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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze della Formazione Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria _______________________________________________________ Tesi di Laurea in Didattica della Fisica L'acqua e le sue proprietà chimico-fisiche: una proposta didattica per la scuola primaria Relatore: Dott. Samuele Straulino Studentessa: Alice Gori _______________________________________________________ Anno Accademico 2008/2009

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Università degli Studi di Firenze Facoltà di Scienze della Formazione

Corso di Laurea in Scienze della Formazione Primaria _______________________________________________________

Tesi di Laurea

in Didattica della Fisica

L'acqua e le sue proprietà chimico-fisiche:

una proposta didattica per la scuola primaria

Relatore:

Dott. Samuele Straulino

Studentessa:

Alice Gori

_______________________________________________________

Anno Accademico 2008/2009

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Indice

Introduzione……………………………………………………………………..3

I CAPITOLO

L’acqua: un mondo di conoscenza

1. L’acqua: un composto straordinario………………………………………….5

2. L’acqua: storia e origine……………………………………………………...7

3. L’acqua nei miti………………………………………………………………8

4. La scienza in nostro aiuto…………………………………………………….9

5. La chimica…………………………………………………………………..10

6. La fisica……………………………………………………………………..13

7. Studio scientifico dell’acqua………………………………………………..16

8. La meccanica dei fluidi……………………………………………………...22

II CAPITOLO

Dalla scienza alla conoscenza

1. L’insegnamento scientifico………………………………………………….29

2. La scola di ieri e di oggi…………………………………………………….36

III CAPITOLO

Mettiamo in pratica le conoscenze acquisite

1. Per cominciare………………………………………………………………41

2. Il contesto…………………………………………………………………...42

3. Marie Curie: la mia musa ispiratrice………………………………………..44

4. Una dura scelta: l’argomento……………………………………………….46

5. Eureka……………………………………………………………………….48

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6. Addentriamoci nei dettagli………………………………………………….49

7. Le parti da trattare…………………………………………………………..51

8. La parte più difficile………………………………………………………...52

9. L’ultima prova prima della realizzazione…………………………………...54

10. L’organizzazione degli incontri………………………………………….56

Il progetto incontro dopo incontro

1. I incontro

Il primo approccio alle scienze……………………………………………...57

2. II incontro

Partiamo dalla solubilità…………………………………………………….66

3. III incontro

La superficie dell’acqua: la tensione superficiale…………………………..75

4. IV incontro

Uno strano gioco di forze: la pressione……………………………………..81

5. V incontro

Una strana spinta: la legge di Archimede…………………………………...97

6. VI incontro

La conclusione…………...………………………………………………...105

Conclusioni……………………………………………………………………117

Bibliografia……………………………………………………………………120

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Introduzione

L’esperienza quotidiana ci porta spesso a vedere ciò che abbiamo intorno senza però riuscire

davvero ad osservare la realtà con sguardo attento e critico. La scienza ci insegna ad

approfondire ogni aspetto dei fenomeni naturali per poterne comprendere l’intima essenza e

per capirne le cause. Con il mio progetto mi sono proposta di avvicinare i bambini al mondo

della scienza e della scoperta, per far loro conoscere il volto divertente e coinvolgente di

questa disciplina.

Le discipline scientifiche sono poco amate dagli alunni poiché di solito sono legate a nozioni

e a leggi apprese dai libri di testo. Ma con un approccio didattico ben organizzato ed

appropriato, che faccia ricorso ad attività di laboratorio come si conviene a discipline che

sono basate sugli esperimenti, si può avviare un processo di conoscenza scientifica

significativo e profondamente formativo.

L’elaborato si compone di tre parti.

La prima parte è stata dedicata alla presentazione dell’acqua, composto indispensabile per la

vita di tutti gli esseri viventi. L’analisi ha riguardato sia la struttura molecolare e le proprietà

che ne derivano, sia la meccanica dei fluidi, che spiega le ulteriori proprietà fisiche.

Poi ho dedicato un po’ di spazio ad un approfondimento sulla metodologia che caratterizza le

discipline scientifiche e sull’importanza delle scoperte della scienza nel mondo attuale; in

particolare mi sono soffermata sulla chimica e sulla fisica, nell’ambito delle quali si svolge il

mio progetto didattico.

Nel secondo capitolo ho proposto alcune considerazioni sulle teorie pedagogiche e

psicologiche che tentano di spiegare l’acquisizione dei concetti scientifici da parte dei

bambini, per cercare di individuare le strategie educative più appropriate per l’insegnamento.

Per comprendere meglio il ruolo delle discipline scientifiche nella scuola di oggi ho ritenuto

necessario ripercorrere le tappe che, tra programmi e riforme, hanno finalmente permesso di

riconoscere l’autonomia e l’importanza delle scienze nella formazione dei bambini.

Il terzo capitolo è stato poi dedicato alla realizzazione del mio progetto. Nella prima parte ho

scritto il resoconto dettagliato di tutte le riflessioni e considerazioni da me fatte in fase di

preparazione; nella seconda parte, invece, ho analizzato il percorso incontro dopo incontro,

cercando di analizzare i momenti più salienti e significativi.

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Le prove di verifica che i bambini hanno svolto sono state utilizzare per una valutazione sul

risultato finale del lavoro svolto.

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I capitolo

L’acqua: un mondo di conoscenza

“ Dalla terra nasce l’acqua, dall’acqua nasce l’anima…

È fiume, è mare, è lago, stagno, ghiaccio e quant’altro…

È dolce, salata, salmastra,

è luogo presso cui ci si ferma e su cui si viaggia.”

Eraclito

1. L’acqua: un composto straordinario L’ acqua è l’origine della vita, l’origine del mondo…

Questa sostanza è talmente comune che è facile non accorgersi quanto essa sia eccezionale, e

quanto siano straordinarie le sue qualità.

È innegabile che l’acqua abbia un ruolo vitale.

Tutti gli organismi di cui abbiamo esperienza, dal piccolo microrganismo al più grande essere

vivente, sono costituiti prevalentemente da acqua e vivono in un mondo in cui questa sostanza

influenza il clima e molte caratteristiche dell’ambiente.

Nell’evoluzione della Terra a partire della sua formazione, avvenuta circa 4,5 miliardi di anni

fa, l’acqua e le sue proprietà hanno avuto un ruolo fondamentale. “Essa è stata sia il mezzo in

cui il sistema vivente si è formato ed evoluto, sia una sorta di ‘motore’ che partecipa e ha

partecipato all’aumento di complessità del sistema mediante la formazione di aggregati di

macromolecole. Le sue proprietà sono essenziali per consentire l’esistenza degli organismi

viventi perché hanno costituito e costituiscono ancora un importante catalizzatore per

l’evoluzione biologica.” 1 La vita da milioni di anni è indissolubilmente legata all’acqua: in

effetti non soltanto le cellule sono di solito circondate da acqua, ma soprattutto “ne hanno un

contenuto che varia dal 70% al 95%”. 2 Il corpo umano ne è composto per circa il 60-70%

nell’adulto.

1 “La vita: un gioco d’acqua” G. Principato, abstract di una conferenza (da http://scientiaemunus.provincia.parma.it/ ) 2 Neil A. Campbell, Principi di biologia, Zanichelli, Bologna, 1998

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L’ acqua, che ricopre circa tre quarti di tutta la superficie terrestre, è l’unica sostanza, tra le

più comuni, capace di esistere in natura in tutti e tre gli stati fisici della materia: solido,

liquido e gassoso. Questa sua proprietà le permette di essere la protagonista indiscussa del

ciclo per eccellenza che raggiunge ogni zona della Terra e permette la rigenerazione

stagionale del pianeta. Osservando ogni piccolo paesaggio, di mare, di montagna, di collina, è

evidente la sua presenza o comunque la sua azione.

L’abbondanza dell’acqua sulla Terra, che rappresenta uno dei principali fattori che la rendono

abitabile, ha portato l’uomo ad utilizzarla in infiniti usi e abitudini, dalla pulizia quotidiana,

alla preparazione del cibo, fino all’uso simbolico in riti e celebrazioni, diversi in ogni cultura.

Infatti, la mitologia trae la sua più profonda iniziazione proprio dall’acqua, elemento simbolo

di purezza e di rigenerazione.

Ma perché è così importante?

L’ acqua da sempre è stata oggetto dell’interesse e della curiosità dell’uomo, ma è soprattutto

grazie alle conoscenze scientifiche via via acquisite e alle moderne ricerche sviluppate

nell’ambito della chimica, della fisica e della biologia che è stato possibile spiegare i motivi

che rendono questo elemento così essenziale per la nostra esistenza.

Ripercorrendo le tappe dello sviluppo del nostro pianeta, scopriamo che fino a 360 milioni di

anni fa l’acqua rimase l’unico ambiente in cui poté manifestarsi la vita e solo più tardi

iniziarono a comparire animali in grado di sopravvivere anche sulla terraferma. Da quel

momento l’evoluzione delle specie ha portato dalla comparsa dei dinosauri, fino a quella dei

mammiferi. Ma è solo circa 4 milioni di anni fa che si è verificato il salto più grande, la

comparsa dei primi ominidi.

Le tappe dell’evoluzione del mondo si ripercorrono idealmente nello sviluppo di ogni uomo,

che avviene anch’esso in un’acqua particolare: il liquido amniotico.

La stretta relazione tra l’acqua e la Terra e, necessariamente, tra l’acqua e la vita, costituisce

un motivo valido per dedicare una profonda attenzione allo studio delle caratteristiche e delle

proprietà di questo elemento.

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2. L’acqua nella filosofia antica3 L’importanza dell’acqua come elemento indispensabile per la vita sulla Terra è stata

riconosciuta fin dai tempi molto antichi. Non è un caso, infatti, che le prime civiltà si siano

sviluppate proprio vicino ai grandi fiumi che, in alcuni casi, con grandi inondazioni rendevano

le terre vicine particolarmente fertili.

L’acqua dagli antichi era considerata una sostanza “sacra”. Intorno a questo significato

simbolico sono nate teorie e credenze che per molto tempo sono state utilizzate per spiegare le

sue proprietà e la sua natura. La “teoria dei quattro elementi”, tramandata da Aristotele,

accettata dagli studiosi del tempo, affermava che l’acqua era l’essenza di tutto ciò che è

liquido e umido, elemento fondamentale per la composizione dell’universo. Insieme all’aria,

alla terra e al fuoco, l’acqua rappresentava l’origine di tutte le cose, poiché all’epoca

credevano che costituisse, in combinazione con gli altri elementi, ogni tipo di materia.

Secondo tale teoria le sostanze inanimate erano formate da una mescolanza, in diverse

proporzioni, di tutti e quattro gli elementi. Il ferro, ad esempio, si pensava che contenesse

molta terra perché era pesante, un po’ di acqua perché era freddo, pochissima aria e un po’ di

fuoco che lo rendeva lucente. Questi quattro elementi non erano considerati costituiti di

piccole particelle, alla stregua dei nostri atomi, ma erano ritenuti come una sorta di “plasma”

continuo senza spazi vuoti.

Anche gli esseri viventi erano costituiti da questi elementi, ma avevano in più un principio:

“la forza vitale”. La convinzione che piante ed animali riuscissero a trasformare la materia

inanimata in materia vivente grazie alla loro forza vitale è stata per molto tempo oggetto di

osservazioni e di critiche che hanno posto le premesse per la nascita della moderna teoria

dell’atomo. Nel XVIII secolo un alchimista fiammingo, J.B. Van Helmont, con vari

esperimenti arrivò a concludere che le piante utilizzano l’acqua per trasformarla in legno e in

foglie. Sebbene la sua conclusione non fosse del tutto esatta poiché non teneva conto dell’aria,

lo studioso ebbe il merito di aver messo in dubbio le affermazioni aristoteliche, aprendo la

strada alla futura biochimica.

3 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007. R. Tripoli, L’importanza biologica e naturale dell’acqua, unità 6, Formazione per la Comunicazione

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3. L’acqua nei miti 4

L’acqua da sempre viene considerata come il principio e l’origine della creazione. Questa idea

trova conferma nella testimonianza dei numerosi riti, miti e leggende che si sono tramandati

per millenni in tutte le culture del mondo, dove l’acqua come sostanza primordiale riveste un

ruolo di protagonista con diversi significati, talvolta in senso positivo e salvifico, talora in

senso negativo e oscuro.

Indipendentemente dal luogo o dalla tradizione religiosa, per molti popoli antichi l’acqua

rappresenta il principio fondamentale del mondo. A differenza della Terra, che rappresentava

il mondo conoscibile e raggiungibile, l’acqua, con le immense distese del mare e dei laghi

veniva considerata legata al mistero, come un mondo inconoscibile. Proprio questo ha

determinato la nascita di un’incredibile varietà di miti e leggende proprie di ogni cultura e

società.

Nelle civiltà mediterranee, dato lo stretto legame tra l’acqua e la vita, importanti divinità,

come Afrodite, dea dell’amore e della vita, nascevano dal mare. Anche Poseidone, divinità

marina, era legato all’acqua, e in particolare riassumeva i pericoli e la potente forza distruttiva

del mare in tempesta.

Se per gli Egizi l’acqua del Nilo era portatrice di fecondità e di vita, in India era ritenuta

sostanza purificatrice per il lavaggio delle colpe. Anche la pioggia aveva le sue divinità:

nell’antichità l’uomo per invocare la pioggia compiva anche sacrifici, danze e preghiere.

Presso i Maya, divinità sanguinarie dominavano le acque sotterranee, chiedendo sacrifici

umani. Secondo Eraclito era proprio l’acqua che dava il senso del moto e del tempo mentre la

pietra rappresentava l’eterna fissità.

Secondo la tradizione nordica l’acqua che è contenuta nel ghiaccio primordiale si scioglie per

effetto del vento caldo del sud e gocciolando dà origine al primo essere vivente. La mitologia

cinese invece considerava la terra e il mare aspetti di un essere primordiale da cui tutto ha

avuto origine.

In ogni regione, da nord a sud, da est ad ovest, ci sono credenze e mitologie legate a questo

composto, che fin dall’origine è stato elemento indispensabile per la vita dell’uomo.

4 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007 F. Mosetti, L’acqua, Scuola e didattica, n.13, Editrice La Scuola, 1992, Brescia

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4. La scienza in nostro aiuto Come fare per riuscire a conoscere meglio le caratteristiche e la natura dell’acqua?

L’aiuto ci viene fornito da quei settori della scienza che di solito fanno più paura, soprattutto a

studenti e ragazzi: la chimica e la fisica.

Proprio così. La chimica e la fisica sono la parte della scienza che più ci aiuta a comprendere i

fenomeni che si osservano in natura, e a spiegare perché ciò che ci circonda è fatto in un certo

modo.

Anche se a un primo impatto spaventano e impegnano, per la complessità degli argomenti e

per la necessità di astrazione e di ragionamento che richiedono, in seguito la difficoltà lascia il

posto ad un mondo affascinante e stimolante, che apre alla mente l’esistenza come di un

mondo parallelo.

Fino a pochi decenni fa le conoscenze scientifiche non potevano raggiungere larghi strati della

popolazione, dato che la scienza era tenuta praticamente ai margini dell’insegnamento della

scuola dell’obbligo. Con il passare del tempo la situazione è migliorata di gran lunga,

producendo un’amplificazione vertiginosa negli studi e nelle ricerche che stanno portando la

scienza, e di conseguenza la tecnologia, ad un’evoluzione velocissima, impensabile qualche

decennio fa.

Tuttavia ci rendiamo conto che la cultura scientifica è ancora appannaggio di pochi e che

l’uomo comune spesso se ne sente escluso. Tutt’oggi nelle scuole si utilizzano metodi teorici

e mnemonici per l’insegnamento delle scienze che non sono adatti per queste discipline.

Prima di addentrarci nello studio delle proprietà dell’acqua, cerchiamo di capire quali sono gli

spazi di indagine di queste due scienze e quali prospettive la chimica e la fisica possono aprire

all’uomo.

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5. La chimica 5 «Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma»

Antoine Lavoisier (1743- 1794)

È difficile immaginare un qualsiasi fenomeno o fatto in cui non sia chiamata in gioco la

chimica. Tutto, infatti, attorno a noi ed in noi, è chimica: dal piccolo filo d’erba del prato del

giardino, al cibo con cui ci alimentiamo; dagli oggetti plastici di uso comune come lo

spazzolino da denti, dai medicinali indispensabili per la nostra salute. E non solo: anche il

funzionamento o il mal funzionamento del corpo umano è regolato da reazioni chimiche.

Ebbene: la chimica è parte della vita.

Anche se è un po’ difficile da comprendere, la chimica riguarda tutte le manifestazioni della

vita, e, in qualche modo, riguarda anche quei processi mentali come l’apprendimento, la

memoria, il pensiero, che sono nient’altro che il risultato di reazioni chimiche particolarmente

complesse, di cui ancora molti studiosi si stanno occupando.

Per riuscire a comprendere profondamente le cause e il modo in cui avvengono i fenomeni e i

fatti che sono intorno a noi è necessario scendere nel piccolo, anzi nel piccolissimo, ovvero a

livello atomico e molecolare. Per capire come noi uomini possiamo sopravvivere dobbiamo

fare come una “zoomata”: dall’albero (dimensioni dell’ordine del metro), alle foglie (10 cm2 x

0,3 mm), alle cellule (50 µm), ai cloroplasti (5 µm), ai grani (200 nm), fino ad arrivare a

“congegni” costituiti da un certo numero di componenti molecolari assemblati in modo

opportuno. Ed è proprio a questo livello atomico che si verifica un complesso di reazioni

molto complicato che costituiscono il processo fotosintetico.

La materia è composta da un’infinità di enti, gli atomi appunto, dei quali conosciamo

l’esistenza esclusivamente grazie a strumenti molto complessi che ne svelano le caratteristiche

indirettamente. Gli studiosi, infatti, hanno scoperto la struttura atomica e l’esistenza delle

particelle subatomiche a piccole tappe e mediante prove e verifiche da cui ottengono ulteriori

conoscenze.

A causa delle dimensioni così piccole, gli atomi e le molecole sono fuori dal nostro ambito

esperienziale e quindi è difficile credere alla loro esistenza basandosi sull’intuizione.

5 Balzani V., Credi A., Venturi M., “Perché la chimica è importante, utile e bella” Dip. di Chimica dell’Università di Bologna (http://wwwcsi.unian.it/educa/prodiba/balzani.html)

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Goethe, ad esempio, diceva che la scienza deve essere a scala umana e si opponeva all’uso del

microscopio, affermando che ciò che non si può vedere a occhio nudo non deve essere

cercato, perché evidentemente è nascosto all’occhio umano per qualche buona ragione.

Questa affermazione è contraria alla logica della scienza che, soprattutto negli ultimi anni, ha

spinto le sue indagini sempre più verso il “piccolo”, con il desiderio principale di conoscere

meglio la natura, ma anche per sfruttare, da un punto di vista tecnologico, i vantaggi che ne

possono derivare.

Ormai da molti anni i chimici hanno approfondito lo studio di molecole e atomi conoscendone

ogni comportamento anche senza un approccio diretto.

Per capire come è fatta la materia e cos’è la chimica può essere molto utile fare un paragone

fra chimica e linguaggio.

Se prendiamo come esempio la nostra scrittura, essa è costituita da simboli, ovvero le lettere,

raccolte in un alfabeto che le contiene tutte. Nella chimica i simboli sono gli atomi e l’alfabeto

è la Tavola Periodica. Continuando il parallelo, come le lettere combinate possono formare le

parole, allo stesso modo più atomi insieme costituiscono le molecole, che sono quindi le

parole della chimica. Come ci sono parole brevi e parole lunghe, così ci sono molecole fatte di

pochi atomi (come la molecola d’acqua, che ha due atomi di idrogeno e uno di ossigeno, H2O)

e molecole grandi (come l’emoglobina che è addirittura formata oltre 9000 atomi). Una prima

conclusione, allora, è che il mondo è fatto di molecole, così come il linguaggio è fatto di

parole.

Ma il parallelismo continua. Un numero limitato di elementi, che siano lettere o atomi,

possono dar luogo ad un’incredibile complessità, che però deve necessariamente rispondere a

precise leggi e regole. Infatti queste combinazioni di lettere o atomi devono avere un senso e

quindi essere inserite in un contesto più ampio e generale. Infatti come nel linguaggio le

parole che vengono combinate per comporre frasi devono necessariamente avere un senso

compiuto, adeguato al discorso più generale, allo stesso modo in chimica una molecola per

poter svolgere una propria funzione deve essere inserita in un sistema più ampio e generale,

ovvero la macromolecola. In tal senso si potrebbe proseguire associando un paragrafo ad un

enzima, un capitolo di un libro a un mitocondrio, un libro ad un protozoo, una collana di libri

ad un animale poco evoluto ed infine un’intera biblioteca ad un uomo.

Il paragone biblioteca-uomo è davvero intuitivo non tanto a livello quantitativo, quanto

soprattutto a livello organizzativo. Infatti, come le lettere contenute nelle biblioteche non sono

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messe a caso, bensì ordinate in parole, frasi, paragrafi, capitoli, volumi e collane al fine di

esprimere informazioni e concetti, così gli atomi del corpo umano sono ben ordinati in

molecole, sistemi sopramolecolari, enzimi, cellule e organi per compiere le funzioni

necessarie alla vita.

Il paragone fra chimica e linguaggio, pur nei suoi limiti forse troppo semplicistici, ha forse il

pregio di farci capire non solo che gli atomi rappresentano la più piccola entità utilizzata dalla

chimica, ma soprattutto che gli organismi viventi sono dei sistemi chimici dove un numero

incredibilmente grande di molecole è disposto in modo altrettanto incredibilmente ordinato.

Quindi gli oggetto di studio della chimica sono le proprietà e le strutture dei costituenti della

materia (atomi, molecole, cristalli e altri aggregati) e le loro interazioni reciproche, da cui

hanno origine gli stati della materia. È importante precisare che tale studio non è limitato alle

sue proprietà in un dato istante, bensì riguarda anche le sue trasformazioni, ovvero le reazioni

chimiche.

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6. La fisica “La missione più alta del fisico è dunque la ricerca delle leggi elementari,

le più generali, dalle quali si parte per raggiungere,

attraverso semplici deduzioni, l’immagine del mondo.

Nessun cammino logico conduce a queste leggi elementari:

l’intuizione sola, fondata sull’esperienza, ci può condurre ad esse.”

A. Einstein

L’uomo, fin dai primi momenti della vita, è portato ad osservare ed a fare esperienza di una

straordinaria varietà di fenomeni e di cambiamenti che hanno luogo continuamente

nell’ambiente che ci circonda.

Cercare di rispondere ai tanti “perché” proposti dai fenomeni naturali corrisponde a un

bisogno istintivo antichissimo che da sempre ha caratterizzato la natura dell’uomo.

“La fisica (dal greco physis = natura) è la scienza che si propone di descrivere e di

comprendere i fenomeni che si svolgono in natura. Essa non è un insieme di conoscenze

complete e per sempre immutabili, ma è qualcosa che cresce e anche si modifica. Spesso, e

sempre più facilmente, nascono nuovi campi di studio: fenomeni che apparivano indipendenti,

senza alcuna relazione tra loro, si rivelano come aspetti diversi di un unico fenomeno più

generale.”6

Prima della nascita della scienza moderna, lo studioso di tutti gli aspetti della scienza era il

filosofo naturale, che successivamente, per effetto delle notevoli conoscenze scientifiche

sviluppatesi dal tempo del rinascimento in poi, è andato via via scomparendo per far posto al

fisico, al chimico, al biologo, al naturalista. Fra questi scienziati “il fisico è colui che fornisce

idee sempre nuove alle altre scienze e alle grandi industrie tecnologiche che contribuiscono a

trasformare sempre più velocemente la nostra attuale società. Il fisico è colui che è

continuamente animato da stimoli intellettuali che lo portano a svelare i più riposti misteri

della natura sviluppando una ricerca pura, da cui spesso nascono ulteriori applicazioni.” 7

Questo ha permesso che oggi si siano sviluppati campi di studio interdisciplinari, che si

avvalgono dei principi e delle basi della fisica. Nonostante ciò l’elevato grado di sviluppo

raggiunto attualmente dalle scienze richiede una sempre più marcata specializzazione

6 Amaldi U., Dal pendolo ai quark, Zanichelli, Bologna, 1991 7 Caforio A., Ferilli A., Physica, Le Monnier, Firenze, 1994

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nell’ambito di una sola disciplina, proprio perché non è possibile avere una conoscenza così

generalizzata e ampia.

Ciò che davvero caratterizza la fisica è essenzialmente il suo metodo che si chiama Metodo

Scientifico Sperimentale perché si fonda sull’esperimento e sulla teoria.

Per esperimento si intende la riproduzione dei fenomeni studiati in condizioni controllate e

semplificate, che nell’osservazione della realtà, peraltro alla base di qualunque ricerca, si

presentano con un alto grado di complessità e di confusione dovuto al sovrapporsi di molte

variabili. Gli esperimenti producono relazioni tra grandezze e misure che vengono confrontate

con le previsioni di ipotesi formulate precedentemente; se queste corrispondono ai risultati

degli esperimenti, la relazione matematica tra le grandezze studiate costituisce una legge

fisica.

Dall’insieme di più relazioni rispetto a un dato fenomeno, dette anche principi, si arriva a

costruire una teoria che ne spiega le cause. Le teorie però non sono immutabili. Infatti, ogni

teoria fornisce un modello logico-matematico utile a descrivere i fenomeni naturali: ma ogni

modello può essere confutato o modificato dalla scoperta di ulteriori dettagli o anche errori

attribuibili alla teoria precedente. La validità dei principi garantisce la validità delle relazioni

dedotte, ma la validità dell’intera teoria può essere confermata o confutata solo dagli

esperimenti, cioè da osservazioni e misure quantitative effettuate sui fenomeni. L’esperimento

ha un ruolo fondamentale: basta un solo esperimento per confutare una teoria.

Una teoria non suscettibile di verifica sperimentale non può essere accolta come teoria fisica e

rimane pura speculazione intellettuale. Per questo motivo la fisica è una scienza sperimentale.

Le teorie fisiche devono essere confutabili. Nello stesso tempo, ogni teoria che non venga

confermata da tutti gli esperimenti noti è da ritenersi falsa o, comunque, di validità limitata.

Questo non significa che teorie di validità limitata non vengano utilizzate: anzi, a volte

vengono utilizzate più spesso delle teorie più generali.

“Un esempio è proprio la Meccanica Classica. Questa teoria, infatti, è stata superata dalla

Meccanica Relativistica da un lato e da quella Quantistica dall’altro, teorie più generali che

includono la Meccanica Classica come caso particolare. Ma nessuno si sognerebbe di usare la

Meccanica Relativistica o Quantistica per descrivere il comportamento di un orologio a

pendolo o per verificare la statica di un ponte! In molti casi si preferisce usare, anzi, modelli

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di applicabilità circoscritta, ma adatti a descrivere il fenomeno in studio (modelli ad hoc),

piuttosto che teorie generali matematicamente molto complicate.” 8

Da Galileo in poi, grazie al metodo scientifico sperimentale, la fisica si è occupata con

successo di una vasta gamma di fenomeni, dalla meccanica alla termodinamica, dall’ottica

all’elettromagnetismo.

Alla fine del XIX secolo si pensava che la fisica avesse dato risposta a tutte le questioni legate

al mondo della conoscenza, ma il pensiero di A. Einstein aprì un’altra dimensione che

sconvolse la Fisica classica.

Le teorie classiche vennero messe in discussione e si fecero strada idee rivoluzionarie che

portarono alla scoperta della Relatività ristretta, alle teorie della Meccanica Quantistica, alla

scoperta di particelle con proprietà affascinanti come i neutrini e i quark.

Queste scoperte hanno rivoluzionato tutto il mondo della fisica e anche il modo di pensarla.

Le scoperte fisiche applicate in campo tecnologico hanno consentito all’uomo di raggiungere

incredibili traguardi. Ma ciò che spinge il fisico a procedere con le sue ricerche è la curiosità,

la continua sete di verità.

Tuttavia, non ci sono verità assolute: così l’indagine continua, e questo è il vero fascino della

Fisica!

8 http://people.na.infn.it/~santamat/meccanica/doc/fisica.htm

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7. Studio scientifico dell’acqua 9 L’unità fondamentale dell’acqua è la molecola H2O. Questa perciò non è un elemento, come

nel passato fu considerata, ma un composto formato da due atomi di idrogeno uniti a uno di

ossigeno.

La semplicità di questa molecola potrebbe trarre in inganno.

Nonostante sia composta solamente da tre atomi, l’acqua presenta caratteristiche uniche che la

rendono allo stesso tempo la sostanza più comune, ma anche anomala rispetto a tutti gli altri

elementi e composti.

Per comprendere l’unicità di questo elemento è necessario addentrarci nel mondo

microscopico.

O, H, H: possiamo considerare questi atomi come gli ingredienti di una ricetta, ma come ogni

bravo chef sa, il segreto per ottenere il meglio è il procedimento, ovvero il modo in cui

vengono a combinarsi i vari ingredienti. E lo stesso vale per la molecola dell’acqua.

L’atomo di O è formato da 8 protoni 10 e solitamente 8 neutroni 11 localizzati all’interno del

nucleo, e 8 elettroni 12 che orbitano nella regione di spazio intorno al nucleo centrale,

all’interno dei cosiddetti orbitali.13

L’atomo di H invece è molto più semplice, perché composto da un protone nel nucleo e un

elettrone nell’orbitale. 14

Ma come si combinano questi tre elementi? E perché si abbinano proprio in un modo

particolare?

Per semplificare possiamo dire che una molecola d’acqua assomiglia a una piramide

equilatera un po’ sghemba,15 …. o meglio, lavorando un po’ più di fantasia, possiamo farla

9 Neil A. Campbell, Principi di biologia, Zanichelli, Bologna, 1998. Bestini, F. Mani, Lezioni di chimica, CEDAM casa editrice dott. Antonio Dilani, 1993. Puccin Marta, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007. J.E. Brady, J.R. Holum, Chimica, Zanichelli, 1992 Bologna 10 Il protone è una particella subatomica con carica elettrica positiva. 11 Il neutrone è una particella subatomica che non ha carica elettrica e ha una massa molto poco diversa da quella del protone. Gli elementi leggeri hanno di solito un numero di neutroni uguale al numero di protoni, mentre per gli elementi pesanti si ha una prevalenza di neutroni. 12 L’elettrone è una particella subatomica con carica negativa e massa molto piccola rispetto alle masse del protone e del neutrone. 13 Secondo la descrizione della Meccanica Quantistica non è possibile conoscere con esattezza la traiettoria dell’elettrone attorno al nucleo. Si possono soltanto definire delle zone dello spazio in cui è possibile trovare l’elettrone con una certa probabilità; queste zone sono dette orbitali. 14 Nella chimica la complessità della materia è dovuta proprio all’interazione, alla disposizione e al comportamento degli elettroni, dai quali dipendono soprattutto i legami molecolari e intermolecolari. 15 M. Puccin, Acqua e scienza, EMI, Bologna 2007

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assomigliare ad una testa di topolino, al cui centro c’è l’atomo di ossigeno molto grande, e in

alto, ai vertici di un quadrato circoscritto all’atomo di ossigeno, si trovano i due atomi di

idrogeno. Negli altri due vertici del quadrato possiamo localizzare concettualmente le due

coppie di elettroni dell’atomo di ossigeno che non intervengono nei legami con l’ossigeno e,

rimanendo libere, si respingono più di quanto non lo facciano i due atomi di H tra loro

costituendo una figura un po’ distorta geometricamente.16

Ma come fanno questi atomi a formare una molecola?

Le particelle dell’atomo, ed in particolare gli elettroni, permettono l’istaurarsi di legami di

vario tipo, dovuti a un gioco di attrazioni e repulsioni delle cariche positive e negative.

Nel nostro caso, gli atomi di idrogeno e di ossigeno sono uniti da un legame molto forte detto

“covalente”; ogni atomo mette a disposizione un elettrone, e la coppia elettronica che ne

risulta viene condivisa tra i due elementi. Nella molecola di acqua, l’ossigeno, che ha un

nucleo molto più grande e molto più forte dell’idrogeno, attira a sé gli elettroni in comune e

acquisisce una carica localizzata negativa. Per l’idrogeno è il contrario: avendo meno elettroni

intorno assume una carica localizzata positiva.

A causa di questa struttura detta “dipolare”, che porta alla formazione dei legami ad idrogeno

responsabili di un livello superiore di organizzazione strutturale, l’acqua, elettricamente

neutra, possiede insolite proprietà chimico-fisiche.17

16 Gli altri due elettroni si trovano nel primo orbitale, quello più vicino al nucleo, e non partecipano a nessun legame. 17 Ibidem

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E quali sono le proprietà che rendono l’acqua così importante e unica?

Caratteristica esclusiva, fondamentale e ben conosciuta è la facilità di trasformazione in

natura nei vari passaggi di stato. Infatti sulla Terra l’acqua è l’unica sostanza che si trova

contemporaneamente allo stato solido, liquido e gassoso. Ciò è dovuto al fatto che i suoi punti

di ebollizione (100 °C) e di fusione (0 °C) sono molto più alti rispetto a tutti i composti

dell’idrogeno e degli elementi della tavola periodica che precedono e seguono l’ossigeno, che

invece si aggirano rispettivamente al di sotto degli 0 °C per l’ebollizione, e intorno a -70 °C

per la fusione. Questo è dovuto ai legami ad idrogeno i quali hanno una forza di attrazione né

intensa né debole, a metà tra un forte legame atomico e un legame molecolare invece molto

labile.

L’acqua comunque non è l’unica molecola in grado di formare legami ad idrogeno. Sebbene

anche molecole di ammoniaca e di acido solforico siano costituite da legami ad idrogeno,

solamente l’acqua è in grado di formare ben quattro legami per ogni molecola, determinando

una disposizione molto organizzata e regolare che la rende assimilabile più a un cristallo che

ad un gas. Questa regolarità non deve però trarre in inganno poiché i legami ad idrogeno,

seppur relativamente forti, a temperatura ambiente non sono stabili e quindi si formano e si

distruggono in continuazione e l’acqua di conseguenza si trova allo stato liquido.

I legami ad idrogeno sono i responsabili di molte delle proprietà fisiche dell’acqua, tra cui una

delle più importanti riguarda la densità.

Nei liquidi le particelle hanno una relativa capacità di movimento, dovuta ai legami instaurati

tra le molecole che sono una via di mezzo tra lo stato solido, in cui le molecole sono

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impacchettate e rigidamente incasellate in una struttura preordinata, e lo stato gassoso, in cui

le molecole sono completamente libere e non collegate tra sé.

Nei liquidi la disposizione delle particelle e il loro movimento influisce sulla densità. Infatti

quando c’è raffreddamento le molecole si muovono meno e tendono ad avvicinarsi,

determinando l’aumento della densità con il diminuire della temperatura. Al contrario una

temperatura più alta fa muovere più velocemente le particelle, che tendono così ad occupare

più spazio: il liquido avrà densità minore. L’acqua, al contrario, solidificandosi diventa meno

densa18. Dal suo punto di ebollizione fino a circa 4 °C si comporta ugualmente agli altri

liquidi, ma quando inizia a congelare va incontro ad un vero e proprio cambiamento di stato,

modificando l’organizzazione dei suoi atomi da disordinata a regolare. In particolare, i legami

ad idrogeno aumentano i vincoli strutturali tra le molecole vicine e creano così spazi vuoti tra

una molecola e l’altra. Così si determina una conseguenza fondamentale per l’equilibrio

ambientale della Terra: il galleggiamento del ghiaccio sull’acqua.

Questo comportamento è unico in natura perché, come già detto, tutti i liquidi tendono

normalmente a diminuire il loro volume progressivamente al diminuire della temperatura.

Ma le infinite meraviglie dell’acqua non sono finite qui: parliamo adesso della tensione

superficiale.

Nuovamente entrano in gioco i legami a idrogeno, ma in particolare quelli tra le molecole

superficiali a contatto con l’aria. Sulla superficie manca la possibilità per le molecole di

legarsi in tutte le direzioni dello spazio, così da essere costrette a rivolgere i loro legami sulle

molecole a loro vicine. Ne risulta così una adesione molecolare sbilanciata verso l’interno, il

cui effetto è equivalente alla presenza di una forte pellicola elastica sulla superficie dell’acqua

a contatto con l’aria. La tensione superficiale, sebbene sia relativamente percepibile al tatto

umano, risulta ben evidente nella disposizione spaziale che assume l’acqua (per esempio nella

forma delle gocce ).

Altra caratteristica da attribuire ai legami ad idrogeno è la capillarità, che permette all’acqua

di salire in piccoli vasi aderendo alla loro superficie interna.

L’acqua è anche un eccellente solvente perché, grazie alla sua natura dipolare, è capace di

scindere i legami elettrici che tengono unite le sostanze ioniche e polari, che rappresentano

gran parte delle sostanze chimiche. Uno degli esempi più semplici è quello del sale da cucina,

o cloruro di sodio (NaCl). 18 Questo fenomeno è molto raro ma non unico, poiché anche il germanio presenta una fenomenologia simile. Tuttavia assolutamente anomalo è avere la maggiore densità a 4 °C.

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Questo sale è un composto ionico, ovvero è formato dalla combinazione regolare di due

atomi, il sodio e il cloro, detti ioni perché hanno carica positiva, il primo, e carica negativa, il

secondo. Quando il sale è posto in acqua, esso viene circondato da molecole d’acqua che si

inseriscono tra uno ione e l’altro e indeboliscono l’attrazione elettrica tra i due, determinando

la rottura della struttura cristallina del sale. Ogni atomo del sale si trova così disciolto in acqua

e cioè circondato da molecole di acqua, ovvero viene detto solvatato. Questa reazione che

avviene in acqua è chiamata idrolisi. Le sostanze non polari, come grassi e oli, non possono

invece essere sciolte o meglio solvatate in acqua, poiché queste sono composti costituiti da

legami più forti con i quali l’acqua non riesce ad interferire.

La capacità di idrolisi dell’acqua è tale da dissociare anche se stessa, formando lo ione

idrogeno H+ 19 e lo ione idrossido OH-. In generale per una data soluzione, la concentrazione

di ioni idrogeno e di ioni idrossido viene espressa dal pH. A pH = 7 si ha il perfetto equilibrio

dei due tipi di ioni, ovvero la quantità di H+ è uguale alla quantità di OH-. Quando la

soluzione ha in maggioranza ioni H+, si ha una soluzione acida (pH < 7); viceversa con una

concentrazione più alta di ioni OH- si ha una soluzione basica (pH > 7).

Altra caratteristica fondamentale riguarda il calore specifico, che è la quantità di energia

necessaria ad aumentare di un grado di temperatura un grammo di sostanza. Il calore specifico

dell’acqua è eccezionalmente alto e ciò è dovuto al fatto che l’energia fornita all’acqua

sottoforma di calore viene inizialmente impiegata per rompere un certo numero di legami ad

idrogeno. Di conseguenza solo una piccola parte di energia è utile all’aumento della

temperatura, che risulta più graduale e lenta per l’acqua rispetto all’aria. Proprio per questo

fenomeno i luoghi di mare sono più miti e soprattutto il mare determina una bassa escursione

termica tra il giorno e la notte, poiché l’acqua contrasta gli sbalzi di temperatura grazie alla

sua capacità di assorbire e di conseguenza di cedere l’energia termica lentamente.

Le proprietà dell’acqua hanno anche conseguenze importanti sui sistemi biologici nei quali

questo liquido è protagonista essenziale, poiché partecipa attivamente a tutte le reazioni del

metabolismo. Ma allo stesso tempo, gioca un ruolo essenziale nel mantenere stabili le

strutture biologiche più importanti del nostro organismo, come le membrane cellulari o la

struttura delle proteine globulari, ma soprattutto nella conservazione del patrimoni genetico,

in cui è responsabile dell’appaiamento tra le eliche del DNA. Il gioco delle interazioni tra

molecole d’acqua e gruppi idrofili delle proteine assicura, ad esempio, che esse possano

19 Più spesso si forma lo ione idronio H3O

+, che è molto più stabile rispetto a H+

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mantenere la struttura predeterminata in un opportuno intervallo di temperatura e in presenza

di una opportuna concentrazione di sali. L’influenza dell’acqua sull’evoluzione, alla luce di

tali conoscenze, rivela il suo ruolo determinante ed unico nell’esistenza della vita.

Ciononostante queste proprietà sono solo una piccola parte rispetto a tutto ciò che davvero si

può conoscere e sapere sull’acqua. Infatti l’acqua, oltre alle proprietà chimico-fisiche che la

caratterizzano, è un liquido, e come tale risponde alle leggi della meccanica dei liquidi.

Le leggi che determinano i principi fondamentali della meccanica dei liquidi sono il principio

di Pascal, la legge di Stevino e la legge di Archimede.

Vediamo queste leggi più da vicino.

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8. La meccanica dei fluidi 20 I fluidi sono corpi deformabili, cioè corpi che oppongono scarsa resistenza al cambiamento di

forma. Rientrano in questa definizione i liquidi e i gas, con la differenza che i liquidi sono

praticamente incomprimibili, cioè hanno un volume proprio, mentre i gas sono facilmente

comprimibili e quindi il volume che occupano dipende dalla pressione a cui sono sottoposti.

Ciò si riflette sulla densità, che è determinata dal rapporto tra la massa e il volume. In

generale la densità di un corpo dipende dalla natura del corpo, dalla pressione e dalla

temperatura.

Prima di studiare il comportamento dei fluidi, è opportuno precisare il concetto di pressione.

Se abbiamo un parallelepipedo solido appoggiato sulla faccia ABCD, la pressione p esercitata

dal solido sul piano di appoggio è

p = P / SABCD

cioè il rapporto tra il peso P dell’oggetto e la superficie della faccia ABCD.

20 U. Amaldi, Dal pendolo ai Quark, Meccanica, Termologia, Acustica, Zanichelli, 1991, Bologna. A. Caforio, A. Ferilli, Physica, Fondamenti della Meccanica, Le Monnier, 1994, Milano. R. Casalbuoni R., S. De Curtis, Fondamenti e Didattica della Fisica, Lezioni tenute al corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria, Università di Firenze, a.a. 2003/2004

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Se appoggiamo lo stesso parallelepipedo su una faccia più grande, per esempio BCGF, la

pressione sul piano risulta più bassa anche se il peso dell’oggetto è ovviamente lo stesso di

prima. In generale la pressione è definita come rapporto fra la forza che agisce in direzione

perpendicolare a una superficie e la superficie stessa. La pressione si misura in Pascal (Pa), e

1 Pa corrisponde alla forza di 1N che agisce sulla superficie di 1m2.

La pressione nei fluidi è descritta dalle leggi di Pascal e di Stevino.

LEGGE DI PASCAL

La legge di Pascal descrive la pressione all’interno di un fluido, non considerando l’effetto del

peso del fluido stesso, di cui invece terrà conto l’enunciato della legge di Stevino. Essa

afferma che la pressione all’interno del fluido è la stessa in tutti i punti. Ne segue che

qualsiasi variazione di pressione effettuata in un punto del fluido si trasmette con la stessa

intensità in tutte le direzioni su ogni altra superficie a contatto con esso.

Per capire meglio immaginiamo di applicare una forza di intensità F ad un pistone che

comprime il liquido contenuto in un recipiente di forma sferica.

Osservando il deflusso del liquido vedremo che quest’ultimo uscirà dai fori con getti di

lunghezza pressappoco uguale e direzione iniziale perpendicolare a quella della parete sferica.

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La velocità di fuoriuscita del liquido, inoltre, sarà tanto più elevata quanto maggiore è

l’intensità della forza applicata. Tale fenomeno si spiega con il principio di Pascal, che

appunto afferma che la pressione applicata dal pistone si trasmette invariata a tutto il liquido.

Su questa legge si basa il torchio idraulico, il dispositivo che si usa ad esempio per sollevare

le automobili.21

LEGGE DI STEVINO

Questa legge descrive l’effetto sulla pressione di un fluido del peso del fluido stesso. Si fa

l’ipotesi che il fluido sia incomprimibile, per cui la legge vale per i liquidi ma non per i gas.

La legge afferma che in un liquido pesante la differenza di pressione tra due punti del liquido

è direttamente proporzionale al dislivello tra i due punti. Precisamente, se si considerano due

punti all’interno dello stesso liquido, la pressione nel punto 2 (più in basso) è maggiore di

quella nel punto 1 (più in alto) di una quantità pari a ρgh, dove ρ è la densità del liquido, g è

l’accelerazione di gravità e h è la differenza di altezza tra il punto 1 e il punto 2.

Il risultato è appunto che la pressione aumenta linearmente con la profondità e ad una

profondità h essa è aumentata di una quantità ρgh rispetto alla pressione p1 della quota di

riferimento rispetto cui è misurata la profondità h, ovvero

p2 = p1 + ρgh

Pertanto la pressione all’interno di un liquido dipende solo dalla profondità alla quale essa

viene misurata e non dalla forma del recipiente che contiene il fluido.

21 Esso è costituito da due cilindri di sezione diverse, nei quali scorrono a tenuta due pistoni. I due cilindri sono parzialmente riempiti di liquido e sono uniti alla base da un tubo di comunicazione. Il torchio idraulico è in pratica una macchina che consente di equilibrare una forza molto intensa applicandone una più piccola. Ciò è possibile perché le pressioni sulle due superfici devono essere uguali; quindi la forza resistente grande che agisce sulla superficie grande è equilibrata da una forza motrice piccola applicata sulla superficie piccola.

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In tubi stretti ma sufficientemente alti è possibile produrre pressioni notevoli anche con una

piccola quantità di liquido se l’altezza della colonna liquida è molto elevata. Un esempio di

ciò è la “botte di Pascal”.22

Il valore della pressione in un punto all’interno di un liquido contenuto in un recipiente non

dipende dalla forma di quest’ultimo. Consideriamo i tre recipienti:

Questi hanno uguale base e sono riempiti con uno stesso liquido fino ad una altezza h. La

pressione sul fondo di ogni recipiente dovuta al peso del liquido, secondo la legge di Stevino,

assume lo stesso valore ρgh nei tre vasi. Il paradosso idrostatico consiste proprio in questo:

pur essendo diverso il peso del liquido contenuto nei vari recipienti, la forza esercitata sul

fondo è uguale per tutti e tre i vasi.

Ancora come conseguenza della legge di Stevino si ha che, in un sistema di vasi comunicanti,

il liquido raggiunge la stessa quota in tutti i vasi, indipendentemente dalla forma dei

recipienti.

LEGGE DI ARCHIMEDE

È esperienza comune che un corpo immerso in acqua sembra più leggero: ciò deriva dal fatto

che l’acqua esercita sul corpo una forza, che si oppone al peso, chiamata Spinta Idrostatica. Il

22 In una botte piena d’acqua, attraverso un tubo stretto e molto alto inserito a tenuta sul coperchio superiore, aggiungiamo progressivamente dell’acqua. La pressione idrostatica all’interno della botte aumenta proporzionalmente all’altezza raggiunta dall’acqua. Quando l’acqua raggiunge una altezza sufficiente nel tubo, le pareti della botte cedono alla pressione idrostatica esercitata provocando la rottura della botte.

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valore di questa forza è precisato dalla legge di Archimede: un corpo immerso in un fluido

riceve una spinta dal basso verso l’alto pari al peso del fluido spostato.

Una certa quantità di fluido viene spostata verso l’alto dal corpo quando questo è immerso:

questo fluido spostato ha la tendenza a ritornare al proprio posto spingendo verso l’alto il

corpo che vi è immerso. In questo modo si capisce intuitivamente che la spinta idrostatica

corrisponde al peso di una quantità di fluido corrispondente al volume della parte immersa del

corpo.

Una spiegazione può essere data attraverso il bilancio di forze, partendo dal fatto che su un

corpo che si trovi in equilibrio statico la forza risultante deve essere nulla. Se misuriamo la

forza peso di un corpo di massa m per mezzo di un dinamometro, vediamo sperimentalmente

che il valore segnato dallo strumento quando il corpo è immerso (Fp in acqua) è inferiore al

valore della forza peso misurata in aria (Fp in aria ).

Peso del Volume di acqua = Spinta di Archimede

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Analizziamo le forze applicate sia nell’uno che nell’altro caso. Quando l’oggetto è in aria le

forze verticali agenti sul corpo appeso al dinamometro sono la forza di gravità mg e la forza

del dinamometro Fp in aria (agenti in versi opposti ed in equilibrio).

Quando l’oggetto è immerso, oltre alla forza di gravità mg e alla forza del dinamometro Fp in

acqua agiscono altre due forze: la forza F1 diretta verso il basso esercitata dal liquido che si

trova sopra il corpo ed la forza F2 diretta verso l’alto dovuta all’acqua che preme sulla

superficie inferiore del corpo.23

Visto che il dinamometro indica una forza minore quando l’oggetto è immerso rispetto a

quando è in aria, il modulo di F2 dovrà essere maggiore di quello di F1: la differenza tra

queste due forze è detta Spinta Idrostatica o Spinta di Archimede ed è una forza diretta verso

l’alto. Questo risultato è in pieno accordo con quanto affermato dalla legge di Stevino, di cui

la legge di Archimede può essere considerata come un caso particolare. Utilizzando infatti la

legge di Stevino si trova che la spinta verso l’alto è pari al peso del fluido contenuto nella

parte del volume dell’oggetto che risulta immersa.

La misura della spinta di Archimede dipende essenzialmente dal peso specifico del corpo

(dato dal rapporto fra il peso e il volume).

Possiamo affermare che il fatto che un corpo galleggi o no in un fluido dipende

esclusivamente dal valore del peso specifico del corpo rispetto al peso specifico del fluido.

Nelle applicazioni pratiche (per esempio nella costruzione delle navi) si tiene conto di questa

grandezza.

23 Le forze applicate sulla superficie laterale del corpo dal fluido circostante si bilanceranno e quindi non dovranno essere tenute in considerazione.

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II capitolo

Dalla Scienza alla Conoscenza

1. L’insegnamento scientifico Come già sappiamo bene, le scienze ci aiutano a capire il mondo che ci circonda e a

comprendere le regole che governano ogni suo aspetto. Tramite l’esperienza e l’osservazione,

seguendo le fasi del metodo scientifico, gli scienziati ricercano nuovi aspetti che permettano

di arrivare a sviluppare nuove strutture concettuali, tanto più valide quanto più consentono di

prevedere il comportamento di fatti e fenomeni naturali. Alla luce di questo, l’insegnamento

scientifico, si propone di fornire ai bambini non solo la conoscenza dei fenomeni naturali di

cui abbiamo esperienza, ma in particolare di renderli capaci di pensare in modo logico e

critico e di sviluppare schemi concettuali appropriati a collocare ogni concetto nel pensiero

astratto.

Tramite lo studio delle scienze sperimentali il bambino impara a conoscere e capire il mondo

in cui viviamo attraverso la consapevolezza di se stesso. Proprio per questo l’insegnamento

scientifico con i suoi contenuti e le sue metodologie deve tenere conto del mondo dell’allievo

al quale egli si rivolge, e in particolare fare attenzione al “modo” in cui egli impara.

Affinché l’insegnamento scientifico risulti appropriato ed efficace è essenziale tener presente

considerazioni e teorie che riguardano direttamente il bambino.

L’approccio scientifico non è poi così lontano alla realtà del bambino, proprio perché “il

modo di procedere dei bambini nell’esperienza del mondo è per certi versi molto simile a

un’indagine di tipo scientifico”24. Infatti il bambino, fin dalla sua nascita, entra in contatto con

il mondo attraverso i sensi, il movimento, gli stati d’animo, i sentimenti, le emozioni, il

linguaggio. Tutto è da scoprire e da capire. In questa irrefrenabile voglia di conoscere non c’è

solamente un bisogno “biologico” di crescita, ma c’è anche una componente essenziale, un

altro tipo di bisogno che caratterizza l’uomo in ogni momento della vita: la “curiosità”.

“Questa attività continua del bambino può trovare nell’ambiente esterno stimoli e sostegni

24 C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000

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oppure negazioni, ostacoli e divieti. Essa è, comunque, orientata e condizionata”25. Infatti il

bambino quando arriva a scuola non è tabula rasa, ma possiede un bagaglio specifico di

conoscenze che derivano da vari fattori correlati: una certa potenzialità genetica, l’attività

cognitiva, influenze culturali derivanti dal contesto a cui appartiene (il tipo di civiltà, la

nazione, la famiglia, la casa, il gruppo di riferimento). Tutti questi fattori concorrono e

intervengono nella sua crescita.

A sostegno di questo pensiero contribuisce uno dei più grandi studiosi del mondo del

bambino, John Dewey, secondo cui “l’esistenza delle indagini non è cosa che si possa mettere

in dubbio” poiché “entrano in ogni ambito della vita e in ciascun aspetto di ogni ambito. Gli

uomini compiono delle disamine nella vita di ogni giorno.”26

L’osservazione e il porsi domande, parti essenziali del metodo scientifico sperimentale e

punto di partenza di tutte le conoscenze scientifiche, vengono quindi a rappresentare anche la

base della conoscenza dell’individuo, il quale riflettendo su una situazione problematica

innesca il processo conoscitivo. “L’atteggiamento nativo e integro della fanciullezza,

contrassegnato da ardente curiosità, da fertile immaginazione, e dall’amore della ricerca

sperimentale è vicino, molto vicino, all’atteggiamento dello spirito scientifico.”27 Per poter

soddisfare questa spontanea passione per la scoperta, il bambino, per primo, deve poter

trovare sfogo a questa necessità in ogni esperienza diretta. Ecco che proprio qui emerge uno

dei pilastri su cui si fonda il pensiero di Dewey: l’esperienza diretta e l’importanza

dell’attività del fare. Nell’attività pratica il bambino realizza la sintesi tra il pensare e il fare,

perché è proprio nell’esperienza che la dimensione conoscitiva si fonde con quella pratica. Il

rilievo che viene dato all’esperienza diretta non significa che nell’aspetto pratico si esaurisce

tutta la componente conoscitiva. Il fare rappresenta il punto di partenza dal quale si può

sviluppare una ricerca teorica, un ripensamento dell’attività pratica stessa, che può produrre

nuova conoscenza. Ma il cardine su cui ruota tutto questo pensiero è l’interesse. L’esperienza

diventa importante per la formazione nel momento in cui è significativa e appropriata ai

bisogni e agli interessi dei bambini. Infatti la motivazione è il motore dell’apprendimento.

Non sono sufficienti nuovi metodi e strategie educative a coinvolgere e a rendere partecipe

pienamente il bambino a particolari attività. Solo quando si parte dal bambino, dalla sua

realtà, dai bisogni, dai suoi interessi si possono creare occasioni significative in cui dar vita ad

25 Ibidem 26 J. Dewey, Logica, teoria dell’indagine (1938), trad. it., Einaudi, Torino 1949 27 J. Dewey, Come pensiamo (1933), trad. it., La Nuova Italia, Firenze 1961

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indagini aperte e complesse da risolvere in vista di una meta. Spesso invece l’atteggiamento

che si riscontra è quello di indifferenza e superficialità verso i problemi e le curiosità che i

bambini hanno, continuando a cercare di trasmettere il sapere mediante lezioni oggettive e

informative secondo un metodo tradizionale ormai trapassato. In questo modo la conoscenza

rimane superficiale, mnemonica e facilmente soggetta ad essere dimenticata.

Dato il ruolo di primo piano che assume l’esperienza soggettiva nei processi di conoscenza e

in particolare in quelli di tipo scientifico, rimane da stabilire però come si realizza

l’acquisizione della conoscenza.

L’apprendimento è da sempre stato oggetto di approfondite ricerche da parte di studiosi di

ogni ambito. Tra gli psicologi che hanno portato un importanti contributo, un meritato

riconoscimento va a J. Piaget. Sebbene alcuni punti del suo pensiero siano stati sorpassati,

alcune sue teorie sono essenziali per la comprensione del processo di apprendimento. Primo

tra tutti è il processo di assimilazione e accomodamento. Piaget attribuisce un grande rilievo

all’attività mentale che si realizza nel rapporto mondo-bambino già nei primi momenti di vita.

Da questo contatto percettivo si formano schemi o strutture che il bambino considera come

veri e corretti. Ma poiché l’esperienza personale lo porta a nuove conoscenze, egli tenta di

assimilarle ai suoi propri schemi. Se ciò non è possibile poiché si ha un contrasto tra il

vecchio schema e la nuova conoscenza si verifica un accomodamento. Il bambino in pratica

trasforma i propri schemi e li rende adatti alla nuova conoscenza; ciò gli permette di ristabilire

un nuovo equilibrio nella sua mente. In questo modo egli compie una serie di operazioni

mentali che divengono mano a mano più complesse acquisendo anche nuove capacità. “Il

bambino, come la persona in genere, è artefice della propria intelligenza e conoscenza, anche

se subisce condizionamenti di varia natura.”28 Tramite questi meccanismi di assimilazione e

accomodamento si realizza lo sviluppo intellettuale degli allievi, che si compie attraverso il

susseguirsi di quatto stadi fondamentali. Questi stadi sono dei periodi in cui i bambini

ragionano e agiscono secondo schemi mentali specifici e diversi da quelli dell’adulto, e sono:

stadio senso-motorio, pre-operatorio, operatorio concreto, operatorio formale. “La

maturazione dell’intelligenza si realizza a partire dai sensi e dal movimento del bambino per

giungere allo sviluppo di strutture cognitive flessibili e con capacità di astrazione.”29

Questa teoria ci permette di trarre alcune riflessioni importanti che riguardano l’insegnamento

delle scienze a scuola. Infatti, seguendo questo pensiero, proprio perché l’intelligenza si 28 C.G. Hoffmann, Fare scienze nella scuola di base, La Nuova Italia, Milano 2000 29 A.O. Ferrarsi, A. Oliverio, Psicologia. I motivi del comportamento umano, Zanichelli Bologna 1996

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realizza tramite il susseguirsi di vari stadi, che tengono conto del grado di sviluppo della

conoscenza, le attività e le conoscenze che vengono proposte ai bambini devono considerare il

loro livello di formazione. Sarebbe un grave errore proporre attività che richiedono un

pensiero astratto di carattere logico deduttivo a bambini che non hanno ancora superato lo

stadio delle operazioni concrete.

Il pensiero di Piaget è stato fortemente criticato da alcuni autori i quali accusano lo psicologo

di non aver considerato il carattere sociale di ciascun individuo.

Principale sostenitore di questa critica è Vygotskij, il quale indirizza invece la sua ricerca

verso il ruolo formativo che assume l’ambiente a livello storico-culturale. Per lo psicologo

russo non è possibile fissare i contenuti o le acquisizioni di base di ogni singolo stadio poiché

tali contenuti sono dipendenti dall’ambiente culturale in cui è immerso il bambino. Secondo la

sua teoria durante l’apprendimento ci sono dei momenti in cui gli adulti possono intervenire

per incrementare lo sviluppo intellettivo del bambino. Infatti è proprio imitando l’adulto o

lavorando con gli altri che il bambino riesce a fare cose che non sarebbe stato in grado di

svolgere da solo e che vanno ad intervenire sullo sviluppo di funzioni psico-intellettive

superiori. A questo proposito Vygotskij utilizza la nozione di “area di sviluppo potenziale,

secondo cui in ogni bambino c’è un livello standard di sviluppo intellettivo stabile e certo che

però tramite l’intervento di un adulto o anche nella mediazione tra coetanei può raggiungere

un livello potenzialmente superiore.”30 Vygotskij descrive in modo preciso come si formano i

concetti scientifici. In particolare egli afferma che questi “sembrano essere il mezzo nel quale

la consapevolezza e la padronanza si sviluppano per primi, per trasferirsi più tardi in altri

concetti e in altre aree di pensiero. La coscienza riflessiva arriva al bambino attraverso i

concetti scientifici.”31 Inoltre egli sottolinea che c’è differenza tra i concetti che il bambino si

forma nell’esperienza quotidiana, quando la mente è lasciata libera di agire come vuole, e i

concetti che assimila a scuola, quando gli vengono impartite nozioni sistematiche, e

comunicati principi che non può né vedere né sperimentare direttamente, restando sospesi e

sconnessi dalla realtà. Inoltre l’importanza dell’esperienza diretta viene ulteriormente

confermata dal fatto che essa è la base su cui si innestano i processi che portano alla

formazione dei concetti.

Oltre agli studiosi sopra citati, anche altri hanno indirizzato le loro ricerche allo studio dei

processi di formazione dei concetti scientifici, individuando varie teorie. 30 A.O. Ferrarsi, A. Oliverio, Psicologia. I motivi del comportamento umano, Zanichelli Bologna 1996 31 L.S. Vygotskij, Pensiero e linguaggio, trad. it., Giunti Barbera, 1954 Firenze

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Appare evidente che in ogni teoria è comunque sottolineata l’importanza di tenere conto delle

capacità e delle strutture proprie del bambino a cui l’insegnamento si deve adeguare.

Merita un accenno il pensiero dello psicologo statunitense D. P. Ausubel il quale individua

due tipi differenti di apprendimento: per ricezione e per scoperta. “Si ha un apprendimento per

ricezione quando tutto quello che deve essere appreso viene presentato al discente che lo fa

proprio; si ha un apprendimento per scoperta invece quando il contenuto da apprendere non

viene presentato al discente ma egli lo scopre per proprio conto facendo leva su alcuni

elementi di conoscenza che già possiede.” 32 La parte più interessante del suo pensiero è

quella che riguarda la distinzione tra l’apprendimento significativo e quello meccanico: nella

prima si comprende effettivamente il significato, mentre in quella meccanica si ha

semplicemente il concetto imparato a memoria. Queste due tipologie di apprendimento si

possono realizzare sia nel caso della ricezione che della scoperta. L’idea centrale è che la

significatività di un certo contenuto di apprendimento dipende da quanto esso è correlato con

la struttura cognitiva dell’allievo.

Prendendo spunto da questo pensiero possiamo a ragione considerare che un insegnamento sia

positivo se l’azione didattica si innesta e si realizza su quanto già i bambini sanno o pensano.

Queste loro idee, definite come conoscenze di “senso comune”, sono il risultato delle

spiegazioni dei fenomeni osservati ricavate dall’esperienza quotidiana, o facendo propri i

modi di pensare dell’adulto; di solito però questo “senso comune” non coincide con

l’interpretazione che la scienza dà degli stessi fenomeni. Ogni individuo acquisisce durante

tutta la vita diversi modi di rapportarsi al mondo, facendo proprie conoscenze e credenze che

sono accettate all’interno di un preciso contesto socio-culturale. Spesso l’uomo nella sua

lunga storia ha accettato delle conoscenze sul mondo che riteneva attendibili o relativamente

esaustive, senza sottoporle ad un controllo critico e senza un’analisi accurata delle cause. Al

contrario il pensiero scientifico si basa su spiegazioni sistematiche e razionali del fenomeno

osservato, di cui si individuano le variabili e le condizioni favorevoli per il suo verificarsi. Si

può facilmente comprendere quanto questi due atteggiamenti siano distanti. Infatti nella

società odierna si assiste spesso a un disorientamento da parte dell’uomo comune su tematiche

rilevanti per la convivenza civile in cui siano coinvolti aspetti scientifici. Basti pensare al

dibattito sull’ingegneria genetica, sulle centrali nucleari, sugli inceneritori.

32 A. Bargellini, Le vie della scienza, Carlo Signorelli Editore, 1997 Milano

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L’insegnamento scientifico si prefigge lo scopo di sviluppare negli alunni schemi concettuali

più efficaci e critici rispetto a quelli che spontaneamente egli si costruisce nella realtà

quotidiana e che acquisisce dal senso comune. L’abitudine a ragionare seguendo questi

schemi mentali può essere utile, al bambino divenuto adulto, per formarsi un’opinione propria

anche in assenza di competenze specifiche sugli aspetti scientifici delle questioni dibattute

nella società.

Spesso però la conoscenza come risultato dell’azione della scuola si trova legata ad un

accumulo mnemonico di conoscenze scientifiche disparate che vengono facilmente

dimenticate. “L’attuale insegnamento scientifico risulta insoddisfacente. […] I nostri alunni

escono dalla scuola con un’idea deformata e poco stimolante della scienza. Ne hanno

un’immagine stereotipata e vaga.”33 La scienza che così bene si presta all’esperienza e

all’osservazione del mondo reale è stata insegnata per molti anni per mezzo di metodologie

ripetitive o imitative. È importante chiederci perché nella scuola è stato perso il vero volto

della scienza ovvero il fascino del ricercare e dello scoprire. “La scienza è prima di tutto

un’apertura nei confronti di ciò che ci circonda. Essa costituisce uno stato dello spirito di

contestazione metodica nel quale si mescolano creazione e molteplici comunicazioni.”34

Spesso accade proprio che l’insegnamento scientifico viene proposto mediante informazioni

troppo specifiche e con termini solitamente di difficile comprensione che rendono complicato

l’acquisizione del concetto da parte dell’allievo.

Da qualche decennio è ormai diffusa la consapevolezza della crisi che riguarda

l’insegnamento scientifico soprattutto nella scuola di base. Negli ultimi decenni si è verificato

l’avvento della scuola di massa in tutti i paesi industrializzati. La scuola del passato, legata ai

saperi accademici specialistici e alle conoscenze dogmatiche, sta entrando in crisi. La

situazione economica, sociale e culturale che caratterizza la nostra società richiede soluzioni

nuove e molto più efficaci rispetto a quelle del passato.

Solo attualmente una nuova coscienza educativa sta acquisendo consapevolezza che non è

possibile trasmettere in modo significativo i saperi tramandati dalla tradizione manualistica, e

sta cercando di dirigersi verso la costruzione di nuove conoscenze scientifiche che possano

essere collegate alle effettive strutture cognitive e motivazionali degli studenti.

In questo panorama l’insegnante non è più colui che insegna agli alunni esponendo le sue

conoscenze, ma assume un ruolo determinante. Diventa architetto della conoscenza: deve 33 A. Giordan, Una didattica per le scienze sperimentali, Armando Editore, 1981 Roma 34 Ivi

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creare un ambiente idoneo, in cui vi sia relazione, aiutando lo studente a capire e a capirsi per

realizzare pienamente la persona, realizzando anche il suo compito di trasmettere le

conoscenze. L’insegnante per riuscire in questo deve saper costruire sulla realtà della classe il

progetto formativo, che tenga conto del bagaglio culturale, personale e affettivo di ogni

singolo componente.

In questo contesto è necessario sottolineare nuovamente il valore irrinunciabile del contatto

diretto con le cose. E questo riguarda ancora più da vicino la scuola primaria. Nella

costruzione del significato scientifico, la fase sperimentale è imprescindibile. Infatti, prima di

capire un fenomeno occorre conoscerlo. Ma la comprensione non si esaurisce

nell’osservazione o nella fase di svolgimento dell’esperimento. Questo rappresenta il punto da

cui partire per riflettere sulla teoria intesa come generalizzazione di fenomeni. Vi è quindi un

intreccio costante tra aspetti fenomenici e teorici che non può essere tralasciato.35 A questo

proposito diventa indispensabile un’attività di rielaborazione e riflessione del concetto tramite

la traduzione in linguaggio. “La verbalizzazione scritta, infatti, nel processo di

concettualizzazione costituisce, probabilmente, il modo principale per sviluppare

consapevolezza rispetto all’osservazione, e permette al bambino di organizzare il mondo che

sta osservando sulla base delle proprie strutture cognitive.”36 Per arrivare alla formazione

corretta del concetto diventa importante anche il momento della discussione collettiva, in cui

il confronto con gli altri oltre a concorrere alla costruzione dello schema mentale, si carica di

significato motivazionale, cognitivo e comportamentale. È però importante che la discussione

si riferisca a fenomeni e a problemi che siano alla portata del bambino e che siano verificabili

sperimentalmente, ovvero è importante che siano scelti i contenuti in modo adeguato rispetto

al suo sviluppo cognitivo.

Per concludere questo approfondimento sul significato che l’insegnamento delle scienze

rappresenta nella formazione del bambino, è importane precisare che anche questa disciplina

deve contribuire a gettare le basi per una formazione della persona, sia nella crescita culturale,

sia nella costruzione di una cittadinanza consapevole.

35 C. Fiorentini, Il ruolo del laboratorio nell’insegnamento scientifico. Aspetti epistemologici, psicopedagogici e didattici, in Scuola e Didattica, n. 6, 2004 36 C. Fiorentini, Il ruolo del laboratorio nell’insegnamento scientifico. Una proposta per il primo ciclo di istruzione in Scuola e Didattica, n. 11, 2004

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2. La scuola di ieri e di oggi Dalla riforma Casati del 1860, la scuola italiana è stata oggetto di un percorso molto lungo e

complicato che l’ha portata ad essere riformata più volte. Ma, nonostante queste contorte

vicissitudini, la sua struttura di fondo ha subito poche modifiche. Dalla nascita della scuola si

sono alternati vari programmi e riforme con lo scopo di renderla più adeguata alle necessità

del paese: dalla legge Casati che sancisce la scuola obbligatoria e gratuita; alla legge Coppino

che ribadisce gli stessi principi ampliandoli a tutto il territorio; dai programmi Gabelli ispirati

al positivismo, a quelli più conservatori improntati alla morale e alla religione ad opera della

commissione Baccelli; dalla legge Orlando dell’età giolittiana che cercò di migliorare le

condizioni precarie degli insegnanti e portò l’obbligo scolastico a dodici anni di età, alla legge

Daneo-Credaro che rese la scuola un servizio esclusivamente statale; dalla corposa riforma

idealista effettuata da G. Gentile che rivoluziona tutto il sistema scolastico, fino ai veri e

propri programmi di impronta fascista; dai programmi democratici realizzati da Washburne

ispirati a Dewey, ai programmi dell’attivismo cattolico ispirato al liberalismo educativo

firmati dal ministro Ermini; dall’avvento della scuola media unica ad opera di Gui, alla scuola

materna statale; dai nuovi programmi per la scuola media, ai decreti delegati che sottolineano

l’importanza della collegialità e della rappresentanza dei genitori; dai nuovi programmi del

1985 per la scuola elementare, alla riforma Berlinguer; dalla riforma Moratti in cui si ha

l’avvento delle Indicazioni Nazionali, alle Indicazioni per il Curricolo redatte dal Ministro

Fioroni.37

La scuola a piccoli passi ha cercato di cambiare e migliorarsi.

In questo contesto di continuo cambiamento anche le materie scientifiche sono state spesso

riviste con interventi più o meno pesanti. Tuttavia in poche occasioni è stato dato il giusto

rilievo alle scienze, che di solito venivano inserite nella voce “Nozioni varie”, accanto ad altre

materie come igiene o geografia. Prima del 1985 solo nei programmi di Gabelli e in quelli di

Washburn le scienze erano state valorizzate. Nei primi si sottolineava l’importanza che

nell’apprendimento rivestono l’osservazione, l’esperienza, la motivazione e il fare per

stimolare capacità riflessive e di ragionamento; nei secondi si metteva in evidenza il ruolo

essenziale del gioco e delle attività del fare, tramite le quali il bambino può sviluppare

liberamente le sue disposizioni e la sua iniziativa.

37 E. Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare (1860-1985), La Nuova Italia, Firenze

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I programmi del 1985 rappresentano la svolta, e non solo in ambito scientifico. Qui per la

prima volta la scuola diventa promotrice di un apprendimento formativo valorizzato

dall’esperienza diretta e da una sperimentazione attiva che tiene conto delle esigenze del

bambino e soprattutto che parte dal bambino stesso considerando i suoi interessi, le sue

esperienze, il suo bagaglio personale. All’insegnamento scientifico in particolare viene dato

un particolare rilievo, poiché è reso ancora più autonomo rispetto alle altre discipline e gli

viene attribuito per la prima volta un valore formativo più generale nella crescita della

persona e in particolare del suo senso critico e riflessivo. La modalità di insegnamento che

viene proposta è quella centrata sull’insegnare per problemi, attraverso la promozione di

percorsi di scoperta. “Mediante l’azione concreta si costruiscono le conoscenze che fanno

riferimento non tanto ad aggregazioni separate di saperi, ma ad ambiti disciplinari correlati tra

loro che conferiscono unitarietà e completezza al sapere stesso.”38

Però è soprattutto negli ultimi anni che la scuola ha cercato di dare una svolta al sistema

educativo ancora legato al passato, proponendosi nuove finalità e facendosi promotore di una

società democratica, multietnica e attenta ad ogni singolo individuo come parte integrante

della società. Essa in particolare si prefigge lo scopo della formazione culturale di ogni

cittadino, e in particolare si impegna a sostenere e a guidare il bambino nello sviluppo di tutte

le sue potenzialità e della sua personalità, con il fine di prendere consapevolezza di sé e degli

altri.

Nelle Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati nella scuola primaria, redatti

nel 2003, sebbene l’impostazione strutturale sia totalmente diversa poiché viene dato molto

rilievo all’analisi degli obiettivi, i contenuti si muovono verso la stessa direzione. Qui viene

ribadita l’importanza dell’esperienza personale, delle conoscenze proprie di ogni bambino, del

fare e della sua corporeità. Il sapere scientifico, in particolare, ha lo scopo di promuovere la

nascita del pensiero critico che aiuti il fanciullo ad interpretare con atteggiamento positivo e

aperto le esperienze della vita futura. Proprio per questo aspetto le materie scientifiche

vengono fortemente rivalutate per l’atteggiamento dinamico e di ricerca che gli sono propri e

che contribuiscono alla sua maturazione personale in ogni campo.

Sulla stessa direzione sono le Indicazioni per il Curricolo del 2007, il documento ministeriale

che rappresenta il manifesto educativo dell’odierna azione formativa. Qui la scuola diventa

38 D. Capperucci, Dalla programmazione educativa e didattica alla progettazione curricolare. Modelli teorici e proposte operative per la scuola delle competenze., Franco Angeli, 2008 Milano

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un’agenzia per la promozione dell’apprendimento, il cui obiettivo principale è “quello di

formare saldamente ogni persona sul piano cognitivo e culturale, affinché possa affrontare

positivamente l’incertezza e la mutevolezza degli scenari sociali e professionali presenti e

futuri.”39 Nella scuola attuale, in cui scuola e società sono profondamente correlati, l’azione

formativa delle istituzioni scolastiche si pone il “compito più ampio di educare alla

convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni

studente.”40 Già da alcuni anni il bambino è stato fortemente rivalutato e posto al centro

dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici,

etici, spirituali, religiosi.

Nelle Indicazioni per il Curricolo le discipline sono raggruppate in aree disciplinari per

valorizzare la permeabilità e i collegamenti tra le discipline appartenenti al medesimo

raggruppamento e anche fra aree diverse. Sebbene la ripartizione in tre ambiti disciplinari

fosse presente anche nei programmi del 1985, nelle “Indicazioni” assumono un significato più

ampio, poiché “rappresentano l’ambiente in cui può esprimersi appieno la progettualità delle

scuole e la interdisciplinarità dell’insegnamento.”41 L’area disciplinare matematico-

scientifico-tecnologica comprende tre discipline: matematica, scienze naturali e sperimentali,

tecnologia e informatica. Soprattutto per questo gruppo di discipline viene ribadita

l’importanza di mettere in stretto rapporto il pensare con il fare con lo scopo di sviluppare “le

capacità di critica e di giudizio, la consapevolezza che occorre motivare le proprie

affermazioni, l’attitudine ad ascoltare, comprendere e valorizzare argomentazioni e punti di

vista diversi dai propri.”42 Tali finalità devono essere perseguite favorendo la didattica

laboratoriale, in cui l’astrattezza del pensiero trova una sua applicazione concreta, che mette

alla prova gli alunni nelle loro capacità di impostazione e risoluzione dei problemi. Inoltre è

da privilegiare una metodologia euristica che, attraverso percorsi di indagine e di esperienza

diretta, facilita il passaggio da forme spontanee di pensiero a quelle maggiormente

organizzate. Queste strategie educative trovano piena realizzazione nella discussione e nel

confronto collettivo, momento di scambio con il pensiero degli altri. Il documento

ministeriale invita anche a dedicare molta cura all’acquisizione di linguaggi e strumenti

appropriati, allo scopo di dare forma al pensiero scientifico. Agli insegnanti viene richiesto di

39 M.P.I., Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo circolo d’istruzione, settembre 2007 40 Ibidem 41 Ibidem 42 M.P.I., Indicazioni nazionali per la scuola dell’infanzia e per il primo circolo d’istruzione, settembre 2007

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“selezionare alcuni temi (campi di esperienza) sui quali lavorare a scuola in modo diretto e

progressivamente approfondito, in continuità, attraverso gli anni di scuola.”43

Nelle indicazioni sono stati previsti appositi obiettivi formativi da raggiungere rispettivamente

al termine del terzo e quinto anno della scuola primaria e al termine del terzo anno della

scuola secondaria di primo grado. In particolare riporto di seguito gli obiettivi del quinto anno

che hanno riguardato in particolare il mio progetto didattico:

Oggetti, materiali e trasformazioni

− Costruire operativamente in connessione a contesti concreti di esperienza quotidiana i

concetti geometrici e fisici fondamentali, in particolare: lunghezze, angoli, superfici,

capacità/volume, peso, temperatura, forza, luce, ecc..

− Indagare i comportamenti di materiali comuni in molteplici situazioni sperimentabili

per individuarne proprietà (consistenza, durezza, trasparenza, elasticità, densità …);

produrre miscele eterogenee e soluzioni, passaggi di stato e combustioni; interpretare

i fenomeni osservati in termini di variabili e di relazioni tra esse, espresse in forma

grafica ed aritmetica.

− Riconoscere la plausibilità di primi modelli qualitativi, macroscopici e microscopici,

di trasformazioni fisiche e chimiche. Avvio esperienziale alle idee di irreversibilità e

di energia.

Osservare e sperimentare sul campo

− Indagare strutture del suolo, relazione tra suoli e viventi; acque come fenomeno e

come risorsa.

L’uomo i viventi e l’ambiente

− Proseguire l’osservazione e l’interpretazione delle trasformazioni ambientali, ivi

comprese quelle globali, in particolare quelle conseguenti all’azione modificatrice

dell’uomo.

Da questa breve trattazione diventa evidente quanto sia mutata l’idea delle scienze nella

scuola. Non solo queste discipline sono state rivalutate e hanno trovato una maggiore

affermazione, ma è cambiato proprio il modo di considerarle: da sapere nozionistico sono

diventate sapere in continua costruzione. L’apporto degli studi psicologici e pedagogici hanno

inoltre sottolineato l’importanza di proporre le discipline scientifiche fin dai primi anni di

insegnamento, poiché il bambino può abituarsi presto a ragionare e ad avere un approccio di

43 Ibidem

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tipo scientifico. Compito della scuola è quello di avvicinare con gradualità il bambino al

mondo della scienza, perché possa osservare in maniera attenta e critica la realtà che lo

circonda.

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III capitolo

Mettiamo in pratica le conoscenze acquisite

1. Per cominciare Dopo molti anni di studio e duro impegno è finalmente arrivato il momento di mettersi alla

prova nel mondo della scuola e di cercare di mettere in pratica in modo creativo e critico tutte

le conoscenze acquisite.

Il fatto di aver lavorato saltuariamente come supplente nella scuola Primaria è stato molto

importante per me, poiché l’esperienza acquisita mi ha permesso di progettare e organizzare il

lavoro in modo più attento e appropriato.

Ad essere sincera negli anni di studio da me sostenuti ho avuto la sensazione di essere

avvantaggiata rispetto agli studenti che non avevano avuto esperienza diretta nella scuola,

poiché la realtà toccata con mano ti aiuta a comprendere i bisogni e le necessità a cui è

necessario provvedere.

Infatti, sebbene i manuali di psicologia e di pedagogia, o i testi sulla didattica, siano necessari

e fondamentali per fornire quelle conoscenze indispensabili per essere preparati al meglio

nella professione dell’insegnante, la formazione effettiva di ogni individuo si traduce a pieno

nel momento dell’esperienza. Ed è proprio tra i banchi di scuola che, attingendo direttamente

a tutte le informazioni acquisite, si realizzano compiutamente le proprie conoscenze

pedagogiche rielaborate e arricchite dal bagaglio personale di esperienza.

Per questo il progetto riveste un’importanza fondamentale, dato che è il momento in cui si

realizza la sintesi di anni di studio.

È stato davvero importante essere consapevole fin dai primi momenti del fatto che sarebbe

stato necessario costruire il mio progetto di lavoro per la tesi proprio nella realtà della classe

dove avrei svolto il mio lavoro cercando di adeguare tutto, obiettivi, contenuti, metodo…, al

contesto e soprattutto ai bambini, i veri protagonisti.

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2. Il contesto Il mio progetto è stato svolto alla scuola Sant’Andrea di Colle Val d’Elsa in provincia di

Siena, una piccola scuola situata vicino casa mia, alla quale sono molto affezionata poiché lì

ho svolto il mio quinquennio elementare.

Il caso mi ha poi aiutata poiché conoscevo molto bene molti dei bambini della classe VB in

cui ho svolto il progetto, perché frequentano l’ambiente parrocchiale in cui io ho un ruolo

molto attivo.

Inoltre nella classe parallela avevo effettuato, per due anni di seguito, una supplenza di

qualche mese che mi aveva permesso di entrare in buoni rapporti sia con i bambini di

entrambe le classi, sia con le insegnanti.

Vista la situazione mi è sembrato giusto sfruttare l’occasione e scegliere un ambiente

conosciuto, soprattutto perché nei giorni di supplenza si era creata una grande intesa con la

maestra Isabella, l’insegnante di scienze e matematica della classe parallela. Era nata da

subito una grande sintonia con lei e soprattutto una grande ammirazione da parte mia, poiché

avevo visto in lei l’insegnante brava e molto attenta che vorrei diventare. E poi un fatto

importante ci univa: la passione per le scienze.

La classe coinvolta nel progetto era costituita da ventuno alunni, tutti abitanti nella zona di

Colle Val d’Elsa. I bambini erano tutti ben integrati nel gruppo, dove le due bambine straniere

presenti godevano di una grande stima da parte di tutti. Sebbene non c’erano casi di sostegno

o di certificazioni, un bambino presentava delle difficoltà di attenzione, forse dovute al suo

carattere difficile.

Una nota positiva va attribuita al clima sereno e disteso della classe VB, in cui tutti avevano

un comportamento molto responsabile e maturo, ottenuto sicuramente da un grande lavoro

delle insegnanti durato per tutto il ciclo della scuola e mirato alla costruzione di una buona

convivenza civile e del rispetto reciproco. Sono rimasta molto colpita dall’atteggiamento

sereno e riflessivo con cui i bambini discutevano delle questioni che riguardavano la classe,

per prendere una decisione collettiva, ma anche in caso di litigio o semplicemente di

incomprensione.

Devo precisare che l’armonia educativa non riguardava esclusivamente la classe di cui ho

parlato, ma è un’impronta caratteristica di tutta la scuola, la quale, anche in tempi più lontani,

ha sempre cercato di attuare strategie e metodi educativi attivi sull’impronta di Dewey, dando

molta importanza all’esperienza e alle attività di laboratorio interclasse.

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Sant’Andrea, in origine una villa antica di campagna, è una scuola a tempo pieno e

l’abbondanza delle ore permette di dare molto spazio al gioco, in particolare al gioco libero

all’aria aperta, essendo dotata di un giardino davvero molto grande e ricco di vari tipi di

alberi.

La ricchezza del parco dal punto di vista ambientale è molto stimolante per i bambini che non

sempre, nella vita quotidiana, possono avere la possibilità di stare a stretto contatto con la

natura e le sue meraviglie. L’estensione del parco permette ai bambini di svolgere attività

fisica anche nei giochi più attivi e movimentati e anche nei giochi di gruppo, indispensabili

per una crescita sana.

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3. Marie Curie: la mia musa ispiratrice La mia precedente formazione, con indirizzo chimico-biologico, ma soprattutto la passione

per le materie scientifiche, mi ha spinto ad orientarmi verso un progetto di argomento

scientifico.

Nella fase di elaborazione del progetto ho tratto molta ispirazione dalla lettura del libro di

Marie Curie Sklodowska, in cui sono riportati gli appunti delle lezioni da lei svolte raccolti da

una sua allieva, Isabelle Chavannes.

Questa scienziata, oltre a dedicare gran parte della sua vita agli studi sulla radioattività, nel

1907, dopo la morte di suo marito, condusse un’originale esperienza di insegnamento rivolta

ad un gruppo di adolescenti, per la maggior parte figli di importanti personalità dell’epoca,

come scienziati o umanisti suoi colleghi all’università della Sorbona in cui Marie insegnava.44

In questa esperienza tutti i genitori illustri, una dei quali era appunto Marie Curie, si

prodigavano per dar vita ad un’avventura scolastica intensa e allettante per i propri ragazzi.

Negli appunti delle sue lezioni di fisica traspare un profondo amore per la scienza e

un’attenzione scrupolosa alla trasmissione del metodo scientifico, propri dell’illustre

scienziata. 45 Attraverso queste lezioni, fenomeni astratti e spesso considerati noiosi o difficili

vengono illustrati in modo pittoresco, divertente e sorprendentemente chiaro.

Estremamente rilevante è l’importanza che la Curie dà all’aspetto pratico e all’esperienza.

Nelle sue lezioni i ragazzi sono guidati ad acquisire una buona percezione delle proprietà

della materia attraverso lo studio del comportamento dei corpi in varie condizioni e

circostanze.

Interessante è poi notare che la scienziata, per intraprendere il percorso conoscitivo della

fisica, decide di partire da argomenti e concetti che di solito spaventano e mettono in

difficoltà i ragazzi poiché richiedono un elevato livello di astrazione, quali l’aria e i gas in

genere, e conseguentemente la densità e la pressione.

Ma cosa rende così affascinanti e chiare le sue lezioni?

Un piccolo laboratorio in cui poter svolgere semplici esperimenti o anche semplicemente una

cucina è la chiave dell’originalità del suo lavoro. L’obbiettivo a cui mirava è quello di

suscitare interesse e stupore nei bambini, che sono il motore principale per l’apprendimento.

44 I colleghi di Marie Curie sono personalità importanti del calibro di Paul Langevin, Jean Perrin, Jacques Hadamard 45 Chavannes I., Lezioni di Marie Curie, la fisica elementare per tutti, Edizioni Dedalo, 2004

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Nel suo percorso non appaiono teorie o leggi predeterminate o formule complicate. Ogni

concetto, ogni regola è scoperta dai ragazzi, i quali diventano in questo modo i protagonisti

assoluti. Non sono loro che devono entrare nel mondo della scienza, ma è la scienza che entra

dentro di loro arricchendosi della loro personale soggettività.

Ciò che rende davvero notevole il lavoro di Marie Curie è il fatto che nelle sue lezioni i

ragazzi vengono chiamati ad imparare la fisica da soli, esclusivamente con l’ausilio della loro

testa e dell’esperienza. Lei si propone come guida mettendosi alla loro pari, stimolando o

provocando domande e riflessioni, che sono elemento essenziale delle scienze.

Con questo approccio pratico e sperimentale i ragazzi possono esercitare la loro manualità, di

solito poco considerata, costruendo piccoli strumenti, manipolando oggetti e sostanze talvolta

piuttosto pericolose se utilizzate con disattenzione, facendo misure ed osservazioni ed

estendendo i risultati ottenuti a casi più generali.

Ricorrendo spesso alle attività sperimentali, i bambini acquistano una tale naturalezza e

spontaneità che li porta a svolgere il lavoro anche divertendosi.

Il lavoro di Marie Curie ha ispirato molto il mio progetto, poiché in esso quei principi propri

dell’attivismo e della più alta lezione di Dewey letti in chiave scientifica, venivano messi in

pratica.

I punti essenziali del suo metodo e del suo lavoro da cui ho preso spunto possono così essere

riassunti:

− l’incessante ricerca di domande e interrogativi, come punto di partenza della

scienza;

− l’utilizzo degli esperimenti come attività conoscitiva principale;

− l’intervento attivo di ogni ragazzo negli esperimenti;

− l’importanza del laboratorio anche se semplice e improvvisato, non

necessariamente ben attrezzato e all’avanguardia;

− la dialettica come punto di contatto tra la sperimentazione e la riflessione, tra

mani e cervello, tra la realtà e l’immagine che abbiamo di questa;

− il coinvolgimento e la motivazione dei ragazzi come motore della ricerca;

− l’incontro tra la natura e i ragazzi come punto di partenza della ricerca;

l’importanza di non tralasciare, anzi di affrontare fin dal primo momento concetti e argomenti

difficili per l’alto livello di astrazione che la loro comprensione richiede.

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4. Una dura scelta: l’argomento A questo punto la mia testa era affollata da molte idee e pensieri, i quali però non riuscivano

ad organizzarsi e orientarsi verso una direzione ben precisa.

Cercavo un argomento che fosse abbastanza semplice, adeguato al bagaglio di conoscenze dei

bambini di V, ma allo stesso tempo un po’ complesso, che potesse stuzzicare il loro interesse,

e renderli capaci di guardare con occhi più attenti il mondo che li circonda per imparare a

vedere al di là della prima apparenza.

Nonostante siano davvero tanti gli argomenti scientifici che è possibile trattare, inizialmente

non riuscivo a trovare quello che poteva soddisfare tutte le mie idee ed esigenze.

I requisiti, la qualità che volevo dal mio progetto erano molto alti, poiché volevo andare al di

là della sola comprensione di un fenomeno naturale o di una legge della fisica.

Per prima cosa, prendendo come esempio il lavoro di Marie Curie, desideravo trattare di

qualcosa che davvero interessasse e incuriosisse i bambini, così da far nascere in loro

quell’entusiasmo che avevo percepito nei giovani allievi della scienziata francese.

A mio avviso questo era il punto meno complicato poiché la gamma a cui potevo attingere è

davvero molto vasta. Le scienze hanno sempre avuto un fascino speciale a cui nessuno può

restare indifferente; quindi la mia scelta difficilmente avrebbe mancato tale requisito.

Ho dedicato molte riflessioni alla difficoltà o alla facilità dell’argomento.

Certo è che la semplicità di acquisizione è relativa alle modalità con cui viene presentata ai

bambini. Anche un argomento molto complicato, come la gravitazione universale, se posto in

termini più accessibili e restando a un livello generale, può essere compreso da chi non ha una

solida preparazione scientifica.

La semplicità a cui mi riferisco riguarda la possibilità di studiare un fenomeno che potesse

essere parte dell’esperienza quotidiana di ciascun bambino, così da permettere un contatto

diretto con ciò che sarebbe stato studiato.

Ciò non vuol dire che doveva essere scontato. Anzi, ritenevo fosse importante indagare anche

aspetti più difficili e complessi i quali a mio avviso sono utili a stimolare e invogliare nello

studio e nella ricerca. Spesso infatti è quando non riusciamo a capire o quando nella difficoltà

ci facciamo domande, che nasce la voglia di scoprire.

Nel progetto desideravo affrontare anche la problematica ambientale con lo scopo di

sensibilizzare in modo più ragionato e motivante il rispetto per l’ambiente.

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Nella scuola c’è una attenzione crescente su questo argomento, che sta diventando sempre più

attuale. La mia idea era quella di trattare la tematica ambientale con un approccio più

scientifico, per far capire ai bambini che si può dimostrare rispetto per l’ambiente anche nei

gesti quotidiani.

Ma come realizzare concretamente tutte le mie idee?

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5. Eureka Proprio come il grande Archimede, e un po’ anche con il suo aiuto, anch’io finalmente sono

riuscita a trovare la soluzione a tutti i miei pensieri.

L’ acqua è stata la mia scelta.

In questo caso, l’aspetto ambientale calzava a pennello, potendo spaziare in infinite

sfaccettature, dal risparmio del consumo, dall’inquinamento dei mari e dei fiumi ad opera di

industrie, navi, fino alla velocità di scioglimento dei ghiacciai.

In questo caso l’acqua richiede un approfondimento maggiore per sottolineare quanto questo

composto sia essenziale per la vita di tutti gli esseri viventi e l’equilibrio della Terra.

A primo avviso forse può sembrare un argomento scontato. Ma non è così.

L’acqua ha davvero molte caratteristiche alcune delle quali difficili da rilevare poiché

emergono solo se osservate con più attenzione.

Il duplice aspetto di difficoltà e semplicità che ricercavo viene soddisfatto a pieno dall’acqua,

poiché, essendo parte integrante della nostra vita, viene considerata talvolta anche scontata.

Ma volendo approfondire il suo studio ci si addentra nel mondo della fisica, della chimica e

della biologia e si scopre una complessità notevole.

Attorno all’acqua ci sono un’infinità di domande e quesiti a cui poter dare risposta. Primo tra

tutti: “perché l’acqua è così importante?”.

Inoltre quale altra sostanza o fenomeno sarebbe potuto essere così facilmente sperimentabile

senza alcuna difficoltà rispetto alla pericolosità o alla reperibilità? Nessun’altro.

L’esperienza che volevo proporre sarebbe stata utile a eliminare o almeno a mettere in crisi

quei misconcetti che sono così frequenti tra i bambini e talvolta anche tra gli adulti.

Questo argomento mi avrebbe di sicuro permesso di muovermi a mio piacimento

approfondendo o sorvolando alcuni aspetti o altre caratteristiche, e soprattutto sarebbe stato

semplice far sperimentare attivamente tutti i bambini.

La motivazione e l’interesse non dipendono solo dall’argomento, ma soprattutto dalle attività

che avrei proposto.

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6. Addentriamoci nei dettagli Prima di partire concretamente con l’organizzazione del percorso, mi è sembrato necessario

discutere la mia proposta con l’insegnante della classe, la maestra Isabella, per valutare

soprattutto se lo studio delle caratteristiche e delle proprietà dell’acqua poteva essere inserito

all’interno della progettazione scolastica.

La mia proposta è stata accolta con molto entusiasmo, nonostante nella progettazione

curricolare il gruppo dei docenti avesse previsto unità didattiche riguardanti i vari tipi di

energia, legate ad un progetto interdisciplinare sulla città e la cittadinanza, e il corpo umano.

L’insegnante mi ha spiegato che non c’erano problemi per l’inserimento della mia attività

perché lo studio dell’acqua poteva essere inserito sia nel progetto della città, considerandola

come risorsa collettiva e indispensabile per tutti i cittadini, sia nelle unità riguardanti il corpo

umano, essendo l’acqua componente essenziale e indispensabile per la vita e per il

funzionamento di ogni apparato.

Ma per rendere calzante il mio lavoro rispetto ai reali bisogni della classe e alla soggettività di

ogni alunno ho chiesto informazioni sugli argomenti trattati negli anni precedenti, per poter

capire il loro livello di conoscenza dell’argomento e i possibili punti di contatto con

esperienze pregresse, tramite le quali avrei potuto risvegliare le loro conoscenze.

Ho scoperto che durante il ciclo quinquennale erano stati affrontati più volte argomenti con

riferimento diretto all’acqua soprattutto in relazione all’ambiente, come per esempio durante

una visita alla sorgente del fiume Elsa fatta l’anno precedente. Sono stati proprio i bambini a

raccontarmi con entusiasmo la loro esperienza, durante la quale hanno posto particolare

attenzione alla flora e alla fauna circostante.

Dai loro racconti ho capito che l’aspetto ambientale era stato trattato molto accuratamente in

molte occasioni, prima tra tutte nel quotidiano contatto con il parco della scuola. Questo

interesse era testimoniato anche dalla presenza di alcune piantine in classe, di cui i bambini si

prendono cura quotidianamente.

Sebbene le insegnanti avessero sensibilizzato molto i bambini al rispetto ambientale, la

descrizione delle caratteristiche e delle proprietà dell’acqua risultavano meno approfondite.

Lo studio dei passaggi di stato e del ciclo dell’acqua erano stati soltanto accennati negli anni

precedenti con qualche schema generale e qualche lettura dal libro di testo.

Durante le ore che avevo trascorso in classe prima di iniziare il progetto mi sono resa conto

che i bambini mostravano una grande capacità intuitiva e di collegamento, che scaturiva

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soprattutto dall’incessante stimolo che la maestra dava loro, spingendoli a tentare di

rispondere a domande più o meno insolite seguendo il loro istinto e il loro ragionamento

senza paura di incorrere in risposte astruse. Non credo sia facile trovare una simile elasticità

mentale così diffusa a tutta la classe. Ogni bambino,dal più sveglio al più timido, veniva

incitato a dare la sua risposta che, con abilità incredibile, l’insegnante valorizzava e magari

rendeva giusta con l’aggiunta di una parola o di un piccolo suggerimento, o anche girando un

po’ la frase.

L’osservazione diretta del metodo educativo dell’insegnante e anche dell’atteggiamento di

complicità tra loro istaurato mi è servita molto poiché nel mio lavoro volevo cercare di

seguire lo stesso tipo di approccio. Ogni insegnante a mio avviso ha una certa personalità e di

conseguenza anche un proprio modo di insegnare. Ma in casi come il mio, in cui una persona

entra nella classe dall’esterno per un breve periodo, è giusto che questa persona cerchi di

adattarsi il più possibile al clima della classe adeguandosi alle dinamiche già esistenti.

La scoppiettante vivacità intuitiva e la voglia di conoscere che avevo osservato in classe mi

hanno invitato a seguire una direzione più impegnativa ovvero verso concetti e proprietà

dell’acqua anche complessi e intricati.

Ma forse le mie idee iniziali erano state troppo ambiziose, visto che il tempo a disposizione

non era poi così tanto. L’acqua effettivamente ha infiniti aspetti che possono essere trattati

poiché la troviamo da ogni parte e pretendere di poter approfondire tutte le sue parti è

impossibile.

Inoltre le insegnanti erano già moto impegnate in progetti da svolgere oltre il programma

scolastico e richiedere tanto tempo per me non sarebbe stato corretto.

Tenendo conto di tutto mi accordai con l’insegnante per un totale di sei incontri in cui

svolgere tutto il lavoro.

Durante la fase di accordo proposi di aggiungere qualche ora con caratteristiche

interdisciplinari da svolgere con l’altra insegnante della classe, per esempio riguardo

all’aspetto storico o artistico, per dare al mio progetto un legame più forte con tutta la classe e

non rimanere solo collegato ad una parte del programma. Ciò però non è stato possibile a

causa del relativo tempo che avevo a disposizione.

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7. Le parti da trattare A questo punto non mi rimaneva che stendere una scaletta.

Non c’era solo da scegliere l’ordine con cui avrei presentato gli argomenti, ma anche quali

parti sarebbero state da trattare e quali no.

Non avevo dubbi che il primo incontro avrebbe riguardato il metodo sperimentale, base

indiscussa di tutte le scienze. Visto che negli anni precedenti era stato fatto solo un rapido

accenno, potevo riprenderlo completamente dall’inizio, indirizzando il discorso dove

preferivo.

Molto tempo ho dedicato a ricercare esperienze e giochi da svolgere in classe. Come ho detto

sopra, i bambini non avevano grandi conoscenze su questo tema ed era necessario iniziare da

argomenti molto semplici, un po’ scontati forse, per poter poi addentrarci nel profondo delle

questioni. Così ho deciso di partire dai fenomeni più semplici connessi all’acqua come lo

scioglimento dei sali, che ho trattato nel secondo incontro, per poi passare alla tensione

superficiale, proposto nel terzo, entrambi spiegati con accenni alla chimica.

Nel quarto incontro ho ritenuto opportuno addentrarmi più nel mondo della fisica, in

particolare nella meccanica dei fluidi, visto che l’acqua è il liquido per eccellenza.

Nell’incontro successivo non poteva essere tralasciato il principio di Archimede, così

affascinante e coinvolgente per grandi e piccini.

A questo punto il lavoro era arrivato quasi a conclusione e mi è sembrato giusto concludere

con un incontro meno impegnativo dove tirare le linee conclusive del percorso, concedendo

un breve spazio al discorso ambientale a cui tenevo molto.

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8. La parte più difficile Ma il traguardo era ancora molto distante, e il lavoro più impegnativo doveva ancora arrivare.

Da dove iniziare? Dalla teoria? O da esperienze dirette? Ma quali? Come organizzare la

didattica? Quali strategie educative preferire?

Il mio scopo era di organizzare delle lezioni diverse dal solito, in cui poter imparare

divertendosi.

Ho deciso in primo luogo di dare spazio assoluto agli esperimenti che avevano lo scopo di

stimolare il loro interesse. Ma una parte più riflessiva non poteva mancare, soprattutto per

alcuni argomenti.

Infine ho deciso che ogni incontro sarebbe stato caratterizzato da una didattica adeguata alle

necessità e agli elementi a mia disposizione, cercando un compromesso tra le mie aspettative,

il tempo, lo spazio e il materiale.

L’organizzazione del lavoro è nata molto spontaneamente. Ho cercato di immaginarmi il

momento preciso della lezione e ho scritto i probabili dialoghi, e la direzione che avrebbe

potuto prendere il discorso, tenendo ben conto dell’aspetto logico e propedeutico.

Ho cercato di integrare più codici del linguaggio: dalle parole ai disegni, dai video ai simboli

e così via.

Per ogni argomento ho cercato di partire dal concreto, da ciò che i bambini potevano

conoscere oppure toccare con le loro mani, fino ad arrivare a concetti decisamente astratti.

In ogni lezione ho dedicato molto spazio all’esperienza, che non si realizzava esclusivamente

nell’esecuzione di un procedimento stabilito, come può avvenire nella realizzazione di un

esperimento già deciso, ma lasciava spazio all’attività spontanea e al pensiero critico di ogni

bambino.

Nell’organizzazione del lavoro ho valutato che alcuni argomenti richiedevano un’attenzione

più particolare, mentre per altri era importante lasciare tempo di toccare con mano

l’esperienza da fare. Per questo ho variato i metodi didattici alternando lavoro a piccoli

gruppi, lavoro individuale, attività specializzata, discussione guidata, attività spontanea,

momento di gioco, riflessione collettiva, visione di un filmato.

Tengo a precisare che in più di un’occasione, anche a livello informale, ho previsto l’utilizzo

del brainstorming, ovvero della tecnica chiamata anche associazione libera, la quale era molto

utilizzata all’interno della classe e infatti i bambini erano molto bravi in questo.

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Per le attività di verifica ho utilizzato varie forme di prove: domande aperte, domande a

scelta, domande in cui si chiedeva di ordinare e anche di rappresentare con il disegno alcuni

concetti.

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9. L’ultima prova prima della realizzazione

Ogni esperimento e ogni attività ha richiesto una fase di preparazione molto lunga.

In primis è stato necessario dedicare molto tempo alla scelta delle esperienze più adatte da

svolgere in classe, per tenere in conto le esigenze di tempo, di spazio, ma anche di facilità di

esecuzione e valutare se svolgere l’attività in gruppi o no.

Importante è stata l’organizzazione del materiale da utilizzare che, per ridurre i tempi al

minimo, è stato sempre preparato con cura secondo particolari accorgimenti che facilitassero

la velocità.

I materiali e gli strumenti utilizzati nell’esecuzione delle attività sono stati davvero molti. Di

seguito elenco quelli più rilevanti:

− Schede precompilate

− Lavagna e cartelloni

− Immagini e disegni

− Contenitori in plastica

− Varie sostanze da cucina e da bagno: sale, zucchero, caffè, olio, vino, farina,

latte, cacao, bicarbonato di sodio, sapone, borotalco,

− Colorante

− Piccoli oggetti da laboratorio e di uso comune: siringhe senza l’ago, pipette,

puntine, graffette, ago da sarta, filo di ferro, pinzette

− Oggetti vari: sughero, cannucce, gomma, sassi, noci, imbuto, carta stagnola,

polistirolo, bottigliette, palloncini, palline da golf, bottoni, bulloni, frutta, gessi,

matite, legno, vasetto in plastica, spago

− Piccoli contenitori di uguale volume con peso diverso

− Contenitori o bacinelle grandi

− Bilancia da cucina

− Dinamometro

− Sostegno a bracci

− Macchina fotografica

− Telecamera

− Proiettore

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Prima di realizzare il progetto in classe ho pensato di fare una seconda prova per stimare i

tempi effettivi.

Per rendere più carino e simpatico, ma soprattutto per dare un’individualità maggiore al mio

progetto, ho cercato di arricchire l’ambiente con piccoli cartelloni colorati e allegri.

A questo punto tutto era prontissimo, ma avevo un dubbio.

Come poter registrare in modo dettagliato tutte le intuizioni, le ipotesi giuste e anche le frasi

fuori luogo?

Annotare tutto sarebbe stato impossibile, quindi ho deciso di ricorrere all’uso di una

telecamera che mi avrebbe dato la possibilità di notare anche quei particolari che talvolta

sfuggono nel momento stesso.

A questo punto era davvero tutto pronto e non restava altro che iniziare questa bella e

misteriosa avventura.

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10. L’organizzazione degli incontri In tutto sono stati svolti sei incontri, ognuno di due ore ciascuno.

Il primo è stato svolto volto nell’aula con la classe al completo; nel secondo e nel terzo

incontro la classe è stata suddivisa in due gruppi che hanno lavorato per un’ora ciascuno nel

laboratorio di immagine. Il quarto incontro è stato caratterizzato da un gioco collettivo

eseguito nel giardino per circa un’ora, seguito da un momento di verifica individuale in

classe. Per il quinto e il sesto incontro è stata coinvolta la classe al completo all’interno della

loro aula.

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Il progetto incontro dopo incontro

1. I incontro

Il primo approccio alle scienze Come poter iniziare il lavoro?

La scelta dei contenuti e degli obiettivi da cui partire mi hanno dato molto impegno. La

priorità stava nel trovare la giusta modalità con cui proporre il progetto e mi serviva una

motivazione concreta che potesse stimolare e rendere partecipi tutti i bambini.

In fase di progettazione avevo pensato diverse possibilità: una storia fantastica, un evento

scientifico particolare e attuale, un viaggio immaginario nel mondo dell’acqua…

Il problema era che tutto mi sembrava forzato, non spontaneo e non adatto alle loro necessità.

I bambini in V iniziano a diventare grandi e hanno bisogno piuttosto di responsabilità, di

essere trattati da grandi, e non di storielle immaginarie lontane dalla loro esperienza.

E allora quale altra motivazione poteva essere migliore della verità stessa?

Spinta da queste idee, tra emozione e tensione, ho iniziato a raccontare ai bambini come

stavano le cose.

Tutti mi conoscevano già e fin dal principio sapevano che ero insieme a loro per imparare a

fare bene la maestra.

“Secondo voi cosa devo fare per diventare una brava maestra?”

La mia domanda ha suscitato subito un sacco di interventi, sugli studi universitari, sugli

esami, magari per esperienza di fratelli o parenti. Ma nessuno conosceva l’ultimo passo: la

tesi46.

Ho colto l’occasione, giustamente calcolata, di spiegare con precisione come si svolgono le

cose, spiegando con attenzione tutti i passaggi necessari. Tra qualche anno forse interesserà

direttamente a qualcuno di loro.

Ma in ogni storia che si rispetti c’è sempre un ostacolo da superare.

E io avevo trovato un piccolo problema, un espediente per invogliarli e motivarli nel lavoro

da svolgere.

46 La parola tesi è stata spiegata in classe, descrivendola come un piccolo libro da scrivere a conclusione del percorso universitario.

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Così ho raccontato loro, in maniera un po’ romanzata, il colloquio che avevo avuto con il

relatore della tesi, e le idee che avevamo discusso in quell’incontro. Ho detto loro che il mio

professore di fisica aveva scelto per la mia tesi un lavoro molto difficile.

“L’argomento della sua tesi sarà l’acqua, però non deve studiarla, facendo ricerche da libri,

testi o enciclopedie; sarebbe troppo semplice.

Lei non deve ricercare me scoprire!

Dovrà svelare tutte le caratteristiche di questo favoloso elemento semplicemente

sperimentandolo nella realtà.

Attenzione al metodo con cui procedere, perché da questo dipende l’esito di tutto il suo

lavoro.”

Dopo la lettura di questa lettera i bambini sono rimasti un po’ interdetti. Non avevano

compreso cosa volessero dire queste parole.

Cosa richiedeva questo professore?

Cosa significava questo discorso complicato?

Ma appena ho finito di chiedere: “Vi va di aiutarmi?” una valanga di voci si sono alzate

entusiaste!

Un secondo dopo tutti erano già pronti a mettersi al lavoro.

Ma prima di passare alla pratica era necessario individuare le fondamenta del lavoro da fare: il

metodo scientifico sperimentale.

È iniziata una bella discussione collettiva in classe, dove ognuno portava le proprie idee e

proposte.

Da subito ho cercato di pormi al loro stesso livello, nel senso che anch’io ai loro occhi non

sapevo dove il percorso ci avrebbe portato. Tutti insieme dovevamo decidere cosa fare e dove

concentrare le nostre forze.

Cercare di nascondere le mie conoscenze, e aspettare che da soli riuscissero ad arrivare alla

soluzione non è stato affatto semplice.

Il mio compito era quello di stimolare la discussione cercando di annotare le proposte o le

indicazioni più utili su un cartellone, ma allo stesso tempo cercavo di indirizzare la

discussione verso i punti centrali che dovevano emergere.

Partendo dalle parole del professore e dalla sua richiesta di scoprire è stato tirato subito in

ballo lo scienziato ed il suo lavoro.

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Il ruolo fondamentale dell’esperimento è stato subito individuato. Ma come riuscire a fare le

scoperte? Da dove partire?

Nonostante i bambini cercassero con molto impegno di trovare il metodo giusto da seguire,

per non divagare troppo con il rischio di perdersi in altre questioni, ho fatto ricorso

all’aiutante positivo della nostra storia: Newton.

Chi meglio di uno scienziato poteva aiutarci a capire come arrivare alle scoperte?

La scelta di Isaac Newton non è stata affatto casuale: sia per la sua importanza fondamentale

nel mondo della fisica, sia perché la sua storia personale si prestava bene ai miei obiettivi.

Già qualcuno dei più appassionati al mondo delle scienze lo conosceva. Ma per rendere più

divertente la storia ho iniziato a raccontare di quanto fin da piccolo fosse un alunno eccellente

anche se con un carattere un po’ scontroso. Era così appassionato e interessato agli studi che

ogni occasione era buona per studiare e fare le sue ricerche, persino nei momenti di festa.

Fin da subito questo sconosciuto personaggio ha attratto ed interessato i bambini che si

lasciavano andare a commenti divertenti e simpatici. Per completare la sua storia non poteva

quindi mancare la famosa leggenda della mela dalla quale speravo emergesse il collegamento

essenziale al metodo sperimentale. Ma non mi sono limitata a raccontare questa storiella: mi

sono addentrata in concetti molto difficili e complicati con lo scopo di valutare il loro

interesse e la loro voglia di sapere.

Ho tirato in ballo non solo l’immagine simpatica della mela che cade in testa a Newton, ma

anche la Luna, la Terra e la sua grande scoperta: la gravitazione universale.

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La storia di Newton

Una leggenda ormai famosa racconta che, Newton, un giorno, mentre era

assorto nei suoi pensieri, osservava la Luna.

Molte domande assillavano da tempo il grande scienziato:

“Come mai il nostro satellite rimane continuamente ancorato alla Terra?“

Proprio mentre Newton stava rimuginando ancora una volta su questo

problema, una mela si staccò da un albero e cadde quasi sulla sua testa.

<<Cos’è>> si chiese <<che fa cadere la mela verso il basso invece che verso

l’alto?>>.

E qui una grande intuizione balzò nella sua testa:

“la causa che fa cadere gli oggetti a Terra non è per caso la stessa che tiene

legata la Luna alla Terra?”

E proprio da questa domanda dopo anni di studio riuscì a scoprire che le leggi

che regolano i movimenti dell’universo sono le stesse che regolano la caduta di

una mela.

Il mio scopo era quello di arrivare all’enunciazione del metodo scientifico prendendo come

spunto la scoperta di Newton.

Ma la storia ha stuzzicato in loro un sacco di domande di argomento astronomico così che mi

è sembrato doveroso saziare almeno in parte la loro sete di conoscenza.

La mia supposizione sul fatto che argomenti misteriosi e complessi generano interesse anche

nei più piccoli aveva trovato conferma. Con l’aiuto anche di esempi concreti e vicini alla

realtà ho cercato di spiegare in modo molto generale la legge di gravitazione universale,

proponendo come conseguenza di tale legge il fatto che la Luna rimane sempre vicina alla

Terra. Effettivamente questo argomento è complicato per le loro capacità conoscitive, ma

credo che qualcuno dei più svegli sia riuscito a capire il significato di questo principio. La

spiegazione inoltre è stata resa più semplice dal fatto che già avevano studiato il moto di

rotazione e di rivoluzione sia della Terra attorno al sole che della Luna attorno alla Terra.

I bambini erano davvero interessati all’argomento così che si sono lasciati andare anche a

domande un po’ fuori le righe, un po’ astruse, alle quali ho cercato di rispondere nel migliore

dei modi. Il fatto che i bambini si sentano liberi e invitati a parlare, senza paura di sbagliare, o

che cerchino di trasmettere agli altri i loro pensieri anche se un po’ bizzarri li rende più sicuri

e propositivi. Inoltre la curiosità verso i fenomeni naturali è un elemento essenziale per

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diventare dei bravi scienziati. Questa loro capacità è sicuramente il risultato di molti anni di

lavoro svolti in classe dalle insegnanti.

Per ciò che riguarda la gravitazione ho voluto poi approfondire l’argomento, per valutare

quanto il senso comune dei concetti fisici fosse radicato nei bambini. Per questo ho proposto

una semplice prova:

“Prova a disegnare sulla nostra Terra due bambini: uno di questi abita al polo Nord e l’altro

al polo Sud.”

Non avendo a disposizione molto tempo ho disegnato alla lavagna una circonferenza

invitando qualcuno a risolvere il problema.

La prima bambina, scelta a caso da me, ha disegnato entrambi i bambini nella stessa posizione

cioè con la testa in alto e con i piedi in basso, dimostrando la forza dell’errore dovuto al senso

comune. Ma subito alcuni bambini hanno chiesto di poter rappresentare la loro idea diversa,

che si è rivelata corretta: il bambino in alto con la testa in alto e i piedi in basso, e l’altro

disegnato capovolto.

A questo punto, vedendo il disegno corretto, quasi tutti lo hanno riconosciuto come giusto. Un

bambino inoltre, forse con lo scopo di attirare un po’ l’attenzione, ha affermato di avere

un’ulteriore proposta, che ha rappresentato sulla lavagna: il suo disegno era identico al primo,

quello sbagliato, ma con la differenza di evidenziare il punto di contatto.47

Come ultima prova ho proposto un altro quesito:

47 Nella fotografia riportata qui sotto l’ordine con cui sono stati realizzati i disegni è il seguente: prima quello centrale, poi quello a sinistra e infine quello a destra.

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“Tutti e due i bambini hanno in mano una penna che cade: indica con una freccia in che

direzione cade.”

La bambina che ho chiamato alla lavagna ha prima scelto il disegno per lei esatto e poi ha

disegnato correttamente le frecce, raccogliendo il consenso da parte di tutti gli altri. Tutti i

corpi sono attratti verso il centro del nostro pianeta, secondo la descrizione data da Newton, e

questa tendenza spiega sia l’orientazione delle persone nel disegno del globo, sia la direzione

di caduta degli oggetti in vari punti della Terra, che si chiama direzione verticale.

A questo punto ho ritenuto opportuno tralasciare la discussione sulla gravità e ritornare al

nodo centrale della questione ancora da individuare: il metodo scientifico sperimentale.

Ho invitato i bambini a tornare alla storia che avevamo letto e a riflettere su cosa aveva fatto

Newton. Dal suo esempio è venuto subito fuori che uno scienziato non può lavorare a caso,

senza seguire dei criteri adeguati e ben programmati.

Ma allora da dove partire per intraprendere il lungo cammino di una scoperta?

La discussione era matura: così in poco tempo e con qualche mia domanda mirata hanno

raggiunto l’obiettivo.

L’osservazione e la capacità di porsi domande sono i punti di partenza essenziali.

Su questi due punti ho ritenuto opportuno fare delle precisazioni importanti utilizzando

sempre il metodo della domanda.

Ho chiesto loro, prendendo come esempio il nostro amico Newton, perché si era dedicato

proprio al fenomeno dalla gravità.

Può essere sufficiente guardare un qualsiasi fenomeno e farsi una qualsiasi domanda?

I bambini sono stati molto bravi nel rispondermi, e hanno individuato più di un motivo.

“Per me gli piacevano molto la Luna e le stelle.”

“Però se non gli fosse caduta la mela in testa non avrebbe mai fatto la sua scoperta.”

“Lui aveva studiato tanto, quindi sapeva già molte cose.”

“Lui si era preparato tanto su quelle cose.”

Il punto era stato centrato, così abbiamo aggiunto un requisito essenziale accanto

all’osservazione: lo studio. Per renderlo più chiaro a tutti ho utilizzato un esempio sul corpo

umano che da poco avevano iniziato a studiare: “Potreste scoprire a cosa serve un organo

importante come il fegato se non sapete che dentro di noi c’è l’apparato digerente?”

Non so se questo mio esempio è stato davvero appropriato, però credo che per qualche

bambino sia stato utile, perché dopo ho notato più convinzione e sicurezza.

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Nei miei pensieri temevo che i bambini potessero incontrare difficoltà nell’individuare il terzo

punto, l’ipotesi. Ma mi sbagliavo.

Due bambine hanno proposto subito questa parola anche spiegandola con cura:

“Se hai una domanda dai una risposta che te credi che sia giusta.”

“L’ipotesi è quello che io credo che sia.”

Il punto successivo, la verifica, è stato ancora più semplice da individuare.

“Poi dobbiamo cercare delle confermazioni … cioè delle conferme.”

“Si deve fare delle prove, degli esperimenti.”

“In pratica si deve fare l’esperimento, cioè cerchi di rispondere alle domande che ti sei posto

usando degli oggetti.”

Le loro risposte non potevano essere più corrette. Non c’era bisogno di approfondire niente.

E infine l’ultimo punto.

“Alla fine dobbiamo dire se avevamo ragione.”

“Si vede se abbiamo fatto la nostra scoperta.”

“C’è la conclusione.”

A questo punto mancava solo il nome del metodo che ho subito scritto e spiegato.

Ho cercato di far capire ai bambini che per arrivare a delineare questi punti c’erano voluti

molti anni di studio da parte di molti filosofi e scienziati, tra cui anche Newton. Inizialmente

non tutti erano d’accordo su questi criteri. Oggi però questo è il metodo riconosciuto e seguito

dagli addetti ai lavori e su cui si basa tutta la scienza.

A questo punto sapevamo cosa dovevamo fare. Per improvvisarci un po’ scienziati bastava

seguire queste linee-guida e provare a vedere cosa ne veniva fuori.

Per rendere il lavoro appropriato alle loro conoscenze ho pensato di proporre un

brainstorming, che è il loro forte perché usato molto dalle insegnanti.

Da primo la mia proposta non ha riscosso molto successo, forse perché i bambini iniziavano

ad essere un po’ stanchi, ma visto che questo lavoro non richiedeva un impegno

particolarmente forte, non mi sono tirata indietro e alla fine è riuscito anche bene.48

Al centro di un cartellone ho attaccato una piccola goccia di acqua e ho iniziato a scrivere le

parole che i bambini mi suggerivano.

48 Forse inizialmente i bambini non erano entusiasti di fare questa attività semplicemente perché l’avevano fatto molte volte nei giorni precedenti.

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Poiché le parole che mi dicevano spaziavano in ogni ambito, per indirizzare il lavoro a ciò che

davvero ci serviva, cioè le proprietà chimico-fisiche dell’acqua, ho chiesto di selezionarle in

base al nostro argomento.

Sono emerse molte parole interessanti tra cui:

VITA, LIQUIDO, GHIACCIO, VAPORE, NON HA FORMA, SOLVENTE,

TRASPARENTE, PULISCE, TRASFORMA-LEVIGA-ERODE, H2O.

La struttura chimica dell’acqua è stata tirata fuori da un bambino che ha un fratello che studia

la chimica. Non potevo sottrarmi alla spiegazione di questo simbolo, sebbene avessi già

pensato di dedicargli un po’ di attenzione in alcuni degli incontri successivi.

Ho cercato di usare nella spiegazione un linguaggio molto semplice facendo ricorso all’aiuto

di un disegno alla lavagna e anche ad alcuni esempi. Prima ho spiegato qual è lo scopo della

chimica: ci aiuta a capire come sono fatte le cose che ci circondano e ci dice che tutta la

materia è costituita da parti piccolissime che si chiamano atomi, che non riusciamo a vedere

neppure con l’aiuto di strumenti come il microscopio. Poi sono passata alla molecola che ci

interessa, H2O, costituita da tre atomi che si legano tra loro, ovvero si mettono in relazione,

formando così la più piccola parte dell’acqua.

Tutti i bambini erano attenti a quello che stavo dicendo: questa descrizione degli atomi e delle

molecole aveva conquistato il loro interesse.

Chissà se davvero avevano compreso le mie parole e questo breve accenno sulla struttura

della materia?

La conferma è arrivata dalle parole di una bambina, a mio avviso molto intuitiva:

“Cioè i legami tra gli atomi sono come la gravità che tiene la Luna legata alla Terra!”

Bella considerazione!

Dopo questo breve accenno ho abbandonato la chimica così da lasciare il tempo di

interiorizzare e riflettere su quei pochi accenni che poi avrei voluto approfondire.

La prima lezione era quasi arrivata a conclusione e tutti i punti importanti erano venuti fuori.

Nell’ultimo quarto d’ora i bambini hanno riportato nel loro quaderno lo schema che io avevo

scritto sul cartellone, improvvisando commenti o riflessioni tra loro o con me su tutte le

questioni trattate. Qualcuno è tornato nuovamente sulla forza di gravità tirando fuori anche

frasi scherzose, ma comunque vere:

“Se non ci fosse la forza di gravità si volerebbe.”

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Sono rimasta molto soddisfatta da questo primo incontro per il clima sereno e divertito che si

era creato, ma soprattutto per l’interesse che gli argomenti trattati avevano suscitato in loro.

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2. II incontro

Partiamo dalla solubilità Il brainstorming mi è servito per capire che i bambini avevano già un po’ di conoscenze

sull’argomento visto che avevano tirato fuori termini come “solvente, pulisce…”. Inoltre

durante la lezione più di uno mi aveva proposto di provare a mettere il sale o l’olio nell’acqua

e vedere cosa accadeva.

In più la solubilità è esperienza quotidiana nella vita di ciascuno, soprattutto nell’ambito della

cucina.

Anche se già i bambini avevano queste conoscenze non potevo trascurare questa peculiarità

essenziale dell’acqua, che è il solvente per eccellenza. Allo stesso tempo però non doveva

essere una ripetizione scontata e noiosa.

Cosa potevo fere per renderlo più divertente e nuovo?

In primis avrei mirato sull’esperimento, al quale volevo dare molto spazio ed importanza per

rendere il lavoro attivo e divertente. Ma dovevo decidere quali concetti studiare. Puntare solo

alla scoperta della capacità dell’acqua di sciogliere mi sembrava riduttivo per la loro sete di

scoprire e di conoscere. Dovevo approfondire il discorso a costo di arrivare anche a concetti

più complicati come il punto di saturazione e la densità.

Ho allestito, con l’aiuto della maestra Isabella, un piccolo laboratorio nella stanza di

immagine, luogo adibito alle più svariate attività, sistemando i banchi da lavoro nel modo più

opportuno e organizzando tutto il materiale a me necessario.

Ho preparato anche un cartellone sintetico, dove era riportato il metodo scientifico, che ho

attaccato nel laboratorio per avere sempre presente il procedimento da seguire.

Per dare la possibilità a tutti i bambini di fare esperienza diretta, e anche dietro consiglio di

Isabella, ho suddiviso la classe in due gruppi che hanno svolto l’attività in due turni.

L’aspetto positivo era che il minor numero di bambini mi permetteva di seguire tutti in modo

più accurato, vedere e valutare le loro attività e le loro osservazioni. Però il tempo a

disposizione è stato dimezzato. Ho notato che i bambini, appena entrati nel laboratorio, erano

molto emozionati e agitati. Allora li ho invitati a sedersi a ad ascoltarmi, sperando che con

qualche parola introduttiva potessero iniziare ad ambientarsi.

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Ho riassunto a grandi linee il lavoro dell’incontro precedente, dicendo loro che a questo punto

il nostro compito sarebbe stato quello di diventare piccoli scienziati e che quella stanza, con

l’aiuto della fantasia, era diventata un laboratorio meraviglioso.

Il primo punto del metodo scientifico sperimentale è l’osservazione, e quello doveva essere il

nostro punto di partenza. Ho suddiviso il primo gruppo di undici bambini in due sottogruppi,

uno di cinque e uno di sei e, in seguito, il secondo gruppo in altri due sottogruppi di cinque

ciascuno, consegnando ad ogni gruppo un foglio bianco sul quale dovevano annotare ogni

minima proprietà o caratteristica che poteva venir loro in mente.

Osservare non significa solo guardare; abbiamo cinque sensi, quindi è bene sfruttarli tutti.

Ho invitato ogni gruppo ad analizzare un bicchiere trasparente con dell’acqua; prima con la

vista, poi con l’udito, poi con il tatto e l’olfatto, annotando le osservazioni che alla fine

abbiamo letto insieme:

trasparente, liquida, non ha forma, prende la luminosità della luce, inodore,

liscia, bagna, non fa rumore, si può muovere

Il gusto era rimasto fuori ma su questo intendevo fare un discorso a parte.

Dato che per analizzare il sapore si deve necessariamente assaggiare, mi ero preparata tre

bottigliette di acqua numerate che ho fatto assaggiare ad un rappresentante di ogni gruppo.

Appena i due bambini hanno assaporato l’acqua, hanno fatto delle smorfie di disgusto. Ogni

bottiglietta aveva un sapore diverso e si sentiva che dentro non c’era solo acqua.49

49 Nella prima bottiglietta c’era un po’ di zucchero, nella seconda c’era del sale, nella terza qualche goccia di aceto.

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Hanno detto:

“Hanno un sapore diverso, ma non so come spiegarlo.”

“Hanno un altro gusto, una sembra salata.”

“Ma qui dentro c’è qualcosa!”

E proprio a queste considerazioni volevo arrivare. Anche se l’acqua è trasparente e limpida,

dentro potrebbe esserci disciolto qualcosa. Secondo il metodo sperimentale avevamo

osservato un fenomeno importante che ci ha portato a fare delle ipotesi:

“C’è qualcosa dentro così piccolo che non si vede”

“C’è qualcosa che è stato disintegrato in pezzetti piccoli piccoli che sono caduti e non si sono

sciolti”

“L’acqua assume il sapore di quello che ci mettiamo”

“Queste acque hanno un sapore diverso perché dentro ci sono altre componenti”

Ma anche un’altra affermazione appariva plausibile:

“Un sasso non si scioglie in acqua, quindi non tutto si scioglie”

E come fare a verificare?

“È semplice, ci buttiamo del sale, lo giriamo e vediamo se si scioglie e non si vede più”

“Proviamo a vedere se tutte le sostanze si sciolgono”

Ho consegnato ad ogni gruppo: quattro bicchieri con dell’acqua, quattro sostanze diverse,

alcuni cucchiaini, una scheda con una tabella da compilare che riportava alcune caselle da

riempire: SOSTANZA, IPOTESI, VERIFICA E DESCRIVI, CONCLUSIONE.

Ogni gruppo doveva sperimentare con le proprie sostanze e annotare tutto.

Si sono messi subito al lavoro e tutti hanno partecipato con molto impegno scrivendo

considerazioni interessanti che poi ho organizzato e raccolto in una tabella.

L’entusiasmo che hanno dimostrato nella scelta delle sostanze, che tra l’altro sono molto

comuni, e nel lavoro di sperimentazione è stato sbalorditivo e nessuno è rimasto indifferente.

Purtroppo però è stato necessario incitarli a procedere velocemente a causa del poco tempo

che avevamo a disposizione.

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SOSTANZA

IPOTESI

VERIFICA E DESCRIVI

CONCLUSIONE

Idrossido di magnesio

Si scioglie e l’acqua cambia

colore

Si formano delle piccole bolle sulla superficie (effervescente). Appena si

agita si scioglie

L’idrossido di magnesio si

scioglie Zucchero Va in profondità e

si scioglie Lo zucchero si disperde per tutto il

bicchiere e sparisce Lo zucchero si

scioglie

Cacao L’acqua cambia

colore, odore, ma non si scioglie

L’acqua è diventata un po’ opaca, e sopra rimane uno strato di sostanza

bianca

Il cacao si è sciolto

Borotalco L’acqua cambia colore e si mescola

Il borotalco si mescola e va sul fondo

Il borotalco si scioglie

Sale Si scioglie e varia il sapore dell’acqua

Il sale va sul fondo e si”mescola” subito

Il sale si scioglie

Bicarbonato di sodio

Si scioglie La polvere si è sciolta e non è cambiato né il sapore né l’odore

Il bicarbonato di sodio si scioglie

Caffè

Si mescola

L’acqua prende il colore del caffè ma rimangono dei granelli in

superficie

Il caffè si scioglie un po’ sì

e un po’ no

Olio

Non si scioglie L’olio rimane sulla superficie e si

creano delle bolle che si uniscono e ne formano una grande, uno strato spesso. L’acqua sembra che sia un tessuto che fa rimbalzare l’olio sulla superficie.

L’olio non si scioglie e si

stratifica sopra l’acqua

Latte

Si mescola

Il latte si mescola piano piano, come se si gonfiasse. Poi diventa tutto

opaco

Il latte si mescola

Sapone

(colorato)

Si scioglie

Il sapone si è depositato sul fondo e non si è sciolto. Mescolando però si

è sciolto e l’acqua ha cambiato colore

Il sapone si è

sciolto

Vino

L’acqua cambia

odore

L’acqua rimane limpida anche se

cambia colore

L’acqua cambia odore e colore,

ma è meno forte del vino puro

Alla fine ho cercato di tirare le somme dell’esperienza appena conclusa, proponendo di

enunciare i risultati dell’esperimento.

“Alcune sostanze messe nell’acqua sembra che spariscano, perché non si vedono più anche se

ci sono sempre”

“Alcune sostanze si sciolgono e altre invece non si sciolgono”

“Alcune sostanze sciogliendosi fanno modificare un po’ l’acqua, tipo nel colore”

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E hanno riferito le prove fatte con ogni sostanza spiegando cosa avevano visto. È stato

importante che i bambini abbiano capito che l’acqua può nasconde al suo interno piccole

quantità di atre sostanze, non immediatamente visibili ad occhio nudo. C’è stato qualche

problema nel categorizzare qualche sostanza, ovvero nello stabilire se si era sciolta oppure no.

Soprattutto un gruppo aveva incontrato difficoltà arrivando a scrivere che lo zucchero non si

scioglieva e andava sul fondo.

Mi sono soffermata sulla questione e ho chiesto di descrivermi tutte le fasi dell’esperimento.

Dal loro racconto ho capito che probabilmente non avevano agitato lo zucchero messo

all’interno del bicchiere d’acqua, annotando subito che i granelli avevano raggiunto il fondo.

Per renderli consapevoli di questo fatto ho ritenuto opportuno ripetere la prova che è stata poi

accettata collettivamente. D’altronde anche questa è una osservazione importante: alcune

sostanze si sciolgono velocemente nell’acqua, mentre per altre è necessario agitare abbastanza

a lungo.

Questo esperimento è piaciuto molto ai bambini, nonostante l’apparente semplicità, forse

perché hanno potuto considerare da un punto di vista diverso delle sostanze che si trovano

nella vita di tutti i giorni e a cui non avevano prestato attenzione.

Per proseguire il lavoro ho posto loro un’osservazione:

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“Abbiamo visto che il sale si scioglie facilmente in acqua, ma secondo voi in un recipiente

d’acqua posso sciogliere tutto il sale che voglio? O ci sarà un limite?”

Sono state proposte subito alcune ipotesi:

“Il sale non si scioglie all’infinito perché poi ci trova troppe sostanze”

“Se c’è troppo sale non riesce a sciogliersi del tutto”

“Quando ce n’è troppo non si scioglie più”

“Non c’è un troppo, si deve guardare la quantità dell’acqua”

“Quando ci si mette un cucchiaio grosso ce n’è troppo e non si scioglie più”

“Dipende dalla quantità dell’acqua”

“Alla fine quando ce ne metti troppo non si scioglie più”

“È come se l’assorbisse”

“Il sale assorbe l’acqua e la prosciuga”

“Se lo fai almeno cinquanta volte di aggiungerci il sale, l’acqua diventa metà e alla fine si

prosciuga”

C’è stata una bambina che inizialmente era di parere contrario:

“Secondo me si scioglie sempre”, ma poi ha sostenuto la tesi degli altri.

Visto che le ipotesi non mancavano, si doveva passare alla verifica.

L’esperimento non era semplice da eseguire, poiché si voleva determinare in maniera

quantitativa il limite di solubilità, cioè la quantità massima di sale che è possibile sciogliere in

una certa quantità d’acqua. Per questo motivo ho deciso di fare una sola prova per ogni

gruppo, eseguendo io stessa le fasi più delicate.

Per facilitare l’esecuzione dell’esperimento avevo precedentemente preparato una scheda in

cui erano indicate in dettaglio tutte le fasi del procedimento.

In un bicchiere di plastica trasparente abbiamo versato 100 ml di acqua distillata50, abbiamo

indicato con un segno di pennarello il livello che raggiungeva, e abbiamo misurato il peso

totale dell’acqua che era di 105 g. Abbiamo poi pesato 51 g di sale da cucina e abbiamo

iniziato ad aggiungere un cucchiaino di questo sale all’acqua, agitando accuratamente. Una

volta scomparsi i granelli abbiamo ripetuto l’operazione per altre due volte ma a questo punto

una domanda è balzata fuori da un bambino:

“Ma il sale è scomparso, allora!”

50 Ho deciso di usare acqua distillata per escludere la presenza di minerali nell’acqua, che in teoria avrebbero potuto avere una qualche influenza sul risultato della misura.

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Qualcun altro però aveva già notato che il livello dell’acqua si era alzato leggermente quindi

quella differenza era stata provocata dal sale aggiunto. Per sottolineare questo aspetto

importante ho proposto di pesare di nuovo il nostro bicchiere e abbiamo notato che il peso era

adesso di 117 g, cioè era 12 g più pesante di prima.

Il sale non era sparito: non si vedeva ma faceva comunque rivelare la sua presenza.

“Il sale è finito tra l’H2O”

“Il sale si è diviso miliardi di volte e non si vede più, diventando un po’ più opaco”

Appurato questo punto importante abbiamo proseguito la nostra graduale aggiunta di sale,

facendo attenzione che il sale si sciogliesse prima di aggiungerne un altro cucchiaino.

Mano a mano però il sale si scioglieva sempre meno ed era diventato difficile valutare

l’effettivo scioglimento, dato che sempre più granelli andavano a depositarsi sul fondo.

L’importante era constatare che si sciogliesse almeno una parte del nuovo sale aggiunto.

Ad un certo punto però i bambini decisero che il sale non si stava più sciogliendo, e pesando

il sale rimasto, concludemmo che avevamo aggiunto circa 36 g di sale a 100 ml di acqua: a

questo punto il sale non è più in grado di sciogliersi.51

Le loro ipotesi avevano trovato conferma: il sale si scioglie in acqua ma fino ad un limite

preciso che si chiama punto di saturazione, raggiunto il quale non si scioglie più e si deposita

sul fondo.

Qualcuno dei bambini era rimasto un po’ indifferente e annoiato da questo esperimento che

aveva avuto dei momenti statici, e quindi non era riuscito a seguire cosa avevamo fatto. Allora

ho cercato di stupirli perché rimanesse in mente almeno il concetto essenziale.

“L’acqua che adesso è nel bicchiere avrà le stesse caratteristiche e proprietà di prima?”

La mia domanda sembrava scontata. L’acqua del bicchiere di sicuro era salata perché c’era

tantissimo sale.

“Ora è salata”

“È cambiato colore e si è alzato il livello”

“Le sue caratteristiche si sono trasformate”

Per verificare le loro ipotesi ho preparato davanti ai loro occhi un po’ di acqua pura colorata

di blu e, richiedendo la loro attenzione, con una pipetta di Pasteur l’ho depositata lentamente

facendola scendere sopra l’acqua salata dalla superficie laterale del bicchiere. A causa della

51 Il punto di saturazione del sale in acqua è proprio di circa 36 g in 100 ml a temperatura ambiente.

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diversa densità i due liquidi si sono stratificati, l’acqua satura di sale in basso e l’acqua pura

colorata in superficie perché più leggera.

Sono rimasti tutti colpiti da questo strano fenomeno e subito sono emerse un sacco di

considerazioni.

“L’acqua colorata si deposita sopra”

“Si colora la superficie”

“Fa come l’olio che rimane a galla”

“Succede questo perché l’acqua colorata è più leggera”

“Perché il sale fa galleggiare le cose”

“Il sale mescolandosi con le molecole dell’acqua la rende più pesante”

L’acqua colorata è meno densa e rimane in superficie. L’acqua con il sale invece ha

all’interno molta sostanza, cioè gli ioni di sale, risultando più densa.

Ai bambini sembrava molto strano vedere due strati diversi che in realtà erano composti

entrambi di acqua, e mi hanno chiesto di provare a girare per verificare se lo strato di acqua

colorata si comportasse come l’olio. Questa considerazione era stata molto appropriata; così

ho esaudito la loro richiesta e abbiamo visto che l’acqua diventava omogenea, cioè il colore

blu dell’acqua dolce si diffondeva in tutto il bicchiere producendo una soluzione omogenea

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ma con un colore meno intenso di quello dello strato iniziale, segno che i due liquidi si erano

mescolati perfettamente.

Questo esperimento è stato importante perché, oltre a colpire la loro attenzione, mi è servito

per introdurre il concetto di densità, che ci sarebbe stato utile anche in altri incontri successivi.

Inoltre l’immagine del bicchiere con i due liquidi stratificati era molto chiara per spiegare il

concetto di densità.

L’esito di questo primo incontro di laboratorio è stato a mio avviso molto positivo: i bambini

hanno potuto capire che per fare indagine scientifica non servono necessariamente

attrezzature moderne o sostanze particolari. Basta porre attenzione ai fenomeni che si

verificano intorno a noi, anche quelli più semplici.

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3. III incontro

La superficie dell’acqua: la tensione superficiale Prima di proseguire con un’altra esperienza mi è sembrato opportuno iniziare il III incontro

riassumendo cosa avevamo scoperto nella lezione precedente.

Utilizzando di nuovo la discussione collettiva stimolata dalle mie domande, abbiamo

individuato alcuni punti fondamentali:

“Abbiamo scoperto che alcune sostanze, se aggiunte all’acqua, possono avere comportamenti

diversi come mischiarsi, sciogliersi completamente o sciogliersi in parte, o non sciogliersi …”

“L’acqua è un solvente”

“Il sale si scioglie, quindi è solubile”

“Il sale, cioè il soluto, aggiunto in acqua si scioglie fino ad un certo punto. Poi si deposita sul

fondo”

“Il sale arrivato ad un certo punto non si scioglie più, perché l’acqua non è più sufficiente”

“L’acqua non riesce più a sciogliere il sale, è come se la intasasse”

“La soluzione, acqua più sale (solvente più soluto), è più pesante e ha maggiore densità

dell’acqua pura colorata”

“L’acqua salata rimane sul fondo, mentre l’acqua colorata rimane sopra”

“L’acqua colorata stava sulla superficie perché c’era l’acqua con il sale che la sosteneva”

“Data la densità dell’acqua salata l’acqua colorata non è potuta penetrare”

Sono rimasta soddisfatta da questa breve discussione perché mi è sembrato che gli aspetti più

importanti dell’esercitazione di laboratorio fossero stati compresi da tutti. Quindi siamo

passati ad un nuovo argomento.

Ho consegnato ai bambini alcune immagini e ho detto loro che, mentre a casa pensavo come

proseguire la nostra ricerca, avevo visto delle immagini di piccoli insetti un po’ strani che si

chiamano idrometre e gerridi.

Ho invitato ciascuno di loro ad osservarle attentamente.

“Sono quegli insetti che sono capaci di stare in superficie”

“Sembra che stiano su un gel”

“Loro camminano sopra l’acqua”

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Qualcuno conosceva bene questi piccoli insetti perché li aveva visti al lago. Ma come spiegare

questa loro capacità? Qualcuno l’ha attribuita al fatto che sono molto leggeri, per qualcun

altro invece era dovuta alla presenza di “qualcosa” sulle zampe degli insetti. È emersa anche

la questione che forse galleggiavano, ma il confronto con un tappo di sughero messo in acqua

l’ha smentita subito. Infatti quando qualcosa galleggia una parte dell’oggetto è immersa,

mentre gli insetti stanno proprio sul pelo dell’acqua.

Per dimostrare se fosse solo una loro prerogativa o se anche altre cose potevano fare lo stesso,

dietro loro proposta abbiamo scelto dei piccoli oggetti che assomigliassero alle loro zampe

come una graffetta, un ago, una puntina, ed anche altri oggetti con caratteristiche simili. In

una piccola coppetta di plastica trasparente abbiamo versato dell’acqua e con molta cura

abbiamo provato ad appoggiare gli oggetti sulla superficie. Tutti i bambini hanno avuto la

possibilità di provare e quasi tutti con grande entusiasmo sono riusciti a collocare il piccolo

oggetto sul pelo dell’acqua.

Si riusciva ad osservare chiaramente che il piccolo oggetto provocava un avvallamento della

superficie de liquido. Una lieve scossa era sufficiente a far affondare l’oggetto, a riprova del

fatto che non stava galleggiando ma era semplicemente appoggiato. I bambini hanno attribuito

la causa di tale fenomeno alla leggerezza dell’oggetto e al fatto che fosse piatto.

A questo punto ho proposto ai bambini di considerare la composizione chimica dell’acqua

ovvero la famosa molecola di H2O.

In ogni goccia di acqua c’è un numero enorme di queste molecole che stanno molto vicine

legandosi l’una all’altra.

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Per render più semplice il concetto chimico di legame intermolecolare ho proposto ai bambini

un paragone:

“È come se ognuno di voi fosse una molecola di acqua: l’ossigeno è la vostra testa, mentre i

due atomi di idrogeno sono le vostre mani.

Se ogni bambino tocca con le due mani le teste di altri due bambini e la sua testa è toccata a

sua volta da due mani appartenenti ad altri due bambini si stabiliscono dei legami che vi

tengono reciprocamente uniti.

Possiamo immaginarci che le molecole di acqua si leghino tra loro in un modo simile a

questo.”

Dato che l’aula era a pianoterra e la nostra finestra si affacciava sul parco ho proposto di

realizzare questo semplice gioco in giardino. Ognuno di loro rappresentava una molecola di

acqua, e doveva cercare di legarsi alle altre secondo le regole dei legami che avevo spiegato:

ogni molecola poteva legarsi alle altre solo toccando la testa di altre due molecole simili,

facendo attenzione che ognuno avesse la testa toccata solo da due mani appartenenti a due

bambini diversi.

Si sono molto divertiti a realizzare questo strano intreccio di mani secondo le regole dei

legami chimici, e alla fine è stato evidente che qualcuno all’estremità del reticolo rimaneva

con le mani libere poiché erano finite le teste con cui collegarsi.

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Abbiamo chiesto loro di cercare una soluzione perché anche loro facevano parte della stessa

acqua. La soluzione è stata presto trovata: qualcuno si è preso per mano e qualcuno ha toccato

due compagni vicini in altri punti del suo corpo.

“E se proviamo a muoverci velocemente, a fare una corsa cosa succederà?”

L’invito non poteva essere più allettante. Abbiamo iniziato a muoverci prima piano poi

sempre più veloci provocando la rottura di alcuni nostri legami. Qualcuno ha intuitivamente

osservato che i bambini all’esterno che si erano legati soprattutto dandosi la mano avevano

mantenuto il loro legame molto stabile mentre molti di quegli interni si erano slegati. In

pratica avevamo riprodotto nella realtà ciò che avviene in acqua. Ora il fenomeno, a cui

abbiamo dato il proprio nome scientifico di tensione superficiale, risultava chiarito.

Tornati in laboratorio, per dare ulteriore conferma alla nostra scoperta, ho mostrato loro un

disegno in cui veniva raffigurata la direzione dei legami delle molecole di acqua sia interne al

liquido che sull’interfaccia esterna e ho chiesto loro alla luce di quanto capito di illustrare il

fenomeno.

Per una comprensione profonda è molto importante esplicitare con il linguaggio il proprio

pensiero, così da renderlo più organizzato ed esplicito.

“Le molecole formano come una rete, che è più forte nei confini”

“In superficie finisce l’acqua e si legano più forti”

“In superficie non ci sono più molecole e si legano di più, perché si stringono con le mani”.

Anche questa volta avevo preparato qualcosa per stupirli e aumentare la loro voglia di

scoprire.

Nell’incontro precedente avevamo scoperto che le sostanze che erano sciolte in acqua

modificavano alcune sue caratteristiche come la densità.

E la tensione superficiale? Anche questa proprietà verrà modificata dalla presenza di alcune

sostanze?

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Per scoprirlo abbiamo provato ad aggiungere una goccia di sapone nelle coppette con l’acqua

e con gli oggetti che stavano appoggiati sul pelo dell’acqua.

E come per magia tutti gli oggetti sono caduti sul fondo dei recipienti. Il loro stupore era

davvero grande. Hanno voluto provare a ripetere l’esperienza perché sembrava davvero

strano.

Per un’ulteriore verifica ho invitato i bambini a osservare bene: sempre in una piccola

coppetta con acqua pulita ho buttato un po’ di borotalco che, se non agitato, tende a rimanere

all’inizio tutto in superficie. A questo punto ho preso di nuovo il sapone ed ho fatto cadere

due o tre gocce nel contenitore. Ed ecco che il borotalco iniziava progressivamente a scendere

come fiocchi di neve, lasciando di stucco tutti i bambini.

Per spiegare il motivo per cui accadeva ciò ho fatto ricorso di nuovo alla chimica spiegando

che il sapone è costituito da molti atomi che formano una molecola simile ad un girino, cioè

con una specie di testa e una coda che una volta all’interno dell’acqua si infiltra tra le

molecole di acqua e rompe i loro legami. Di conseguenza, la tensione superficiale viene

annullata o almeno ridotta dalla presenza dei saponi e dei detersivi.

“Il sapone ha rotto le barriere, e ha rotto i legami forti”

“La tensione si spezza”

“Il sapone ha rotto questa tensione”

Il sapone rompe la forza superficiale che ha l’acqua ma allo stesso tempo le fornisce una certa

“flessibilità” permettendo la formazione di bolle di sapone molto grandi e resistenti. Senza

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sapone le bolle non riescono a formarsi e a mantenersi perché la forza superficiale è troppo

intensa e le distrugge.

A questo punto ho lasciato che i bambini si divertissero alcuni minuti a creare bolle di sapone

con alcuni cerchietti di fil di ferro che avevo preparato.

Le bolle di sapone hanno sempre un gran fascino e infatti non volevano interrompere il loro

gioco ma la lezione era ormai arrivata a conclusione, e anche stavolta ero molto soddisfatta

del lavoro svolto.

Anche questa volta la partecipazione alla lezione era stata totale. Sebbene non potessi sapere

quanto dei concetti toccati sulla struttura chimica fossero stati compresi, dalle frasi dei

bambini sembrava che il concetto di tensione superficiale fosse stato compreso. Per avere

ulteriori conferme avevo comunque deciso di utilizzare un prova in itinere nella lezione

successiva.

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4. IV incontro

Uno strano gioco di forze: la pressione I bambini stavano manifestando grande entusiasmo e interesse per il lavoro che stavamo

facendo ed ogni volta che mi vedevano arrivare mi facevano grandi feste, chiedendomi subito

cosa avremmo fatto quel giorno.

In fase di progettazione ero molto indecisa sulla direzione da intraprendere a questo punto del

percorso: avrei potuto affrontare i passaggi di stato approfondendo la trasmissione del calore,

oppure sarebbe stato interessante addentrarmi un po’ nella meccanica dei fluidi.

La scelta non è stata semplice ma alla fine ho scelto di addentrarmi proprio nei principi che

descrivono il comportamento dei fluidi.

Un motivo che mi ha spinto verso questa direzione è che gli argomenti da trattare mi

permettevano di utilizzare un metodo didattico molto più stimolante ed interattivo.

Inoltre lo studio della propagazione del calore presenta un maggiore rischio negli esperimenti,

a causa dell’alta temperatura necessaria per raggiungere l’ebollizione dell’acqua.

Per la meccanica dei fluidi gli esperimenti sono molto più semplici e sono collegati ad attività

comuni nell’esperienza quotidiana. Sappiamo benissimo come si comporta l’acqua o più in

generale un liquido, grazie all’esperienza che ogni giorno ci porta a toccarla, a manipolarla, ad

usarla. Ma in realtà mai ci soffermiamo a chiederci il motivo per cui ciò accade, o da cosa

dipende.

Sicuramente pochi si sono chiesti perché, se aspiriamo da una cannuccia immersa in un

liquido come l’acqua, il liquido sale. Il motivo è semplice ma non scontato, perché entra in

gioco la pressione atmosferica.

Il pur quotidiano contatto con l’acqua sicuramente non impedisce la costruzione di

misconcetti, perché talvolta il senso comune porta a conclusioni opposte rispetto ad un’analisi

condotta con approccio scientifico.

Inoltre desideravo trasmettere ai bambini un insegnamento che va al di là della lezione

scolastica, e cioè che non dobbiamo avere paura di seguire i nostri pensieri più liberi. Volevo

far capire loro che potevano scoprire cose interessanti e che si sarebbero anche divertiti nella

scoperta.

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Lo scienziato non è solo un genio che fa scoperte strabilianti perché ha un quoziente

intellettivo sopra la media, ma è uno come tanti che, con molta costanza e pazienza, guarda la

realtà con occhi più attenti e critici. Chiunque può sentirsi un po’ scienziato.

Con questo scopo, ispirata dall’esempio di Marie Curie, ho deciso di impostare la lezione

focalizzata sulla pressione dell’acqua in modo da far sentire ciascun bambino un piccolo

scienziato responsabile delle sue scoperte.

A casa ho accuratamente preparato del materiale, strutturato secondo il metodo delle

cianfrusaglie delle sorelle Agazzi, basato su oggetti di uso comune da utilizzare

spontaneamente, per lo studio del comportamento dell’acqua.

Il materiale era il seguente:

− piccole provette di vetro: in origine fiale contenenti un prodotto farmaceutico,

avevano lo scopo di evidenziare i rapporti tra aria e acqua. Infatti se immergiamo la

provetta con l’apertura rivolta verso il basso l’acqua non vi può entrare poiché nel

contenitore è presente l’aria;

− cannucce con foro e intere: in quella forata non si può creare il vuoto e quindi

non si riesce a far arrivare l’acqua alla bocca;

− tubetti di gomma: utili per la scoperta del principio dei vasi comunicanti;

− bottigliette di plastica forate: permettono di scoprire la variazione di pressione

con la profondità, evidenziata dal fatto che dai fori posti più in basso l’acqua esce con

un getto più lungo rispetto ai fori posti più in alto;

− siringhe: per vedere il chiaro effetto della nostra pressione sullo stantuffo, che

si trasmette al liquido e produce uno schizzo di acqua più o meno lungo. Le siringhe,

tappato l’ugello, possono servire anche per valutare la comprimibilità dei liquidi o dei

gas presenti al loro interno:

− cilindri graduati: per misurare il volume dei liquidi se sarà necessario;

− bottigliette dei succhi di frutta: con lo stesso utilizzo delle provette di vetro;

− bicchieri: da utilizzare come materiale di supporto ma anche per la scoperta

della pressione dell’aria (in un bicchiere colmo di acqua e chiuso con un foglio di

carta, l’acqua non cade se il bicchiere viene capovolto);

− imbuto: come strumento utile per eventuali travasi;

− tappi in sughero: importanti per considerazioni sul galleggiamento.

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Inoltre per cercare di sfruttare al massimo questa esperienza ho deciso di aggiungere altri

oggetti con lo scopo di stimolare l’interesse e per suggerire argomenti di discussione sul

fenomeno del galleggiamento che sarebbe poi stato affrontato:

− piccoli sassi;

− pallina da golf;

− palloncini;

− pallina di gomma;

− pezzetti di plastica;

− bottoni;

− noci, noccioline;

− bulloni di ferro;

− mollette per i panni;

− carta stagnola;

− polistirolo;

− frutta (mela, arancio);

− gessi;

− matite.

Arrivata a scuola, la maestra mi ha fatto trovare in giardino quattro banchi, uno per ogni

gruppo52, messi a distanza l’uno dall’altro. Erano stati preparati dai bambini, che già avevano

intuito che ci sarebbe stata una esperienza bella e interessante.

52 In ogni lezione i gruppi di lavoro sono stati cambiati per rendere più dinamico e stimolante il lavoro.

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Su ogni banco ho posizionato una bacinella grande piena di acqua, un sacchetto che conteneva

il materiale da me preparato e alcuni fogli bianchi con una scheda che sarebbe servita loro per

annotare tutto.

Prima di farli mettere al lavoro ho chiesto loro di sedersi e ho spiegato che il mio professore

era rimasto molto colpito dalle nostre scoperte e che per aiutarci un po’ mi aveva suggerito

che l’acqua, in quanto sostanza liquida, segue determinate leggi che noi potevamo scoprire

abbastanza facilmente. Così ho presentato l’attività:

“Provate a mettere in moto la vostra mente e, tenendo sempre presente il metodo sperimentale

ormai diventato nostra abitudine, fate diverse prove. Magari alla fine riuscirete a scoprire

qualcosa.”

Inizialmente i bambini sono rimanti un po’ perplessi perché probabilmente sentivano una

certa responsabilità sulle spalle, come se in mancanza di una guida non sapessero che strada

percorrere. Ho cercato di rassicurarli, spiegando loro che per fare una scoperta basta osservare

e descrivere con attenzione anche qualcosa che sul momento sembra scontato.

Per rassicurarli ulteriormente ho precisato che c’era una scheda in cui riportare il

comportamento di alcuni oggetti rispetto al galleggiamento, dato che più volte era stato

nominato. Ancora un po’ titubanti si sono avvicinati ai banchi e io li ho avvertiti che avevano

circa trenta minuti di tempo a disposizione.

Dopo un minuto l’incertezza aveva lasciato posto all’entusiasmo e al divertimento.

Tutti erano indaffarati ad “aggeggiare” con qualcosa e quasi nessuno voleva stare a scrivere

per riportare le varie idee, quasi fosse una perdita di tempo.

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Io e l’insegnante Isabella giravamo tra i gruppi incitando chi avesse individuato qualche

osservazione corretta a segnarla nella scheda.

Non è semplice descrivere l’allegria ma anche l’entusiasmo e la voglia di fare con cui tutti i

bambini hanno svolto questa attività.

Forse le foto possono dimostrare meglio delle parole l’atmosfera che si era creata.

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In poco tempo i bambini sono riusciti a individuare molte osservazioni, che io poi ho trascritto

quasi alla lettera comprese anche le imprecisioni e qualche piccolo errore, nella tabella

riportata qui sotto.

STUDIO DEL GALLEGGIAMENTO

OGGETTO IPOTESI VERIFICA E

OSSERVAZIONI CONCLUSIONE

Palloncino Rimane a galla e non si riempie

Rimane a galla un pezzo. L’acqua entra ma non è capace

di gonfiare il palloncino

Il palloncino non è rimasto tutto a

galla Pallina di gomma

Non va a fondo

Anche se è piena di aria, la pallina non va a fondo

Galleggia

Palla da golf Sprofonda Rimbalza e rimane a fondo Non galleggia Bottiglia di

plastica vuota con fori

Rimane a galla

Resta in superficie e non affonda anche se dai fori entra

un po’ di acqua

Galleggia

Noce

Galleggia a metà

Galleggia, perché è leggera. Non va a fondo perché è piena

d’aria

Galleggia

Polistirolo

Sa

galleggiare

Galleggia perché è leggero. Rimane a galla e non assorbe l’acqua. Anche se lo immergi

ritorna a galla.

Galleggia

Mela Galleggia La mela galleggia Galleggia

Arancio

Affonda L’arancio non affonda, però rimane per gran parte dentro

l’acqua

Galleggia

Tubino di gomma

Galleggia Galleggia Galleggia

Pezzetto di

plastica

Galleggia

A differenza degli insetti, l’oggetto non sta sul pelo dell’acqua, ma galleggia.

Anche con un po’ di acqua sopra.

Bottone Affonda È affondato Non galleggia

Sughero Rimane a

galla Anche se è molle rimane a

galla. Metà è in acqua e l’altra metà è fuori

Galleggia

Sasso Affonda Il sasso appena si mette in acqua affonda velocemente.

Il sasso non galleggia

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LE OSSERVAZIONI FATTE DAI BAMBINI

1. Soffiando nella cannuccia forata posso riuscire a gonfiare un po’ il palloncino. Questo accade perché parte dell’aria che io soffio trova, prima di arrivare all’altra estremità, un’altra via di uscita nel foro collocato a circa metà. 2. L’acqua che è all’interno di una bottiglia forata, tende ad uscire appena trova un foro. 3. Se prendo una siringa senza il pistone, e la immergo, l’acqua entra dentro e raggiunge, lentamente, lo stesso livello dell’acqua esterna. Ma se invece la immergo tappando l’estremità più stretta con il dito, l’acqua non riesce ad entrare. Questo perché dentro la siringa c’è l’aria, e se ostruisco la sua via di fuga non può uscire e l’acqua quindi non può entrare. 4. Abbiamo scoperto che l’aria non fa passare l’acqua e se metti un bicchiere rovesciato vuoto nell’acqua (all’ingiù ) l’acqua non riesce ad entrare. L’acqua può entrare così fino ad un limite. 5. Inserisco un palloncino all’interno di una bottiglietta di vetro e lo fermo sulla bocca della bottiglietta. A questo punto provo ad inserire dell’acqua dentro il palloncino usando una siringa. Appena la siringa viene tolta l’acqua tende ad uscire producendo uno schizzo a mo’ di fontana. Questo probabilmente accade perché: l’acqua inserita con un po’ di pressione va nel palloncino e tende a gonfiarlo; il palloncino però non si può dilatare perché all’interno della bottiglietta c’è anche l’aria che ‘non si può comprimere ’ perciò spinge subito l’acqua fuori dal palloncino. 6. Nella bottiglia con i fori l’acqua che esce dal foro più alto cade più vicino alla bottiglia, rispetto all’acqua che esce dal foro più basso, che invece ha un getto che va più lontano. 7. Nella nostra bottiglia occorrono circa 83 ml prima che l’acqua esca. 8. La bottiglia di vetro è sollevata dalla legge di Archimede. La bottiglia dopo essere stata riempita con 60 ml di acqua e messa in acqua si capovolge in verticale, mentre con meno acqua resta in orizzontale. Lo stesso accade (cioè si posiziona in verticale) con 70 ml. La bottiglietta contiene 130/135 ml di acqua. 9. Se inserisco dell’acqua in una gomma, essa tende a raggiungere lo stesso livello da entrambe le parti. Inoltre se la riempio di acqua con la gomma, aspirando, e la inserisco dalla parete più alta in acqua, l’acqua tenderà a fluire dalla parte più alta in quella più bassa (vasi comunicanti /travaso) 10. L’acqua dentro una cannuccia sale perché aspirando io tolgo l’aria, così l’acqua tende ad occupare la parte liberata dall’aria via via fino a raggiungere la nostra bocca. 11. Se immergo un dito nell’acqua e lo guardo all’altezza del bicchiere, il dito sembra spezzato.

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Queste considerazioni non sono espresse con estrema chiarezza perché sono la trascrizione

fedele delle impressioni dei bambini durante il lavoro di gruppo.

Nella fase successiva della lezione tutte le loro osservazioni sono state oggetto di discussione.

Infatti allo scadere del tempo, dopo numerosi richiami, i bambini si sono seduti per

comunicare agli altri le loro scoperte ed osservazioni. Soprattutto desideravo trarre spunti dal

loro lavoro per affrontare in modo più esplicito e riflessivo la pressione dell’acqua.

Sono partita dall’osservazione di un gruppo che aveva notato che il getto di acqua che usciva

da una siringa dipendeva “da quanto si pigia”. Mi sono soffermata su questa frase ed

utilizzando termini più appropriati ho introdotto il concetto di pressione.

Alcuni bambini hanno tentato di darne una definizione:

“La pressione è la potenza”

“È la forza”

“È una spinta”

L’aspetto più importante era far comprendere loro che all’interno dell’acqua, e dei liquidi in

generale, c’è una pressione non solo dall’alto verso il basso, ma rivolta in tutte le direzioni.

Ho preso la bottiglia di plastica con i fori che ogni gruppo aveva avuto per fare le dovute

considerazioni. Ho mostrato di nuovo il fenomeno, ovvero che “nella bottiglia il buco più in

alto fa uscire l’acqua più vicino alla base della bottiglia di quello più in basso”.

Qualche gruppo durante l’attività di gioco-scoperta aveva già individuato, con il mio aiuto,

che la causa di ciò era da imputarsi all’altezza del livello dell’acqua rispetto a ciascun foro e

quindi alla pressione esercitata dall’acqua sovrastante sul foro di uscita.

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“Quello che è in basso ha un getto più lontano perché non c’è l’acqua che va ancora più in giù

perché la bottiglia è finita”

“Nella bottiglia in fondo c’è più pressione perché l’acqua si scarica tutta sul fondo perché

pesa più sul fondo”

“In pratica tende a schiacciarla”

Se la prima spiegazione risulta un po’ confusa, dalle altre due si intuisce che il fenomeno (che

in fisica è descritto dalla legge di Stevino) è stato adeguatamente compreso.

Dopo aver ripetuto la spiegazione a tutti, ho chiesto se secondo loro la pressione era diretta

solo verso il basso o anche verso l’alto.

I pareri iniziali erano discordanti: qualcuno diceva che la pressione c’è in qualunque direzione

e qualcun altro invece lo negava, portando molti esempi soprattutto legati all’esperienza del

mare.

A questo punto serviva una verifica che confermasse o smentisse le loro varie ipotesi.

Avevo preparato un piccolo e semplice strumento: in un vasetto di plastica bianca con forma

simile ad un cilindro, avevo fatto un foro sul fondo da cui passava del filo che attraversava

tutto il vasetto. All’estremità dello spago dalla parte aperta del vasetto ho attaccato un

dischetto di cartoncino plastificato, che, tirando lo spago, permetteva di chiudere l’apertura

del vasetto. Immergendo l’oggetto rovesciato, cioè dalla parte chiusa con il disco, se c’è

pressione verso l’alto, il disco rimane fermo anche dopo aver lasciato libero il filo e impedisce

all’acqua di entrare, mentre se la pressione non c’è il disco si muove e l’acqua può entrare

facilmente.

Ho chiamato un bambino a fare l’esperimento e la soluzione è stata subito evidente. Il disco

rimane attaccato al vasetto, quindi c’è pressione anche verso l’alto.

Ho chiesto: “Ma allora la pressione sarà esercitata in tutti i punti del liquido e in tutte le

direzioni?”

La mia domanda aveva nuovamente creato molti dubbi e diversi pareri, ai quali abbiamo dato

risposta con l’aiuto di un altro strumento semplice, ma molto evidente.

Avevo collegato a una estremità di un piccolo tubo di gomma un imbuto chiuso

ermeticamente con una membrana di lattice ben tesa. Sull’altra estremità del tubo avevo

fissato la stessa membrana senza tenderla; sembrava un palloncino vuoto, in quanto era

ripiegata su se stessa. Una pressione, anche leggerissima, sulla membrana tesa sopra l’imbuto

riempiva di aria l’altra membrana, cioè il palloncino veniva in fuori.

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Questo strumento ha suscitato subito molta ammirazione, forse perché davvero intuitivo. Con

questo dispositivo diventava semplice rivelare dove c’era pressione.

Molti bambini hanno voluto fare questa prova, ma il risultato era sempre lo stesso: in ogni

punto, in ogni direzione la pressione che l’acqua esercitava sulla membrana dell’imbuto

faceva venire fuori il palloncino.

Anche questa volta il nostro lavoro era stato fatto molto bene ed eravamo arrivati a scoperte

importanti; a mio avviso era necessario premiarli con una ricompensa. Tornati in classe ho

detto loro che stavano diventando dei “bravi scienziati” ed era giusto che iniziassero a

seguirne le abitudini. Avrebbero potuto dissetarsi con bevande speciali, come infatti era

riportato sull’etichetta delle bottiglie che avevo preparato:

Bevanda formidabile per scienziati allo sbaraglio.

Concentrato di energia a prova di scienziato.

Bevanda dissetante che stimola la mente.

Con questo volevo un po’ stimolare la loro fantasia e farli sentire importanti, come dei bravi

scienziati, e dalla frase di qualcuno credo di esserci riuscita:

“Io vorrei la bevanda scura, quella fatta al sapore di petrolio”.

Dopo questo momento di relax il lavoro non era ancora terminato. Avevo infatti preparato una

piccola prova in itinere che in parte mi serviva per valutare ciò che avevano interiorizzato

dalle esperienze precedenti. Il questionario riguardava sia argomenti semplici, sia quei

concetti rimasti un po’ in sospeso; volevo infine valutare il loro bagaglio di conoscenze

sull’ultimo argomento da affrontare, il galleggiamento.

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Hanno iniziato a rispondere alle domande che io avevo preparato con svogliatezza nonostante

avessi detto loro che non avrei dato una votazione, ma che il questionario mi serviva per

valutare cosa davvero avevano capito.

Finita la prova mi hanno salutato e, mentre andavano a prendere lo scuolabus, c’era chi

discuteva di alcune delle esperienze svolte dicendo che le avrebbero riprovate a casa.

RESOCONTO DELLA PROVA SVOLTA

La verifica era composta da cinque domande che mi servivano principalmente per capire se i

bambini avevano compreso alcuni concetti. La prima era:

1) Che cosa è il l’ipotesi?

Con questa prima domanda desideravo verificare se tutti i bambini avevano compreso il

significato di questa parola all’interno del nostro ambito di lavoro. Avrei potuto fare anche

una domanda più ampia, per esempio sul metodo scientifico, ma preferivo che la domanda

fosse focalizzata, anche perché l’ipotesi è probabilmente il punto più difficile da

comprendere.

Le loro risposte sono state analizzate e valutate tenendo conto di due indicatori: il concetto in

sé e l’espressione nel linguaggio scientifico. Ho ritenuto opportuno fare questa distinzione

poiché per rispondere alle domande i bambini utilizzano talvolta frasi contorte e anche

esempi. In questo caso ho cercato di capire se il concetto era stato compreso oppure no.

Ho espresso il giudizio tramite un punteggio che segue il seguente criterio:

1 punto = non sufficiente; 2 punti = sufficiente; 3 punti = buono; 4 punti = ottimo

Per una visione più immediata dei risultati ottenuti ho riportato in tabella i punteggi ottenuti

dai bambini.

DATI

indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntilinguaggio 2 4 12 3 n° bambiniconcetto 1 0 3 17 n° bambini

0

5

10

15

20

1 punto 2 punti 3 punti 4 punti

linguaggio

concetto

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Come si può notare, la maggior parte della classe ha compreso il significato della parola

“ipotesi” ottenendo un punteggio alto. È evidente inoltre, la grande difficoltà dei bambini di

esprimersi in un linguaggio corretto.

2) Che cosa è la densità? Prova a dare una definizione aiutandoti, se vuoi,

con un disegno.

Questa è stata di sicuro una delle domande più difficili che ho proposto nella verifica, ma la

mia scelta era stata calcolata. Volevo infatti capire se il significato della parola densità, che

avevamo sperimentato nella prima esperienza era stato assimilato. Pochi giorni prima

avevamo visto che due liquidi possono disporsi su strati sovrapposti, osservando che l’acqua

con sale rimaneva sul fondo e l’acqua colorata pura restava in superficie. Bisogna dire che

non avevamo ancora dato una definizione esatta di densità come rapporto fra massa e volume

di un corpo, ma in ogni caso avevamo visto chiaramente gli effetti di una differenza di densità

nei liquidi.

Ero curiosa di vedere come avrebbero descritto e spiegato questa proprietà, e come aiuto ho

aggiunto la possibilità del disegno, che a mio avviso può essere molto indicativo per valutare

lo stato di comprensione di concetti così complessi. Inoltre spiegare a parole per qualcuno può

essere difficile, mentre il disegno è abilità di tutti.

Dall’analisi dei loro elaborati mi sono resa conto che era molto difficile trarre delle

informazioni sulla comprensione del concetto esclusivamente dai disegni. Sebbene la mia idea

fosse quella di utilizzare il disegno in aggiunta alla risposta della domanda, alcuni bambini si

sono affidati esclusivamente al disegno.

Per questo riporto nel grafico qui sotto solamente il punteggio di chi ha risposto con le parole

o anche di quei pochi il cui disegno dava effettivamente un’idea del livello di comprensione.

DATI

Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntiLinguaggio 5 5 3 2 n° bambini

Concetto 2 4 5 4 n° bambini

01

23

45

1 punto 2 punti 3 punti 4 punti

Linguaggio

Concetto

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Da questo grafico è ancora più evidente la difficoltà dei bambini a esprimere con un

linguaggio appropriato un concetto così complicato come la densità. Questa distribuzione dei

punteggi è espressione di un basso livello di comprensione dell’argomento, che richiede di

essere rivisto.

3) Che cosa è la solubilità ?

Qui desideravo valutare cosa avevano capito dal primo esperimento, ovvero semplicemente

che in acqua alcune sostanze si sciolgono mentre altre no.

DATI

Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntilinguaggio 3 3 9 5 n° bambiniconcetto 2 1 6 11 n° bambini

0

2

4

6

8

10

12

1 punto 2 punti 3 punti 4 punti

linguaggio

concetto

Dal grafico si può facilmente capire che questo concetto è stato compreso molto meglio del

precedente dai bambini, che nella maggior parte dei casi hanno risposto correttamente o quasi.

4) Prova a scrivere il significato della parola pressione

Nonostante l’esperienza della pressione fosse davvero recente53, ho deciso di inserire

comunque questa domanda, per valutarne la comprensione.

I risultati della prova sono riportati di seguito. La spiegazione del concetto è risultata, anche in

questo caso, molto difficoltosa. Come parziale giustificazione possiamo dire che nel nostro

percorso ci eravamo limitati a descrivere l’effetto nella pressione nei liquidi senza affrontarne

la definizione generale (vedi “La Meccanica dei fluidi” pag 22). Pertanto si è considerata

giusta anche la definizione di pressione come forza o spinta, che non è scientificamente

corretta54.

53 L’esperienza sulla pressione era stata svolta circa un’ora prima della verifica. 54 Infatti la pressione è collegata sia alla forza che alla superficie: due forze uguali che agiscono su superfici diverse producono pressioni diverse.

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DATI

Indice 1 punto 2 punti 3 punti 4 puntiLinguaggio 3 12 6 1 n° bambiniConcetto 1 7 11 2 n° bambini

0

5

10

15

1punto

2 punti3 punti4 punti

Linguaggio

Concetto

5) Cosa vuol dire galleggiare? Chi e che cosa galleggia? Perché?

La domanda era mirata a stabilire le loro conoscenze, giuste o sbagliate che fossero, sul

galleggiamento. Dalla prova in giardino sarebbero già potute emergere alcune riflessioni e

considerazioni importanti. Soprattutto però era utile per capire quali idee avessero sulla causa

di questo fenomeno per preparare la lezione successiva.

Per questo motivo riporto di seguito cosa è emerso dalle risposte senza dare un giudizio in

merito.

Nella prima parte della domanda quasi tutti hanno risposto correttamente. Chi ha sbagliato la

risposta è perché ha descritto il fenomeno della tensione superficiale, specificando appunto

che l’oggetto sta sul pelo dell’acqua e se si tocca cade.

DOMANDA: "Cosa vuol dire Galleggiare?

DATI

Risposta BambiniCorretta 17Sbagiata 4

0

5

10

15

20

Corretta Sbagiata

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Quasi tutti i bambini hanno poi elencato alcuni oggetti che galleggiano, nominando in

particolare quelli usati nell’esperienza-gioco appena conclusa in giardino.

Riguardo all’ultima parte della domanda, dove si richiedeva di spiegare la causa del

galleggiamento, circa un terzo non ha risposto. Gli altri hanno attribuito la causa soprattutto

alla “leggerezza” di un oggetto e, in alcuni casi, anche alla presenza di “buchi” nell’oggetto.

6) Alla luce delle caratteristiche che hai scoperto sull’acqua, prova a fare

un disegno dal titolo: “Ecco a voi l’acqua”

Di nuovo ho fatto ricorso al disegno, stavolta però non facoltativo. Desideravo vedere se dopo

il nostro lavoro avevano compreso che l’acqua non è solo come la vediamo, ma tutte le sue

proprietà dipendono dalla sua struttura più piccola, la struttura chimica. Il disegno avrebbe

dovuto rivelare l’idea che si erano fatti sulla chimica dell’acqua.

Questa volta il disegno ha soddisfatto le mie aspettative.

Quasi tutti i bambini hanno disegnato l’acqua non solo come liquido azzurro, ma focalizzando

sulla struttura chimica che la caratterizza.

Come si vede dalle foto, qualcuno ha cercato di rappresentare anche altri concetti come la

pressione o la tensione superficiale.

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Sono rimasta davvero colpita dai loro lavori, in cui è presente un talento artistico notevole.

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5. V incontro

Una strana spinta: la legge di Archimede L’argomento di questo incontro era già stato introdotto nella lezione precedente; ma, dato che

per comprendere bene il galleggiamento è necessario avere assimilato correttamente alcuni

concetti, prima di iniziare ho ritenuto opportuno partire dal resoconto verbale della prova che

avevano svolto, per potermi soffermare su quelle domande che avevano presentato difficoltà,

in particolare sulla densità.

La densità di un corpo, che in fisica è definita come rapporto fra la massa e il volume

dell’oggetto, è stata da me presentata come la quantità di materia che si trova in una unità di

volume (per esempio in un cm3) del corpo considerato. Volevo far capire agli alunni che, per

confrontare le densità di due sostanze A e B, è necessario misurare le masse che

corrispondono a due volumi uguali di A e di B.55 Ho anche mostrato una tabella, contenente

alcuni valori di densità per i liquidi.

SOSTANZA DENSITA’ IN g/ml (g/cm3) Sangue 1,05

Acqua di mare 1,03 Acqua pura 1,00 Olio di oliva 0,92

Benzina 0,90 Alcool etilico 0,81

L’altra domanda sulla quale mi sono particolarmente soffermata è stata quella sul

galleggiamento. Oltre ad un lungo elenco degli oggetti e sostanze che galleggiano o no, molti

hanno risposto correttamente che galleggiare significa avere una parte immersa, e non stare

sul pelo dell’acqua. Ma nella parte dove richiedevo la causa, in pochi hanno dato una risposta.

Le ipotesi emerse sono state queste:

1. perché sono molto leggeri;

2. perché sono cavi;

3. perché hanno l’aria dentro.

55 Se la densità è definita come rapporto fra massa e volume di un corpo, il peso specifico è dato dal rapporto tra peso e volume dell’oggetto. Così come massa e peso di un corpo sono concetti distinti, ugualmente si differenziano la densità e il peso specifico. Tuttavia, trattandosi di una distinzione non facile da comprendere, ho preferito non entrare nel merito durante le lezioni in classe.

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Discutendo sulle varie ipotesi siamo arrivati a concludere che la seconda e la terza ipotesi non

danno una descrizione completa della realtà, dato che ci sono sostanze che galleggiano ma

non contengono aria, come ad esempio l’olio. Tuttavia, nonostante fossero risposte di fatto

errate, esse contengono alcuni elementi di verità che meritavano di essere approfonditi.

L’ipotesi su cui si siamo soffermati di più è la prima, secondo la quale il galleggiamento

dipende dal peso.

A questo punto, un nuovo strumento che mi aveva consegnato il mio professore, è venuto in

nostro aiuto: il dinamometro.

I bambini avevano già visto questo strumento in una visita alla scuola media che avevano

fatto qualche mese prima, ma, sebbene qualcuno l’avesse riconosciuto, l’ho presentato

nuovamente. Tenendolo in posizione orizzontale e tirando l’estremità con il gancio, i bambini

hanno osservato che si produceva un allungamento, concludendo con facilità che il

dinamometro è lo strumento che serve a misurare la forza.

Ho cercato anche di sottolineare l’importanza della direzione e del verso come componenti

essenziali per definire la forza, che possono essere rappresentati con una freccia.

Messo in posizione verticale abbiamo notato che un oggetto appeso al gancio provocava

ugualmente un allungamento, deducendo così che anche il peso è una forza.

Questo è un concetto molto difficile da interiorizzare. Con questa osservazione non

pretendevo che i bambini comprendessero sul momento il concetto di forza legato al peso, ma

desideravo semplicemente “mettergli una pulce nell’orecchio”, farli riflettere

sull’osservazione fatta, punto di partenza verso la comprensione corretta del concetto

scientifico.

Il caso ha poi voluto che l’unità di misura della forza fosse proprio indicato con il nome del

nostro amico scienziato Newton il quale aveva anche scoperto la legge che regola la relazione

tra forza e movimento da essa prodotto.

A questo punto ho iniziato l’esperienza vera e propria.

Come prima cosa ho preso due piccole provette di vetro chiuse, una vuota e una piena di

acqua, e abbiamo verificato che quella piena affondava mentre quella vuota galleggiava. È

stato proposto da un bambino di verificare che differenza di peso c’era tra le due, perché era

ragionevole pensare che proprio questa differenza determinasse lo stare o no a galla.

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Prima abbiamo misurato con una piccola bilancia da cucina il peso in grammi, e poi abbiamo

attaccato le due provette a due dinamometri identici appesi ad un sostegno costituito di due

bracci.

Nell’attività ho inserito anche la pesata con la bilancia perché i bambini potessero

comprendere che il peso in Newton con il dinamometro e il peso in grammi con la bilancia

sono due misure della stessa grandezza, anche se le due unità sono diverse. 56

56 1N equivale a 100 grammi-peso

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A questo punto abbiamo provato ad immergere le due provette dentro dei recipienti con acqua

per vedere cosa misurava il dinamometro e abbiamo scoperto che sia per la provetta vuota che

per quella piena l’allungamento del dinamometro diminuiva sensibilmente, segno che la forza

era minore di prima (quando la misura era stata fatta in aria), e anzi per la provetta vuota

praticamente si annullava.

Mentre a turno i bambini svolgevano le pesate e l’immersione, una bambina riportava i dati in

una tabella alla lavagna.

La cosa più importante che era stata osservata era che in ogni caso le provette ricevevano una

spinta verso l’alto che faceva diminuire il loro peso.

“È come se la provetta non pesasse o pesasse meno”

“L’acqua prende il peso della provetta.”

“Alle provette viene data una spinta che nella provetta vuota neutralizza tutto il suo peso”

Dalla discussione collettiva si è concluso che la spinta che l’oggetto riceveva dall’acqua

doveva essere rappresentata con una freccia verso l’alto.

A questo punto sono nate alcune domande:

“Ma la spinta dipende dal peso dell’oggetto?”

“Forse più un oggetto è pesante più spinta riceve.”

Per trovare risposta abbiamo eseguito stesse misurazioni, per altre provette di forma identica

ma con un peso maggiore della provetta con acqua, perché all’interno vi erano stati aggiunti

viti e piccoli bulloni di ferro.

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Dovevamo vedere se la spinta data ad alcune provette più pesanti era la stessa oppure era

maggiore.

Dopo questa verifica abbiamo potuto affermare che la spinta verso l’alto esercitata dall’acqua

sulle provette era sempre la stessa nonostante il loro peso fosse diverso.

Osservando con attenzione i dati ottenuti abbiamo concluso che se un oggetto ha una peso

maggiore della forza della spinta dell’acqua affonda, se ha il peso uguale alla spinta è in

equilibrio in ogni posizione, mentre se il peso è minore della spinta il corpo immerso

nell’acqua tende a tornare in superficie raggiungendo l’equilibrio.

“Ma allora da cosa dipende questa spinta?”

Una ipotesi è venuta subito fuori:

“Ma se nella bottiglia si aggiunge l’acqua forse la spinta aumenta”

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Abbiamo subito provato a verificare ma l’ipotesi si è rivelata sbagliata.

A questo punto c’era bisogno di qualcosa che indirizzasse il nostro lavoro ovvero una mela:

“Cosa farà la mela?”

Prima di tutto l’ho pesata e abbiamo visto che aveva un peso molto maggiore delle provette

usate prima; quindi, se crediamo che il galleggiamento sia collegato al peso degli oggetti, la

mela sarebbe dovuta affondare. Ma l’immersione della mela ha smentito la nostra ipotesi: essa

galleggiava, quindi subiva una spinta uguale al suo stesso peso. C’era qualcosa di diverso che

aveva fatto aumentare la sua spinta.

Mettendo la provetta e la mela a confronto è stato subito notato che c’erano molte differenze:

il materiale, la larghezza ma soprattutto il volume. La mela era molto più grande della

provetta. Per avere una conferma sperimentale siamo ricorsi alla misurazione dei loro volumi,

determinando la quantità di acqua spostata immergendo completamente i due oggetti.57

Siamo arrivati a concludere che probabilmente era proprio il volume dell’oggetto che

determinava l’entità della spinta.

Abbiamo poi fatto un’ulteriore verifica provando ad aumentare il volume delle provette

riempite di viti che andavano a fondo.

In un vasetto di yogurt a forma cilindrica abbiamo inserito la provetta e poi lo abbiamo chiuso

con una membrana in plastica che non permetteva all’acqua di entrare. Abbiamo così ottenuto

un oggetto di peso molto simile alla provetta che affondava, ma con un volume molto più

57 Per fare questa misura abbiamo dovuto trattenere la mela sott’acqua, perché questa galleggia.

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grande. L’immersione ha confermato la nostra idea: l’oggetto ora galleggiava, quindi la spinta

dipende esclusivamente dal volume del corpo immerso.

Un oggetto immerso in acqua va a fondo o risale in superficie se il suo peso è maggiore o

minore della spinta stessa.

La causa dunque era stata chiarita, ma ancora qualche incertezza aleggiava; infatti qualcuno

era convinto che dipendesse dal materiale.

L’osservazione è capitata a pennello. Ho mostrato ai bambini due piccoli pezzetti di legno, ma

di legno diverso: uno di abete e l’altro di ebano. Di solito il legno galleggia, ma in realtà il

secondo pezzetto, quello di ebano, affonda: abbiamo verificato immergendo i due legnetti in

acqua.

Una bambina ha tratto la giusta conclusione:

“Dipende dal materiale”

Proprio così. Nuovamente ho fatto ricorso alla chimica spiegando che dipende dalla quantità

di sostanza, e cioè dalla quantità di molecole che stanno in uno stesso volume. L’ebano è fatto

da più atomi per unità di volume rispetto all’abete, e quindi è più denso.

I bambini iniziavano a essere molto agitati, forse perché questa lezione, essendo un po’ più

statica, riflessiva e anche molto più lunga li aveva stancati maggiormente.

Per concludere ho allora proposto il nome della legge che regola il galleggiamento, il

principio di Archimede, chiamata così in onore del suo scopritore, la quale afferma che:

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“Un corpo immerso in un liquido riceve una spinta dal basso verso l’alto

uguale al peso del volume di liquido spostato.”

Questo a mio avviso è stato l’incontro più complicato, poiché i concetti da affrontare sono

molti e molto complessi. Sicuramente se avessi avuto la possibilità di suddividere questo

argomento in due lezioni il lavoro sarebbe risultato meno impegnativo, sia per me che per i

bambini.

Infatti alcuni bambini hanno partecipato attivamente alla discussione, con interventi e

riflessioni molto interessanti, ma qualcuno era distratto.

Uno studio più dettagliato delle reazioni dei bambini e dei risultati raggiunti nei diversi

incontri è riportato nel compendio di tirocinio.

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6. VI incontro

La conclusione Con la sesta lezione siamo giunti alla fine del nostro percorso. Molti degli argomenti più

importanti che riguardano la fisica e la chimica dell’acqua erano stati affrontati.

Dato che l’incontro precedente era stato molto affollato di concetti ho deciso di proporre un

video sintetico sul galleggiamento che servisse a chiarire i dubbi e allo stesso tempo a

consolidare le idee corrette.

Con la classe siamo andati nell’aula di informatica, predisposta per la visione di video tramite

il proiettore, e ho mostrato alla classe qualche minuto di video animato, che con molta

semplicità spiegava il Principio di Archimede.

Dopo una breve riflessione ho cercato di ripercorrere tutte le tappe che avevamo raggiunto

negli incontri svolti, facendo loro notare che tutto era stato costruito da noi con l’uso di

materiali semplici. Ho voluto in qualche modo soffermare l’attenzione sull’importanza

dell’acqua come elemento indispensabile alla vita e soprattutto sottolineare quanto sia

necessario fare attenzione al suo risparmio. Limitare gli sprechi non significa rispettare

l’acqua come risorsa, ma soprattutto rispettare l’umanità intera.

Il discorso che ho affrontato è stato molto più ampio. Ho spiegato ai bambini che tutto ciò che

ci circonda fa parete di un ciclo, in cui ogni cosa ha un ruolo importante: dalla gocciola di

acqua al più piccolo granello di sabbia. Proprio per questo non è sufficiente fare attenzione

esclusivamente all’acqua, ma è indispensabile impegnarci a salvaguardare tutto il mondo che

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ci circonda, dal pino di un giardino al minuscolo insetto, entrambi indispensabili nella catena

della vita.

Senza rendercene conto anche noi contribuiamo all’inquinamento del nostro pianeta poiché i

gesti comuni che facciamo nella nostra vita quotidiana spesso non tengono conto del

risparmio e della salvaguardia ambientale.

Ogni giorno il nostro consumo di materiale e di energia è così alto che concorre a rendere

sempre più a rischio la sopravvivenza dell’ambiente. Questo perché dietro al più piccolo

oggetto, sia esso una penna, o un giocattolo, o un soprammobile c’è una catena di montaggio

e di meccanismi che provocano un grande inquinamento, il male più grande della nostra

Terra. E come se non bastasse, dopo poco tempo quell’oggetto diventa superfluo, inutile o

semplicemente non va più di moda così da finire nella spazzatura, altro meccanismo che

alimenta inquinamento.

Lo spreco è presente in ogni angolo, anche nel luogo più impensabile.

Come è possibile bloccare questa catena infernale?

Non esistono molti metodi, uno dei pochi è riciclare. Ma anche a questo proposito ci sono

molte problematiche, come la scarsa diffusione della raccolta differenziata o il fatto che non

tutto può subire la procedura di riciclo.

L’unico modo per non inquinare sarebbe quello di non consumare, ma sappiamo che non è

possibile.

Sicuramente non si può risolvere il problema in breve tempo. Oggi la speranza per un mondo

più pulito si trova proprio nei bambini: se vengono sensibilizzati al rispetto ambientale, come

uomini del domani, sono i soli che potranno provare a migliorare il nostro rapporto con

l’ambiente. “Solo se voi riflettete su queste problematiche, e vi impegnate a lottare, si potrà

combattere l’inquinamento!”

Anche nella preparazione degli esperimenti ho cercato di adottare accorgimenti di risparmio,

adoperando oggetti già usati o riciclati.

Non so cosa davvero sarà rimasto ai bambini del mio discorso, ma sentivo la necessità di dire

loro queste parole perché il futuro è nelle loro mani.

Tornati in classe, mancavano ancora due cose da fare: la prima era una piccola verifica, o

meglio, come ho detto a loro, una prova semplice e personale. Ci sono state voci di protesta

poiché in quei giorni, avvicinandosi la fine della scuola, le insegnanti avevano già fatto molti

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compiti in classe e interrogazioni. Ma questa sarebbe stata una prova diversa, e per

convincerli un po’ avevo promesso loro una ricompensa.

Alla fine hanno accettato, ma il livello di concentrazione era molto scarso. Nella prova avevo

proposto una serie di domande sulla densità, sulla spinta di Archimede e, nell’ultima parte,

qualche domanda personale.

Sbirciando qua e là tra i banchi ho notato che qualcuno aveva qualche incertezza,

probabilmente dovuta alle domande un po’ diverse dal solito. Ho atteso che tutti terminassero

con calma la prova mentre i più veloci che avevano già finito iniziavano a diventare

impazienti.

Dopo un veloce sguardo ai loro elaborati, ho eseguito una rapida correzione collettiva delle

cinque domande inerenti agli argomenti trattati.

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Forse l’analisi degli errori fatti avrebbe meritato un tempo di riflessione maggiore, ma

essendo l’ultimo incontro disponibile non avrei avuto altre occasioni.

Tutti i bambini desiderano conoscere il giudizio del proprio rendimento, e non mi sembrava

giusto lasciare in sospeso la valutazione sull’impegno che avevano dimostrato. Allo stesso

tempo però non mi sentivo di dare dei voti; si sarebbe rovinato il clima di gioco e la

spontaneità con cui avevano vissuto le esperienze.

La soluzione è stata quella di buttarla sul divertente. Ho realizzato delle card, oggetti molto in

uso tra i bambini di oggi, con un disegno di uno scienziato o di una scienziata molto buffi e

simpatici accompagnati da una definizione dello stesso stile.

Ho detto loro semplicemente che il mio “voto” era scritto in ogni card, che ciascuno di loro

ha scelto a caso. Le loro risate hanno confermato la riuscita della mia buffa valutazione.

Ma non era finita qui. Con una presentazione impostata e seria ho detto loro che in questi

incontri avevano svolto un lavoro molto preciso e accurato degno di veri scienziati. Tutti mi

guardavano in modo dubbioso, poiché non capivano il senso delle mie parole.

“Proprio il mio professore mi ha ufficialmente autorizzato a farvi i suoi complimenti per tutte

le attività che avete portato a termine con costanza e grande impegno. Per questo, è stato

deciso di rilasciarvi un importante riconoscimento: il “diploma di scienziato/a junior.”

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Uno alla volta, come una consegna ufficiale, mi hanno raggiunto in piedi vicino alla lavagna

ricevendo il diploma con un goloso lecca-lecca, registrando quel momento con una foto.

È stato davvero emozionante quel momento, con tutti i bambini che freneticamente non

vedevano l’ora di ricevere il loro meritato riconoscimento.

Così si è conclusa la mia piccola ma molto intensa avventura.

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RESOCONTO DELLA PROVA SVOLTA

La verifica era composta da dieci domande, cinque sulle conoscenze affrontate nelle lezioni, e

cinque a carattere personale per la valutazione del progetto.

Per poter ottenere una valutazione più oggettiva la prova è stata formulata con domande

sintetiche, talvolta a risposta multipla.

Vediamole nel dettaglio.

1. È più denso un bicchiere di acqua di mare oppure un secchio di acqua di

mare?

Con questa prima domanda desideravo mettere alla prova la loro intuizione. Non credo che sia

una domanda difficile, basta leggerla con attenzione.

DATI

Risposta Bambinibicchiere 2secchio 10uguali 8

0

5

10

bicchiere secchio uguali

Come si vede dal grafico molti sono caduti nel tranello. L’errore credo sia da imputarsi a

disattenzione, causata anche dal fatto che la prova è stata eseguita nell’ultima parte della

giornata di scuola e soprattutto verso la fine dell’anno scolastico. In quel periodo infatti i

bambini erano molto agitati come se percepissero l’aria delle vacanze.

2. Noi ora sappiamo che tutti gli oggetti messi in acqua subiscono una spinta

verso l’alto. Prova a rappresentare con un disegno la spinta che riceve una mela

immersa in una piscina.

Più volte nel corso dell’incontro sul galleggiamento avevamo scelto di rappresentare la spinta

di Archimede con una freccia verso l’alto che ne indicasse la direzione e il verso. Questa

rappresentazione (vettore) è molto importante nella fisica e ho ritenuto opportuno verificarne

la comprensione.

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DATI

Risposta Bambinicorretta 18altro 2

0

10

20

corretta altro

S1

Come si vede dal grafico, quasi tutti i bambini hanno individuato la risposta giusta,

disegnando una freccia verso l’alto. Da questo si può supporre che il concetto di spinta legato

al galleggiamento sia stato compreso.

3. Prova a rappresentare la forza-peso di una bicicletta che sta cadendo da una

scogliera sul mare.

Sebbene questa domanda sia molto simile alla precedente, ho scelto di inserirla nella verifica

per valutare se i bambini avessero compreso il concetto di forza-peso che è stato affrontato

durante la lezione. Il bambino in questo modo può osservare che si utilizza una freccia per

rappresentare sia la spinta idrostatica che la forza-peso, poiché si tratta di grandezze vettoriali.

Come vediamo dal grafico i bambini hanno risposto per la maggior parte correttamente.

Analizzando in dettaglio le verifiche si nota che in due casi si ha una difficile comprensione

della risposta a causa del disegno poco chiaro, perciò non possiamo considerarli come sicuri

errori; i bambini che hanno dato una risposta sbagliata non sono gli stessi che hanno sbagliato

la domanda precedente. Ciò può significare che gli errori siano dovuti a distrazione oppure

che i due concetti di spinta e di forza siano considerati diversi, anche se in realtà i due termini

sono praticamente interscambiabili.

DATI

Risposta Bambinicorretta 16altro 4

0

5

10

15

20

corretta altro

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4. Metti in ordine i seguenti liquidi dal meno denso al più denso:

ACQUA DI MARE, OLIO, SANGUE, ACQUA PURA

Considerando la difficoltà che i bambini avevano mostrato nella comprensione del concetto di

densità, rivelato dalla prova in itinere, non avrei potuto non verificarne nuovamente la

comprensione, alla luce dell’approfondimento fatto in proposito nella lezione sul

galleggiamento.

Ho ritenuto opportuno proporre una domanda che ne rivelasse la comprensione, togliendo la

difficoltà di espressione linguistica del concetto scientifico. La scelta delle quattro sostanze

non è casuale, ma è stata studiata in base alle riflessioni e agli interventi che erano stati fatti in

classe.

Come si vede dal grafico, ci sono ancora dei bambini che non hanno compreso

completamente il concetto. In proposito mi sembra interessante notare che l’errore più

comune ha riguardato l’olio che è stato di solito considerato come la sostanza più densa.

Ciò probabilmente è legato al fatto che le sostanze oleose presentano una maggiore viscosità,

che i bambini confondono con il concetto di densità. Anche nel linguaggio comune capita

spesso di sentir definire come “densa” una sostanza che in realtà è molto viscosa.

DATI

0 punti 1 bambino1 punto 3 bambini2 punti 1 bambini3 punti 7 bambini4 punti 8 bambini

0

2

4

6

8

0 punti 1 punto 2 punti 3 punti 4 punti

5. Cerchia i maggiori responsabili del fenomeno del galleggiamento (massimo due).

La domanda serve per capire se i bambini hanno compreso effettivamente le cause che

determinano il galleggiamento. Gli esperimenti che avevamo fatto per individuarne le cause

erano stati molti, e soprattutto molto lunghi.

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DATI

Risposta bambinipeso 10volume 12materiale 10altro 4nessuna risposta 4

0

2

4

6

8

10

12

peso volume materiale altro nessunarisposta

Ciò avrebbe potuto anche portare i bambini a perdere di vista i motivi essenziali della

questione.

Tenendo conto della complessità del fenomeno del galleggiamento per il livello delle

conoscenze dei bambini, possono considerarsi giuste le prime tre risposte del grafico.

6. È stato divertente fare gli scienziati?

Con questa domanda volevo capire se i bambini si erano divertiti a fare gli esperimenti e dalle

loro risposte non ho avuto dubbi. C’è stato anche qualcuno che con sincerità ha scritto che

non tutti gli esperimenti gli erano piaciuti. Da questa risposta ho tratto una conclusione

importante: i bambini non erano condizionati dal fatto che io avrei letto le loro risposte,

dimostrando grande libertà di giudizio.

7. Ti piacerebbe diventare uno/a scienziato/a da grande?

Qui ci sono state diverse risposte. Mentre alcuni hanno risposto positivamente con grande

entusiasmo, la maggior parte dei bambini, circa nove, hanno dato delle risposte affermative

ma più dubbiose, lasciando molto spazio ai “forse”. C’è stato anche chi ha scritto che desidera

intraprendere altre carriere (astronauta, veterinario, chirurgo) e due che lo hanno escluso

categoricamente.

8. Quale scoperta ti è piaciuta di più?

Chi meglio dei bambini avrebbe potuto valutare il mio lavoro?

Dal grafico si nota come l’esperienza sulla pressione sia quella più gradita, mentre quella che

è stata meno nominata sia l’esperimento sulla tensione superficiale.

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DATI

Risposta bambinisolubilità 4tensione superficiale 2pessione 6galleggiamento 4tutte 4

0

1

2

3

4

5

6

solubilità pessione tutte

Va tenuto conto però che in questo caso i bambini hanno scelto in base a ciò che si

ricordavano, quindi potrebbe essere che hanno votato anche in base ai ricordi che avevano più

vivi. Anche perché, come si vede in tabella, le differenze di voto sono davvero relative.

9. Prova a scrivere le prime parole che ti vengono in mente pensando al percorso

e alle scoperte fatte sull’acqua.

Con questa domanda intendevo ricreare la situazione del brainstorming, a cui attribuisco un

grande valore. Avrei desiderato ripeterlo a conclusione del percorso per poter esaminare le

differenze rispetto a quello fatto nel primo incontro ma non era possibile perché il tempo a

disposizione era terminato. Per questo ho pensato di proporlo tramite la domanda scritta. Il

risultato è stato questo:

NEWTON, PROVETTA, ESPERIMENTI, GALLEGGIAMENTO, DENSITÀ,

SPINTA, LIQUIDO, MARE, “LE CELLULE DELL’ACQUA”, SCIOGLIMENTO,

SOLUBILITÀ , H2O, OSSIGENO, VITA , ALICE, PRESSIONE,

TENSIONE SUPERFICIALE, MOLECOLE, SAPONE, VOLUME, PESO,

SCIENZIATO, ACQUA, DINAMOMETRO, FIUME, CARATTERISTICHE INVIOLABILI ,

SCIENZA, METODO SCIENTIFICO SPERIMENTALE, QUANTITÀ, SOLVENTE.

10. Ora sei chiamato a svolgere un duro compito … Dai un voto da 0 a 10.

Volevo che i bambini per una volta si sentissero importanti, perché il loro giudizio ha valore.

Dal grafico si vede che i bambini hanno dato voti molto alti a ogni argomento, anche se la

pressione e la solubilità risultano aver ricevuto qualche preferenza in più.

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DATI

Argomento Mediatensione superf. 8solubilità 8,6pressione 8,6galleggiamento 8,5

0

2

4

6

8

10

tensionesuperf.

solubilità pressione galleggiamento

Ho chiesto anche di esprimere un giudizio su di me e su loro stessi, aggiungendo anche, in

modo un po’ ironico, una richiesta di valutazione sull’acqua, su Newton e sul mio professore.

Come si può vedere la valutazione personale è quella che ha ricevuto il punteggio più basso,

segno che i bambini tendono ad essere molto critici verso se stessi.

DATI

Argomento MediaH2O 8,5Newton 9,7Io 7,6Alice 9,7Prof. di Alice 9,5

0

123

4567

89

10

H2O New ton Io Alice Prof. diAlice

ANALISI GLOBALE

Tenendo in considerazione le prime cinque domande posso affermare che la prova di verifica

ha rivelato una soddisfacente comprensione dei concetti affrontati. Infatti le risposte sbagliate

o non corrette si aggirano in una media di quattro per ogni domanda.

Sono consapevole del fatto che avrei potuto analizzare il livello di comprensione raggiunto

dai bambini più nel dettaglio, ma ho deciso di non farlo poiché desideravo che i bambini non

si sentissero esaminati da me. Capita, a volte, che l’atmosfera della verifica li intimorisca a tal

punto da renderli cauti e timorosi a rispondere anche a semplici domande. Non volevo perciò

rovinare l’aria di gioco e divertimento che si era creata nelle mie lezioni. Inoltre durante tutto

il percorso ho dato molto spazio al dialogo e alla discussione, lasciando la parola ad ognuno

di loro. Questo ha permesso una costante analisi sulle loro conoscenze.

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Conclusioni

Al termine del lavoro arriva il momento di tirare le conclusioni.

Ripensando a tutto il percorso, mi rendo conto che non è stato affatto facile realizzarlo: non

solo è stato impegnativo riuscire a mettere in pratica tutto ciò che avevo pensato, ma,

soprattutto, è stato difficile elaborare il progetto.

Riuscire a considerare tutte le variabili e le necessità rispetto al contesto educativo in cui deve

essere realizzato il lavoro è davvero complicato. Ho cercato di mettere in pratica nel migliore

dei modi, con impegno e costanza, tutte le conoscenze che ho acquisito nel mio percorso

formativo. Ho cercato di considerare ogni minimo aspetto: partire dalle conoscenze già

acquisite dai bambini, tener conto dei loro interessi e delle loro necessità, considerare il livello

di sviluppo cognitivo, analizzare il contesto e le dinamiche del gruppo classe, individuare gli

argomenti più adatti, organizzarli secondo una didattica attiva e coinvolgente, dare spazio al

momento di riflessione e di espressione verbale per facilitare il processo di

concettualizzazione, dare spazio alla verifica, creare un ambiente dinamico e stimolante nella

realtà della classe, rendere divertente o comunque piacevole e serena l’attività didattica,

essere disposti a modificare le mie idee per migliorare l’azione educativa …

Sebbene agli inizi fossi scoraggiata perché il progetto era molto impegnativo, mi rendo conto

che sono riuscita a realizzare molto rispetto alle aspettative iniziali. Credo che questo sia un

buon insegnamento: si può ottenere molto se ci impegniamo e mettiamo in gioco le nostre

abilità. Ciò che vale per l’apprendimento da parte dei bambini, non vedo perché non possa

valere anche per ognuno di noi.

Certo è che, se dovessi ripetere il mio lavoro, cambierei molto, cercando di modificare ciò che

“non ha prodotto buoni frutti”, gli interventi sbagliati o forse poco appropriati, togliendo

qualcosa e aggiungendo altro. Infatti, è proprio dagli errori che impariamo di più.

A questo proposito devo ammettere che forse un errore è stato quello di inseguire a tutti i costi

l’esperienza diretta dei bambini. Con questo non intendo sminuirne l’importanza, di cui sono

fortemente convinta; semplicemente ritengo che avrei potuto dare più spazio alla riflessione,

non solo a quella collettiva, ma soprattutto a quella individuale. Il momento in cui si forma

l’immagine mentale è cruciale e probabilmente in alcuni casi è stato trascurato. La limitatezza

del tempo a mia disposizione ha tagliato molte possibilità.

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Nonostante queste riflessioni sui punti critici del mio lavoro, devo ammettere che sono molto

soddisfatta del risultato ottenuto. La mia personale sfida, di riuscire ad approfondire molti

concetti scientifici in una prospettiva più divertente e stimolante che coinvolgesse tutti i

bambini, credo di averla vinta. Molto probabilmente i bambini non avranno acquisito tutte le

conoscenze affrontate, ma qualcosa, o qualche concetto, o qualche riflessione, o anche

qualche bel ricordo, sarà sicuramente rimasto nella loro testa.

A questo punto sento il dovere di ringraziare la scuola di Sant’Andrea: tutti i docenti si sono

dimostrati profondamente disponibili nei miei confronti, ma il ringraziamento più sentito va

alla Maestra Isabella, che in ogni momento mi ha supportato dandomi sostegno, fiducia e

amicizia. La sua professionalità mi è servita da valido esempio sia per la realizzazione del mio

progetto, sia come modello di insegnante da imitare nel futuro.

Un ultimo ringraziamento va al prof. S. Straulino per l’aiuto professionale e cortese che mi ha

dato.

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