L’ALTRO MARGINE. - Politecnico di Milano · gli edifici sono stati dismessi. Ammettendo di poter...

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L’ALTRO MARGINE. RICOMPOSIZIONE E RIGENERAZIONE TRA ROCCIA E ACQUA: UN CENTRO ENOGASTRONOMICO SUL TEJO Studenti: Elena Acerbi _ 799396 Camillo Morini _ 816674 Relatore: Proff. Emilio Faroldi Politecnico di Milano | Facoltà di architettura urbanistica ingegneria delle costruzioni Laurea in Architettura | A.A 2014 - 2015

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L’ALTRO MARGINE.

RICOMPOSIZIONE E RIGENERAZIONE TRA ROCCIA E ACQUA:

UN CENTRO ENOGASTRONOMICO SUL TEJO

Studenti:

Elena Acerbi _ 799396

Camillo Morini _ 816674

Relatore:

Proff. Emilio Faroldi

Politecnico di Milano | Facoltà di architettura urbanistica ingegneria delle costruzioni

Laurea in Architettura | A.A 2014 - 2015

I N D I C E

| Introduzione

1 | I litorali abbandonati come limite

1.1 Dall’espansione urbana alla frattura tra costa e città

1.2 Strategie e metodi di intervento: il riuso per la rigenerazione urbana

1.3 Contesti europei

_ Sistemazione del lungomare di Vigo | Guillermo Vázquez Consuegra

_ Il “Marginal” di Porto

2 | Il caso del Tejo

2.1 Litorali a confronto: il rapporto con il fiume nel tempo

2.2 Lisbona e il Tejo

2.3 Storia e sviluppo della città di Almada

2.4 Strategia territoriale: un nuovo nodo di connessione tra le due coste

3 | Il litorale almadense

3.1 Storia e sviluppo del fronte ribeirinho

3.2 Stato di abbandono e discontinuità del territorio

3.3 Proposte formulate per l’area: Europan 6 “In between cities”

3.4 Mix funzionale come strategia a scala territoriale

3.5 Strategia a scala urbana: un nuovo percorso lungo il litorale

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4 | Progetto di recupero per Quinta da Arealva

4.1 Il sito

4.2 Tema di progetto: continuità con la storia e la cultura del luogo

4.3 Programma funzionale: un nuovo centro enogastronomico sul Tejo

4.4 Strategia progettuale

4.5 Il progetto: rapporto tra esistente e nuova realizzazione

4.6 Casi studio

_ Riconversione di un’area industriale a Portalegre | Eduardo Souto de Moura, Graça Correia

_ Recupero della Franzensfeste Fortezza a Bolzano | Markus Scherer, Walter Dietl

B I B L I O G R A F I A

E L A B O R A T I G R A F I C I

Tavola 1

Tavola 2

Tavola 3

Tavola 4

Tavola 5

Tavola 6

Tavola 7

Tavola 8

Tavola 9

Tavola 10

Tavola 11

Tavola 12

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INTRODUZIONE

Il lavoro si basa sull’idea di una città che possa mettere a frutto la sua posizione sul lungofiume

del Tejo per creare una nuova centralità urbana e diventare un nuovo polo attrattivo per tutta la

regione. L’estuario del Tejo caratterizza l’area metropolitana di Lisbona e l’acqua del fiume è parte

integrante e fondamentale della città. Se sul margine su cui si affaccia la capitale il vasto territorio

lungo il fiume è in continua trasformazione e oggi investito da una profonda riconversione post-

industriale, su quello Sud, dove si colloca la città di Almada, sembra che il tempo si sia fermato a

qualche decennio fa, quando tutte le attività industriali a contatto con l’acqua si sono bloccate e

gli edifici sono stati dismessi. Ammettendo di poter considerare Lisbona come una città dai due

margini, il suo sviluppo urbano dovrà essere guidato dall’equilibrio dei due, e quindi per il litorale

Sud si dovrà andare contro alla tendenza assimilata nel corso del tempo di utilizzarlo come

dormitorio, o spazio di produzione e lavoro, o come porto alternativo a quello Nord. Almada ha le

potenzialità per essere la città che approssimerà i due margini Nord/Sud del Tejo: per fare questo

si propone un programma di riabilitazione urbana di una zona di antiche fabbriche e magazzini,

per ridare ai cittadini un’estesa linea di terra, lunga più di 2 km. Ci troviamo in un contesto

fortemente influenzato dalle caratteristiche morfologiche del luogo, che vedono questa fascia di

territorio stretta fra l’acqua del fiume e una scarpata rocciosa. Per la sua posizione, la sua

morfologia, gli spazi e i collegamenti che può generare e la testimonianza che ci fornisce sulla sua

vitalità passata, pensiamo che possa diventare un nuovo ramo di città che promuova uno sviluppo

multifunzionale, sempre attivo e in grado di rinforzare l’identità locale e il suo carattere urbano. I

temi di riuso e riconversione si pongono come risoluzione dei fenomeni di abbandono e

periferizzazione, privilegiano il recupero degli edifici e la riqualifica degli spazi esterni,

contemporaneamente alla riabilitazione della componente sociale.

A partire da questa tematica si sono definiti gli obiettivi specifici del lavoro: l’operazione di

pianificazione alla scala territoriale propone linee guida che hanno appoggiato la causa del non

consumo di suolo, e quindi privilegiato il mantenimento dei vecchi assetti, intervenendo secondo

il metodo della sottrazione, con l’ apertura di spazi pubblici e zone verdi e l’obiettivo di dare vita a

un nuovo fronte per la città. La visione strategica a questa scala vede l’articolazione equilibrata di

diversi settori: residenziale, del lavoro, dei servizi e del tempo libero; vede quindi Almada come

luogo per lavorare e vivere, un luogo che promuove la cultura, il turismo e la relazione con

l’acqua, con il minimo impatto sulle condizioni ambientali e paesaggistiche, coinvolgendo i vari

temi nel processo di riabilitazione urbana.

L’area di studio, che a Sud ha un confronto diretto col fiume Tejo, inizia a Est nel Porto di Cacilhas

e arriva fino al sito chiamato Arealva. Per tutta la sua estensione l’area è mal collegata alla città,

soprattutto per la presenza della arriba, un’alta costa rocciosa, che nella storia ha promosso

l’installazione dei primi nuclei proprio in cima ad essa, soprattutto per ragioni difensive. Il

progetto quindi propone una riattivazione della costa presupponendo anche collegamenti che

permettono il raggiungimento della quota superiore da diversi punti strategici, fino al Santuario

del Cristo Rei, direttamente raggiungibile da Arealva.

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Quest’ultima, antico nucleo di edifici che racchiudeva diversi tipi di attività, è oggetto di uno

studio più approfondito e propone alla scala architettonica le stesse strategie della grande scala. Il

tema della gastronomia, forte carattere della cultura locale, attraverso le sue diverse componenti -

legate sia al lavoro che al tempo libero - mette a sistema un programma vario. Questo nuovo polo

racchiude edifici e spazi aperti, sia dal carattere pubblico che privato, e colloca una scuola di

cucina a fare da perno a tutto il sistema. Si vanno quindi a generare diversi tipi di spazi: didattici, di

ristoro, per lo svago e il tempo libero, di lavoro e residenziali.

La pratica del recupero, che si pone alla base dell’interno lavoro ed è riproposta a questa scala,

comporta prima di tutto una valutazione e una selezione critica del patrimonio industriale. È

inoltre, occasione per studiare nel dettaglio quegli elementi che rappresentano la giunzione tra il

vecchio e il nuovo, esaltando l’aspetto tecnologico del progetto.

Grazie all’inserimento di una nuova stazione portuale, posta appena prima di Arealva, il luogo sarà

facilmente raggiungibile da Lisbona e sarà parte di un percorso continuo fra le due coste,

promosso anche dalla vicinanza e dal collegamento già esistente col Santuario del Cristo Rei.

Quest’ultimo risponde anche alla necessità di riavvicinare il nucleo storico di Almada al suo

lungofiume in modo da trasformare entrambi in luoghi di attrazione, con l’obiettivo di garantire un

crescente miglioramento della qualità della vita della città e il suo sviluppo turistico.

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1 _ I LITORALI ABBANDONATI COME LIMITE

1.1 | DALL’ ESPANSIONE URBANA ALLA FRATTURA FRA COSTA E CITTÀ

Si sa che l’elemento acqua è responsabile della formazione della maggior parte dei centri abitati:

l’acqua può essere intesa, oltre che come elemento del paesaggio, anche come fattore di

produzione e di consumo. Tuttavia in determinate condizioni ci si trova in difficoltà nel

considerarla una componente fondamentale delle città, nonostante i litorali siano paradigma delle

città d’acqua, il cui fronte urbano - marittimo o fluviale - assume un ruolo emblematico per lo

stretto legame fra terra e acqua. Questo spesso avviene nei casi in cui l’evoluzione nel tempo dei

luoghi costieri ha subito, dopo un veloce sviluppo e un grande sfruttamento, una battuta

d’arresto, di cui rimangono tracce molto forti.

Nel corso del Novecento nelle città marittime e fluviali i porti si ampliarono enormemente,

acquisendo spesso funzioni legate all’industria, all’approvvigionamento di combustibili e alla

produzione di energia elettrica. L’industrializzazione delle aree portuali, il costante incremento del

trasporto marittimo delle merci, produssero un progressivo allontanamento delle coste dalle città:

la scala delle infrastrutture portuali, la loro morfologia e organizzazione era decisamente differente

da quella del tessuto urbano. L’elemento che rivoluzionò nel profondo i sistemi portuali e del

trasporto marittimo fu l'introduzione dei container: per esempio piazzali molto ampi per le

manovre di carico e scarico determinarono un nuovo contesto dove i tradizionali magazzini lungo

le banchine diventarono presto obsoleti. La riorganizzazione dei porti li trasformava in sistemi

autonomi e produsse la loro definitiva separazione dalla città: le sue attività, i suoi ritmi e i suoi

flussi diventavano incompatibili con quelli urbani.

Quindi durante il XX secolo la storia delle città costiere è stata spesso caratterizzata da una rottura

fra la vita della città e le attività marittime e, ancora oggi, in molti casi il waterfront è inteso come

spazio di mezzo, come margine tra due parti distinte, autonome e in conflitto. Mentre in passato il

porto era parte integrante della città, ora è un corpo estraneo, distaccato dalle esigenze urbane.

La separazione dipende da più ragioni: le diverse modalità di pianificazione (da un lato il piano

portuale, dall’altro quello urbanistico), le diverse competenze amministrative, l’incompatibilità

delle attività portuali nei confronti di quelle urbane, le maggiori esigenze di efficienza, di sicurezza

e di flessibilità dei porti. Le attività della città finiscono lì dove lo hanno fatto anche le sue

possibilità di espandersi, portando ad una sorta di lotta, che concretizzandosi in diverse forme di

barriere, apparentemente vuole mascherare la presenza del mare. Questa situazione ha afflitto

molte città costiere europee. A volte le aree verdi poste fra la città e le sue darsene sono servite

da frontiera tra la vita urbana e la confusione delle attività portuali ma, in molti casi, magazzini,

capannoni, gru, cumuli di diversi tipi di materiali, rottami, reti, resti di barche, vagoni, vetture per il

trasporto di materiali, erano lo scenario permanente di questi luoghi. Oggi la città ha riscoperto il

suo legame con l’acqua e con il bordo che le separa e si assiste a una forte richiesta di

ricomposizione e integrazione fra le due parti.

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1.2 | STRATEGIE E METODI DI INTERVENTO: IL RIUSO PER LA RIGENERAZIONE URBANA

Il tema dei fronti d’acqua, del rapporto tra la città e il mare o il fiume, tra la città e il porto, è un

ambito di ricerca e d’intervento di grande rilievo per il progetto. I margini della città vengono

riscoperti come spazi e luoghi possibili per il progetto, grazie alla consapevolezza della possibilità

di trasformazione di un luogo di confine delle città. Dopotutto, allo scopo di riorganizzare

l’architettura della città è necessario avere molta attenzione ai suoi bordi non costruiti; nel caso

delle aree portuali ciò vuol dire superare le barriere obsolete e inviolabili che ci tengono lontani

dallo sfruttare le potenzialità della confluenza fra città e acqua. Si può affermare infatti che, in

questo contesto, uno dei processi oggi più importanti nell’ambito della riabilitazione urbana è

relazionato al recupero di antiche aree portuali. Nelle città che hanno questo tipo di infrastrutture

abbandonate è necessario dare una risposta al problema del trasferimento delle attività marittime

e alla sfida dell’occupazione di spazi portuali disponibili e molte volte situati in prossimità di spazi

centrali della città stessa o nelle sue aree storiche. Questi sono luoghi fondamentali per le città

poiché, con una connessione significativa fisica e visuale con l’acqua, configurano e identificano le

città stesse. In tali condizioni, in questi spazi votati all’abbandono per l’evoluzione del sistema

città-porto, può essere indotto il rinforzo, l’estensione e la creazione di nuove centralità.

Non più di trenta o quaranta anni fa (negli anni ’70 - ’80) chi era responsabile delle problematiche

urbane decise di affrontare il tema della rigenerazione dei waterfront, trasformando queste aree in

nuovi spazi di incontro. Il problema del degrado delle aree portuali è diventato un tema

importante per le amministrazioni e le iniziative messe in atto per risolverlo hanno dato

un’impostazione per progetti di rigenerazione dei fronti fluviali tali da poter essere applicati anche

in altri contesti.

L’esigenza di combinare azioni di conservazione con quelle di sviluppo è propria dei processi di

pianificazione e riqualificazione urbana: si tratta di lavorare su un equilibrio tra conservazione e

trasformazione, nel rispetto dei caratteri e del patrimonio del luogo. Per garantire progetti di

riqualificazione urbana realmente sostenibili risulta necessario individuare delle linee guida capaci

di combinare metodi differenti, allo stesso tempo innovativi e che valorizzino e tutelino le risorse e

i valori esistenti. Quindi i primi interventi di riqualificazione dei litorali si legano spesso a

programmi di sviluppo dello spazio pubblico, a operazioni di valorizzazione immobiliare, ma

anche, in alcuni casi come in Inghilterra e in Olanda, a grandi iniziative di housing sociale.

Dopotutto il valore aggiunto che può dare una singola città ai modelli di sviluppo urbano, ormai

globalizzati, consiste nella rigenerazione urbana secondo una rilettura locale. Rigenerazione intesa

come veicolo di una nuova forma della città, funzionale a una nuova gestione sociale.

Il tema del riuso risponde all’esigenza di costruire su se stessi e si oppone alla tendenza secondo

cui, come si è detto, queste città nel passato hanno conosciuto una forte espansione. Esse non

hanno bisogno di nuovo terreno per ampliarsi, possono farlo riutilizzando, in quello esistente, le

parti che sono sottoutilizzate. Si assiste quindi a un rifiuto di crescita delle città, a favore della

causa del non consumo di suolo, scegliendo di riconvertire i sistemi esistenti.

Dal momento che si parla di azioni di riconversione, concetto strettamente connesso a quelli di

modificazione, entra in gioco anche il tema della memoria e dell’identità dei luoghi. Le zone

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industriali sono testimoni di una serie di eventi che hanno caratterizzato la storia di molti luoghi,

costruendone l’identità, ma non è detto che tutto valga la pena di essere mantenuto o, al

contrario, cancellato: l’idea di recupero include anche un lavoro di selezione critica nel confronto

col passato. Certamente la trasformazione del costruito consente a questi spazi di andare incontro

a nuove prospettive, mantenendo nello stesso tempo i segni del passato, generando così una

sovrapposizione tra nuovo uso e preesistenza.

1.3 | CONTESTI EUROPEI

In Europa negli ultimi decenni si contano numerosi importanti interventi che puntano sulla

riqualificazione urbana dei bordi sull’acqua delle città.

Il waterfront come tema del progetto urbano contemporaneo ha una storia breve e in pieno

svolgimento. Prima degli anni Novanta ci si può ricordare dei forti contrasti fra i bordi di molte

città europee e i loro litorali: i grandi porti di Rotterdam, di Amsterdam - diventati i quartieri di

Java, Borneo e Sumatra, di Amburgo, di Brema, la cui localizzazione lungo estuari fluviali ha

stimolato la ricerca di nuove aree portuali; in Francia, a Marsiglia, il decentramento del porto dal

cuore della città al vicino centro costiero di Fos determina la trasformazione del vecchio bacino in

un grande porto turistico.

Anche a Barcellona il recupero del waterfront è legato allo spostamento delle attività portuali più

a sud, lungo la costa: attraverso il recupero del porto vecchio Barcellona ha avviato un grande

processo di trasformazione urbana, e nel corso di un ventennio si è espansa verso Nord per circa

10 km, diventando così una complessa infrastruttura su cui poggia l’intera città. La sua attuazione

si è realizzata per parti e per fasi, legandosi a importanti eventi della città, come le Olimpiadi del

1992 e il Forum Universal de las Culturas del 2000. Il processo ha mobilitato interventi di grande

qualità, come il Moll de la Fusta progettato da Manuel Solà Morales che, con una sezione stradale

articolata su quote diverse connette lo spazio pubblico del centro storico con i percorsi pedonali

del waterfront, la scultura del pesce d’oro di Frank Gehry che fornisce al fronte urbano una sua

inconfondibile icona, il porto turistico dello studio MBM Architects, gli interventi residenziali di

Enric Miralles, il parco balneare di Beth Galì, e infine il Centro Congressi di Herzog & de Meuron e

la grande pergola fotovoltaica di Martinez Lapeña di Elias Torres sull’Esplanade del Forum. Il caso

di Barcellona però non rientra tra quelli in cui l’obiettivo è attuare una rigenerazione partire dalle

tracce esistenti per attuare una rigenerazione, infatti i manufatti e le infrastrutture in decadenza

vengono demoliti in toto e sostituiti da nuovi tracciati urbani. Inoltre nel suo spazio, per

sostenerne immagine e sviluppo, si concentrano architetture prestigiose, in grado di attrarre e

segnare iconicamente questi luoghi.

Parleremo di un altro contesto in Spagna, Vigo, che pur essendo una città di mare, fino a

vent’anni fa vedeva una forte frattura fra il suo centro storico e l’acqua, data da una larga fascia di

edifici del settore industriale abbandonati. Nel 1991 il progetto “Open Vigo to the Sea” ha

promosso una riconquista della costa da parte della città, attraverso un intervento che, se pur

specializzato per settori, permette una lettura e una fruizione unitaria: edifici pubblici e spazi

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aperti delle diverse parti della costa sono stati disegnati e pensati da progettisti diversi, ma sotto

un unica strategia e con lo stesso linguaggio, in modo che l’intero waterfront avesse un’immagine

comune e con l’intento inoltre di seguire il più possibile le tracce esistenti.

Avvicinandoci all’area geografica che sarà oggetto del lavoro di tesi, il secondo esempio riportato

è in Portogallo, in un contesto molto simile a quello di Lisbona: si parla di Porto, seconda città per

importanza dello Stato del Portogallo e anch’essa nata sulla foce di un fiume e cresciuta portando

avanti un rapporto sempre forte con le terre a cui la via d’acqua la collega.

Il Portogallo rappresenta un luogo di numerose sperimentazioni dal punto di vista urbano. Il

successo dovuto all’Expo ’98 a Lisbona e le potenzialità d’uso del riverfront/waterfront, hanno

spinto il Governo nel 2000 ad allargare l’esperienza ad altre città del paese, con un programma

chiamato “Polis. Programa de Requalificação Urbana e Valorização Ambiental das Cidades”.

Questo programma, fortemente legato agli aspetti ambientali, ha svolto un ruolo fondamentale e

ha interessato oltre venti città portoghesi. La tipologia di progetti previsti si riferiva a interventi di

riqualificazione delle aree industriali abbandonate e dello spazio pubblico esistente, alla

valorizzazione dei fronti d’acqua, fluviali o marittimi, al recupero urbano del patrimonio storico e

naturale e alla gestione della mobilità.

_ Sistemazione del lungomare di Vigo | Guillermo Vázquez Consuegra

Quando Le Corbusier progettò Vigo nel 1929, la città era solo un villaggio di pescatori e alla fine

del XX secolo essa era cresciuta senza ordine, diventando una città di 300’000 abitanti. Essa era

caratterizzata dalla presenza di un centro storico interessante, ma oscurato da un contesto

confuso e incoerente, che includeva edifici e servizi generati da uno sviluppo irrazionale del

settore industriale nel decennio tra gli anni ’50 e ’60, sotto il governo di Francisco Franco. Servizi

portuali, aree doganali e di stoccaggio, linee ferroviarie e stazioni marittime, conferendo al luogo

confusione e degrado, diventarono un ostacolo fra la città e il mare. Fu così che, successivamente,

lo sviluppo tecnologico e i nuovi bisogni di una realtà più democratica fecero diventare una

priorità la scomparsa di questi elementi. Lo scopo era di trasformare la città, che cresceva dando

le spalle al mare, rimuovendo la frontiera fra i due. L’area, che fino a quel momento era stata

occupata dagli edifici portuali, riscoperta come un potenziale spazio per il tempo libero e un

possibile sito per attività e servizi connessi alla città, doveva diventare un luogo di interazione

sociale e allo stesso tempo agevolare il naturale incontro fra le strade della città e il porto. Nel

1991 fu promossa una profonda rigenerazione di questa zona rivitalizzandola con nuove funzioni,

con un progetto chiamato “Open Vigo to the Sea”.

Il progetto propose una sequenza di interventi, diretti sull’esistente fascia industriale, sviluppati in

un’area centrale della città di circa 2 km di waterfront. L’obiettivo era eliminare una serie di

strutture industriali abbandonate e legate alle attività del porto e creare un nuovo spazio capace

di rivitalizzare le aree costiere più vicine alla città. L’area aveva subito nel tempo continue

trasformazioni: l’installazione di infrastrutture ferroviarie, la graduale alterazione ed estensione

della banchina originale, la costruzione di una strada per la circolazione delle macchine. Quando

iniziò il progetto di rigenerazione il sito era dominato dal traffico veicolare e da parcheggi: questa

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circostanza evidenziò prima di tutto la necessità di riorganizzare la circolazione esistente con

nuove infrastrutture per uso pedonale al livello zero. Fu indotto un concorso pubblico per

assegnare a progettisti diversi i vari interventi, così queste aree sarebbero diventate spazi per

differenti attività e per il tempo libero, attraverso la progettazione di spazi aperti e la costruzione

di edifici dal carattere istituzionale, commerciale e pubblico.

La linea comune dei progetti fu quella di non ricorrere a gesti di grande impatto e di produrre un

nuovo effetto di permeabilità. La soluzione dell’architetto spagnolo Guillermo Vázquez

Consuegra, responsabile del progetto d’insieme, emerge come un complesso di gesti discreti che

articolano lo spazio con piattaforme di differenti materiali e texture: pietra, legno, erba, acqua. Il

mare, insieme alla vegetazione e a quegli elementi architettonici che hanno valori da conservare,

aiutano a creare uno spazio interessante per l’interazione sociale. Il piano incluse la costruzione di

un acquario al posto di vecchi magazzini che servivano i moli delle navi di linea, un centro

commerciale con grandi aree per il tempo libero e parcheggi.

_ Il “Marginal” di Porto

Nell’area metropolitana di Porto in particolare le città di Porto, Vila Nova de Gaia e Matosinhos,

negli ultimi decenni sono state oggetto di notevoli trasformazioni: qui il progetto urbano ha

assunto un ruolo importante nel processo di riqualificazione, soprattutto degli spazi fluviali - sul

Douro - e marittimi. Protagonista di questi progetti è lo spazio pubblico contemporaneo, uno

spazio chiaramente leggibile e destinato a diversi scopi, in cui il cittadino possa riconoscersi e di

cui possa comprendere il significato.

A Porto, dove per anni non ci sono stati interventi di recupero e di rinnovo dello spazio pubblico,

il progetto della zona ribeirinha, tra Largo S. Francisco e Passeio Alegre (circa 5 km dal centro

della città alla foce del Douro), viene realizzato nel corso di circa dieci anni, fino al 2008, e

attraverso più di un programma di urbanizzazione. L’obiettivo generale del consolidamento e del

rafforzamento del fronte fluviale e la dinamizzazione delle attività urbane lungo il fiume attraverso

la riqualificazione dei fronti d’acqua sono stati realizzati mediante: il recupero di edifici significativi,

nuove costruzioni e ricomposizione di un fronte urbano lungo il fiume in modo da conservare la

continuità della fascia fluviale e di garantire coesione urbana; l’incremento della componente

ludica del riverfront attraverso attività commerciali, terziarie, di ristorazione, turistiche, di svago e

di appoggio alla pesca; la riqualificazione dello spazio pubblico esistente e la valorizzazione della

sua immagine; il rafforzamento del legame tra il Marginal (la passeggiata lungo il fiume) con la

parte alta della città, che comprende la zona universitaria (Facoltà di Architettura, Facoltà di

Lettere e Facoltà di Scienze); la razionalizzazione della circolazione automobilistica, potenziando i

trasporti pubblici e spostando su un’altra via il traffico veicolare. Nello specifico l’architetto

Fernandes de Sá realizzò il progetto di riqualificazione del fronte fluviale della Ribeira, l’antico

porto della città, con cui furono restituite dignità e visibilità alle antiche muraglie medioevali che si

alzano sull’acqua (Cais da Estiva e Muro dos Bacalhoeiros) riconfigurando alcuni spazi residuali,

per esempio attraverso la costruzione di una rampa che abbassa il livello di calpestio alla quota

originaria, in modo da ripristinare il legame di queste con il fiume. Sempre in questo tratto di

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costa, che è quello più centrale, la Praça da Ribeira è stata dotata di una struttura in legno

destinata ai locali di ristorazione; è stata ricostruita nella sua localizzazione originaria la Escada das

Padeiras, scalinata che finiva nell’acqua e facilitava l’attracco delle barche; è stato creato un

piccolo mercato di artigianato locale con 16 botteghe e una scalinata che collega il livello del Cais

con i resti del Ponte pensile, garantendo un nuovo ingresso pedonale alla Ribeira. Il progetto

d’intervento, rispettando il luogo, sostituisce e razionalizza la pavimentazione stradale e l’arredo

urbano, eliminando gli elementi dissonanti con il contesto.

Il progetto di recupero della costa atlantatica di Matosinhos è legato alla riconversione di un’area

un tempo occupata dalle industrie manifatturiere della pesca che a partire dagli anni settanta

hanno registrato il loro declino, un conseguente degrado, allontanamento e abbandono del

waterfront da parte della popolazione. Si è ripristinato il forte legame di Matosinhos con il mare

attraverso la riqualifica del tratto tra il molo del Porto di Leixoes e la Praça da Cidade do Salvador,

in stretta continuità con il Passeio Atlantico della città di Porto. Il progetto di Eduardo Souto de

Moura prevede un unico percorso pubblico e nuove strutture che vanno a unirsi alla passeggiata e

a un bar esistenti. Il percorso è costituito da una piattaforma in pietra locale, leggermente rialzata,

chiusa lungo la spiaggia da una lunga seduta e completata da rampe e scale di accesso alla

spiaggia. La strategia generale intendeva creare un ritmo regolare di edifici che sono sia servizi di

ristorazione che strutture d’appoggio alla spiaggia. Essi sono indipendenti l’uno dall’altro ma

presentano uno stesso linguaggio architettonico, garantendo unità a tutto l’intervento.

A Vila Nova de Gaia, città localizzata sull’altra sponda del fiume Douro rispetto a Porto, è stata

realizzata una vasta operazione di riqualificazione urbana e ambientale tra il ponte di S. João e il

Cabedelo (all’altezza della foce del fiume) e nella fascia costiera che prosegue verso Sud fino

all’area della Madalena. Tra i principali obiettivi si evidenziano: il recupero del fronte fluviale del

Douro attraverso il disegno di una nuova sezione stradale in grado di rendere compatibili il flusso

automobilistico con le esigenze di pedoni, ciclisti, pescatori e turisti; il recupero urbano del

villaggio dei pescatori dell’Afurada da parte dell’Atelier 15, attraverso l’ampliamento del Marginal

fluviale e la riqualifica del porto, il recupero dei degradati magazzini per le attrezzature legate alla

pesca, la costruzione di un centro civico e di un lavatoio comunale; il progetto del parco urbano

dell’Afurada destinato ad attività di svago; la riqualificazione degli spazi pubblici, mantenendone

le caratteristiche di nuclei di pescatori; il progetto per il nuovo Parque Urbano de Sao Paio, un

parco naturale situato sulle pendici della collina che divide l’area della foce del Douro con la parte

interna di Vila Nova de Gaia.

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2 _ IL CASO DEL FIUME TEJO

2.1 | LITORALI A CONFRONTO: IL RAPPORTO CON IL FIUME NEL TEMPO

Almada e Lisbona, nonostante le diverse caratteristiche morfologiche, sono cresciute attraverso

un dialogo permanente e, unite dall’estuario del Tejo, hanno formato un’unica porta d’entrata alla

regione fin dalle prime occupazioni. Basate su una relazione di tipo speculare e sul principio di

complementarietà, le due città costruirono e solidificarono nel tempo relazioni commerciali e di

difesa militare fra i due margini. La localizzazione geografica privilegiata e la relazione diretta col

fiume hanno permesso a entrambi i margini uno sviluppo basato sulle attività portuali e agricole.

A partire dallo sviluppo di queste attività e con il consolidamento di Lisbona come capitale del

Portogallo, fu quest’ultima ad acquisire una posizione di riferimento nella scena internazionale,

mentre Almada assunse un ruolo secondario: punto di connessione della capitale con il Sud del

paese e, si potrebbe dire, espansione della capitale, “sala delle macchine”. Essa diventò una sede

di produzione, immagazzinamento e distribuzione di prodotti dal margine Sud a quello Nord, e

fra l’Europa e il resto del mondo.

Paradossalmente questi territori, mirati al rafforzamento dei legami commerciali fra le due città,

danno le basi per la generazione di una barriera fisica fatta di magazzini e industrie che ha rotto il

dialogo in primis fra il centro città e il suo lungofiume, per estensione fra città e fiume. Questo ha

comportato una rottura nella comunicazione fra la capitale e “l’altro lato”. I territori-barriera hanno

danneggiato il dialogo fra città e fiume e, di conseguenza, fra le due città. E, deteriorando il

proprio paesaggio costiero hanno contribuito al venir meno del suo ruolo di cerniera.

Il graduale spostamento delle industrie verso altri luoghi avvenuto durante l’ultimo secolo, ha reso

questi terreni da barriere a territori obsoleti. Sul lungofiume di Almada vediamo una linea di

edifici industriali in rovina che raccontano la storia di quel luogo: questi hanno contribuito

fortemente alla mancanza di dialogo di Almada con la sua costa, ma anche con Lisbona.

Si manifesta, alla fine del XIX secolo, una precisa volontà di unire fisicamente i due margini,

incrementando il lancio di diverse proposte, che sono culminate con la costruzione del Ponte 25

de Abril. Negli ultimi decenni si è assistito a una presa di coscienza globale su questo tema, col

fine comune di ristabilire i contatti persi tra città e fiume, ma anche tra città, industria ed

economia e di riattivare queste zone, come avviene a Lisbona.

2.2 | LISBONA E IL TEJO

Lisbona è costruita su una topografia complessa e articolata, composta di parti dense, disposte su

di un sistema collinare dove i forti salti altimetrici tra crinali e valli si risolvono solo in prossimità

della Baixa e lungo la fascia urbana che si sviluppa sulla riva del Tejo. Topografia e densità degli

isolati sono caratteri che si colgono a pieno solo dall’interno dello spazio urbano, mentre la

percezione che si ha di Lisbona dall’acqua è diversa: la città appare sicuramente più distesa e,

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dilatandosi sulla linea orizzontale, arretra rispetto al Tejo lasciando che siano le infrastrutture

portuali e le reti viarie a dominare la scena e i rapporti spaziali lungo il fiume.

Storicamente Lisbona ha subito notevoli rinnovamenti urbani dopo le distruzioni provocate dalle

calamità naturali. In particolare dopo il terremoto del 1755 il quartiere Baixa fu ricostruito sulla

base di una griglia rettangolare di isolati inseriti e uniti al vecchio tessuto urbano, secondo una

visione urbanistica post-illuminista.

Alla fine dell’Ottocento la ferrovia ha diviso le aree sul lungofiume in frammenti e le attività

industriali, che hanno creato molti posti di lavoro, si sono ampliate e hanno definito un nuovo

fronte sul fiume. Negli ultimi decenni il degrado e la povertà hanno di nuovo cambiato faccia

all’area: parte degli edifici rappresentano ancora la raffinatezza e potenza del disegno industriale

degli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta e per questi sono stati elaborati progetti di riuso a

contenuto pubblico.

Nel 1988, in seguito all’incendio che distrusse gran parte del centro storico, Álvaro Siza organizzò

i lavori di ricostruzione adottando un approccio radicale: insieme a una sottile e a volte invisibile

ricostruzione del tessuto urbano, introdusse un rilevante spazio commerciale e nuove

infrastrutture di trasporto. Esempi come questo hanno dato forma allo sviluppo di appropriati

interventi urbani contemporanei. Le strategie proposte dall’amministrazione cittadina per

riqualificare tutto il fronte ribeirinho si propongono di estendere la vita della zona centrale della

città fino alla fascia di terra lungo il Tejo e tendono a: promuovere nuove strutture pubbliche

legate alla vita culturale e ricreativa, realizzare nuove connessioni pedonali trasversali con il

tessuto urbano, riorganizzare la mobilità favorendo i mezzi di trasporto leggeri e pubblici. Lisbona

lavora su queste tematiche da anni e ha incluso il Tejo nella sua strategia di sviluppo, come è ben

visibile per il rinnovamento del suo lungofiume di Belém e Alcântara, ma soprattutto sull’asse

orientale, dove fu realizzato EXPO 98, posteriormente trasformato in un nuovo centro attrattivo.

L’obiettivo viene raggiunto a volte eliminando le vecchie strutture portuali, a volte riutilizzandole -

come nei casi della LX Factory o del Museu da eletricidade, antica centrale termoelettrica -

proponendo edifici con funzioni specifiche per innescare la rivitalizzazione della costa.

Mantenendo questo fine comune molte realtà sono tutt’oggi in trasformazione: grandi vuoti

urbani affacciati sull’acqua, con superfici e infrastrutture portuali-industriali in parte dismesse,

delimitati spesso da una strada e dalla ferrovia, che impediscono l’accesso al fiume.

Nell’area di Belém, monumentale e dal tessuto omogeneo a livello funzionale, emerge il Centro

Cultural de Belém, progetto del 1988 da Vittorio Gregotti e Manuel Salgado. La zona, che ha

alcuni dei più importanti edifici del patrimonio portoghese, come il Mosteiro dos Jeronimos del

XVI secolo, si affaccia sul fiume ed è un simbolo della rinascita architettonica, economica e politica

di Lisbona.

L’area più vicina alla base del ponte ha assistito più di altre al declino dell’industria navale,

lasciando una forte traccia di abbandono. Nel 1994 fu elaborato un piano strategico con l’intento

di rigenerare queste frammentate zone post industriali vicine al centro storico. Questo tratto del

vecchio porto si è gradualmente sviluppato in un luogo culturale e commerciale, e oggi rimane la

base di una piccola flotta di pesca e alcune imbarcazioni da diporto. Gli edifici abbandonati e

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cadenti della vecchia darsena, documenti del passato industriale di Lisbona, sono stati rimodellati

per essere impiegati nella vita commerciale della città. Rientrarono nel piano del governo di

togliere e ricollocare i bar e la vita notturna del Bairro Alto. Il piano riuscì parzialmente: non tolse i

locali dal Bairro, ma permise ai nuovi di essere fra i primi a beneficiare della rigenerazione in atto.

I bar si inseriscono in una suggestiva serie di semplici forme archetipiche, ognuna identificabile

per il suo simmetrico tetto a due falde: di solito la struttura rimane la stessa e gli interni sono

costruiti con materiali industriali, ricordo dei vecchi magazzini. Come molti bar di Lisbona, forme e

materiali sono caratterizzati dalla mancanza di dettagli.

Il ’98 fu l’anno dell’Expo, ispirata al mare, agli oceani e alla scoperta: composta da costruzioni

temporanee o permanenti, spazi pubblici e paesaggio urbano, opere d’arte, attrezzature e

infrastrutture. Alcune di queste, destinate a ospitare e a servire le mostre per quattro mesi, hanno

prolungato la loro vita come elementi e parti nuove della città in due forme distinte: restando al

loro posto con altre funzioni o subendo una metamorfosi, spinta fino alla completa sostituzione. Il

mantenimento dell’edificio del Padiglione del Portogallo ha trovato una buona ragione: questo

era “in un certo senso l’unico edificio pubblico dell’Expo, un frammento di una parte di città più

estesa che gli si potrebbe costruire intorno. Con le sue parti diverse e con le sue appendici, esso

proietta regole di relazione e di insediamento anche a grande distanza. Il padiglione, alla grande

scala, con lo spazio che passa sotto la tenda della piazza cerimoniale, fino alla doca, è diventato il

terzo affaccio della città sulla costa insieme a Belém e al Terreiro do Paço. […] il Padiglione della

Conoscenza dei Mari, una scultura a scala urbana che invoca intorno a sé una città bassa e

compatta, così da rendere misteriosa e rara la sua corte, mentre il volume verticale potrebbe

entrare in una silenziosa relazione con altre torri lontane. […] Poi ci sono le opere d’insieme, i

connettivi […]“ Negli spazi pubblici “si addensa una grande forza organizzativa, soprattutto a

partire dalla passeggiata del lungomare, che si avvale della resistenza di una lunga linea di costa,

grande opera marittima costruita negli anni Quaranta. E poi c’è la vegetazione. A rafforzare lo

straordinario materiale urbano della costa concorrono i giardini Garcia de Orta. […]” Collovà Roberto,

Lisbona 1998 - Expo, Testo & Immagine (collana Universale di architettura), 1998

2.3 | STORIA E SVILUPPO DELLA CITTÀ DI ALMADA

La regione dove oggi è situata la città di Almada si trova nella penisola di Setubal, in una zona di

terre fertili e in una posizione strategica fra i margini di un fiume imponente, lungo una scogliera

fossile che la difende per la sua natura. Almada fa da cerniera tra i due margini del Tejo e la sua

presenza, in quanto elemento di articolazione e mediazione fra il sud del paese e la capitale, è

sempre stato motivo della sovrapposizione di varie realtà umane, economiche e culturali, che si

sono fissate nel corso del tempo lungo i territori limitrofi. La presenza di Lisbona nella prossimità

immediata potenziò lo sviluppo delle relazioni economiche con questa “altra sponda”, la quale,

possedendo terreni fertili, servì da magazzino per le sue necessità alimentari. La popolazione si

distribuì in piccoli nuclei - Almada Velha, Pragal, Cacilhas, Cova da Piedade, Mutela e Caramujo/

Romeira - circondati da una serie di “quintas” finalizzate ad attività agricole. Il fiume costituì, con

le sue spiagge fluviali, un fuoco d’attrazione per le estati delle famiglie nobili e eccezionalmente,

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servì da rifugio quando ciclicamente la città di Lisbona veniva colpita dalla peste. Il taglio della

linea della costa, riparata dai venti e favorevole all’ormeggio delle imbarcazioni, è stato decisivo

per lo sfruttamento delle risorse della pesca e attività connesse, così come per l’insediamento di

un insieme di unità industriali sui suoi margini, con una propria banchina o un facile accesso.

Almada si sviluppa su terreni dell’Era Miocenica, con un’età assoluta che varia fra i 18 milioni di

anni alla base del declivio, vicino al fiume, e i 10 nella valle di Cova da Piedade. In cima al Monte

Pragal, dove si trova il monumento del Cristo Rei, la roccia ha un’età di circa 15 milioni di anni. Sul

versante Sud la città si è sviluppata su una pendenza leggera, risultato dell’erosione fluviale del

Tejo su una struttura geologica preesistente. Invece il costone è brusco e ripido sul lato Nord:

lungo l’argine di Ginjal è evidente la sequenza delle sedimentazioni che costituiscono la costa di

Almada, fondamentalmente formata da arenarie fini di natura fossile.

Nella città si sovrappongono una storia lontana e recente: questo avviene nelle sue strade, nella

sua architettura e nella memoria locale. Lo spazio geologico di tempi antichi si è riempito di vita e

di nuovi usi, trasformato dall’uomo nel corso dei secoli.

Nella parte di Ginjal, alla base della scarpata orientata a Nord, è evidente che la città si è

installata e modellata a seconda del contesto geomorfologico, che ha quindi favorito il lato Sud,

soleggiato e accogliente. Qui la popolazione ha trovato condizioni per una crescita strategica e

protetta, dal punto di vista climatico e della difesa dai nemici, grazie al forte pendio presente

dall’altra parte.

L’occupazione del territorio di Almada segue da vicino le tappe principali verificatesi nel Paese

per la costituzione della popolazione residente portoghese. Ricerche archeologiche e storiche

testimoniano un’importante presenza umana che si mantiene senza interruzioni a partire dal

Paleolitico, 5000 anni fa.

L’origine del toponimo di Almada è stata oggetto di numerose riflessioni: potrebbe avere origine

araba ed essere relazionata alla parola “mina” (miniera), associata all’esplorazione aurifera che si

sviluppò sul margine del Tejo; oppure avere una genesi più antica nell’ebraico Ma’aden o

Ma’eden (piacere, diletto, dell’Eden), associato a “rio do Eden” per i primi commercianti fenici

che, nel VIII a.C. si sono rivolti verso questo estuario, con le sue pianure che lo delimitavano a

Sud.

Le conoscenze circa l’occupazione di Almada da parte dell’uomo e, prima di tutto, di Cacilhas,

risale all’età del Ferro (VII sec. a.C.), periodo di inizio delle grandi esplorazioni, grazie alle

abbondanti risorse naturali e la sempre più facile navigazione fluviale. Il luogo fu occupato anche

dai Fenici e lo spostamento verso questa terra si intensificò in epoca romana, quando Almada fu

inserita nel processo di espansione “industriale” che si stava verificando in tutta la zona

dell’estuario del Tejo.

La vita di questa città riflette momenti decisivi della storia del Portogallo: sottratta agli arabi nel

1147, da D. Afonso Henriques dopo l’assedio di Lisbona, e consegnata nel 1186 da D. Sancho I

all’Ordine di Santiago, che ne assicurò la sua difesa. Passato questo periodo tormentato, la Carta

di Almada del 1190 mirò a creare condizioni favorevoli a mantenere una popolazione residente e

stabile.

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I confini di Almada, racchiudono una regione agricola famosa per i suoi vini, cereali e frutti. La

qualità dell’acqua e dell’aria contribuirono a farla diventare meta dell’aristocrazia, che qui faceva

costruire le proprie case vacanze, alcune ancora esistenti. Delimitata a Nord dal costone, la città

crebbe verso ovest occupando, a partire dal XIX secolo i terreni agricoli circostanti.

Localizzata sul margine del fiume, di fronte alla capitale, Ginjal in particolare ma in generale tutta

la costa, è un luogo privilegiato per l’installazione di industrie e magazzini, che risalgono al

periodo di espansione portoghese. Questi testimoniano che Almada partecipò alle prime prove di

industrializzazione portoghese, rinforzando la sua posizione nel mercato nazionale e

internazionale. Questo processo fu affiancato e agevolato dall’attività agricola regionale,

caratterizzata, nel XIX secolo, da un ruolo di primo piano delle vigne.

A partire dalla rivoluzione industriale il settore primario, che costituiva la struttura economica del

comune (agricoltura, silvicultura, allevamento, pesca) finora basata sull’attività manifatturiera, fu

sostituito dall’uso delle macchine. Con il declino dell’agricoltura e, principalmente, delle vigne la

regione di Almada rinforzò ulteriormente il settore industriale e produttivo. Parallelamente alle

grandi alterazioni delle attività lavorative si assiste al rafforzamento del commercio di esportazione

(come il vino in Brasile e Africa), allo sviluppo di alcune botteghe (come quella dei bottai) e

all’aumento dei magazzini (vino, aceto, olio) che erano ancora legati al commercio agricolo della

regione.

Il processo di industrializzazione segnò l’inizio di una nuova fase di questo territorio: il paesaggio

di Almada cessò gradualmente di essere dominato da campagne, che vennero sostituite da nuclei

industriali (a partire soprattutto dalla seconda metà del XIX secolo e la prima del XX) e urbani.

Ponendosi come una zona strategica in relazione alla distribuzione e alla vendita dei prodotti, si

sentì la necessità di collocare dei moli, definendo un nuovo disegno della linea della costa. I

magazzini e le officine installate vicino al margine del fiume (a Cachilhas, Ginjal, Olho de Boi e

Arealva) contribuirono a una nuova dinamica di sviluppo di Almada. Con queste e con

l’introduzione della macchina a vapore, si registrò una crescita demografica e urbana del Comune,

costituito principalmente da operai provenienti da tutto il paese. Nella seconda metà del XIX

secolo Almada faceva parte di una rete industriale nazionale di cui costituiva uno dei centri più

importanti, anche per quanto riguarda gli indici di occupazione che ha determinato. Persone

provenienti da tutto il paese influenzarono lo sviluppo di attività sociali che lasciarono il segno,

come la creazione di società legate alla cultura e al tempo libero.

Dal Tejo sono arrivati e partiti uomini e barche, oro e sughero: il porto di Cacilhas era l’arrivo

obbligatorio e, proseguendo lungo il molo, magazzini, fabbriche e botteghe davano lavoro agli

abitanti e possibilità di sviluppo al paese. Incoraggiati così i flussi migratori, questi portarono alla

nascita di collettività, autorità, associazioni professionali, solidarietà sociale e cooperative, che

marcarono profondamente il carattere urbano di Almada.

Nel 1926 Almada, con una popolazione di 18 mila abitanti, e altri comuni furono separati dal

punto di vista amministrativo dal Distretto di Lisbona, passando ad essere di pertinenza del

Distretto di Setubal. Secondo alcuni questo avvenimento rinforzò metaforicamente la frontiera

naturale che già rappresentava il fiume, e danneggiò ulteriormente il dialogo fra le due città.

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2.4 | STRATEGIA TERRITORIALE: UN NUOVO NODO DI CONNESSIONE FRA LE DUE COSTE

Come si è detto la città di Almada ha caratteristiche dal punto di vista geografico o localizzativo

eccezionali, che hanno favorito un utilizzo per fini legati allo svago e al tempo libero. Essa è vicina

da una parte alla città di Lisbona e dall’altra alle spiagge di Sesimbra, Portinho da Arrábida e alla

Serra da Arrábida; inoltre è inquadrata nell’area protetta della Costa da Caparica che comprende

25 km di una spiaggia che è importante meta turistica soprattutto d’estate. Estese aree boschive

e agricole costituiscono un complemento paesaggistico e implementano lo stabilimento delle

residenze per le vacanze: attualmente circa il 70% dei nuclei esistenti nella frazione della Costa da

Caparica è destinato a questo fine. Un altro aspetto importante nello sviluppo del turismo

balneare di quest’area è stato il degrado ambientale delle spiagge della Linha do Estoril, all’inizio

degli anni ’80, che ha spinto gli abitanti di Lisbona sull’altro margine del fiume.

Almada, nel contesto regionale (la regione di Almada), rappresenta un polo significativo,

generatore di flussi importanti. Sono stati analizzati i diversi tipi di motivazioni: l’acquisto di diversi

prodotti, attività ludiche, ristorazione, passeggiate. Quindi si può affermare che Almada attrae

non solo i suoi residenti ma anche le popolazioni vicine, dimostrando una relazione molto forte

con tutte le realtà che la circondano. Sul versante turistico Almada ha dalla sua parte la presenza

del Santuario del Cristo Re, la cui statua, inaugurata nel 1959, è la più grande di cemento in

Europa, con i suoi 110 metri d’altezza. Secondo l’amministrazione del Santuario, questo è visitato

in media da un milione di persone all’anno e la maggior parte non conosce il centro storico di

Almada. Le principali agenzie di turismo di Lisbona includono nei loro tour la visita al Santuario,

provando che è un fattore strategico per l’attrazione di visitatori.

Partendo dal presupposto che la diversità dell’offerta turistica è sempre un fattore positivo, anche

la vicinanza tra le spiagge atlantiche e Almada Velha può generare una certa sinergia in una

prospettiva di complementarietà. Questo fronte atlantico d’estate è la località turistica della zona

responsabile per l’attrazione del maggior numero di visitatori. Questi flussi hanno carattere

stagionale e sono basati su spostamenti di tipo pendolare, da un lato per la presenza di Lisbona

che è la meta più importante della zona e in secondo luogo per la mancanza di alloggi di tipo

turistico.

L’area studiata, divisa dal nucleo storico della città, presenta una sua specificità, rispetto al sito e

alla situazione: Almada ha una relazione di forte prossimità e dipendenza con Lisbona,

rappresenta una centralità regionale, possiede punti strategici per attrarre visitatori e un fronte

fluviale che costituisce un potenziale centro di attrazione turistica. Per la sua orografia, il

lungofiume si afferma come un affaccio privilegiato sul margine opposto. In aggiunta a questi

fattori favorevoli a una riabilitazione urbana e allo sviluppo di attività di svago e tempo libero, la

città è anche bagnata dal fiume Tejo, risorsa che possiede un valore aggiunto innegabile, dal

punto di vista attrattivo e della vivibilità.

La strategia a scala territoriale è di creare fra i due margini del fiume due diversi tipi di

connessioni: una fisica e reale, l’altra visiva e basata sulla specularità di alcuni aspetti e elementi.

L’idea che il tessuto della costa si apra in punti specifici e crei affacci significativi e che la

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morfologia del costruito generi un percorso continuo che connette gli spazi pubblici,

permetterebbe di riproporre sul margine Sud la dinamicità di quello opposto.

Parliamo invece di una connessione concreta introducendo, in uno dei diversi punti di attracco

che disegnano la linea della banchina, una nuova stazione fluviale. Questa nello specifico occupa

un edificio della vecchia Companhia Portuguesa de Pescas nel tratto di costa di Olho de Boi, e

ritaglia la piattaforma di cemento costruita negli anni ’20, in seguito alla necessità della

compagnia di espandere i propri magazzini, creando una darsena.

La nuova stazione determinerebbe una tratta aggiuntiva, Belém - Olho de Boi, che collega le due

sponde e si aggiunge a quella già presente da Cais de Sodrè a Cacilhas, andando a generare un

circuito fra Almada e Lisbona che è dato dai percorsi lungo le coste e le connessioni fra le due.

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3 _ IL LITORALE ALMADENSE

3.1 | STORIA E SVILUPPO DEL FRONTE RIBEIRINHO

Il fronte fluviale di Almada si caratterizza per un costruito che si inserisce tra il declivio e il fiume,

con differenti intensità, dalla linearità imposta al percorso e la rigorosa invariabilità altimetrica,

dalla forte relazione visuale con il livello dell’acqua e una percezione unitaria di Lisbona, dal

degrado del tessuto del costruito, interiorizzato come carattere del luogo, dalle condizioni di

comfort bio-climatico durante tutto l’anno, dalla combinazione tra la luce riflessa sul piano

dell’acqua e il regime dei venti. 

_ Cais de Ginjal

Si fa riferimento a Cacilhas come a uno dei luoghi più antichi della “outra banda”: grazie alla sua

privilegiata posizione geografica è sempre stata considerata il migliore porto naturale della

regione di Almada. A partire dal XIX secolo, Cacilhas fu il luogo attraverso cui Almada si inserì nel

processo di espansione “industriale” che si stava verificando in tutta la zona dell’estuario del Tejo

e la sua funzione di porto di riferimento per i trasporti fluviali fra i due margini favorì

l’insediamento delle primissime unità di produzione. Cacilhas è stata, nel tempo, uno dei luoghi

col maggiore movimento d’imbarcazioni per il trasporto di merci e persone.

Attualmente, per la presenza della tratta fluviale da Cais de Sodré e una stazione di autobus ben

funzionante, continua ad essere un importante nodo di collegamento con la capitale ed è inserito

nella rete di comunicazione di tutto il margine sinistro del Tejo. Inoltre sulla piazza Largo Alfredo

Diniz si affacciano diversi servizi di ristorazione ed è da qui che si dirama la via principale della

città, che sale lungo il colle verso i suoi nuclei più antichi.

Cais de Ginjal è il nome dato a tutta l’estensione della banchina fra la stazione di Cacilhas e i

magazzini situati vicino alle scale e all’elevador di Boca do Vento, che danno accesso ad Almada

Velha. Oggi molto conosciuta dagli abitanti di Lisbona e dai turisti per i suoi ristoranti, l’area

cominciò ad animarsi nel XVIII secolo per l’installazione lungo il fiume di diverse botteghe,

fabbriche e magazzini: in particolare per la lavorazione del sughero e per la costruzione e

riparazione navale, una fabbrica di conserve, un’impresa di recupero della latta, una cooperativa

di fabbricatori di botti, stabilimenti connessi alla pesca del baccalà come magazzini di esche,

strutture frigorifere per la conservazione dei prodotti d’appoggio alle navi da pesca, una fabbrica

per l’olio di fegato del baccalà; ma nel secolo passato furono soprattutto le cantine per il vino ad

occupare la buona parte dell’area. La banchina è quindi conseguenza dell’ampliamento degli

edifici che, appoggiati alla scarpata, si potevano espandere solo verso il fiume. Costituendo,

assieme a Cova da Piedade, uno dei centri economici più attivi della città, Ginjal andò perdendo

d’importanza a metà del XX secolo, a causa di un insieme di fattori economici, come il declino

delle attività artigianali, la fine delle campagne di pesca del baccalà e la scomparsa del

commercio d’oltremare del vino.

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Nessuno dei fabbricati industriali è oggi in attività. Sono ancora riconoscibili costruzioni antiche

del XVII secolo, parte del molo in muratura del XVIII secolo e numerosi accrescimenti e alterazioni

avvenute in seguito.

Ginjal è una zona dalla tipologia architettonica ben definita in cui predominano edifici di uno o

due piani. Prevalendo la necessità di rendere funzionali gli spazi, il risultato è un insieme di

costruzioni semplici, la cui omogeneità è ancora oggi riconoscibile.

Cubal, inserito nel tratto di costa di Cais de Ginjal, era il porto più esteso di Almada. La

morfologia del luogo favoriva un buon riparo contro il maltempo e probabilmente già nel XVIII

secolo poteva ospitare cinquanta imbarcazioni impegnate principalmente nella pesca e nel

trasporto di persone e merci. Qui nel 1864 si installò il cantiere navale Hugo Parry che ebbe molto

successo: sua è l’ampia parete di contenimento in calcestruzzo incastrata nel declivio in forma

semi-circolare che interrompe per circa 100 metri la scarpata. Questa sfruttava la pendenza

naturale del declivio per l’installazione di binari sui quali, una volta portata a termine la riparazione

delle imbarcazioni, esse potevano raggiungere facilmente l’acqua. La sua parete di calcestruzzo

alta circa 40 metri, lascia un forte segno dell’azione dell’uomo nel paesaggio. Per la sua grande

scala è ben visibile e si presenta come un enorme scavo dalla forma precisa, inserita in un

contesto naturale con cui è in netto contrasto.

In cima alla parete di Cubal si estende una fascia di terreno dove fu identificato nel 1986 uno dei

più importanti siti archeologici della zona. Si tratta del sito di Almaraz, dove gli scavi danno prova

di due momenti di occupazione distinti: una da parte di popolazioni indigene dell’Età del Bronzo

(VIII secolo a.C.) e più tardi di una base commerciale fenicia (VII-VI secolo a.C.). Attraverso questo

luogo passavano commercianti e prodotti del bacino del Mediterraneo, soprattutto ceramiche,

tessuti, armi e prodotti esotici: questi scambi hanno sicuramente accelerato la produzione nella

regione di diversi beni, tra cui sale, pesce, olio, vino, cereali, ma anche metalli. L’area fu una di

quelle proposte nella sesta edizione del concorso Europan e, tra tutte, ottenne il maggior numero

di candidature. Questo dimostra la potenzialità della zona e l’attrattiva che essa suscita, per la

posizione paesaggistica e l’elevato valore patrimoniale.

_ Fonte da Pipa

Il tratto di costa compreso tra Ginjal e Olho de Boi è chiamato Fonte da Pipa. Si pensa che nel

XVII secolo, quando il luogo ospitava un porto, il nome indicasse tutta la tratta che includeva la

spiaggia fino ad Arealva, dove era eretto il Forte di Fonte da Pipa. Il nome è legato alla fonte

esistente nel luogo e alla modalità di trasporto dell’acqua in botti (pipas) di legno. L’acqua di

questa fonte, oltre all’approvvigionamento degli abitanti della città, era a servizio delle navi che

approdavano a Lisbona e alimentava un lavatoio pubblico. La fonte monumentale, costruita nel

1736, si poteva vedere da Lisbona e probabilmente faceva parte del piano politico del monarca

che ordinò la costruzione dell’acquedotto di Lisbona (Aqueduto das Aguas Livres).

Alla fine di Cais do Ginjal esisteva una fonte di acqua dolce che sgorgava vicino alla spiaggia. Il

nome “Praia das lavadeiras” nasce dal fatto che lì le donne usavano lavare i vestiti, fino agli anni

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’60, quando la fonte si seccò. Questo tratto della banchina si caratterizzò più di altri per il legame

della città con l’acqua: infatti dopo i primi magazzini di vino e olio e gli spazi di lavorazione del

sughero, sorti tra il XVIII e XIX secolo, si installarono, a partire dagli anni ’30 del XX secolo, attività

dedicate alla costruzione e riparazione navale, al trasporto fluviale e alle campagne di pesca

oltremare e varie altre imprese associate ad essa (Cooperativa dos Armadores da Pesca do

Bacalhau, Sociedade Reparadora de Navios, Empresa Industrial do Frio, Copenave). Esse

costituivano un polo di grande importanza nello sviluppo economico della zona, impiegando

centinaia di operai. Ad incrementare questa continuità tra il fiume e le funzioni esercitate nel

luogo, a partire dal 1975, caratterizzò per molti anni la costa il Clube Nautico da Almada.

L’associazione si installò in una parte degli antichi magazzini Theotonio Pereira, per poi spostarsi a

Olho de Boi, in una parte degli edifici dell’estinta Companhia Portuguese de pesca. Oggi rimane

l’edificio abbandonato, che ancora porta l’insegna del club nautico. In questo quadro di

abbandono, appena oltre la spiaggia, sorgono due ristoranti funzionanti: Atira-te ao Rio! e Ponto

Final. Questi sono molto frequentati e rappresentano una delle poche reali attrazioni lungo la

passeggiata.

Il progetto di recupero del nucleo storico di Almada Velha, che si proponeva di intervenire in

diverse aree, ha incluso anche questa porzione di costa, in modo da contribuire alla riabilitazione

e dinamizzazione del fronte ribeirinho. Nel giugno 2000 sono stati inaugurati il parco Jardim do Rio e l’elevador di Boca do Vento. L’elevador supera la scarpata, che in questo punto è quasi un

muro verticale, e collega il livello del parco con la quota superiore del nucleo antico (circa 80

metri di dislivello). Qui troviamo il Miradouro di Boca do Vento e la Casa da Cerca, un palazzo del

XVIII secolo. Il parco, esteso alla base della linea della scarpata e frutto di un progetto di

paesaggio attento ai diversi tipi di pavimentazione, all’arredo urbano e all’illuminazione, ha

migliorato in modo significativo le condizioni di circolazione pedonale. Questo rappresenta

l’aggiunta di un nuovo spazio vivibile nel fronte fluviale, però è solo un tassello non totalmente

collegato alle restanti attrazioni del luogo.

Sopra all’imponente massa di roccia sono visibili i muri che delimitano la Quinta da Cerca. Il

palazzo della Casa da Cerca è il più caratteristico esempio di architettura civile della città del XVII

e XVIII secolo ed è classificato come Edificio di Interesse Pubblico dal 1996, dopo essere stato

acquisito dalla Camera Municipale, che nel 1993 vi ha installato il Centro di Arte Contemporanea

di Almada.

_ Olho de Boi

In tutta la parte inferiore della scogliera da Ginjal a Arealva c’erano numerose fonti naturali

d’acqua, che a volte sono state agevolate con lo scavo di pozzi e di gallerie che ne facilitavano il

drenaggio. Nel luogo chiamato Olho de Boi ne esisteva una. I vari pozzi e fonti si seccarono

intorno agli anni ’60, fatto la cui responsabilità si pensa sia della ditta Lisnave: le opere di

costruzione di quel cantiere navale infatti potrebbero aver danneggiato il livello freatico.

In questa parte di costa fu installata una fabbrica di lana che fu una delle prime in Portogallo

funzionante a energia a vapore. Fondata nel 1841, lasciò poi il posto a un’altra unità industriale

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del settore tessile che usava come materia prima il cotone. Qui lavoravano uomini, donne e

bambini, operai organizzati in varie associazioni con un importante ruolo sociale nella città.

Parte degli edifici sono entrati in possesso dell’impresa della Companhia Portuguesa de Pescas

(CPP), che occupò il sito nel 1920. L’impresa ottenne lo spazio per installare le sue botteghe e

magazzini modificando l’argine e spingendosi sul fiume con una piattaforma di cemento sorretta

da pilastri. La CPP ha giocato un ruolo importante nello sviluppo industriale della zona, creando

numerosi posti di lavoro per le popolazioni provenienti da diverse zone del paese. Oggi la sua

unità industriale è disattiva ma parte delle strutture sono usate per fini diversi: si sono installati in

questi spazi uno studio di architettura e la sede del Nucleo Navale del Museo Municipale di

Almada.

Attraversata la vecchia sede della CPP, nel quartiere di Olho de Boi, si percorre una banchina che

conduce a un cancello, entrata dell’antica Quinta da Arealva. Il nome “Arealva" indicava la zona

fino a una spiaggia di sabbia bianca, di cui attualmente si vede solo una piccola frangia quando

c’è la bassa marea. Documenti ufficiali provano la presenza passata di un forte in quel luogo,

chiamato Forte di Fonte da Pipa. Ciò che si può rilevare ora della fortezza sono i resti di una

costruzione del XVII secolo, probabilmente della stessa epoca dei forti di Trafaria e Cacilhas,

confermando l’innegabile somiglianza costruttiva e l’identico impianto sul fiume, la stessa altezza

e inclinazione della muraglia e lo stesso tipo di parapetto. Parte della costruzione è ben visibile

dal fiume e si conservano in buono stato la muraglia e il parapetto, di cui si osservano circa 70

metri che corrono paralleli al fiume, 30 metri sul lato a est e 5 metri a ovest, formando un

rettangolo. Il forte fu abbandonato probabilmente alla fine del XVIII secolo, epoca in cui vennero

costruiti diversi edifici alla base delle mura. Si pensa che questi contenessero forni destinati alla

produzione di mattoni e tegole ed appartenessero inizialmente a un nobile irlandese esiliato.

Fonti certe invece provano che nel 1760 proprietario della Quinta da Arealva era João O’Neill,

che sviluppò un’attività di produzione e stoccaggio di vino. Una parte del complesso serviva

certamente come residenza dei proprietari e inoltre, a causa della mancanza di accessibilità alla

zona dalla restante parte di Almada, fu costruita una chiesa (Capela de João da Arealva),

attualmente distrutta, destinata alla famiglia e a chiunque altro delle vicinanze. Questo rafforzò

ulteriormente il carattere del luogo e del suo essere una “quinta”, che in portoghese significa

“tenuta”, cioè un piccolo nucleo che racchiudeva differenti funzioni, formando una realtà a se

stante legata in principio a un’attività produttiva, attorno a cui si generavano le altre. Il principio

della struttura della quinta si avvicina molto a quella della fattoria. Nel 1813 alcuni di questi edifici

diventarono proprietà della famiglia Palyart, di origine inglese e, a partire dall’inizio del XX secolo,

la Quinta fu acquisita dalla Sociedade Vinicola Sul de Portugal, rivenditori di vino: in questo

periodo si assiste a un’ulteriore ampliamento della proprietà, con un’espansione verso l’acqua. Il

vino proveniva principalmente dalle regioni dei fiumi Douro, Dão e Minho e veniva conservato e

affinato, arrivando ad avere riconoscimenti internazionali. Oggi, anche se dismessa e

abbandonata dagli anni ‘60, la Quinta appartiene ancora alla stessa società. Nonostante un

grande incendio che ne distrusse buona parte e il vandalismo che va degradando poco a poco

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ciò che resta, è nota la presenza di alcuni elementi del patrimonio architettonico che devono

essere documentati e preservati, come la struttura pre-pombalina della casa principale.

Dal sito di Arealva un percorso carrabile circondato dalla vegetazione conduce al Santuario Nacional do Cristo Rei, costruito in dieci anni, dal 1949 al 1959, durante la dittatura di António de

Oliveira Salazar. Ispirato alla statua del Cristo Redentore di Rio de Janeiro, il monumento ha una

base di cemento alta 75 metri che prende la forma di una porta e sopra di essa la statua del

Cristo Re è alta 28 metri. Dall’alto del monumento, verso qualsiasi direzione si guardi, un

immenso spazio si apre su differenti distanze. Verso ovest, avendo di fronte Lisbona, si vede

l’estuario del fiume Tejo nel punto in cui si incontra col mare e la lunga costa fino alla punta di

Caiscais, il forte di S. Jiulião a Barra, il faro di Bugio. Se da una parte è ben visibile il Tejo sfociare

nell’Oceano, dall’altra parte si può vedere il tratto finale del fiume, un estuario interno chiamato

“Mar da Palha”, che raggiunge circa 13 chilometri di larghezza.

Il monumento si innalza nel punto più alto della città e, vicino al Ponte 25 de Abril, determina una

delle prospettive più conosciute del luogo e riconducibili alla città di Lisbona. Simbolo tra gli altri

della capitale, il Santuario è sicuramente la maggiore, e quasi unica, attrazione turistica del

margine Sud del Tejo.

3.2 | STATO DI ABBANDONO E DISCONTINUITÀ DEL TERRITORIO

Rianalizzando il fronte fluviale di Almada nella sua interezza è evidente che il suo costruito sia fatto

quasi solo da rovine, che danno prova di una storia da molto tempo dimenticata. Solo ciò che è

stato restaurato sopravvive, ma il processo graduale di declino avvenuto nel passato, oggi crea

una situazione di abbandono, che peggiora costantemente.

Almada rappresenta un’unità funzionale indissociabile da Lisbona, come se facesse parte di essa,

e il suo lungofiume ha potenzialità di fruizione evidenti, ma solo occasionalmente sfruttate. La

tipologia architettonica, la cui origine risale a XVII e XVIII secolo, è ben definita, con edifici di uno

o due piani e magazzini costruiti in modo elementare, forme omogenee e alti interpiani. L’accesso

è libero e la passeggiata lungo il corridoio ribeirinho è suggestiva anche per la fatiscenza in cui

versa tutto il luogo.

Nel tempo la crescita graduale della zona d’intervento, così come il suo declino repentino, sono

stati responsabili di molti problemi a livello urbanistico. Nonostante il recupero che alcuni degli

elementi di questo paesaggio fluviale hanno subito, l’occupazione per altri usi e la loro

riabilitazione, le rovine continuano a marcare profondamente il carattere del luogo. È così che

prevale oggi uno stato di dismissione e abbandono, nonostante l’enorme valore storico e

l’elevato potenziale del luogo siano riconosciuti da tutti gli abitanti e le autorità competenti. Una

delle conseguenze di questo abbandono è stata la rottura di un legame tra la zona sulla costa e il

nucleo storico di Almada, che si deve in gran parte alla limitata accessibilità esistente: l’unico

accesso che consente il collegamento diretto fra questi due punti (di larghezza limitata, per una

sola automobile) è in uno stato iniziale di degrado. Inoltre, grazie alla sua vicinanza alla scarpata,

questa via è esposta al rischio di frane. Di conseguenza, sia l’accesso difficoltoso che la mancanza

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di aree di sosta, contribuiscono alla situazione attuale di abbandono e sottoutilizzo, poiché

banalmente per costruire è necessario l’impiego di veicoli.

Lo stato di degrado colpisce tutti gli elementi del luogo: non solo gli edifici ma anche la linea

della costa, costituita dalla banchina, scale e rampe di accesso al mare, pontili e moli, dove tipo di

struttura e materiale differiscono e si stratificano a seconda del periodo storico di costruzione.

Segnano il carattere del paesaggio anche gli elementi lasciati dall’industria navale come gru e

binari per carico e scarico che, oltre a una mancanza di manutenzione, sono soggetti alle più

diverse condizioni climatiche e marittime. Le strade che legano la storia dei vari edifici

abbandonati sono costruite con diversi materiali, forme, colori e contribuiscono nel loro insieme a

dare una lettura discontinua del territorio. Infine la mancanza di restauro e di illuminazione di

questi spazi pubblici li ha resi non vissuti, scomodi e pericolosi.

3.3 | PROPOSTE FORMULATE PER L’AREA: EUROPAN 6 “IN BETWEEN CITIES”

Come si è detto il centro storico di Almada e il suo fronte ribeirinho hanno un’enorme necessità di

interventi, sia di riabilitazione che di reinserimento urbano. Di questa problematica hanno

dibattuto la Camera Municipale di Almada e i suoi abitanti, generando diverse discussioni

riguardo al futuro dell’area. Riabilitazione o rinnovamento? Che tipo di uso? Quali sono

programmi più adeguati? Nel tentativo di rispondere nel migliore dei modi a queste questioni, fu

lanciato nel 2000-2001 un concorso dall’Europan (federazione europea che si dedica a questioni

urbane e architettoniche, nella prospettiva di uno scambio di idee tra giovani professionisti in

Europa). Il progetto scelto appartiene allo studio PPST Arquitectura Lda dell’architetto Samuel

Torres de Carvalho ed è già stato approvato dalla Camera Municipale di Almada. Tuttavia

questioni burocratiche impediscono la concretizzazione di questa proposta, dato che i proprietari

del 5% dei terreni della costa non ne concedono la vendita.

Il concorso aveva l’obiettivo di riattivare la città di Almada lavorando sul collegamento di tre punti

storici della città (Quinta do Almaraz, la zona del castello di Almada Velha e Cais de Ginjal) al fine

di creare un’identità unica e innovatrice nel contesto dell’Area Metropolitana di Lisbona. Con lo

scopo di mantenere un’armonia spaziale e funzionale nella zona e di consolidare l’area, l’architetto

Carvalho definì un programma che generava dinamiche principali e, compatibili e complementari

a queste, altri usi associati per ogni punto di intervento.

Per la Quinta do Almaraz, l’idea è di creare un Centro di Interpretazione del sito archeologico,

favorendo così una riabilitazione dello spazio pubblico e del patrimonio storico. Associato a

quest’uso generatore si trovano un centro diurno della terza età, spazi destinati a servizi o

commercio e abitazioni per giovani, con l’obiettivo di favorire la rigenerazione sociale e

combattere l’invecchiamento della città. Parallelamente è previsto un trattamento dello spazio

pubblico: piazze, spazi verdi e parcheggi.

Nel secondo punto, il Castello di Almada e la zona intorno, è destinato a ricevere servizi

alberghieri che sfruttano la posizione geografica privilegiata vicino alla città di Lisbona. La

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costruzione di appartamenti per turisti e residenze, di spazi per l’abitazione e il commercio, vanno

a integrare e rafforzare il rilancio della zona storica della città.

Infine, la terza zona, quella di Ginjal vicino al margine del fiume, richiede maggiore investimento e

attenzione, per lo stato di abbandono e degrado progressivi: presenta maggiore fragilità e

necessita di un piano più dettagliato. Il programma propone il riuso del patrimonio industriale

attraverso “industrie creative”. Associate a queste, altri programmi come abitazioni, alberghi,

appartamenti per turisti, residenze e altri servizi. Questo terzo intervento cerca di proporzionare le

condizioni di uno spazio pubblico volto a una molteplicità di usi e tipologie di persone, senza mai

dimenticare il patrimonio storico della zona, preservando quindi la memoria di ciò che un tempo

fu Ginjal e rispettando le sue condizioni fisiche e morfologiche.

Un programma di industrie creative, secondo l’architetto, è giustificato dalla forte radice artistica e

culturale della zona e inoltre sarebbe possibile l’ancoraggio di diverse attività creative e culturali

alla scuola d’arte St. Martin’s School di Almada, al polo universitario della Universidade Nova e

addirittura ai campi universitari di Lisbona. L’idea è di creare spazi e condizioni per la permanenza,

destinati ad attrarre e aggregare la “classe creativa”. Allo stesso tempo si considera necessario

lavorare alla promozione di eventi culturali programmati per tutto l’anno, al fine di rinforzare i

legami di socializzazione fra le persone e la promozione della cultura.

Questo programma si traduce a livello di disegno dello spazio in un impianto del costruito

condizionato dalla topografia del terreno, che cerca di garantire la sicurezza dal declivio e

migliorare qualitativamente l’accesso all’area. Per questo Carvalho propone di aumentare la

larghezza della banchina permettendo il passaggio di automobili e pedoni e posizionare fra le

due quote una zona di stazionamento. Per quanto riguarda l’edificato, l’idea è di:

-basarsi sulle condizioni del luogo (il rilievo naturale della scogliera e la mancanza di esposizione

solare);

-rispettare le tracce originali del costruito, mantenendo la prima linea delle facciate e il numero di

piani degli edifici, con interruzioni puntuali che permettono la relazione visuale con lo spazio

esterno e con Lisbona;

-generare una seconda linea interna di facciate condizionata dalla presenza della scarpata.

Lo spazio che si forma fra le due linee di edificato permette la creazione di spazi conviviali e per lo

svago, ben relazionati col restante programma. Questo diventa uno spazio di confluenza e di

attraversamento che cerca di essere accogliente, vissuto, versatile e di qualità. La nuova

circolazione è pensata come un elemento che riduce l’isolamento del territorio, che diventa

promotore di legami con l’intorno e con Lisbona. Va notato infine che tutti e tre i programmi, che

sono legati fra loro, hanno l’intuito e la base comune di favorire il legame fra le due coste.

3.4 | MIX FUNZIONALE COME STRATEGIA A SCALA TERRITORIALE

Partendo dalla necessità che Almada si riavvicini sia al suo lungofiume che al suo nucleo storico

l’obiettivo è di trasformare questi spazi in luoghi di attrazione per tutte le tipologie di persone,

residenti e non. Ammettendo di poter considerare Lisbona come una città dai due margini, lo

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sviluppo urbano di Almada dovrà essere guidato dall’equilibrio dei due. Per il margine Sud si

dovrà contrastare la tendenza consolidata nel tempo di utilizzarlo come dormitorio e usi minori,

cioè unicamente come spazio isolato di produzione e lavoro o come porto alternativo al margine

Nord. Il punto di partenza per raggiungere questo obiettivo di riavvicinamento al fiume, deve

essere un programma di riabilitazione del tessuto oltre che urbano anche sociale, ponendosi in

contrasto coi fenomeni di zonizzazione e periferizzazione, propri dei decenni passati. L’industria,

nel suo aspetto di componente urbana, presenta un forte carattere di indipendenza rispetto alla

città ed è per questo che la fabbrica tende a separarsi concretamente e concettualmente dal

tessuto urbano.

Si delinea quindi un contesto, non di frammenti separati ma di una grande unità abbandonata. Va

invece considerato come un ramo della città, localizzato però sul suo confine: in altre parole si

tratta di trasferire l’idea dei centri città, in cui la vivibilità è basata su funzioni miste e su spazi

calibrati per la persona, in un luogo che non è propriamente un centro cittadino. Quindi è

opportuno dare speciale attenzione alle aree di svago e tempo libero, così come agli aspetti

connessi al patrimonio culturale e locale, ma sempre nell’ottica di associarli a quelli privati della

residenza, condizione che sta alla base della città. A partire da questa tematica si è definito

l’obbiettivo di puntare su un’idea di multifunzionalità del programma. Questo dovrà comprendere

i diversi temi della residenza, dello svago e del tempo libero, del turismo, del lavoro e della

produzione, connessi alla storia, al patrimonio e alla cultura del luogo, coinvolgendoli tutti nel

processo di riabilitazione urbana e creando quindi un equilibrio fra uso singolo e uso collettivo.

La riconversione del materiale industriale consente a questi spazi di andare incontro a nuove

prospettive, mantenendo nello stesso tempo i segni del passato e generando così una

sovrapposizione tra nuovo uso e preesistenza. Questo permetterà alla forma esistente, oggi priva

di qualsiasi funzione, di assumerne una nuova rispetto al passato, dando prova del proprio

carattere di permanenza.

Nello specifico l’idea è di integrare le attività esistenti e funzionanti, che comprendono sia edifici

che spazi aperti, con quelle nuove. Ciò che funziona rimane e i restanti spazi vengono riconvertiti.

Quindi a edifici dai confini più o meno fissi vengono dati nuovi usi: viene data loro una stabilità

che oggi non possiedono. Partendo dalla stazione fluviale di Cacilhas, le funzioni oggi attive sono

sparse e puntuali: qualche ristorante nel punto più vicino alla stazione e due a metà del percorso,

subito dopo questi il Jardim do Rio è l’unico spazio pubblico verde della passeggiata e il museo

navale di Almada l’unico di carattere culturale. In aggiunta a questi troviamo spazi dal profilo più

privato, come magazzini, uno studio di architettura e due piccoli nuclei di abitazioni. Nella visione

strategica a livello programmatico si pensa di distribuire in modo equo le funzioni pubbliche e

private, anche a seconda della morfologia e tipologia del costruito, della prossimità con le

funzioni attive già presenti, gli spazi aperti, gli affacci sull’acqua, i percorsi e i collegamenti con le

quote esistenti. Partendo da queste condizioni la distribuzione funzionale tenderà a posizionare le

funzioni più pubbliche, legate al settore terziario e ai servizi ai piani terra degli edifici, in continuità

con la quota dei percorsi pedonali.

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3.5 | STRATEGIA A SCALA URBANA: UN NUOVO PERCORSO LUNGO IL LITORALE

Ci proponiamo di disegnare un’architettura che, al di là della soluzione programmatica, interpreti

il sito dove il progetto si inserisce, ma senza imporsi. Il masterplan dà un disegno generale

dell’area ridefinendo gli spazi e mantenendo la loro dimensione urbana: infatti la disposizione

degli edifici tiene conto di quelli già esistenti, mantenendone gli assetti.

La fascia di territorio presa in esame è sì costituita dagli edifici, ma in ultima analisi è attraverso i

vuoti che si può lavorare per favorire, tra questi pieni, resti del passato che scegliamo di tenere,

percorsi e aperture. Da qui la scelta di partire dal disegno degli impianti esistenti e di fare

un’operazione di sottrazione, in modo da generare sequenze volumetriche che vanno a definire lo

spazio libero e il vuoto tra gli edifici: lo spazio pubblico.

Il percorso sul molo, riconosciuto come elemento caratteristico, rimane costante lungo gran parte

del tragitto ed è dato dalla linea esterna degli edifici. Questo fronte segue quello esistente e si

decide di mantenerlo in quanto uno degli elementi che conferisce carattere al luogo,

determinando lo stretto percorso della banchina. Si sceglie di studiare questo fronte molto rigido,

soprattutto nella parte iniziale della passeggiata, aprendolo solo in determinati punti: lì dove è

possibile la demolizione del costruito per andare a creare delle piazze pubbliche, ognuna con un

suo disegno e una sua specificità. La linea esterna della banchina, filtro tra fiume e costruito,

rimane quasi sempre la stessa e subisce una trasformazione solo in questi punti, cioè dove

contribuisce al disegno di piazze, darsene e piccoli porti.

Sul lato della scogliera, invece, demolendo una fascia interna di edifici, si apre un vuoto lineare

che permette un secondo percorso fra il costruito e collega le piazze. Esso è ben visibile nel tratto

di Cais de Ginjal. Tra gli spazi aperti rientrano anche quelli verdi, che vanno a determinare lungo il

percorso una continuità di tipo ecologico, che poi nel complesso va a unirsi con l’ambiente

naturale circostante dato dall’acqua del fiume e dalla montagna.

Inoltre, essendo l’area mal collegata alla città per tutta la sua estensione, soprattutto per la

presenza della arriba, il progetto propone anche un’integrazione dei collegamenti tra la

passeggiata sull’acqua e il centro storico, che permettono il raggiungimento della quota superiore

da diversi punti strategici, sia pedonali che carrabili, comprendendo zone di sosta per questi

ultimi.

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4 _ PROGETTO DI RECUPERO PER QUINTA DA AREALVA

4.1 | IL SITO

Alla fine dei 2 km di passeggiata lungo il litorale, il sito dell’antica Quinta da Arealva ci è

sembrato quello più adatto per dimostrare, alla scala architettonica, le strategie della grande scala

sia dal punto di vista formale che da quello funzionale.

Punto di passaggio fra il nuovo attracco di Olho de Boi e la passeggiata che sale verso il

Santuario del Cristo Rei, quindi verso il nucleo urbano della città, Arealva rappresenta un punto

strategico in cui poter inserire diverse funzioni che, avendo un tema comune, si supportano tutte

a vicenda. Anche qui è stato rivolto uno sguardo critico all’esistente, scegliendo cosa togliere e a

cosa valeva la pena ridare solidità, ma a differenza della grande scala, oltre alle sottrazioni, parti

del progetto sono state ridisegnare da zero. Un secondo metro di giudizio ha riguardato la scelta

del tema che, volendosi legare a diversi tipi di attività e fruizione, ha visto nella enogastronomia

una base che potesse essere comune a più realtà, oltre che conforme alla storia e alla cultura del

luogo.

4.2 | TEMA DI PROGETTO: CONTINUITÀ CON LA STORIA E LA CULTURA DEL LUOGO

Tutti i popoli che crescono vicino a un fiume o al mare lo fanno in gran parte per il fascino, la

ricchezza e la volontà di sfruttare l’acqua e tutto quello che essa può offrire. Almada, fra le terre

portoghesi, è privilegiata dalla sua posizione geografica, per essere una località di fiume, ma

vicina all’Oceano Atlantico.

Sin dal XVI secolo vino, farina, legna, frutta, pesce, legumi e altri prodotti della zona e del

Distretto di Setubal erano trasportati verso Lisbona. Oltre all’agricoltura e alla pastorizia, la pesca

era un’attività di grande peso in queste comunità: il grande estuario del Tejo ha sempre offerto

numerose specie di pesce, importanti sia per l’alimentazione che per l’economia locale, per la loro

esportazione e preparazione nelle prime fabbriche di conserva e salatura. La comunità di

pescatori e agricoltori ha mantenuto un suo stile di vita, anche con l’evoluzione della società, fin

dal principio del XIX secolo, quando si iniziarono a installarono le prime industrie a Cacilhas,

molte di queste legate al fiume e al mare, come le industrie conserviere.

Con l’accrescimento della popolazione a Lisbona lungo i secoli la situazione geografica

privilegiata di Cacilhas ha fatto sì che essa diventasse una delle stazioni portuali più importanti per

la circolazione dei prodotti alimentari verso la capitale. Questi flussi di beni, aggiunti alle migliaia

di persone che riempivano i traghetti, chiamati “cacilheiros”, a partire dagli anni ’20 per lavorare

sul margine destro, facevano di Almada una città cosmopolita. La piazza di Cacilhas a quei tempi,

fino agli anni ’60 (il ponte fu inaugurato nel 1966) era caratterizzata da confusione e frenesia, data

soprattutto dalle attività lavorative e dai trasporti.

Gli ortaggi delle “Terras da Costa”, il pesce pescato nel mare di Caparica e di Sesimbra erano

materie prime della gastronomia della regione e inoltre imbarcazioni chiamate “catraios”, tipiche

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soprattutto di Porto, trasportavano le botti di vino dalle regioni limitrofe ricche di vigneti, come

quelle della penisola di Setubal. Il vino era comprato da tutte le parti della regione e arrivava

attraverso il fiume direttamente dai produttori. Dopo essere stato filtrato e analizzato veniva

imbottigliato o messo in barili per proseguire il suo viaggio verso varie mete. L’aceto era prodotto

nelle stesse officine con i resti del vino attinto dalle botti. Nella decade del 1950 furono costruiti

depositi di vino in cemento armato, che ne immagazzinavano più di due milioni di litri. In questi

stabilimenti lavoravano uomini e donne: i primi trattavano il vino e le donne lavavano,

imbottigliavano e etichettavano le bottiglie con le varie marche di vino, olio e aceto. Tutte queste

fabbriche ne implicavano altre ausiliarie, sempre installate nello stesso luogo, come quella di

produzione delle botti, che forniva barili in legno, e di latta per l’imballaggio dell’olio.

Le condizioni del fiume non sempre permettevano la navigazione e fu necessario ricavare spazi di

immagazzinamento dei prodotti, perché non si deteriorassero e per l’approvvigionamento di navi

e barche in partenza per lunghe rotte. Il fiume era affollato di imbarcazioni di varia dimensione,

soprattutto a vela: con tutto questo movimento fra i due margini c’era davvero chi abbandonava i

campi e si trasferiva sul fiume, sia come pescatore che come marinaio, trasportando persone e

merci. Quando apparvero le prime imbarcazioni a vapore nella seconda metà del XIX secolo,

furono introdotte rotte regolari fra i due margini.

All’inizio del XX secolo, con lo sviluppo del trasporto fluviale, Cacilhas diventò anche un centro

turistico attrattivo, soprattutto per gli abitanti di Lisbona. Questo fece aumentare l’offerta

gastronomica con la diffusione di ristoranti specializzati con menù di pesce e crostacei. Da questo

nuovo settore trassero beneficio anche i pescatori, che cominciarono ad avere la possibilità di

vendere direttamente ai commercianti locali. Quindi Cacilhas è sempre stata ed è una località

dove le più famose attrazioni gastronomiche girano intorno a diverse specie di pesce,

sperimentate da gente esperta nell’arte culinaria.

Cacilhensi e visitatori frequentavano la città, piena di ristoranti, taverne e venditori di strada. Col

passare del tempo sul fronte del fiume cominciarono a verificarsi trasformazioni di alcuni

magazzini in disuso, che venivano adattati a osterie e, all’inizio degli anni ’30, sorsero i primi veri

ristoranti, per la maggior parte localizzati nel tratto iniziale di Ginjal. Più tardi ne apparirono altri

più eleganti e raffinati, come quello ancora esistente chiamato Floresta do Ginjal, caratteristico

per una scala interna rivestita di conchiglie e una vista panoramica sul fiume e sulla capitale. Gli

abitanti di Lisbona andavano dall’altra parte del fiume per alleviare lo stress della grande città e

consumare un pasto davanti a uno splendido panorama.

Sebbene Cacilhas si definisse una “testa del ponte”, perse parte della sua frenesia a partire dal

1966, anno in cui fu inaugurato il Ponte sul Tejo, come se un ponte avesse sostituito l’altro. Da

questo momento cominciò a verificarsi un declino della zona di Ginjal e quindi dei suoi ristoranti:

molti scomparvero, altri furono trasformati e alcuni cambiarono nome. Oggi ne esiste qualcuno

nella zona di attracco e solo due vicini all’ascensore che porta a Boca do Vento: “Atira-te ao Rio!”

e “Ponto Final”.

Si può dire quindi che, per la sua storia, la sua cultura e la sua posizione, nel luogo siano state da

sempre protagoniste attività legate alla gastronomia, al tempo libero e allo svago. In tempi

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diversi, ma anche contemporaneamente, questo tema ha avuto una duplice vocazione, trovando

connessioni ad ambiti sia lavorativi e produttivi che legati al tempo libero: due aspetti che spesso

coesistono o si includono reciprocamente.

Lo svago e il tempo libero hanno assunto un ruolo nella società contemporanea di grande

importanza e in continua evoluzione a livello socio-economico, politico e culturale. E’ noto, per

esempio, che gli Europei utilizzano parti sempre maggiori dei loro guadagni in attività legate al

tempo libero, dedicando a queste più periodi in diversi momenti dell’anno. E’ anche indiscutibile

che lo svago, nelle sue diverse forme, contribuisca a migliorare la qualità della vita delle

popolazioni, faciliti la fruizione degli spazi pubblici e promuova lo stare insieme. Essendo questi

obiettivi comuni anche alla riabilitazione urbana, è auspicabile che essi siano sempre contemplati

in interventi di questa natura.

4.3 | PROGRAMMA FUNZIONALE: UN NUOVO CENTRO ENOGASTRONOMICO SUL TEJO

Dal punto di vista del programma funzionale ci si propone di creare una continuità col passato

collocando nell’intervento attività produttive, didattiche e di svago. Ognuna di queste è connessa

al tema culinario, che costituisce un legame per l’intero complesso: si tratta quindi di un nuovo

polo la cui funzione più forte è rappresentata dal centro enogastronomico che mette a sistema

tutti gli altri.

Viene quindi reinterpretato e riproposto il modello della “quinta” nella sua struttura di nucleo che

comprende differenti funzioni, legate in principio a un’attività produttiva, attorno a cui si

generavano le altre. Questi caratteri propri del concetto di “quinta” riprendono anche le strategie

che hanno guidato il progetto alla grande scala: esattamente come lungo la costa il filo

conduttore era un programma di funzioni miste, così è nel progetto per Quinta da Arealva.

Di conseguenza i diversi caratteri che hanno gli edifici si riflettono in diversi tipi di spazi: pubblici,

legati al tempo libero e al commercio, semi-privati legati alla didattica e alla produzione e privati,

rappresentati dalla residenza. Da qui la scelta delle funzioni da impiantare nel sito.

Gli edifici residenziali sono destinati a diverse tipologie e numeri di persone. Una parte è

progettata per essere utilizzata da studenti, quindi ad uso collettivo, l’altra per essere abitata da

famiglie e quindi con spazi più privati e di pertinenza solo dell’abitazione stessa. Entrambe le

tipologie possono essere destinate anche ai turisti. In totale il nucleo residenziale può ospitare 36

persone: 6 per ogni abitazione per studenti, 2, 3, 3 e 4 in quelle per famiglie.

Un insieme di più edifici rappresenta la parte semi-privata del complesso e contiene l’area della

didattica. Una scuola di cucina legata a un ristorante, al primo piano riorganizza un edificio

esistente dividendone lo spazio interno in:

-aule per la didattica teorica e pratica;

-sale e spazi comuni, compresi una bar e una mensa;

-corridoi e strutture per la distribuzione verticale che dividono i flussi;

-locali di servizio e immagazzinamento;

-una porzione di uffici e sale amministrative.

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Infine gli spazi pubblici sono rappresentati dal parco, la piazza, il ristorante, il miradouro e un

blocco nuovo che si pone come testata del progetto. Il nuovo edificio si lega alle funzioni di

quello storico a cui si affianca e ne condivide gli spazi:

-una cantina ad uso degli studenti si lega agli spazi di lavoro della scuola, a un negozio e alla sala

degustazioni per il pubblico;

-la biblioteca in una posizione di cerniera è utilizzabile sia dagli studenti che da esterni;

-la sala conferenze è anch’essa pensata per una fruizione comune.

4.4 | STRATEGIA PROGETTUALE

L’intervento esemplifica le strategie della grande scala, anche dal punto di vista

dell’organizzazione degli spazi, delle connessioni fra questi e l’intorno e della distribuzione degli

edifici. Il fiume e la montagna sono i due elementi che si è deciso di valorizzare interpretando il

tema con un sistema di edifici e spazi di relazione in stretto rapporto con l’acqua e il salto di

quota. Per la sua conformazione il progetto si va ad aggiungere a quei punti chiave dell’intera

fascia di costa, che creano una connessione fra le due quote della città, quindi avvicinando il

lungofiume al nucleo storico di Almada.

La disposizione dei nuovi edifici tiene conto delle scale di quelli esistenti, del rapporto tra le

diverse quote del paesaggio, dell’orientamento rispetto a fiume e roccia, per sfruttare al meglio

gli affacci e i collegamenti e aprire spazi pubblici, connessi tra loro da percorsi continui.

Gli spazi vengono gerarchizzati: piazze, zone verdi, percorsi e zone pubbliche si affacciano dal lato

del fiume e patii privati, percorsi secondari e zone di servizio da quello della montagna.

A collegare le diverse quote dell’intero complesso sono non solo rampe e terrazze, ma anche gli

edifici stessi che si appoggiano da un lato alla montagna sfruttando l’orografia del terreno o,

diventando piazza stessa, alla quota più alta.

Il programma misto viene interpretato come un insieme di edifici che si inseriscono, o si trovano

già, su una piattaforma esistente. Il vuoto tra di loro determina una successione di spazi aperti

verdi e pavimentati, che creano continuità fra il costruito e il paesaggio.

_ parco

Arrivando dall’attracco di Olho de Boi, un parco lineare su diverse quote introduce all’area

modellando e rendendo fruibile uno spazio già verde, con vegetazione e gradoni a cielo aperto.

Questo si connette al percorso carrabile che, dal lato della montagna, passa dietro agli edifici. A

partire dal parco si dividono due percorsi: uno alla quota 0 che porta alla piazza sul molo; l’altro a

2 metri che si connette alla stecca di residenze.

_ residenze

Sono divise in due tipologie: quattro per studenti, ognuna per sei persone, con la stessa struttura,

entrate comuni e patii condivisi; quattro per famiglie che, a pari struttura, sono suddivise

internamente in modo diverso, con patii interni e spazi più privati, rispettivamente da 2, 3,3 e 4

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persone. Entrambe le tipologie sono pensate per poter ospitare anche turisti nella stagione

estiva.

Il blocco residenziale permette il collegamento verticale fra le quote 2 e 5,5 metri utilizzando

rampe di scale, sia pubbliche che private, e spazi verdi o terrazzati, che creano una distanza tra

ogni blocco abitativo.

_ piazza, scuola e edifici pubblici

Partendo dal parco, al livello zero si accede alla piazza pubblica attraverso un percorso delimitato

verso l’esterno da un muro. Questo è traccia del vecchio complesso ed è caratterizzato da

aperture che permettono visuali panoramiche verso il fiume.

Si interfacciano allo spazio aperto della piazza tre edifici. Nell’ottica di privilegiare alcuni degli

assetti esistenti si è scelto di mantenere due delle strutture della vecchia Quinta al livello 0 e la

struttura del miradouro, insieme al vecchio torchio, a 7 metri.

Alla quota della piazza si accede da un lato all’atrio della scuola, che ai piani superiori contiene la

sua componente amministrativa; dall’altro al ristorante, direttamente connesso verticalmente alla

parte didattica con le sue aule pratiche e teoriche. Questo edificio è organizzato in fasce

funzionali e vede i luoghi pubblici posizionati a contatto con la piazza, e quelli privati, di servizio e

lavoro oltre la linea strutturale esistente dei pilastri, sul lato della montagna. Una fascia tecnica e

di servizi è sovrapposta in tutti i piani e ospita bagni, cucine e corridoi secondari.

La testata ovest del progetto e della piazza si incastra tra la roccia e l’edificio esistente e prosegue

sul molo. La facciata che dà sulla piazza segna l’accesso a questo edificio, quello dal carattere più

pubblico: una hall d’ingresso conduce da una parte all’auditorium, dall’altra alla zona della

degustazione del vino, nell’edificio storico a cui si affianca. Nell’area di giunzione dei due edifici, e

secondo il principio della distribuzione funzionale di quelli precedenti, si trova la cantina al piano

terra e una biblioteca al piano superiore.

Nella cantina, utilizzata dagli studenti della scuola, viene immagazzinato e imbottigliato il vino

servito nei luoghi pubblici legati alla ristorazione: nel ristorante, nella sezione del ristorante

dedicata alla degustazione, nel negozio, nel chiosco sul belvedere. La biblioteca della scuola può

essere utilizzata da tutti e per questo è raggiungibile sia dal percorso pubblico esterno che dalla

scuola stessa.

Dall’altra parte dell’atrio, la sala conferenze si estende sul molo e sfrutta la sua posizione per

creare un affaccio verso la capitale, che diventa anche sfondo della sala interna. Lo spazio al piano

terra a contatto col suolo è riempito dalla componente impiantistica, tecnica e di servizio

necessaria a quel tipo di attività.

Questo blocco per altro attraverso la sua inclinazione, serve da collegamento tra le due quote. In

parte si appoggia alla montagna, in parte vi si discosta creando un’insenatura su cui dà un piccolo

affaccio retrostante l’edificio che, arredato con tavolini, è a servizio della cantina e riprende

l’elemento dei gradoni a cielo aperto che raggiungono la quota dell’acqua.

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_ miradouro

La rampa integrata nell’edificio nuovo ne segue la geometria e si unisce alla montagna,

superando un dislivello di 7 metri e collegando il molo (al livello del suolo), l’edificio pubblico (al

primo piano) e il belvedere. Qui lo spazio aperto permette un affaccio verso la capitale dal livello

più alto, prendendo però una distanza dall’acqua. Su questo spazio verde e pavimentato che

riprende in parte il disegno esistente, si affacciano: un chiosco che riempie un piccolo edificio

contenente un vecchio torchio e l’ultimo piano della scuola, nella sua parte di spazi comuni e di

relazione (terrazza coperta e la mensa).

Da qui si dividono i percorsi che riportano alle varie quote dell’intero sistema: uno dal lato interno

del progetto, passando tra gli edifici e il pendio; il secondo verso il Santuario del Cristo Rei,

agganciandosi al percorso esistente.

4.5 | IL PROGETTO: RAPPORTO TRA ESISTENTE E NUOVA REALIZZAZIONE

Nell’ottica di generare spazi che trovino un rapporto con quelli circostanti e col tema che si va ad

affrontare, si parte operando delle scelte riguardo agli edifici esistenti: cosa rimuovere? quali

tracce conservare? quali strutture meritano di essere consolidate o riproposte? La selezione

dell’esistente tiene conto di diversi fattori: lo stato di degrado delle strutture, una valutazione

critica rispetto a quali parti vale la pena valorizzare e quali no.

Lo spazio utilizzato in passato come deposito del vasellame viene riconvertito a parco.

Dell’edificio di un piano che serviva alla conservazione del vino viene mantenuto il muro esterno e

riproposta una tipologia di aperture che si conforma a quelle delle altre facciate del progetto.

Si è deciso inoltre di recuperare due edifici con una struttura pre-pombalina che all’interno della

vecchia Quinta contenevano spazi di immagazzinamento al piano terra e abitazioni ai piani

superiori. Un edificio fa da ingresso e uno da sfondo alla nuova piazza. In ultimo si è scelto di

mantenere la struttura del miradouro alla quota di 7 metri rispetto al livello del suolo; di

riqualificare il piccolo blocco che contiene tutt’ora un torchio e riutilizzarlo, sia per conservare

questo oggetto, testimonianza dell’attività antica, che per mettere un chiosco a servizio dello

spazio aperto.

A differenza della strategia a cui sono stati sottoposti i 2 km del lungofiume, oltre alle azioni di

sottrazione, conservazione degli edifici e apertura di spazi pubblici, qui si è operato anche

attraverso addizioni, generando un dialogo fra parti vecchie e nuove. Nell’intervento totale le

aggiunte non stravolgono i vecchi assetti, ma ne riprendono il carattere lineare delle forme,

inserendosi nel paesaggio senza imporsi.

Anche la scelta dei materiali è in linea con questa impostazione dell’intervento: ciò che viene

riqualificato rimane in muratura e rivestito in intonaco bianco/grigio, mantenendone le aperture o

riproponendole uguali; gli edifici nuovi (residenze e auditorium) sono in cemento e mostrano un

carattere materico che si relaziona sia all’ambiente costruito che al paesaggio. Di questo materiale

si legge bene la divisione in blocchi che ne scandisce le facciate.

Infine gli elementi in metallo costituiscono un determinato componente del progetto.

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Questi innesti sono fatti in corrispondenza di collegamenti di diversa natura: tra le quote, tra i

volumi, tra il costruito e il paesaggio circostante, tra componenti vecchie e nuove dell’intero

sistema, seguendo inoltre il principio di completamento e ricomposizione delle parti.

In quanto punti di congiunzione si pongono in netto contrasto sia con gli edifici riconvertiti che

con quelli progettati ex novo e permettono di mantenere una distanza tra vecchio e nuovo, di

creare una cerniera fra i due, sottolineando nell’intervento intero il suo aspetto di inserzione nel

paesaggio consolidato.

Nella stecca residenziale il metallo indica la presenza di elementi di risalita che distanziano i

blocchi di ogni abitazione. In particolare in questo caso si è scelto di utilizzare una rete metallica

che fa da involucro alle scale private di ogni abitazione, così da creare un volume permeabile in

contrasto con la matericità del cemento.

I due edifici che ospitano la scuola e la sua parte amministrativa, di cui si mantengono struttura e

perimetro, sono connessi volumetricamente da un blocco di metallo, che ne segue le linee, come

per riempire un tassello mancante nel costruito. Anche gli spazi interni sono continui: il nuovo

mette in comunicazione i due esistenti, attraverso il proseguimento della struttura adiacente.

Infatti il nuovo volume di metallo, che contiene i percorsi di risalita (scale, ascensori e

montacarichi), si pone in continuità con gli elementi di circolazione e servizio che troviamo nella

fascia della scuola. La suddivisione molto marcata degli spazi dedicati ai servizi, in particolare la

porzione che contiene le cucine, permette di rendere queste ultime un elemento da valorizzare e

mostrare anche all’esterno: la fuoriuscita dalla copertura delle canne fumarie sottolinea il carattere

dell’edificio ricollegandolo alla funzione industriale e produttiva che occupava quel luogo nel

passato.

L’edifico riconvertito in scuola mantiene la sua struttura portante fatta di pilastri in muratura e archi

al piano terra. Gli archi rimangono come elemento caratteristico dell’edifico, aiutando a ripartire

lo spazio interno, e vengono sfruttati per creare degli affacci tra sala pubblica e cucina.

Il volume incastonato tra i due edifici esistenti è caratterizzato da una facciata principale in cui il

materiale è lavorato in modo differente. La soluzione in metallo traforato viene riproposta

specularmente nell’altro nodo di giunzione, questa volta tra l’edificio ospitante la scuola e il

nuovo corpo a chiusura della piazza, in cemento. Il metallo traforato permette di creare spazi

interni che giocano con la luce, caratterizzando due aree particolari: al piano terra gli ingressi dalla

piazza esterna e al primo piano gli spazi di relazione.

Per raggiungere il livello del punto panoramico una rampa integrata nell’edificio dell’auditorium si

distacca materialmente da quest’ultimo per essere anch’essa in metallo, in quanto componente di

congiunzione tra il costruito e il paesaggio che, in questo caso, è l’antica muraglia del Forte di

Fonte da Pipa.

L’edificio della scuola, già privo di copertura, viene completato sulla sua sommità da una nuova

struttura fatta di capriate in acciaio e rivestite con due falde dello stesso materiale. Il rivestimento,

nella parte in cui comunica con il miradouro, si trasforma nella rete già usata nella porzione delle

residenze, e va a coprire una terrazza al secondo piano, che mette in comunicazione le zone

comuni della scuola con l’esterno. La nuova copertura si pone come completamento del vecchio

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edificio, la sua struttura si adatta a quella esistente e il suo rivestimento nonostante sia continuo,

rende visibile la divisione tra spazio chiuso e aperto. La struttura di questo elemento si caratterizza

inoltre per un’apertura longitudinale sul suo colmo, fatta in corrispondenza degli impianti

sottostanti - cappe e impianti di aspirazione, che permette a tubi di areazione di uscire dalla

copertura ed essere visibili dall’esterno, diventando un dettaglio forte nella visione d’insieme.

Il miradouro, risalente probabilmente al XVII secolo, ne conserva la muraglia che scende

verticalmente verso l’acqua. A questo livello si ripropone parte del disegno del suolo verde, come

lo era in passato e viene riqualificato il vecchio edificio contenente un torchio antico,

modificandone in parte minima la geometria. La sua copertura in tegole, in buono stato, viene

conservata, insieme alla struttura interna del torchio, con le sua vasca in cemento e i suoi grandi

tronchi, e viene inserito un portale metallico che, se aperto, permette a questo spazio di essere

annesso direttamente a quello esterno.

Il metallo utilizzato in tutti gli innesti è acciaio preossidato: il suo colore rosso-bruno rimanda a

quello dei mattoni dei camini, rappresentativi del patrimonio industriale, e delle tegole dei tetti,

propri del paesaggio urbano portoghese. È studiato come, nei punti dove questo materiale viene

inserito, esso possa conferire un determinato carattere anche allo spazio interno. Per questo esso

viene declinato in modi differenti e diventa pretesto per dare vita a: strutture, pareti esterne,

coperture, rivestimenti e involucri.

4.6 | CASI STUDIO

_ Riconversione di un’area industriale a Portalegre | Eduardo Souto de Moura, Graça Correia

La piccola città di Portalegre si trova nell’Alentejo, regione del Portogallo confinante con la

Spagna, in cui a partire dal XVIII secolo si sono sviluppate diverse industrie, tra cui il sugherificio

Robinson. Quando questo è stato trasferito fuori dalla cinta urbana della città numerosi sono stati

i piani e i progetti per il riuso dell’area: cioè 60.000 mq di cui circa 37.000 edificati dagli impianti.

Il piano mirava a riqualificare una zona di margini della parte storica di Portalegre e la sua stesura

ha visto tre fasi: nel 2007-08 è stata completata la Escola de Hotelaria, un edificio basso e

allungato, con impianto a L, che definisce il margine dell’area sul versante opposto alla città

storica. La forte orizzontalità della facciata, che si leva con uno sbalzo su una discesa ripida,

preannuncia la misura delle nuove costruzionI del complesso, che sono a prevalente destinazione

residenziale. Nell’intero lotto si trovano distribuite costruzioni di diversa natura, per la maggior

parte compromesse dalle trasformazioni e dal tempo, per lo più prive di valori intrinseci ma

nobilitate dalla storia di cui sono il prodotto e che da loro viene raccontata. Da questo insieme di

edifici gli architetti hanno selezionato una serie di corpi di fabbrica, di resti di impianti e di

macchine abbandonate, trattandole come rovine significative. Il complesso scandisce un percorso

che ha ridato una vasta area alla città, arricchendola di servizi, piazze e strade pedonali che

seguono le tracce lasciate dalle sedimentazioni di cui il complesso industriale era il risultato. Dagli

architetti è stata individuata la successione degli strati della vecchia fabbrica e gli interventi

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operati hanno consentito di renderla parte dell’assetto urbano e di attribuirle significati nuovi dal

punto di vista funzionale. I depositi dismessi, caratterizzati da grandi luci e da strutture in cemento

armato, sono stati destinati a parcheggi. Da questi si accede alla piazza aperta verso la valle e al

corpo di fabbrica della Escola de Hotelaria. Di fronte alla scuola, sollevato su esili montanti in

acciaio, un auditorium quasi scenografico dalla cui figura metallica fuoriescono le condotte per gli

impianti. Questo oggetto induce a riconsiderare quelle rovine, che testimoniano l’originale

vocazione industriale dell’area: il linguaggio dell’auditorium infatti si contrappone al fronte bianco

e cieco della scuola e la nuova piazza risulta individuata dal contrastante dialogo fra i due. Altri

edifici del vecchio complesso sono stati recuperati per destinarli ad attività teatrali, a laboratori e

studi. La modestia di questi edifici è equilibrata da piccoli gesti eleganti che inseriscono volumi

geometrici e creano giochi di luce, variando con misura la successione degli spazi ricavandoli da

edifici anonimi, rendendo i vecchi ambienti funzionali ai nuovi bisogni.

Le strutture recuperate, quelle destinate a ospitare i parcheggi, la Escola de Hotelaria,

l’auditorium e le officine o i magazzini recuperati configurano ora un insieme urbano che connette

due versanti di Portalegre. Questo nuovo organismo urbano rigenera un paesaggio e contribuisce

a dare nuove prospettive per lo sviluppo della città. “Nel configurare questa passeggiata

archeologica Souto de Moura e Correia non hanno concesso alcuno spazio alla nostalgia, ma

hanno prestato la massima attenzione alla memoria e al valore dei ricordi anche più prossimi, ben

sapendo che soltanto progetti capaci di interrogare il passato senza rimpiangerlo sono davvero

moderni […] ”. Dal Co Francesco, Un esemplare intervento di recupero. Il confronto col passato, senza rimpianti o nostalgie,

Casabella 798, febbraio 2011, p. 78

_ Recupero della Franzensfeste Fortezza a Bolzano | Markus Scherer, Walter Dietl

Il complesso della Frenzensfeste nell’alta valle dell’Isarco, ultimato nel 1838 per il volere di

Francesco I imperatore d’Austria e Ungheria, occupa oltre 30.000 mq di superficie,

rappresentando una delle fortificazioni più grandi delle Alpi. La fortezza è articolata in tre parti:

Forte Basso, Medio e Alto, col primo e l’ultimo collegati da una scalinata di 451 gradini che copre

un dislivello di 75 metri.

Il complesso non assolse mai la funzione di difesa per cui era stato costruito e nel tempo è stato

soggetto a continue anche se non radicali trasformazioni, date dal mutare delle condizioni

esterne, come l’intromissione della ferrovia, dell’autostrada, e di un lago artificiale, che

cambiarono completamente il paesaggio, e del mutare degli usi, che portarono alla demolizione

di alcune parti, per poi essere definitivamente abbandonato.

Nel 2006 un concorso per il riuso della Franzenfeste vide vincitori Markus Scherer e Walter Dietl

che, chiamati a risolvere le esigenze di rifunzionalizzazione della fortezza, hanno scelto di limitare

al massimo l’intervento: senza aggiungere architettura hanno cercato di ridare unitarietà al

complesso, attraverso il completamento dei percorsi di collegamento tra i vari spazi, sul piano e

verticali. Nel Forte Basso sono state realizzate rampe e passerelle integrando le strutture

metalliche esistenti con lastre di acciaio zincato che, trattate con acido, hanno assunto un colore

nero opaco. Questo materiale è usato anche nella soluzione dei due ponti sovrapposti che

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collegano le due vecchie casematte, con strutture di 12 metri di luce, prive di appoggio verticale,

collegate da tiranti e sospese a sbalzo sul lago artificiale. Due torri di cemento armato

contengono i nuovi percorsi verticali (scale e ascensori) con un linguaggio particolare

dell’involucro esterno, rielaborazione della pietra antica: una parete con lo spessore di 20

centimetri è costruita in calcestruzzo impastato con lo stesso granito della fortezza, gettato nelle

cassaforme e alternato a sottili stati di sabbia di 5-10 cm; l’eliminazione della sabbia, il disarmo e

il lavaggio delle superfici, lascia nei volumi fessure continue irregolari producendo un effetto di

stratificazione, in accordo col tema della rovina e col linguaggio dell’esistente.

L’intervento più impegnativo è stato la realizzazione della galleria verticale tra il Forte Basso e il

Forte Medio. Il blocco accoglie gli elementi di risalita, con un nucleo portante centrale in cemento

armato che aggancia lateralmente i pianerottoli alla parete rocciosa. In sommità, in

corrispondenza della ex polveriera parzialmente distrutta, un piccolo volume in cemento a vista

ricostruisce il profilo originario del manufatto. Nell’intero intervento si è operato per integrazioni

senza utilizzare gli stessi materiali con cui è costruita la fortezza. Si tratta infatti di interventi che

rispondono a esigenze specifiche e del tutto nuove, che non hanno radici nell’edificio originario. È

chiara infatti una rielaborazione dei materiali presenti: cemento e metallo evocano da un lato

l’ambiente costruito e dall’altro quello naturale. L’acciaio zincato, che si pone in netto contrasto

coi volumi dichiarando la sua natura di inserzione nell’insieme, evoca il paesaggio circostante, nel

suo colore e nella sua lavorazione. Nel complesso, l’intervento è capace di conservare appieno e

trasmettere il carattere di questo imponente monumento storico.

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