L’avvocato a confronto con la sindrome da alienazione parentale n 1... · 2020. 4. 29. ·...
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Fondazione Guglielmo Gulotta
di Psicologia Forense e della Comunicazione
L’avvocato a confronto con la
sindrome da alienazione parentale
Corsista
Avv. Gerardo Milani
Tutor
Dott.ssa Irene Rossetti
Docente
Prof.ssa Moira Liberatore
2010
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L’avvocato a confronto con la sindrome da alienazione parentale
Indice:
Abstract pag. 2
La Sindrome da Alienazione Parentale (PAS) pag. 3
Un esempio di PAS: il padre aliena la madre pag. 13
Un altro esempio di PAS: la madre aliena il padre pag. 15
La PAS nella letteratura pag. 18
La PAS nei Tribunali italiani pag. 21
Le PAS e i possibili profili penali pag. 24
Bibliografia pag. 27
Abstract:
Le aule giudiziarie sempre più spesso sono teatro di conflitti familiari nei quali un genitore agisce
condotte mirate ad alienare il figlio all’altro genitore.
Non è facile per gli operatori, siano essi giudici, avvocati o consulenti comprenderne le
motivazioni. Un genitore può essere mosso dalla speranza di ottenere un amore in esclusiva in
cambio di un amore perduto, può inseguire il tentativo di punire l’altro laddove non vi riesce il
giudice, oppure, inconsciamente, vuole solo rivivere un passato e poterlo riproporre a ruoli
invertiti, per riscattare una sconfitta subita quando era troppo debole per potersi difendere.
Non è compito del giurista formulare una diagnosi di PAS, ma è doveroso conoscere questa
sindrome e saperne almeno individuare i tratti caratteristici perché l’avvocato che si occupa del
contenzioso familiare non deve mai sacrificare il preminente interesse del minore, e deve avere
l’autorevolezza di rendere edotto il proprio cliente che, eventuali simili condotte, sono gravemente
pericolose per lo sviluppo della personalità del bambino.
L’avvocato che presta il suo servizio nel contenzioso familiare rappresenta uno strumento
indispensabile per la difesa dei diritti del cliente, ma non deve mai consentire che la sua attività sia
strumentalizzata.
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La Sindrome da Alienazione Parentale (PAS)
Il fenomeno della conflittualità di coppia in fase di separazione ha raggiunto una dimensione
quantitativa talmente vasta da poter essere osservato e studiato nei suoi specifici connotati così da
descriverne la dinamica, le possibili variabili ed osservare l’eventuale presenza di peculiari fattori
di rischio che potrebbero degenerare e costituire l’eziogenesi di un rapporto relazionale
patologico.
A volte, la mancata elaborazione psicologica ed emozionale della separazione induce i genitori a
coltivare un legame disperante, in cui annidano molte delle insidie della conflittualità genitoriale1.
L’osservazione quantitativa del conflitto di coppia consente di rappresentare una dinamica
fenomenologica piuttosto standardizzata. Se spesso la necessità di separarsi è condivisa e voluta
da entrambi i partners, a volte accade invece che l’accettazione psicologica della separazione sia
molto più complessa e difficile rispetto all’accettazione della separazione giuridica e non è raro
che ad adire il tribunale per chiedere la separazione sia proprio il coniuge che meno ha elaborato il
“lutto”. I tempi processuali ed i tempi psicologici individuali non sempre coincidono. Nel turbinio
di emozioni che pervade l’esistenza di una persona in una fase di destrutturazione della
dimensione familiare - che resta la sfera esistenziale tra le più intime ed importanti, sulla quale
probabilmente i partners hanno investito moltissimo - può approssimarsi una distonia tra la
dimensione cognitiva e quella emotiva. Alla lucida analisi delle ragioni della separazione si
contrappone l’inintellegibile cifra del sentimento e delle emozioni, e questo contrasto tende ad
appesantire il quadro di smarrimento a cui ciascuno, o anche uno solo dei componenti della ex
coppia, può trovarsi di fronte: un futuro incerto, denso di dubbi ed avaro di prospettive, sia per sé
stesso che per i propri figli.
Tuttavia, questa fase di acuta difficoltà relazionale, nella maggior parte dei casi, viene spesso
superata nell’arco di alcuni mesi e, una volta sopite le scontrosità processuali, la situazione di
conflitto si decanta e il nuovo organismo relazionale (la ex famiglia), aiutato anche dalla nuova
scansione dei ritmi e delle visite, ritrova la sua omeostasi.
Altre volte accade invece che la precipitazione e la repentina cessazione del rapporto tra coniugi o
conviventi sembra travolgere l’intera sfera delle relazioni familiari, dalla quale più nulla si salva,
quasi che la fine del rapporto di coppia comporti inesorabilmente anche la dissoluzione del
rapporto genitoriale con i propri figli. In questi casi il conflitto purtroppo deborda dalla sua
fenomenologia tipica ed inforca una “variabile impazzita”, un’iperbole irrazionale che rischia di
sfuggire al controllo di chi la agisce. Può essere il caso dello Stalking, fenomeno connotato
dall’inseguimento compulsivo di uno dei partner a danno dell’altro (disturbo relazionale
1 Il legame disperante, V. Cigoli – Raffaello Cortina Editore – 1988.
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denominato Sindrome di Clérambault), oppure della PAS (Sindrome da Alienazione Genitoriale),
che rappresenta il fenomeno inverso, ossia, il tentativo di sradicare totalmente l’ex compagno
dall’esistenza propria e dei propri figli.
Richard Gardner è stato lo studioso che per primo ha analizzato questo fenomeno (1985) e ha
definito “La sindrome da alienazione genitoriale un disturbo che insorge nel contesto delle
controversie per la custodia dei figli. La sua manifestazione principale è la campagna di
denigrazione rivolta contro un genitore: una campagna che non ha giustificazioni. Essa è il
risultato della combinazione di una programmazione (lavaggio del cervello) effettuata da un
genitore indottrinante e del contributo dato dal bambino in proprio, alla denigrazione del
genitore bersaglio2”.
Altri autori (Clavar, Rivlin 1991) parlano di bambini programmati ai quali è stato effettuato un
lavaggio del cervello.
Si tratta in ogni caso di una “distorsione relazionale” attraverso cui i sentimenti del figlio nei
confronti del genitore non convivente vengono “avvelenati” dall’azione alienante del genitore che
ne ha la custodia.
Pur avendo a disposizione la magistrale concettualizzazione del fenomeno PAS, offerta da
Gardner, è doveroso precisare che essa non offre una chiave di lettura in grado di spiegare tutti i
casi di rifiuto di un figlio di frequentare un genitore. Anzi, proprio la natura di variabile
eccezionale, deve indurre gli osservatori a procedere con circospezione e, a fronte di un figlio che
rifiuta di andare con un genitore, è bene valutare se non sussistano motivi reali e plausibili in
grado di giustificare il rifiuto.
Il bambino non è alienato quando l’ostilità e il rifiuto:
- sono limitati ad un breve periodo di tempo e non si manifestano in maniera cronica
(da non confondere con una caratteristica tipica delle situazioni PAS in cui il rifiuto
viene meno quando il bambino si trova effettivamente con questo genitore mentre
ricompare quando si trova con il genitore alienante)
2 Le teorie sono espresse nelle seguenti pubblicazioni: Gardner R.A. (1985) Recent trends in divorce and custody litigation, Academy Forum, 29 (2) , pp.3-7. Gardner R.A. (1998a) Recommendations for dealing with parents who induce a parental alienation syndrome, Journal of Divorce & Remarriage, Volume 28(3/4), pp.1-21. Gardner R.A. (1998b) The Parental Alienation Syndrome (2nd. ed.), Cresskill, NJ: Creative Therapeutics. Gardner R.A. (1999a) Differentiating between the parental alienation syndrome and bona fide abuse/neglect, The American Journal of Family Therapy, Vol. 27, n. 2, pp.97-107. Gardner R.A. (1999b) Family Therapy of the Moderate Type of Parental Alienation Syndrome, The American Journal of Family Therapy. 27:195-212. Gardner R.A. (2002a) Does DSM-IV Have Equivalents for the Parental Alienation Syndrome (PAS) Gardner R.A. (2002b) The empowerment of children in the development of parental alienation syndrome, The American Journal of Forensic Psycology, 20(2):5-29. Trad. It. (2005)
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- sono occasionali e non frequenti
- si presentano solo in certe situazioni
- coesistono con espressioni di amore genuino e di affetto
- sono diretti ad entrambi i genitori
Ancora, lo stesso Garder afferma che: “In presenza di reali abusi o trascuratezza dei genitori,
l’ostilità del bambino può essere giustificata e, di conseguenza, la Sindrome di Alienazione
Parentale, come spiegazione dell’ostilità del bambino, non è applicabile”.
L’Autore, secondo una sua iniziale teorizzazione, ha identificato i seguenti 8 criteri “indicatori”
della sindrome.
Fattore PAS
Descrizione comportamento corrispondente
Campagna di denigrazione
Il minore evidenzia astio nei confronti di un genitore in maniera ossessiva. Questo comportamento denigrante del minore sembra simile ad una vera e propria litania.
Deboli, superficiali e assurde motivazioni per spiegare il
comportamento di denigrazione
Il minore riporta giustificazioni irrazionali e spesso ‘comiche’ per spiegare il suo rifiuto del genitore odiato.
Mancanza di ambivalenza
Tutte le relazioni interpersonali umane, incluse quelle genitore-bambino, possono essere ambivalenti. Nella PAS il minore non evidenzia sentimenti commisti o differenziati. Il parente odiato è totalmente cattivo; il genitore alienante è totalmente buono.
Fenomeno del “pensatore indipendente”
Molti bambini affermano ‘orgogliosamente’ che i loro sentimenti di odio e di astio verso il genitore alienato dipendono da loro stessi, che sono l’esito di una loro decisione; tenderebbero inoltre a negare qualsiasi contributo del genitore alienante.
Sostegno, nel conflitto, al genitore alienante
I minori accettano come assolutamente valide e inopinabili le asserzioni/imputazioni del “genitore amato” ovvero del “genitore alienante” contro il “genitore odiato” ovvero quello alienato.
Assenza di senso di colpa riguardo le crudeltà verso il genitore alienato
Il minore evidenzia una totale inosservanza per i sentimenti del genitore alienato.
Presenza di “sceneggiature prese a prestito”
La qualità dei contenuti nelle formulazioni del bambino appare
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sottesa ad una “sceneggiatura data in prestito” dal genitore alienante; lo stesso bambino tende ad utilizzare termini o frasi del tutto estranee ad un minore di quella età.
Allargamento dell’animosità nei confronti della famiglia del
genitore alienato
Il minore rifiuta categoricamente anche la rete di parenti del genitore odiato (zii, nonni, ecc.) soprattutto quando questi si sono sempre presi cura dello stesso, nonostante, quindi, una preesistente soddisfacente o buona relazione con gli stessi.
Successivamente (1998-2000), rielaborando la sua teoria, Gardner ha aggiunto i seguenti quattro
criteri,
1) le difficoltà del minore nel periodo di transizione da un genitore all’altro – accade che il
figlio si inventa impegni, imprevisti, o altre scuse per non incontrare il genitore alienato. Spesso
sono motivazioni assurde ma che il bambino somatizza, al punto da provare realmente disturbi
fisici (mal di testa, mal di pancia, vomito, ecc).
2) il comportamento del minore durante la permanenza a casa del genitore alienato – il figlio
può assumere un atteggiamento provocatorio al fine di far arrabbiare il genitore e trovare così la
conferma della propria opinione negativa.
3) il legame del minore con il genitore alienante – il legame che si instaura tra il figlio ed il
genitore è talmente esclusivo ed invischiante da raggiungere la soglia del legame simbiotico –
patologico. Quest’ultimo aspetto viene dissimulato, soprattutto dal genitore alienante, che tende a
negare la problematicità del rifiuto, oppure assume condotte neutrali (ad esempio, limitarsi a dire
che il figlio preferisce giocare con la play station rispetto ad andare dal padre, inviando quindi un
messaggio subliminale secondo il quale il gioco con la play station e il padre hanno la stessa
importanza).
4) il legame del minore con il genitore alienato – questo aspetto è assai importante perché, da un
lato, è utile accertare se il rifiuto del figlio rappresenta un ingiustificato mutamento di opinione,
oppure, se in tempi non sospetti, scevri da condizionamenti, il rapporto era già flebile. Inoltre, un
forte rapporto tra figlio e genitore alienato può limitare gli effetti dei tentativi di alienazione in
quanto il figlio potrà opporre una resistenza meno permeabile alle manovre poste in essere dal
genitore alienante, i cui sforzi potranno essere anche superficialmente assecondati, ma il legame
con l’altro genitore resterà intimamente saldo e pronto a riemergere nei momenti privi di controllo.
Dal punto di vista pratico, l’alienazione genitoriale, che è una forma di violenza assistita, in
quanto consumata da persone molto care al minore, trova attuazione tramite manovre che vengono
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elaborate per raggiungere l’esclusione dell’altro genitore, che solitamente si distinguono in due
tipologie:
- MANOVRE DIRETTE: in questo caso è più facile rilevare il lavoro di alienazione in quanto il
minore ha degli atteggiamenti avversi nei confronti del genitore bersaglio ma non ha interiorizzato
le ragioni del genitore alienante.
- MANOVRE INDIRETTE: sono le più insidiose, perché si procede facendo leva sul senso di
lealtà del minore e si lavora su un piano più profondo, quello delle emozioni.
La casistica ha individuato varie condotte:
- negazione dell'esistenza psicosociale del genitore bersaglio (non parlare mai
dell’altro genitore, non farlo vedere al figlio, togliere le sue foto dalla casa)
- negazione della critica verso il genitore bersaglio (criticare l’altro genitore davanti
al minore e, quando questi ripete la critica, attribuire a lui la fonte della critica)
- distruzione dell'immagine del genitore bersaglio (parlare solo in modo negativo
dell’altro genitore)
- manipolazione della situazione (dare false informazioni all’altro genitore sul figlio
in modo che insorgano conflitti o fraintendimenti tra i due)
- marcamento delle differenze (far risaltare le differenze tra il genitore bersaglio e se
stessi)
- induzione di alleanza (soddisfare tutti i desideri del figlio e/o quelli non soddisfatti
dal genitore bersaglio)
- creazione di alleanze con persone frequentate dal figlio (insegnanti, amici)
- induzione del senso di colpa (convincere il figlio che se farà certe cose significa
che non vuole più bene al genitore programmatore)
- induzione del dubbio (far credere al figlio che l'amore dell'altro genitore è falso,
interessato)
- induzione della paura (dire al figlio che i suoi contatti col genitore bersaglio sono
pericolosi per qualche motivo)
- ricostruzione della realtà (manipolare la storia familiare: “se sei nato è merito mio,
tuo padre voleva che abortissi”, ecc.)
- chiedere continuamente al figlio cosa ne pensa dell'altro genitore, costringendolo a
prendere posizione, e premiarlo o punirlo a seconda delle sue risposte
- mistificazione (manipolare i sentimenti del figlio)
- raccontare aneddoti in cui l'altro genitore è perdente o ridicolo (Ti ricordi quando
tua madre è stata bocciata all'esame per la patente?)
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- esagerare il proprio ruolo quale educatore sfumando quello dell'altro genitore (Ti
ricordi che io ti ho messo al mondo, allattata, curata, vestita, nutrita, mentre tuo
padre lavorava tutto il giorno e stava con te solo la sera?)
- soddisfare i desideri del figlio che l'altro limita o disapprova (Se tua madre non
vuole portarti allo stadio lo farò io)
- mostrare gusti, idee, opinioni diametralmente opposti a quelli dell'altro genitore
- "sgenitorializzare" l'altro genitore, ad esempio chiamandolo col nome proprio,
togliendo le sue foto dalla casa
- meta-comunicare in modo paradossale sull'altro genitore (Ci sarebbero molte cose
da dire su tua madre, ma io non sono uno che critica i genitori; Rispetto la
decisione di tuo padre di venirti a trovare, che lo voglia veramente o meno; Lo sai
che in fondo tuo padre ti vuole bene, anche se non ti sta più vicino), creando doppi
legami che lo confondono e lo rendono più facilmente suggestionabile;
- mistificare le impressioni ed i sentimenti del figlio (Non puoi essere scontento, con
tutto quello che faccio per te"; "Non puoi voler bene a tuo padre, non hai visto
come si è comportato?)
Nei suoi studi, Gardner, sostiene che l’attività di alienazione può raggiungere tre livelli di PAS,
che si pongono in ordinario rapporto di progressione e che possono essere individuati valutando la
qualità dei rapporti con ciascun genitore, ma soprattutto, l’intensità delle affermazioni verbalizzate
dal minore.
Il livello lieve - invero assai diffuso nei casi di separazioni che raggiungono una particolare soglia
di conflittualità, si caratterizza per la sostanziale attività di svalutazione del genitore alienato. E’
possibile che non siano neppure presenti tutti e otto i sintomi propri della PAS sopra illustrati. I
comportamenti tipici che si possono riscontrare sono: una scarsa considerazione per l’importanza
delle visite, che il genitore alienante tende a scoraggiare, mostrandosi poco o nulla soddisfatto (al
rientro dei figli la madre non li saluta, mostrando chiaramente il suo disappunto), oppure,
assumendo un atteggiamento apparentemente neutrale (se non vuoi andare fai quello che vuoi,
dicidi tu, faremo qualcosa d’altro, rispetto la tua decisione).
Il mostrarsi del tutto disinteressato rispetto alla comunicazione tra il minore e il genitore alienato,
oppure essere poco o nulla preoccupato al cospetto del figlio se la visita non ha avuto luogo.
Ancora, il rifiuto ad accettare che il genitore alienato partecipi a momenti importanti o significativi
per il figlio (in occasione della festa del papà organizzata dagli alunni alla scuola elementare, il
padre non ha potuto andare, perché vi voleva partecipare la mamma, che non voleva incontrare
l’ex marito).
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Il livello medio – questo livello di condizionamento pare essere il più diffuso. Gli otto sintomi
sono presenti e la campagna di denigrazione verso il genitore alienato diventa più pesante ed
incisiva. Il segnale di raggiungimento di tale soglia è la mancanza di ambivalenza del figlio: ormai
un genitore è tutto buono, l’altro è tutto cattivo. Le visite diventano più problematiche, il figlio
ricorrerà a scenari presi in prestito per giustificare il suo rifiuto, soprattutto perché ha già maturato
un conflitto di lealtà e dimostra di non avere sensi di colpa nel rifiutare il genitore alienato. Questo
aspetto potrà essere agevolmente diagnosticato, sulla base di una attenta osservazione, perché per
un meccanismo di autodifesa, il figlio attiverà una fortissima identificazione con le ragioni di un
genitore, così da non soffrire i sensi di colpa dovuti al ferimento delle aspettative dell’altro. Il
figlio apparirà freddo, quasi dissociato. Potrà ad esempio, farsi accompagnare dal genitore
alienante presso la casa del genitore alienato per restituire i regali di Natale ricevuti da
quest’ultimo, senza nemmeno mostrare la minima titubanza o imbarazzo. Di contro, ed esempio,
la madre alienante, prima di consegnare il figlio al padre, lo abbraccerà mettendosi a piangere
platealmente, facendo insorgere nel minore il forte senso di colpa di infliggere alla madre un
simile dolore.
Il livello grave – E’ la fattispecie più rara ma produttiva di effetti devastanti. I sintomi sul minore
sono talmente forti da presentare un quadro di condivisione quasi paranoica delle ragioni del
genitore alienante. Il legame simbiotico sembra raggiungere una vera e propria “folie à deux”.
La persistente protrazione di questa condizione costituisce un grossissimo fattore di rischio perché
potrebbe portare all’insorgenza di una psicopatologia permanente di tipo paranoideo (Gardner).
A questo punto le visite con il genitore alienato diventano praticamente impossibili.
Nei casi più gravi il figlio può arrivare ad accusare falsamente il genitore di abusi sessuali.
L’ipotesi di PAS, per questo motivo, dovrebbe sempre essere presa in considerazione per spiegare
l’eziogenesi delle accuse di abuso sessuale sui figli quando la denuncia avvenga nell’ambito di
una separazione o di un divorzio, specialmente se molto conflittuale.
Nello schema di raffronto che segue è agevole notare le forti somiglianze ad analogie dei sintomi
che si riscontrano nell’abuso sessuale e nella separazione genitoriale.
I SINTOMI DA ABUSO sono:
- Ansia, stress
- Pianti, irascibilità, paura, disturbi del sonno e dell'alimentazione
- Sensi di colpa per non esser riuscito ad evitare l'abuso
- Eccesso di masturbazione, spiccata erotizzazione nei giochi e nei comportamenti
- Conoscenza del sesso inusuale per l'età
- Paura in presenza del genitore abusante
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- Alterazione della personalità con sintomi psiconevrotici (isteria, fobie, ipocondria)
I SINTOMI DA SEPARAZIONE DEI GENITORI sono:
- Ansia, stress
- Pianti, irascibilità, disturbi del sonno, incubi, crisi di pianto, comportamento
aggressivo
- Sensi di colpa per l'infelicità dei genitori
- Eccesso di masturbazione, spiccata erotizzazione nei giochi e nei comportamenti
Per evitare di incorrere in drammatici equivoci, che potrebbero sfociare in denunce infondate ma
gravemente infamanti, è bene che il legale, nell’assistere il genitore, sappia valutare in piena
autonomia il caso che si trova a gestire, soprattutto se molto complesso e conflittuale, perché un
errore nella qualificazione delle cause del disagio attribuito al minore potrebbe portare ad
intraprendere iniziative giudiziarie temerarie ma, soprattutto, a vittimizzare il minore più di quanto
non lo sia a causa del conflitto genitoriale.
Gli studi di Gardner hanno suscitato giudizi piuttosto critici soprattutto per quanto concerne le
possibili terapie di contrasto.
Secondo l’Autore, nei casi di PAS lieve è sufficiente che il Tribunale confermi l’affidamento al
genitore alienante. Questo perché si ritiene che l’alienazione abbia unicamente lo scopo di
conquistarsi l’affidamento. Una volta ottenutolo, il genitore non avrebbe più motivo per
continuare l’attività di svalutazione dell’altro genitore.
Nei casi di PAS moderata, invece, si rende necessario l’intervento di un terapeuta esperto. Il figlio
potrà restare affidato al genitore alienante ma il tribunale dovrà ordinare la ripresa delle visite,
predisponendo eventualmente anche un sostegno nel caso fossero state interrotte per parecchio
tempo. Qualora il genitore alienante non ottemperi, Gardner suggerisce l’adozione di
provvedimenti sanzionatori, come ad esempio, la riduzione dell’assegno o l’irrogazione di una
multa. Nei casi di ulteriore violazione propone addirittura l’arresto del genitore alienante per
alcuni giorni. L’allontanamento del minore dalla casa del genitore alienante dovrebbe essere
disposto al solo fine di impedire che l’attività di alienazione sia ulteriormente perpetrata e portata
al livello grave.
Nei casi di PAS medio - grave, Gardner sostiene la necessità di un intervento drastico, quale la
decisione del tribunale di trasferire la custodia del figlio dal genitore alienante al genitore alienato
e, per attuare questo ricollocamento del figlio evitandogli traumi psicologici, propone un
programma di collocazione provvisoria denominato “Transitional Site Program”.
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Questo programma di collocazione provvisoria può essere modellato su tre livelli, che si graduano
in ragione della gravità della PAS diagnosticata, e ciascuno si struttura su sei fasi, così
sinteticamente descritte:
- Allontanamento del minore dal genitore alienante e collocazione in un luogo neutro
(collocazione provvisoria)
- Inizio delle visite con il genitore alienato
- Rilascio della collocazione provvisoria e collocazione del minore presso il genitore alienato;
contestualmente non ci devono essere visite tra il minore ed il genitore alienante
- Ripresa dei rapporti tra il minore ed il genitore alienante mediante telefonate monitorate
- Ripresa dei contatti mediante visite protette tra il minore e il genitore alienante
- Visite protette del minore presso la casa del genitore alienante
Come è agevole notare, Gardner tratta la PAS come una patologia dalla quale il minore deve
essere difeso. Il genitore alienante rappresenta il fattore di rischio da cui il minore deve essere
allontanato, anche con mezzi drastici se necessario, mentre il successivo trattamento ha il duplice
scopo di consentire al minore di riappropriarsi del genitore alienato e di ridimensionare
drasticamente il ruolo del genitore alienante.
I tre diversi livelli di intervento si differenziano per il grado di incidenza della collocazione
provvisoria e sulla tipologia del trattamento terapeutico.
Nel livello di PAS più blando, la collocazione del minore può essere presso l’abitazione di un
conoscente, un amico o un parente (caretaker) e il supporto terapeutico può limitarsi ad una
verifica del rispetto delle prescrizioni.
In caso di fallimento, si dovrà attivare la fase due, ossia, il collocamento del minore in una
comunità adeguatamente attrezzata, sia per impedire intrusioni del genitore alienante, sia offrire al
minore un adeguato sostegno psicologico.
Nei casi più gravi, il minore dovrà essere collocato presso una struttura ospedaliera per circa trenta
giorni. Successivamente sarà collocato presso la casa del genitore alienato con affidamento
esclusivo.
Secondo Gardner, quindi, qualsiasi intervento di contrasto della PAS medio grave deve
necessariamente prevedere la cesura dei rapporti con il genitore alienante.
Questo modello di intervento (che sul campo ha presentato un percentuale di successo prossima al
100% quando i suoi suggerimenti sono stati integralmente applicati dai giudici) è l’aspetto che più
ha suscitato critiche e che, almeno per quanto riguarda il sistema giudiziario italiano, presenta
alcuni rimedi non praticabili. Basti pensare all’arresto del genitore, al ricovero coatto in ospedale
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del minore alienato, oppure, alla diminuzione dell’assegno di mantenimento dei figli come
sanzione.
Queste evenienze potrebbero avere una qualche dignità giuridica solo in una diversa
qualificazione della PAS, di cui si dirà nella chiusa di questo lavoro.
Per quanto concerne la realtà italiana, lo studio della PAS è ancora in divenire. La pubblicazione
del volume “La sindrome da alienazione parentale (PAS) – lavaggio del cervello e
programmazione dei figli in danno dell’altro genitore (Gulotta, Cavedon Liberatore – Giuffre
2008) rappresenta il primo vero sforzo di inquadramento sistematico del fenomeno e, a detta di
parecchi operatori del settore, non si limita ad una ricognizione delle teorie di Gardner, ma offre
spunti di riflessione della teoria elaborata sulla PAS, nello sforzo di adeguare lo studio al contesto
italiano ed introdurre i correttivi utili per una concreta applicazione nel difficile lavoro quotidiano
a cui sono chiamati gli operatori giudiziari, siano essi giudici, psicologi o avvocati.
Dal punto di vista operativo, l’osservazione sul campo, purtroppo, ha dimostrato che la PAS di
livello grave assurge ad una patologia difficile da affrontare e, allo stato attuale, concede scarse
possibilità di successo.
Gli strumenti a disposizione del sistema giudiziario in questo campo sono limitati e, comunque,
scontano l’inevitabile margine di errore che sempre incombe su una materia difficile come questa.
I possibili errori diagnostici (la difficoltà a formulare una diagnosi corretta della PAS)3, eventuali
errori terapeutici (dovuti alla complessità di costruire un modello di intervento adeguato in un
contesto come la contesa giudiziale, in cui i CTU non possono confidare su un’alleanza
terapeutica con le parti, anzi, devono spesso a mettere in conto atteggiamenti simulatori), i limiti
operativi (l’avere a disposizione strutture e servizi adeguati per ogni specifico intervento), lo
stesso fattore tempo (Gardner considera assolutamente negativo concedere tempo all’alienazione,
auspica interventi immediati, mentre il nostro sistema giudiziario, per efficiente che sia, è
caratterizzano da tempi processuali che gli operatori ben conoscono), sono tutti elementi di fatto di
cui è necessario tenere conto, perché un intervento terapeutico inadeguato rischia di vittimizzare il
minore una seconda volta.
Al danno cagionato dalla PAS potrebbe sommarsi un danno da malpractis rimediale e portare il
minore ad un livello di tensione emotiva e condizionamento psicologico non più sostenibile, per
cui, nei casi di PAS grave le parti e, soprattutto i giudici, devono porsi il problema se, a quel
punto, sia utile un intervento rimediale, oppure, se non sia meglio limitarsi a prendere atto della
situazione e, semmai, adottare provvedimenti sanzionatori contro il genitore alienante.
3 Sui criteri da applicare per una corretta diagnosi, si legga La sindrome di alienazione parentale (PAS), G. Gulotta, A. Cavedon, M. Liberatore – Giuffre Editore – 2008.
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Dopo questa sommaria illustrazione della PAS, inevitabilmente carente e superficiale, si passa ad
esaminare due casi pratici in cui la sindrome è stata diagnosticata in sede di ctu. Essendo di moda
il politically correct, si esaminerà un caso di alienazione della madre ed uno di alienazione del
padre.
Per brevità espositiva ci si limiterà ad esaminare il quadro diagnostico formulato dal CTU perché,
ai fini del presente lavoro, appare utile valutare come la PAS entra nella causa e quali sono
decisioni dei tribunali dopo aver preso atto della presenza.
Un esempio di PAS - Il padre aliena la madre
Di seguito si rappresenta il profilo diagnostico della PAS in un caso di permanente vessazione
psicologica a danno di due figlie minorenni, alle quali, il padre, con false rappresentazioni dei fatti
e artificiose condotte, ha inculcato l’idea che la loro madre sia una snaturata. Il CTU, incaricato di
svolgere la consulenza tecnica sistemico relazionale, descrive lo stato della relazione e suggerisce
al tribunale i possibili rimedi.
La coppia, con tre figlie, di cui una maggiorenne e due minorenni, era in fase di separazione
giudiziale, iniziata dopo varie vicissitudini e dissidi.
Tra i vari motivi della disputa, il marito, che esercitava l’attività di commercialista, rimproverava
alla moglie di aver maturato la decisione di separarsi nel periodo in cui lui era stato arrestato per
associazione per delinquere finalizzata alla frode fiscale. D’altro canto, la moglie rimproverava al
marito una condotta professionale spregiudicata e dissennata, che aveva condotto a pesanti
esposizioni debitorie e, per l’appunto, cagionato gravi ripercussioni anche sul piano familiare.
Nel corso della separazione la moglie ha più volte segnalato l’accadimento di fatti ambivalenti: dal
ricevere in ufficio misteriosi mazzi di rose rosse, al subire atti di danneggiamento alla propria
autovettura (compreso la svitamento dei bulloni delle ruote). La moglie ha denunciato persino di
aver subito una sorta di rapina in casa del tutto strana: una notte una masnada di sconosciuti,
travisati e armati di pistole e coltelli, è penetrata nella sua abitazione, l’ha terrorizzata e se ne è
andata, senza rubare o toccare alcunché. Il giorno successivo la moglie, nel denunciare l’accaduto
ha scoperto che, mentre si svolgeva questa insolita rapina, l’autovettura del marito era
parcheggiata poco distante dalla casa.
Lo stato dei rapporti è ampliamente illustrato nei passi estrapolati dalla relazione della CTU dai
quali si ravvisano tanto l’intenzionalità della condotta alienante, quanto il pregiudizio della stessa
a danno delle figlie. Si legge infatti:
“Il padre, avendo subito una separazione totalmente indesiderata, continua imperterrito a
negarne l’esistenza, nell’attesa di una riconciliazione”. Ed ancora: “Per raggiungere l‘obiettivo
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della riconciliazione, per altro, egli sembra aver scelto la strada alquanto pericolosa per le sue
figlie, sperando che, privando la moglie dell’affetto delle figlie minori, questa sia costretta a
tornare sui suoi passi, pur di evitare un simile dolore”.
Questo è quindi un caso particolare, in cui la PAS è agita in chiave strumentale per ottenere un
secondo risultato: il ritorno della moglie. Il genitore alienante ha scientemente deciso di alienare le
figlie alla madre per costringerla a rientrare. Essendo infatti lui ben consapevole del grande amore
che la madre nutriva per le figlie ha inteso usarle come strumento per ricattarla moralmente e
indurla a rivedere le proprie scelte.
“Egli infatti, pur dichiarandosi totalmente favorevole ad una ripresa tra madre e figlie, in loro
presenza, si rivolge alla moglie con un atteggiamento talmente sprezzante e svalutante da
comunicare tutt’altro che disponibilità verso di lei. In occasione del compleanno di una figlia -
per fare un altro esempio - ha addirittura accompagnato la festeggiata a restituire alla madre il
regalo che precedentemente aveva ricevuto da lei.
L’aspetto più preoccupante però, è senza dubbio rappresentato dal fatto che il padre non presenta
alcuna consapevolezza delle ripercussioni che simili atteggiamenti/comportamenti, possono
produrre sullo sviluppo psico-affettivo delle figlie, le quali di fatto, stanno interiorizzando
un’immagine materna profondamente negativa, di cui non riescono a portare in salvo nulla.
Invitato a riflettere su questi atteggiamenti, infatti, il padre non solo non mostra alcuna capacità
autocritica, ma – nel corso delle interazioni – appare addirittura compiaciuto dal fatto che due
figlie minori lo difendano a spada tratta, contro la sorella maggiorenne”.
Ed ancora: “Il padre, dal canto suo – seppur aiutato a comprendere – non riesce a quantificare il
danno che, con il suo atteggiamento, sta procurando alle due figlie minori: la negazione della
separazione, unita alla convinzione che prima o poi la moglie tornerà, rappresentano una sorta di
condanna, non solo per lui, ma anche per le figlie, che ahimé condividono con lui le stesse
speranze ed il medesimo vissuto di tradimento e delusione. L’incapacità di preservare le figlie da
questi vissuti, fa di loro delle convinte sostenitrici della sua causa.
L’aspetto più drammatico e preoccupante di questa dinamica, però, è rappresentato
dall’incapacità del padre di riconoscere che così facendo, egli antepone i propri bisogni ed i
propri interessi a quelli delle figlie”.
Le conseguenze più devastanti sono pagate dalla figlia più piccola, che “si schiera contro la
madre con fare freddo e distaccato, dimostrando una totale incapacità di empatizzare con il
vissuto materno, il suo dolore ed il suo dramma. Tale incapacità rappresenta un fattore di rischio
assai pericoloso, che può tradursi in un deficit sul piano dell’identità e della piena realizzazione
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personale, relazionale e psicoaffettiva, da cui inevitabilmente ne deriva una profonda sofferenza
psichica”.
Ancora, il padre: “non consente di sciogliere il patto di lealtà stretto con le figlie minori,
ostacolando l’accesso alla figura materna. Inoltre, le continue svalutazioni operate dal padre nei
confronti della ex moglie, continuano a sminuire la figura materna agli occhi delle figlie,
delegittimando il suo ruolo ed il suo operato”; ne deriva che “di conseguenza, esse mantengono
nei confronti della madre un atteggiamento profondamente oppositivo ed ostile, permettendosi di
giudicare qualsiasi suo intervento, sulla base di quanto loro riferito dal padre. Entrambe, quindi,
stanno interiorizzando l’immagine di una madre profondamente svalutata ed incapace, con la
quale è impossibile identificarsi o semplicemente essere d’accordo, persino quando le sue ragioni
sono palesi”.
In questo caso la CTU, nella successiva relazione di aggiornamento, ha concluso che le figlie, sino
a quel momento collocate presso il padre con affido condiviso, avrebbero dovuto essere sottratte al
padre e collocate presso la madre con le modalità di un affido esclusivo.
Tuttavia, il Tribunale, dopo aver assunto l’audizione delle figlie minori, ha disposto che restassero
affidate al padre con affidamento esclusivo, rinunciando a prescrivere visite con la madre sulla
base dell’espresso rifiuto manifestato da queste nel corso dell’audizione.
Un altro esempio di PAS: la madre aliena il padre
Dal punto di vista statistico, la maggior parte di casi la PAS è agita dal madre, in quanto è molto
spesso il genitore collocatario.
In questo caso, relativo ad una famiglia con due figli, a chiedere la separazione è stato il marito.
La moglie ha tentato di recuperare il rapporto, vivendo la separazione con intensi sentimenti di
vergogna.
Quando il CTU ha iniziato il lavoro peritale, l’alienazione aveva raggiunto un livello tale da non
essere neppure riuscito ad organizzare gli incontri tra il padre ed i figli per l’assoluto rifiuto di
questi. Il CTU ha optato allora per un incontro familiare. Durante tutta la durata di questo la figlia
più piccola è sempre stata in braccio alla madre, con il viso rivolto all’indietro, in segno di rifiuto
del padre. La madre ha comunicato con il viso tutto il suo risentimento. Durante la fase della
separazione la madre ha sempre coinvolto i figli nel suo dolore, ad esempio, rendendoli testimoni
della sua sofferenza con frasi anche esplicite: “ho perso otto chili, ho rifiutato il cibo e pianto
tanto”. Durante il periodo di espletamento della CTU ha steso, con la collaborazione dei figli, la
lista delle presunte bugie espresse dal padre; ha lasciato che una figlia scrivesse una lettera
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rabbiosa contro il padre da consegnare al CTU; ha assecondato il rifiuto dei figli di incontrare il
padre a scuola.
La CTU, alla luce degli elementi emersi durante l’indagine peritale e, in particolar modo, in
considerazione della situazione psicorelazionale di rischio evolutivo per i minori, data la difficoltà
della madre di modificare il suo atteggiamento nei confronti della relazione dei figli con il padre, e
accertata l’instaurazione di una sindrome di alienazione genitoriale del padre, ha suggerito i
seguenti provvedimenti:
- affidare i minori al servizio sociale con collocamento presso la dimora della madre.
- Il servizio sociale dovrà incaricarsi di ristabilire in modo graduale un calendario di
incontri e contatti telefonici tra i minori ed il padre verificando che questi si
realizzino puntualmente.
- Affinché tali incontri possano realizzarsi con il minor conflitto possibile, per
agevolare il riavvicinamento dei bambini al padre e per aiutare i minori a gestire il
confronto con la madre relativamente al loro rapporto con il padre, si suggerisce di
introdurre la figura di un educatore domiciliare con preferenza per una figura
femminile. Tale educatore avrà il compito di accompagnare i minori durante le
uscite con il padre, facilitare il contatto telefonico con lo stesso e aiutare i bambini
a gestire spazi di autonomia dal controllo della figura materna al fine di favorire il
libero sviluppo di una propria identità.
- Inoltre è auspicabile che tanto i minori quanto i genitori seguano un percorso
psicoterapico di tipo sistemico.
- Si suggerisce di rivalutare la situazione familiare dopo 6 mesi dalla data di
attuazione delle disposizioni.
- Nel caso in cui, dopo tale termine, non si ravvisino miglioramenti nella relazione
tra i minori ed il padre, specialmente a causa di interferenze materne, è da
ipotizzare l’affidamento a terzi.
Dopo un breve periodo di osservazione i Servizi Sociali sono stati costretti a relazionare, prima
della scadenza dei sei mesi a causa del fallimento del piano terapeutico.
Invero, si era fatto leva sulla madre, allettandola e rappresentandole di essere l’unica persona
“capace” di poter “convincere” i figli a vivere del proprie posizioni riguardo al padre. Aderendo
così alle teorie di Jacobs (Il Complesso di Medea” - 1988), secondo le quali, solamente il genitore
alienante può sciogliere il mandato, più o meno esplicito, di alienare l’altro genitore, mentre il
sostegno psicologico ai figli è risultato addirittura controproducente, in quanto li ha esposti ad un
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maggiore rischio di essere percepiti come possibili “traditori”, aumentando quindi le pressioni
emotive.
Purtroppo, la madre non ha accettato di assumere questo ruolo chiave e, invece di contestare ai
figli l’assurdità delle loro affermazioni, ha “rispettato” i sentimenti e tollerato le ripetute
manifestazioni di maleducazione e diffamazione.
La madre ha esplicitamente affermato di considerare le visite del padre come un “dispetto” e”se
uno si comporta male e non c’è giustizia, la giustizia me la faccio io”.
A fronte della proposta di organizzare almeno un incontro al mese con il padre e i figli, la madre
ha accettato, ma ha preteso di essere presente agli incontri.
Il primo incontro è consistito nel giocare a monopoli ma, mentre il figlio, pur senza neppure
togliersi il cappotto, si è sforzato di giocare con il padre, la figlia si è rivolta verso la madre ed ha
iniziato un pianto sommesso, quasi una litania, senza lacrime, per circa un’ora, sino a portare
all’esasperazione ed a costringere l’interruzione della visita.
Al secondo incontro non si è presentato nessuno.
La madre, tramite il proprio avvocato, ha giustificato l’assenza affermando di non aver potuto
accompagnare i figli all’appuntamento prefissato perché avrebbe perso improvvisamente la
coscienza, di aver sofferto di totale amnesia degli avvenimenti recenti e di sentirsi ancora in stato
confusionale.
Al terzo incontro, la figlia ha ripetuto il suo atteggiamento e per circa un’ora è stata voltata con lo
sguardo verso la madre, che si trovava in fondo alla sala. Il figlio ha invece giocato a risiko con il
padre più spontaneamente ma, alla fine dell’incontro, il figlio ha rivestito i panni del bimbo
arrabbiato e anche lui ha affermato di non voler più vedere il padre. All’osservatore è parso che il
figlio non riuscisse più a tollerare ed a gestire questa ambivalenza.
A quel punto le visite sono state sospese e la relazione depone nel seguente modo: “Riguardo ai
minori, l’esperienza passata, unitamente al profondo malessere anche fisico, dichiarato dalla
madre (svenimenti, perdita di coscienza, stato confusionale) fa purtroppo ipotizzare, oltre ad un
rischio psicopatologico importante anche il rischio di agiti familiari sul piano comportamentale.
Si condivide, pertanto, la posizione di Gardner (1999) e precisamente: “nei casi di PAS di tipo
grave, il conflitto di lealtà del bambino risulta così acuto da rendere impossibili gli incontri. I figli
dimostrano di avere una relazione di Folie à Deux con il genitore alienante condividendone le
idee paranoici…. E’ necessario mettere in atto la misura giudiziaria più severa: trasferire la
residenza del figlio nella casa dell’altro genitore… o provvedere ad una sistemazione intermedia
in un luogo di transizione (transitional site).
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Considerata la gravità della situazione si rimanda pertanto a codesto TO ogni decisone in merito
alla protezione dei minori”.
Il tribunale ha disposto l’affidamento dei minori ai servizi sociali ed ha mantenuto il collocamento
presso la madre.
La PAS nella letteratura
Le teorie di Gardner sulla PAS hanno sollevato adesioni ma anche dissensi nella letteratura
scientifica, sulla base di argomenti che si differenziano per i criteri di analisi del fenomeno.
Secondo altri autori, la PAS può essere considerata un sottoinsieme patologico di PA (Hoult
2006).
Tra le voci dissenzienti (alle quali aderiscono, in particolare, alcuni movimenti che contrastano la
pedofilia), si contesta che la similitudine dei sintomi della PAS con l’abuso sessuale aprirebbe una
pericolosa china che consentirebbe ai pedofili di agevolmente sfuggire alle proprie responsabilità4.
Per altri, le risposte che Gardner propone sarebbero solo di tipo processuale, perché la PAS
troverebbe la sua eziologia nel processo, o meglio, nella paura che tramite il processo i figli siano
sottratti al genitore, ed è questa paura che farebbe scaturire le manovre alienatorie. La teoria di
Gardner si limiterebbe a contrastare il fenomeno con strumenti giudiziari, mentre invece il
problema dovrebbe essere gestito sul piano strettamente terapeutico. Si obbietta che la PAS, in
realtà, non sia una sindrome, ma solo un particolare disturbo del rapporto tra adulto e bambino, le
cui cause possono essere le più varie (Surface 2009). Essa non può essere descritta come disturbo
psicologico e neppure essere adottata come valido argomento legale perché priva di fondamento
clinico.
Sempre secondo questa corrente di pensiero, si dovrebbe semmai introdurre il concetto di
"alienazione parentale" (PA) o "bambino alienato", che descrive un fenomeno reale vissuto da una
minoranza dei bambini nel contesto delle controversie in materia di divorzio e di affidamento. Il
"bambino alienato” sarebbe come colui che esprime liberamente e con insistenza, irragionevoli
sentimenti negativi (come rabbia, odio, rifiuto e / o la paura) nei confronti di un genitore,
sproporzionati rispetto alla reale esperienza.
Di regola, il rifiuto di un genitore sarebbe ben giustificato dai maltrattamenti e dagli abusi che il
minore avrebbero sofferto a causa degli agiti del genitore alienato, per cui la vera alienazione
ingiustificata rappresenterebbe una casistica molto limitata.
4 Si veda, ad esempio il sito www.bambinicorragiosi.com - gennaio 2010.
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Più che di bambini "alienati" sarebbe quindi preferibile utilizzare il termine "allineamento”, ossia,
di bambini "allineati" con il genitore a cui sono affidati in un'ostilità contro l'altro, ostilità che in
ogni caso scomparirebbe nel giro di due anni (Johnston 2003).
Non è certamente questa la sede per dirimere le opinioni contrastanti ma, dall’esperienza maturata
nell’esercizio della professione, e dal confronto con parecchi altri colleghi impegnati sul campo, è
possibile affermare che il fenomeno dell’alienazione genitoriale, certamente in forma graduata nei
vari livelli, è purtroppo assai diffuso e afferisce parecchi casi in cui il genitore alienato non ha mai
posto in essere maltrattamenti di sorta. Ed infatti, le accuse che gli vengono mosse sono spesso
banali, per non dire risibili, laddove ben altro si potrebbe dedurre se invece il rifiuto trovasse
fondamento in gravi condotte poste in essere.
Anche le accuse di abuso sessuale, soprattutto nella forma delle molestie, spesso sono verbalizzate
dai minori con una distonia emotiva del tutto incongruente e secondo una dinamica fattuale a dir
poco inverosimile, quasi temeraria.
Per quanto invece concerne il fondamento clinico, effettivamente queste teorie obbiettano che la
PAS in realtà non sia neppure una sindrome, intesa in senso medico diagnostico, di talché, è un
errore tecnico scientifico parlare di un quadro patologico laddove non vi è una patologia,
clinicamente riconosciuta.
Infatti, i manuali diagnostici universalmente riconosciuti, il DSM IV rev.5, e l’IDC 11 non
contemplano la PAS nel novero dei disturbi patologici.
Tuttavia, nel corso del mese di Novembre 2009, una sessantina tra psichiatri, psicologi ed avvocati
provenienti da tutto il mondo, sollecitati dal William Bernet, hanno elaborato uno studio che è
stato pubblicato nel mese di Marzo 2010 sulla rivista American Journal of Family Therapy, mentre
si è in attesa della pubblicazione di un secondo studio, con lo scopo di chiedere al presidente della
Commissione “disturbi dell’infanzia e dell’adolescenza, che si sta occupando della redazione del
DSM V, di riconoscere l’Alienazione parentale o come disturbo mentale (Disturbo di Alienazione
Parentale), oppure, come problema relazionale (Sindrome di Alienazione Parentale, PAS) e da
inserire nelle diagnosi differenziali dei disturbi che si manifestano nei bambini e negli adolescenti.
Il medesimo studio ne propone l’inserimento anche nell’ICD 11, nel capitolo “disturbi
comportamentali o emozionali che si manifestano generalmente nell’infanzia o nell’adolescenza”,
oppure, nei capitoli che includono le sezioni “altri problemi relativi ai gruppi di primario supporto,
incluse circostanze familiari” e “problemi relativi ad altre circostanze legali”.
5 American Psychiatric Association (2000) DSM-IV-TR Diagnostic and Statistic Manual of Mental Disorders, Fourth Edition, Text Revision,. Trad.it. (2001) DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, Masson, Milano.
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Il livello più basso di condizionamento sarebbe da circoscrivere nella sfera definita Alienazione
Parentale, mentre i livelli più gravi, in cui compaiono tutti gli otto sintomi teorizzati da Gardner,
sarebbero da ricondurre nella PAS.
Nell’intento dei postulatori dell’istanza vi è il convincimento che la PAS non sia semplicemente
un’aberrazione della vita familiare, bensì, una seria condizione mentale, foriera di gravi
conseguenze plurilesive. Subisce conseguenze non solo il minore, ma anche il genitore alienato,
che corre il rischio di accusare depressione cronica o ansia.
Le peggiori conseguenze sono sofferte dal minore, nei confronti del quale non è neppure agevole
definire quali potrebbero essere gli effetti disturbanti in fase evolutiva dovuti ad una protratta
esposizione alla sofferenza ed alla tensione emotiva.
Secondo uno studio di Glenn F. Carwright, del Dipartimento di Psicologia e Consulenza
Educativa di Montreal6, l’alienazione eccessiva può scatenare malattie mentali nel bambino. Una
delle risposte dei bambini di latenza (6-12 anni) al conflitto dei genitori è quello di agire, in modo
disturbato e diffusamente espositrici: ansia, tensione, depressione e malattie psicosomatiche. Una
considerazione particolare deve essere prestata a ciò che accade a lungo termine ai bambini che
sono alienati: in un caso, un figlio alienato ha tentato di avvelenare il padre.
Il rischio di tale comportamento aumenta in modo direttamente proporzionale alla quantità di
alienazione vissuto dal bambino a casa.
Forse la più grande lacuna nella comprensione della sindrome rimane la mancanza di conoscenza
di ciò che accade alle vittime della PAS nel medio e lungo termine.
Le conseguenze a breve termine sono note ed evidenti. L'alienante sperimenta la dolcezza della
vendetta e l'emozione di "vittoria". Il genitore non affidatario sperimenta il dolore della perdita di
un figlio. I nonni, parenti e amici sono colpiti in misura simile. Ma molto più grave è l'effetto sul
bambino, che sperimenta una grande perdita, la cui entità è paragonabile alla morte di un genitore,
dei nonni, di tutti i parenti e gli amici, tutto in una volta!
Si può facilmente osservare che ciò rappresenta una perdita incredibile per un bambino ancora più
grande che la morte effettiva di un genitore. Inoltre, poiché il bambino è incapace di riconoscere la
perdita, e tanto meno di piangerla, diventa una tragedia di proporzioni monumentali più
importante nella vita del bambino, la cui gravità non può essere sopravvalutata.
Nella delicata fase evolutiva il figlio subisce l’irrimediabile pregiudizio nella elaborazione
introspettiva del “genitore interno”, e tale lesione costituisce un fattore di rischio per l’evoluzione
di un disturbo di personalità che potrà emerge ed essere diagnosticabile solo in fase post
adolescenziale.
6 www.education.mcgill.ca
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La prolungata assenza (rispetto alla perdita iniziale) del genitore perduto (e di nonni, parenti e
amici) compromette l’interazione del giorno per giorno, l'apprendimento, il sostegno e l'amore che
scorre normalmente da genitori e nonni. Mentre nel caso di morte tale perdita è inevitabile, nel
caso di PAS una tale perdita è del tutto evitabile e quindi imperdonabile.
Mentre secondo alcuni autori dopo circa due anni il minore alienato normalmente ha superato ogni
conseguenza dovuta alla perdita del genitore alienato, secondo altra letteratura, tutte le persone
coinvolte nel PAS a lungo termine soffrono un certo grado di malessere.
La PAS nei tribunali italiani
Nelle aule dei tribunali civili il fenomeno della disfunzione relazionale del rapporto genitore-figlio
ha trovato ormai un valido riconoscimento, anche a prescindere dalle diverse qualificazioni date
dalla letteratura scientifica7.
E’ ormai abbastanza acquisito che le manovre di alienazione a danno di un genitore costituiscono
un’evenienza assai ricorrente e, sia la giurisprudenza di merito, che di legittimità, le considerano
pregiudizievoli sia per il minore che per il genitore alienato8. Quando la conflittualità tra coniugi
inizia ad avere ripercussioni sul rapporto tra un genitore e la prole, i tribunali, per disincentivare
eventuali propositi alienatori, si sono ormai uniformati al principio secondo il quale la mera
conflittualità genitoriale non è di per sé sufficiente a derogare all’applicazione del principio
dell’affidamento condiviso9.
7 Corte di cassazione, n. 317 del 15.01.1998: “la circostanza che un figlio minore, divenuto ormai adolescente e perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle loro motivazioni, provi nei confronti del genitore non affidatario sentimenti di avversione o addirittura di ripulsa (…) costituisce fatto idoneo a giustificare anche la totale sospensione degli incontri tra il minore stesso e il genitore affidatario”. 8 In Gran Bretagna o Scandinavia essa è equiparata allo stalking. In Florida, invece, è comunque riconosciuta come malattia (www.figlipersempre.org.) 9 Ex multis, Corte Appello di Roma Sent., 26 novembre 2008: “In materia di affidamento dei figli minori, la nuova formulazione dell’art. 155, comma primo, c.c., interamente sostituito dall’art. 1, comma primo, della L. n. 54 del 2006, ha espressamente sancito il diritto del figlio minore, anche in caso di separazione personale dei suoi genitori, di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi, e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Corollario di tale diritto è la prioritaria valutazione, da parte del giudice, della possibilità che il figlio minore sia affidato ad entrambi i genitori, restando l’affidamento monogenitoriale limitato al caso residuale in cui il giudice ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore. In tal senso, la sola conflittualità esistente tra i genitori non è motivo sufficiente per ritenere contrario all’interesse dei figli il loro affidamento ad entrambi, atteso che far dipendere la scelta del regime di affidamento, esclusivo o condiviso, dal più o meno armonico rapporto esistente tra i genitori separati, significherebbe subordinare il primario diritto dei figli alla mera qualità dei rapporti tra i genitori, i quali potrebbero addirittura strumentalizzare il loro conflitto al fine di acquisire un maggiore potere di reciproca interdizione alla piena relazione morale e materiale di ciascuno con la prole, vanificando di fatto il fondamentale diritto dei minori a vivere da figli di entrambe le figure parentali. L’ostacolo alla bigenitonalità va, pertanto, ravvisato e motivato, ove esistente, esclusivamente nell’ambito del rapporto diretto tra il figlio e il singolo genitore, che configuri una situazione di pregiudizio o anche di mero disagio per lo stesso minore tale da giustificare la limitazione del medesimo rapporto. Nella specie, pertanto, la forte situazione di conflittualità intercorrente tra gli ex coniugi, a fronte del legame dei minori mostrato in egual modo per entrambi i genitori, non giustifica un affidamento esclusivo dei medesimi”.
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In caso di elevata conflittualità genitoriale, peraltro, non sono rare le pronunce di merito che
dispongono l’affidamento ai servizi sociali, pur mantenendo la collocazione presso uno dei
genitori10.
Sotteso a questo principio, ormai ampliamente applicato, vi è proprio l’assunto che, fomentare la
conflittualità genitoriale per ottenere l’affidamento dei figli, non costituisce strategia processuale
proficua.
Altre pronunce hanno iniziato anche a concedere un ufficiale riconoscimento alla PAS. La prima
espressa menzione si ritrova in un’ordinanza del 19.06.1998, emessa dal Tribunale per i
Minorenni di Milano, mediante la quale un minore che viveva con il padre è stato affidato ai
servizi sociali in quanto: “tra i due si era instaurato un rapporto gravemente lesivo della integrità
psicologica del minore: quest’ultimo stava progressivamente, infatti, assumendo i tratti paranoici
della personalità del padre e appariva affetto da quella che alcuni esperti chiamano “sindrome da
alienazione genitoriale”.
Ancora il Tribunale per i Minorenni di Milano, con il decreto del 06.10.2006 è intervenuto a
regolamentare un affidamento, motivando che: “… la situazione psichica del minore appare assai
preoccupante giacché sembra in atto, in fase di esordio, una “sindrome da alienazione parentale”
e un tentativo, in parte riuscito, ma ancora trattabile, di estromettere la figura del padre da parte
della mamma. Affida il minore al Comune, con collocamento presso la madre e limitazione
dell’esercizio della potestà da parte di entrambi i genitori come sopra indicato, con esercizio
disgiunto della potestà da parte dei genitori con riferimento alla decisioni di ordinaria
amministrazione nel periodo di convivenza di ciascun genitore con il figlio.
La Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza del 13.02.2009, ha riformato un provvedimento del
giudice di prime cure con il quale era stato disposto che, in considerazione della situazione di
incomunicabilità tra il minore ed il padre, e dell’eccessivo attaccamento del minore alla madre, era
stato ritenuto “né utile né possibile, allo stato, imporre incontri o precisi periodi di permanenza
tra la figlia e il padre” ed era stato disposto che fossero i servizi sociali a gestire i rapporti tra
padre e figlia. Si è doluto della decisione il padre e la Corte d’Appello, ha accolto il suo reclamo,
affermando che “la sindrome che sembra in atto, di alienazione genitoriale, determinata dalla
madre nei confronti del padre, sembra imporre immediate misure che non possono certo avere
l’effetto concreto di una conferma giudiziaria del rapporto patologico con la madre (ché anzi, ove
10 Ex multis, Corte d’Appello di Bologna, 16 maggio 2008: “Se l'elevatissima conflittualità tra i genitori, e il suo continuo riverberarsi anche sui figli, preclude l'affidamento condiviso se l'affidamento unilaterale non può essere prospettato per le peculiari personalità delle parti, va confermata la decisione di primo grado che, all'esito del giudizio di separazione, ha affidato ex art. 155, co. 2, c.c. i minori ai servizi sociali e ha limitato l'esercizio della potestà da parte della madre, genitore collocataria, alla sola ordinaria amministrazione”.
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la madre non receda immediatamente dagli atteggiamenti distruttivi in questione, ella dovrebbe,
probabilmente, a salvaguardia della figlia, essere esclusa dall’affidamento). La Corte ha concluso
stabilendo le visite in orari e giorni prestabiliti, disponendo un percorso di mediazione familiare
per cercare di ricostruire un minimo di dialogo genitoriale. Anche in questo caso, il concetto di
alienazione genitoriale è stato utilizzato dai giudici per descrivere e sintetizzare una condizione di
inaccettabile stortura relazionale, alla quale hanno posto rimedio senza titubanze.
Ancora, la Suprema Corte, con la sentenza Cass. civ. Sez. I Sent., 18 giugno 2008, n. 16593, ha
riprovato il comportamento gravemente screditatorio posto in essere dalla madre nei confronti del
padre, ed ha individuato un parametro di giudizio utile a distinguere la conflittualità genitoriale, a
cui si correla l’affidamento condiviso, dal pregiudizio arrecabile al minore, che può giustificare
l’applicazione del regime di affidamento esclusivo: “In tema di separazione dei coniugi,
l'affidamento condiviso, il quale attribuisce l'esercizio della potestà genitoriale ad entrambi i
genitori, si pone come regola rispetto alla quale costituisce, invece, eccezione la soluzione
dell'affidamento esclusivo; a tale regola può derogarsi solo ove la sua applicazione risulti
pregiudizievole per l'interesse del minore come ad esempio nel caso in cui uno dei genitori risulti
manifestamente carente o inidoneo dal punto di vista educativo o comunque in una condizione
tale da rendere, appunto, quell'affidamento in concreto pregiudizievole. La mera conflittualità fra
coniugi, invece, non può ragionevolmente precludere l'affidamento condiviso poiché altrimenti,
l'istituto in questione risulterebbe evidentemente applicabile solo in via residuale, finendo di fatto
con il coincidere con il vecchio affidamento congiunto”.
Il regime di affidamento condiviso può essere superato solo in presenza di un duplice giudizio:
“affinché la prole venga affidata esclusivamente ad uno di essi, è necessario che l'affidamento
condiviso sia valutato pregiudizievole per il minore o risulti nei confronti dell'altro una
condizione di manifesta carenza o inidoneità educativa (come nel caso, ad esempio, di una sua
anomala condizione di vita, di insanabile contrasto con i figli o di obiettiva lontananza). Ad ogni
modo, il giudizio di esclusione della modalità dell'affidamento condiviso dovrà essere motivato
non solo "in positivo", attraverso l'idoneità del genitore affidatario, ma anche "in negativo",
descrivendo l'inidoneità educativa del genitore affinché venga escluso dalla bigenitorialità”
(Cass. civ. Sez. I., 18 giugno 2008, n. 16593).
Non mancano tuttavia casi in cui la PAS ha raggiunto livelli talmente gravi da indurre i giudici a
prendere atto dell’impossibilità di recuperare le visite tra figli e genitore alienato.
Nei casi pratici accade che il tribunale, ritenendo la situazione troppo compromessa, non disponga
l’allontanamento del figlio dal genitore alienante, ma opti per l’affidamento esclusivo a favore di
quest’ultimo, rinviando la ripresa delle visite con il genitore alienato a tempo indeterminato, sulla
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base dell’osservazione dell’evolversi della situazione da parte dei servizi sociali. Questa tipologia
di decisione, che pure trova un supporto clinico dignitoso (atteso che, come in precedenza
illustrato, i casi di PAS grave non si prestano a rimedi e si risolvono solo quando il genitore
alienante desisterà dai suoi propositi), se è valutata come il male minore per la prole, al cospetto
del genitore alienante rischia di assumere i connotati di una vittoria con resa incondizionata.
Premesso che ogni caso deve essere giudicato nei suoi contorni precipui, e che non è opportuno
assumere a priori criteri generalizzati, tuttavia, a parere di chi scrive, la condotta del genitore
alienante non può trovare solo una valutazione limitata alle conseguenze civili.
La PAS e i possibili profili penali
Nei casi in cui la PAS è diventata grave si dovrebbe valutare il profilo delle responsabilità, anche
penali, a carico del genitore alienante. E questo è l’ultimo argomento con cui si vuole concludere
il presente lavoro, ossia, valutare se alla luce dell’attuale quadro normativo, la condotta del
genitore alienante che cagiona una PAS, medio grave, può integrare la violazione di una
fattispecie penale. Lo scenario, purtroppo, non è molto confortante per nessuna delle ipotetiche
persone offese, ossia, il minore e il genitore alienato, perché, come abbiamo visto, la PAS ha
modalità di consumazione assai subdole (anche attraverso il ricorso a manovre indirette), mentre
le norme penali attualmente in vigore non presentano profili così specifici.
Per quanto concerne la tutela dei diritti del genitore alienato, nella qualità di persona offesa, la
fattispecie più connaturata è rappresentata dall’art. 388 c.p., Mancata esecuzione dolosa di un
provvedimento del giudice, nella fattispecie di cui al secondo comma, laddove si punisce con la
pena della reclusione fino a tre anni o con una multa, “chi elude l’esecuzione di un provvedimento
del giudice civile, amministrativo o contabile, che concerna l’affidamento dei minori o di altre
persone incapaci (...)”.
La giurisprudenza di legittimità ha più volte ribadito che tra i doveri del genitore affidatario rientra
quello di favorire, a meno che sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto del
figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le figure genitoriali sono centrali e
determinanti per la crescita equilibrata del minore. L’ostacolare gli incontri tra il genitore non
collocatario ed il figlio, fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri
sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del secondo.
A prima vista la norma pare di pronta applicazione, ma vi sono alcuni orientamenti interpretativi
che rischiano di non renderla applicabile ai casi di PAS. Da un lato, vi è un risalente orientamento
secondo il quale: “L’obbligato non è tenuto all’esecuzione volontaria del provvedimento, per cui
se è possibile l’esecuzione forzata non vi è elusione “ (Cass. 31.07.1967). Questo orientamento,
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nel caso di provvedimenti che concernono l’affidamento dei minori è superato dal più recente
orientamento secondo il quale: “Integra la condotta elusiva dell’esecuzione di un provvedimento
del giudice civile concernente l’affidamento del minore anche il mero rifiuto di ottemperarvi da
parte del genitore affidatario, quando l’attuazione del provvedimento richieda la sua necessaria
collaborazione” (Cass. Sez. Pen. IV, 5 marzo 2009, n. 27995). Dall’altro, il dolo può essere
escluso “dal rifiuto del minore ad incontrare il coniuge non affidatario, perché l’affidatario può
essere stato mosso, nel rifiutare il diritto di incontro, dall’interesse materiale e morale del
minore” (Cass. 04.06.1999, Antonietti - CED 214690) e non è necessario spendere troppi
argomenti per evidenziare come la prova dibattimentale, sul punto, può divenire quasi diabolica.
Per quanto concerne il genitore alienato ci sono altre norme con le quali potrà invocare la tutela
penale contro il genitore alienante, ma per condotte più mirate, che potranno fare da corollario alla
dinamica del conflitto ma che possono anche esulare dalla PAS (si pensi all’usuale contestazione
dei reati di ingiurie e diffamazione).
Una fattispecie di reato astrattamente in grado di tutelare la posizione del genitore alienato è il
reato di violenza privata, di cui all’art. 610 c.p.. Se sarà tendenzialmente agevole dimostrare la
compromissione del diritto ad esercitare la funzione genitoriale, più complesso sarà dimostrare la
consistenza della violenza o della minaccia subita, che può essere anche morale, ma deve essere
agita nei suoi confronti con intenzionalità dolosa.
Si potrà sporgere querela per il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle
persone (393 c.p.), se la condotta posta in essere dal genitore alienante è palese, (ad esempio: non
ti faccio vedere il figlio se non mi paghi l’assegno). Se invece la condotta è più articolata, i
margini si sfumano e per l’imputato genitore alienante si possono aprire ampi spazi difensivi, che
vanno dal difetto di sussumibilità della condotta materiale nella fattispecie astratta, alla mancanza
dell’elemento psicologico, sino alla legittima difesa (anche putativa) del diritto altrui.
Per quanto invece concerne la tutela del minore, vittima della PAS, la fattispecie di reato più
consona, allo stato è il reato di maltrattamenti, ex art. 572 c.p..
Il reato di maltrattamenti verso i figli minori è una fattispecie di reato abituale che presenta i
seguenti elementi costitutivi: la persistente e reiterata protrazione nel tempo e la persistenza
dell’elemento intenzionale; la materialità del delitto si concreta in una serie di atti lesivi
dell’integrità fisica o morale, tali da recare nella vittima un asservimento e che la stessa finisca per
subirli al di fuori e al di là di uno specifico fatto di violenza, ma nell’ambito delle complessive
sofferenze infertegli (Cass. Pen n. 7787/93). Lo stato di nervosismo o gelosia, tanto se morbosa,
non esclude l’elemento psicologico del reato di maltrattamenti (rappresentato dal dolo generico
che consiste nella coscienza e volontà di sottoporre un familiare ad una serie di sofferenze in
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modo continuo e abituale) ma costituisce, a volte, uno dei più pericolosi moventi dell’ipotesi
delittuosa de quo (Cass. Pen.n. 9694/82).
Il secondo comma dell’art. 572 c.p. prevede una circostanza aggravante qualora dagli atti di
maltrattamento derivi lesione personale grave o gravissima, o la morte.
I limiti edittali rendono applicabile l’arresto facoltativo in flagranza di reato, nonché, le misure
cautelari.
Il problema applicativo di tale norma consiste nel provare che gli atti di alienazione consumati sul
minore costituiscono maltrattamenti, nella forma della lesione dell’integrità morale. Accade
spesso che i pubblici ministeri siano piuttosto restii a formulare capi di incolpazione, dubitando,
da un lato, che in vicende così vischiose sia possibile superare l’onere della prova dibattimentale,
dall’altro, che l’intervento dell’Autorità penale sia strumentale a rafforzare le ragioni civilistiche.
Inoltre, anche a prescindere dall’opportunità di una duplicazione dei giudizi, una prudente
valutazione del caso potrebbe introdurre la necessità di assumere una consulenza psicologica o
psichiatrica, nelle forme dell’accertamento non ripetibile (o dell’incidente probatorio), con i ben
noti problemi connessi che questi atti comportano, con l’esigenza di sottoporre il minore ad
un’altra sessione di colloqui, il rischio di sovrapposizioni di quadri clinici e di un’inevitabile
vittimizzazione del minore.
Insomma, non è raro che le denunce-querele sporte esitino in una richiesta di archiviazione.
Non potendo quietamente prendere atto di queste oggettive difficoltà processuali sarebbe forse
opportuno trovare il modo per cercare di superarle, partendo da un maggiore collaborazione tra i
legali ed i CTU. Invero, il luogo privilegiato per diagnosticare la sussistenza della PAS è lo
svolgimento della ctu. Nei casi in cui il livello di alienazione è da considerare medio-grave,
sarebbe opportuno che, dopo l’avvenuto deposito della relazione che diagnostica la PAS, il legale
interessato formuli al tribunale una specifica richiesta di supplemento di ctu per chiarimenti, e che
il CTU, all’uopo autorizzato, rediga una breve relazione suplettiva in cui rappresenta
specificamente il pregiudizio che subisce il minore, i fattori di rischio a cui è esposto, le
conseguenze dannose, il grado di perdurante sofferenza patita, ossia, tutti quegli elementi che
possono consentire di prospettare se la condotta integra la fattispecie del maltrattamento morale.
Può apparire una richiesta ovvia, ma nella causa civile la ctu sistemico relazionale, che per prassi
viene applicata per rispondere al quesito, ha uno scopo diverso e, per quanto possa essere esplicita
nel descrivere il fenomeno dell’alienazione, la relazione del CTU, letta in chiave penalistica,
rischia di non essere esaustiva nel fornire l’effettiva prova del maltrattamento, atteso che la finalità
della consulenza è un’altra.
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Tale responso, oltre che utile al giudice civile ai fini della valutazione complessiva della causa,
sarebbe molto utile all’Autorità penale, in quanto si acquisisce un atto processuale, costituito dalla
relazione, dai test psicodiagnostici, con la relativa registrazione dei colloqui, ossia, tutto quanto è
utile per ricostruire un fatto di reato e, tramite l’audizione del CTU, si possono acquisire a SIT le
dichiarazioni di una persona informata sui fatti. Se il tutto non avrà il valore di prova diretta, avrà
certamente il valore probatorio di un quadro indiziario, preciso e concordante e, come noto, nei
casi di violenza assistita, i processi sono quasi sempre indiziari, posto che difficilmente è possibile
avere una testimonianza diretta su quanto è accaduto.
Se poi la PAS assurgerà a patologia, annoverata nel DSM V, la prova del maltrattamento sarà
ancora più evidente e si renderà possibile la contestazione del reato di lesioni, volontarie o
colpose.
Brescia, lì’ 15.05.2010 avv. Gerardo Milani
Bibliografia
Il legame disperante, V. Cigoli – Raffaello Cortina Editore - 1988.
La sindrome di alienazione parentale (PAS), G. Gulotta, A. Cavedon, M. Liberatore – Giuffre
Editore – 2008.
La sindrome di alienazione genitoriale, in Cigoli V., Gulotta G. & Santi G. (a cura
di), Separazione, divorzio e affidamento dei figli, - Giuffré, Milano, II Ed., pp 177-188.
An inter-rater reliability study of Parental Alienation Syndrome, Rueda C., in American Journal
of Family Therapy 2004; 32(5) 391-403 cit. in Meier 2009).