

né detta i criteri volti a definire tale durata in modo preciso. In assenza, quindi, di una indicazione al

riguardo nonché di pronunce giurisprudenziali idonee a quantificare la durata congrua di detto

termine, è cura del giudice stabilire, caso per caso, il termine minimo che la parte recedente avrebbe

dovuto concedere all’altra parte per permettere alla stessa di riorganizzare la propria attività

commerciale.

Al fine di determinare la durata del preavviso i giudici sono soliti avvalersi dei seguenti criteri:

durata della relazione contrattuale; investimenti realizzati e/o ancora in corso; valore del fatturato

ed eventuale aumento dello stesso; sussistenza di una clausola contrattuale di esclusiva; esistenza di

una situazione di dipendenza economica dell’altra parte ed eventuale possibilità di sostituire

l’attività, ovvero il contraente recedente.

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I rimedi apprestati nell’ipotesi di recesso brutale

Nel caso che una parte effettui una rottura brutale totale oppure parziale di un rapporto contrattuale,

l’altra parte avrà la possibilità di richiedere al tribunale competente :

la continuazione della relazione stabilita oppure un risarcimento danno

La ripresa della relazione interrotta potrà essere richiesta al Giudice “di référé” che adotterà una

procedura d’urgenza.

La domanda di risarcimento danno deve essere proposta al tribunale che adotterà una procedura

ordinaria. La parte lesa potrà richiedere un risarcimento del danno di entità equivalente al profitto

lordo che avrebbe potuto conseguire per tutto il periodo del mancato preavviso

Tale azione viene considerata dalla suprema Corte francese di natura extra contrattuale, di

conseguenza e salvo eccezione e valida clausola ad hoc, il foro competente sarà quello della parte

che adduce di aver subìto il recesso brutale.

Inoltre precisiamo che durante tale azione legale, il Ministro dell'Economia e il pubblico

ministero può chiedere al giudice di ordinare la cessazione del comportamento lesivo. Può anche

essere richiesta che sia pronunciata la nullità di clausole o contratti illegali con risarcimenti dei

danni , la condanna ad una sanzione civile, per un importo di non oltre 2 milioni di euro, nonche la

condanna al risarcimento dei danni.

Sotto il profilo processuale sarà onere della parte che si è avvalsa del recesso fornire la prova

delle circostanze che giustificano il recesso stesso.

Il giudice può ordinare la pubblicazione, divulgazione o la visualizzazione (manifesto - poster) della

decisione o di un suo estratto a carico e costi del condannato.

E’ infine da rilevare che l’articolo L 442-6 del codice di commercio francese è di ordine pubblico;

di conseguenza si applica automaticamente nonostante eventuali patti contrari.

LA NORMATIVA TEDESCA

E’ preliminarmente da rilevare che nell’ordinamento giuridico tedesco il contratto di distribuzione

non ha una sua specifica regolamentazione; si tratta quindi di un contratto atipico (o «contratto

innominato», «Innominatvertrag»),per il quale, potrebbero trovare applicazione le disposizioni

generali in materia di contratto contenute nel codice civile tedesco.

E’ pero da avvertire che in Germania la giurisprudenza più recente tende ad applicare in via

analogica, al contratto di concessione di vendita e, in particolare al concessionario, le norme

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dettate per la diversa figura dell'agente di commercio che sono contenute nel codice di commercio

(Handelsgesetzbuch, HGB ), nei §§ 84-92c HGB.

Come è intuibile i nodi possono “ venire al pettine” al momento della cessazione del contratto di

distribuzione e, in particolare, quando il contratto di distribuzione cessi per iniziativa del

concedente.

L’indennità di fine rapporto

In questa ipotesi sussiste il diritto del distributore di ottenere l’indennità di fine rapporto, fatta salva

l’applicazione del § 89, terzo comma, n. 2 del HGB nel quale è tuttavia disposto che la pretesa non

è dovuta quando il preponente risolve il rapporto contrattuale per un importante motivo ascrivibile

al comportamento

colpevole dell’agente.

Peraltro il diritto del distributore di ottenere l’indennità di fine rapporto sussiste anche quando il

contratto venga risolto consensualmente in quanto la giurisprudenza ritiene che l’accordo dei

contraenti con il quale si pone fine al rapporto non osti al riconoscimento di detto emolumento.

Nessun problema sembra però esistere nel caso in cui il contratto di distribuzione venga risolto

per iniziativa del distributore in quanto il § 89b terzo comma n. 1 HGB stabilisce che questo tipo

di pretesa non sussiste quando è stato l’agente che ha disdettato il rapporto contrattuale, a meno

che il comportamento posto in essere dal preponente abbia dato causa in modo fondato a tale

disdetta.

Ciò considerato è tuttavia da rilevare che il presupposto in base al quale il distributore potrebbe

legittimamente avanzare la richiesta di una indennità di fine rapporto è in sostanza costituito dalla

circostanza che il distributore stesso sia profondamente inserito nella rete di vendita dal produttore.

E ciò in relazione all’esistenza nel contratto di particolari clausole che evidenzino un effettivo

inserimento nel sistema distributivo dell’impresa con caratteri tali dai quali si possa desumere

,sotto il profilo economico che al distributore sono stati contrattualmente assegnati compiti simili a

quelli dell’agente di commercio.

La giurisprudenza tedesca

Da un esame della giurisprudenza tedesca in materia si possono trarre le circostanze indicative

degli elementi di fatto che integrano le ipotesi di una effettiva integrazione del distributore nella rete

di vendita del produttore concedente.

A titolo meramente esemplificativo, ma non esaustivo,l’integrazione in parola può essere desunta,

sotto il profilo giuridico,dalle seguenti particolari clausole eventualmente inserite nel contratto di

distribuzione:

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- la clausola che imponga al concessionario l’obbligo di seguire le direttive del produttore

in merito alle strategie di vendita (per esempio stabilendo i prezzi) indice, questo,che il

rapporto contrattuale è assimilabile a quello intercorrente con un agente;

- la previsione di un’esclusiva che obblighi il concessionario a comprare solo dal produttore

indice di una particolare integrazione commerciale fra i due partner contrattuali;

- l’utilizzo da parte del concessionario del marchio dell’impresa concedente ;

- l’obbligo del distributore di acquistare determinati quantitativi di merce dal

produttore;

- l’espresso divieto imposto al concessionario di svolgere attività concorrenziale nei

confronti del concedente.

Ciò posto è comunque da avvertire che nessuna delle circostanze sopra elencate, può costituire di

per se stessa una tassativa e decisiva equiparazione del contratto di distribuzione a quello di

agenzia commerciale trattandosi, è bene evidenziarlo, di semplici indizi di cui però il giudice

tedesco terrà conto assieme a tutti gli altri elementi valutativi di cui potrà disporre al fine di

pervenire ad una valutazione giuridicamente corretta.

I requisiti

In ogni caso, comunque, poiché la disciplina ritenuta applicabile è quella di cui all’articolo 89 b

HGB, è ovvio che per la maturazione del diritto all’indennità del concessionario dovranno

coesistere i tre requisiti previsti dalla predetta disciplina in materia di agenzia, ovvero:

a) il fatto che il concessionario abbia procurato nuovi clienti al produttore o abbia sensibilmente

sviluppato gli affari con i clienti preesistenti;

b) il fatto che per effetto della cessazione del rapporto – voluta dal concedente – il concessionario

venga a perdere i guadagni che gli sarebbero invece derivati in caso di continuazione del rapporto;

c) infine, il fatto che il pagamento dell’indennità risulti equo.

E’ infine da segnalare una clausola particolarmente insidiosa per il concedente in una eventuale

vertenza con il concessionario relativa alla richiesta di una indennità di fine rapporto.

E’ quella concernente l’obbligo, in capo al distributore di comunicare all’impresa concedente i dati

relativi ai clienti finali.

Questa trasmissione d’informazioni, consente al concedente, dopo la cessazione rapporto di

distribuzione, di beneficiare subito dei clienti del distributore, concludendo con essi nuovi contratti.

Tale circostanza potrebbe pertanto essere considerata dal giudice tedesco elemento determinante

per la concessione dell’indennità di fine rapporto che molto spesso è richiesta fino al limite

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massimo corrispondente al reddito netto medio annuale realizzato dal distributore nel corso degli

ultimi cinque anni.

Da quanto sopra rilevato emerge chiaramente come un contratto di distribuzione sottoposto alla

legge tedesca presenti aspetti alquanto delicati per cui nel caso che non sia possibile assoggettare il

contratto stesso alla legge italiana sarà quindi assolutamente necessario, per il concedente nostrano,

disciplinare l’accordo in maniera assai dettagliata cercando di evitare ogni possibile imprevisto.

LA NORMATIVA SPAGNOLA

E’ preliminarmente da rilevare che nell’ordinamento giuridico spagnolo il contratto di distribuzione

non ha una sua specifica regolamentazione; si tratta quindi di un contratto atipico ,per il quale,

potrebbero trovare applicazione le disposizioni generali in materia di contratto contenute nel codice

civile spagnolo.

Anche in Spagna, seppur in modo non uniforme, la giurisprudenza riconosce al concessionario il

diritto ad una serie di indennizzi a carattere «compensatorio» nel caso in cui il concedente possa

sfruttare a proprio vantaggio la rete di clienti sviluppata dall’ex concessionario, oppure nel caso in

cui quest’ultimo, prima della disdetta, abbia realizzato investimenti e spese non ancora am-

mortizzati.

Occorre sottolineare che il diritto del concessionario al pagamento di un equo indennizzo sorge an-

che in caso di recesso legittimo del concedente, con congruo preavviso a favore del concessionario.

E’ comunque da tener presente che ove una parte desideri risolvere il rapporto essa dovrà

concedere all’altra un congruo preavviso.

L’indennità compensativa

Nell’ipotesi in cui tale iniziativa sia attivata dal preponente egli dovrà permettere al Distributore di

ammortizzare gli investimenti, altrimenti sarà tenuto a pagare un’indennità comprensiva delle

seguenti voci:

• Spese sostenute dal Distributore per ordine del preponente.

• Indennità dovute ai dipendenti che il Distributore sarà costretto a licenziare

• Investimenti specifici del Distributore per lo svolgimento dell’attività.

• Magazzino e materiale pubblicitario

L’indennità di clientela

A tale riguardo la giurisprudenza spagnola appare orientata a condannare il preponente al

pagamento dell’indennità di clientela nel caso in cui il distributore dimostri di aver procurato nuovi

clienti con eventuali sostanziali vantaggi a favore del preponente, frutto dell’ attività

precedentemente svolta dal distributore nel corso del pregresso rapporto.

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Le sentenze di condanna in parola troverebbero fondamento nella figura giuridica concernente

l’ingiustificato arricchimento. Conviene stabilire parametri ragionevoli per determinare

oggettivamente il livello di stock, ai fini di evitare eccessive giacenze che potrebbero ritornare al

preponente dopo anni.

Eè stato peraltro rilevato l’atteggiamento di taluni distributori che, in relazione alla possibilità di far

valere in giudizio il diritto all’indennità di clientela, quando hanno sentore che la controparte voglia

pervenire alla cessazione del contratto, iniziano a omettere il pagamento delle fatture emesse dal

preponente per le vendite da esso effettuate.

E ciò allo scopo di assicurarsi “ex ante” la corresponsione dell’indennità di fine rapporto portando

in virtuale compensazione gli importi relative alle fatture emesse dal preponente a fronte della

citata indennità che i distributori stessi si aspettano come dovuta.

Le clausole contrattuali di particolare importanza

La particolare situazione sopra delineata impone ai committenti la necessità di predisporre il

contratto con particolare cura e avvedutezza .

A titolo, meramente indicativo, ma non esaustivo attiriamo l’attenzione degli operatori su alcuni “

punti” di particolare importanza:

- il contratto dovrà, ovviamente esser formulato per iscritto con indicazione degli specifici

adempimenti a carico del distributore;

- se è prevista l’esclusiva in favore del distributore dovrà essere indicato con precisione il

relativo ambito geografico come con altrettanta precisione dovranno essere indicate le

eventuali esclusioni;

- sarà opportuno stabilire parametri ragionevoli per determinare oggettivamente il livello di

stock, ai fini di evitare eccessive giacenze che potrebbero ritornare al Preponente

dopo anni;

- sarà consigliabile stabilire la facoltà per il preponente di non accogliere eventuali ordini

da parte del distributori per eventuale mancanza di disponibilità che il preponente dovrà

confermare al distributore;

- sarà opportuno determinare annualmente il volume minimo di acquisto a carico del

distributore;

- sarà conveniente definire gli investimenti di entrambe le parti e il termine di

ammortamento previsto;

- sarà consigliabile introdurre nel contratto una ipotesi di redditività prevedibile, tanto per il

preponente come per il distributore;

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- potrà infine predisporre una clausola contrattuale che obblighi il distributore a predisporre

una distinta contabilità e documentazione relativo al rapporto commerciale con il

preponente con facoltà del preponente di poterla consultare periodicamente.

LA NORMATIVA IN PORTOGALLO

Anche nell’ordinamento giuridico del Portogallo il contratto di distribuzione non ha una sua

specifica regolamentazione e rientra quindi nel novero dei contratti atipici per il quale, in linea

generale, possono trovare applicazione le disposizioni generali in materia di contratto contenute

nel codice civile portoghese.

L’applicazione analogica della normativa sul contratto di agenzia

C’è tuttavia da tener presente che la dottrina e la giurisprudenza portoghese sono

unanimi nell’estendere ,per analogia, al contratto di concessione commerciale le regole del

contratto di agenzia, per cui la disciplina giuridica è pressoché univoca per le due figure (Agenzia e

Concessione di vendita).

Pertanto in nel caso di cessazione di una contratto di distribuzione viene applicata la stessa

normativa prevista per il contratto di agenzia che prevede le seguenti ipotesi:

- risoluzione del contratto per giusta causa a seguito di inadempimento del

distributore sufficientemente grave da rendere impossibile la continuazione del

rapporto contrattuale (contraffazione, vendita prodotti concorrenti, reiterato non pagamento,

altri casi contrattualmente previsti, ecc...)

I questo caso il preponente non è tenuto a corrispondere alcun indennizzo al distributore, avendo

anzi diritto all’eventuale risarcimento per i danni subiti a seguito dell’inadempimento che é stato

causa della risoluzione per giusta causa.

- Risoluzione del contratto senza giusta causa: in questo caso è possibile recedere

dal contratto rispettando tuttavia il termine di preavviso previsto nel contratto o, in

mancanza ,il termine di preavviso previsto dalla legge .

Oltre a ciò è sempre dovuto dal Preponente al Distributore, il pagamento di un indennizzo per il

procacciamento della clientela da parte del distributore, ovvero per la creazione di un portafoglio

clienti che rimane come plusvalenza nel patrimonio del Preponente dopo la fine del rapporto

contrattuale.

L’indennizzo per il procacciamento di clientela

A tal riguardo gli artt. 33 e 34 della legge sull’agenzia applicabili per analogia ai contratti di

concessione di vendita , prevedono che alla cessazione del rapporto di agenzia, e salvo i casi in cui

la cessazione sia dovuta a colpa dell’agente distributore, ovvero per giusta causa invocata dal

concedente per grave inadempimento del concessionario, sia dovuto all’agente/distributore un

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indennizzo per la clientela procacciata, sancendo che tale indennizzo dovrà essere calcolato in via

equitativa , non potendo tuttavia eccedere il tetto massimo di un anno di remunerazione calcolato

sulla base della media degli ultimi 5 anni.

Affinchè tale indennizzo sia dovuto è necessario, ai sensi dell’art. 33 della Legge sull’ Agenzia,

che si siano simultaneamente verificati i seguenti presupposti:

A) Che durante la durata del contratto il distributore agente/concessionario

abbia procacciato nuovi clienti aumentando sostanzialmente il volume delle vendite.

B) Che Il preponente abbia considerevolmente beneficiato di un incremento della clientela a

seguito dell’attività scolta dal distributore.

C) Che il distributore non abbia beneficiato di provvigioni sulle vendite effettuate dal preponente in

dipendenza del contratto di distribuzione e allo stesso direttamente connesse a seguito dell’attività

svolta dal distributore.

É quindi presupposto necessario al fine dell'esigibilità dell'indenizzo della clientela

- che il preponente abbia conseguito un vantaggio effettivo a seguito dell’attività svolta dal

distributore o che abbia ottenuto dall'agente/distributore un portafoglio clienti

commercialmente sfruttabile

- che tale portafoglio clienti sia composto da clienti procacciati dall'agente/distributore (e non

quindi clienti preesistenti, giá anteriormente acquisiti dal preponente mediante agenti

preesistenti ) o. in ogni caso che il preponente abbia aumentato considerevolmente il

volume vendite con i clienti che già preesistevano.

- che non siano state concordate tra le parti altre forme di corrispettivo compensazione per

tale incremento di natura commerciale.

Il preavviso

Per quanto concerne il termine di preavviso l’art. 28 comma 1 punto c) della legge sul contratto di

agenzia ( applicabile anche ai contratti di distribuzione) prevede che ai contratti che durino da più

di 3 anni debba essere concesso un preavviso di 3 mesi, con l’avvertenza che, secondo quanto

previsto dal comma 2 di detto articolo, la data di cessazione del contratto dovrà

comunque coincidere con la fine del mese civile.

I criteri di determinazione dell’indennità di clientela

Per quanto concerne infine il criterio di determinazione dell’indennità di clientela la questione

presenta aspetti di notevole incertezza.

Difatti il testo legislativo sul contratto di agenzia prevede che il relativo ammontare debba essere

determinato dal giudice secondo equità con il limite massimo correlato ad un anno di

remunerazione calcolato sulla media degli ultimi 5 anni di vigenza del rapporto.

Ciò posto è però da rilevare che il contratto di distribuzione non prevede,nella prassi corrente, alcun

tipo di remunerazione fissa.

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La giurisprudenza portoghese ha però cercato di superare il problema sancendo che la

remunerazione annuale prevista dal contratto di agenzia debba corrispondere nel contratto di

distribuzione al margine di guadagno che sarebbe di spettanza del distributore a titolo di

intermediazione per le vendite effettuate dal preponente.

Relativamente alla natura giuridica , tale emolumento non viene qualificato dai tribunali

portoghesi quale “ indennizzo” , (nonostante sia questo il termine usato dalla legge) ritenendo che

si tratti di una compensazione per il vantaggio ( arricchimento) che il concedente consegue al

momento della risoluzione del contratto in relazione all’avviamento commerciale allo stesso

procurato dal distributore a seguito dell’attività dal medesimo svolta nel mercato di riferimento.

La giurisprudenza rifugge quindi dal concetto di “indennizzo” inteso quale risarcimento del danno

ma considera l’emolumento in questione quale sorta di ” premio”per la creazione di un mercato e di

un portafoglio clienti la cui corresponsione da parte del preponente è però subordinata al

presupposto che quest’ultimo tragga effettivi benefici da tale situazione.

Oltre a ciò il termine “calcolo” non è appare appropriato considerato che l’unico calcolo possibile

si riferisce al tetto massimo di un anno di remunerazione calcolato sugli ultimi 5, mentre invece la

determinazione dell’emolumento è rimessa al mero apprezzamento discrezionale del giudice in via

equitativa.

Per tali motivi l’entità del “ premio” può variare a seconda della valutazione del giudice preposto

alla valutazione del caso concreto.

I criteri di calcolo

Per il calcolo effettivo il giudice determina inizialmente la media del margine lordo di guadagno

annuale calcolato sugli ultimi 5 anni, che viene considerata quale tetto massimo; partendo da

questo valore massimo, il giudice, ricorrendo al principio equitativo, procede ad una riduzione del

relativo importo fino a determinare il valore che, a suo giudizio corrisponde a giustizia tenuto

conto dell’attività svolta dal distributore e del beneficio che il concedente ne ha conseguito.

Per tali motivi l’entità del “ premio”può variare, caso per caso, a seconda della valutazione del

giudice e a seguito della prospettazione , in sede di contraddittorio processuale, delle circostanze

addotte dalle parti in causa, rispettivamente per l’accoglimento o per la reiezione della richiesta di

pagamento del “premio” stesso.

La situazione sopra descritta impone quindi al preponente una accorta e accurata formulazione del

contratto di distribuzione al fine di evitare, in caso di controversia, la condanna al pagamento del

premio.

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LA NORMATIVA BELGA

In Belgio il contratto di distribuzione è espressamente regolato dalla legge del 27 luglio 1961

(come modificata dalla legge 13 Aprile 1971) concernente la risoluzione unilaterale dei contratti di

concessione in esclusiva a tempo indeterminato.Le disposizioni contenute in tale legge sono

inderogabili e trovano applicazione ogni qualvolta la concessione sia eseguita in tutto o in parte il

territorio belga e ciò nonostante che le parti abbiano assoggettato il contratto ad una diversa

legge.Difatti ’ art. 4 della L. 27.7.1961, prevede, al primo comma, che il distributore belga possa

sempre e comunque (quindi anche in caso di diversa previsione contrattuale) rivolgersi all’autorità

giudiziaria del suo paese per essere tutelato nel suo rapporto con il fabbricante straniero.La stessa

disposizione aggiunge poi (al secondo comma) che il giudice belga, una volta adìto dal concedente

straniero, è tenuto a risolvere la controversia applicando esclusivamente la propria legge nazionale.

Il campo di applicazione della legge

Per quanto concerne il relativo campo di applicazione esso concerne le seguenti ipotesi:

1) quando il contratto di distribuzione sia assistito da clausola di esclusiva;

2) nel caso in cui il preponente conceda al distributore, nel territorio assegnato, la vendita

della quasi totalità dei prodotti contrattuali, risultando così assorbente la circostanza che il

concessionario sia divenuto una figura “centrale” ai fini della rivendita dei prodotti

fabbricati dal concedente stesso essendo del tutto irrilevante il fatto che le parti non

abbiano previsto contrattualmente l’ esclusiva;

3) quando il contratto ponga a carico del concessionario obblighi commerciali notevolmente

onerosi e stringenti in relazione alla cui gravità il concessionario stesso possa subire un

grave pregiudizio nel caso di risoluzione del contratto.

Ciò posto è subito da rilevare che la legge belga accorda al distributore una particolare tutela volta a

evitare e prevenire in capo allo stesso il pregiudizio economico derivante da uno scioglimento del

contratto dovuto ad una decisione “improvvisa” o ingiustificata da parte del fabbricante.

La protezione legale del distributore

I capisaldi di tale protezione legale possono essere ravvisati nei seguenti:

a) diritto ad un congruo preavviso; il relativo termine non è specificato dalla legge ma è

calcolato in base ad una serie di fattori che la giurisprudenza belga ha individuato a titolo di

esempio nella durata del rapporto, nello sviluppo del fatturato, nella estensione del territorio,

nell’incidenza del fatturato reveniente dal rapporto di distribuzione rispetto al fatturato

totale del concedente, nella rinomanza del marchio e nella fungibilità del prodotto;

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b) se il contratto è risolto senza preavviso o con un preavviso non ritenuto congruo, la parte che

recede è tenuta corrispondere all’altro contraente un’indennità che è anch’essa commisurata

alle circostanze del caso concreto ovvero ai parametri in base ai quali è calcolato il termine

di preavviso; al riguardo nel caso di concessioni di lunga durata, estesi a tutto il territorio

belga e con fatturati importanti sono stati riconosciuti in capo al concessionario termini o

indennità di preavviso sino a 42 mesi.

Qualora la richiesta di risoluzione provenga dal il concedente (ma non viceversa), il

concessionario ha ugualmente diritto ad un’indennità complementare che consta di tre elementi:

a) l’indennità di clientela; essa costituisce la voce più sostanziosa la cui corresponsione è

subordinata al presupposto che il concessionario abbia apportato nuovi clienti o abbia

sostanzialmente incrementato la clientela esistente e il concedente possa trarre vantaggio

da tale apporto anche in epoca successiva;

b) l’indennità per spese che è dovuta nella misura in cui il concessionario abbia effettuato

degli investimenti che restano a profitto del concedente al termine del contratto;

c) l’indennità da licenziamento corrisponde alle indennità di fine rapporto dovute dal

concessionario ai propri dipendenti qualora lo stesso, a causa della risoluzione della

concessione, abbia dovuto licenziare tutto o parte del proprio personale.

In relazione a quanto sopra rilevato appare di tutta evidenza come il contratto di distribuzione

con controparte belga possa presentare notevoli imprevisti di natura economica; tali evenienze

potrebbero essere evitate o circoscritte attraverso un loro predeterminata quantificazione in sede

contrattuale, anche se tale espediente non presenta una assoluta sicurezza sugli evenibili oneri a

carico del preponente a seguito della cessazione del contratto.

LA NORMATIVA INGLESE

In Gran Bretagna non esiste una normativa specifica in materia di contratti di distribuzione e

quindi le parti sono,in linea generale, libere di concordare i termini e le condizioni dei propri

rapporti commerciali; entrano al riguardo in applicazione le norme del Common Law.Come noto

per Common Law si intende il sistema giuridico non codificato, sorto in Inghilterra, che si fonda su

un modello di “ precedente giurisprudenziale “ attraverso il quale i giudizi vengono emessi sulla

base di precedenti sentenze concernenti casi tra loro molto simili, consolidatisi nel tempo.Ad esso si

affianca il sistema c. d. di Equity , elaborato dalla Corte di Cancelleria a partire dal XIV secolo, che

si aggiunge al Common Law, imprimendo all’ordinamento inglese un tipico carattere duale ,ancor

oggi riscontrabile, per quanto sostanzialmente modificato dai Judicature Acts degli anni 1873-1875.

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Può verificarsi, nella pratica operativa, che il preponente non possa evitare di sottoporre il

contratto di distribuzione alla legge inglese per cui sarà utile fornire un breve inquadramento, a

titolo di mera informativa, sulle problematiche di specifico interesse relative al contratto che ci

occupa.

Dobbiamo subito premettere che il concetto di contratto secondo la common law non corrisponde

totalmente alla nozione di contratto elaborata dalla tradizione giuridica di civil law in quanto molte

fattispecie che, secondo quest'ultima, sono da considerarsi di natura contrattuale, sono invece

soggette, in common law, ad una disciplina loro propria.Nell'ordinamento inglese affinché una

promessa dia luogo ad un vincolo giuridico si richiede un specifica forma o una promessa che però

sia oggetto di scambio (consideration ).La " consideration " può essere definita come contropartita,

fornita o promessa, per ottenere l'impegno dall'altra parte; essa non costituisce il corrispettivo, nè la

causa del contratto, così come intesi nel diritto italiano.

La struttura del contratto. Terms e representations

Per quanto concerne la struttura di un contratto di common law è subito da avvertire che lo

scenario che, per così dire, ci troviamo ad affrontare si presenta, sotto il profilo concettuale, del

tutto diverso da quello che la tradizione di civil law ha elaborato.

Occorre in primo luogo distinguere, nell'ambito del contratto fra " terms " e representations".

I " terms " sono assimilabili alle nostre clausola contrattuali da contrapporsi alle " representation"

che possono essere definite come dichiarazioni effettuate durante la trattativa e prima della stipula.

In sostanza le " representations" costituiscono dichiarazioni di fatto effettuate nella citata fase

precontrattuale allo scopo di indurre la controparte a concludere il contratto.

La differenza acquista una rilevante importanza sul piano giuridico i quanto in caso di falsità dei "

terms " si produce una vera e propria violazione del contratto, mentre nell'ipotesi di erroneità delle

" representations "insorge solo una responsabilità precontrattuale.

Possiamo al riguardo anticipare che l'inesattezza del contenuto della " representation " dà luogo, nel

suo significato antitetico, alla " misrepresentation", da intendere come dichiarazione avente le

caratteristiche sopra indicate, ma che tuttavia non è veritiera

Se sotto un profilo meramente teorico la distinzione fra le due figure può essere agevolmente

compresa, dal punto di vista pratico può risultare assai difficile stabilire se una dichiarazione

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(statement ) deve ritenersi precontrattuale o inclusa nel contratto. Al riguardo viene ritenuta "

representation " l'ipotesi in cui la parte che formula la clausola suggerisce all'altra di procedere alla

relativa verifica.

Sono invece ritenute " terms ":

a) l'ipotesi in cui chi formula la clausola possiede una particolare esperienza nell'ambito dell'oggetto

del contratto rispetto all'altro contraente;

b) le ipotesi in cui la parte destinataria della clausola appalesa di attribuire grande rilevanza ad un

determinato fatto, mentre l'altra ne afferma con sicurezza che la dichiarazione corrisponde al vero. I

" terms " a loro volta si distinguono in clausole espresse ( express terms ), che possono assumere il

grado di principali, accessorie, intermedie, e clausole implicite (implied terms); le clausole espresse

sono quelle che sono state materialmente inserite nel contratto.

Nel caso in cui quest'ultimo sia stato redatto per iscritto può darsi che il testo faccia richiamo ad

altri documenti; in questo caso il documento cui si fa rinvio viene a costituire parte integrante del

complessivo testo contrattuale.

Nell’ipotesi in cui questo rinvio non sia espressamente menzionato nel contratto , sarà il giudice

che dovrà stabilire se esista o meno la connessione di cui la parte interessata intende avvalersi.

Le clausole principali e le clausole accessorie

Per clausole " principali " (denominate conditions ) si intendono quelle clausole che costituiscono

l'essenza del contratto in relazione agli scopi che le parti si prefiggono.

A seguito della violazione delle medesime, la parte che invece è adempiente può considerare il

contratto come risolto e privo di effetti obbligatori e ritenersi quindi non obbligata a qualsiasi altro

obbligo che le competa.

Per clausola accessoria ( denominata warranty ) si intende invece una clausola contrattuale che si

pone in posizione sussidiaria rispetto allo scopo del contratto.

In tal caso la sua violazione da solo titolo alla parte adempiente di richiedere il risarcimento dei

danni, ma non potrà chiedere la risoluzione del contratto.

Come ovvio il diritto a richiedere la risoluzione del contratto è lasciata alla discrezionalità della

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parte adempiente che deciderà secondo i suoi interessi. E' però da avvertire che tale facoltà deve

essere esercitata entro un tempo ragionevole, mentre d'altro canto il conseguimento degli effetti

economici derivanti dal contratto preclude di chiederne la risoluzione, in quanto tale

comportamento viene considerato in common law come implicita accettazione del contratto stesso.

In questo caso si ritiene che il mancato esercizio della facoltà di risoluzione trasformi la " condition

" in " warranty post facto ", cioè, in sostanza, in una clausola accessoria.

Per completezza è da precisare che il termine " condition" può in common law assumere anche il

significato di " condizione " così come contemplato dall'art. 1352 del nostro codice civile e cioè

come quell'evento futuro e incerto al quale le parti subordinano l'efficacia (condizione sospensiva )

o la risoluzione ( condizione risolutiva ) del contratto.

La condizione sospensiva è denominata in common law come " precedent ", mentre quella

risolutiva è denominata " subsequent ".

Per curiosità si ricorda che il termine " warranty " assume anche il significato di garanzia o

obbligazione in senso lato.

Le clausole intermedie

Nei contratti a prestazioni corrispettive si possono distinguere anche le così dette " clausole

intermedie ", la cui principale caratteristica è la relatività ,nel senso che , a seconda dell'oggetto del

contratto e di tutte le sue logiche e naturali conseguenze, esse possono assumere la qualifica di "

principali " o "accessorie", con gli effetti già visti per quanto concerne le " condiziona ".

E ciò a seconda che il mancato rispetto della clausola stessa vada ad intaccare l'essenza stessa del

contratto, oppure comporti solo un pregiudizio lieve che possa essere facilmente e rapidamente

eliminato.

Le clausole implicite

In relazione alle clausole implicite ( implied terms ) dobbiamo richiamare l'attenzione del lettore su

quanto già detto in merito alla particolare giurisdizione denominata "equity" che, come in

precedenza riferito, si formò per porre rimedio a situazioni ingiuste che la rigida applicazione della

common law poteva ingenerare.

Ebbene, è proprio grazie al contributo dell'equity che la giurisprudenza inglese ha accettato la

rilevanza giuridica delle clausole in questione da intendersi come clausole che, sebbene non

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espressamente formulate nel testo contrattuale, devono pur tuttavia ritenersi presenti nella comune

intenzione delle parti e quindi vincolanti allo stesso modo delle clausole espresse.

Al riguardo la giurisprudenza inglese ha suddiviso le clausole implicite in tre gruppi fondamentali,

dettandone le relative caratteristiche:

a) quelle che devono senz'altro ritenersi esistenti nel contratto secondo la presunta intenzione delle

parti, nel presupposto che esse siano assolutamente necessarie per conferire un senso al risultato

voluto dalle parti;

b) quelle imposte da leggi specifiche, come per esempio la classica prescrizione contenuta dal Sale

of Goods Act del 1979 secondo cui è elemento essenziale e implicito in un contratto di vendita di

merce che la cosa sia tale da giustificarne la diffusione nel mercato e che sia di ragionevole utilità

per gli scopi per i quali venne acquistata ;

c ) quelle che si presumono inserite nel contratto in forza di consuetudini relative al settore di

mercato in cui le parti contraenti operano.

E' a tal proposito da tener presente che non possono essere applicati usi e consuetudini che siano in

contrasto con le clausole espresse o con l'intento sostanziale delle parti.

Le clausole di esonero da responsabilità

Per quanto attiene all'efficacia delle clausole di esonero da responsabilità, contemplate dal nostro

codice civile negli articoli 1341 e 1342, la materia è stata regolata anche in via legislativa

dall'ordinamento inglese con l'emanazione di apposite leggi .Dobbiamo però subito avvertire che

le impostazioni di principio, seguite in questa rilevante problematica dal nostro ordinamento e da

quello inglese, si presentano assai diverse.

Difatti mentre il nostro ordinamento si ispira a criteri generali o formali, la common law , molto più

pragmatica, opera una maggiore penetrazione nella sostanza della relativa problematica.

Come noto l'art. 1341 primo comma del nostro codice civile prescrive che le condizioni generali

predisposte dall'altra parte sono efficaci nei confronti dell'altra solo se questa le abbia conosciute o

avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza,

La common law, ha elaborato più specifici e sostanziali criteri in base ai quali indagare per

individuare in quale modo la detta conoscenza debba attuarsi o se ne debba presumere l'effettiva

conoscenza. E' inoltre da osservare, per inciso, che la common law non prevede il criterio della

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specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose, ma a tale circostanza si contrappone

l'obbligo per colui che ha predisposto le clausole vessatorie di richiamare specificamente su queste

l'attenzione dell'altra parte, qualora siano state stampate in modo tale da trarre in inganno l'uomo di

affari che leggesse il documento con ragionevole attenzione.

L’effettiva efficacia delle clausole di esonero da responsabilità

I sopra richiamati principi fondamentali che la giurisprudenza inglese ha elaborato per la verifica

dell'efficacia o meno delle clausole di esonero da responsabilità contenute in un contratto si ispirano

a criteri oggettivi e interpretativi:

I criteri oggettivi risultano i seguenti:

a) sufficiente chiarezza e completezza delle clausole di esonero da responsabilità; al termine "

chiarezza " si da un a portata molto ampia nel senso che le clausole non solo devono risultare

facilmente comprensibili, ma anche che devono essere apposte con il dovuto risalto in modo che

sia impossibile, per una persona ragionevolmente attenta, non leggerle.

Per " completezza" si intende che la clausola deve indicare analiticamente tutti i rischi e tutti i

danni che si vogliono escludere in quanto l'interpretazione dei giudici sarà rigorosamente letterale;

b) sufficiente prova che la dichiarazione è parte integrante del contratto; questo principio è stato

utilizzato nei casi di rilascio, a seguito di rapporto contrattuale, di biglietti o ricevute contenenti

clausole di esonero da determinate responsabilità; l'esonero venne riconosciuto solo in base alla

convinzione del giudice sul carattere integrativo delle clausole rispetto al contratto principale;

c) formulazione delle clausole di esonero effettuata in epoca anteriore alla conclusione dei

contratti; ciò significa che le clausole di esonero sono considerate come parte integrante del

contratto e quindi efficaci solo se esse sono portate a conoscenza della controparte al più tardi al

momento della conclusione del contratto; se formulate successivamente, le clausole di esonero da

responsabilità sono considerate prive di efficacia.

Questi invece i criteri interpretativi utilizzati, nell'ovvio presupposto che l'altra parte sia stata a

messa in condizione di rendersi debitamente conto delle clausole di esonero da responsabilità:

1) Interpretazione contro l'autore della clausola; ciò significa che , in caso di dubbio sul significato

di una clausola di esonero da responsabilità, essa deve essere interpretata a favore del contraente

al quale la clausola è rivolta e a sfavore di chi l'ha predisposta;

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2) regola della intangibilità dello scopo principale del contratto; con ciò è affermato il principio

della inefficacia delle clausole se esse sono state formulate allo scopo di esonerare la parte che le

ha predisposte da responsabilità attinenti allo scopo fondamentale per il quale l'altro contraente è

addivenuto alla stipula del contratto.

Classico può essere l'esempio, in un contratto di vendita di una macchina, della nullità delle

clausole di esonero di responsabilità relative al suo funzionamento in quanto tali clausole hanno

diretto riferimento allo scopo fondamentale per il quale l'acquirente ha stipulato il contratto.

L'estinzione del contratto

Particolare rilievo assume, anche per quanto riguarda contratto di distribuzione, la specifica

normativa di common law relativa alla cessazione del rapporto contrattuale che non trova alcuna

corrispondenza con i principi contenuti nel nostro codice civile.

Nel diritto inglese si distinguono le seguenti ipotesi di estinzione del contratto:

a) Discharge by performance: cioè la cessazione del contratto a seguito della esecuzione delle

obbligazioni ivi previste;

b) Discharge by breach: cioè la situazione di inadempimento ad opera di una delle parti che

legittima l'altro contraente a porre fine al contratto;

c) discharge by impossibility: cioè la situazione di inadempimento ad opera di una delle parti che

legittima l’altra parte a porre fine al contratto;

d) Discharge by agreement:cioè la cessazione del contratto per mutuo consenso delle parti oppure a

seguito della intervenuta operatività di una clausola risolutiva;

e) Discharge by operation of law: cioè la cessazione del contratto per disposizione di legge.

Vediamo ora, in dettaglio, le singole ipotesi sopra indicate:

Discharge by performance.

Il contratto si estingue a seguito dell'adempimento delle obbligazioni ivi contenute. Per quanto

concerne il tempo dell'adempimento quest'ultimo deve essere effettuato, nell'ipotesi di mancata

pattuizione fra le parti, immediatamente; nel caso in cui la data dell'esecuzione degli obblighi

contrattuali sia stata fissata dalle parti e vi sia inadempimento, si fa luogo al risarcimento dei danni

senza che sia richiesta la relativa messa in mora.

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In generale, a meno che il termine per l'esecuzione delle obbligazioni contrattuali abbia un carattere

essenziale, il giudice può concedere una dilazione. Tale termine di grazia non può essere concesso

se si tratta di contratti commerciali.

L'adempimento parziale non comporta il "discharge" del contratto salvo che si tratti:

a) di contratto di durata;

b) del caso in cui l'adempimento sia impedito per fatto del beneficiario;

c) di accettazione della prestazione parziale parte dell'altro contraente;

d) di impossibilità, date le circostanze, di un più completo adempimento.

Di solito le corti inglesi considerano come corretto adempimento quell'adempimento che era

possibile effettuare nelle circostanze di fatto del caso; nelle altre ipotesi il creditore può rifiutare un

adempimento parziale.

La prestazione dovuta deve essere effettuata al domicilio del creditore; quanto sopra salvo patto

contrario oppure salva la particolare natura della prestazione.

E' inoltre da osservare che,almeno in linea di principio, la common law postula la regola secondo

cui " time is of the essence of the contract" nel senso che il tempo dell'adempimento è elemento

essenziale.

Tale regola tuttavia subisce numerose eccezioni ; difatti se il mancato adempimento entro il

previsto termine da luogo in ogni caso al risarcimento del danno; tuttavia non sempre tale

circostanza dà diritto alla parte interessata di risolvere il contratto .

Discharge by breach

Il contratto di estingue a seguito dell'inadempimento e comporta per la parte inadempiente l'obbligo

del risarcimento del danno (damage);in base alle regole dell'equity può verificarsi, anche se di rado,

la condanna all'adempimento specifico ( specific performance). La parte che è adempiente può

peraltro porre fine al contratto mediante atto unilaterale (repudiation).

L'inadempimento contrattuale presenta nel diritto inglese caratteristiche del tutto peculiari rispetto

alle regole poste dagli ordinamenti di civil law, in quanto si prescinde da ogni apprezzamento in

merito alla eventuale colpa contrattuale della parte inadempiente e ha una portata più vasta di quella

che gli ordinamenti di civil law ci hanno abituato a considerare.

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Tipica al riguardo è la figura dell'anticipatory breach of contract" che si verifica quando una delle

parti dichiara di non voler eseguire la propria obbligazione (renunciation) oppure quando la

condotta della medesima rende impossibile la successiva esecuzione. In questa ipotesi l'altra parte

ha la facoltà di tener fermo il contratto (alive ) e allora l"anticipatory breach" diventa un

inadempimento puro e semplice, oppure può accettare l'inadempimento pretendere il risarcimento

del danno prima che sia scaduto il termine previsto nel contratto.

La repudiation

Per quanto concerne la "repudiation" alla quale abbiamo accennato in precedenza è da tener

presente che essa può trovare ingresso solo in caso di inadempimento a una " condition",ma non in

caso di inadempimento rispetto ad un "warranty"; in sostanza la " repudiation" può essere

legittimamente esercitata solo se l'inadempimento concerne una clausola fondamentale.

E' inoltre da precisare che la " repudiation" può essere esercitata non solo nel caso di violazione di

una clausola fondamentale, ma anche nel caso di " fundamental breach", cioè di violazione

fondamentale del contratto.

Il contraente che ha diritto alla " repudiation" può rinunciare ad esercitarla se considera la "

condition" inadempiuta solo come "warranty".In tal caso potrà pretendere solo il risarcimento del

danno.

La " repudiation" deve essere esercita senza ritardo e, in materia di vendita di cose mobili,

l'acquirente che prende in consegna la merce decade dal diritto di avvalersi di tale rimedio.In tal

caso difatti l'ordinamento inglese considera la “ condition” come " ex post facto warranties"che

conseguentemente provoca la limitazione della pretesa dell'acquirente alla sola richiesta di

risarcimento del danno.

Quanto sopra salvo che la merce sia del tutto difforme da quella pattuita; in questo caso l' acquirente

potrà esercitare la " repudiation" ponendo fine al contratto e alle obbligazioni che da esso derivano.

In linea di principio le prestazioni effettuate anteriormente non sono ripetibili in quanto la "

repudiation" non ha effetti retroattivi; tuttavia questa regola può essere superata utilizzando uno

speciale rimedio che si inquadra nella figura del " quasi contract", istituto tipico della common law

che può in senso lato equipararsi all'azione di indebito arricchimento.

E' infine da precisare che la parte che ha legittimamente esercitato la " repudiation" può anche

richiedere il risarcimento del danno nei confronti dell'altro contraente inadempiente.

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Discharge by impossibilty o under the doctrine of frustration

Il contratto si estingue anche a seguito della impossibilità di realizzare lo scopo del contratto per

l'incidenza di eventi esterni, a prescindere dalla volontà o colpa delle parti.

Tale ipotesi rientra nella figura della " frustration", concetto caratteristico del diritto inglese e privo

di equivalenza negli ordinamenti di civil law.

Si tratta di una impossibilità di adempimento che esula dalla posizione del contraente; difatti tale

impossibilità è tutta incentrata sul fatto che il contratto non può essere portato a compimento in

quanto ciò che le parti si erano prefisse di ottenere non è più realizzabile.

La dottrina della " frustation" postula il principio dell " absolute contract". Il contenuto di detto

principio è il seguente: quando l'obbligo discende dalla legge l'obbligato è liberato se

l'adempimento diventa impossibile senza sua colpa; se invece l'obbligo è stato assunto

volontariamente egli sarà tenuto al risarcimento del danno anche se l'adempimento diviene

impossibile, salvo che l'esonero da responsabilità sia espressamente pattuito.

La regola in parola esclude l'evento imprevedibile o il caso fortuito essendo onere dei contraenti

prevedere espressamente nel contratto i casi che possano porre fine al contratto stesso.

I relativi precedenti giurisprudenziali sono costituiti dal caso Paradine v. Jane (1647) e dal caso

Taylor v. Caldwell (1863 ).

Nel primo caso si discuteva se l'affittuario di terreni fosse egualmente tenuto a pagare il canone al

proprietario nonostante che essi fossero stati occupati a seguito di una invasione da parte di un

Principe tedesco e per tali motivi non avessero dato alcun reddito.

I giudici distinsero tra obblighi nascenti dalla legge che possono restare inadempiuti a causa di

eventi esterni ( guerre, inondazioni, tempeste ecc:) e obblighi assunti in forza di contratto Poichè nel

contenuto del contratto le parti possono inserire le clausole che vogliono, il convenuto in giudizio

avrebbe potuto escludere la propria responsabilità contrattuale in caso di invasione,ma non

avendolo fatto i giudici ritennero che fosse tenuto ad adempiere all'obbligazione di pagamento del

canone di affitto.

Nel secondo caso (Taylor v. Caldwel) gli attori avevano ottenuto dai convenuti l'uso di un music

hall per organizzarvi dei concerti, ma prima dell'inizio delle rappresentazioni l'edificio venne

distrutto da un incendio. La questione di diritto concerneva quale delle parti, proprietario o

organizzatore doveva sopportare il danno per la mancata utilizzazione dell'immobile.La corte

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inglese decise che nulla era dovuto ai proprietari dell'edificio argomentando come segue: se il

raggiungimento dello scopo del contratto è successivamente reso impossibile da una causa estranea

alla volontà e alla quale non si può resistere, allora il contrattto si estingue e le parti sono liberate

dalle proprie obbligazioni.

Come risulta evidente quest'ultima decisione ha notevolmente mitigato il rigore del principio

contenuto nel decisione relativa al caso Paradine v. Jane. La materia ha però subito successive

evoluzioni; la giurisprudenza ha difatti considerato, oltre al suindicato caso di distruzione fisica

dell'oggetto del contratto avvenuta prima della sua esecuzione, anche quello del successivo

mutamento che rende illegale l'esecuzione del contratto. Sempre nell'ambito di tale materia si è

affermato il principio della " frustation of the common venture" in base al quale si è sancita la

cessazione del contratto quando, a seguito di un evento sopravvenuto dopo la conclusione del

contratto, le parti non possono più raggiungere lo scopo che esse si erano prefisso.

La forza maggiore

E' inoltre da rilevare che la decisione Taylor v. Caldwel non ha introdotto nell'ordinamento inglese

la nozione di forza maggiore.

Difatti il principio di diritto contenuto nella suddetta decisione ha una applicazione limitata ai soli

casi in cui l'esecuzione del contratto presuppone l'esistenza ,in un determinato momento, di una

cosa determinata, senza tuttavia far ricorso al concetto della imprevedibilità, elemento insito nel

concetto di forza maggiore.

In relazione ad alcuni casi presentatisi in materia di dritto della navigazione, la giurisprudenza

inglese ha poi considerato l'ipotesi in cui l'adempimento del contratto, pur essendo possibile, in

effetti è stato effettuato con modalità del tutto diverse di quelle pattuite nel contratto.

In tal caso la transazione commerciale prevista dalle parti e oggetto del contratto viene considerata "

frustrated" cioè impossibile, talche le parti sono sciolte dai rispettivi obblighi contrattuali.

Infine la giurisprudenza inglese con i " coronation uses " ha elaborato una figura più ampia di quella

fino ad ora considerata, denominata " frustration of contract".

I citati casi giudiziari insorsero in occasione dell'incoronazione di Edoardo VII; l'indisposizione del

Sovrano fece nascere la questione della " frustration" dei contratti di locazione di finestre e balconi

per assistere al passaggio del corteo.

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In questi casi la "frustration" era causata non tanto nella distruzione dell'oggetto del contratto, ma

nell'impossibilità sopravvenuta di realizzarne lo scopo.

Il fondamento della citata teoria risiederebbe, secondo la prevalente dottrina, non già in una

"condizione tacita" del contratto, bensì in una regola suppletiva applicata dal giudice. E' inoltre da

rilevare che la " frustration" non può essere considerata come una sorta di rimedio a favore di una

parte che si trovi di fronte ad una sopravvenuta difficoltà o ad un sopravvenuto aggravamento

rispetto alla esecuzione della propria prestazione.

La " frustration" trova difatti applicazione solo in presenza di un fatto oggettivamente considerato e

consistente nello snaturamento del contratto rispetto a quanto originariamente pattuito dalle parti;

l'effetto della applicazione della " frustration" sul piano giuridico è l'automatica estinzione del

contratto e lo scioglimento (discharge) delle parti dai loro obblighi contrattuali.

In proposito è da precisare che originariamente la common law non prevedeva la ripetizione delle

somme pagate; tale rigido principio fu modificato da una decisione del 1943 (Fibrosa Spolka

Akcyna v. Fairbain Lawson Combe Barbour 1943) che stabilì l'obbligo della restituzione delle

somme pagate.

Successivamente la materia è stata regolata con provvedimento legislativo, il Law Reform

Frustrated Contracts Act del 1943 che , confermando il principio contenuto nella citata decisione,

stabilì l'obbligo della restituzione delle somme pagate, salvo patto contrario.

La citata legge attribuisce inoltre al giudice il potere discrezionale di disporre un indennizzo (

compensation) a favore del soggetto tenuto alla restituzione a fronte delle spese fatte prima della "

frustration" oppure nella ipotesi che si verifichi un indebito arricchimento di una parte a danno

dell'altra.

L'Act in questione non si applica ad alcuni tipi di contratti, come ad esempio ai contratti di noleggio

e di assicurazione:

Discharge by agreement

La suindicata ipotesi di estinzione del contratto può trovare una corrispondenza nella risoluzione del

contratto per mutuo consenso, cosi come prevista dal nostro ordinamento.

Al riguardo la fattispecie in cui le parti si liberano reciprocamente delle obbligazioni assunte viene

definita nel diritto inglese con il termine " waiver".

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Il "discharge by agreement" può assumere varie forme:

a) " accord" (agreement) and satisfaction,” in cui è richiesta una " consideration";

b) relaise by deed,in cui invece la " consideration" non è richiesta;

c) waiver ( rinuncia) all'"executorry consideration “( prestazioni future) ad opera di entrambe le

parti);

d) " novation"( novazione) .

Discharge by operation of law

Il contratto si estingue per effetto della legge.Tale cessazione avviene:

a) in caso di morte del contraente nei "contracts for personal services", cioè nei contratti cosi detti

"intuitus personae";

b) per decorso del tempo (lapse of time);

c) per conversione (merger ) di un " simple contract" in un " contract record",cioè per conversione

di un contratto non formale in altra categoria di atti, denominata appunto "contracts by record",

nella quale rientrano gli " judgements",vale a dire le sentenze e i "recognissances" cioè il

riconoscimento di debito fatto davanti al giudice. Altre ipotesi possono essere costituite dalla

conversione di un " simple contract" in uno "specialty contract", cioè in un contratto formale,

oppure dalla conversione di uno " specialty contract" in un " contract of record".

L'inadempimento contrattuale e il risarcimento del danno

Secondo l'ordinamento di common law l'inadempimento del contratto comporta l'obbligo al

risarcimento del danno (damage) e solo eccezionalmente, a discrezione del giudice, può essere

concessa la condanna all'adempimento specifico in base alle regole dell'equity.

La relativa azione, ( action for damages ) tende a mettere la parte danneggiata nella stessa

situazione economica e finanziaria nella quale si sarebbe trovata se il contratto fosse stato

regolarmente eseguito; il risarcimento comprende, sebbene il diritto inglese non operi una

distinzione concettuale tra danno emergente e lucro cessante, tutte e due i tipi di danno.

Per quanto concerne la problematica del danno effettivamente risarcibile (remoteness of damage) il

principio fondamentale sul quale si fonda la risarcibilità è quello della prevedibilità del danno al

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momento della conclusione del contratto; tuttavia tale principio è variamente applicato dalle corti, a

seconda dei vari tipi di contratto.

Per maggior chiarezza è da precisare che, salvo che le parti non abbiano diversamente stabilito, il

risarcimento del danno è limitato al danno prevedibile al momento della conclusione del contratto e

sempre che sussista rapporto di causalità tra l'illecito contrattuale e il danno.

Sul principio relativo al nesso di causalità si è formata una vasta dialettica, che non ha tuttavia

portato a sicuri e univoci orientamenti , per stabilire in quali casi la conseguenza deve essere

considerata troppo remota rispetto alla causa che si presume abbia ingenerato la conseguenza stessa.

Una volta accertata la risarcibilità del danno si pone la questione relativa a quale principio ci si deve

attenere per stabilire l'ammontare del danno.

Il principio generale è quello della " restitutio in integrum", cioè il porre la parte che ha subito il

danno nella stessa situazione in cui si sarebbe trovata se l'adempimento dell'altra parte avesse avuto

luogo.

La valutazione del danno

Nella valutazione dell'entità del danno vengono, di norma, seguiti i seguenti criteri:

1) la ricostruzione causale del danno è effettuata tenendo conto della ragionevole previsione delle

parti rispetto all'evento che ha generato il danno stesso;

2) il danneggiato ha l'obbligo di adottare tutte e le possibili misure per limitare l'entità del danno;

3) il danno è ridotto se è stato cagionato con concorso di colpa del danneggiato;

4) il danno può viceversa essere ampliato in presenza di particolari circostanze;

5) il danno deve corrispondere a ciò che normalmente accade in circostanze simili;

6) il danno deve avere, come già detto, rapporto causale con l'inadempimento.

Diverso è invece il regime in tema di illecito extracontrattuale in relazione al quale è ammesso il

risarcimento dei danni non patrimoniali mediante particolari forme di risarcimento che sono

denominate " vindicative o exemplary damages ". Esse non hanno però funzione risarcitoria, bensì

punitiva e possono essere di entità assai superiore al danno effettivamente subito.

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Disposizioni particolari o decisioni giurisprudenziali regolano la misura del risarcimento dei danni

in alcuni specifici casi , come per esempio in materia di compravendita immobiliare o di

obbligazioni pecuniarie.

Il tasso di interesse

Il tasso di interesse è stabilito , di volta in volta, in base alla "Law Reform (miscellaneous

provisions) Act del 1934 a discrezione del giudice, il quale dovrà tener conto delle circostanze ,

del momento in cui è sorto il diritto al risarcimento e del momento in cui viene emessa la sentenza.

Nelle azioni volte al recupero del credito gli interessi sono dovuti nei seguenti casi:

a) quando risultano da un accordo tacito derivante dal contratto o dagli usi;

b) quando il credito canonizzato in una cambiale tratta (bill of exchange ) o da un pagherò

cambiario ( promissory note );

c) quando gli interessi siano stati pattuiti dalle parti.

Per quanto concerne le clausole risarcitorie la common law opera una distinzione tra "penalty",

clausola diretta a penalizzare la parte inadempiente, e " liquidated damages" clausola con la quale si

fa luogo alla anticipata liquidazione del danno.

Al riguardo l'ordinamento inglese ammette validità alle sole clausole che costituiscano una effettiva

liquidazione anticipata del danno denominata più specificamente come " genuine preestimate of

damages".

Nel caso in cui la clausola sia invece diretta ad assicurare l'esecuzione del contratto, realizzando una

pressione sulla volontà del creditore, detta clausola viene appunto considerata come una "penalty" e

quindi viene ritenuta affetta da nullità.

E' pero da precisare che anche le clausole dirette ad una liquidazione,cioè ad una predeterminazione

dell'entità del risarcimento, vengono considerate come " penalty" qualora esse comportino una

eccessiva valutazione del danno rispetto alla sua effettiva entità; comunque , nella pratica, la

distinzione tra " liquidated damages” e "penalty" non risulta affatto agevole.

Come già accennato in precedenza, secondo la common law, la normale conseguenza

dell'inadempimento è il risarcimento del danno, restando quindi escluso l'adempimento specifico

(specific performance).

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Quest'ultimo rimedio è invece accordato dalle regole dell'equity nel caso in cui il risarcimento del

danno possa dar luogo a situazioni inique.

Il decree of specific performance

Il relativo provvedimento, denominato " decree of specific performance" viene più usualmente

concesso in materia di contratti relativi all'acquisto di azioni o di obbligazioni di società

commerciali, mentre l'adempimento in forma specifica non è invece concesso in materia di

contratto di vendita di merce ( sale of goods) , nè nei contratti aventi prestazioni " intuitu personae",

nè , ovviamente, quando l'esecuzione dell'adempimento specifico risulterebbe impossibile.

La concessione del provvedimento in parola è subordinato alla ineccepibile condotta dell'istante il

quale deve presentarsi al giudice secondo l'espressione " with clean hands", cioè con le mani pulite.

Dobbiamo infine accennare ad un altro rimedio previsto dall'equity che può entrare in applicazione

anche in situazioni di inadempienza contrattuale: alludiamo alla "injunction".

Tale rimedio, che non trova equivalenza nel nostro ordinamento può definirsi come l'ordine con il

quale il giudice impone un obbligo di fare o di non fare, la cui violazione costituisce " contempt of

court" cioè un reato.

Il provvedimento in parola può assumere la figura di " prohibition injunction" quando contiene

l'ordine di non fare oppure la figura di " mandatory injunction" quando contiene l'ordine di fare.

A titolo di esempio costituisce una "prohibition injunction" il provvedimento emesso dal giudice

con il quale si vieta di effettuare ulteriori violazioni di un diritto di brevetto; costituisce d'altro

canto un " mandatory injunction" il provvedimento con il quale il giudice ordina l'esecuzione in

forma specifica di un contratto" .

A conclusione di questa informativa risulta evidente come l’eventuale assoggettamento del contrato

di distribuzione alla legge inglese comporti, per il preponente, sotto il profilo giuridico un notevole

impegno.

Al riguardo, per evitare eventuali imprevisti, può essere consigliabile consultarsi con un esperto in

materia.

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LA NORMATIVA NEGLI STATI UNITI

E’ da premettere che il diritto americano, pur ritrovando le sue radici nella tradizione giuridica di

common law, si è poi sviluppato con connotati del tutto propri che lo diversificano notevolmente

dal diritto inglese.

L’ordinamento giuridico americano sorse con l’emanazione della Costituzione nella quale

è sancito un ordinamento statale di tipo federale in cui la sovranità è suddivisa fra uno stato

federale ed i singoli stati, mentre alla costituzione federale corrisponde una costituzione dei singoli

stati.

Le due principali caratteristiche della struttura costituzionale che maggiormente incidono sul

sistema giuridico sono la separazione dei poteri ed il federalismo.

In effetti negli Stati Uniti si hanno 50 ordinamenti diversi, corrispondenti agli stati dell’Unione,

ciascuno dei quali ha una propria costituzione,propri organi legislativi, un proprio ordine giudiziario

ed un proprio esecutivo.

A ciò si aggiunge il sistema federale sancito dalla Costituzione degli Stati Uniti, suprema legge del

Paese,che prevede organi federali di natura legislativa, giudiziaria ed esecutiva.

Tale situazione giuridica comporta delle notevoli implicazioni. Poichè la Costituzione americana

conferisce alla Federazione una competenza legislativa solo per certe materie espressamente

indicate,l’intero diritto privato e gli istituti di diritto commerciale sono lasciati nella competenza di

ciascuno dei 50 Stati federati.

Ciò significa che ciascuno di essi possa promulgare o abbia effettivamente promulgato proprie

leggi, per quanto più direttamente ci interessa in questa sede, nel campo dei contratti sussistendo

inoltre, in ciascuno stato in relazione all’autonomia giudiziaria, un specifica giurisprudenza in

materia.

I Restatements e l’Uniform Commercial Code.

Benchè il campo del diritto privato sia regolato dai singoli Stati;tuttavia,nonostante tutte le varianti

locali, non si può negare che esso abbia una base sostanzialmente unitaria che può ritrovarsi nei c.d.

Restatements e nell’Uniform Commercial Code.

I Restatements sono costituiti da una raccolta, in numerosi volumi.curata dall’American Law

Institute avente per oggetto la common law (e non la statute law, cioè la legislazione ) quale è

applicata dalle corti dei vari Stati dell’Unione.

L’Uniform Commercial Code ,elaborato da due benemerite istituzioni americane, l’American Law

Institute e la National Conference of Commissioners on Uniform State Law ,è invece una raccolta

di regole uniformi in materia commerciale che è stata sottoposta all’approvazione dei singoli Stati

dell’Unione e che è stata universalmente adottata ad eccezione dello Stato della Louisiana.

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Negli Stati Uniti il diritto contrattuale trova le sue radici nella common law inglese dalla quale si è

tuttavia gradualmente distaccato per assumere una sua propria connotazione.

La definizione del contratto nel diritto anglo-americano

Secondo Samuel Williston, uno dei massimi teorici del diritto contrattuale negli Stati Uniti, il

contratto è una promessa o un insieme di promesse per la cui violazione il diritto concede un

rimedio o il cui adempimento è riconosciuto dal diritto come un obbligo; è però necessario che

all’accordo delle parti si aggiunga l’ulteriore requisito della “consideration “ sul cui significato ci

siano già soffermati a proposito del contratto inglese .

Questa definizione è accolta anche nel Restatement §1 mentre nel successivo § 2 viene precisato

che la promessa è un comportamento comunque espresso inteso a significare che qualche cosa

dovrà o non dovrà avvenire in futuro.

La struttura del contratto

Per quanto concerne la struttura del contratto nord americano dottrina e giurisprudenza non hanno

apprezzato una netta distinzione fra “terms” e “conditions”,ma solo tra “conditions” e

“warranties”; difatti la problematica degli express terms è stata collocata in quella relativa alla

interpretazione del contratto.

In proposito la common law tradizionale è saldamento ancorata al principio che le clausole

contrattuali devono essere interpretate secondo la loro formulazione letterale senza dover indagare

su quella che è l’effettiva intenzioni delle parti.

Invece l’orientamento prevalente negli Stati Uniti è quello di consentire alle parti di offrire la prova

di quelle che sono state le effettive intenzioni delle parti le quali possono avere opinioni contrastanti

sul significato delle clausole scritte.

Quando ciò si verifica la Corte può accertare che non esisteva un reciproco accordo e quindi che

non si era formato alcun obbligo contrattuale. Ma se una delle parti conosce o avrebbe dovuto

conoscere il significato che l’altra parte annetteva ad una determinata clausola contrattuale ,allora la

Corte dovrà dichiarare l’esistenza del reciproco assenso.

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I conflitti di interpretazione delle clausole contrattuali

Ove le parti siano in conflitto nell’interpretazione di una clausola contrattuale le Corti devono far

ricorso ai principi generali del diritto o alle massime al fine di decidere quale interpretazione debba

essere seguita.

A tal proposito i Restatement suggeriscono alcuni di questi principi generali; ad esempio una

clausola ambigua deve essere interpretata a sfavore dell’estensore dell’accordo;tutti le clausole

contrattuali devono essere interpretate,ove possibile, in modo da ottenere un significato

ragionevole,lecito e reale; una clausola che è stata negoziata fra le parti avrà la prevalenza sulle

clausole tipo o comunque non oggetto di negoziazione fra le parti.

Secondo un altro principio di diritto ,quella della “regola dello scopo principale” se la Corte è in

grado di accertare quello che è stato lo scopo principale, questo stesso scopo dovrebbe avere

grande importanza nella interpretazione delle clausole contrattuali.

L’incompletezza del contratto

Molto spesso le parti concludono un contratto senza aver preventivamente stabilito tutte le clausole

contrattuali. Quando ciò accade le Corti sono spesso disposte ad integrare tale manchevolezza

Nell’ipotesi in cui le parti non abbiano sufficientemente definito uno scambio di prestazioni in

relazione ad una clausola che è essenziale per determinare i loro diritti ed i loro obblighi, la Corte

supplisce a tale carenza con una clausola idonea secondo le circostanze.

Quando ciò accade le Corti sono spesso disposte a sopperire alle clausole mancanti .Questa

integrazione in via giudiziaria del contratto viene normalmente effettuata con l’emissione di un

provvedimento che le parti non hanno addirittura previsto.

La cessazione del contratto

Per quanto concerne la cessazione del contratto l’ordinamento giuridico americano non si discosta

sostanzialmente dai principi generali posti dalla common law inglese.

Ai fini della risoluzione il Restaitement dei contratti prescrive al § 347 che l'inadempienza sia

totale mentre a sua volta l'Uniform Commercial Code prevede particolari regole per la risoluzione

dei contratti di vendita.

La disciplina del contratto di distribuzione

Negli Stati Uniti d’America la disciplina del contratto di distribuzione è rimessa principalmente alla

libera determinazione contrattuale delle parti ; c’è però da tener presente che in alcuni Stati sono

Page 38: L’ANTICIPATA CESSAZIONE DEL CONTRATTO DI · PDF fileAnche nell’ambito dei contratti di distribuzione , come del resto in tutti i contratti la cui esecuzione si protrae nel tempo,

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in vigore legislazioni sul franchising di portata piuttosto ampia, che spesso vengono applicate dai

giudici anche contratti di distribuzione.

Tali leggi prevedono a volte specifici obblighi di informazione a favore del distributore, limitazioni

nei termini di preavviso, ed altre disposizioni rilevanti; perciò, si rende opportuna una verifica caso

per caso delle normative in vigore nel singolo Stato nel quale il contratto verrà eseguito.