LABORATORIO DI STORIA DELL’ARTE L’ARTE...

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LABORATORIO DI STORIA DELL’ARTE L’ARTE RACCONTA... Anche quest'anno proponiamo un percorso di educazione all'immagine curato da Tiziana Marino, esperta di Storia dell'arte e di Didattica museale, intitolato “L'arte racconta”. In ogni tempo, attraverso le immagini dell’arte, gli uomini hanno narrato le storie, le usanze e i riti della propria civiltà. Infatti, la prima cosa che ha fatto l’uomo primitivo è stata illustrare, raccontare per immagini eventi accaduti o auspicati. La comunicazione orale è arrivata dopo e la scrittura molto più tardi. Per il lunghissimo periodo in cui saper leggere e scrivere era il privilegio di una minoranza, furono le immagini a trasmettere la conoscenza agli uomini del proprio tempo e a tramandare questa memoria illustrata alle generazioni successive. Storie sacre e profane, eventi straordinari o quotidiani, tanti i racconti dove realtà e fantasia si mescolano, diversi gli artisti e differente il loro modo di raccontare. Immagini realizzate non solo per rappresentare il fatto in sé, ma anche qualcosa del suo significato. Sono i personaggi che con i loro gesti, sguardi ed espressioni ci guidano e ci coinvolgono nella lettura. Immagini che suscitano in noi emozioni e a cui diamo parola, trasformandoli di nuovo in racconti. Buona lettura! Per tutti gli insegnanti che lo desiderano verrà organizzato nel mese di febbraio un incontro nel quale Tiziana Marino ci condurrà in una sorta di visita guidata virtuale alla scoperta delle opere d'arte inserite nel Kit didattico. La data precisa verrà comunicata a tutti i docenti che avranno aderito al progetto. Sede dell'incontro: Auditorium Scuola primaria Bacone - Via Matteucci 3, Milano.

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LABORATORIO DI STORIA DELL’ARTE

L’ARTE RACCONTA...Anche quest'anno proponiamo un percorso di educazione all'immagine curato da Tiziana Marino, esperta di Storia dell'arte e di Didattica museale, intitolato “L'arte racconta”.

In ogni tempo, attraverso le immagini dell’arte, gli uomini hanno narrato le storie, le usanze e i riti della propria civiltà. Infatti, la prima cosa che ha fatto l’uomo primitivo è stata illustrare, raccontare per immagini eventi accaduti o auspicati. La comunicazione orale è arrivata dopo e la scrittura molto più tardi. Per il lunghissimo periodo in cui saper leggere e scrivere era il privilegio di una minoranza, furono le immagini a trasmettere la conoscenza agli uomini del proprio tempo e a tramandare questa memoria illustrata alle generazioni successive.

Storie sacre e profane, eventi straordinari o quotidiani, tanti i racconti dove realtà e fantasia si mescolano, diversi gli artisti e differente il loro modo di raccontare. Immagini realizzate non solo per rappresentare il fatto in sé, ma anche qualcosa del suo significato. Sono i personaggi che con i loro gesti, sguardi ed espressioni ci guidano e ci coinvolgono nella lettura. Immagini che suscitano in noi emozioni e a cui diamo parola, trasformandoli di nuovo in racconti. Buona lettura!

Per tutti gli insegnanti che lo desiderano verrà organizzato nel mese di febbraio un incontro nel quale Tiziana Marino ci condurrà in una sorta di visita guidata virtuale alla scoperta delle opere d'arte inserite nel Kit didattico. La data precisa verrà comunicata a tutti i docenti che avranno aderito al progetto. Sede dell'incontro: Auditorium Scuola primaria Bacone - Via Matteucci 3, Milano.

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 1

L’ARTE RACCONTA… LA VITA QUOTIDIANA DI POPOLI LONTANI NEL TEMPO

Gli antichi Camuni furono in Europa fra i massimi produttori di incisioni rupestri, realizzate nell’arco di ottomila anni, fin oltre la conquista romana. Si tratta di decine di migliaia di incisioni raffiguranti scene di caccia e di vita agricola, guerrieri armati e pastori, scene con carri e capanne, elementi decorativi e simbolici. Popoli inizialmente cacciatori e nomadi, in seguito agricoltori e allevatori, che attraverso le loro incisioni hanno sentito la necessità di lasciare una traccia della propria presenza. Le figure ci offrono infatti indizi sulle conoscenze che avevano acquisito, sulle loro attività, abitazioni, attrezzi, credenze; tracce che ci aiutano a ricostruire e raccontare il loro modo di vivere e di pensare.

Nelle tombe egizie, le scene raffigurate avevano sempre lo scopo di definire il rango del defunto nella società e di mostrarlo mentre continuava a ripetere in eterno le stesse attività che aveva fatto in vita. Il defunto – faraone o semplice funzionario – era celebrato principalmente nell’adempimento dei suoi doveri quotidiani, ma il repertorio della pittura egizia meno convenzionale è riconoscibile nelle scene che descrivevano minutamente la vita privata. Il defunto era ritratto insieme ai suoi familiari, impegnato in momenti di svago, che spesso consentivano agli artisti vivaci rappresentazioni della natura. La tomba di un funzionario di Tebe, Nebanum, è forse una delle testimonianze più significative di un ciclo che illustra la vita quotidiana.

Nebanum è rappresentato mentre va a caccia di uccelli di palude in compagnia della moglie e della figlia che, seduta, gli abbraccia teneramente una gamba mentre coglie dei fiori. Il funzionario, dominante al centro della scena e di proporzioni maggiori rispetto alle altre figure, cattura tre aironi con la mano destra, mentre la sua leggera imbarcazione avanza nella palude, piegando le canne di papiro e spaventando un gran numero di uccelli, che si levano in volo. Da notare il dettaglio umoristico del gatto che cattura a sua volta tre uccelli, come il suo padrone, un particolare curioso che si aggiunge a una descrizione ricca e accurata della natura.

Incisione rupestre con carro, età del ferro, Roccia di Naquane in Valcamonica (BS)

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Incisione rupestre con guerrieri, tarda età del ferro, Valcamonica (BS)

Nebanum caccia nella palude, dalla tomba di Nebanum a Tebe, 1356 a. C. ca, affresco, Londra, British Museum

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 2

Un villaggio sul mare visto dall’alto, brulicante delle attività dei suoi abitanti, indaffarati nelle occupazioni più varie, alcune, a ben guardare, anche un po’ strane. In quest’opera Bruegel non ci racconta solo momenti di vita quotidiana dei contadini delle sue terre, i loro vizi e le loro virtù, ma il loro modo di pensare, quel sapere popolare frutto dell’esperienza e della tradizione. L’artista ha infatti messo in scena in modo unitario, con grande abilità e inventiva, quasi 120 modi di dire che ben illustrano il precario equilibrio in cui gli uomini si barcamenano, tra saggezza e follia, un “mondo alla rovescia”, come è raffigurato dal globo capovolto all’esterno della locanda. Le singole scenette trovano posto, all’interno e all’esterno di fattorie, di capanne, del ponte, sulla strada e sulle rive. Alla minuziosa resa realistica del paesaggio e dell’universo popolare si uniscono le invenzioni più fantasiose e surreali. Eccovi alcuni di questi proverbi legati al folklore nordico, che trovano corrispondenza in alcuni nostri detti popolari. Provate a ritrovarli nell’immagine!

Le focacce nascono sul tetto > Vivere in grande abbondanzaGirare il mantello secondo il vento > Fare il voltagabbanaStar a guardare la cicogna > Lasciarsi scappare la fortunaSpargere le piume al vento > Lasciarsi sfuggire i frutti del proprio lavoroButtare i soldi in acqua > Gettare il danaro dalla finestraAcchiappare l’anguilla per la coda > Cavarsela per il rotto della cuffiaGettare rose ai maiali > Dare le perle ai porciBisogna sapersi piegare se si vuole stare al mondo > La vita richiede compromessi

E ancora: Mettere i bastoni tra le ruote, Navigare col vento in poppa, Battere la testa contro il muro

Pieter Bruegel il Vecchio, Proverbi fiamminghi, 1559, olio su tavola, Berlino, Gemäldegalerie

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 3

L’ARTE RACCONTA... I MITI

Per l’antico mondo greco, frammentato in una miriade di città spesso in lotta fra loro, un potente fattore di unificazione fu la religione, i cui contenuti erano quelli tramandati nei miti (da mythos, “racconto”), forme di narrazione i cui temi principali erano l’origine degli dei, del mondo, delle città, ma anche le avventure degli eroi (figure metà umane e metà divine) e le guerre più importanti. Era una forma di sapere tradizionale, trasmesso oralmente dalla collettività. Non distingueva mai nettamente il piano umano da quello divino: mille fili legavano le vicende dei mortali e degli immortali, i cui destini risultavano sempre indissolubilmente intrecciati.

Atena è la dea della sapienza e di tutte le conoscenze tecniche, dall’agricoltura all’artigianato. In tempo di guerra, Atena donava astuzia e furbizia ai suoi protetti: ricordiamo Ulisse, che tra mille peripezie, poté sempre contare sulla protezione della dea. Secondo il mito, Atena nacque dalla testa di Zeus, suprema divinità dell’Olimpo, signore degli dei e dei mortali. Sul vaso a figure nere viene raffigurato Zeus in trono, con in mano dei fulmini, suo attributo, mentre dalla sua testa esce Atena, già adulta e armata. Accanto è Efesto, il dio del fuoco e fabbro degli dei e degli eroi, che impugna un’ascia con la quale ha aperto il cranio di Zeus, per aiutarlo in questo difficile parto. La raffigurazione è essenziale, ma efficace e curata nei particolari dall’eleganza del disegno.

L’eroe Eracle (Ercole per i romani) è la personificazione della forza fisica e del coraggio. La storia delle sue dodici fatiche, in cui egli affronta grandi avversità, finì per assumere un significato morale e simboleggiare la vittoria del bene sul male. La quarta fatica di Ercole narra dell’impresa compiuta dall’eroe per catturare vivo un cinghiale che terrorizzava gli abitanti della regione intorno al monte Erimanto. Ercole lo spinse sulle nevi montane per poi catturarlo con un laccio. Quando lo riportò al re Euristeo, come gli aveva ordinato, il re ne ebbe tanto spavento che si nascose in una giara. L’autore della decorazione ha scelto di raffigurare proprio il momento finale del racconto, dove meglio emerge il confronto-contrasto tra la forza e la potenza dell’eroe che trasporta il cinghiale sulle spalle e l’inettitudine del sovrano, forte solo della sua autorità.

I temi mitologici continuarono a ispirare artisti di epoche diverse, pur con significati differenti a seconda dei periodi, talvolta sottolineando l’aspetto moraleggiante, in altri casi a scopo decorativo e di evasione, sempre in stretta relazione con i gusti e le esigenze della committenza.

Vaso a figure intere, particolare con la Nascita di Atena dalla testa di Zeus, 540 a.C., ceramica dipinta, Londra, British Museum

Vaso a figure nere, particolare con Eracle che solleva il cinghiale di Erimanto sul re Euristeo, V sec. a.C., ceramica dipinta, Londra, British Museum

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 4

Nella Sala dei Giganti in Palazzo Te a Mantova, è raffigurata la vittoria di Zeus/Giove sui Giganti ribelli che tentarono la scalata al monte Olimpo. Questa vittoria simboleggia quella dell’imperatore Carlo V sui principi protestanti e sugli eretici e testimonia l’interesse del committente, Federico II Gonzaga, di garantirsi la protezione del nuovo imperatore. I Giganti, mostruosi, sono rappresentati nella parte bassa delle pareti, mentre vengono schiacciati da una frana e dal crollo di architetture, provocati dall’ira di Giove e degli dei, affacciati dalle nubi che, con moto a spirale, raggiungono la sommità della volta. La scena è interpretata in modo teatrale e fortemente drammatico. Effetti illusionistici del tutto nuovi creano un coinvolgimento dello spettatore, come se la frana di massi investisse e facesse sprofondare anche lui. Giulio Romano introduce una grande libertà nel modo di concepire lo spazio e la narrazione. Tutto in questa sconcertante sala è congegnato per strabiliare lo spettatore, cui è sottratto ogni punto di riferimento utile a misurare uno spazio illusoriamente dilatato.

La giovane Aracne era una abilissima tessitrice, così convita della sua bravura da sfidare la dea Atena che, tra le sue molte funzioni, presiedeva alla filatura e alla tessitura. Aracne realizzò una tela in cui erano raffigurati gli amori degli dei che fece infuriare Atena la quale, per punizione, la trasformò in un ragno. Da lei prende nome la classe degli aracnidi, che comprende appunto i ragni. Velasquez compone due scene, una dentro nell’altra, come un quadro dentro nel quadro, unendo diversi piani spaziali e temporali. In primo piano, la scena è ambientata nella manifattura di Santa Isabel, dove si filavano gli arazzi per le residenze reali di Spagna. In un locale saturo di pulviscolo di lana, immerso in una penombra dorata, cinque donne sono intente al lavoro. In particolare si notano due figure: a sinistra, una donna anziana fa girare velocemente l’arcolaio e a destra, una giovane di spalle, con la camicia bianca, avvolge una matassa. Un’altra filatrice, al centro della stanza, si china e il movimento guida il nostro sguardo più dentro l’immagine. In secondo piano, tre donne eleganti, estranee al mondo delle filatrici, si affacciano come sul proscenio di un teatro e una di loro si rivolge verso di noi, richiamando la nostra attenzione.

Così lo sguardo si allunga in profondità, dove vi è una figura con elmo, scudo e lancia (attributi della dea Atena) che sembra minacciare una fanciulla. Chiude la scena un arazzo appeso sulla parete di fondo, raffigurante “Il ratto di Europa”. Si tratta della tela che Aracne aveva tessuto per dimostrare di essere più brava della dea. Così scopriamo che Velasquez ha illustrato la favola della giovane e abile tessitrice, immaginandola come una recita a teatro, utilizzando artifici scenici tipici del Barocco. Il mito di Aracne ben si presta a esaltare le capacità creative dell’artista, anch’egli orgoglioso e consapevole della sua abilità che non teme confronti “divini”.

G. Romano e bottega, La caduta dei Giganti, 1531-1534, affresco, Mantova, Palazzo Tè

Velasquez, Favola di Aracne (o Le filatrici), 1657, olio su tela, Madrid, Museo del Prado

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 5

L’ARTE RACCONTA… LA STORIA SACRA E LA VITA DEI SANTI

La pittura e la scultura nelle chiese romaniche avevano lo scopo di insegnare i fondamenti della fede cristiana a un popolo che non sapeva leggere i testi sacri, perciò le scene e le figure rappresentate privilegiavano la chiarezza del messaggio più che la resa fedele della natura. I rilievi con le storie della Genesi che Wiligelmo realizza per il Duomo di Modena sono uno splendido esempio di insegnamento che si fa immagine. Il ritmo della composizione è scandito dalle arcatelle dalle colonnine, a cui si sostituiscono talvolta personaggi e alberi, così che la narrazione risulta fluida, non rigidamente divisa in episodi e le figure si collegano l’una all’altra attraverso gesti e sguardi. Lo stile di Wiligelmo è semplice e sobrio, le sue figure sono solide e concrete. Nella fisicità di Adamo ed Eva si legge il peso della condizione umana di peccato, ma il lavoro non è più inteso solo negativamente come punizione, diventa anche strumento di redenzione, in cui uomo e donna collaborano alla pari. La speranza del riscatto è rappresentata dall’albero rigoglioso che nasce da tale fatica.

L’attenzione alla realtà caratterizzò sempre le opere di Giotto. In esse sono reali lo spazio, la luce, le forme, i sentimenti, raccontati come nessuno aveva ancora fatto. Nel suo primo capolavoro, che è il ciclo di affreschi per la chiesa superiore della Basilica di San Francesco ad Assisi, sono già evidenti tutti questi valori. Francesco, uomo nuovo nello spirito, lo è anche nell’umanità con cui Giotto l’ha raffigurato. Quella che viene narrata è una storia sacra contemporanea, attraverso i ventotto episodi della vita del santo, ispirati alla Legenda major (1260-63), la biografia scritta da San Bonaventura da Bagnoregio, il più importante teologo francescano. Francesco è visto come uomo dalla grande spiritualità, ma concreto, contro un’interpretazione mistica del santo. Le scene sono inserite entro una finta loggia architettonica e affrescate in modo che lo spazio dipinto venga messo in relazione con quello reale. Sotto ogni episodio dipinto, vi era una scritta che descriveva il fatto narrato.

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Wiligelmo, Storie della Genesi, 1106-1110ca, marmo e pietra, Modena, Duomo

Giotto, Storie di San Francesco, 1290-95 ca, affresco, Assisi, Basilica di San Francesco, chiesa superiore

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 6

“Una volta incontrò un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito e, commiserando con affettuosa pietà la sua miseria, subito si spogliò e fece indossare i suoi vestiti all’altro” (Legenda major).

Le prime scene realizzate, come il “Dono del mantello”, presentano composizioni semplici, sia per il ridotto numero dei personaggi, sia per le ambientazioni essenziali. Le scene seguenti mantengono la chiarezza espositiva, ma si arricchiscono di figure e particolari tratti dal quotidiano. Grazie a questi elementi concreti, per la prima volta il sacro è raffigurato inserito nella realtà e non separato da essa. Nel Dono del mantello il santo è al centro della composizione, all’incrocio delle diagonali tracciate dalle pendenze dei monti sullo sfondo. L’introduzione del paesaggio con scorci di città ed elementi naturalistici è un’altra novità giottesca, come la profondità spaziale ricercata attraverso la disposizione delle rocce, lo scorcio delle case e il rimpicciolire degli alberi.

Gli affreschi di Masaccio con le storie della vita di San Pietro furono commissionati all’artista da Felice Brancacci, potente mercante arricchitosi con i traffici marittimi, da qui il richiamo al pescatore Pietro. Nell’affresco del “Tributo” è illustrato un episodio narrato nel Vangelo di Matteo (17,24-27). A Gesù e agli apostoli, giunti alla città di Cafarnao, fu chiesto da un gabelliere di pagare un tributo, come di consuetudine, per accedere al Tempio. Gesù incarica Pietro di pescare un pesce nella cui bocca troverà miracolosamente una moneta d’argento per pagare la tassa dovuta. L’artista, in un unico spazio, concentra i tre momenti, temporalmente diversi, della vicenda. Al centro il momento di maggior intensità, quando davanti alla richiesta del gabelliere e allo smarrimento degli apostoli incerti sul da farsi, Gesù comanda a Pietro di recarsi a pescare e questi riprende il suo gesto, mostrando la sua pronta e fiduciosa risposta a quanto il Maestro gli chiede. È proprio la fede profonda di Pietro nei confronti di Gesù che Masaccio pone come fulcro dell’episodio. A sinistra in secondo piano, Pietro è raffigurato da solo sulla riva, intento nella pesca prodigiosa. Nuovamente in primo piano, a destra, il momento conclusivo, quando Pietro, con gesto deciso, consegna la moneta all’esattore. Masaccio per rappresentare contemporaneamente le tre azioni non solo unifica lo spazio, ma calibra i gesti dei personaggi (si vedano le mani di Pietro, di Gesù e del gabelliere) in modo da collegare le scene. Anche la luce è un altro elemento unificante: i chiaroscuri sono impostati secondo una fonte di luce proveniente da destra, proprio come quella reale dalla finestra della cappella.

Giotto, Dono del mantello, 1290-95 ca, affresco, Assisi, Basilica di San Francesco, chiesa superiore

Masaccio, Il tributo, 1427, affresco, Firenze, chiesa di Santa Maria del Carmine, Cappella Brancacci

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 7

Il ciclo affrescato da Piero della Francesca è dedicato al racconto delle vicende leggendarie legate alla Croce di Cristo. La fonte utilizzata dall’artista è la Legenda Aurea, opera scritta nel XIII secolo da Jacopo da Varagine, che ebbe una grande diffusione nel Medioevo e nel Rinascimento. La leggenda narra di quando un albero crebbe nel luogo dove Adamo venne seppellito con in bocca un ramoscello dell’albero del Bene e del Male. Da quel legno, utilizzato per la croce di Cristo, verrà la redenzione dell’umanità dal peccato. Molte le vicende che si succedono nel tempo. Re Salomone volle impiegarlo per la costruzione del suo palazzo, ma non vi riuscì e ne ricavò un ponte dove la regina di Saba ebbe una visione che preannunciava le vicende future legate al sacro legno. L’imperatore Costantino, avvertito da un angelo in sogno, impugnando il vessillo con la Croce, vinse la battaglia contro il suo rivale Massenzio e si convertì al Cristianesimo. Sarà proprio la madre di Costantino, Sant’Elena, a recarsi in pellegrinaggio a Gerusalemme per cercare la Croce di Gesù, che venne riconosciuta grazie a un evento miracoloso.

Tre secoli dopo, il re persiano Cosroe, avendo conquistato la città di Gerusalemme e trafugato la Croce come bottino di guerra, venne sconfitto dall’imperatore romano d’Oriente Eraclio, che riportò la Croce a Gerusalemme. Questa leggenda affascinante rimanda in realtà ad alcuni temi molto sentiti al tempo dell’autore, tra cui quello della lotta contro i Turchi. Infatti l’episodio del “Sogno di Costantino” allude alla crociata invocata dal papa Pio II per riconquistare Costantinopoli e rappresenta un appello ai potenti del tempo, restii a impegnarsi nell’impresa.

L’artista non segue l’ordine cronologico delle vicende, a lui interessano la logica compositiva e i relativi effetti di simmetria. Ad esempio, tutte le scene maggiori sono divise verticalmente in due settori: quelle in alto da alberi; quelle mediane hanno a sinistra uno spazio aperto e a destra uno spazio delimitato; in basso le due battaglie presentano a sinistra i vincitori, a destra i vinti. Le ricerche luministiche del pittore sono evidenti nella luce diffusa del cielo e soprattutto nel “Sogno di Costantino”, primo notturno della pittura italiana.

Piero della Francesca, Le storie della Vera Croce, 1452-1466, affresco, Arezzo, chiesa di San Francesco

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Piero della Francesca, Il Sogno di Costantino

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 8

L’ARTE RACCONTA… LE GRANDI IMPRESE

Uno dei generi caratteristici della scultura romana è il cosiddetto rilievo storico, che serviva a perpetuare la memoria dei momenti significativi della vita dello stato, narrandone lo svolgimento. Il rilievo storico romano raggiunge il suo risultato più spettacolare con la realizzazione della Colonna Traiana. Il sistema decorativo utilizzato è un’invenzione nuova e completamente originale. Se la tipologia della colonna onoraria era ben nota e applicata a Roma, del tutto nuova è l’idea di avvolgerla con un fregio ininterrotto che si svolge a spirale. Vi sono rappresentati, in narrazione continua, i fatti salienti delle due campagne vittoriose condotte dall’imperatore Traiano in Dacia, attuale Romania, nel 101-102 e nel 105-107 d.C. I rilievi della Colonna manifestano un’efficace opera di propaganda, documentando un’impresa ancora attuale che esalta l’Impero e Traiano, la cui figura compare ben sessanta volte nelle scene narrate. L’autore però non mostra adulazione nei confronti dell’imperatore, che non è mai colto in atteggiamenti eroici, ma come comandante sempre presente e vigile tra i suoi soldati.

Valga come esempio tra i tanti l’immagine che coglie Traiano a colloquio con un suo ufficiale: nell’intreccio di sguardi e gesti si manifesta la reciproca stima e fiducia. Accanto all’imperatore, l’altro protagonista dei rilievi è l’esercito romano, sempre efficiente non solo nelle scene di battaglia e assedio, ma anche in quelle di marcia e lavoro: è l’azione di gruppo che mostra la vera forza dei legionari.

Peculiare è l’onore reso al nemico vinto, che indirettamente esalta la virtù dei Romani, capaci di rispetto e ammirazione per il comportamento dignitoso e coraggioso di un barbaro.

Bisognerà attendere mille e settecento anni per trovare un’opera che interpreti in linguaggio moderno la straordinaria forza narrativa della Colonna Traiana. Si tratta dei “Fasti di Napoleone” di Andrea Appiani, pittore neoclassico, solo caso in Italia di celebrazione autenticamente storica dell’epopea napoleonica. Iniziata nel 1803 e inaugurata da Napoleone stesso nel 1808, l’opera di Appiani era costituita datrentacinque tele a tempera monocroma, come un finto bassorilievo, che componevano una fascia continua lungo il ballatoio della sala delle Cariatidi, nel Palazzo Reale di Milano. (segue)

Colonna Traiana, 113 d.C., marmo, Roma, Foro di Traiano

Colonna Traiana (particolare) Traiano a colloquio con un suo ufficiale

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Colonna Traiana, (particolare) I legionari costruiscono un accampamento

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Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 9

Le tele andarono distrutte durante i bombardamenti del 1943, ma ne tramandano il ricordo le incisioni eseguite intorno al 1810 da un gruppo di acquafortisti, per ordine dello stesso Napoleone. Si tratta di un materiale vivo e scottante di storia contemporanea. Gli episodi della Campagna d’Italia si succedono con ritmo serrato, incalzante come lo furono gli eventi. La narrazione è ricca di pathos, sostenuta da un tono epico che non cede mai all’adulazione celebrativa nei confronti di Napoleone.

L’ARTE RACCONTA... LE STORIE DENTRO LA STORIA

I grandi avvenimenti della Storia contengono sempre tanti piccoli episodi fatti da gente comune, uomini, donne, bambini che cercano di salvare la propria quotidianità e gli affetti più cari da eventi che tendono a travolgerli. Piccole storie che escono dall’anonimato, che diventano note grazie a immagini che le testimoniano. Nel corso dei secoli gli uomini hanno ripetutamente vissuto e spesso rappresentato la triste esperienza della guerra. Le tragedie causate dagli avvenimenti bellici divennero pressante materia di riflessione per gli artisti che ne diedero diversa ed efficace espressione nelle loro opere.

Questo grande dipinto ricorda una delle battaglie decisive del Risorgimento Italiano, utilizzando un punto di vista assolutamente originale. Alla rappresentazione diretta dello scontro, Fattori ha preferito quella di un momento secondario dove la Storia è vista come dalle retrovie. Rispetto ai gruppi di soldati, ripresi per lo più di spalle, risalta quello delle suore che percorrono il campo sul loro carro per soccorrere i feriti a qualunque schieramento appartengano. Un’immagine purtroppo sempre attuale. Come diceva Bertolt Brecht “La guerra che verrà non è la prima… Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti. Fra i vinti la povera gente faceva la fame. Fra i vincitori la povera gente faceva la fame egualmente.”

Sappiamo che Fattori, pur non avendo partecipato direttamente a nessuna di quelle memorabili battaglie, aveva voluto recarsi sui luoghi per poterne rivivere e restituire l’atmosfera. Domina nella scena il bianco abbagliante dei veli delle suore e della tenda sul carro, un bianco inondato dalla luce del sole, che sottolinea il fulcro visivo e anche drammatico della composizione. L’artista non è mai un narratore imparziale, il modo come racconta una vicenda esprime il suo modo di vedere ed il suo giudizio. Attraverso l’utilizzo di particolari soluzioni luministiche, Fattori rende più intenso il suo messaggio umanitario e il sentimento di pietà per i vinti, svelando la sua visione decisamente anticonvenzionale della Storia.

Da i “Fasti di Napoleone” di Andrea Appiani, Il passaggio del Gran San Bernardo, incisione di G. Rosaspina, 1808-1816, Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo

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Giovanni Fattori, Il campo italiano dopo la battaglia di Magenta, 1861, olio su tela, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’arte moderna

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Il 26 aprile 1937 aerei tedeschi, inviati da Hitler per appoggiare il dittatore spagnolo Francisco Franco nel corso della guerra civile spagnola, bombardarono la piccola città basca di Guernica. L’attacco che colpiva l’inerte comunità civile, provocò grandi proteste internazionali e portò Picasso, apertamente schierato con i repubblicani contro Franco, a concepire una grande composizione di denuncia contro la guerra. Il dipinto rappresenta il drammatico momento del bombardamento. Ad una prima osservazione, l’opera appare un insieme di elementi figurativi dissociati, quasi fossero frammenti di realtà che è difficile unificare in una forma unitaria. Solo leggendo attentamente il dipinto si riesce a decifrare la scena raffigurata e a ricomporre la forma. È un’opera complessa e di grande impatto emotivo.

Come il grande artista ottiene questo risultato? Prima di tutto le dimensioni. Si tratta di una grande tela di 3,51x7,82 metri e quindi di dimensioni tali da coinvolgere lo spettatore, quasi aggredendolo, facendolo sentire vittima tra le vittime. Altro aspetto subito evidente è la scelta del colore, solo neri, bianchi e grigi. L’uso del monocromato sembra sia stato suggerito al pittore dalle fotografie in bianco e nero della città bombardata apparse sui giornali e su cui Picasso si era documentato. L’ambientazione è contemporaneamente interna (come si deduce dal lampadario appeso in alto) ed esterna (come è suggerito dall’edificio in fiamme all’estrema destra). Questa contemporaneità di visione non è solo cubista, ma vuole rendere con violento realismo l’effetto devastante del bombardamento che all’improvviso sventra e demolisce interi palazzi, sparpagliando impietosamente all’aperto anche gli oggetti più intimi di ogni famiglia.

In questo spazio caotico e indifferenziato, uomini, donne e animali fuggono e urlano come impazziti, sovrapponendosi e compenetrandosi, accomunati dallo stesso dolore e dalla stessa violenza. I corpi sono scomposti, semplificati e lo spazio si frammenta con essi. Ci troviamo di fronte ad un attimo di panico collettivo, catturato e fermato a forza. Quasi tutte le figura sono descritte come spinte verso sinistra da una sorta di vento: la forza d’urto delle bombe che sospinge verso la fuga. Il brusco alternarsi di luci (bianchi) e ombre (nero e grigi) sembra sottolineare il susseguirsi delle esplosioni e l’improvviso divampare degli incendi. Ovunque sono morte e distruzione, sottolineate da un disegno duro e quasi tagliente, che rende anche i raggi del lampadario e la lingua del cavallo aguzzi come piccole spade acuminate.

Condensando in una visione corale tutti i dolori generati dalla violenza, Picasso ha realizzato un’opera che, partendo da uno specifico evento di storia contemporanea, è diventato manifesto universale di protesta contro tutte le guerre.

Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 10

Pablo Picasso, Guernica, 1937, tempera su tela, Madrid, Centro de Arte Reina Sofia

LABORATORIO DI STORIA DELL'ARTE

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Robert Capa è considerato uno dei padri del fotogiornalismo. Con i suoi reportage ha raccontato le grandi guerre dello scorso secolo. È una guerra senza eroi quella restituita dal suo obiettivo, di gente comune, di piccoli paesi uguali in tutto il mondo ridotti in macerie, di soldati e civili vittime di una stessa violenza.

“Capa sapeva che cosa cercare e che cosa farne dopo averlo trovato. Sapeva che non si può ritrarre la guerra, perché è soprattutto un’emozione. Ma lui è riuscito a fotografare quell’emozione conoscendola da vicino.” John Steinbeck

Sicilia, 10 luglio 1943, sbarco delle truppe alleate in supporto ai partigiani, contro i militari italiani e tedeschi in ritirata. Robert Capa atterra in Sicilia mediante un’avventurosa operazione paracadutistica in notturna. Con la fedele macchina fotografica sempre al seguito, si dirige verso Troina, dove diverse divisioni avevano piazzato il Quartier Generale. Il piccolo paese assolato sarà teatro di violenti scontri tra le opposte fazioni e ne uscirà quasi completamente distrutto. La foto scattata da Capa coglie un attimo particolarissimo di quella vicenda, un attimo sospeso dove non c’è conflitto, ma incontro tra mondi apparentemente lontanissimi. Che cosa ci racconta quest’immagine? Proviamo a farla parlare! In un paesaggio arido e brullo è ritratto un giovane soldato americano, altissimo e dinoccolato che si accovaccia accanto a un piccolo contadino ingobbito, per sentire meglio quello che gli sta dicendo. Difficile capire quelle poche frasi pronunciate in un dialetto strettissimo. Ma il bastone, quello sì è eloquente e il soldato scruta l’orizzonte con attenzione, sorridendo compiaciuto. Il vecchio pastore gli sta indicando qualcosa che sollecita il suo interesse. Magari le zone battute dai tedeschi in ritirata, un nascondiglio o una possibile direzione di fuga. Il soldato apprezza il suggerimento e il vecchietto è orgoglioso per quella piccola soddisfazione ottenuta con una semplice informazione. Il pastore, che nella sua vita non ha conosciuto altro che la sua terra, le sue bestie e il duro lavoro, non è diffidente nei confronti del giovane straniero. Si fida di lui e, senza indugi, gli mostra la via.

Un avvenimento epocale che sempre più ci sta coinvolgendo in questi ultimi anni è il fenomeno migratorio, con gli alti flussi di persone, provenienti soprattutto da alcuni paesi africani e dal Medio Oriente, costrette a fuggire dalla propria terra in cerca di asilo in Europa.

Nirar Ali Badr, artista siriano, migrante a Calais con la famiglia, ha realizzato con dei piccoli sassi raccolti sulla spiaggia, ventiquattro tavolette in cui racconta la sua vita e il viaggio intrapreso con i suoi cari verso la speranza di un futuro migliore. Sono immagini di grande delicatezza e di struggente poesia: a voi la parola per narrare la storia di Nirar e della sua famiglia!

Il percorso artistico: “L’ARTE RACCONTA...” / 11

Robert Capa, Il contadino siciliano e il soldato americano, foto, 1943

LABORATORIO DI STORIA DELL'ARTE

Nizar Ali Badr, Pebble Stories, Latakia, Siria

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