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www.judicium.it 1 GIULIANA SCOGNAMIGLIO Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione 1 . SOMMARIO: 1. Cenni al problema generale degli effetti spiegati sui contratti preesistenti dalle procedure concorsuali e dal concordato preventivo in specie. 2. Concordato preventivo e contratti in corso di esecuzione: la novella del 2012. 3. La nozione di “contratti in corso di esecuzione”. – 4. Una breve digressione sui contratti di durata ed il pagamento dei debiti per prestazioni anteriori nel c.p. 5. Inefficacia, in caso di c.p., di clausole negoziali di scioglimento automatico dei contratti. 6. I criteri ispiratori della decisione giudiziale sull’istanza di autorizzazione presentata ai sensi dell’art. 169 -bis: comparazione e bilanciamento dei diversi interessi in gioco. 7. Sospensione/scioglimento dei contratti in corso di esecuzione e disciplina del concordato “con riserva”. – 8. Profili procedimentali: modalità e tempo di presentazione dell’istanza ex art. 169-bis l. fall.; determinazione dell’indennizzo; individuazione di un subprocedimento nell’ambito del procedimento di c.p.; efficacia immediata del provvedimento reso dal giudice. 1. Cenni al problema generale degli effetti spiegati sui contratti preesistenti dalle procedure concorsuali e dal concordato preventivo in specie. Il tema dell’incidenza che l’ingresso di un’impresa in una procedura concorsuale spiega sui rapporti contrattuali in essere al momento in cui la procedura stessa viene instaurata è meritevole di attenzione, oggi più ancora di ieri, se si considera il rilievo via via crescente che, nella disciplina della crisi d’impresa, ha assunto l’obiettivo della conservazione, là dove e nella misura in cui ciò sia possibile, dell’unità e del valore dell’organismo produttivo o di sue parti o rami; la sensibilità e l’attenzione nei riguardi dell’esigenza di favorire la conservazione e la continuità dell’impresa comporta inevitabilmente una pari attenzione per il “valore” della continuità del fascio di rapporti contrattuali che all’impresa fanno capo. L’istanza conservativa appena richiamata non costituisce peraltro l’unico ed esclusivo criterio di analisi della problematica relativa ai contratti di cui è parte l’imprenditore in stato di crisi: accanto ed oltre a questa, è venuta assumendo man mano rilievo, anche alla stregua del diritto positivo, l’esigenza di dotarsi di strumenti idonei ad alleggerire 1 Questo scritto è destinato agli Studi in onore di Pietro Abbadessa.

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GIULIANA SCOGNAMIGLIO

Concordato preventivo e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione1.

SOMMARIO: 1. Cenni al problema generale degli effetti spiegati sui contratti preesistenti dalle procedure

concorsuali e dal concordato preventivo in specie. – 2. Concordato preventivo e contratti in corso di

esecuzione: la novella del 2012. – 3. La nozione di “contratti in corso di esecuzione”. – 4. Una breve

digressione sui contratti di durata ed il pagamento dei debiti per prestazioni anteriori nel c.p. – 5. Inefficacia,

in caso di c.p., di clausole negoziali di scioglimento automatico dei contratti. – 6. I criteri ispiratori della

decisione giudiziale sull’istanza di autorizzazione presentata ai sensi dell’art. 169-bis: comparazione e

bilanciamento dei diversi interessi in gioco. – 7. Sospensione/scioglimento dei contratti in corso di

esecuzione e disciplina del concordato “con riserva”. – 8. Profili procedimentali: modalità e tempo di

presentazione dell’istanza ex art. 169-bis l. fall.; determinazione dell’indennizzo; individuazione di un

subprocedimento nell’ambito del procedimento di c.p.; efficacia immediata del provvedimento reso dal

giudice.

1. Cenni al problema generale degli effetti spiegati sui contratti preesistenti dalle procedure

concorsuali e dal concordato preventivo in specie.

Il tema dell’incidenza che l’ingresso di un’impresa in una procedura concorsuale spiega

sui rapporti contrattuali in essere al momento in cui la procedura stessa viene instaurata è

meritevole di attenzione, oggi più ancora di ieri, se si considera il rilievo via via crescente

che, nella disciplina della crisi d’impresa, ha assunto l’obiettivo della conservazione, là

dove e nella misura in cui ciò sia possibile, dell’unità e del valore dell’organismo

produttivo o di sue parti o rami; la sensibilità e l’attenzione nei riguardi dell’esigenza di

favorire la conservazione e la continuità dell’impresa comporta inevitabilmente una pari

attenzione per il “valore” della continuità del fascio di rapporti contrattuali che all’impresa

fanno capo.

L’istanza conservativa appena richiamata non costituisce peraltro l’unico ed esclusivo

criterio di analisi della problematica relativa ai contratti di cui è parte l’imprenditore in

stato di crisi: accanto ed oltre a questa, è venuta assumendo man mano rilievo, anche alla

stregua del diritto positivo, l’esigenza di dotarsi di strumenti idonei ad alleggerire

1 Questo scritto è destinato agli Studi in onore di Pietro Abbadessa.

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l’impresa decotta del fardello costituito da rapporti contrattuali (divenuti) scarsamente

convenienti o comunque troppo onerosi, la permanenza dei quali potrebbe essere di

ostacolo al rilancio dell’attività produttiva e diminuire le possibilità di recupero della sua

redditività; esigenza che va, in ogni caso, contemperata e bilanciata con la tutela della

legittima aspettativa del terzo contraente all’esatto adempimento del contratto, al suo

mantenimento – in caso di rapporto contrattuale di durata - ovvero alla sua risoluzione

quando appaia ragionevole e fondata la supposizione dell’incapacità, da parte

dell’imprenditore in crisi, di far fronte al proprio obbligo di prestazione.

Gli interessi e le esigenze a cui si è fatto cenno assumono un rilievo ed un’ evidenza

peculiari nel concordato preventivo, che – venuta meno l’amministrazione controllata – è

oggi la procedura concorsuale che più esprime l’idea della continuità, perché il debitore

che accede ad essa conserva la disponibilità e la gestione del patrimonio e, se l’impresa è

ancora vitale, mantiene altresì la gestione dell’impresa, sia pure con le limitazioni previste

dalla legge, senza che si dia luogo necessariamente ad una cesura, quale quella che si

verifica, attraverso il fenomeno della gestione sostitutiva dell’impresa stessa da parte del

curatore ovvero del commissario straordinario, rispettivamente nel fallimento o

nell’amministrazione straordinaria.

Tuttavia, com’è noto, la legge fallimentare, nel testo originario del 1942, non dettava

disposizioni specifiche riguardo al trattamento dei contratti in corso in quelle che all’epoca

si soleva chiamare le procedure concorsuali “minori” (concordato preventivo ed

amministrazione controllata).

Per converso, la legge del 1942 già conteneva una serie di disposizioni (raggruppate nel

titolo II, capo III, sezione IV) concernenti gli effetti del fallimento sui “rapporti giuridici

preesistenti” o pendenti: venivano in particolare enunciate alcune regole generali (nell’art.

72) accanto a disposizioni specifiche, riguardanti taluni singoli tipi contrattuali; ed

ulteriori disposizioni erano disseminate in leggi diverse dalla legge fallimentare, a

cominciare dal codice civile, che, ad esempio, regolava gli effetti del fallimento sul

contratto di società (cfr. art. 2448 c.c. 1942). La disciplina degli effetti del fallimento sui

contratti pendenti ha subito nel tempo, ed in particolare sulla base degli interventi di

riforma che si sono succeduti e stratificati dal 2006 in poi (d. lg. n. 5/2006; d. lg. n.

169/2007; d. l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012), diversi rimaneggiamenti, restando

però invariata nelle sue strutture di fondo, in particolare per quanto concerne la regola

(art. 72, 1° co.) onde è sancito l’ingresso dei contratti pendenti, per effetto della

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dichiarazione di fallimento di uno dei contraenti, in uno stato di “sospensione”, destinato

a protrarsi fino al momento in cui il curatore eserciti, con l’autorizzazione del compitato

dei creditori, la propria scelta nel senso del subentro, ovvero dello scioglimento del

vincolo negoziale, “salvo che, nei contratti ad effetti reali, sia già avvenuto il trasferimento del

diritto”.

La medesima disciplina trova altresì applicazione, fatta ovviamente salva la diversità fra le

due procedure sotto il profilo organizzativo2, nel caso di assoggettamento dell’impresa a

l.c.a.: l’art. 201 l. fall. richiama infatti espressamente, in punto di effetti della liquidazione

coatta sui “rapporti giuridici preesistenti”, le disposizioni del titolo II, capo III, sezione IV

della medesima legge.

Per quanto riguarda, poi, l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi,

dispone l’art. 50 del d. lg. n. 270/1999, il quale istituisce un regime di prosecuzione dei

contratti in corso, ma in stato di non definitività. E’ arduo stabilire in che cosa tale regime

(di prosecuzione, per così dire, precaria) si distingua e si differenzi dalla sospensione,

prevista testualmente, come si è constatato, per le ipotesi di fallimento e di l.c.a. In vero,

anche nell’amministrazione straordinaria, all’organo della procedura (il commissario

straordinario) è riconosciuto dal citato art. 50 il potere di sciogliersi dal rapporto

contrattuale ovvero di subentrarvi, sulla base di una dichiarazione che, come chiarito

dall’art. 1-bis del d. l. n. 134/2008, conv. in l. n. 166/2008, deve essere espressa (altrimenti

detto: non può aversi subentro nel rapporto contrattuale per comportamento concludente

del commissario).

Nell’assenza di indicazioni specifiche del diritto scritto3, le questioni legate alla sorte dei

contratti pendenti in capo all’imprenditore assoggettato ad una delle procedure che si

2 Per cui si deve far riferimento all’autorità amministrativa che vigila sulla liquidazione in luogo del

tribunale e del giudice delegato; al commissario liquidatore, invece che al curatore e al comitato di

sorveglianza invece che al comitato dei creditori: cfr. art. 201, 2° co., l. fall.

3 Salvo il caso specifico dei contratti aventi ad oggetto il trasferimento non immediato della proprietà o di

altro diritto reale su immobili da costruire (art. 3 del d. lg. n. 122/2005). La disposizione è stata poi recepita,

con adattamenti, dall’art. 72-bis l. fall., per quanto riguarda gli effetti prodotti su detti contratti dal fallimento

del costruttore (promittente venditore).Per quanto riguarda il concordato preventivo, sorge il dubbio se la

disposizione più risalente sopravviva alla nuova regola generale dettata dall’art. 169-bis, che non menziona

la fattispecie contrattuale di cui al d. lg. n. 122/2005. La questione non può essere qui affrontata: ci si limita

ad osservare che la ratio di tutela dell’acquirente che ispira la disciplina dettata dal citato decreto del 2005 ed

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soleva qualificare come “minori”, ed in particolare al concordato preventivo, hanno

comunque attratto nel corso degli anni dal 1942 in poi l’interesse della giurisprudenza

teorica e pratica, sì da dar luogo ad un vivace dibattito, alimentato da una consistente

produzione scientifica, anche di carattere monografico4.

Le soluzioni prospettate erano diverse5, variamente argomentate e variamente

convincenti. In particolare si era sostenuto, in via alternativa:

- che, rilevandosi una lacuna nella disciplina positiva della procedura di concordato

preventivo, essa dovesse essere colmata attraverso l’applicazione in via analogica

della disciplina dettata, per quanto riguarda i contratti pendenti nel fallimento,

dagli artt. 72 e seguenti l. fall.;

- che potesse giocare un ruolo la disposizione onde è disciplinato il compimento, da

parte dell’imprenditore in concordato preventivo, di atti eccedenti l’ordinaria

amministrazione (art. 167, co. 2, l. fall.), dovendosi ascrivere a tale categoria non

solo l’atto consistente nella stipula di un nuovo contratto, bensì anche, da un lato,

gli atti di esecuzione di contratti precedenza stipulati, dall’altro, l’atto di recesso da

un contratto in corso, l’atto di mutuo dissenso o l’accordo transattivo sullo

scioglimento di uno o più contratti determinati;

- che l’ingresso dell’imprenditore nella procedura concordataria fosse un fatto del

tutto neutro rispetto alla pendenza di rapporti contrattuali non ancora

il carattere di specialità della disciplina medesima in confronto con quella generale contenuta nel

(cronologicamente) successivo art. 169-bis l. fall. sembrano somministrare argomenti a favore della tesi

affermativa (i.e., sopravvivenza della norma del 2005, con riferimento all’ipotesi dell’ammissione del

promittente venditore al concordato preventivo).

4 Fra gli studi monografici risalenti, cfr., in particolare, quelli di: A. JORIO, I rapporti giuridici preesistenti nel

concordato preventivo, Padova, 1973; P.F. CENSONI, Gli effetti del concordato preventivo sui rapporti giuridici

preesistenti, Milano, 1988.

5 Per un sintetico quadro, cfr. A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare,

6^ ed., Padova, 2013, sub art. 169-bis.

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completamente eseguiti, nel senso che questi continuerebbero il proprio corso,

senza alcuna variazione o deviazione rispetto alla disciplina ordinaria6.

In particolare, quest’ultima posizione era largamente accreditata nella giurisprudenza di

merito e di legittimità7, ancora alla vigilia della recente novella, così come la tesi8 che

escludeva l’applicazione in via di analogia delle norme relative agli effetti del fallimenti

sui contratti dell’imprenditore; rispetto ad essa, l’intervento riformatore del 2012 ha

operato un rilevante mutamento di rotta, che consiste nell’aver dato all’imprenditore che

richieda l’ammissione al concordato la possibilità di sciogliersi dai rapporti contrattuali in

corso, ovvero di sospenderne l’esecuzione per un determinato lasso temporale, su

domanda dell’imprenditore stesso e con l’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, alla

quale tale domanda dev’essere indirizzata. La disciplina a cui si ha riguardo è enunciata in

termini generali nell’art. 169-bis l. fall.9 ed ulteriormente precisata – per quanto

6 Osserva F. PETRUCCO TOFFOLO, Sospensione e scioglimento dei contratti in corso di esecuzione nel concordato

preventivo, in www.ilfallimentarista.it, 2013, p.1, che la soluzione della prosecuzione senza soluzione di

continuità dei rapporti contrattuali “creava problemi pratici evidenti con potenziale influenza negativa sul

contenuto del piano e della proposta concordatari”; per cui la sorte dei rapporti pendenti veniva, di

preferenza, “gestita negozialmente, essendo possibile la risoluzione consensuale o un accordo transattivo

sulla sorte del rapporto e sulle conseguenze dell’eventuale suo prematuro scioglimento. In alternativa, il

debitore poteva essere indotto a provocarne la risoluzione per proprio inadempimento prima dell’accesso

alla procedura (…) al fine della cristallizzazione dei crediti conseguenti della controparte, così destinati ad

essere pagati in moneta concorsuale (…)”.

7 Cfr., fra le altre, Cass., 1.03.2002, n. 3022; Trib. Prato 14.06.2012, in www.ilcaso.it (nel senso che la

prosecuzione di un contratto pendente, proprio perché costituisce effetto naturale della domanda di c.p. e

atto dovuto da parte dell’imprenditore, non sia da considerare alla stregua di un atto eccedente l’ordinaria

amministrazione e non richieda pertanto l’autorizzazione ex art. 167 l. fall.).

8 Per la quale cfr., ad esempio, Cass., n. 578/2007; 18.05.2005, n. 10429; n. 968/1997; Trib. Genova, 11.011996,

in Fallimento, 1996, 698, App. Firenze, 10.12.1990, in Dir. fall., 1991, II, 561. Cfr. altresì A. NIGRO, D.

VATTERMOLI, Diritto della crisi delle imprese, 2^ ed. Bologna, 2009, 373 s.; M. VITIELLO, Gli effetti del

concordato preventivo, dell’esercizio provvisorio e dell’affitto dell’azienda del fallito sui rapporti giuridici pendenti, in

SANZO (a cura di), Procedure concorsuali e rapporti pendenti, Bologna, 2009, 367 ss., 372 ss.; F. FIMMANÒ, Gli

effetti del concordato preventivo sui rapporti in corso di esecuzione, in Fallimento, 2006, 1050 ss.

9 Art. 169-bis - Contratti in corso di esecuzione. I. Il debitore nel ricorso di cui all'articolo 161 puo' chiedere che il

Tribunale o, dopo il decreto di ammissione, il giudice delegato lo autorizzi a sciogliersi dai contratti in corso di

esecuzione alla data della presentazione del ricorso. Su richiesta del debitore puo' essere autorizzata la sospensione del

contratto per non piu' di sessanta giorni, prorogabili una sola voltA. II. In tali casi, il contraente ha diritto ad un

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specificamente riguarda il c.d. concordato con continuità aziendale - dall’art. 186 bis, co. 3,

l. fall.10 Entrambe le citate disposizioni sono state inserite, nella legge fallimentare, con il

già menzionato d. l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012 e si applicano alle procedure di

concordato “introdotte” – deve ritenersi, con la pubblicazione nel registro delle imprese

del relativo ricorso11 - dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della

legge di conversione del decreto medesimo12.

2. Concordato preventivo e contratti in corso di esecuzione: la novella del 2012.

Queste le regole in cui si articola la disciplina dettata dagli artt. 169-bis e 186-bis, 3° co., l.

fall.:

(a) i contratti in corso di esecuzione non si risolvono per effetto dell’apertura della

procedura di concordato preventivo, dunque proseguono13, secondo il

programma fissato dalle parti: detta regola è espressamente enunciata solo

indennizzo equivalente al risarcimento del danno conseguente al mancato adempimento. Tale credito e' soddisfatto

come credito anteriore al concordato. III. Lo scioglimento del contratto non si estende alla clausola compromissoria in

esso contenutA. IV. Le disposizioni di questo articolo non si applicano ai rapporti di lavoro subordinato nonche' ai

contratti di cui agli articoli 72, ottavo co., 72 ter e 80 primo co..

10 Art. 186-bis (…)III. Fermo quanto previsto nell'articolo 169-bis, i contratti in corso di esecuzione alla data di

deposito del ricorso, anche stipulati con pubbliche amministrazioni, non si risolvono per effetto dell'apertura della

procedurA. Sono inefficaci eventuali patti contrari. L'ammissione al concordato preventivo non impedisce la

continuazione di contratti pubblici se il professionista designato dal debitore di cui all'articolo 67 ha attestato la

conformità al piano e la ragionevole capacità di adempimento.

11 Che quella della pubblicazione del ricorso ex art. 161 l. fall., e non quella della mera “presentazione” del

ricorso medesimo, sia la data da assumere come punto di riferimento per individuare l’inizio della

procedura di concordato preventivo è desumibile dal nuovo testo del co. 1 dell’art. 168 l. fall. , come

modificato dal d. l. n. 83/2012, conv. in legge n. 134/2012.

12 Dunque, introdotte successivamente all’11 settembre 2012: cfr. l’art. 33, 3° co., del decreto legge richiamato

nel testo.

13 Cfr. Trib. Monza, 16.01.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Terni, 12.10.2012, ivi. Discende, fra l’altro, da quanto si

afferma nel testo che la prosecuzione di un contratto pendente non possa considerarsi atto eccedente

l’ordinaria amministrazione e pertanto non necessiti dell’autorizzazione giudiziaria ai sensi dell’art. 167

l.fall.: in tal senso, Trib. Prato, 14.06.2012, cit. in www.ilcaso.it.

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nell’art. 186-bis, 3° co., con riguardo alla specifica ipotesi del concordato “con

continuità aziendale”, ma deve a mio avviso ritenersi implicita altresì nel

disposto dell’art. 169-bis, che si applica ad ogni fattispecie concordataria, quali

che siano il contenuto e l’oggetto della proposta di concordato (e cioè sia che

essa si atteggi secondo il modello di una procedura meramente liquidatoria, da

attuarsi eventualmente mediante la cessione del complesso dei beni ai creditori,

sia che prenda la strada della “continuità aziendale”14, e cioè della

continuazione dell’attività dell’impresa). A favore di questa tesi depone

l’argomento logico-sistematico, contro quello testuale, che potrebbe in astratto

suffragare una diversa soluzione, e cioè la tesi per la quale il principio di

continuità dei rapporti contrattuali in generale si applicherebbe solo nel “tipo”

di concordato disciplinato dall’art. 186-bis. Se così fosse, tuttavia, si dovrebbe

altresì assumere che la sorte dei contratti in corso nelle altre tipologie di

concordato è regolata sulla base di principi diversi, e cioè assumere l’esistenza

di una regola di scioglimento ovvero, alternativamente, di sospensione di detti

rapporti: la prima, tuttavia, non è sostenibile, perché assoggetterebbe la

procedura di concordato, tutta ispirata al concetto di continuità, ad una regola

che non ha mai trovato applicazione neppure nella procedura liquidatoria per

antonomasia, come il fallimento (così come disciplinato nella legge del 1942);

mentre l’assunto dell’esistenza di una regola generale di sospensione cozzerebbe

contro il dato testuale, del tutto univoco sotto questo profilo, dell’art. 169-bis,

che prevede la sospensione dei rapporti contrattuali come un’ipotesi particolare,

assoggettata a determinate regole procedimentali (istanza del debitore,

autorizzazione del giudice, ecc.). Si può dunque affermare che la continuazione

dei rapporti contrattuali preesistenti in capo all’imprenditore assurge al ruolo di

canone generale in materia di effetti del c.p. sui contratti in corso di esecuzione,

e dunque di regola comunque applicabile, di default, là dove non siano stati

richiesti, o siano stati rifiutati, lo scioglimento o la sospensione del contratto. La

regola de qua trova applicazione anche in presenza di eventuali “patti contrari”,

14 Cfr. l’art. 186-bis, co. 3, che disciplina il trattamento dei contratti in corso di esecuzione nel concordato con

continuità aziendale, lasciando comunque “fermo quanto previsto nell’art. 169-bis”.

Nel senso – invece – che la regola della prosecuzione dei rapporti contrattuali in corso si applichi soltanto

alla peculiare fattispecie del concordato con continuità aziendale, L. STANGHELLINI, Il concordato con

continuità aziendale, in Fallimento, 2013, 1222 ss., 1228.

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che l’art. 186-bis, co. 3, 2^ proposizione, dichiara inefficaci con riferimento alla

fattispecie del concordato con continuità aziendale, lasciando così sopravvivere

il dubbio (su cui si tornerà nel prosieguo) sulla validità ed efficacia di clausole

negoziali che facciano discendere lo scioglimento di un determinato rapporto

contrattuale dall’ingresso dell’imprenditore in una procedura di concordato che

non preveda detta continuità. Di applicazione sicuramente limitata al

concordato con continuità aziendale è l’ulteriore regola (art. 186-bis, 3°co., 3^

proposizione), secondo cui l’ammissione al c.p. non è di ostacolo alla continuità

altresì dei contratti “pubblici”15, e cioè stipulati con pubbliche amministrazioni,

purché un professionista designato dal debitore e munito dei requisiti di cui

all’art. 67, 3°co., lettera d), l. fall. abbia positivamente attestato la conformità

della continuazione di tali contratti con le previsioni del piano e formulato una

prognosi positiva circa la capacità di adempimento del debitore medesimo.

(b) All’imprenditore proponente un concordato preventivo è consentito richiedere

all’autorità giudiziaria16 l’autorizzazione17 allo scioglimento dei contratti in

15 Questa regola va ad integrare, per il profilo ivi considerato, il contenuto del d. lg. n. 163/2006, c.d. codice

dei contratti pubblici, il cui art. 38, nel testo modificato dal citato d. l. n. 83/2012, stabilisce l’esclusione dalla

partecipazione alle procedure di affidamento delle concessioni e degli appalti di lavori, forniture e servizi e

l’incapacità di stipulare i relativi contratti a carico, fra l’altro, dei “soggetti”che si trovano in stato di

fallimento, di liquidazione coatta, di concordato preventivo, salvo il caso del concordato con continuità

aziendale, mentre dall’art. 140 s’inferisce che l’assoggettamento dell’appaltatore a fallimento, a l.c.A. o a

concordato preventivo (deve ritenersi, senza continuità aziendale) è causa di risoluzione del contratto di

appalto, tanto che in detti casi la stazione appaltante può interpellare progressivamente i soggetti

partecipanti all’originaria procedura di gara, risultanti dalla relativa graduatoria, al fine di stipulare un

nuovo contratto per il completamento dei lavori.

16 E’ previsto che la competenza al rilascio di detta autorizzazione spetti al giudice delegato, ovviamente sul

presupposto che questi sia stato già designato, essendo intervenuto il decreto di ammissione alla procedura

di c.p.; altrimenti al tribunale, al quale viene presentata la proposta concordataria: cfr. art. 169-bis, co. 1.

L’istanza di cui all’art. 169-bis non può essere presentata, e comunque il giudice che ne è stato investito ai

sensi di detta disposizione non potrà pronunciarsi su di essa, qualora l’imprenditore abbia già proposto,

dinanzi ad altro giudice, domanda di risoluzione per inadempimento di quello stesso contratto per il quale

invoca, con l’istanza de qua, l’autorizzazione allo scioglimento: in tal senso T. Roma, sez. fall., 6.11.2013, CP-

65/13, inedita.

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corso, ovvero alla sospensione degli stessi per un periodo massimo di sessanta

giorni, prorogabile una sola volta. In entrambi i casi18, il terzo contraente in bonis

è tutelato mediante la corresponsione di un indennizzo, il cui importo è

ragguagliato a quello che sarebbe da lui ottenibile a titolo di risarcimento del

danno per inadempimento; il relativo credito è assimilato, dal punto di vista del

regime del suo soddisfacimento, a quelli sorti anteriormente alla domanda di

concordato. Il trattamento previsto dall’art. 169-bis per il credito da indennizzo

sembra introdurre un’incrinatura nel regime legale della prededucibilità. Alla

stregua delle indicazioni che scaturiscono dal disposto dell’art. 111 l. fall. e della

lettura che ne ha offerto la giurisprudenza, i crediti dovrebbero qualificarsi

come prededucibili in ragione sia del momento (successivo all’ingresso

dell’imprenditore nella procedura concorsuale) in cui sorgono, sia del nesso di

occasionalità/strumentalità che li collega alla procedura, nel senso che il credito

è sorto in occasione o in funzione della procedura e che il pagamento dello

stesso è coerente con gli interessi della massa e dunque risponde agli scopi della

procedura concorsuale, risultando utile al buon esito della stessa19. La ratio della

soluzione adottata dal legislatore sembra tuttavia agevolmente decifrabile: da

un lato, attraverso la classificazione fra i concorsuali del credito del contraente in

bonis per l’indennizzo che gli spetta a norma dell’art. 169-bis, si persegue

l’obiettivo di agevolare l’imprenditore concordatario nel processo di

smantellamento di rapporti contrattuali non più coerenti con i mutati indirizzi

17 Sull’ampiezza del potere di delibazione e di decisione in tal modo attribuito all’autorità giudiziaria, che

potrà influire addirittura sulla fattibilità del concordato, concedendo o negando le autorizzazioni richieste ai

sensi dell’art. 169-bis, cfr. L. PANZANI, I nuovi poteri autorizzatori del tribunale e il sindacato di fattibilità nel

concordato, in Società, 2013, 565 ss., 572.

18 E non solo nel caso dell’autorizzazione allo scioglimento: nello stesso senso ad es. F. LAMANNA, La legge

fallimentare dopo il decreto “sviluppo”, in Il Civilista, 2012, 53.

19 Cfr., ad esempio, Cass., 5.03.2012, n. 3402.

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gestionali e di favorire, quindi, la soluzione concordataria delle crisi d’impresa20;

dall’altro, si consegue il risultato di rendere il titolare di detto credito partecipe

della votazione sulla proposta di concordato: partecipe, dunque, di un

significativo potere di voice in ordine al buon fine della procedura, tanto più nel

caso – che ci si può rappresentare come del tutto frequente nella pratica – in cui i

contraenti interessati dal regime dell’art. 169-bis siano più d’uno e siano perciò

“naturalmente” destinati a formare una classe ai sensi dell’art. 160 l. fall.

L’opzione per lo scioglimento del rapporto contrattuale s’impone al contraente

in bonis: questi, infatti, subisce l’iniziativa dell’imprenditore in crisi, ed il

conseguente eventuale provvedimento autorizzatorio del giudice, salvo – sul

piano procedimentale – il suo diritto al contraddittorio (cfr., più avanti, § 7) e –

sul piano sostanziale – il suo diritto ad un indennizzo commisurato all’importo

che gli sarebbe spettato, al di fuori del concordato, a titolo di risarcimento del

danno; né può, una volta che sia stato depositato il ricorso per c.p. e proposta

l’istanza ex art. 169-bis, avanzare egli stesso domanda di scioglimento del

contratto. Il limite è dato dall’ipotesi della pregressa inadempienza

dell’imprenditore, a fronte della quale, si è ritenuto21, il contraente in bonis può

proporre la domanda di risoluzione del contratto ovvero far valere una

eventuale clausola risolutiva espressa anche dopo il deposito del ricorso per

concordato preventivo se poi l’iniziativa risolutoria era stata promossa, da parte

del terzo contraente in bonis, anteriormente al deposito della domanda di

concordato, da un lato, questo evento non dovrebbe spiegare alcuna incidenza

sull’iniziativa stessa; dall’altro ne risulterebbe paralizzata, si deve ritenere, la

facoltà dell’imprenditore di avvalersi degli strumenti di intervento sul contratto

previsti dall’art. 169-bis l. fall. A precludere l’esercizio di detta facoltà varrebbe

altresì, secondo la giurisprudenza, la trascrizione della domanda di esecuzione

20 Cfr. F. LAMANNA, La legge fallimentare ecc., cit., 53, il quale evoca i problemi che la pratica aveva lasciato

emergere anteriormente alla riforma, quando la liberazione del debitore da un contratto preesistente alla

domanda di concordato preventivo poteva essere perseguita, per esempio attraverso la via

dell’inadempimento e della conseguente risoluzione, solo a costi molto elevati (il pagamento “in moneta

buona” del risarcimento danni).

21 Cfr. F. LAMANNA, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, in www.ilfallimentaristA.it,

novembre 2013 (consultato quando il presente lavoro era già in bozze).

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in forma specifica di un contratto preliminare, purché avvenuta anteriormente al

deposito della domanda di concordato22.

(c) Le regole enunciate nel 1° co. dell’art. 169-bis non prevedono espressamente

alcuna limitazione del proprio ambito di operatività, in relazione alla tipologia

di concordato: deve perciò ritenersi, così riprendendo un’osservazione già svolta

poc’anzi, che esse possano essere invocate indipendentemente dai contenuti

della proposta concordataria e dalle specifiche modalità in essa previste per

l’attuazione del (piano di) concordato, e cioè sia che si tratti di un concordato

totalmente o parzialmente liquidatorio, o di un concordato con cessione dei beni

ai creditori, ovvero di un concordato in continuità aziendale: in particolare, con

riferimento a tale ultima ipotesi, oggi disciplinata dall’art. 186-bis, depone

chiaramente in questo senso il 3° co. della citata disposizione, che dichiara, per

ciò che concerne i contratti in corso, doversi tener “fermo quanto previsto nell’art.

169-bis”.

(d) Una limitazione dell’ambito di operatività delle regole enunciate nel 1° co.

dell’art. 169-bis è invece prevista con riferimento a taluni tipi di contratto o di

clausola contrattuale, essendo testualmente disposto che le regole in questione

non si applicano: (i) alla clausola compromissoria, che, ove inserita in un

qualunque tipo di contratto suscettibile di scioglimento ai sensi dell’art. 169-bis,

sopravvive comunque, nonostante la vicenda risolutiva che in ipotesi abbia

colpito il restante contenuto contrattuale, in ossequio ad un principio di favore

per la soluzione extragiudiziaria di eventuali controversie fra le parti contraenti

ed al principio altresì di autonomia della clausola in questione rispetto al

contratto a cui accede (cfr. art. 808, 2° com, c.p.c.); (ii) al contratto di lavoro

subordinato; (iii) al contratto preliminare di compravendita, trascritto ai sensi

dell’art. 2645-bis c.c., avente ad oggetto un immobile ad uso abitativo, destinato

a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti ed affini

entro il terzo grado, ovvero un immobile ad uso non abitativo destinato

costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente; (iv) al

contratto di finanziamento destinato ad uno specifico affare, di cui all’art. 2447,

1° co., lettera b, c.c.; (v) al contratto di locazione di immobili stipulato

22 Cfr. Trib. Padova, 15.01.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Padova, 26.03.2013, ivi.

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dall’imprenditore concordatario in qualità di locatore. Riguardo ai rapporti

contrattuali testé elencati non sussiste, dunque, la possibilità per l’imprenditore

che ha proposto domanda di concordato di invocarne lo scioglimento o la

sospensione ai sensi dell’art. 169-bis. E’ agevole rilevare che i casi di esclusione

dalla disciplina dettata da quest’ultima disposizione sono del tutto eterogenei e

che la statuizione normativa che apparentemente li accomuna risponde, a

seconda dei casi, a rationes diverse: tutela di valori di solidarietà sociale e del

lavoro come diritto della persona, di rilevanza costituzionale (è il caso del

rapporto di lavoro subordinato); tutela dell’acquisto dell’abitazione principale o

comunque dell’esigenza di conservazione della “casa” (è il caso del preliminare

di vendita di immobili destinati ad abitazione principale della parte acquirente e

della locazione); tutela dell’impresa, attraverso la protezione del diritto

contrattuale all’acquisto della proprietà dell’immobile destinato a costituirne la

sede principale (è il caso del preliminare di vendita di immobili aventi detta

destinazione); tutela dell’esigenza di non interrompere, con l’ammissione

dell’imprenditore al concordato, i flussi di finanziamento destinati a specifici

affari ed al tempo stesso di assicurare ai finanziatori la continuità del rapporto.

E’ peraltro da osservare che, specie con riferimento al primo e all’ultimo dei casi

considerati, la continuazione del rapporto si spiega e si giustifica in ragione

della continuazione altresì dell’attività d’impresa; per cui la scelta normativa

non appare facilmente comprensibile in difetto di tale presupposto (e con

riferimento, in particolare, ai concordati di contenuto liquidatorio). Per quanto

riguarda i contratti pubblici, di cui sia parte un imprenditore in crisi, viene

invece disattivata la regola della continuazione: essi, dunque, non sopravvivono

all’ingresso dell’impresa nel concordato, e cioè si sciolgono, eccetto che – come

si è detto - nel caso di concordato con continuità aziendale (cfr. art. 186-bis, 3°co.,

l. fall.; art. 38 codice dei contratti pubblici), in cui “rivive” la regola generale

dettata dall’art. 169-bis (continuazione del rapporto contrattuale, salvo che

l’imprenditore non decida di avvalersi della facoltà di promuovere l’istanza di

autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione).

3. La nozione di “contratti in corso di esecuzione”.

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Esposta, in termini per ora succinti e sommari, la disciplina contenuta nelle disposizioni

specificamente introdotte dalla recente novella sul tema della sorte dei rapporti

contrattuali nel concordato preventivo, conviene interrogarsi riguardo ai confini della

fattispecie che quella disciplina investe; fattispecie che le citate disposizioni individuano

testualmente mediante il riferimento ai “contratti in corso di esecuzione”, mentre, per

identificare la fattispecie delle regole omologhe, sopra richiamate, in materia di fallimento,

l.c.a. e a.s., si adottano espressioni non coincidenti, come “rapporti giuridici preesistenti”

(intitolazione della sezione IV del capo III, titolo II, l. fall.), “rapporti pendenti” (art. 72, 1°

co.), “contratti in corso” (rubrica dell’art. 50, d. lg. n. 279/1999).

Il quesito può essere ulteriormente precisato, posto che sia l’art. 72 l. fall., sia l’art. 50 d. lg.

n. 270/1999 definiscono l’insieme dei rapporti pendenti o preesistenti come quello

costituito dai contratti a prestazioni corrispettive, anche ad esecuzione continuata o

periodica, ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti alla data

di apertura del fallimento o dell’amministrazione straordinaria e che tale definizione non

viene richiamata nelle disposizioni relative alla sorte dei contratti nel concordato

preventivo dell’impresa.

Occorre allora domandarsi se quella definizione valga altresì a fissare il contenuto della

nozione di “contratti in corso di esecuzione”, a cui si fa riferimento, senza tuttavia

precisarla, nell’art. 169-bis e nell’art. 186-bis, co. 3, l. fall.

In merito a tale questione si sono registrate, fin dall’entrata in vigore dell’art. 169-bis,

opinioni discordi: in particolare, si sono levate voci a favore della tesi che vuole la

categoria dei “contratti in corso di esecuzione”, a cui fa testualmente riferimento l’art. 169-

bis, più ampia di quella dei contratti pendenti a cui ha riguardo la disciplina del

fallimento. Essa comprenderebbe, in particolare, anche i contratti “unilaterali”; ne

resterebbero fuori solo quei contratti “il cui rapporto non prevede alcuna esecuzione che non sia

il pagamento da parte del debitore concordatario di un debito scaduto (o anche non scaduto ma

senza che la parte in bonis debba più fare alcunché)”23.

23 Cfr. M. FABIANI, Per una lettura costruttiva della disciplina dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in

www.ilcaso.it, 11 marzo 2013, 7; anche B. INZITARI, I contratti in corso di esecuzione nel concordato: l’art. 169-

bis l.fall., in www.ilfallimentarista.it, 2013, 1, ritiene che nell’art. 169-bis non sia presente “il riferimento

restrittivo, contenuto nell’art. 72 l. f.”, con la conseguenza che occorrerebbe leggere l’espressione “contratti in

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L’assunto non è a mio avviso convincente. L’argomento letterale e soprattutto quello

sistematico depongono in senso contrario, indirizzando verso una lettura del dato testuale

che identifichi la fattispecie a cui si applica la disciplina dettata dall’art. 169-bis con quella

già disciplinata dalle norme sui contratti pendenti nel fallimento e nell’amministrazione

straordinaria.

In generale, deve allora ritenersi che nelle citate disposizioni in materia di concordato

preventivo si abbia riguardo a contratti:

(i) che siano stati stipulati anteriormente all’inizio della procedura, coincidente con

il deposito, rectius con la pubblicazione nel registro delle imprese (argomenta ex

art. 168 l. fall.) del ricorso ex art. 161 l. fall.; che siano opponibili alla massa ai

sensi dell’art. 45 l. fall. (richiamato, per quanto riguarda il c.p., dall’art. 169) e

per i quali non siano fino a quel momento intervenute cause di scioglimento o di

risoluzione;

(ii) dai quali non residuino in capo all’imprenditore posizioni meramente passive

oppure soltanto attive, suscettibili come tali di essere regolate rispettivamente

come debiti dell’imprenditore concordatario, da pagare secondo la percentuale

prevista nella proposta e nel piano, ovvero come crediti, facenti parte in quanto

tali dell’attivo da esibire altresì nella proposta e nel piano;

(iii) rispetto ai quali abbia un senso economico e giuridico prospettare una vicenda

di sospensione (s’intende, dell’esecuzione), e cioè dei quali si possa dire che la

fase esecutiva del rapporto non si è ancora completata;

(iv) rispetto ai quali sia possibile configurare una vicenda di scioglimento o

eventualmente di sospensione come vicenda bilaterale, che investe e colpisce

entrambe le parti del rapporto: nonostante il carattere ellittico – già segnalato -

del dettato normativo, è ragionevole assumere che la disciplina in esame si

applichi non a qualunque rapporto contrattuale in corso di esecuzione24, e cioè

non ancora compiutamente eseguito dall’una o dall’altra parte, ma solo ai

corso”, di cui alla prima disposizione, come inclusiva di tutti i rapporti contrattuali in qualunque modo

pendenti fra l’imprenditore che aspira al concordato e soggetti terzi.

24 Come taluni ritengono: cfr., per alcuni riferimenti, la precedente nt. 22.

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contratti a prestazioni corrispettive, in cui il sinallagma non si sia – alla data

rilevante come sopra identificata - pienamente realizzato, residuando ancora

prestazioni a carico di entrambe le parti25. L’assunto trova conferma e conforto

nel dato comparatistico (per esempio, nel diritto tedesco: cfr. § 103

InsolvenzOrdnung; nel diritto statunitense: cfr. US Code, Section 365). In ogni caso,

esso ha dalla sua l’argomento sistematico. Infatti, in assenza dei menzionati

presupposti, occorrerebbe riconoscere che la legge ha attribuito all’imprenditore

concordatario il potere di sottrarsi, temporaneamente26 o addirittura in via

definitiva, ai propri obblighi contrattuali nei confronti del contraente in bonis,

che ha già interamente adempiuto la propria prestazione. Una siffatta posizione

25 Cfr. P.F. CENSONI, La continuazione e lo scioglimento dei contratti pendenti nel concordato preventivo, in

www.ilcaso.it, 2013, 2. Non dovrebbe perciò farsi rientrare nella categoria di contratti contemplata dall’art.

169-bis il contratto di anticipazione bancaria, nel quale “la prestazione fondamentale a carico della banca,

consistente nella erogazione e messa a disposizione del denaro in favore del cliente, si sia già esaurita e non

rimanga altro che la controprestazione di restituzione a carico del cliente”, “cosicché non vi sono due

reciproche prestazioni da sospendere, in equilibrio sinallagmatico-funzionale, ma una sola, come nel mutuo,

ciò che pone la fattispecie al di fuori del campo di applicazione della norma di cui all’art. 169-bis”. Questa si

riferisce ai contratti ancora ineseguiti o non compiutamente eseguiti da entrambe le parti, “di modo tale che

il sacrificio che è imposto in forza di legge alla controparte in bonis trovi riscontro nella reciproca sospensione

della prestazione” posta a carico del l’imprenditore concordatario: il che è possibile, ad esempio, nel

contratto di leasing (se viene sospeso il pagamento del canone, lo è anche l’uso del bene), ma non in quello

di anticipazione bancaria, che “è contratto bilaterale a livello genetico, ma sostanzialmente unilaterale nella

fase funzionale del sinallagma, in cui eventuali obblighi accessori della banca (di rendiconto, di diligenza,

ecc.) non incidono sulla struttura fondamentale del rapporto”: cfr. Trib. Vicenza, decr. 25 giugno 2013, in

www.ilcaso.it. Nel caso del contratto di appalto, deve ritenersi che lo scioglimento potrebbe essere

autorizzato solo se residuino prestazioni a carico sia del committente (in relazione al pagamento del prezzo),

sia dell’appaltatore (in relazione al completamento dell’opera o del servizio oggetto di appalto).. Riguardo

ad un contratto di mutuo, stipulato ed adempiuto dalla mutuante prima del deposito della domanda ex art.

161 l. fall., il Trib. Monza, 16.01.2013, cit., in www.ilcaso.it, ha statuito nel senso che esso non può qualificarsi

come un rapporto pendente ai sensi dell’art. 169-bis, “configurandosi l’obbligazione restitutoria gravante sul

mutuatario come debito disciplinato dall’art. 55 l. fall. in forza del richiamo contenuto nell’art. 169 l. fall.

Conf., da ultimo, F. LAMANNA, La nozione di “contratti pendenti” nel concordato preventivo, cit.

26 La tesi sostenuta nel testo non è pacificamente condivisa. Cfr., ad es., nel senso che la “sospensione” del

rapporto contrattuale possa essere autorizzata ex art. 169-bis anche a fronte della perdurante prestazione da

parte del contraente in bonis, o, altrimenti detto, che l’autorizzazione del giudice possa investire anche

soltanto uno dei termini del rapporto, e cioè la prestazione del debitore, B. INZITARI, I contratti in corso di

esecuzione nel concordato, cit., 2.

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sarebbe difficilmente conciliabile con l’assunto, da cui si son prese le mosse,

secondo cui la novella in materia di contratti in corso di esecuzione nel c.p. ha

inteso agevolare il perseguimento di finalità conservative dell’impresa, non

invece incentivare l’inadempimento, da parte dell’imprenditore decotto, dei

contratti in essere, mettendogli in mano uno strumento abnorme, che non è in

alcun modo previsto dal diritto comune dei contratti e che, se può risultare assai

conveniente per l’imprenditore in crisi, minaccia di rovesciare un costo

sproporzionato sull’altro contraente.

4. Una breve digressione su contratti di durata ed il pagamento dei debiti per prestazioni anteriori

nel c.p.

Se l’istanza a cui ha riguardo l’art. 169-bis, co. 1, non viene presentata (ovvero, qualora se

ne ritenga possibile la proposizione in un momento successivo a quello del deposito del

ricorso ex art. 161 l. fall.27, finché non viene presentata), il rapporto contrattuale prosegue

secondo il programma originario delle parti e ad esso si applica la disciplina ordinaria dei

contratti a prestazioni corrispettive28.

Dunque, se una delle parti non adempie regolarmente, l’altra può rifiutare l’adempimento

della propria prestazione (c.d. eccezione di inadempimento)29, oppure invocare la clausola 27 Sul problema segnalato nel testo ci si intratterrà più avanti, nel § 8.

28 La prosecuzione del rapporto contrattuale non è ovviamente incompatibile con la rinegoziazione fra le

parti delle condizioni del medesimo, così come pattuite in origine, allo scopo di adeguarle al mutato assetto

della realtà economica sottostante, segnalato dal ricorso (di uno dei contraenti) alla procedura concorsuale di

concordato: infatti, secondo un’opinione accreditata nella giurisprudenza teorica e pratica (v., per

quest’ultima, Cass., 20.04.1994, n. 3775; Cass., 18.09.2009, n. 20106), si deve affermare la sussistenza, nei

contratti di durata, di un obbligo a rinegoziare, avente la sua fonte nel principio di buona fede. Cfr. in tal

senso Trib. Bologna, 26.04.2013, in www.ilcaso.it.

29 E’ dubbio invece se la parte contrattuale in bonis possa avvalersi della c.d. eccezione dilatoria (art. 1461

c.c.), e cioè sospendere l’esecuzione della prestazione da essa dovuta, in conseguenza della presentazione, da

parte dell’altro contraente, della domanda di ammissione a c.p. La soluzione, a mio avviso, non può che

essere articolata in relazione alle circostanze del caso concreto (conf. A. NIGRO, D. VATTERMOLI, Diritto

della crisi delle imprese, cit., 373 s.; nel senso della possibilità di invocare comunque l’art. 1461 c.c. nei confronti

dell’imprenditore assoggettato a c.p., ad es. M. VITIELLO, Gli effetti del concordato preventivo ecc., cit., 374 ):

altrimenti detto, la presentazione di detta domanda non è di per sé valutabile, nell’attuale contesto

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risolutiva espressa eventualmente inserita nel testo contrattuale, oppure citare in giudizio

l’altra per la pronuncia di risoluzione del contratto e la condanna al risarcimento del

danno fermo restando che, nel caso di azione di risoluzione per inadempimento e di

condanna al risarcimento danni esercitata dal contraente in bonis, questi non potrà

comunque promuovere azioni cautelari, né azioni esecutive sul patrimonio

dell’imprenditore, se non dal momento in cui il decreto di omologazione del concordato è

divenuto definitivo (art. 168, co. 1, l. fall.).

Le prestazioni dovute dall’imprenditore concordatario all’altro contraente (a titolo di

pagamento, di risarcimento del danno da ritardo, eccetera), che siano maturate

successivamente alla pubblicazione nel registro delle imprese del ricorso di cui all’art. 161

(cfr. artt. 168 e 184 l. fall.), gravano sulla massa: vanno cioè pagate alla scadenza secondo il

regime della prededuzione e non sono soggette alla falcidie concordataria.

La regola applicabile è dunque simile a quella espressamente dettata (dall’art. 104 l. fall.)

con riguardo alla prosecuzione dei contratti in caso di fallimento con esercizio provvisorio

dell’impresa, ma anche a quella vigente nell’ipotesi in cui, a prescindere dall’esercizio

provvisorio, il curatore fallimentare abbia deciso di optare per il subentro nel rapporto

contrattuale.

Per converso, i debiti anteriori, sorti a fronte delle prestazioni eseguite dal contraente in

bonis in un momento antecedente rispetto alla presentazione della domanda di c.p., come

nel caso di fallimento sono soggetti alla disciplina della insinuazione nel passivo e al

pagamento in moneta fallimentare, così vanno – nell’ipotesi del concordato – soddisfatti

secondo i criteri e secondo la percentuale previsti nella proposta e nel piano che

l’accompagna.

normativo, come segnale univoco di peggioramento delle condizioni patrimoniali del contraente, tale da

mettere in pericolo il conseguimento della controprestazione, posto che la giurisprudenza (cfr. ad esempio

Cfr. Cass., 15.06.2002, n. 7060) ha correttamente affermato che il peggioramento, per legittimare questa forma

di autotutela del contraente in bonis, deve essere serio ed irreversibile. In ogni caso, sull’eventuale

“sospensione della prestazione in autotutela” da parte del contraente in bonis dovrebbe prevalere, se

anteriore, l’iniziativa dell’imprenditore che presenta l’istanza di autorizzazione ex art. 169-bis.

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Deve a mio avviso ritenersi che ciò valga altresì - in questo diversificandosi la disciplina

del c.p. rispetto a quella dettata per il caso di fallimento – con riferimento ai crediti (del

contraente in bonis) scaturenti da contratti ad esecuzione continuata o periodica (che, in

base ad una valutazione di tipo empirico, si può supporre costituiscano la tipologia più

frequente di contratti suscettibili di prosecuzione o destinati comunque a proseguire nel

corso della procedura concordataria).

In vero, la regola del “trascinamento” enunciata al riguardo, con riferimento alla

procedura di fallimento, dall’art. 74 l. fall. (che prevede il pagamento integrale delle

consegne già avvenute o dei servizi già erogati sulla base di contratti ad esecuzione

continuata o periodica nei quali il curatore sia subentrato), non è richiamata dalle norme

sul concordato preventivo e non sembra perciò, di per sé, suscettibile di applicazione a

quest’ultima procedura; mentre deve ritenersi applicabile, in virtù delle norme di rinvio

ricordate all’inizio, alle procedura di l.c.a. (cfr. art. 201 l. fall.) e di amministrazione

straordinaria (cfr. art. 51 d. lg. n. 270/1999), per lo meno con riferimento ai crediti

derivanti da prestazioni pregresse eseguite sulla base di un contratto di

somministrazione30 e salvo, nell’a.s., il caso che il somministrante sia un imprenditore

operante in condizione di monopolio (cfr. art. 51, co. 2, d. lg. n. 270/1999).

Tale soluzione appare, in termini generali, difficilmente controvertibile alla stregua dei

dati positivi e corrisponde infatti all’orientamento maturato nella giurisprudenza di

merito e di legittimità31 già anteriormente alla novella del 2012; né sembra in alcun modo

scalfita o smentita dal disposto, del tutto “neutro” al riguardo, dell’art. 169-bis. E’ possibile

che essa sollevi qualche dubbio sul piano della ragionevolezza e dell’equità: è infatti

incontestabile che le controparti in bonis di contratti ad esecuzione continuata o periodica

ricevono, nel caso di assoggettamento dell’impresa a fallimento, un trattamento migliore

rispetto a quello che la legge accorda loro in caso di concordato preventivo e sono perciò 30 E’ infatti specificamente a questo tipo contrattuale, e non ai contratti ad esecuzione continuata o periodica

in generale, che faceva riferimento la disposizione dell’art. 74 l. fall., nel testo vigente al momento in cui

furono dettate le norme di rinvio ricordate nel testo. Si pone qui il consueto problema – che non può essere

trattato in questa sede - di stabilire se le disposizioni di una legge che facciano rinvio ad altre, risalenti

ovviamente ad un momento anteriore, includano nel rinvio (che viene allora detto “mobile”) anche le

successive modifiche delle disposizioni richiamate.

31 Cfr. Cass., 18.05.2005, n. 10429; Cass., 30.01.1997, n. 968; Trib. Varese, 11.04.2011, in www.ilcaso.it,

documento 4440.

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incentivate, nel primo caso a differenza che nel secondo, a mantenere la continuità del

rapporto con l’imprenditore in odore di decozione.

Ad attenuare la segnalata asimmetria di trattamento, vale la circostanza, già richiamata,

che i contraenti in bonis dell’imprenditore concordatario, se sono altresì creditori

dell’imprenditore ammesso al concordato, hanno titolo per partecipare alla votazione sulla

proposta concordataria ed hanno quindi la possibilità di esprimere con il voto il proprio

eventuale dissenso rispetto al “trattamento” riconosciuto ai loro crediti, così come

prefigurato nella proposta concordataria.

Una parziale deroga al divieto di pagamento integrale dei crediti da consegne eseguite o

servizi erogati anteriormente alla proposta concordataria sembra tuttavia scaturire, nel

caso in cui la domanda di concordato, preveda la c.d. continuità aziendale, dalla

disposizione dell’art. 182-quinquies, co. 4, l. fall., alla cui stregua può essere autorizzato dal

tribunale, eventualmente previa assunzione di “sommarie informazioni”, il pagamento in

prededuzione ai crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi32 che un professionista

munito dei requisiti di cui all’art. 67, co. 3, lettera d), abbia attestato essere indispensabili

(“essenziali”) “per la prosecuzione dell’attività d’impresa” e comunque “funzionali ad

assicurare la migliore soddisfazione dei creditori”; crediti che è possibile derivino da

prestazioni dedotte ed eseguite nell’ambito di un rapporto contrattuale di durata, stipulato

anteriormente e proseguito, in virtù del disposto degli artt. 169-bis e 186-bis, dopo la

presentazione della domanda di concordato33.

La deroga alla regola onde è interdetto, nel concordato, sottrarre al criterio del concorso

uno o più crediti anteriori – sia pure rientranti nella categoria per la quale l’art. 74 l. fall.

dispone il pagamento integrale in caso di fallimento - è tuttavia subordinata

all’autorizzazione dell’autorità giudiziaria, la quale a sua volta presuppone il parere di un

professionista designato dal debitore e munito dei requisiti di professionalità ed

indipendenza indicati nell’art. 67, co. 3, lettera d). Questi è richiesto di attestare

32 Il medesimo trattamento (e cioè il pagamento in prededuzione) è previsto a favore dei crediti derivanti da

finanziamenti c.d. ponte, erogati all’imprenditore da un terzo (non necessariamente una banca o un

intermediario finanziario), in funzione della presentazione della domanda di ammissione alla procedura di

concordato preventivo, qualora i finanziamenti siano previsti dal piano.

33 Cfr. A. MAFFEI ALBERTI (a cura di), Commentario breve alla legge fallimentare, cit., sub art. 182-quinquies, II,

4; L. ABETE, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Fallimento, 2013, 1108 ss, 1110 ss.

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l’essenzialità delle prestazioni, onde sono originati i crediti del cui soddisfacimento si

tratta, ai fini della prosecuzione dell’impresa e la conseguente funzionalità del pagamento

integrale all’obiettivo fondamentale della “migliore soddisfazione dei creditori”.

L’eventuale iniziativa del debitore, volta al pagamento per intero di determinati crediti

anteriori (in ipotesi inerenti a contratti pendenti, proseguiti dopo la presentazione del

ricorso per concordato preventivo), è dunque circondata di molteplici cautele: sul

presupposto che il debitore abbia proposto la relativa domanda, l’autorizzazione può

essere rilasciata solo a condizione che un professionista qualificato ed indipendente abbia

rilasciato il parere di cui si è detto; a meno che il debitore non disponga di nuove risorse

finanziarie, che gli siano state apportate “senza obbligo di restituzione o con obbligo di

restituzione postergato alla soddisfazione dei creditori” (cfr. art. 182-quinquies, co. 4,

ultima proposizione), nel qual caso può chiedere di essere autorizzato al pagamento, senza

dover produrre l’attestazione positiva del professionista.

Dunque: (i) i crediti vantati dal terzo contraente in bonis in relazione alle prestazioni

eseguite a favore dell’imprenditore concordatario sulla base di un contratto di durata

proseguito dopo l’ingresso nella procedura sono da soddisfare secondo le regole ordinarie,

e cioè a carico della massa dei creditori, (ii) i crediti vantati dal medesimo terzo contraente

in relazione a prestazioni da lui eseguite, in favore del medesimo imprenditore,

anteriormente all’inizio della procedura vanno soggetti alla falcidie concordataria, a meno

che non ne venga dal giudice autorizzato il pagamento in prededuzione a norma dell’art.

182-quinquies, co. 4, quando ricorrano i presupposti ivi menzionati e la proposta di

concordato ed il relativo piano prevedano la prosecuzione dell’attività d’impresa ex art.

186-bis.

5. Inefficacia, in caso di c.p., di clausole negoziali di scioglimento automatico dei contratti.

Il potere di iniziativa riguardo allo scioglimento/sospensione del contratto, riconosciuto

all’imprenditore concordatario dall’art. 169-bis, è stato talora34 ricondotto alla fattispecie

del diritto potestativo.

34 Cfr. Trib. Monza, 21.01.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Salerno, 25.10.2012, in www.ilfallimentaristA.it. .

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Si è tuttavia giustamente replicato che una siffatta ricostruzione pecca di semplicismo: non

sussiste infatti un rapporto diretto fra l’imprenditore ed il contraente in bonis, classificabile

secondo la coppia di situazioni soggettive diritto potestativo/soggezione. Il potere di

scioglimento non si attua e non si realizza ex se nei confronti dell’altra parte contrattuale,

in quanto richiede, come inequivocabilmente stabilito dall’art. 169-bis, l’intervento

autorizzatorio del giudice35, che dovrà esercitarlo sulla base di determinati criteri e di

un’accurata ponderazione, finalizzata al loro reciproco contemperamento, dei diversi

interessi in gioco (al riguardo si veda il paragrafo seguente).

Richiede, altresì ed in ogni caso, l’iniziativa del debitore: lo scioglimento (così come la

sospensione) del rapporto contrattuale non possono verificarsi automaticamente in

conseguenza della presentazione della domanda di concordato (né dell’accoglimento della

stessa o della successiva omologazione del patto concordatario), neppure nell’ipotesi di

concordato qualificabile – dal punto di vista del contenuto della proposta – come

meramente liquidatorio.

Potrebbe la soluzione essere diversa nel caso in cui il contratto preveda e disciplini

espressamente l’ipotesi dell’assoggettamento di una delle parti al c.p., facendone derivare

lo scioglimento immediato del rapporto? Altrimenti detto, potrebbe una siffatta clausola

contrattuale considerarsi legittima, posto che – come già si è constatato - il principio

dell’inefficacia di patti o clausole convenzionali che ricolleghino all’instaurazione della

procedura di concordato lo scioglimento dei rapporti contrattuali anteriori ed ancora

pendenti è enunciato expressis verbis con riferimento al modello del concordato con

continuità aziendale (art. 186 bis, co. 3) e non con riferimento al concordato in generale?

Ora, sembra ragionevole assumere che il medesimo principio trovi applicazione in tutte le

ipotesi di concordato (in continuità, liquidatorio, ovvero misto), indipendentemente –

dunque - dalle modalità di attuazione dello stesso e dai contenuti della proposta e del

piano.

A favore di detto assunto milita innanzi tutto l’argomento sistematico, e cioè la coerenza

del principio, onde è precluso all’autonomia negoziale delle parti dettare regole che

35 Si è discorso in dottrina, con riferimento all’ipotesi di risoluzione del vincolo contrattuale contemplata

nell’art. 169-bis, di atto negoziale unilaterale di scioglimento del contratto o di atto negoziale di recesso, per

il cui esercizio serve l’autorizzazione giudiziale o la cui efficacia è subordinata a detta autorizzazione.

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facciano discendere lo scioglimento del contratto dall’ingresso dell’imprenditore nella

procedura di c.p., con la regola generale per la quale i rapporti contrattuali in corso

proseguono nel concordato, a sua volta del tutto coerente con la struttura e le finalità di

detta procedura concorsuale, che può prescindere dallo stato di insolvenza

dell’imprenditore e che comunque è imperniata sulla permanenza in capo al’imprenditore

in crisi della gestione e del possesso dei beni costituenti il suo patrimonio e la sua azienda,

salva la loro eventuale messa in liquidazione, o la cessione ai creditori, se previste nella

proposta e nel piano come mezzo per realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori

medesimi.

A corroborare l’argomento sistematico, si potrebbe addurre, ancora, l’argomento “a

fortiori”, basato sulla presenza di un siffatto principio nella disciplina del fallimento, cosi

come novellata dal d. lg. n. 5/2006: ora, se per l’art. 72, co. 6, l.fall. sono prive di effetto le

clausole negoziali che fanno dipendere dall’assoggettamento dell’imprenditore alla

procedura fallimentare la risoluzione dei rapporti contrattuali preesistenti, a maggior

ragione dovrebbe escludersi l’operatività di dette clausole di risoluzione automatica nel

concordato preventivo in genere, e cioè non solo in quella specifica ipotesi di concordato

che si caratterizza per la previsione della continuità di esercizio dell’impresa (c.d.

continuità aziendale).

Per altro, l’argomento in esame potrebbe cadere nel caso di contratti (ad esempio, su

derivati finanziari) che presentino profili di transnazionalità e siano comunque

assoggettati ad una disciplina – anche solo convenzionale – di natura internazionale o

sovranazionale, la quale preveda la risoluzione automatica del vincolo contrattuale per

effetto del dissesto dell’impresa e del suo ingresso in una procedura concorsuale, pur

dovendosi in tali casi di volta in volta verificare se la nostra procedura di concordato

preventivo, con le sue peculiarità e le sue differenti modalità attuative, possa ritenersi

compresa nelle fattispecie di “bankruptcy” o di procedure liquidatorie variamente

denominate, a cui la specifica clausola contrattuale faccia testualmente riferimento.

6. I criteri ispiratori della decisione giudiziale sull’istanza di autorizzazione presentata ai sensi

dell’art. 169-bis: comparazione e bilanciamento dei diversi interessi in gioco.

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In talune pronunce della giurisprudenza di merito, si legge che il giudice investito della

richiesta ex art. 169-bis potrebbe limitarsi ad una “mera presa d’atto”36 della volontà

manifestata dal contraente-imprenditore in crisi, e che, comunque, non sarebbe possibile

ricavare dalla citata disposizione “un criterio in base al quale parametrare questo genere di

autorizzazioni”37.

Una siffatta affermazione, circa la mancanza nella legge di criteri idonei a consentire (al

giudice investito dell’istanza ex art. 169-bis) una selezione ed un bilanciamento fra diversi

interessi, in ipotesi toccati dalla vicenda dello scioglimento/sospensione di contratti in

corso di esecuzione nel momento in cui sia presentata una domanda di concordato, non

può essere condivisa. Infatti, quand’anche la disposizione che prevede uno specifico

potere autorizzatorio del giudice non contenga alcuna indicazione espressa al riguardo,

l’interprete dev’essere in grado di individuare gli interessi sottostanti alla vicenda in

relazione alla quale l’esercizio di quel potere viene sollecitato e di ricavare dalla lettura

sistematica delle norme rilevanti il criterio e o i criteri che debbono guidare ed ispirare la

decisione se rilasciare o meno l’autorizzazione richiesta38.

Occorre dunque far capo, nel nostro caso, alla disciplina positiva del concordato

preventivo ed alla sintassi degli interessi ad essa sottostanti39.

Al riguardo, è ragionevole assumere che la formula della “migliore soddisfazione” o del

“miglior soddisfacimento” dei creditori, evocata ad esempio nei commi 1 e 4 dell’art. 182-

36 Cfr. Trib. Salerno, 25.10.2012, cit.

37 Ancora Trib. Salerno, 25.10.2012, cit.

38 In altri termini, si può affermare che la norma onde è previsto, in relazione ad una determinata circostanza

o complesso di circostanze,, il potere del giudice di autorizzare o meno determinati comportamenti dei

privati, è, di per sé, e cioè anche quando non contenga un esplicito riferimento a clausole generali

disciplinanti l’esercizio di quel potere, una norma “elastica”. Su tale concetto, vedi, di recente, F. DENOZZA,

Clausole generali, interessi protetti e frammentazione del sistema, in Studi in ricordo di P.G. Jaeger, Milano, 2011, 25

ss., 27 ss.

39 Bisogna infatti astenersi dal pensare che si tratti di un solo interesse; così come si riconosce oggi, in

generale, non essere uno solo l’interesse onde è ispirato il diritto della crisi d’impresa.. Cfr., nel senso della

“rilevanza di plurimi interessi come dato che qualifica di nuova complessità l’attuale procedura” (con

riferimento al fallimento ed al concordato fallimentare), G. D’ATTORRE, I concordati “ostili”, Milano, 2012, p.

120 ss.

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quinquies, nonché nel co. 2, lettera b) dell’art. 186-bis, possa valere come clausola generale,

idonea ad orientare, nei casi dubbi, anche la decisione che viene demandata all’autorità

giudiziaria ai sensi dell’art. 169-bis: dunque, il giudice, richiesto dell’autorizzazione a

sciogliere un determinato contratto, si dovrà far carico anzitutto della valutazione

dell’interesse dei creditori concorsuali a non subire i costi legati alla prosecuzione dello

stesso in un contesto di crisi dell’imprenditore-contraente40, là dove risulti dalla proposta e

dal piano, di cui l’istanza de qua è, a mio avviso, da ritenere parte integrante (non tanto in

senso documentale, bensì piuttosto nel senso della sua necessaria inerenza e coerenza con i

contenuti dei due suddetti documenti), che detti costi si prospettano comunque superiori

ai benefici attesi.

E’ appena il caso di aggiungere che, nell’adottare come parametro generale di giudizio

quello del “miglior soddisfacimento” del ceto creditorio, occorre altresì tener conto del

tipo e del contenuto economico specifico del rapporto contrattuale di cui s’invoca la

risoluzione o la sospensione, nonché della specifica tipologia di concordato, nel cui

contesto è avanzata l’istanza di autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione del

rapporto contrattuale medesimo.

L’intervento ablativo (o anche solo sospensivo) sul rapporto contrattuale pendente va, in

altri termini, inquadrato e giustificato diversamente, a seconda che la proposta

concordataria preveda la liquidazione dei beni, la loro cessione in blocco a terzi, o la

continuazione dell’attività d’impresa, ovvero abbia contenuto misto (è l’ipotesi del

concordato parzialmente liquidatorio e parzialmente in continuità41); la circostanza che,

come già notato all’inizio di questo scritto, la disciplina dell’art. 169-bis non distingua e

non discrimini fra le diverse tipologie di concordato e che l’art. 186-bis, in materia di

40 Un ulteriore profilo di salvaguardia degli interessi dei creditori, attraverso la sospensione o lo

scioglimento di determinati contratti di natura bancaria e finanziaria intercorrenti con banche, è rilevato da

taluni giudici con riferimento all’interesse del ceto creditorio a contrastare eventuali alterazioni della par

condicio, come quelle che conseguirebbero alla prosecuzione di detti rapporti e alla compensazione da parte

della banca dei propri crediti con le somme pervenute sul conto corrente dell’imprenditore: cfr., ad esempio,

Trib. Piacenza, 1.03.2013, in www.ilcaso.it. Qui però si sfiora un diverso ordine di problemi (relativi agli

effetti del c.p. e delle procedure concorsuali in genere sui rapporti contrattuali pendenti fra l’imprenditore e

le banche) parzialmente distinto e diverso da quello qui esaminato e tale da richiedere uno specifico studio,

che non può essere affrontato in questa occasione.

41 Cfr. ad esempio Trib. Mantova, 19.09.2013, in www.ilcaso.it.

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concordato con continuità aziendale, contenga un espresso richiamo al disposto dell’art.

169-bis, non vale affatto ad esonerare il giudicante da una riflessione articolata e da una

ponderazione analitica dei diversi interessi in gioco, in relazione al caso concreto ed alle

sue peculiarità.

In particolare, nell’ipotesi in cui la proposta concordataria preveda la continuazione

dell’attività d’impresa con l’intera azienda, ovvero anche soltanto con un ramo della

stessa, il criterio ispiratore della decisione se autorizzare o meno lo scioglimento di un

determinato rapporto contrattuale sarà costituito dalla “essenzialità”42 o meno di quel

rapporto, ovvero del suo scioglimento, per la prosecuzione dell’attività, secondo le

modalità prefigurate nella proposta: è, dunque, con l’esigenza di favorire la continuità

dell’impresa che andrà ponderato il criterio, pur sempre rilevante, dei creditori al miglior

soddisfacimento delle proprie pretese, nonché quello del debitore, orientato – in ipotesi –

all’ablazione di un vincolo contrattuale ritenuto economicamente gravoso, superfluo o,

comunque, non rispondente alle necessità del nuovo piano industriale43, . Altrimenti

detto: nel caso che la proposta concordataria preveda la continuità aziendale, è plausibile

che l’interesse, come sopra configurato, dei creditori e quello del debitore concordatario

debbano cedere il passo a fronte dell’interesse, normativamente riconosciuto come

rilevante (cfr. art. 186-bis), alla continuazione dell’attività dell’impresa. Del resto,

un’istanza di autorizzazione allo scioglimento di un contratto essenziale ai fini della

prosecuzione dell’attività d’impresa, ove formulata nell’ambito di una proposta

concordataria siffatta, paleserebbe un profilo di contraddittorietà della proposta

medesima; il che potrebbe esporla al rischio del rigetto della domanda di

ammissione/omologazione, oltre che a quello della mancata approvazione da parte del

ceto creditorio.

Il terzo polo della valutazione comparativa e del bilanciamento d’interessi che il giudice è

chiamato di volta in volta a compiere è costituito dall’interesse del contraente in bonis: in

vero, la graduazione degli interessi è stata in apicibus compiuta dal legislatore, che,

42 Si tratta di una formula consapevolmente ripresa dal più volte citato art. 182-quinquies, 4° co., dove viene

adoperata per indicare il criterio che – oltre a quello del miglior soddisfacimento dei creditori – vale ad

orientare la decisione del giudice se autorizzare o meno il pagamento in prededuzione di crediti anteriori per

prestazioni di beni o servizi.

43 Cfr. Trib. Novara, 27.03. 2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8819.

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consentendo l’intervento ablativo o anche solo sospensivo sul contratto in corso di

esecuzione, in assenza di un qualunque difetto funzionale del sinallagma, e collocando il

credito per l’indennizzo fra quelli concorsuali, ha posto l’interesse in questione – inteso,

tipicamente, come interesse alla regolare esecuzione del rapporto contrattuale fino alla

scadenza convenuta - su un gradino inferiore rispetto agli altri interessi rilevanti nel caso

di specie. Tuttavia, il giudice investito dell’istanza ex art. 169-bis è tenuto comunque a

valutare l’entità, nel caso concreto, del sacrificio subito dal contraente in bonis, anche in

relazione all’entità dell’indennizzo quantificato nell’istanza medesima, e a verificare che

tale sacrificio non sia del tutto sproporzionato rispetto al beneficio che dallo scioglimento

o dalla sospensione ritraggono il creditore ed i debitori: un palese disequilibrio tra i

vantaggi ed i costi della soluzione che il debitore propone, con l’istanza di cui all’art. 169-

bis, di adottare, non sarebbe, infatti, accettabile. Altrimenti detto: la previsione di un

indennizzo del tutto inadeguato potrà condurre al diniego dell’autorizzazione; il

medesimo esito potrebbe tuttavia giustificarsi altresì in considerazione, per esempio,

dell’esiguità del vantaggio per i creditori (sotto forma di risparmio di costi a carico

dell’imprenditore) in relazione al grave pregiudizio che al contraente in bonis potrebbe

derivare dallo scioglimento di un determinato contratto, ad esempio nel caso in cui questo

costituisca una voce importante del suo volume d’affari o nel caso che l’altro contraente, a

sua volta imprenditore, abbia come unico cliente, o quasi, l’imprenditore concordatario.

Stante il carattere fortemente invasivo della sfera dell’autonomia negoziale, che

l’intervento ablativo o sospensivo ex art. 169-bis riveste, appare difficilmente eludibile

l’esigenza della salvaguardia della proporzione di cui si è detto.

Infine, specie se l’istanza di autorizzazione allo scioglimento di uno o più rapporti

contrattuali viene presentata unitamente alla domanda iniziale di concordato, e non in

sede di modifica successiva della stessa, il tribunale non potrà non farsi carico di una

delibazione almeno sommaria (i.e., quanto al fumus) dell’ammissibilità del concordato

stesso, astenendosi dal rilasciare la richiesta autorizzazione ove la valutazione del fumus

abbia esito negativo: altrimenti detto, in presenza di fondati dubbi circa il positivo

svolgimento (sino al decreto di ammissione e poi al decreto di omologa) dell’iniziativa

concordataria, la valutazione comparativa d’interessi, di cui si è fin qui discorso, dovrebbe

condurre ad una decisione di rigetto, risultando – in un contesto siffatto – ingiustificato ed

ingiustificatamente gravoso per il contraente in bonis qualunque tipo di intervento (anche

solo sospensivo) su un contratto in corso di esecuzione.

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Spigolando nella giurisprudenza fin qui edita, si osserva che la decisione di autorizzare lo

scioglimento di un contratto pendente è:

- talora motivata dal rilievo che la conservazione di quel determinato rapporto non

manifesta alcuna funzionalità rispetto alle prospettive ed agli obiettivi assunti nel

piano di concordato: è questo, per esempio, il caso di un contratto di affitto di

azienda, che l’imprenditore chiedeva di essere autorizzato a risolvere, invocando la

circostanza che il contratto non produceva più alcuna utilità sul piano economico,

per essere l’affittuario da tempo inadempiente, tanto che nel piano di concordato si

prospettava l’abbandono di questa formula organizzativa per quella dell’esercizio

diretto dell’azienda da parte del titolare;

- talaltra sorretta dall’argomento che il contratto in questione è produttivo di oneri

economico-finanziari non più proporzionati alla sua effettiva utilità per il debitore o

per l’impresa, per cui l’obiettivo della migliore soddisfazione dei creditori ne

impone la risoluzione e l’eventuale sostituzione, se permane l’esigenza di

approvvigionarsi di quel determinato bene o servizio, con un contratto meno

gravoso: così, per esempio, si è ritenuta “rispondente all’interesse dell’impresa (…) la

sospensione o lo scioglimento di contratti di fornitura o di servizi (nella specie si trattava

dei servizi di telefonia fissa e mobile e della fornitura di connessione ad internet,

n.d.r.), per la loro sostituzione con altri, qualora tale scelta risulti significativamente

vantaggiosa in termini economici (…) e compatibile con un progetto di riorganizzazione

aziendale volto al ridimensionamento dell’attività ed al risparmio di spesa”44; frequente è

poi il rilievo45 secondo cui “l’autorizzazione allo scioglimento dei contratti in corso di

esecuzione nell’ambito del c.p. deve contemperare l’interesse del debitore con quello della

controparte contrattuale”, posto che la produzione di effetti irreversibili, come quelli

derivanti dallo scioglimento dei contratti in corso di esecuzione, si giustifica “solo

quando detti effetti siano effettivamente funzionali alla realizzazione del piano

concordatario”; ragion per cui la richiesta di scioglimento dei contratti deve essere

accompagnata dalla (e valutata sulla base della) “rappresentazione dell’incidenza dei

costi della prosecuzione degli stessi sulla procedura concorsuale”.

44 Cfr. ancora Trib. Novara, 27.03.2013, cit.; Trib. Monza, 21.01. 2013, cit., in www.ilcaso.it.

45 Cfr. Trib. Piacenza, 5.04.2013, cit.; v. altresì Trib. Roma, 30.01.2013, in www.ilfallimentaristA.it.

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Il principio di continuità dei rapporti contrattuali, che ispira la disciplina del concordato,

può talora comportare, per il debitore concordatario, costi difficilmente sostenibili e

comunque ostativi al conseguimento degli obiettivi che con il concordato preventivo ci si

prefigge: si fa qui riferimento non solo ai costi monetari, ma anche, più latamente, al costo

che deriva dalla incoerenza o dalla scarsa funzionalità di un determinato contratto rispetto

al mutato indirizzo gestionale e alla nuova programmazione dell’attività, modificata in

ragione dello stato di crisi dell’imprenditore.

Il giudice investito dell’istanza ex art. 169-bis è perciò tenuto a ponderare e comparare il

costo della prosecuzione di quel determinato rapporto contrattuale o del fascio di rapporti

a cui l’istanza si riferisce (in termini di sforzo organizzativo, o di esborso monetario, con

conseguente appesantimento dell’esposizione debitoria dell’impresa ed aggravio della

posizione dei creditori anteriori), con i benefici che la prosecuzione stessa è in grado di

produrre, in termini di incidenza positiva sulla realizzazione del piano di concordato (in

particolare, nel caso di concordato in continuità, sul recupero di redditività e di

competitività da parte dell’impresa) e di incremento delle possibilità di soddisfacimento

del ceto creditorio.

A guisa di riepilogo delle riflessioni svolte, si osserva che la valutazione comparativa di

interessi, a cui è chiamato il giudice investito di una istanza ex art. 169-bis, è

particolarmente complessa ed esige di essere condotta sulla base della conoscenza in

dettaglio, da parte del giudice medesimo, dei costi/benefici che lo scioglimento o, al

contrario, la prosecuzione di un determinato contratto comporta. Potrebbe perciò apparire

singolare il fatto che, rispetto a tale attività di valutazione e di prognosi il giudice venga

lasciato “solo”, nel senso che non è previsto, dall’art. 169-bis46, il deposito, unitamente

all’istanza di autorizzazione allo scioglimento di determinati rapporti contrattuali,

dell’attestazione di un professionista munito dei requisiti di professionalità e di

indipendenza di cui all’art. 67, co. 3, lettera d). E’ però del tutto plausibile che, se, come qui

sostenuto, l’istanza ex art. 169-bis, là dove presentata, costituisce parte integrante della

proposta e del piano, della stessa si debba specificamente occupare, nell’ambito ed ai fini

46 A differenza che in altre ipotesi, pure regolate nell’ambito del concordato preventivo: cfr. art. 182-

quinquies, 1° co.; art. 182-quinquies, 4° co.. La decisione “solitaria” del giudice, in merito ad autorizzazioni

richieste dal debitore, è prevista anche nelle ipotesi di cui all’art. 167, 2° co., e all’art. 168, 3° co., l.fall.

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dell’analisi e dell’attestazione di “fattibilità”47 del concordato, il professionista, avente i

requisiti di cui al co. 3, lettera d) dell’art. 67 l.fall., nella relazione che gli compete alla

stregua dell’art. 161, co. 3; relazione che, com’è noto, l’imprenditore deve indefettibilmente

allegare alla proposta ed al piano e poi ancora presentare, in una versione “aggiornata”,

nel caso di modifica sostanziale dell’una o dell’altro.

7. Sospensione/scioglimento dei contratti in corso di esecuzione e disciplina del concordato “con

riserva”.

E’ apparso a molti discutibile, ma al tempo stesso è di frequente accaduto, come

chiaramente attesta la giurisprudenza pratica successiva al d.l. n. 83/2012, che lo

scioglimento o la sospensione di uno o più rapporti contrattuali pendenti vengano richiesti

contestualmente alla presentazione della domanda di concordato “con riserva” (s’intende,

con riserva di produrre in un momento successivo, entro il termine stabilito dal giudice, la

proposta, il piano e tutta la documentazione richiesta dai commi 2 e 3 dell’art. 161).

In vero, sin dai primi mesi successivi all’entrata in vigore del citato decreto, è stata oggetto

di un vivace dibattito la questione se la peculiare disciplina dettata dall’art. 169-bis trovi

applicazione anche nel caso di (ed al momento della) presentazione di una domanda di

concordato “in bianco” o “con riserva” o “prenotativa”; presentazione che, com’è noto, è

oggi consentita, allo scopo sia di incentivare la tempestiva rilevazione ed emersione dello

stato di crisi, sia di anticipare a tale momento l’apertura dell’ombrello rotettivo

sull’imprenditore nei confronti dei suoi creditori, dal co. 6 dell’art. 161 l. fall., introdotto

con il medesimo decreto legge 83 del 2012.

47 L’attestazione di fattibilità richiede infatti una valutazione al tempo stesso analitica e sintetica, diagnostica

e prognostica, delle diverse “azioni” contemplate nel piano concordatario, diretta a saggiarne la coerenza

con il progetto complessivo di soluzione della crisi che sta alla base del piano stesso, allo scopo di verificare

(e, se del caso, attestare), la sua plausibilità, e cioè la concreta potenzialità di realizzazione del progetto in

esso contenuto. Non è da escludere, per altro, l’ipotesi che la fattibilità riposi (e possa essere quindi

positivamente attestata) sul presupposto dello scioglimento di un determinato rapporto contrattuale in corso

(recte, dell’accoglimento da parte del giudice della relativa istanza): al riguardo, desta qualche perplessità la

decisione negativa (e cioè nel senso dell’impossibilità di accordare l’autorizzazione allo scioglimento di un

determinato contratto, stante l’incidenza dello scioglimento stesso sulla fattibilità giuridica del piano)

contenuta nella citata sentenza del Trib. Roma, 6.11.2013, inedita.

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A favore della soluzione affermativa, si è invocata la circostanza che detta domanda si

propone comunque con il ricorso previsto dall’art. 161, per cui essa – nonostante la

peculiarità del suo contenuto, che viene lasciato temporaneamente “in bianco” – dovrebbe

ritenersi idonea a produrre tutti gli effetti che la legge ricollega, testualmente, al deposito

del ricorso per concordato preventivo, ovvero alla sua pubblicazione nel registro delle

imprese: per esempio, come si è appena ricordato, essa produce comunque l’effetto di

inibire l’esercizio delle azioni esecutive e cautelari individuali sul patrimonio del debitore

(cfr. art. 168, 1° co.1, l.fall.). Anche la regola che consente all’imprenditore di richiedere

l’autorizzazione allo scioglimento/sospensione dai contratti in corso di esecuzione indica

il ricorso ex art. 161 come il documento nel quale detta richiesta può essere inserita, senza

prospettare alcuna distinzione fra l’ipotesi del ricorso “completo” e quella del ricorso

presentato “in bianco” o meramente prenotativo, in tal modo giustificando, ad avviso di

alcuni, l’assunto che nessuna distinzione sussista, sotto il profilo ora considerato, fra

l’ipotesi in cui l’imprenditore presenti la proposta ed il piano di concordato unitamente

alla domanda e quella in cui si limiti invece a presentare, in un primo momento, con il

ricorso ex art. 161, la sola domanda.

Da altri si è replicato che il tenore testuale dell’art. 169-bis fornirebbe semmai un

argomento contrario alla tesi dell’immediata applicabilità della norma onde è consentito

all’imprenditore avanzare la richiesta di autorizzazione a risolvere o a sospendere uno o

più contratti preesistenti. Infatti, si è osservato, là dove il legislatore ha voluto anticipare

l’applicabilità di una determinata regola alla presentazione della semplice domanda

“prenotativa” di concordato, non corredata ancora della proposta e del piano, lo ha

dichiarato espressamente (così per esempio nell’art. 182-quinquies, co. 4, inserito nella legge

fallimentare con il medesimo decreto n. 83/2012); dal silenzio che, per converso, ha

serbato sul punto nel disposto dell’art. 169-bis, sembrerebbe allora doversi inferire che

l’autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione di uno o più rapporti contrattuali

pendenti non può essere richiesta, né ovviamente rilasciata, se non sulla base di una

proposta e di un piano già elaborati (salva la possibilità di modifiche successive) e noti,

perciò, al giudice investito dell’istanza de qua.

Un argomento che ulteriormente si è addotto contro la tesi dell’applicabilità dell’art. 169-

bis fin dal deposito del ricorso per concordato con riserva, è quello per cui, nelle more

della presentazione della proposta e del piano, l’imprenditore che ha depositato il ricorso

“in bianco” potrebbe decidere di modificare l’impostazione iniziale, depositando la

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domanda di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell’art.

182-bis e così abbandonando l’area in cui trova applicazione il disposto dell’art. 169-bis: se

nel frattempo, sulla base di tale disposizione, fosse stato autorizzato a sciogliersi da un

determinato vincolo contrattuale, il sopravvenuto mutamento di rotta dovrebbe dar luogo

al ripristino di quel vincolo; ma è fin troppo facile rappresentarsi le difficoltà anche

pratiche che una soluzione siffatta porterebbe con sé.

Consapevole delle difficoltà che si sono succintamente richiamate, la giurisprudenza, nei

casi – significativamente, tutt’altro che sporadici - in cui è stata chiamata ad occuparsi

della questione, si è mostrata incline a valutare con particolare prudenza le istanze

presentate, relativamente ai rapporti contrattuali pendenti, nel contesto di una domanda

di concordato con riserva; ed incline altresì a rigettare dette istanze nei casi in cui la

domanda di concordato sia completamente “in bianco”, e cioè del tutto carente di elementi

motivazionali idonei a giustificare il richiesto scioglimento e a dimostrarne la coerenza con

il tipo di iniziativa programmato dall’imprenditore in crisi48.

Infatti, si è correttamente osservato49, “occorre evitare la produzione di effetti irreversibili

conseguenti allo scioglimento dei contratti pendenti, che possono ritenersi giustificati soltanto

quando risultano effettivamente funzionali alla realizzazione del piano concordatario, nel caso di

specie neppure ancora delineato ed anzi indicato come opzione subordinata rispetto allo strumento

concorsuale disciplinato dall'art. 182-bis I.f., che è essenzialmente fondato sull’accordo con (alcuni)

creditori e che dunque rifugge da ogni intervento unilaterale sui rapporti pendenti”. In difetto

della “valutazione di superfluità” dei contratti di cui era stato chiesto, nella specie, lo

scioglimento, aventi ad oggetto servizi finanziari, in relazione alla prosecuzione

dell’attività d’impresa, e stante “la genericità della prospettiva concordataria”, che “non

consente in questa fase di comprendere quali costi complessivi dell'operazione di scioglimento la

società ricorrente intenda appostare a titolo di indennizzo” in favore dell’altro contraente, si è

motivato alla stregua di tali considerazioni il diniego dell’autorizzazione allo scioglimento

48 Cfr. Trib. Roma, 30.01.2013, cit.

49 Cfr. Trib. Piacenza, 5.04.2013, in www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/8798

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(sia pure temperando tale diniego con l’autorizzazione alla sospensione dei contratti de

quibus per 60 giorni50).

Sembrano dunque essersi formati, riguardo al problema qui esaminato, due diversi partiti:

(i) da un lato, vi sono coloro che ritengono possibile l’autorizzazione allo scioglimento (e

alla sospensione) dei contratti preesistenti anche nella fase del concordato “con riserva”51,

purché già in quel momento siano noti gli elementi essenziali della proposta e del piano

concordatari ed il grado di incidenza dello scioglimento sul buon esito della procedura

(ovvero i riflessi negativi che sul medesimo esito sarebbero spiegati dalla continuazione

del contratto)52, in modo ad assicurare un adeguato bilanciamento dei diversi interessi e

da scongiurare l’assunzione al buio di decisioni idonee ad incidere anche pesantemente

sulla posizione di terzi (il contraente in bonis);

(ii) dall’altro, vi è il partito di coloro che ritengono invece possibile, in questa fase,

autorizzare esclusivamente la sospensione53, non lo scioglimento del vincolo contrattuale,

50 Durante i quali gli istituti di credito con cui erano intercorsi i contratti di anticipazione bancaria o di

cessione pro solvendo dei crediti, oggetto del provvedimento di sospensione, avrebbero dovuto rimettere

nella disponibilità della società ricorrente le somme versate dai clienti di quest'ultima (per rimessa diretta o

in qualsiasi altra forma e modalità) e gli istituti di credito con cui erano intercorsi contratti di swap avrebbero

dovuto astenersi dall’addebitare poste passive in relazione a quei rapporti: cfr. ancora Trib. Piacenza,

5.04.2013, cit.

51 Trib. Modena, 30.11.2012, in www.ilcaso.it; Trib. La Spezia, 24.10.2012, in Fallimento, 2013, 77; Trib. Como,

5.11.2012, in www.ilcaso.it.

52 Cfr. infatti Trib. Catanzaro, 23.01.2013, in www.ilfallimentarista.it, che, al fine di valutare l’opportunità – in

relazione ai diversi interessi in gioco - del rilascio dell’autorizzazione allo scioglimento di determinati

contratti, ritiene di dover chiedere all’imprenditore chiarimenti sui punti di cui si fa cenno nel testo,

assegnandogli all’uopo un termine. Su posizioni analoghe, Trib. Monza, 16.01.2013, in

www.ilfallimentarista.it; Trib. Monza, 21.01.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Roma, 30.01.2013, cit., dove il

diniego di autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione di un contratto preliminare di acquisto di

un’azienda viene motivato con l’assenza di elementi idonei ad illustrare il contenuto del piano ed a

consentire la valutazione delle conseguenze dello scioglimento sull’attuazione del piano medesimo; Trib.

Piacenza, 5 aprile 2013, cit.; e già Trib. Mantova, 27.09.2012, in Fallimento, 2013, 101.

53 Cfr. Trib. Udine, 25.09.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Vercelli, 20.09.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Pistoia,

9.07.2013, ibidem; Trib. Vicenza, 25.06.2013, ibidem; Trib. Roma, 20.02.2013, in www.ilfallimentarista.it; Trib.

Busto Arsizio, 11.02.2013, in www.ilcaso.it, con riferimento a contratti bancari e con lo specifico scopo di

evitare che la banca ponga in compensazione i propri crediti verso l’imprenditore ricorrente ex art. 161, 6° co,

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stante il carattere provvisorio ed interinale del primo tipo di intervento, che ne

assicurerebbe la compatibilità con l’assetto di interessi che caratterizza la fase del pre-

concordato. Si è al riguardo sostenuto54 che la sospensione potrebbe essere accordata

anche nel caso in cui l’imprenditore abbia richiesto di essere autorizzato a sciogliersi dal

vincolo contrattuale: sussisterebbe infatti, fra domanda di scioglimento e domanda di

sospensione, un rapporto di continenza, tale da giustificare l’accoglimento della seconda

anche quando sia stata presentata solo la prima, quasi che la richiesta di autorizzazione a

sciogliere un determinato rapporto contrattuale recasse implicitamente in sé la domanda

di autorizzazione a sospenderne l’efficacia e l’esecuzione.

Ora, la prima delle soluzioni proposte da un lato denota una certa ambiguità (in quanto

sembra far capo ad una terza fattispecie, in vero non prevista testualmente dalla norma

positiva, collocata a metà strada fra il concordato “in bianco” ed il concordato “pieno”: in

vero, se molti sono gli elementi già noti, forse la domanda di concordato non può più

considerarsi “in bianco”), dall’altro amplia notevolmente la discrezionalità del giudice

(che, in sostanza, viene reso arbitro di stabilire, caso per caso, se possano o meno

considerarsi sufficienti gli elementi del piano concordatario già noti e disvelati, ai fini della

decisione sullo scioglimento di determinati contratti).

La seconda soluzione, a mio avviso, non solo presenta le debolezze della prima, ma si basa

altresì su una regola – quella per la quale, in assenza di qualsiasi dato oggettivo sugli

intenti dell’imprenditore e sui contenuti del suo piano di concordato, i contratti in corso

possono essere sospesi e non sciolti – che non trova alcun riscontro nel dato testuale: da

questo punto di vista, non può non riconoscersi, a mio avviso, un qualche rilievo

all’argomento, già ricordato, secondo cui, là dove il legislatore ha voluto che una

determinata regola fosse applicata anche al pre-concordato, lo ha stabilito in maniera

esplicita. Non risulta esservi, in altri termini, alcun appiglio testuale all’assunto che la

graduazione (sospensione, scioglimento) dei “rimedi” alla sopravvenuta onerosità o alla

sopravvenuta superfluità del rapporto contrattuale per l’imprenditore in crisi sia stata

prevista, dall’art. 169-bis, in considerazione della possibilità che l’intervento sul rapporto

l.fall. e le somme che affluiscono sui conti correnti di quest’ultimo (in senso contrario, tuttavia, sulla

questione specifica, cfr. App. Brescia, 29.05.2013, in www.dirittobancario.it); Trib. Pistoia, 30.10.2012, in

Fallimento, 2013, 74.

54 Cfr. Trib. Piacenza, 5.04.2013, in www.ilcaso.it.

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contrattuale medesimo sia richiesto nell’ambito di una domanda di pre-concordato55; è

plausibile, piuttosto che la possibilità di autorizzare la sospensione (in luogo e prima dello

scioglimento) sia stata concepita, e positivamente stabilita, in funzione di ipotesi nelle

quali, pur essendo la domanda di concordato già corredata della documentazione richiesta

dall’art. 161, le prospettive della specifica vicenda concordataria risultino a tal punto

incerte, da sconsigliare un intervento sul contratto che si caratterizzi in termini di

irreversibilità.

La soluzione preferibile del nostro problema appare allora essere quella più rigida56, che

tendenzialmente (e cioè fatta salva in ogni caso la considerazione del caso concreto e delle

sue peculiarità57) esclude la possibilità di sciogliere ovvero di sospendere contratti in corso

finché non siano stati compiutamente elaborati e depositati in tribunale la proposta ed il

piano di concordato. Prima di quel momento, l’attribuzione all’imprenditore, che si

dichiari in stato di crisi, del potere di instare per lo scioglimento o (anche soltanto) per la

sospensione di rapporti contrattuali in corso di esecuzione potrebbe tradursi, fra l’altro,

55 A riprova di quanto si afferma nel testo, si osservi che la sospensione di un contratto in corso di

esecuzione può essere autorizzata, a norma dell’art. 169-bis, 1° co., “per non più di sessanta giorni,

prorogabili una sola volta”; mentre, ai sensi dell’art. 161, 6° co., il termine entro il quale l’imprenditore che

ha presentato la domanda di concordato “in bianco” è tenuto a depositare la proposta ed il piano,

normalmente compreso fra i sessanta ed i centoventi giorni, può essere, se sussistono giustificati motivi,

prorogato fino a centottanta giorni. Non potrebbe essere pertanto esclusa l’eventualità della non coincidenza

fra il termine durante il quale è accordata la sospensione del contratto e quello concesso all’imprenditore per

predisporre la proposta ed il piano di concordato; un tale disallineamento sembrerebbe appunto confermare

che l’ipotesi della sospensione del contratto nelle more della predisposizione della proposta e del piano

concordatari non sia stata presa direttamente in considerazione dal legislatore.

56 Cfr. Trib. La Spezia, 25.10.2012, in Fallimento, 2013, 76; Trib. Verona, 31.10.2012, in www.ilcaso.it.

57 Esemplare da questo punto di vista un caso (cfr. Trib. Salerno, 25.10.2012, www.ilfallimentarista.it), già

richiamato, in cui l’istanza di autorizzazione alla risoluzione del vincolo contrattuale ex art. 169-bis è stata

talora accolta, in quanto verteva su un contratto di affitto di azienda a favore di un affittuario che aveva già

da tempo cessato di pagare il canone, per cui lo scioglimento del contratto e il conseguente ritorno

dell’azienda in capo al proprietario (e cioè all’imprenditore aspirante al concordato, che dichiarava di voler

riprendere l’esercizio dell’attività direttamente in proprio nome) non minacciavano alcun pregiudizio né al

contraente in bonis, né ai creditori (anzi avvantaggiati dal venir meno dell’obbligo di pagamento dell’imposta

di registro. Cfr., nella dottrina, ad es. M. FABIANI, La prima disciplina dei contratti pendenti nel concordato

preventivo, in Foro it., 2013, l, 1351 ss., 1355.

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nel riconoscimento di un indebito vantaggio concorrenziale nei riguardi di altri

imprenditori58, magari soltanto meno “disinvolti”.

Né i termini del problema che ci occupa (e la relativa soluzione) sembrano sostanzialmente

mutati a seguito della novella del 201359 che, recependo talune sollecitazioni della dottrina

e della pratica, è da ultimo intervenuta sulla pur recente disciplina del pre-concordato, nel

senso di sottoporre l’imprenditore che ha presentato la domanda “in bianco” o “con

58 In generale, è stato talora sollevato (cfr. ad esempio A. PATTI, Rapporti pendenti nel concordato preventivo

riformato tra prosecuzione e scioglimento, in Fallimento, 2013, 261 ss., 273; cfr. altresì G. TERRANOVA, Il

concordato “con continuità aziendale” e i costi dell’intermediazione giuridica, in Dir. fall., 2013, 1 ss., 49 ss.) il

dubbio della possibile lesione della parità concorrenziale, come effetto di un regime di sostanziale favore per

l’imprenditore in crisi, quale quello risultante dal disposto dell’art. 169-bis l.fall. Si può al riguardo replicare

(con M. LIBERTINI, I fini sociali come limite eccezionale alla tutela della concorrenza: il caso del “decreto Alitalia”, in

Giur. cost., 2010, 3296 ss., 3298) che, come affermato altresì dalla nostra Corte costituzionale (sentenza n. 270

del 2010), la tutela della parità concorrenziale non deve essere considerata alla stregua di un valore o

principio di carattere superiore, destinato comunque a prevalere in caso di possibile contrasto con altri valori

costituzionalmente protetti; e che anche nell’ordinamento europeo “la concorrenza è riconosciuta come

valore strumentale rispetto a finalità complessivo di benessere collettivo, che si compongono anche di altri

valori, extraeconomici (pace, libertà, giustizia, sicurezza, tutela dell’ambiente, parità tra uomo e donna, ecc.)

ed anche economici (crescita equilibrata, stabilità dei prezzi, piena occupazione, progresso scientifico e

tecnologico, ecc.)”, suscettibili di avere la meglio – in caso di contrasto insuperabile – sulla tutela della

competizione fra le imprese. All’elenco dei valori economici, la protezione dei quali è da coordinare con la

tutela della concorrenza, si potrebbe dunque aggiungere, nel contesto normativo attuale, la conservazione ed

il rilancio degli organismi produttivi attraverso il buon esito di procedure adeguate di soluzione della crisi;

buon esito a cui può risultare funzionale, come si osservava all’inizio, l’attribuzione all’imprenditore della

possibilità di sciogliersi da determinati vincoli contrattuali, la cui prosecuzione si riveli antieconomica e

distruttiva, perciò, di valore. Se quel dubbio può essere perciò sciolto, in generale, nei termini anzidetti, a

difficoltà certamente maggiori va incontro, sotto il punto di vista, considerato la regola, non espressamente

enunciata dal diritto scritto, secondo cui lo scioglimento dei rapporti contrattuali in corso potrebbe essere

richiesto dall’imprenditore e autorizzato dal giudice anche quando non sia ancora disponibile alcun

elemento idoneo a suffragare l’esistenza di “ragionevoli giustificazioni” della compressione della parità

concorrenziale, derivante dalla concessione all’imprenditore stesso di un vantaggio nei confronti dei suoi

concorrenti, ai quali non è parimenti consentito liberarsi, con iniziativa unilaterale, di vincoli contrattuali

ritenuti allo stato inutili o eccessivamente gravosi.

59 Si tratta dell’art. 82 del d. l. 21.06.2013, n. 69, convertito in l. 9.08.2013, n. 98, che ha parzialmente

modificato i commi 6° e 8° dell’art. 161 l.fall.

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riserva” a controlli stringenti e assidui, diretti a prevenire l’abuso dello strumento in

questione o comunque il suo utilizzo per finalità diverse da quelle sue proprie secondo la

legge. Nessuna disposizione è stata infatti dettata con riguardo al tema, di già tanto

controverso, come si è constatato, del rapporto fra preconcordato e autorizzazione ad

intervenire in senso ablativo o sospensivo sui rapporti contrattuali pendenti. La possibile

nomina anticipata del commissario giudiziale e la sottoposizione dell’imprenditore che ha

presentato la domanda di concordato in bianco a periodici obblighi di informazione e

rendicontazione sono misure dirette a presidiare la serietà della procedura e ad

assicurarne l’orientamento verso gli scopi suoi propri, rendendone più arduo l’utilizzo in

funzione esclusivamente dilatoria e “protettiva” del debitore dalle azioni esecutive dei

suoi creditori; esse non sembrano tuttavia avere una ricaduta diretta sul tema che qui

interessa, salvo l’ovvio rilievo che la più accentuata “procedimentalizzazione” (anche) di

detta fase dovrebbe comunque attenuare il rischio di comportamenti spregiudicati e del

tutto incontrollati da parte dell’imprenditore.

8. Profili procedimentali: modalità e tempo di presentazione dell’istanza ex art. 169-bis l. fall.;

determinazione dell’indennizzo; individuazione di un subprocedimento nell’ambito del

procedimento di c.p.; efficacia immediata del provvedimento reso dal giudice.

Posto che, come è sembrato a chi scrive, occorre attendere la compiuta elaborazione della

proposta e del piano di concordato per proporre un’istanza ex art. 169-bis, è il caso di

domandarsi ancora se la presentazione dell’istanza de qua debba avvenire entro un

determinato termine ovvero possa essere proposta senza limiti di tempo, in qualunque

momento, fino alla vigilia dell’omologazione del concordato.

Il tenore letterale dell’art. 169-bis parrebbe giustificare l’assunto che la sospensione o lo

scioglimento possano essere richiesti, a scelta dell’imprenditore, unitamente alla domanda

di concordato, atto iniziale del complesso procedimento, che si propone con ricorso ai

sensi dell’art. 161, oppure in un momento successivo, anche posteriore all’accoglimento

della domanda medesima, e cioè all’ammissione dell’imprenditore alla procedura

concorsuale di concordato: infatti, come testualmente risulta dall’art. 169-bis, il destinatario

della richiesta di autorizzazione allo scioglimento può essere (non solo il tribunale, ma)

anche il giudice delegato, il quale, com’è noto, viene designato nel decreto che, in

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accoglimento della domanda presentata dal debitore ex art. 161 l. fall., lo ammette al

concordato e dà quindi inizio alla procedura, nominandone gli organi (cfr. art. 163 l.fall.).

Le risultanze del dato testuale vanno tuttavia temperate con la considerazione del

rapporto di stretta inerenza e coerenza che, alla stregua dei rilievi già svolti, deve

sussistere fra la domanda concordataria (e la documentazione ad essa collegata ex art. 161

l.fall.) e l’istanza di autorizzazione allo scioglimento o alla sospensione di rapporti

contrattuali in corso alla data della domanda stessa.

In questo senso si può ribadire che l’istanza di cui all’art. 169-bis costituisce, ove

presentata, parte integrante – in senso non meramente documentale - della proposta e del

piano di concordato; quand’anche non sia presentata contestualmente alla proposta ed al

piano, essa dovrà fare comunque richiamarsi a detti documenti e varrà come modifica

degli stessi, possibile, com’è noto (art. 175, 2°co., l. fall.), fino all’inizio delle operazioni di

voto60 (a cui il contraente in bonis è legittimato, per altro, a partecipare, in quanto titolare

di un credito concorsuale). Infatti, come si è ripetutamente osservato, il giudice investito

dell’istanza deve calibrare la propria decisione in rapporto alla coerenza dell’istanza

medesima con i contenuti della proposta e del piano, e cioè alla strumentalità del richiesto

intervento ablativo o sospensivo sul rapporto contrattuale rispetto al conseguimento degli

obiettivi economici, finanziari ed organizzativi prefigurati nella proposta e nel piano,

appare difficilmente sostenibile che l’autorizzazione di cui all’art. 169-bis possa essere

richiesta, nel corso del procedimento, in qualunque momento o circostanza.

E’ il caso comunque di ribadire che, quand’anche avanzata successivamente alla

presentazione del ricorso introduttivo (e, per quanto testé osservato, a titolo di modifica

della domanda in esso contenuta), l’istanza di autorizzazione allo scioglimento o alla

sospensione non può riguardare rapporti contrattuali che abbiano avuto regolare

esecuzione, sia pure solo per qualche mese o settimana, successivamente a quel momento.

La prosecuzione dei rapporti contrattuali, costituendo effetto naturale della domanda di

concordato preventivo, non richiede una dichiarazione esplicita da parte

dell’imprenditore; se il contratto prosegue e se, successivamente, emerge l’interesse

dell’imprenditore a liberarsene, tale interesse potrà essere realizzato nell’alveo della

60 E dunque anche successivamente al decreto di ammissione al concordato ed alla nomina del giudice

delegato, il che spiega il riferimento a tale organo – come possibile destinatario dell’istanza de qua – nella

disposizione dell’art. 169-bis.

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disciplina ordinaria del contratto, avvalendosi degli strumenti (e sopportando i costi, in

punto per esempio di penali o di danni) da questa previsti; ed il credito (a titolo di penale

o di risarcimento danni) del contraente in bonis avrà titolo per essere pagato in

prededuzione: altrimenti detto, non potrà essere attivato il regime di favore, per

l’imprenditore per l’impresa in crisi, dettato dall’art. 169-bis.

Dunque, è del tutto opportuno che l’ipotesi di un intervento ablativo o sospensivo su

determinati rapporti contrattuali sia contemplata fin dall’inizio nel contesto del

programma concordatario, come un tassello del medesimo; ed il debitore che intende

presentare l’istanza di cui all’art. 169-bis dovrà porre ogni attenzione ad evitare l’ingresso

di quei rapporti nel regime naturale della prosecuzione, che gli precluderebbe di avvalersi

della disciplina dettata da quest’ultima disposizione.

A questo riguardo, come già si è osservato, è suscettibile di rendere utili servigi la

graduazione di interventi (da quello più lieve e comunque reversibile della sospensione a

quello radicale ed irreversibile dello scioglimento) prevista dalla citata disposizione:

altrimenti detto, l’imprenditore il quale non abbia ancora, al momento della presentazione

del ricorso, compiutamente valutato se determinarsi o meno allo scioglimento (previa

autorizzazione del giudice), potrà, in via interinale, proporre istanza di sospensione dei

rapporti contrattuali de quibus, restando comunque fermo il dovere del giudice di valutare

in ogni caso (e cioè anche nel caso in venga richiesta o comunque disposta la sospensione)

ed in maniera analitica i costi/benefici dell’intervento sullo specifico rapporto contrattuale

e di accordarlo, eventualmente, solo a seguito di un’attenta ponderazione di quei costi e di

quei benefici per i diversi soggetti investivi dalla vicenda.

Dalle considerazioni in precedenza svolte in punto di individuazione dei diversi interessi

in gioco (del debitore, del contraente in bonis e dei creditori) ed obbligo del giudice,

investito di un’istanza ex art. 169-bis, di ponderarli e contemperarli, discende, poi, che

nell’istanza medesima, qualora abbia ad oggetto l’autorizzazione allo scioglimento di un

determinato contratto, deve essere altresì quantificato, assumendo come parametro

l’importo di un ipotetico risarcimento del danno da inadempimento, l’indennizzo61

previsto dall’art.. 169-bis.

61 Cfr. Trib. Padova, 26.03.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Novara, 27.03.2013, in www.ilcaso.it. Si discorre,

nell’art. 169-bis, di indennizzo e non di risarcimento danni (il riferimento al quale vale solo ad identificare il

benchmark per la quantificazione dell’importo spettante al contraente in bonis in relazione al venir meno,

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Si è già osservato che l’entità dell’indennizzo promesso costituisca oggetto della

valutazione del giudice e che questi possa addurre la palese inadeguatezza

dell’indennizzo medesimo a motivazione del rigetto dell’istanza di risoluzione del

rapporto. La giurisprudenza62, pur nel silenzio del dettato normativo, si è opportunamente

orientata, in base ad un criterio – ormai largamente acquisito – di interpretazione

costituzionalmente orientata delle norme di diritto fallimentare63, nel senso che il giudice

è tenuto a convocare il contraente in bonis, di modo che detta valutazione possa svolgersi

in contraddittorio fra le due parti del contratto e la discussione possa contribuire al

raggiungimento di una soluzione condivisa, eventualmente sulla base di un qualche

“aggiustamento” o ritocco della soluzione inizialmente proposta; senza contare che dalla

discussione dinanzi al giudice in contraddittorio fra i due contraenti potrebbe scaturire

anche un accordo avente ad oggetto una rinegoziazione (di talune) delle clausole del

contratto originario, che consenta la sopravvivenza del rapporto, sia pure a condizioni

diverse.

E’ discusso se, in caso di contrasto fra le due parti del contratto sulla misura

dell’indennizzo proposto dall’imprenditore che aspira al concordato, e quindi sull’entità

del credito da riconoscere al contraente in bonis, la questione sia suscettibile di essere

“chiusa” con il provvedimento del giudice che autorizza lo scioglimento, salvi i rimedi

eventualmente esperibili nei confronti dello stesso64, ovvero la soluzione della controversia

debba essere rinviata ad un ordinario giudizio di cognizione, “salvo l’intervento

provvisorio del giudice delegato nei limiti e per gli effetti di cui all’art. 176, co. 1” e cioè

per l’ammissione con riserva del credito contestato, “ai soli fini del voto e del calcolo delle

senza sua colpa, del rapporto contrattuale che intercorreva con l’imprenditore in crisi), per segnalare che il

comportamento, da cui scaturisce la pretesa creditoria dell’altro contraente, si colloca nell’area del lecito,

posto che la disciplina positiva, in base ad una specifica scelta di politica del diritto più volte richiamata,

riconosce come legittimo l’interesse dell’imprenditore in crisi a sciogliersi, sussistendo determinati

presupposti, dai vincoli contrattuali preesistenti. Sulla nozione giuridica di indennizzo, è ancora attuale lo

scritto di R. SCOGNAMIGLIO, Indennità, in Noviss. Dig. It., VIII, Torino, 1962, 594 ss.

62 Cfr. Trib. Monza, 21.01.2013, cit.; Trib. Novara, 27.03.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Piacenza, 5.04.2013, cit.

63 Cfr. Trib. Bologna, 26.04.2013, cit.

64 Si tratterebbe del ricorso ex art. 111 cost. nel caso di provvedimento emesso dal tribunale e del reclamo ex

art. 26 l.fall. nel caso di provvedimento emesso dal giudice delegato.

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maggioranze”. La giurisprudenza pratica si è espressa, correttamente, a favore di

quest’ultima impostazione65.

La decisione - non tempestivamente contestata – del tribunale ovvero del giudice delegato

produce in via immediata l’effetto dello scioglimento del contratto; del resto, una siffatta

immediatezza (di produzione dell’effetto) si riscontra anche negli altri casi (ad es., art. 167

2° co.,l.fall.) in cui l’autorizzazione del giudice è prevista quale condizione di efficacia di

un atto di autonomia privata dell’imprenditore.

Secondo una diversa lettura dell’art. 169-bis, avallata da una giurisprudenza recente66,

l’autorizzazione prevista da detta disposizione non sarebbe da intendere semplicemente

come un provvedimento idoneo a conferire efficacia ad un atto negoziale unilaterale,

sussumibile nella fattispecie del recesso contrattuale, che ne sarebbe – in mancanza -

privo. Alla lettura (qualificata come) “privatistica” dell’art. 169-bis ne viene contrapposta

una diversa, che si dichiara incline a calare la vicenda descritta nella richiamata

disposizione nel contesto del procedimento di concordato preventivo ed a considerarla

come un tassello di tale procedimento; da tale premessa di metodo, viene ricavato il

corollario secondo cui l’istanza di cui all’art. 169-bis vale come domanda di

“autorizzazione a farsi autorizzare” (allo scioglimento) e la produzione dell’effetto

risolutivo del contratto sarebbe rinviata al momento dell’approvazione della proposta di

concordato da parte dei creditori.

La tesi, di cui brevemente si è riferito, pur se brillantemente argomentata non convince.

Infatti:

(i) essa non sembra, innanzi tutto, trovare alcun appiglio nel dato testuale, che

regola la fattispecie autorizzatoria in questione alla stessa stregua di altre, ad

essa omogenee, nelle quali l’integrazione dell’efficacia dell’atto di autonomia

consegue direttamente al rilascio dell’autorizzazione da parte del giudice, senza

che la vicenda specifica debba essere incanalata nell’alveo del procedimento

concordatario e condividerne l’andamento e le sorti,

65 Cfr. Trib. Padova, 26.03.2013, in www.ilcaso.it; Trib. Firenze, 24.04.2013, in www.ildirittodegliaffari.it.

66 Cfr. Trib. Pistoia, 9.07.2013, cit.

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(ii) se l’assunto per il quale l’autorizzazione produrrebbe i suoi effetti soltanto alla

fine del procedimento appare scarsamente plausibile quanto all’effetto solutorio,

difficoltà ancora maggiori si prospettano con riferimento all’effetto della

sospensione del contratto, per sua natura interinale e perciò funzionale ad una

tutela immediata, sia pure a titolo provvisorio, di determinati interessi; d’altra

parte, in assenza di indicazioni testuali, sembra difficile proporre un diverso

regime quanto al profilo ora considerato, delle due ipotesi (sospensione,

scioglimento);

(iii) il contraente in bonis ha, alla stregua dell’id quod plerumque accidit, interesse a

che la situazione di incertezza sulla sorte del rapporto contrattuale (che

ovviamente è destinato a proseguire in caso di rigetto della domanda di

autorizzazione ex art. 169-bis) si definisca nel più breve tempo possibile e ha

altresì interesse a che la sua posizione di creditore – quanto all’indennizzo

promesso dall’altro contraente - sia riconosciuta nella procedura concordataria,

in tempo utile per consentirgli di partecipare alla votazione sulla proposta di

concordato;

(iv) né la tesi in esame sembra offrire una risposta migliore – rispetto alla tesi

opposta, secondo cui l’autorizzazione, se non negata, viene rilasciata subito e

con effetto immediato, anche quando l’effetto sia lo scioglimento del contratto in

corso di esecuzione – ai problemi che potrebbero determinarsi nelle ipotesi di

rinuncia alla domanda concordataria o di esito negativo della procedura per

diniego di ammissione alla stessa, ovvero per mancata approvazione della

proposta: in vero, nel caso in cui l’abbandono della procedura dipenda, per

esempio, dall’iniezione ab externo di liquidità, che elimina lo stato di crisi, nella

prospettiva, che allora si apre, del ripristino di una piena vitalità dell’impresa,

sarebbe persino possibile che i contratti di cui si era chiesto lo scioglimento

vengano lasciati rivivere o nuovamente stipulati; se invece l’esito infausto della

procedura di c.p. prelude all’ingresso nella procedura di fallimento, questa

“troverà” già risolti uno o più contratti, evidente ritenuti non più funzionali

all’impresa già prima che si manifestasse l’insolvenza irreversibile, sgravando

almeno in parte il curatore delle scelte che altrimenti gli incomberebbero ai sensi

dell’art. 72, 1° co., l.fall.; nei casi (artt. 79, 80 l.fall.) in cui la disciplina dettata per

il fallimento prevede che il credito del contraente in bonis relativo all’indennizzo

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per lo scioglimento anticipato del contratto sia da regolare come credito

prededucibile ex art. 111, n. 1, l.fall., un siffatto criterio dovrà eventualmente

applicarsi anche al credito per indennizzo già riconosciuto al contraente in bonis

alla stregua della proposta di concordato che non è andata a buon fine (si avrà,

in altri termini, una sorta di riqualificazione del credito da concorsuale in

prededucibile);

(v) La tesi in esame non sembra, infine, offrire una spiegazione più soddisfacente

(di quella offerta dalla contrapposta lettura dell’art. 169-bis) della qualificazione

fra i crediti concorsuali (piuttosto che fra quelli da pagare per intero, in

prededuzione) dell’indennizzo da corrispondere al contraente in bonis che

subisce lo scioglimento del rapporto contrattuale. La ragione giuspolitica di tale

scelta risiede nel favor per la soluzione concordataria della crisi dell’impresa e

nel contesto di questa, per lo sfoltimento dei vincoli contrattuali che gravano

sull’imprenditore, quando valutati come non (più) funzionali all’attività, né

convenienti ai fini della “migliore soddisfazione dei creditori”. Dal punto di

vista tecnico, la soluzione prescelta dal legislatore si lascia giustificare, come già

si è osservato, in base al rilievo che quei crediti scaturiscono da vicende

sostanzialmente antecedenti all’ingresso dell’impresa nella procedura

concordataria, e cioè dallo scioglimento di contratti preesistenti come scelta

antitetica alla loro prosecuzione durante la procedura (che comporterebbe, per

converso, la qualificazione come prededucibili dei crediti da essi nascenti): si è

già detto che il presupposto dell’applicazione della disciplina dettata dall’art.

169-bis risiede in ciò, che sia stata tempestivamente scartata la soluzione di

default della prosecuzione del contratto nel corso della procedura e che l’istanza

di scioglimento (eventualmente accompagnata o preceduta, nel caso del

preconcordato, da quella di sospensione del rapporto contrattuale) sia parte

integrante della proposta di concordato e del relativo piano; per cui, pur

attivando un sub-procedimento del procedura concordataria, destinato a

concludersi con il provvedimento autorizzatorio del giudice, non può concepirsi

se non come elemento della proposta, coerente con il piano predisposto

dall’imprenditorie e funzionale alla sua attuazione. Sotto questo profilo, le due

diverse letture dell’art. 169-bis si palesano convergenti.

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Alla stregua dei rilievi che precedono, si lascia dunque preferire la tesi secondo la quale

con l’istanza presentata dall’imprenditore ai sensi dell’art. 169-bis s’instaura un sub-

procedimento del procedimento di concordato, che si compone dell’istanza stessa e della

successiva decisione del giudice, previa audizione dell’altro contraente, in contraddittorio

con il richiedente, in una udienza all’uopo fissata. Corollario della lettura qui preferita

della disciplina in esame è che il provvedimento con cui si chiude detto sub-procedimento

produce immediatamente i propri effetti, senza dover attendere il decreto di

omologazione, e cioè l’atto conclusivo del procedimento “maggiore”: ciò consente da un

lato di evitare che si attivi quell’effetto “naturale” della domanda concordataria, che è la

prosecuzione dei rapporti contrattuali pendenti, dall’altro di ridurre la durata ed il peso

dell’incertezza sulla sorte del contratto, possibile fonte di (ulteriore) pregiudizio per il

contraente in bonis.