L’8 settembre della R. Nave Giulio Cesare · L’8 settembre della R. Nave Giulio Cesare Mario...

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La ribellione era partita dal personale di macchina ed era diretta dal Maggiore GN Fornasari e dal suo vice, il Capitano del GN Do- menico Spotti. La motivazione in sé (se vogliamo abbastanza comprensibile), era dettata dalla volontà espressa di non eseguire l’ordine, peraltro non conosciuto da noi nei suoi esatti termini, di portare la nave nei porti alleati: prima a Cattaro..., e poi ?... In buona sostanza chi ave- va preso questa iniziativa, esautorando così il Com.te Carminati, pensava di poter affondare la nave nei pressi di qualche sorgito- re lungo la sponda adriatica. Per fortuna, tutto questo però non durò a lungo, tanto è vero che già nella tarda mattinata del 10 que- sto tentativo abortì. Il Comandante Carminati con le accorate parole che la straordi- narietà del caso gli suggerivano e con la promessa che non avreb- be preso alcun provvedimento nei confronti dei responsabili, ripre- se il controllo della situazione e l’integrità del suo comando. Si procedeva a velocità più che ridotta, dato che non tutte le caldaie erano state attivate per la scarisità del personale “fuo- chista”, cosicché, giunti quasi al traverso di Bari intorno alle prime ore pomeridiane fummo oggetto di un repentino attacco di “Stukas” tedeschi, che per vera nostra fortuna non produs- se alcun danno. Io vidi tutto perfettamente, perché mi trovavo al momento sul pun- to più alto del torrione, ove era posizionata l’Apparecchiatura di Punteria Generale. Ricordo che era al suo posto di combattimen- to il Capo Specialista Direzione del Tiro di 1^ classe, di cui mi ram- mento anche il cognome: Langiu. Ricordo pure che l’unica reazio- ne da parte nostra fu quella di un “mitragliere” che sparò subito e spontaneamente alcune raffiche all’indirizzo degli apparecchi te- deschi, ma ormai questi, sganciate le bombe, eseguivano il loro al- lontanamento nella successiva cabrata. Anche a distanza di oltre settant’anni ad oggi certi accadimenti non si cancellano dalla nostra memoria. Ma ora desidero esprimere un mio pensiero al riguardo di quanto ho sunteggiato sin qui. Io – ultimo arrivato – senza avere peraltro nessun particolare incarico, dato il mio grado, ho avuto modo però di osservare molte cose della vita di bordo. A Pola, chi era libero dal servizio - specie gli ufficiali e molti sot- tufficiali - potevano scendere a terra e condurre così una vita qua- si borghese: negli alberghi cittadini o in appartamenti in affitto po- tevano ritrovarsi con i loro famigliari. Di uno di loro in particolare, sono più che certo, ma non mi sembra il caso di farne il nome, tan- to più che da un po’ d’anni non è più tra i viventi. Alla sera, invece, chi rimaneva a bordo aveva la possibilità di go- dersi la visione di qualche bel film, che veniva proiettato a poppa, dove sulla bella e spaziosa coperta erano sistemate comode se- die e poltrone, mentre i marinai stavano appollaiati dietro di noi sulle torri dei grossi calibri. Chi si occupava di tutto ciò era proprio il Guardiamarina Tentoni che era l’Ufficiale al dettaglio ed era mol- to apprezzato dal Com.te Carminati. Questi particolari possono apparire insignificanti, data l’atmosfe- ra generale di bordo, ma a mio avviso non sono da ritenere del tut- to superflui al fine di dare un contenuto più umano e veritiero al- l’episodio dell’ammutinamento sopra accennato. Con questo, peraltro, non intendo affatto muovere una critica a chi ha ritenuto di dover interpretare gli ordini di resa consegui- ti all’armistizio come un’offesa grave e intollerabile per l’onore, l’amore di Patria e le tradizioni note e comuni a tutte le Marine da guerra travolte da una sconfitta. Le navi non si consegnano al nemico! Gli esempi di sacrifici estremi a questo proposito, in- fatti, non sono pochi! Ma per fortuna nostra e, posso tranquillamente aggiungere, dell’I- talia non fu così. L’accoglienza a Malta, gli avvenimenti successivi e la nostra defi- nitiva cobelligeranza hanno, semmai, dimostrato con manifesta e riconosciuta evidenza che il sacrificio imposto alla nostra Marina, seppur con molte, successive limitazioni, non è stato vano. Molti storici oggi riconoscono che l’obbediente comportamento quasi unanimemente compatto delle nostre navi ha grandemente contribuito a far sì che certe imposizioni della nostra “resa senza condizioni” venissero poi in qualche modo e misura alquanto mo- dificate a nostro favore. È certo infine, anch’io ne sono testimone, che la nostra bandiera non venne mai ammainata e che, anzi, ricevette l’onore che spet- ta ad un nemico vinto, ma tenuto nella debita considerazione. Un’ultima notazione a questo proposito: prima di arrivare, al lar- go della Valletta, dove si trovavano già le nostre navi sorelle, in- contrammo alcuni incrociatori britannici che procedevano in li- nea di fila, diretti a Taranto. Ebbene: non posso dimenticare che ci sorpresero salutandoci con squilli di tromba e gli equipaggi schierati sul ponte! Quella per me fu la prima, dolorosa, ma insieme beneauguran- te risposta. nnn 17 Marinai d’Italia Ottobre 2015 16 Marinai d’Italia Ottobre 2015 L’8 settembre della R. Nave Giulio Cesare Mario Zeller - Socio del Gruppo di Torino A rrivai a Pola dopo un lungo, interminabile viaggio la sera del 3 settembre ‘43 ed imbarcai sulla nave da battaglia Giu- lio Cesare la mattina del 4, doverosamente in sciarpa e sciabola. Mi ricevette al barcarizzo il STV Lodoli, che era di guar- dia e che mi condusse dal Comandante. Il mio arrivo era già noto perché preceduto dal relativo telegram- ma di Maripers, analogo a quello che mi era stato recapitato per mezzo dell’Arma dei CC. al mio domicilio a Torino, ove mi trovavo nell’attesa di ordini. La destinazione a bordo della corazzata faceva seguito al mio pre- cedente sbarco dalla torpediniera RCT Impetuoso; quindi, dopo un breve periodo di permanenza presso l’Ospedale di Marina di Mas- sa e la conseguente convalescenza a casa, ricevetti la comunica- zione del movimento. La nave era immobile lungo il molo, non saprei esattamente da quanto tempo. Il personale ridotto in sostanza al minimo indispen- sabile, poteva dirsi quindi che la grande unità fungesse quasi da nave caserma. Il Comandante responsabile era il CF Vittore Car- minati, mentre il 1^ D.T. era di fatto il Comandante in 2^ e così di seguito fino ai Guardiamarina, che si trovavano pertanto ad occu- pare i camerini dei Sottotenenti di Vascello. Di conseguenza, al- l’infuori dei necessari turni di guardia, si può dire che per gli uffi- ciali presenti a bordo non vi fossero molte altre attività. Tutto tranquillo, quindi, fino alla tarda serata dell’8 settembre. La notizia dell’armistizio colse tutti all’improvviso come un autentico colpo di fulmine. In seguito a tale notizia il clima, che anch’io mi stavo abituando a respirare, cambiò del tutto. Già fin dalla stessa notte e per quasi tutto il successivo giorno 9 si provvide ad imbar- care quanto necessario al riarmo della nave, alle provviste dei vi- veri ed altresì ad adempiere a quant’altro ci venne richiesto per ottemperare agli ordini ricevuti. Finalmente, nel pomeriggio del 9, dopo che i palombari avevano ri- pristinato la catena delle ancore ammanigliata ai “corpi morti” sul fondo del porto, levati gli ultimi ormeggi, la grande nave lentamen- te si mosse. Sventata inoltre la minaccia di un sommergibile tedesco, che era in agguato nel canale di Fasana, puntandogli addosso i cannoni dei medi calibri, s’iniziò la navigazione in Adriatico, seguiti pure da una corvetta, che poi proseguì per conto proprio. Il Miraglia ci apparve immobile al largo di Venezia. Ma l’avvenimento più ina- spettato ci colse nel cuor della notte ed è proprio questo che mi sorprese insieme a diversi altri ufficiali, tra i quali ricordo il Mag- giore Commissario, l’ufficiale medico, Capi servizi, mentre ci si trovava assopiti e sprofondati nelle soffici e comode poltrone del quadrato ufficiali. Ricordo perfettamente che fu il Guardiamarina Tentoni, seguito da un drappello di marinai armati a darci la sveglia con la pistola pun- tata verso di noi e la perentoria ingiunzione di non muoverci. Testimonianze

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La ribellione era partita dal personale di macchina ed era direttadal Maggiore GN Fornasari e dal suo vice, il Capitano del GN Do-menico Spotti.La motivazione in sé (se vogliamo abbastanza comprensibile), eradettata dalla volontà espressa di non eseguire l’ordine, peraltronon conosciuto da noi nei suoi esatti termini, di portare la nave neiporti alleati: prima a Cattaro..., e poi ?... In buona sostanza chi ave-va preso questa iniziativa, esautorando così il Com.te Carminati,pensava di poter affondare la nave nei pressi di qualche sorgito-re lungo la sponda adriatica. Per fortuna, tutto questo però nondurò a lungo, tanto è vero che già nella tarda mattinata del 10 que-sto tentativo abortì.Il Comandante Carminati con le accorate parole che la straordi-narietà del caso gli suggerivano e con la promessa che non avreb-be preso alcun provvedimento nei confronti dei responsabili, ripre-se il controllo della situazione e l’integrità del suo comando.Si procedeva a velocità più che ridotta, dato che non tutte lecaldaie erano state attivate per la scarisità del personale “fuo-chista”, cosicché, giunti quasi al traverso di Bari intorno alleprime ore pomeridiane fummo oggetto di un repentino attaccodi “Stukas” tedeschi, che per vera nostra fortuna non produs-se alcun danno.Io vidi tutto perfettamente, perché mi trovavo al momento sul pun-to più alto del torrione, ove era posizionata l’Apparecchiatura diPunteria Generale. Ricordo che era al suo posto di combattimen-to il Capo Specialista Direzione del Tiro di 1^ classe, di cui mi ram-mento anche il cognome: Langiu. Ricordo pure che l’unica reazio-ne da parte nostra fu quella di un “mitragliere” che sparò subito espontaneamente alcune raffiche all’indirizzo degli apparecchi te-deschi, ma ormai questi, sganciate le bombe, eseguivano il loro al-lontanamento nella successiva cabrata.Anche a distanza di oltre settant’anni ad oggi certi accadimentinon si cancellano dalla nostra memoria.Ma ora desidero esprimere un mio pensiero al riguardo di quantoho sunteggiato sin qui. Io – ultimo arrivato – senza avere peraltronessun particolare incarico, dato il mio grado, ho avuto modo peròdi osservare molte cose della vita di bordo.A Pola, chi era libero dal servizio - specie gli ufficiali e molti sot-tufficiali - potevano scendere a terra e condurre così una vita qua-si borghese: negli alberghi cittadini o in appartamenti in affitto po-tevano ritrovarsi con i loro famigliari. Di uno di loro in particolare,sono più che certo, ma non mi sembra il caso di farne il nome, tan-to più che da un po’ d’anni non è più tra i viventi.Alla sera, invece, chi rimaneva a bordo aveva la possibilità di go-dersi la visione di qualche bel film, che veniva proiettato a poppa,dove sulla bella e spaziosa coperta erano sistemate comode se-die e poltrone, mentre i marinai stavano appollaiati dietro di noisulle torri dei grossi calibri. Chi si occupava di tutto ciò era proprioil Guardiamarina Tentoni che era l’Ufficiale al dettaglio ed era mol-to apprezzato dal Com.te Carminati.Questi particolari possono apparire insignificanti, data l’atmosfe-ra generale di bordo, ma a mio avviso non sono da ritenere del tut-to superflui al fine di dare un contenuto più umano e veritiero al-l’episodio dell’ammutinamento sopra accennato.Con questo, peraltro, non intendo affatto muovere una critica achi ha ritenuto di dover interpretare gli ordini di resa consegui-ti all’armistizio come un’offesa grave e intollerabile per l’onore,l’amore di Patria e le tradizioni note e comuni a tutte le Marineda guerra travolte da una sconfitta. Le navi non si consegnano

al nemico! Gli esempi di sacrifici estremi a questo proposito, in-fatti, non sono pochi!Ma per fortuna nostra e, posso tranquillamente aggiungere, dell’I-talia non fu così.L’accoglienza a Malta, gli avvenimenti successivi e la nostra defi-nitiva cobelligeranza hanno, semmai, dimostrato con manifesta ericonosciuta evidenza che il sacrificio imposto alla nostra Marina,seppur con molte, successive limitazioni, non è stato vano.Molti storici oggi riconoscono che l’obbediente comportamentoquasi unanimemente compatto delle nostre navi ha grandementecontribuito a far sì che certe imposizioni della nostra “resa senzacondizioni” venissero poi in qualche modo e misura alquanto mo-dificate a nostro favore.È certo infine, anch’io ne sono testimone, che la nostra bandieranon venne mai ammainata e che, anzi, ricevette l’onore che spet-ta ad un nemico vinto, ma tenuto nella debita considerazione.Un’ultima notazione a questo proposito: prima di arrivare, al lar-go della Valletta, dove si trovavano già le nostre navi sorelle, in-contrammo alcuni incrociatori britannici che procedevano in li-nea di fila, diretti a Taranto. Ebbene: non posso dimenticare checi sorpresero salutandoci con squilli di tromba e gli equipaggischierati sul ponte!Quella per me fu la prima, dolorosa, ma insieme beneauguran-te risposta.

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17Marinai d’Italia Ottobre 201516 Marinai d’Italia Ottobre 2015

L’8 settembre della R. Nave Giulio CesareMario Zeller - Socio del Gruppo di Torino

A rrivai a Pola dopo un lungo, interminabile viaggio la seradel 3 settembre ‘43 ed imbarcai sulla nave da battaglia Giu-lio Cesare la mattina del 4, doverosamente in sciarpa e

sciabola. Mi ricevette al barcarizzo il STV Lodoli, che era di guar-dia e che mi condusse dal Comandante.Il mio arrivo era già noto perché preceduto dal relativo telegram-ma di Maripers, analogo a quello che mi era stato recapitato permezzo dell’Arma dei CC. al mio domicilio a Torino, ove mi trovavonell’attesa di ordini.La destinazione a bordo della corazzata faceva seguito al mio pre-cedente sbarco dalla torpediniera RCT Impetuoso; quindi, dopo unbreve periodo di permanenza presso l’Ospedale di Marina di Mas-sa e la conseguente convalescenza a casa, ricevetti la comunica-zione del movimento.La nave era immobile lungo il molo, non saprei esattamente daquanto tempo. Il personale ridotto in sostanza al minimo indispen-sabile, poteva dirsi quindi che la grande unità fungesse quasi danave caserma. Il Comandante responsabile era il CF Vittore Car-minati, mentre il 1^ D.T. era di fatto il Comandante in 2^ e così diseguito fino ai Guardiamarina, che si trovavano pertanto ad occu-pare i camerini dei Sottotenenti di Vascello. Di conseguenza, al-l’infuori dei necessari turni di guardia, si può dire che per gli uffi-ciali presenti a bordo non vi fossero molte altre attività.Tutto tranquillo, quindi, fino alla tarda serata dell’8 settembre. Lanotizia dell’armistizio colse tutti all’improvviso come un autenticocolpo di fulmine. In seguito a tale notizia il clima, che anch’io mistavo abituando a respirare, cambiò del tutto. Già fin dalla stessanotte e per quasi tutto il successivo giorno 9 si provvide ad imbar-care quanto necessario al riarmo della nave, alle provviste dei vi-veri ed altresì ad adempiere a quant’altro ci venne richiesto perottemperare agli ordini ricevuti.Finalmente, nel pomeriggio del 9, dopo che i palombari avevano ri-pristinato la catena delle ancore ammanigliata ai “corpi morti” sulfondo del porto, levati gli ultimi ormeggi, la grande nave lentamen-te si mosse.

Sventata inoltre la minaccia di un sommergibile tedesco, che erain agguato nel canale di Fasana, puntandogli addosso i cannonidei medi calibri, s’iniziò la navigazione in Adriatico, seguiti pureda una corvetta, che poi proseguì per conto proprio. Il Miraglia ciapparve immobile al largo di Venezia. Ma l’avvenimento più ina-spettato ci colse nel cuor della notte ed è proprio questo che misorprese insieme a diversi altri ufficiali, tra i quali ricordo il Mag-giore Commissario, l’ufficiale medico, Capi servizi, mentre ci sitrovava assopiti e sprofondati nelle soffici e comode poltrone delquadrato ufficiali.Ricordo perfettamente che fu il Guardiamarina Tentoni, seguito daun drappello di marinai armati a darci la sveglia con la pistola pun-tata verso di noi e la perentoria ingiunzione di non muoverci.

Testimonianze