Giulio Cesare

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Ermanno Detti L e i m p r e s e , i l p o t e r e , l e I d i d i m a r z o

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Giulio Cesare fu generale e dittatore di Roma, scrittore, oratore e uomo politico. È considerato uno dei personaggi più importanti della storia, sia per il suo valore sia perché la sua politica cambiò profonda-

mente Roma e il futuro del mondo antico. Questo romanzo narra vicende appassionanti che svelano grandezze e debolezze del dittatore. Molti misteri sulla sua morte vengono rivelati con veri e propri colpi di scena.

Un romanzo avventuroso che, nel rispetto dei fatti storici, ricostruisce il profilo di un grande personaggio.

Ermanno Detti è scrittore, giornalista e studioso di problemi legati alla diffusio-ne della lettura tra i giovani. Ha scritto molti racconti e romanzi. Dirige la rivista “Il Pepeverde”, che si occupa di lettera-tura giovanile.

Questo volume sprovvisto del talloncino a fronte è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE,-GRATUITO, fuori commercio. Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n° 633, art. 2 lett. d).

E 7,50

I SBN 978-88-472-2169-7

9 7 8 8 8 4 7 2 2 1 6 9 7

Giulio Cesare

Ermanno Detti

Le imprese, il potere, le Idi di marzo

Imprese eroiche, vita quotidiana e curiosità di uomini e donne che hanno lasciato una traccia significativa nella storia.

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Il libro è dotato di approfondimenti online suwww.raffaellodigitale.it

GIULIO CESARE: 100 a.C. – 44 a.C.

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ISBN 97

8-88-4

72-21

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Collana di narrativa storica per ragazzi

Per volare con la fantasia

IL MULINOA VENTO

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È assolutamente vietata la riproduzione totale o parziale di questo libro senza il permesso scritto dei titolari del copyright.

Editor: Paola ValenteRedazione: Emanuele RaminiUfficio stampa: Salvatore PassarettaTeam grafico: Giacomo Santo

1a Edizione 2014

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Giulio CesareLe imprese, il potere, le Idi di marzo

illustrazioni di

Mauro Marchesi

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Nell’aia di fronte alla capanna di Spurinna, l’indovi-no più noto di tutta l’Etruria e molto stimato a Roma, si stava svolgendo una cerimonia. Attorno a lui c’erano la moglie, i suoi cinque figli e altri tre vati dell’arte divina-toria.

L’attenzione era tutta su Frida, figlio maggiore di Spu-rinna, un ragazzo sui tredici anni, riccioluto, biondino. Frida era stato ed era la preoccupazione principale dei genitori: gracile nel fisico, inappetente, spesso soggetto a febbri. Tutti temevano che avrebbe avuto vita breve, invece era giunto fino a 13 anni e da qualche tempo sembrava essersi rimesso un po’ in salute. I genitori ave-vano cominciato a sperare in lui e, visto che si mostrava intelligente, avevano deciso di avviarlo agli studi.

Su un tavolo, in mezzo all’aia, c’erano i resti di alcuni animali, soprattutto oche e capretti, a cui erano state esaminate le viscere.

Etruria, 48 a.C., notte di luna piena

PROLOGO

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– Tutti i segni sono favorevoli a te, figliolo – disse Spurinna.

– Sì – confermò il più anziano dei vati, – dalle visce-re, dai segni delle stelle e dal volo degli uccelli abbiamo ormai la certezza che il tuo viaggio sarà senza ostacoli e i tuoi studi saranno coronati da successo.

Spurinna, che parlava con l’autorità del padre e del sacerdote insieme, concluse:

– Domattina quindi partirai per Atene. Là ti atten-dono grandi maestri e tu dovrai studiare le nuove scien-ze che, unite ai miei insegnamenti sull’arte di predire il futuro, faranno di te uno degli indovini più famosi del mondo.

La madre fece allora un passo verso il figlio e lo salutò con un bacio. Poi lo avvisò:

– È giusto che tu sappia, figlio mio, che dall’oriente all’occidente è in atto una della più grandi guerre civili di Roma: Cesare e Pompeo si stanno combattendo. Tu cerca sempre di…

– Sì, madre, di restarne lontano! Me l’hai detto alme-no quattro volte! – rispose con voce flebile il ragazzo.

– Non intimorirlo con le tue paure – la riprese Spurin-na, – Frida non ha nulla da temere dalla guerra. La sua natura gracile lo favorirà. Nessuno penserà di poter fare

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di lui un soldato, non sarebbe capace di sollevare una spada o di lanciare un giavellotto. Invece il suo cervello è più forte e agile di quello di mille soldati e in Atene è il cervello che dovrà usare. Poi la guerra tra Cesare e Pompeo non durerà in eterno. La vittoria sarà di Cesare, come noi indovini ben sappiamo!

A questo punto riprese la parola il più anziano degli indovini.

– Frida – disse, – tutti i segni ci dicono che il tuo sarà un grande futuro. A te sarà affidato un compito im-portantissimo. Sarai vicino a Cesare e… il resto non è chiaro, i segni non ci dicono altro. Sembra però che a te sarà affidato un compito importante: forse potrai cam-biare anche il corso della storia, forse potrai cambiare il mondo!

Due cavalli erano pronti ai margini dell’aia. – Adesso vai figliolo – gli disse la madre, – tuo padre ti

accompagnerà fino al porto e alla nave. Partirai all’alba.– Tornerò mamma – disse il ragazzo abbracciandola. E

nel farlo rabbrividì.– Hai freddo per caso?– Un po’ mamma!La donna si tolse il proprio mantello grigio di lana e

lo pose sulle spalle del ragazzo.

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– E tu mamma? Non hai freddo?– No, Frida! E poi me ne farò un altro di mantello.

Questo è tuo, te lo regalo.Frida non replicò: per lui che soffriva il freddo quello

era il miglior regalo che sua madre gli potesse fare. Poco dopo, i due cavalieri si allontanarono e si inol-

trarono nei boschi dove la luna a stento penetrava.

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Era ancora l’alba quando qualcuno bussò alla por-ta di Socrate. Ancora assonnato, il ragazzo pensò che doveva trattarsi di Enotea, lo schiavo del maestro, che veniva a chiamarlo per la lezione. Non poteva essere che lui. Era accaduto altre volte che Socrate non si fosse sve-gliato in tempo e il maestro, infuriato, avesse mandato lo schiavo a svegliarlo. Ora avrebbe dovuto sopportare le urla e forse le punizioni del maestro.

Indossò svelto la tunica e andò verso la porta. Bussa-rono più forte.

– Ehi, Enotea – reagì Socrate, – calmati, apro subito! Vuoi buttare giù la porta?

Un solo violento colpo e la porta si sfasciò davvero. Nel vano comparvero due soldati romani.

Senza chiedere permesso, i due irruppero nel modesto appartamento.

Atene, anno 44 a.C., mese di febbraio

“Mi chiamano Socrate, ma il mio vero nome è Frida”

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Socrate li guardò a bocca spalancata. Avrebbe volu-to ingoiarsi la lingua: aveva insultato senza volerlo due militari e questo avrebbe potuto costargli anche la vita. Entrambi erano alti, robusti e armati. Differivano, forse, solo nella barba, uno l’aveva scura, l’altro rossiccia.

– Sei Socrate?– Ehm…– Sei Socrate? – Sì, no…– Sì o no?A parlare era stato il soldato con la barba rossa, il più

anziano e forse anche il più alto in grado. Il ragazzo era come imbambolato, all’ultima domanda

si affrettò a rispondere:– Il fatto è che qui in Atene mi chiamano Socrate, ma

il mio vero nome è Frida.– Sei proprio tu che cerchiamo allora – precisò il sol-

dato con la barba nera. – Avanti, preparati a partire!Il suo tono era meno aggressivo, ma freddo. Si capiva

che i due erano lì solo per eseguire un ordine.– Eh? Come “a partire”?– A partire per Roma. Socrate ancora non riusciva a capire. Il soldato con la

barba rossa lo spintonò.

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– Dobbiamo usare la forza?– No, no! Vengo subito! – Cesare ti vuole! – Cesare vuole… Che dite mai? Vuole me?– Fai presto! Cesare è a Roma!– Aspetta me?I soldati non risposero, non avevano altre spiegazioni

da dargli. Ogni domanda era inutile. Il giovane raccolse in un sacco i suoi poveri averi e

qualche rotolo, i libri sui quali aveva studiato. Abitava ad Atene da quattro anni, aveva studiato fi-

losofia e astrologia, era bravo e la sua fama si era presto diffusa per le città della Grecia. Ma a Roma chi lo co-nosceva? Perché Cesare voleva parlargli? Lui, il grande conquistatore delle Gallie, il vincitore della guerra civi-le, ormai signore di Roma, poteva aver bisogno di un giovane studente? Pareva proprio impossibile.

Era però inutile arro-vellarsi il cervello. La sua curiosità e le sue doman-de avrebbero trovato una risposta solo quando si sarebbe trovato di fronte a Cesare.

Nel 44 a.C. Cesare era l’uomo più potente di Roma: già eletto que-store, pontefice massimo, conso-le, la sua fama di uomo politico capace e lungimirante era equi-valente a quella di generale e conquistatore vittorioso.

DENTRO LA STORIA...

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Era inverno e Socrate aveva il solito problema: sof-friva il freddo. Era sempre stato così, fin da bambino, gracile nel fisico e freddoloso. Ad Atene si era trovato bene, la temperatura era quasi sempre mite, in estate anzi faceva caldissimo e lui era felice di vivere lì. Ma ora la sola idea di doversi imbarcare, con tutta quell’umidità del mare e della nave, con il vento e il mare grosso, lo fece rabbrividire.

Non appena giunse al porto fu investito dalle folate di una gelida tramontana. Sopra la tunica aveva un vec-chio mantello grigio di lana, lo stesso che gli aveva rega-lato sua madre anni prima, al momento della partenza. Aveva i piedi gelati e umidi anche se era riuscito, solo qualche giorno prima, ad acquistarsi un paio di sandali chiusi.

Il vento di tramontana spirava forte e il mare era in tempesta. La partenza fu ritardata.

Quando il tempo migliorò e la nave militare su cui Socrate venne imbarcato decise di partire, si alzò un lie-ve vento di scirocco che agitò le onde.

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La traversata fu faticosa, specialmente per lui che sof-friva il mal di mare.

Socrate soffriva spesso anche di mal di stomaco e il dolore aumentava solo nel vederlo, il mare. Aveva fatto bene suo padre a destinarlo agli studi, nei quali era riu-scito, per sua fortuna, in maniera eccellente.

Ma ora… che voleva da lui Cesare? Sbarcato a Brindisi, lo attesero altre giornate faticose

a cavallo, finché arrivò finalmente a Roma. Socrate vi era stato da piccolo, tanti anni prima, ac-

compagnato dal padre e aveva potuto ammirare le bel-lezze della grande città, le sue mura possenti, i suoi ac-quedotti, il foro, i mercati, il caos cittadino di uomini, carri, animali. Si ricordava le urla dei cambiavalute e l’odore fastidioso delle spezie. Ma i soldati che l’accom-pagnavano non indugiarono in città e lo condussero di-rettamente al palazzo.