L’zione, se rieletta, di avviare un nuo-vo quadriennio di impegni; avrebbe permesso all’elettore...

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a. V, n. 3 [22] Il falò di S. Giovanni Battista p. 2 La banda, 18 / La parola ai suonatori p- 3 Monumenti verdi p. 3 Il matrimonio a Berchidda p. 4 Spettacoli p. 5 Liber Chronicus, 17 p. 6 interno... Restauri in sagrestia (1930) p. 6 Documenti p. 7 Musca Pia. Il cavallino della giara p. 8 Chi li riconosce? p. 9 L’angolo della poesia p. 10 Franziscu Decandia / A caddu a..., 6 p. 11 giugno 1999 ambiente, la disoccupazio- ne, l'agricoltura, l'alleva- mento, il turismo, l'artigia- nato, il commercio, la rete viaria e i trasporti, tutto veniva pas- sato al setaccio degli aspiranti ono- revoli e risolto con estrema facilità attraverso scarne righe di promesse. L'analisi dei brevi comunicati ha ri- servato non poche sorprese per l'a- cutezza e l'incisività dei messaggi. "Guerra frontale alla disoccupazio- ne", "Sardegna regione d'Europa e capitale del Mediterraneo", "Con un voto alla mia persona darai una civi- le lezione a chi ha l'abitudine di tradi- re la volontà e le scelte degli eletto- ri", "Un voto per guidare i futuri pro- cessi di crescita del nostro territorio" sono alcuni degli slogan che colpi- vota in continuazione. L’unica urna che mancava in occasione dell’ultima tor- nata elettorale era quella delle elezioni comunali. Rinvio all’autunno e... chissà!... all’anno prossimo? Rispettare la scadenza concordata dei quattro anni sarebbe stato sem- plicemente un fatto di serietà; avreb- be consentito a questa amministra- zione, se rieletta, di avviare un nuo- vo quadriennio di impegni; avrebbe permesso all’elettore di scegliere l’alternanza a capo del Comune, se lo avesse ritenuto necessario. In- somma, un danno per tutta la comu- nità. Sarebbe come se in una partita di calcio l’arbitro decidesse di far gio- care un altro 25% della gara, ossia altri 23 minuti. Cosa penserebbero i giocatori e il pubblico? Penserebbe- ro ad un imbroglio o, nella migliore delle ipotesi, a qualcosa di poco se- rio. In altri centri ci sono state manifesta- zioni di dissenso che hanno portato alle dimissioni dell’intero Consiglio. Anche a Berchidda questa eventua- lità è stata proposta da parte di alcu- ni consiglieri, ma ha trovato il rifiuto della maggioranza. / E che dire delle assurde difficoltà che nelle votazioni del 13 giugno hanno incontrato tutti gli elettori per esprimere la scono per l'efficacia espressiva. Ce ne sono anche alcuni criptici che parlano di "rivoluzione armoniosa", di “sguardi da capire”, di “filastrocche da cantare", di “vecchi balli da ballare". Più tradizionale il richiamo al momento difficile e alla costruzione insieme all'elettore di un futuro migliore. Qualcuno fa un cen- no seppure timido all'ingresso nel terzo millennio espressione che conferisce carisma a chi la utilizza. E peccato che ci sia qualche im- mancabile caduta di stile: un aspi- rante, non proprio onorevole, si è rivolto alla gentile collega e amica chiedendone il sostegno senza sa- pere che la stessa era deceduta da ben quattro anni. Sorprendenti la cordialità dei saluti e l'autorevolezza dei personaggi. Sono rimasto senza parole nel ricevere la missiva con la quale l'on. Silvio Berlu- sconi tra “cordialissimi salu- ti” e “caro elettore” propo- neva alla mia attenzione la sua candidatura e quella del suo delfino in Sardegna. Poco ci mancava che mi invitasse a cena in una delle sue faraoniche ville PARLIAMO DI ELEZIONI? di Giuseppe Meloni continua a p. 12 Peccato che le elezioni siano già finite! Ebbene riconosciamolo; mai come in questa occasione ci sia- mo sentiti corteggiati, lodati, blanditi, adulati. Lettere, santini, depliants illustrativi, in barba alle disposizioni sulla privacy, ci hanno raggiunto ovunque rendendoci edotti su programmi mirabolanti di risoluzione di problematiche piccole e grandi che affliggono la nostra società. TRA IDEOLOGIE E IDEALI di Giuseppe Sini Si L’ continua a p. 12 periodico di cultura e informazione

Transcript of L’zione, se rieletta, di avviare un nuo-vo quadriennio di impegni; avrebbe permesso all’elettore...

a. V, n. 3 [22]

Il falò di S. Giovanni Battista p. 2 La banda, 18 / La parola ai suonatori p- 3 Monumenti verdi p. 3 Il matrimonio a Berchidda p. 4 Spettacoli p. 5 Liber Chronicus, 17 p. 6

interno... Restauri in sagrestia (1930) p. 6 Documenti p. 7 Musca Pia. Il cavallino della giara p. 8 Chi li riconosce? p. 9 L’angolo della poesia p. 10 Franziscu Decandia / A caddu a..., 6 p. 11

giugno 1999

ambiente, la disoccupazio-ne, l'agricoltura, l'alleva-mento, il turismo, l'artigia-nato, il commercio, la rete

viaria e i trasporti, tutto veniva pas-sato al setaccio degli aspiranti ono-revoli e risolto con estrema facilità attraverso scarne righe di promesse. L'analisi dei brevi comunicati ha ri-servato non poche sorprese per l'a-cutezza e l'incisività dei messaggi. "Guerra frontale alla disoccupazio-ne", "Sardegna regione d'Europa e capitale del Mediterraneo", "Con un voto alla mia persona darai una civi-le lezione a chi ha l'abitudine di tradi-re la volontà e le scelte degli eletto-ri", "Un voto per guidare i futuri pro-cessi di crescita del nostro territorio" sono alcuni degli slogan che colpi-

vota in continuazione. L’unica urna che mancava in occasione dell’ultima tor-nata elettorale era quella

delle elezioni comunali. Rinvio all’autunno e... chissà!... all’anno prossimo? Rispettare la scadenza concordata dei quattro anni sarebbe stato sem-plicemente un fatto di serietà; avreb-be consentito a questa amministra-zione, se rieletta, di avviare un nuo-vo quadriennio di impegni; avrebbe permesso all’elettore di scegliere l’alternanza a capo del Comune, se lo avesse ritenuto necessario. In-somma, un danno per tutta la comu-nità. Sarebbe come se in una partita di calcio l’arbitro decidesse di far gio-care un altro 25% della gara, ossia altri 23 minuti. Cosa penserebbero i giocatori e il pubblico? Penserebbe-ro ad un imbroglio o, nella migliore delle ipotesi, a qualcosa di poco se-rio. In altri centri ci sono state manifesta-zioni di dissenso che hanno portato alle dimissioni dell’intero Consiglio. Anche a Berchidda questa eventua-lità è stata proposta da parte di alcu-ni consiglieri, ma ha trovato il rifiuto della maggioranza.

E che dire delle assurde difficoltà che nelle votazioni del 13 giugno hanno incontrato tutti gli elettori per esprimere la

scono per l'efficacia espressiva. Ce ne sono anche alcuni criptici che parlano di "rivoluzione armoniosa", d i “sguardi da capire” , di “filastrocche da cantare", di “vecchi balli da ballare". Più tradizionale il richiamo al momento difficile e alla costruzione insieme all'elettore di un futuro migliore. Qualcuno fa un cen-no seppure timido all'ingresso nel terzo millennio espressione che conferisce carisma a chi la utilizza. E peccato che ci sia qualche im-mancabile caduta di stile: un aspi-rante, non proprio onorevole, si è rivolto alla gentile collega e amica chiedendone il sostegno senza sa-pere che la stessa era deceduta da ben quattro anni. Sorprendenti la cordialità dei saluti e l'autorevolezza

dei personaggi. Sono rimasto senza parole nel ricevere la missiva con la quale l'on. Silvio Berlu-sconi tra “cordialissimi salu-ti” e “caro elettore” propo-neva alla mia attenzione la sua candidatura e quella del suo delfino in Sardegna. Poco ci mancava che mi invitasse a cena in una delle sue faraoniche ville

PARLIAMO DI ELEZIONI?

di Giuseppe Meloni

continua a p. 12

Peccato che le elezioni siano già finite! Ebbene riconosciamolo; mai come in questa occasione ci sia-mo sentiti corteggiati, lodati, blanditi, adulati. Lettere, santini, depliants illustrativi, in barba alle disposizioni sulla privacy, ci hanno raggiunto ovunque rendendoci edotti su programmi mirabolanti di risoluzione di problematiche piccole e grandi che affliggono la nostra società.

TRA IDEOLOGIE E IDEALI di Giuseppe Sini

Si

L’

continua a p. 12

periodico di cultura e informazione

Pagina 2 a. V, n. 3 - giugno 1999

uando la mente è colma dei mille problemi di ogni giorno, è bello pensare all’infanzia e ritrovare gioie e ricchezze

custodite gelosamente. E allora… Il sole pian piano volgeva al tramon-to e sulle colline i costoni granitici si stagliavano purissimi avvolti da una luminosità calda e dorata. La natura, a quell’ora, sembrava in-nalzare un canto pieno delle ultime melodie del giorno, raccolte da un vento leggero chissà dove.

I bambini vociavano per le vie del paese scatenando batta-

glie di allegria e si spargevano in ogni dove ubriacandosi di

giochi. I grandi finivano di accatastare, sulle strade e nei vicoli, legna leg-gera e tutt’intor-no si assaporava il gusto dello sta-re insieme, di ri-trovarsi, di rico-noscersi come comunità, vicina-to e famiglia. Era la vigilia del 24 giugno, festa di S. Giovanni Battista. Tutti, grandi e piccoli, avevano atteso questo giorno che, con i suoi magici tepori, riusciva ad illanguidire la mente di tutti, priva di ruvide esperienze. Si aspettava con ansia l’accensione dei fuochi. Si, dei fuochi, che rima-nevano accesi sino a notte inoltrata

Q e le strade dei nostri paesi, dalle semplici case di pietra, si rischiara-vano improvvise, vestendosi a fe-sta. Tutto veniva preparato con cu-ra; ognuno aveva il suo compito, anche quello di radunare le galline che ancora, a crepuscolo inoltrato, razzolavano per le strade, sotto lo sguardo attento degli asinelli che, legati a sas lorigas, sostavano ac-canto ai portoni, stanchi della lunga giornata di lavoro. Le ragazze fremevano nell’attesa di quella sera in cui potevano stare fuori più a lungo, e sulle soglie delle case, riscaldate dal giorno che vol-geva alla fine, aspettavano. Non ho mai percepito con precisio-ne il momento iniziale dell’accen-sione dei fuochi. So solo che nasce-

vano improvvisi sui ciottoli delle strade ed era in quel momento che il paese as-sumeva il colore rossastro del fuo-co, caldo e purifi-catore. Era tutto un via vai di gen-te, di voci, di risa, di clamori di gio-chi esausti di bimbi, che anco-ra saltavano, an-cora correvano e i loro sogni vola-vano alti nel cielo insieme alle ma-giche scintille. Il riso sfrenato

dei giovani si confondeva con il bi-sbiglìo degli anziani, che sedevano sui gradini delle case o ai margini della strada. Poi giungeva il mo-mento solenne del rito del compara-

tico, che costituiva un vincolo pro-fondo tra i contraenti, paragonabile (come quello del battesimo e della cresima) a quello della parentela di sangue. Per diventare comari o compari di Santu Giuanne era ne-cessario saltare il falò. Il salto pote-va essere unico o triplice, fatto con-temporaneamente da due persone unite per le mani o allacciando le destre per i mignoli o tenendosi per le cocche di un fazzoletto. Tutto avveniva con estrema sempli-cità, poiché si ripeteva un rito eredi-tato dai padri, un rito che era parte integrante del patrimonio culturale del paese. E i falò cantavano alle stelle e agli uomini la loro capacità di allontanare il male, di purificare la terra. E uomini, donne e bambini ci credevano e quando i fuochi si spe-gnevano, esausti, sui ciottoli caldi, ne raccoglievano la cenere e la cu-stodivano in casa e in campagna, per tenere lontane disgrazie ed af-fanni.

E tutto ciò non è nostalgia del passato, ma la ricerca

di calde emozioni di uno scorcio di vita.

Questo Santo è forse l’unico di cui la chiesa festeggia i natali, infatti per altri santi e mar-tiri si ricorda quasi sempre il giorno della morte. Tutti i riti legati alla festa di S. Giovanni (24 giugno) hanno radici lontane, pagane, e hanno come protagonista il fuoco, che serve ad allontanare i demoni e a purificare gli uomini e la natura. Nella nostra isola l’accen-sione dei fuochi per le strade è accompagnata da particolari riti come il comparatico. In questo giorno si traevano anche auspici dall’osservazione di alcuni fiori o animali, che acquistavano una importante simbologia per le ragazze da marito, in quanto tali segni potevano dare indicazioni sul mestiere del futuro sposo (piazza del popolo aprile 96).

I FALO’ DI S. GIOVANNI BATTISTA un ricordo

In alcuni paesi della Sardegna si recitavano filastrocche e formule del tipo:

Santu Giuanne Dademi su coraggiu de amare Deu. Dademi su coraggiu de brincare su fogu. Santu Giuanne faghe chi su fogu no mi brujet.

di Maddalena Corrias

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che dire di Ninnio Fresu? Si iscrive ai corsi all’età di 14 anni. A 16 si esibisce in banda suonan-

do il flicorno soprano. Col maestro Busellu passa alle per-cussioni e, a partire dal 1945 sino ad oggi diventa uno dei componenti fissi del gruppo; come lui stesso ri-corda, è mancato alle esibizioni po-che volte. Tra le manifestazioni che ricorda con maggior piacere figura quella di Golfaranci. In quella occasione la banda si esibì, sotto la direzione del maestro Busellu, in occasione dell’inaugurazione della linea di col-legamento marittimo dei traghetti delle Ferrovie dello Stato, tra lo sca-

lo gallurese e Civitavecchia. Quel giorno presenziò alla si-gnificativa manifestazione l’on. Antonio Segni. Anche Marco Calvia ha lascia-to un segno incisivo nella storia della nostra banda. Si iscrisse ai corsi bandistici all’età di 15 anni, con Angelo Campus, studiando il flicorno in Mi be-molle; nello stesso anno fece il suo debutto in una esibizione

pubblica, diretto dal maestro Piga. Ricorda ancora il suo primo concer-to fuori dal paese, nel 1962, a Santa Teresa di Gallura. Seguendo le mode del momento, entrò giovanissimo a far parte di un complessino di musica da ballo sot-to la direzione di Francesco Mu. Seguirono cinque anni di attività bandistica e orchestrale. In seguito iniziò gli studi al Conservatorio di Torino, sotto la guida del prof. Carlo Arlinengo, che era prima tromba dell’orchestra sinfonica della RAI di Torino. Per le sue doti di apprezzato trom-bettista anche Marco Calvia fece parte della stessa orchestra. Rientrato a Berchidda, pensò di svolgere un nuovo servizio nel pae-se sempre nel campo della musica. Organizzò così il coro polifonico “Pietro Casu” le cui esibizioni molti ricordano ancora con nostalgia.

CONTINUA

- Sergio Demuru (Clarino) La musica, oltre ad essere un’emissione di suoni, è un mezzo altamente espressivo e significativo.

- Andrea Dente (Clarinetto) Suono il clarinetto. Alterno la musi-ca agli studi. Alla prima esibizione ricordo di essermi emozionato per paura di far sfigurare tutta la banda. A me piace la musica perché penso di aver ereditato questa passione da mio nonno, Sebastiano Piga. La musica per me è un hobby molto bello e per questo spero di continua-re per poter diventare, se ne avrò l’opportunità, un grande professore d’orchestra.

- Monica Doneddu (Clarinetto) Per me la musica è passione. - Eleonora Fenu (Flauto) La musica è amore.

- Gian Franco Fresu (Tromba) La musica per me è un im-pegno ed un piacere lo con-sidero un passatempo che preferisco ad altre opportu-nità. - N i n n i o F r e s u (Percussioni) La musica, se presa sul serio e nel senso giusto per me è la cosa più bella. - Pietro Fresu (Clarinetto) La musica è qualcosa che nasce dentro il nostro cuore; non è una cosa che si inse-

gna, s’impara se non si ha. - Sandro Fresu (Piatti) I miei s t rumen t i preferiti so-no i piatti ed il tam-buro. La musica mi piace per-ché è or-mai fuori moda.

La Banda Bernardo De Muro

di Raimondo Dente, a cura di Maddalena Corrias

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i cosiddetti “monumenti verdi Berchidda vanta due primati internazio-nali.

In località Sas Rujas, a quota m. 170 fa bella mostra di sè un magnifico esemplare di Genista Aeteniensis, ginestra dell’Etna, (Adanu, Scova), ginestra appartenente alla famiglia delle leguminose con una corconfe-renza del fusto di cm. 215 e con un’altezza di 9 m. Si tratta della ginestra più grande dell’isola e forse d’Italia, che fiorisce tra giugno e fine luglio, offrendo un suggestivo spettacolo con i suoi fiori che si colorano di giallo. Anche in località Concarabella, poco

E

distante, si ergono dei notevoli e-semplari. Il più grande di questi ha un diame-tro di 56 cm. ed un’altezza di 9 m. In località Su Tezzi, a quota 230, spicca per la sua imponenza una quercia da sughero, quercus suber L, appartenente alla famiglia delle Fagaceae, con una circonferenza del fusto di 516 cm. ed un’altezza di 15 m. Questa pianta risulta essere una delle più grandi, se non la più gran-de quercia da sughero d’Italia e del bacino mediterraneo.

MONUMENTI VERDI primati isolani e internazionali

di Giuseppe Vargiu

LA PAROLA AI SUONATORI Interviste di Raimondo Dente

Tra

Le interviste risalgo-no a qualche anno fa

Per saperne di più leggi: Grandi alberi della Sardegna:

Monumenti Verdi.

In primo piano Ninnio Fresu, Francesco Sini, Sebastiano Piga

Marco Calvia

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partecipavano accompagnate da fra-telli o in genere da parenti. I giovani approfittavano di questi per dichia-rarsi apertamente; qualcuno, tra i più audaci, ricorda come, in occasione di questi balli, era possibile allonta-narsi pochi minuti dalla moltitudine e riuscire a scambiarsi una carezza o qualche bacio innocente. Tra i modi di corteggiamento uno dei più diffusi erano le serenate. Al sa-bato sera le grandi compagnie di ra-gazzi, provvisti di chitarra, mandolini e altri strumenti musicali si recavano davanti all'abitazione della ragazza

desiderata e intona-vano bellissime sere-nate. Le signore dei paese ricordano con rimpianto la bellezza e la profonda serietà con cui venivano e-seguite. Fino agli anni cin-quanta, il compito di rendere noto a una fanciulla i sentimenti di un giovane veniva affidato ad una figura particolare, che trova riscontro in tutta la Sardegna; su man-dadalzu. Questo ve-niva impersonato da un'amica o da un pa-rente della ragazza:

era di solito una persona che aveva una certa familiarità con entrambi. Tutti in paese, anche i meno anziani, ricordano di avere assunto, almeno una volta, il ruolo di mandadalzu. Il tempo che intercorreva dalla di-chiarazione dei due giovani, fino al fidanzamento, costituiva il periodo de s'innamoronzu de ojos, dell'inna-moramento fatto di sguardi, di parole scambiate furtivamente senza mai fermarsi, di messaggi inviati a mez-zo di terze persone. Caratterizzava questo periodo una forte complicità tra amici e parenti, sempre pronti a riferire messaggi o a recapitare qual-che lettera: i soli modi con cui gli in-namorati potevano comunicare. Il fidanzamento avveniva sempre

In passato, anche a Berchid-da, il matrimonio era uno de-gli eventi più importanti della vita degli abitanti. Era la più

alta aspirazione delle giovani ragaz-ze che, fin dall'adolescenza, veniva-no educate in vista dei matrimonio. La naturalezza istintiva dei primi rossori e delle prime emozioni pro-vate nel guardare un giovane di pa-ese, spingevano le ragazze a so-gnare sul loro futuro matrimoniale e stabilivano, attraverso fiori o insetti, il mestiere, la condizione economica del futuro sposo o gli anni che sa-rebbero trascorsi pri-ma di arrivare al ma-trimonio. Le occasioni d'incon-tro tra i giovani dei du-e sessi erano diverse. Come in tutte le realtà paesane dell'isola, a Berchidda c’era una severa moralità a ri-guardo; una ragazza onesta non poteva fermarsi liberamente a chiacchierare con un giovane. Ci si in-contrava, per esem-pio, nelle feste legate al mondo rurale, co-me la vendemmia, la raccolta dei grano, la tosatura delle pecore e la mattanza dei maiale. Il luogo d'incontro più comune era la piazza; le ragazze vi si recavano per la passeggiata domenicale e nelle più importanti festività dell'an-no, quali la festa patronale e il car-nevale. Erano questi i momenti in cui si scambiavano gli sguardi, si ricambiavano i sorrisi e nascevano le simpatie. L'unica occasione che permetteva il contatto tra due giovani erano i balli, che venivano organizzati ogni fine settimana nel periodo che andava da natale a carnevale. Gli abitanti del paese ricordano con nostalgia i balli organizzati nel locale di tiu Caccianni, dove si riunivano le varie compagnie dei paese. Le ragazze

molto presto. Si svolgeva solitamen-te di sera, dopo cena in casa della sposa, dove si incontravano sos mannos. Si trattava della cerimonia de s'abbrazzu, durante la quale av-veniva lo scambio dei doni. Il fidan-zato regalava alla sua promessa l'a-nello, la suocera su mucaloru (fazzoletto) e più frequentemente sa corona (rosario) in filigrana. Fino a-gli anni Cinquanta non c'era l'abitu-dine di fare dei regali al fidanzato; solo in alcuni casi gli veniva donato su entone (camicia). Il dolce tipico del fidanzamento era su catò, che costituiva insieme al vino e al roso-lio su cumprimentu. Nel periodo che intercorreva dal fi-danzamento alle nozze, la sposa si curava di preparare tutto il corredo; questo veniva confezionato e fine-mente ricamato in casa. Compren-deva lenzuola, coperte, tovagliati e in genere la biancheria necessaria per la casa. Accanto a quelli de fet-tianu, si confezionava almeno un capo buono, de muda, di ciascuno di questi. Un elemento caratteristico del corredo era sa fressada 'e i-strazzu. Questa coperta era cosi definita perché veniva confezionata dagli indumenti di tela, ormai logori. Questi venivano ridotti in strisce molto sottili (ilzirare s’istrazzu), le quali venivano poi unite di capo in capo fino a farne un filo lungo, riuni-to in un gomitolo. La quantità del corredo variava a seconda delle possibilità di ciascu-no. Questo un paio di mesi prima dei matrimonio veniva lavato e ac-curatamente stirato; alla stiratura del corredo partecipavano a turno le amiche della sposa e le parenti più prossime. Una volta pronto veniva riposto su un tavolo ed esibito a pa-renti e amici. Sempre qualche mese prima dei matrimonio, si procedeva alla pre-parazione del materasso; questa

IL MATRIMONIO a Berchidda

di Denise Brianda T

Il tema del matrimonio nella tradizione e nell’attualità del nostro paese è stato oggetto di una tesi di laurea in Tradizioni popolari discussa alla Facoltà di Lettere dell’Università di Sassari. Abbiamo proposto all’autrice del lavoro di voler condensare per i lettori di piazza del popolo il succo della sua ricerca.

Pranzo di nozze in cortile

1954

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banca ‘e suighere). I preparativi dei matrimonio iniziava-no un paio di settimane prima, quan-do i parenti e gli amici degli sposi si recavano a loro volta, presso amici e conoscenti a recuperare tutti gli u-tensili necessari per il pranzo di noz-ze; venivano in questo modo reperi-ti, presso diverse famiglie, piatti, bic-chieri, posate, piatti da portata. La settimana dei matrimonio si apri-va con l'imbottigliamento dei vino. A metà settimana si procedeva alla preparazione del pane; la sera veni-va, preparato l'impasto e lasciato lie-vitare. Durante la notte, la comitiva composta dai parenti, gli amici e le donne del vicinato procedevano alla panificazione, che si protraeva fino all'alba. La mattina dei giorno suc-cessivo, si procedeva alla cottura nei forni del paese. Alla fine della settimana venivano preparati il roso-lio e i biscotti, dolce tipico dei matri-monio. Il venerdì sera si procedeva alla macellazione di una pecora o, più frequentemente, di un vitello, a seconda dei bestiame posseduto dalle famiglie. Il matrimonio veniva celebrato la domenica mattina. La consuetudine voleva che i parenti della sposa si recassero a prendere lo sposo che veniva accompagnato in corteo a casa della promessa. Un

compito di riguardo in questo caso spettava alla cognata della sposa la quale fungeva da pronuba e, fino agli anni Trenta, prendeva posto ac-canto agli sposi in su coru. L'abito tradizionale della sposa era di crespo nero lungo sino alle cavi-glie, segnato in vita da un grembiule e un fazzoletto di seta bianca sulla testa. Il ricevimento si teneva di soli-to in casa della sposa. I vicini mette-vano a disposizione le proprie abita-zioni, dove venivano apparecchiati i tavoli, a partire dalle case immedia-tamente adiacenti quella della spo-sa, fino ad arrivare spesso ad appa-recchiare in tutte le case delle vie superiori e inferiori. Il pranzo di nozze era costituito da petta e minestra; come secondo ve-niva servito il lesso con l'insalata. Successivamente la minestra fu so-stituita con sos macarrones de ma-nu e accanto al lesso veniva servita la carne arrosto. Dopo il pranzo i festeggiamenti continuavano nell'al-legria dei balli e dei canti. La festa finiva con la serenata agli sposi. Il giorno seguente si preparava nuo-vamente il pranzo per i parenti e gli amici. Intorno agli anni Settanta il ricevimento non si tenne più nelle case degli sposi ma in appositi loca-li.

operazione comprendeva due fasi e la partecipazione di molte persone: sia i parenti e gli amici della parte dell'uomo sia quelli della donna. Il materasso, a seconda delle disponi-bilità economiche delle famiglie, ve-niva fatto di lana o di crine, erba molto sottile, simile alla paglia. Nella prima fase, tutta la comitiva si reca-va di buonora al fiume per lavare la lana o il crine. Una volta lavato il materiale, veniva steso al sole a sgocciolare. Era questo un momento di particola-re allegria; finito il lavoro, la madre della sposa offriva su cumprimentu e la merenda: dolci preparati per l'occasione, salsiccia, formaggio e del buon vino. La seconda fase av-veniva in casa, dove veniva riunita la stessa comitiva e si procedeva a sa graminadura. Contemporaneamente al corredo si preparava la casa degli sposi; que-sta comprendeva la cucina e la ca-mera da letto. La sposa riceveva co-me dote la camera da letto che si componeva del letto, del comò, di almeno un comodino e di sei sedie. Sino agli anni Sessanta il corredo della sposa doveva comprendere anche gli utensili necessari alla pre-parazione del pane (su chiliru, su sedattu, sa colvula, su lacu e sa

importante serie di manifestazioni cultu-rali ha contrassegna-to il mese di giugno.

Prima in ordine di tempo la festa dell'Unicef. Ho assistito ad un mo-mento educativo caratterizzato da tanta gioia ed allegria. Bambini so-prattutto, genitori, insegnanti, autori-tà religiose, civili e militari hanno cercato di contribuire alla riusci-ta di una ricorrenza che ci invita a riflettere. Non bisogna dimenticare, infatti, che in diverse parti del mondo tanti meno fortunati vivono in condizioni drammatiche per la violazione continua dei propri diritti. Quindi queste manifesta-zioni servono a ricordarci che dobbiamo sempre tener presen-te questo problema e batterci nel nostro piccolo per risolverlo.

L'insegnante Bastianina Calvia ha invitato i presenti a diffondere i prin-cipi della solidarietà e dell'altriusmo a favore dei meno fortunati.

Divertente e allo stesso tempo ricca di spunti di riflessione è stata la rap-presentazione Annalice Porcospino interpretata dagli alunni della secon-da media diretti dalla prof.ssa Mad-dalena Corrias. La storia prende spunto da testi di Antonio Gramsci adattati e rielaborati da Francesco Enna. Molti i temi ricorrenti: la liber-

tà in tutte le sue espressioni, la con-danna della tirannia, dell'ingiustizia, della sopraffazione. Molto bravi i ra-gazzi nell'interpretare i diversi per-sonaggi e nel realizzare scenogra-fie. Per tutti applausi a scena aperta e alla conclusione.

☺ Altrettanto piacevole e interessante la festa della musica organizzata dall'associazione Time in jazz. Per una giornata intera musicisti ber-chiddesi e non, spostandosi da una parte all'altra del paese, hanno of-ferto ai presenti un saggio della pro-pria bravura. Il presidente dell'asso-ciazione Paolo Fresu si inseriva o-gni tanto con la sua tromba e contri-buiva al successo dello spettacolo. Tanti gli spettatori venuti da fuori per assistere alle esibizioni. La riuscita della giornata ha ripagato gli sforzi degli organizzatori impe-gnati a mettere in cantiere tante ore di spettacolo per educare la popola-zione all'amore per le varie espres-sioni della musica.

spettacolidi Gian Domenico Sini

Un’

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8 luglio - Muore a Buddusò Monsignor Don Antonio Sini, nativo di Berchidda, dottore in S. Theologia, arciprete di Buddusò dal 1893 (era stato sei anni vi-ceparroco di questa parrocchia). Prelato domestico di S. Santi-tà, Canonico onorario del Capitolo di Ozie-ri, sacerdote molto zelante e buon mora-lista. Aveva fatto un concorso molto bril-lante. Impiantò l’asilo infantile e fece rifiori-re molte società reli-giose. Fondò anche la Società d’Assicu-razione per il bestia-me. Perdette la vista, ma non lasciò il suo posto. Morì sulla

1930 - Nel 12 febbraio muore a Monti il Sacerdote Giommaria Mazza, parroco di quel paese per trent’anni. Era nato a Berchidda nel 1865. Aveva studiato a Ozieri ed era stato viceparroco del suo paese natio. Predica la quaresima il Canonico Don Gavino Dettori, per la 3a volta con frutti consolantissimi. A causa del crollo d’un voltino laterale (cappella di S. Pietro) la chiesa parroc-chiale viene mutilata della sagrestia, dell’altar maggiore e delle cappelle di S. Antonio e del Bambino. Febbraio - Il Viceparroco dott. Agosti-no Sanna viene trasferito a Monti in qualità di reggente. Aprile 7 - Per surrogare il Sanna viene il reverendo Don Giuseppe Ghisaura, pure d’Ozieri, già parroco di Padru. Mese di maggio predicato dal Vicario Casu.

Al 1930 sono riserva-re le registrazioni presenti nelle ultime pagine del Liber, la cui lettura ci ha ac-

compagnato per quasi tre anni. C’è da augurarsi che nel futuro possa essere rintracciato e divulgato il quaderno nel quale i sa-cerdoti di Berchidda proseguirono la stesura delle proprie os-servazioni negli anni successivi.

BERCHIDDA nel Liber Chronicus

a cura di Don Gianfranco Pala

elle pagine del Liber Croni-cus relative ai fatti del 1930 spicca la notizia del crollo d’un voltino laterale in corri-

spondenza della cappella di S. Pie-tro, della vecchia chiesa parrocchia-le di S. Sebastiano. Ne derivarono gravi danni alla sagrestia, all’altare maggiore e alle cappelle di S. Anto-nio e del Bambino. Anche un consi-stente tratto di muro subì una grave lesio-ne. Per questo furo-no immediatamente avviate le pratiche per gli interventi di restauro. I documenti che pub-blichiamo contengo-no il testo della pro-cedura di appalto, le cui operazioni si svolsero il 13 luglio, e quello del contratto per l’affidamento dei lavori, stipulato il giorno dopo, 14 lu-glio. Alla gara d’appalto,

tenutasi tra gli altri alla presenza del Podestà, Paolo Vargiu, del vicepar-roco, Gioacchino Sini e del commit-tente, il parroco Pietro Casu, parte-

ciparono due impren-ditori: Salvatore Muz-zetto e Giovanni Ma-ria Fresu, meglio no-to come Mimmia. Il primo offrì di ese-guire i lavori per la somma di £ 3.750, mentre il secondo, che si aggiudicò l’appalto, fece una richiesta per £ 2.750. Le opere iniziarono immediatamente e furono completate appena un mese do-po. Pur considerando la parzialità dell’in-

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breccia ed ebbe funerali distinti, presen-ziati dal Vescovo Monsignor Franco. Lasciò alla parrocchia di Berchidda i suoi libri e molte suppellettili sacre. Agosto - Si fa la nuova volta della Sagre-stia parrocchiale. Settembre - Panegirista di S. Sebastiano e S. Lucia il teologo Gerolamo Contini, viceparroco di S. Lucia e professore del Seminario d’Ozieri. Novena di Natale sempre più frequenta-ta. Numerose comunioni di giovanotti. 1931 - ... Dopo l’indicazione di questa data il

quaderno si inter-rompe bruscamen-te. Segue una pagi-na dove spicca il timbro di controllo del vescovo Igino Maria Serci, appo-sto in data 2 marzo 1937. E’ presumibile che la registrazione de-gli avvenimenti degli anni successivi sia proseguita in un al-tro quaderno che, al momento, non è stato ancora rintrac-ciato.

tervento, lascia stupefatti l’estrema rapidità di esecuzione, che contrasta con gli attuali tempi di realizzazione delle opere pubbliche. Tra le precise e vincolanti clausole del contratto meritano attenzione gli accenni all’assicurazione dei lavora-tori, la tutela della mano d’opera e dei produttori locali di materiale edili-zio; inoltre l’obbligo religioso di ri-spettare i giorni di riposo, i controlli del committente e le penali rigida-mente stabilite in caso di inadem-pienza.

Restauri in sagrestia (1930) di Giuseppe Meloni

I documenti pubblicati a p. 7, trascritti a cura di G. M., sono conservati, accanto a molti altri documenti di grande interesse per la vita religiosa e civile del paese, nell’Archivio Parrocchiale. Il suo riordino è attualmente in corso ed è oggetto di una tesi di laurea.

Il viceparroco Gioacchino Sini

Il vescovo Igino Maria Serci

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avanti al Parroco Sig. teolo-go Pietro Casu fu Salvatore e alla presenza dei Signori Paolo Vargiu di Giuseppe,

podestà del Comune, e del reveren-do Sig. Gioachino Sini, viceparroco, si è esperita l’asta col metodo delle schede segrete per l’aggiudicazione dell’appalto dei lavori di restauro della sagrestia della Parrocchia di Berchidda, da eseguirsi secondo il progetto tecnico redatto dall’Ing. An-tonio Forteleoni e alle seguenti con-dizioni, che vengono lette prima dell’apertura dell’asta. a) cauzione di £ 750 e garanzia mo-rale e di stabilità all’assunzione e all’esecuzione dei lavori;

b) esecuzione esat-ta del progetto For-teleoni e riparazione muro lesionato; c) tutte le responsa-bilità di qualsiasi ge-n e r e , e l’assicurazione dei lavoratori a carico dell’assuntore; d) inizio dei lavori

prima del 20 corrente e termine massimo, salvo complicazioni, il 15 venturo agosto 1930; e) riposo nella domenica e feste di precetto, salva autorizzazione del parroco; f) mano d’opera paesana e acquisto dei materiali trovabili nel Comune, salva notabile differenza di prezzi, da fare presso i fornitori locali; g) pagamento: metà durante i lavori e metà a collaudo eseguito, dietro approvazione del tecnico h) facoltà del parroco di far sorve-gliare i lavori da persona di sua fidu-cia e di rescindere il contratto in ca-so di inadempienza di una sola di queste condizioni.

D

Previo deposito della somma di £ 750 concorrono i Signori Fresu Mim-mia fu Sisinnio e Muzzetto Salvatore fu Gavino e depositano a mani del Signor Parroco le buste sigillate con-tenenti le offerte. Muzzetto Salvatore offre la somma di £ 3.750,00 Fresu Giovanni Maria fu Sisinnio of-fre di eseguire i lavori per £ 2.750. Il Sig. Fresu Giovanni Maria viene dichiarato aggiudicatario. Viene restituito il deposito al Sig. Muzzetto Salvatore. Il Sig. Fresu Mimmia viene invitato a presentarsi per stipulare il contratto domani sera 14 a ore diciannove in ufficio. Letto confermato e sottoscritto L’aggiudicatario Fresu Giovanni Maria Muzzetto Salvatore Sini Sacerdote Gioachino teste Sacerdote Pietro Casu Vargiu Paolo teste

ra il molto reverendo Sig. Teologo Pietro Casu fu Sal-vatore, parroco di Berchid-da, da una parte, e il Sig.

Fresu Mimmia fu Sisinnio, imprendi-tore, dall’altra, si è stipulato di co-mune accordo il seguente con-tratto di appalto, al quale le parti danno pieno valore di legge, in virtù del quale il pre-lodato Dottor Casu cede al qui presente ed accettante Sig. Fresu l’impresa dei lavori di restauro della sagrestia della Parrocchia di San Sebastiano alle seguenti condizioni ed o-neri: a) I lavori saranno eseguiti esatta-mente secondo il progetto compilato dall’ingegnere Antonio Forteleoni e dovranno essere iniziati non oltre il 20 corrente e ultimati, salve compli-

Verbale d’asta per l’appalto dei lavori di restauro della sagrestia

della Parrocchia di Berchidda

L’anno millenovecentotrenta VIII addì tredici del mese di luglio in Berchidda e nella Casa Comunale a ore diciannove

cazioni, entro il quindici venturo a-gosto 1930. b) Sarà osservato rigorosamente il riposo della Domenica e delle feste di precetto, salva autorizzazione del parroco.

c) Tutte le responsabilità di qualsiasi genere e l’assicurazione dei lavora-tori sono a carico dell’assuntore. d) Dovrà inoltre essere riparato il muro lesionato.

e) Sarà impiegata mano d’opera pa-esana e l’acquisto dei materiali tro-vabili nel Comune, salva notabile differenza di prezzi, dovrà farsi presso i fornitori locali. f) Il pagamento del prezzo che si pattuisce in Lire duemilasettecento-cinquanta sarà fatto per metà du-rante l’esecuzione dei lavori e metà a lavoro ultimato, dopo il collaudo eseguito dal tecnico del Comune e del Genio Civile. g) Il parroco si riserva ogni facoltà di far sorvegliare i lavori da persone di sua fiducia e di rescindere il contrat-to in caso di inadempienza di una sola di queste condizioni.

h) A garanzia degli obblighi tutti assunti il Fresu deposita nelle mani del Sig. Dott. Pietro Casu una cauzione di Lire settecento-cinquanta (£ 750), come da ver-bale d’asta in data di ieri, dichia-rando inoltre esplicitamente di sottoporsi, come in effetti con la presente si sottopone, ai predet-ti obblighi ed oneri.

Letto confermato e sottoscritto Fresu Giovanni Maria Sacerdote Pietro Casu.

Contratto per l’appalto dei lavori di restauro della Sagrestia

della Parrocchia di Berchidda L’anno millenovecentotrenta VIII, addì quattordici del mese di luglio in Berchidda e nella casa Comunale posta in Piazza del Popolo a ore pomeridiane sette.

T

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ra un cavallino della Giara, un piccolo "musca pia" dagli occhi teneri, a mandorla, e

una criniera folta e selvaggia sempre in movimento. Era nato all'inizio della primave-ra in un bellissimo altopiano, incastonato come un'isola su un basamento di rocce inaccessibi-li: la Giara di Gesturi. Aveva a-perto gli occhi in mezzo ad una distesa di margherite bianche, vicino ad un piccolo stagno do-ve la madre si era rinfrescata il muso e le zampe accaldate, e il padre lo aveva ripulito con la lingua e lo aveva spinto con il muso affinché si fosse sollevato presto sulle zampine incerte. Un branco di cavallini dagli occhi a mandorla aveva interrotto la sua corsa nei prati umidi per osservare, incuriosito, il nuovo nato. Anche mu-floni e cervi si erano fermati vicino allo stagno. Molto presto il piccolo aveva iniziato a galoppare e a correre; ci aveva messo tutto il carattere e l'orgoglio della sua razza. Si spostava dietro il branco, tra sugheri e stagni, alla ri-cerca dell'erba più tenera, dell'om-bra più ampia e folta. Era felice il cavallino della Giara. A-

veva tutto ciò che un cavallo possa desiderare: spazi infiniti, prati rigo-gliosi, pozze d'acqua cristallina, sole e cielo azzurro. L'estate era arrivata d'improvviso e in poco tempo il sole cocente aveva prosciugato gli stagni e inaridito i prati. Una distesa di erba gialla e spinosa aveva ricoperto la Giara e l'aveva trasformata in una pista ro-vente e secca dove i cavallini si muovevano sempre più irrequieti e inarrestabili.

Il piccolo aveva provato per la prima volta l'arsura della sete e i morsi della fame, ma anche la paura, la stessa che si era im-possessata dei branchi selvaggi dell'altopiano. Era una paura an-tica, atavica che si materializza-va nella caccia spietata da parte dell'uomo verso la fine dell'esta-te, quando i cavallini erano spossati dalle privazioni e dalle fatiche di lunghe corse sui sassi arroventati. Il piccolo "musca pia", sdraiato ma vigile sotto un'ombra rada, aveva avvertito prima degli altri lo schiocco di mille fruste e le voci rauche degli uomini della pianura. Era corso via come il vento. Non si era fermato che a

notte fonda, sulle pendici di un anti-co cratere vulcanico, in mezzo ad un fitto bosco di sugheri. Si era ad-dormentato di colpo e quando si era svegliato si era ritrovato con un cap-pio al collo. "Non ti marchierò a fuoco" disse l'uomo, carezzando la sua schiena fremente. "Ti porterò invece dalla mia bambina che è piccola come te." Per molti anni il cavallino della Giara fu compagno inseparabile della bim-ba; docile e mansueto, la seguiva

guardo mentre dormi: sei bellissima, e dolce nel tuo lettino rosa che mi ricorda altri sonni e altri tempi, non

lontanissimi, perché la vita, quando l'hai vissuta, ti sembra breve. E in questa brevità è un succedersi di accadimenti a volte faticosi e inutili, spesso tristi. Non tutti per fortuna; il tuo arrivo ad esempio ha portato una gioia grande nella nostra casa. Forse per tutti i bambini è così. For-se per tutti i nonni è una riafferma-zione della propria esistenza, della propria capacità di essere. E questa possibilità di una riflessione sulla vita ti si dà quando sei ormai matu-ro e sei in grado di apprezzare ogni sorriso, ogni gesto, ogni parola co-me un dono che ti si offre senza a-

Ti

verlo chiesto, senza a-verne i meriti. Sei arrivata nel paese delle cicogne, come nel-le fiabe; e ho volato anch'io per venirti a co-noscere, per venire a co-noscere la piccola Bene-

dicte che, oltre al nome, di nordico ha gli occhi di un azzurro stupefatto e i capelli di bronzo antico. Strana mescolanza di razze; anche per questo rappresenti il futuro. Sono nuragiche, picene e vichinghe le tue origini lontane e di ognuna, io mi auguro, ti porterai in dote le qua-lità migliori: la forza comunitaria, il coraggio della propria individualità, l'amore per il nuovo e l'avventura. E dell'avventura qual è la vita tu sei appena agli inizi, ma già dimostri grande curiosità, carattere e gene-rosità. "Nonna" mi dici, puntando il tuo diti-no inesperto su un'immagine dei tuoi primi piccoli libri; e io devo ripe-terti il nome o fare il verso di uno dei tanti animali.

Pian piano non ti accontenti più; vuoi le storie, vuoi che ti rivesta di parole e di magie le tante figure che si presentano ai tuoi occhi avidi. "E’ un cavallino – ti dico per l'enne-sima volta – un cavallino", e tu fai il verso degli zoccoli che trotterellano su un prato immagina-rio. Il tuo sguardo si ferma a lungo sul cavallo che pare volare su uno scenario rosa. Il nonno te ne fa tanti, di corsa, al galoppo, da soli, in gruppo. Tu non ti accontenti facilmente, ne vuoi sempre di nuovi e li guardi penso-sa, come se volessi seguire la loro corsa, il loro andare sui fogli bian-chi, non si sa verso quale meta. Anche a me piacevano i cavalli, quando ero bambina. Erano il sim-bolo della libertà. Non saprei dire il perché; però pensavo che loro po-tevano correre senza meta, via, lon-tano. Più tardi ho capito che non era proprio cosi. Ecco, di un cavalli-no ti voglio parlare, di un cavallino che popolava i miei racconti infanti-li.

M U S C A P I A Il cavallino della Giara

di Antonietta Langiu

E

incisione di Ottorino Pierleoni

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musicante] II FILA

1) Francesco Meloni [Cicu] (non musicante)

2) Non identificato 3) Antonio Pinna [Giovincello]

(Genis) 4) Giommaria Meloni (Trombone

accompagnamento) 5) Salvatore Piga [Barore]

(trombone) 6) Luigi Taras (trombone cantabile) 7) Antonio Fresu [Minore]

(trombone cantabile) 8) Pasqualino Rau (trombone

accompagnamento) 9) Vito Sotgiu (flicorno) 10) Giovanni Fresu [fratello di

Gasparino] (clarino) 11) Dino Casu (clarino) 12) Gavino Achenza [Bainzu-Ro-

magnolu, bidello della banda] 13) Pauleddu Taras [Fae] (comitato)

III FILA 1) Mimmieddu Meloni (clarino) 2) Giovanni Maria Demuru

[Cacianni] (clarino) 3) Mimmia Sanna (trombone) 4) Francesco Demuru [Ciccheddu]

(cornetta) 5) Giovanni Demuru (clarino) 6) Antonio Maria Puddinu

(cornetta) 7) Gavino Casu (cornetta) 8) Salvatore Fois (clarino) 9) Salvatore Mannuzzu [Cacìa]

(clarino, poi basso) 10) Giovanni Maria Demuru

(clarino) 11) Ninu Serra [da accertare]

(clarino)

ovunque. Pareva aver dimenticato la terra dei cavallini selvaggi e le corse libere ai limiti dell'orizzonte. Poi improvvisamente, una primave-ra, seguendo come un antico richia-mo, era fuggito verso i sentieri im-pervi che portavano alla Giara, e non era più tornato. Aveva scelto la libertà; per molto tempo o per poco non era dato sa-perlo. E con la libertà la fame, la se-te e la paura, ma anche il profumo della terra bagnata, l'odore dei mille fiori che la ricoprono come un man-to; i sentieri ombrosi che si perdono nei boschi; il rumore del vento che sfrigola tra le fronde dei sugheri; i lunghi silenzi della Giara che si in-nalza, sui dirupi, verso il cielo.

I FILA 1) Nia Coizza (basso) 2) Falchittu (bombardino) 3) Mimmia Mannu (basso) 4) Gasparino Fresu (bombardino) 5) Vittorio Casu [Pes] (basso) 6) Sebastiano Piga [Disperso in

guerra] (flicorno-basso) 7) Da accertare 8) Antonio Rau (flicorno) 9) Piccianu (flicorno) 10) Sebastiano Achenza [non

chi li riconosce? Ricordate la foto pubblicata nel numero di agosto 1998? Chiedevamo ai lettori un aiuto per individu-are il numero maggiore di persone. Il nostro con-cittadino Giommaria Sanciu, nato il 22 marzo 1902 a Berchidda, dove risiede in via Pascoli 1, ha esercitato la sua memoria segnalandoci quasi tutti i nomi di chi era stato fotografato in quel lontano 1912 (per altre fonti si tratta, invece, del 1914). I lettori e la redazione gli sono grati per la sua pre-cisa segnalazione che gli consentirà di ricevere piazza del popolo in anteprima per tutto il restante

IV FILA 1) Barore Mannu (comitato) 2) Giuseppe Grixoni (grancassa) 3) Bisgj Sini [Cavallolli] (comitato) 4) Pietro Casu [segretario] 5) Salvatore Mannuzzu [presidente] 6) Maestro Nuvoli 7) Giuliano Achenza [comitato] 8) Giovanni Battista Puddinu

[comitato] 9) Peppittu Vargiu [comitato] 10) Emilio [di Tempio]

SOLO 1) Nuccio Mannuzzu [figlio di

Salvatore]

V FILA 1) Figlio del Maestro Nuvoli 2) Salvatore Galaffu [esattore]

(clarino) 3) Giovanni Demuru [giudice]

(triangolo) 4) Peppino Achenza (ottavino) 5) Antonio Crasta [commerciante]

(cornetta) 6) Gigi Gaias (piatti) 7) Antonio Crasta [Bonomi] (genis) 8) Salvatore casu [Barore]

(clarinetto) 9) Altro figlio del Maestro Nuvoli 10) Antonio Casedda (tamburo) 11) Figlio di Nuvoli [musicante] 12) Antonio Crasta (genis)

La numerazione fa riferimento alla foto pubblicata nell’agosto 1998. I nuovi nomi sono indicati in corsivo. Per alcuni sono riportate osservazioni sui soprannomi, sulla professione, sul ruolo ricoperto nella banda. Per tutti i suonatori è indicato lo strumento.

Pensierini di Giemme

Non è chiaro se la strada che porta a Vallicciola sarà ripristinata al traffico per quest’estate. Certo è u-na grana in più per l’amministratore. Amministrare vuol dire non solo af-frontare i problemi più semplici, ma risolvere per il bene della comunità anche quelli seri, che quotidiana-mente si ripropongono.

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L’angolo della poesia

Canto a sa vida

Mi piaghet sa fumazza chi pigat dae sa terra infusta. Mi piaghet sa zilighelta chi s’iscaldit in sos muros de pedra. Mi piaghen sas rundines chi ‘olana in su chelu mannu. Mi piaghet sa frina trizile chi mi carignat sa carena. Mi piaghet sa notte, cando su sole tribagliat in logu anzenu e su chelu si ponet sa ‘este iscura. Mi piaghen sas istellas chi giogana cun sa luna. Mi piaghet cantare a sa vida in s’istagione noa.

Pietro Delrio

Poesia in lingua sarda Primo premio

Si vuole sottolineare l’approccio positivo dell ’autore al tema proposto. La poesia offre quindi immagini vive, semplici, tratte dall’esperianza, espresse con linguaggio appropriato e spontaneo.

Tartaruga di pietra

La sabbia rosa non c’è più, tra le onde impetuose del mare, la testina dell’innocua tartaruga di pie-tra non si mostra più. Nel silenzio del peccato gli uccelli continuano a volare, le onde a infrangersi e il vento trasporta solo le mani dei vandali di oggi, di sempre.

Emanuela Craba

Poesia in lingua italiana Terzo premio

La poesia, ispirata da un fatto di cro-naca, con linguaggio pacato ed effi-cace, condanna l’opera dei vandali che apportano danni irreparabili alle bellezze naturali della Sardegna.

No b’hat pius logu

Ite bellu candho giogaia in Funtana Inzas! S’abba mi infriscaiat su coro, sas oras passaiant chena mi ’nde abbizzare. Como su murittu ‘e cemento paret chi mi nelzat: “andhadiche!”. Non poto giogare pius in Funtana Inzas, no b’hat pius logu!

Sabrina Mele

Poesia in lingua sarda Secondo premio

Nella poesia è presente il tema del ricordo espresso con sincera nostalgia per ciò che scompare ad opera dell’uomo in nome del progresso. Il linguaggio semplice ed essenziale è fresco ed efficace.

Il raccolto

Se uomo e natura seminassero all’alba la sera raccoglierebbero insieme frutti dorati, voli di uccelli, raggi di sole, lacrime di rugiada

Simona Taras

Poesia in lingua italiana Secondo premio

Pur nell’apparente semplicità della forma, la poesia, fresca e immediata, esprime immagini efficaci dalle quali emergono speranza e ottimismo nell’agire dell’uomo.

Le rondini

Finalmente! Finalmente è arrivata la primavera! Le rondini, dopo il freddo inverno, ritornano. Ma perché sono sempre di meno? E’ forse colpa mia? Sono forse stata io a rubare loro un pezzo di cielo?

Giulia Zanzu

Poesia in lingua italiana Primo premio

Pur nella sua semplicità e immediatezza di immagini la poesia può ritenersi valida e significativa per l’originalità del porsi in discussione di fronte al problema del rispetto della natura.

Concorso Letterario “Ines Mele”, XVII edizione, Scuola Media Statale n° 3, Olbia, 1999 Elaborati pervenuti: poesia in lingua italiana 84; poesie in lingua sarda 27; prose 33; grafica 208, totale 352. Giuria: Roberta Spano, Tonina Gallittu, Pina Malesa, Giuseppe Soddu, Antonio Nonne, Salvatore Ogana, Francesco Dotti

Emanuela Craba, Pietro Delrio, Giulia Zanzu, Sabrina Mele

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La “bellezza” di questo modo di dire sta nella sua “universalità”. nessuno potrà mai dire di non poterlo collocare nello spazio della propria esperienza.

Su caddu ‘e su sossincu (Il cavallo del sorsense)

favoleggiava di un povero cavallo che -stante la supposta “mattezza” dei sorsensi- avesse

tirato le cuoia quando, dopo un infinito digiuno, indotto forzatamente dal padrone, stesse “abituandosi” a vive-re senza mangiare. “No fattes chei su caddu ‘e su sossincu!”, era un av-vertimento scherzoso, ma non troppo, che si “buttava” all’occorrenza, allo scopo di far riflettere su progetti volti a perseguire futuri e incerti vantaggi, a fronte di impegni e sacrifici tali da poter essere difficilmente so-stenuti. CONTINUA

No apprettes su caddu a chingia (Non stringere troppo la cinghia)

chingia è la striscia di cuoio che assicura la sella al dorso del cavallo; l’affibbiatura, che ne regola la tensione, deve garantire la stabilità e permettere la

dilatazione del torace della bestia durante lo sforzo neces-sario a rendere il servizio. Quando questo non avviene, la bestia, oppressa, viene impedita nel suo lavoro e, se solle-citata oltre, si rivolta, disarcionando il suo cavaliere.

“a caddu a...” espressioni e modi di dire

di Mario Vargiu

mia haimus fattu asolu e laldu. Lu fattemus bundante ca de-vian bennere sa piseddina (sos fizzos), ma no potein benne-re. Invitesi tando a Franziscu, chi medas vias bi eniat, ma su die fit invitadu atter’ue. Essende solos, eo e muzzere mia, bi re-steit una padedda manna de asolu e laldu, caula e castanza, chi nde podian mandigare fina sos moltos. “Assiat pena!” naraiat Rina “como andat peldidu; si nos dada a piangher custu Gesu Cristu gia hat rescione, assiat pena!” Invece, a sas undighi de notte... TU-TU-TU... su telefono! “Pronto, Rina, so Franziscu Decandia; iscusciami, a cust’ora” “No b’hat ite; ite b’hat, Franziscu?” “Bi l’has cudda padedda de su laldagiolu chi nacchi bos est

restadu?” “Emmo, Franziscu, est ancora caldu!” “E tando so enzende”. Benzeit e nos neit: “Happo invitadu an’domo battor pessones solas che a mie, e chelzo passare cun issos una bella sera “Cun tottu su coro” neit Rita, “fit unu peccadu a lu peldere”, e aggiungheit unu giogu de saltizza, su pane e duos ampul-lones de inu. L’aggiuesi a che giugher tottu e micc’andesi, no primu de m’haer ringraziadu. S’atteru die Franziscu torreit, allegru che cicciri, soddisfattu, cun s’istelzu nettu. “Asi Deu bollu paghede. Nos hamus mandigadu e buffadu tottu; nos semus allegrados e hamus fina cantadu fin’a sas battoro de custu manzanu. Deus boll’hada a ricumpensare”. Canta zente sola, isettende unu nudda. Invece si podet allegrare cun pagu, bastat puru unu faeddu, e frimmarenos a pensare a sos atteros chi han bisonzu de nois. Ha-mus vidu chi bi cheret pagu a battire s’allegria; bastat una bona dose ‘e solitu-dine e una padedda de asolu e laldu cun saltizza e binu... e unu aggiunghiat: “mancari unu asolu e duos laldos”; zeltu cussu no ciulaiat!?

antu semus lestros a ilmentigare, amigos intimos che frades! In sa cumpanzia nos sunu mancasos tantos, e los am-mentamus a intaldos, ma unu, Franziscu Decandia est

istadu ilmentigadu troppu lestru dai sa idda nostra. Una cosa negativa de nois belchiddesos est chi nos ilmentigamus troppu lestros de sos pessonazzos chi, invece, sun de ammentare. Unu poeta caru chi est mancadu (tiu Barore Casedda) pediat a s’amministrascione una via intitulada a Franziscu, e forsi nessi sos minores haian preguntadu “chie fit?”. Solu chi sa zente moderna dat valore a atte-ros pregios – chi sun sempre de ammirare e rispettare – ma trascurat s’onestade, s’educascione e su rispettu chi unu hat. Franziscu fit onestu, cun isse e cun sos atte-ros, haiat una vida privada cun unu zeltu valore interiore, chi mancu sos cumpanzos connoschiamus, ma fit connottu tott’ue. Cando mancaiat pro esercizios ispirituales naraiat: “Che fio fora, no che fio”. No fa-ghiat male a nisciunu e faghiat bene a tan-tos, assa muda. Una frase l’ammento sem-pre: “Tottu podimus diventare santos, bastat solu chi lu chelfemus”. Eo, burulende buru-lende, li rispondesi: “Franziscu, benit fin’a male a narrere Santu Tonino, no ti paret?” E si ponzeit a riere ma m’haiat cumpresu. Est sempre diffizile a faghere sos santos, ma pro los faghere bi cheret ingredientes meda chi Franziscu Decandia haiat. Bos fatto unu contu chi no b’intrat nudda cun sa santida-de, ma...! Su die de laldagiolu, annos faghet, in domo

Sa

Si

Solitudine e... asolu e laldu Un’amigu caru

Franziscu Decandia

C

di Tonino

Fresu

Franziscu Decandia 19-08-1926 / 06-12-1992

“Ringrazio quanti mi hanno

aiutato nella scelta vocazionale... da circa

quarant’anni non ho mai avuto dei dubbi sulla scelta fatta...

grato a tutti... mi ricordino nelle loro preghiere”

(dal suo testamento spirituale)

Pagina 12 a. V, n. 3 - giugno 1999

segreteria di redazione: Maddalena Corrias

Hanno collaborato: Denise Brianda, Emanuela Craba,

Pietro Delrio, Sergio Demuru, Andrea Dente, Raimondo Dente, Monica Doneddu, Eleonora Fenu, Gian

Franco Fresu, Ninnio Fresu, Pietro Fresu, Sandro Fresu, Tonino Fresu, Antonietta Langiu, Sabrina Mele,

Gianfranco Pala, Ottorino Pierleoni, Giommaria Sanciu, Gian Domenico

Sini, Simona Taras, Giuseppe Vargiu, Mario Vargiu, Giulia Zanzu.

Stampato in proprio Berchidda, giugno 1999

Registrazione Tribunale di Tempio n. 85 del 7-6-96

piazza del popolo non ha scopo di lucro Si ringraziano i lettori per

il consenso e l’appoggio offertici.

Direttore: Giuseppe Sini

Composizione: Giuseppe Meloni

dei lungomari smeraldini. E che dire dell'importanza delle telefonate mai direttamente ricevute dall'interessa-to, ma filtrate attraverso il segretario di turno. “Le passo il senatore" op-pure "l'on. la vuole salutare" erano alcune delle espressioni usate da collaboratori indaffaratissimi a recu-perare contatti vecchi e nuovi con possibili e a volte improbabili elettori. Il tenore poi delle stesse rispecchia-va affettuosità, cordialità e amicizia strabilianti, proprie degli amici più cari e delle frequentazioni più assi-due. Peccato che in precedenti oc-casioni gli stessi politici si erano resi irreperibili per "improrogabili impegni attinenti il mandato". Ma anche tra i candidati esistono le differenze e si notano. Il leader lo riconosci dal seguito del quale si cir-conda, dal tipo di convention che mette in piedi, dal battage pubblicita-rio che lo accompagna e infine dal

manifesto elettorale che ne esalta l'immagine. Mai come in questa cir-costanza sono apparse gigantogra-fie stellari che immortalavano sorrisi accattivanti e ammalianti. Non bisogna dimenticare i benefici derivati all'ambiente dalla miriade di

santini seminati nei luoghi più svaria-ti la cui raccolta suscita un indescri-vibile senso di felicità tra il personale addetto alla raccolta dei rifiuti. E che dire del giovamento derivato ai luo-ghi pubblici dall'attacchinaggio sel-vaggio dei posters dei leader più ac-clamati. E poi tutti vogliono cambiare: para-dossalmente i maggiori alfieri del rin-

novamento li abbiamo scoperti tra coloro che avevano occupato da più tempo gli augusti scranni regionali o i più appetitosi seggi del Parlamento europeo. Anche il turismo locale ha ricevuto indubbi vantaggi dai pellegrinaggi dei tantissimi candidati che in occa-sioni di sagre, feste, battesimi, cre-sime o a puro titolo di cortesia han-no visitato il nostro centro decantan-do meriti e qualità degli abitanti. Sorprende che nessuno sia stato assalito dal dubbio di non poter es-sere eletto. Mi ha colpito la sicurez-za di qualche candidato che non prendeva neppure in considerazio-ne la più tenue possibilità di non far-cela. Ma almeno qualcuno ha parlato dei propri programmi? Il programma è una perdita di tempo, un optional, perché deve essere supportato da una tensione ideale che per lo più mancava. Avrei voluto ricordare a qualcuno che sparizione di ideolo-gie non significa automaticamente caduta di ideali; ma ero troppo oc-cupato a leggere le tradizionali dieci missive che quotidianamente debor-davano dalla cassetta postale con grande soddisfazione del portalette-re di turno!

propria volontà e le proprie scelte? Mentre dalle altre sedi europee, a distanza di poche ore dalla chiusura dei seggi, iniziavano a giungere i primi dati effettivi sull’esito della consultazione, in Italia (non solo in Sardegna) i seggi, i corridoi delle scuole, i cortili d’accesso erano an-cora affollati di elettori che voleva-no, unicamente, esercitare i propri diritti democratici. Certo la responsabilità di questo disservizio non è da addossare ai componenti dei seggi, che hanno sudato sette camicie per portare a termine con regolarità le operazioni di votazione e scrutinio. Oppure vogliamo dare la colpa a quegli elettori, peraltro giunti in ora-rio, che non chiedevano altro che esprimere le loro scelte velocemen-te e in maniera semplice? Per individuare le responsabilità è necessario andare più in alto e fare riferimento alla solita approssima-zione “all’italiana”. Innanzi tutto votiamo con dieci si-stemi diversi. L’elettore è disorienta-to. Gli “asciugamani” di carta che contengono i nomi dei votabili (o le vogliamo chiamare schede?) sono incomprensibili rebus; i sistemi sono

cervelloticamen-te moltiplicati e nessuno riesce a semplificare un

meccanismo che avrebbe solo bi-sogno di chiarezza: o l’uno o l’altro. E poi, si poteva pensare che in questo caos si potessero sopprime-re -sia pure per risparmiare - mi-gliaia di seggi senza causare un grave danno alla credibilità delle elezioni? Il ministro Russo Iervolino avrebbe dovuto fare meno viaggi propagan-distici in elicottero nella martoriata Albania e presentarsi, invece, di fronte al teleschermo per chiedere scusa dei disagi ai quali ci ha sotto-posto. Forse ce n’era abbastanza anche per le dimissioni. Resta, comunque, purtroppo, l’impressione dell’inutilità del rito dell’urna che ormai appare sempre meno credibile, comprensibile, invi-tante. Questo sicuramente hanno provato quanti hanno fatto ore di fila di fron-te ai seggi; questo sicuramente pro-veranno elettori e candidati che sentono - a ragione - di aver ricevu-to un danno morale e pratico dalla approssimazione e incompetenza con cui sono state gestite in alto lo-co le elezioni appena concluse.

Parliamo di elezioni? contina da p. 1

Tra ideologie e ideali continua da p. 1