progettando edifici

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Abbiamo bisogno di riflettere con attenzione sul significato contemporaneo di edificio, su come lo interpretiamo oggi, sul ruolo che svolge nel territorio e nella città contemporanea, sul modo come si perviene alla sua costruzione, sulle condizioni economiche, sociali, politiche, culturali e, infine, sulle generali condizioni produttive e normative. Nello stesso tempo, è necessario capire il ruolo che il progetto di architettura assume nel restituire questa nuova realtà dell’edificio, della città, del territorio, in un rapporto nuovo con le tecniche costruttive e, dunque, con la tecnologia. Un ruolo che oggi può diventare succedaneo, incapace di accettare le sfide dell’innovazione rispetto a uno sviluppo sostenibile.

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Progetto editorialeForma Edizioni srl, Poggibonsi (SI)

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Realizzazione editorialeArchea Associati

RedazioneValentina MuscedraMaria Giulia Caliri

Collaborazione alla redazione e impaginazioneIlaria Brogi

GraficaElisa BalducciSara CastelluccioVitoria MuziMauro Sampaolesi

Relazioni esterne Vittoria Bacci

Fotolitografia e stampaForma Edizioni srl, Poggibonsi (SI)

In copertina: Beniamino Servino [08-07-2012 su ipostudio] Riscrittura di un testo 50x70cm ecoline, penne bic nero di china, carta gommata, scotch su litografia numerata di Ipostudio 2004.

L’autore si dichiara disponibile a regolare eventuali diritti per le immagini di cui non è stato possibile reperire la fonte.

© 2012 Forma Edizioni srl, Poggibonsi (SI)

Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore.

Prima edizione: ottobre 2012ISBN: 978-88-96780-35-0

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Premessa L’apprendista stregone

Capitolo primo La fine delle illusioniOrfani del principe - La critica al moderno - Doppio para-dosso - Crisi del ruolo dell’architetto - Nuove e vecchie stra-tegie per lo sviluppo della città e del territorio: costruire nel costruito - Trasformazione, mutazione - Demolizione come ricerca di nuovo suolo - Da un approccio per “a-priori “ad uno per “a-posteriori”.

Capitolo secondoOltre l’edificio come oggettoLa natura degli oggetti - La pistola fotografica - Il problema della forma - Sincronico e diacronico - Gli edifici sono forme - Delle condizioni, delle pressioni, dei vincoli - Un proces-so morfogenetico - Tempo storico - Edifici come sistema - L’idea di organizzazione - Circuito di stabilità dinamica - Emergenze e vincoli - Il tutto è più della somma delle parti - Teoria dei sistemi - Sistema Aperto e/o Chiuso - Sistema chiuso - Sistema Aperto - La variabile tempo - Flessibilità e variabilità.Identità temporale: il problema della “nave di Teseo” L’identità - Approccio tridimensionalista - Approccio quadri-dimensionalista - Approccio sequenzialista. Invarianti e variabili: il modello delle Certose Il sistema delle certose - Domus superior, domus inferior - Casa collettiva - Spazio privato, comunitario, pubblico.

Capitolo terzoLe strategie del progetto di architettura; metodi e strumentiImmaginazione/creatività - Il senso della tragedia -

Indice

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Il progetto architettonico tra il fare della téchne e il fare dell’arte - Prometeo/Epimeteo - Arte della tecnica.Oltre il modello olistico e il modello riduzionista -Il modello olistico - Il modello riduzionista - Plastico/murario, elasti-co/ligneo - La costituzione degli ibridi - Le case certosine - Omologazione per clonazione.Il progetto come interazione tra principio ideale, principio di realtà e principio di piacere - Il progetto come pre-visione - Il progetto come processo - Il progetto come organizzazione - Dialogico-ologrammatico-ricorsivo - Il progetto come rap-presentazione e simulazione.La Comprensione mediante la Progettazione -“Bottom-up” - “Top-down” - Il progetto architettonico tra metaprogetto e modello architettonico - Metaprogetto o approccio sintetico - L’inventario dei Modelli architettonici - Tipo edilizio-model-lo architettonico - Schemi e diagrammi - Per un approccio a posteriori - Localizzazione del fenomeno o Modello locale - Il modello della scatola nera (black box) - Progetto come narrazione - Struttura ad albero.

Capitolo quartoCostruire: quali strategie, quali tecnologieCostruire con semplicità - Leggibilità - Facilità - L’assem-blaggio a secco e il modello Frankenstein. Tecnologie appropriate - Naturale-artificiale L’inventario delle soluzioni tecniche - L’involucro edilizio - Lastre - Blocchi - Paste - Pellicole.La strategia degli innesti: costruire addosso al costruito - Superfetazioni intelligenti - Trasformazioni controllate.

ConclusioniLe strategie dell’ascolto e l’arte della tecnicaDue modelli architettonici - La Torre di Babele - Il Labirinto di Cnosso - Sensibilità artistica - La metafora del giardino.

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AppendiciAlcune ricerche tra riflessione e azioneUn esempio di metaprogettazione: Le residenze sanitarie assistenziali - Criteri di progettazione - La tipologia - RSA come casa collettiva - Domesticità - Fasce funzionali - Nu-cleo - Aree funzionali - Repertorio. Un sistema aperto/chiuso: il progetto IFD (Industrialized, Flexible, Durable & Demountable) - Programma Europeo Growth - Industrializzazione - Industrializzato - Flessibile - Durevole/smontabile - IFD Building: il progetto - IFD House - Core - Unità ambientali - Shell - IFD Office - Core - Spazi di lavoro - Shell.Costruire sul costruito: il progetto SuRE-FIT - 6°Programma Quadro IEE - Retrofitting delle coperture - Sopraelevazione - Contrasto - Ampliamento.

ApparatiNote bibliograficheBibliografia generaleReferenze delle immaginiRingraziamenti

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Premessa

L’apprendista stregone

Certamente quell’anno accadde qualcosa. Un viaggio. Di pochi giorni, in macchina, d’agosto. Fu una decisione presa su due piedi. Un itinera-rio asciutto, senza ripensamenti. Di corsa, uno dopo l’altro; La Maison dell’homme a Zurigo, Ronchamp, la Tourette, la Maison de la jeunesse a Firminy, l’Unité d’habitation a Marsiglia. Base d’arrivo e di partenza, Portovenere.Era la prima volta. Finalmente guardavo da vicino, dentro e fuori, sot-to e sopra, davanti e dietro; dopo tanto immaginare e desiderare c’ero, ero davanti ai miei oggetti del desiderio. Avevo ritardato quell’incontro negli anni, un po’ per pigrizia e un po’ per timore; timore di scoprire, di svelare, di rimanere deluso, di perdere quelle poche certezze che mi avevano accompagnato fin lì. Questa volta no, anzi. Anzi, ero contento; quel ritardare, quel rimandare, era stato necessario, quello era il mo-mento! Ne ebbi sentore immediatamente e di lì a poco la certezza: dopo tanto quotidiano misurarsi, con il progetto d’architettura e la sua co-struzione, ero pronto a cogliere la straordinaria bellezza di quegli edifici, ma anche le sfumature, le dissonanze, gli errori e soprattutto il coraggio, la consapevolezza e la responsabilità. Ero di fronte a delle pietre miliari del pensiero architettonico contemporaneo, all’opera straordinaria di un uomo capace di questo. Ero di fronte a Le Corbusier.Fu un tale colpo, quel viaggio, che mi fu chiaro, ne ebbi immediata consapevolezza: non ero che un “apprendista stregone”.

Nella ricerca spasmodica del libro degli incantesimi, in questo viag-gio fisico e mentale, quello che conta è la ricerca stessa, non il risultato, non il Santo Graal, ma gli incontri e le emozioni che questi scatena-no. L’“apprendista stregone”, attraverso questa ricerca, acuisce la propria sensibilità, la capacità di ascolto e la consapevolezza che gli consente di scoprire, di vedere, di riconoscere. A quel punto, l’opera di architettura, il suo autore, sono lì di fronte a te senza una collocazione spazio-temporale e in questa dimensione sono tutti compresenti; dal tempio di Segesta a Ville Savoy, da Brunelleschi a Mies. A questa modalità di approccio non sfugge la necessità di definire gli aspetti relativi, filologici, storicistici, di collocazione di tempo e di luogo dell’opera e del progetto di architettura. Non sfugge l’importanza che questi aspetti hanno nella necessaria de-

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Cappella di Notre Dame du Haut, Ronchamp (Le Corbusier).

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Capitolo primo

La fine delle illusioni e alcuni paradossi

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“Nelle antiche epopee, il successo finale corona le fatiche dell’eroe. Achille compie la sua vendetta, Ulisse torna ad Itaca, gli argonauti si impadroniscono del vello d’oro e le pie armi dei crociati riscattano il sepolcro di Cristo. Un paladino si guadagna la visione del misterioso Graal; Dante sale all’Empireo. Ora abbiamo perso la fede. L’ingegnoso hidalgo Alonso Quijano non è mai del tutto Don Chisciotte, o lo è solo fugacemente. Il capitano Achab, dopo interminabile crociere, raggiunge la Balena Bianca e ne viene annientato. Da molto tempo ormai l’happy ending non è altro che un artificio commerciale o una manifesta menzogna. Nei racconti di Henry James e di Kafka il fallimento è scontato, ed è il succo della narrazione. Come nelle aporie di Zenone, la freccia non coglie mai il bersaglio.” ( J. L. Borges) 1

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La fine delle illusioni e alcuni paradossi

“Nelle antiche epopee, il successo finale corona le fatiche dell’eroe. Achille compie la sua vendetta, Ulisse torna ad Itaca, gli argonauti si impadroniscono del vello d’oro e le pie armi dei crociati riscattano il sepolcro di Cristo. Un paladino si guadagna la visione del misterioso Graal; Dante sale all’Empireo. Ora abbiamo perso la fede. L’ingegnoso hidalgo Alonso Quijano non è mai del tutto Don Chisciotte, o lo è solo fugacemente. Il capitano Achab, dopo interminabili crociere, raggiunge la Balena Bianca e ne viene annientato. Da molto tempo ormai l’happy ending non è altro che un artificio commerciale o una manifesta men-zogna. Nei racconti di Henry James e di Kafka il fallimento è scontato, ed è il succo della narrazione. Come nelle aporie di Zenone, la freccia non coglie mai il bersaglio.” ( J. L. Borges) 1

Questo è il tempo della fine delle “illusioni”; questa è l’epoca dell’incertezza e della instabilità; questo è il tempo dell’esercizio ra-gionevole del dubbio.

Dopo la teoria della relatività è impensabile una concezione li-neare - unitaria del tempo storico, quella visione secondo la quale l’evoluzione procede in un moto progressivo e determinato, finalizza-to all’emancipazione.

Dopo l’orrore di Auschwitz, dopo il pensiero razionale, la scienza e la tecnologia a servizio della distruzione di massa, dopo i Gulag, finiscono i grandi racconti, muoiono le ideologie.

La presa d’atto, dopo la crisi petrolifera del ‘73 della fine delle risor-se naturali illimitate, impone un ripensamento globale dello sviluppo economico e sociale: finisce l’illusione dello sviluppo indefinito.

La fine delle certezze pone interrogativi angosciosi cui non sap-piamo dare risposte plausibili. Gli stessi strumenti d’analisi che han-no contraddistinto il tempo delle certezze e delle ideologie sono in-servibili e inutili, assistiamo alla fine dell’idea che il mondo possa essere analizzato e compreso col distacco scientifico del camice bian-co, con l’atteggiamento dello spettatore distaccato che vede il mondo con “l’occhio asciutto” e non si accorge dell’occhio umido di chi sta intorno, come se potessimo capire la realtà, il mondo, senza farci coin-volgere. Abbiamo bisogno di un atteggiamento nuovo, di strumenti e

La fine delle illusioni

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metodi diversi, abbiamo bisogno di interpretare il mondo, i segni e gli indizi che lascia; come nuovi àuguri-aruspici.

“L’interpretazione non è descrizione da parte di un osservatore ‘neutra-le’, ma è un evento dialogico in cui gli interlocutori sono ugualmente posti in gioco e dal quale sono modificati”. (G. Vattimo)2

Mettersi in gioco, immergersi, abbandonarsi, assumersi la respon-sabilità delle azioni che poniamo in essere senza pregiudizi, con la com-passione necessaria per meglio comprendere la complessità. Questo quadro e gli scenari prossimi venturi, la loro complessità, la loro novità e la loro tragicità, ci inducono a riconsiderare i modi e le forme dell’agire progettuale. D’altronde, già alla fine della seconda guerra mondiale vi fu un naturale abbandono di posizioni iper-otti-mistiche; atteggiamento che aveva contrassegnato le opere e il pensie-ro del Movimento Moderno.

L’abitudine a ripetere, a reiterare, è parte integrante delle società complesse; fino a quando funziona, è difficile che noi abbandoniamo un modo di fare, un atteggiamento, un comportamento, figuriamo-ci se riusciamo a modificare facilmente un processo produttivo o un sistema organizzativo. Le modificazioni, le trasformazioni rapide e repentine, si hanno soltanto quando siamo di fronte ad una crisi pro-fonda e visibile; il processo di modificazione, di trasformazione, quan-do avviene normalmente, è lento. Appartiene alla nostra esperienza umana: cambiamo solo quando non c’è altro da fare, quando siamo costretti dagli eventi, quando lo sentiamo sulla nostra pelle. Oramai la cultura contemporanea, quella più sensibile, ha maggiore consape-volezza dei destini ultimi del territorio, delle città, addirittura della specie umana. Lo scenario apocalittico che quotidianamente ci viene rappresentato come futuro prossimo venturo è un dato acquisito. Un senso di “tragedia” imminente pervade la cultura occidentale.

Nascita sviluppo e morte è il tratto naturale alla base di ogni es-sere e di ogni cosa. Attraverso l’artificio, la tecnologia e, dunque, il progetto, abbiamo cercato di controllare, e spesso rallentare, l’entropia di ogni trasformazione “morfogenetica”. Possiamo dire che il successo evolutivo della specie umana è avvenuto grazie anche agli artifici, alle “protesi” che volta per volta le scoperte scientifiche e le susseguenti applicazioni tecnologiche hanno saputo mettere a disposizione. Oggi quell’artificio, quella tecnologia, combinata con la crescita demografi-ca conseguente, si trasforma in un acceleratore “esponenziale”, la fine sembra essere più vicina. Il senso della tragedia, cioè il senso della

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L’interesse per queste strutture nasce dalla ricchezza che i diversi piani di lettura impongono e suggeriscono. Primo su tutti, esse sono un sistema edilizio e non una serie di “oggetti” distribuiti nel territorio. Un sistema concepito in modo da poter rispondere in maniera adeguata ed efficace alla diffusione che queste strutture hanno avuto nei secoli, da Nord a Sud, dai monti alle pianure, dal “desertum” dei boschi al “desertum” delle periferie delle grandi città europee. Un sistema edilizio organizzato in sottosistemi ed elementi, ciascuno corrispondente alla funzione preposta. Un sistema dinamico che, grazie alla individuazione di invarianti e di variabili riesce ad offrire una varietà di soluzioni nel tempo e nello spazio, diacroniche e sincroniche, “volta per volta” sia sul piano tipologico, che su quello costruttivo e stilistico. Tutte queste strutture edilizie, sparse per l’Europa, sono riconducibili a un Tutto, a un’idea di architettura: un modello architettonico di un’unità comples-sa.

Tale è la consapevolezza di ciò da parte dell’ordine certosino che dal XVIII secolo, nella “galeries des cartes” della Grande Chartreuse di Grenoble sono esposte le icone, le viste prospettiche dei monasteri, una settantina, che danno il senso figurato tangibile della varietà nell’unità.

“Esse tracciano la fisionomia dei monasteri fanno luce sul contesto pa-esaggistico e sottolineano, nella complessità di aspetti formali, la rela-zione esistente tra l’archetipo e la sua locuzione specifica e connotata del genius loci… Le icone hanno la puntualità del disegno analitico che fissa la realtà in tutti i suoi aspetti di spazio costruito e spazio verde, di natura selvaggia e paesaggio coltivato di percorsi e di accessi.” (M. A.Giusti)26

Inoltre, non possiamo certo mettere in secondo piano l’idea urbana e non solo edilizia sottintesa nella struttura delle case certosine, legata all’idea di città sacra, la Gerusalemme celeste, per definizione l’idea di “città ideale“, che però fonda la sua singolarità sulla dialettica tra sacro e profano, tra regola e trasgressione. A tal punto che la trasformazio-ne nei secoli di queste strutture e la loro capacità adattativa sono in funzione della loro progressiva e sempre più mondana dimensione all’interno del territorio nell’ambito delle corti di mezza Europa.

Questo complesso e articolato mondo ruota intorno alla figura di San Bruno, fondatore della regola nel 1084, e alla prima struttura edificata, la Grande Chartreuse (casa madre dell’ordine) proprio sul massiccio della Chartreuse sulle Alpi Francesi, da cui probabilmente prende il nome.

Il sistema delle certose

60 Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

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1 Certosa di Buxheim, Germania, 1683 - 2. Certosa di Pierre-Châtel, Francia, fine del XVII secolo - 3. Certosa di Durbon, Francia, fine del XVII secolo - 4. Certosa Santa Maria degli Angeli, Roma, fine del XVII secolo - 5. Certosa di Jérez de la Frontera,Spagna, fine del XVII secolo - 6. Certosa di Sélignac, Francia, 1784.

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In realtà, per quanto ci riguarda, l’interesse per queste struttu-re nasce dalla riorganizzazione che nel 1679 è sancita dal Capitolo Generale, grazie all’iniziativa del priore generale Dom Innocent Le Masson.

Fino a quei tempi le Certose erano organizzate intorno a due or-ganismi fisicamente distinti, la “Domus superior” e la “Domus infe-rior”: la prima destinata ad accogliere in isolamento i chierici-monaci e nella seconda i laici-conversi addetti alla sussistenza dei primi e della Casa. Una contrapposizione netta tra ciò che è del sacro e ciò che appartiene all’utile. Un esempio di questo tipo di organizzazione è costituito dal convento ed eremo di Camaldoli in Toscana, dove è chiaramente visibile questa separatezza. Già nella prima fase assistia-mo a una specializzazione delle parti costituenti tipologicamente il convento; una struttura ordinata e rigida la “Domus superior”, al con-trario flessibile e adattabile alle condizioni di luogo e di produzione quella ‘inferior’. Quest’ultima, cioè il luogo della produzione di beni e servizi, nata in prima istanza a servizio del convento, ben presto e nei secoli diventerà il luogo della produzione e di commerci di vasti territori che gravitavano intorno alla Casa. In una prima fase questa distinzione era resa in modo esplicito in modo tale da coinvolgere le scelte costruttive delle singole parti; materiali “duraturi” per le parti legate alla vita contemplativa e materiali “precari” per le costruzioni atte alla conduzione materiale del convento.

Quest’organizzazione elementare del sistema edilizio costituita intorno alla separazione netta di due elementi, cui attribuire ruoli di-stinti anche in termini di valore semantico e pragmatico, questa sem-plificazione apparentemente semplice e immediata, funziona fino a quando il sistema edilizio è elementare, ma si rende immediatamente poco funzionale e inadeguata a rispondere alla sempre più complessa articolazione delle funzioni che la certosa in quegli anni sempre più svolge. Queste considerazioni sono le stesse a cui dobbiamo far rife-rimento a proposito del tema della complessità delle strutture edilizie contemporanee.

Questa fase, lentamente ma progressivamente, è superata già nel corso del XIV secolo, fino a giungere alla sistemazione codificata, nei fatti (perché non esiste un codice scritto), della unificazione e riorga-nizzazione delle “Domus” certosine sancita dal capitolo generale nel 1679.

Su cosa si fonda questa riorganizzazione?Le icone delle case certosine sono lì a testimoniare questa trasfor-

mazione:

Domus superior, domus inferior

62 Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

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1 Certosa del Galluzzo, Firenze - 2. Certosa di Pontignano, Siena - 3. Certosa di Calci, Pisa - 4. Certosa di Pavia - 5. Certosa di Padula, Salerno - 6. La Grande Chartreuse, Grenoble.

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63Capitolo secondo Oltre l’edificio come oggetto

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Capitolo terzo

Le strategie del progetto di architettura;

metodi e strumenti

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“Questo testimoniano costantemente e ossessivamente gli artisti; che a emergere al termine del processo produttivo è qualcosa che manifesta sempre e comunque un vero e proprio scarto rispetto al progetto originario – uno scarto di cui l’artista non sa rendere ragione. Un’eccedenza che rende l’opera sostanzialmente libera da qualsivoglia intenzione progettuale, e dunque libera dal soggetto stesso che l’ha prodotta. Un’esperienza che, se capitasse a un architetto, potrebbe anche comportare il fallimento del fare suo proprio. Un errore di ‘calcolo’, infatti, può comportare per l’architetto il crollo dell’opera, dell’edificio, e dunque il fallimento della corrispondenza (qui necessariamente richiesta) tra l’opera e la funzione di cui essa è sempre serva.” (M. Donà) 35

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I lavori che si presentano di seguito sono il risultato di tre ricerche svolte dall’autore, in qualità di ricercatore e progettista, con Ipostudio architetti; la prima, affidata dalla società STS Servizi e Tecnologie Socio-sanitarie e svolta nel periodo 1989/1995, è stata finalizzata alla definizione di una guida alla progettazione delle RSA (Residenze Sa-nitarie Assistenziali) e si è concretizzata sia in una serie di pubblica-zioni sia nel successivo svolgimento di diversi progetti architettonici, alcuni dei quali realizzati; la seconda ricerca, finanziata nell’ambito del programma Growth dell’Unione Europea e svolta nel triennio 2001/2003, ha riguardato il progetto “IFD Buildings: Social-Tech-nological-Commercial Process Model and Supporting Communica-tion/Information System for Design and Delivery of Industrialised, Flexible, Durable and Demountable Buildings”, ha avuto un investi-mento complessivo di 3,6 milioni di Euro e la partecipazione di un Consorzio di nove partners pubblici e privati di cinque paesi della Comunità e ha messo a punto un sistema di procedure, tecnologie e modelli costruttivi innovativi in grado di ottimizzare il processo di progettazione, produzione e distribuzione di edifici industrializzati flessibili, durevoli e smontabili; la terza ricerca, anch’essa finanziata dalla Commissione Europea nell’ambito del programma Intelligent Energy Europe (IEE) del Sesto Programma Quadro e conclusa nel 2008, è denominata SuRE-FIT (Sustainable Roof Extension Retrofit for High-Rise Social Housing in Europe): la ricerca è incentrata sul tema della riqualificazione leggera, adattabile e flessibile degli edifici del patrimonio residenziale pubblico e si è occupata dell’uso di qua-li tecnologie, metodi e procedure d’attuazione possano consentire di ampliarne lo stock abitativo attraverso interventi di sopraelevazione.

Un esempio di metaprogettazione: le residenze sanitarie assistenziali

Può essere utile per la migliore comprensione di quanto sostenuto nei capitoli precedenti un esempio di applicazione delle metodiche relative ad un approccio meta-progettuale che interagisce con una

Alcune ricerche tra riflessione e azione

134 Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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modalità relativa ad un sistema più tradizionale: l’esperienza prodot-ta negli anni nella ricerca per la definizione prima di una guida alla progettazione delle Residenze Sanitarie Assistenziali conosciute con l’acronimo di RSA poi, con la progettazione e la realizzazione di di-verse strutture edilizie.

Il problema posto era quello di dare forma e sostanza ad un pro-gramma edilizio che riformava in Italia il modo nel quale approcciare e risolvere alcune questioni centrali della epoca contemporanea, da un lato l’aumento della aspettativa di vita e dunque la progressiva an-zianità della popolazione e, dall’altro, la solitudine di una società che sempre di più si trasforma in unità famigliari mononucleari e non può o non vuole risolvere all’interno della famiglia il problema di assistere ed accudire le fasce deboli della società. All’epoca, parliamo degli anni ’90, case collettive protette non esistevano se non in pochi casi e in poche regioni italiane. In Europa l’esperienza era più ampia perché questi fenomeni si erano ampiamente prodotti come risultato di una più avanzata condizione di una società industrializzata.

Nel Piano Sanitario per il triennio 1989-91 venivano dunque in-trodotte le Residenze Sanitarie Assistenziali e venivano definite strut-ture di tipo extraospedaliero – da ciò la denominazione di residenza – che, pur rimanendo di tipo sanitario, e quindi parte integrante del

Pensionato e RSA Nuovo Tambroni, Ancona (ipostudio, 1998-2006)

135Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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dall’aula magna e dalle strutture dei servizi generali; lo spazio privato delle celle. Vi è tuttavia un altro aspetto affascinante nelle strutture conventuali che potrebbe risultare interessante ai fini dell’analogia: la ricchezza e l’articolazione degli spazi esterni che si caratterizzano a seconda della collocazione nella struttura e della relazione con gli spazi interni. Tutto questo può essere una interpretazione valida di un concetto generale espresso con chiarezza nella norma dove si dice che “nel loro insieme le soluzioni devono configurare a scala di residenza un tessuto abitativo in cui siano presenti, accanto alle camere e alloggi sostitutivi delle abitazioni, zone dedicate alle relazioni sociali...”.

Alla scala urbana infine, sia per le dimensioni complessive, sia per le relazioni che deve stabilire con il suo intorno, la RSA si comporta come un isolato urbano specialistico che, a differenza questa volta della struttura conventuale, col suo grado di apertura può caratteriz-zarsi come un vero e proprio “attrattore urbano”.

La sua collocazione nei sistemi urbani, pertanto, non può che es-sere centrale, in particolare nelle aree metropolitane, o comunque ba-ricentrica rispetto al tessuto generale.

La diversificazione dei servizi e la particolarità delle funzioni di una Residenza Sanitaria Assistenziale richiedono dunque, sul piano delle soluzioni architettoniche, un’articolazione dell’organismo edili-zio capace di coniugare l’esigenza di razionalizzare l’organizzazione funzionale e gestionale dell’edificio con l’obiettivo di realizzare una struttura che riproponga condizioni di vivibilità e fruibilità degli spazi simili, per quanto possibile, a quelle di un ambiente domestico.

Pur rispondendo alle esigenze di razionalità e funzionalità di un edificio specialistico, la configurazione tipologica e distributiva di una RSA deve tendere dunque ad esaltare, negli spazi abitativi, la perso-nalizzazione e il carattere “domestico” degli ambienti e a ridurre al massimo l’anonimità o la “asetticità” delle zone dedicate alle relazioni sociali e alle attività di gruppo.

Il progetto di una RSA comporta perciò un’analisi attenta del rap-porto tra i criteri di organizzazione dei servizi e l’articolazione degli spazi ad essi destinati adeguando gli schemi architettonici, i caratteri morfologici e i criteri distributivi dell’edificio alla presenza di sostan-ziali differenze tra gli ambienti di una RSA; differenze dovute alle diverse modalità di fruizione degli spazi e delle attrezzature e alle specifiche esigenze delle varie categorie di utenti (ospiti, operatori, utenti esterni, ecc.).

Condizione necessaria al soddisfacimento di questi due obiettivi è l’adozione di soluzioni tipologiche che consentano di realizzare una

Domesticità

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Variazione sul tema delle aperture nelle RSA.

143Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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Matrice delle diverse configurazioni tipologiche.

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153Appendici Alcune ricerche tra riflessione e azione

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Apparati

Note bibliografiche 1. J. L. Borges, Il Congresso del Mondo, Franco Maria Ricci editore, Parma 1974.2. G. Vattimo, Etica dell’interpretazione, Rosenberg & Sellier Editori, Torino 1989, p. 42.3. J. Rykwert, Paradossi dell’architettura contemporanea, in: “Necessità dell’artificio”, Edizioni di Comunità, Milano 1988 (traduzione Renato Pedio), pp. 137-138.4. F. Choay, La regola e il modello, sulla teoria dell’architettura e dell’urbanistica, Officina Edizioni, Roma 1996.5. R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi. Saggio di una teoria generale dei modelli, Giulio Einaudi Editore, Milano 1980.6. B. Latour, A. Yaneva, Il punto di vista della teoria Actor-Network sull’architettura, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, Birkhäuser, Basilea 2008 (traduzione: Lucio Di Martino, correzione: Bruno Persico), pp. 80-89.7. E. Morin, Il metodo 1. La natura della natura, Raffaello Cortina Editore, Milano 2001, p. 112.8. E. Vittoria, L’utopia come laboratorio sperimentale, a cura di G. Guazzo, Gangemi Editore, Roma 1995.9. E. Morin, op.cit., p. 117.10. E. Morin, op.cit. p. 119.11. E. Morin, op.cit., p. 121.12. E. Morin, op.cit., p. 120.13. D. Bisig, R. Pfeifer, La composizione mediante progettazione, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, from: “Explorations In Architecture, teaching, design, research”, Birkhäuser, Basilea 2008, (traduzione: Lucio Di Martino, correzione: Bruno Persico), pp. 124-133.14. E. Morin, op.cit.15. E. Morin, op.cit., p. 128.16. E. Morin, op.cit., pp. 129-130.17. I. Calvino, Le città invisibili, Luigi Einaudi Editore, Torino..., p. 89.

18. E. Morin, op. cit., pp. 154-155.19. M. Morganti, op.cit., p. 108.20. A. C. Varzi, Ontologia, Laterza, Milano 2008, p. 130.21. M. Morganti, op.cit., p. 109.22. M. Morganti, op.cit., p. 110.23. A. C. Varzi, op.cit., p. 131.24. A.C. Varzi, op.cit., p. 132.25. M. A. Giusti, Le case certosine: per un itinerario della memoria, in La Certosa ritrovata, De Luca Editori d’Arte, Roma 1988, p. 26.26. M. A. Giusti, op.cit., pp. 21-22.27. M. A. Giusti, op.cit., p. 24.28. M. A. Giusti, op.cit., pp. 26-27.29. M. A. Giusti, op.cit., p. 27.30. F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 1977.31. Vitruvio, Dell’architettura, (Vitruvii, De architectura libri), Società Anonima Notari, Istituto Editoriale italiano, Villasanta (Milano) 1933, nella Collezione Romana, versione di U. Fleres, revisione di L. Filippi, S. Giliberti, M. Venturi, edizione bilingue (volume primo), p. 73.32. M. Donà, Il fare perfetto, in: M. Cacciari, M. Donà, Arte, tragedia tecnica, Raffaello Cortina Editore, Milano 2000. 33. M. Donà, op.cit., p. 105.34. M. Donà, op.cit., p. 102.35. M. Donà, op.cit., p. 103.36. M. Donà, op.cit., pp. 103-104.37. R. Musil, Sulla stupidità, Archinto, Milano 2001, traduzione di A. Casalegno, p. 11 38. G. Caniggia, G. L. Maffei, Il progetto nell’edilizia di base, Marsilio Editori, Venezia 1984.39. R. Thom, Stabilità strutturale... cit.40. G. Caniggia, G. L. Maffei, op.cit., p. 15.41. Ludwig Mies Van Der Rohe, Gli scritti e le parole, a cura di Vittorio Pizzigoni, Giulio Einaudi Editore, Milano 2010, p. 40.42. G. Caniggia, G. L. Maffei, op.cit., p. 16.

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43. D. Bisig, R.Pfeifer, op.cit., pp. 124-133.44. M. Morganti, Che cos’è un oggetto, Carocci editore, Roma 2010, p. 13.45. J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti, Bompiani, Milano 2009, p. 5.46. L. Magnani, saggio in: A. Mangiarotti, M. Luchi, L. Bonesio, L. Magnani, In nome dell’architettura, Jaca Book, Milano, 1987, p. 40. 47. R. Thom, Parabole e catastrofi, Intervista su matematica, scienza e filosofia, a cura di G. Giorello e S. Morini, Il Saggiatore, Milano 1980, p. 54. 48. R. Thom, Parabole e catastrofi... cit., p. 55. 49. J. Tanizaki, Libro d’ombra, a cura di G. Mariotti, Bompiani, Milano 1982 (traduzione di A. Ricca Suga), pp. 40-41.50. G. Colli, La nascita della filosofia, Adelphi, Milano 1980, pp. 28-29.51. G. Colli, op.cit., pp. 27-28.52. E.Morin, op.cit., p. 161.53 G. Clément, Il giardiniere planetario, 22 Publishing 2008 (traduzione di G. Denis), p. 59.54. G. Clément, op.cit., p. 66.55. P. Laureano, La piramide rovesciata. Il modello dell’oasi per il pianeta terra, Bollati Boringhieri Editore, Torino 1995.

Queste note bibliografiche riguardano i libri consultati; di alcuni di essi è stato fatto un uso rilevante per la stesura di questo testo. Fondamentale è stata, in particolare, la lettura e lo studio dei testi di Gianfranco Caniggia e Gianluigi Maffei, Massimo Donà, Maria Adriana Giusti, Matteo Morganti, Edgar Morin, René Thom, Achille C. Varzi.

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