La Voce di Thalìa, 2° Numero - Inverno

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Avrei voluto parlarvi di Bologna, del Quartiere San Vitale, di via Zamboni, dei nostri posti insomma, dai quali nasce la nostra voce che si propaga in tutta la città e oltre. Ma c’è una voce più forte che mi chia-ma urlando e piangendo e io, nel mio piccolo, non posso che risponderle. Vi parlerò quindi di Parigi, dell’XI arrondissement, di rue Nicolas Appert, della redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo.Lo ammetto: non conoscevo suddetto giornale fino a pochi giorni fa; ne ho sicuramente letto del-le vignette che forse mi hanno anche divertito, ma a esse non ho mai associato né un nome, né un volto. D’altronde questo è il bello di una voce: anche da lontano, si può ugualmente udirne l’eco. Non conoscevo Charlie Hebdo fino a pochi giorni fa, ma quando sentii dell’attentato terroristi-co e dei vignettisti morti assassinati, quando vidi internet riempirsi di foto di matite sanguinan-ti, mi si strinse il cuore, perché si sa che al mondo accadano cose brutte, ma io ingenuamente crede-vo che l’arte e la cultura fossero estranee alla violenza e combattessero con altre armi le loro guerre.Quel che voglio dire è che talvolta capita che, nell’esprimere un pensiero, intenzionalmente o incon-sciamente si usino toni irriverenti e offensivi, come fecero i vignettisti dell’Hebdo riproponendo in chiave satirica e a tratti volgare simboli che per molte persone sono talmente densi di significato e grandi da non poter essere rappresentati. Ma è giusto che tali vignettisti siano stati uccisi per questo?All’arte e alla cultura si risponde con altra arte e controcultura. Parlandone in redazione, tra i miei collaboratori è stato fatto per esempio il nome di Dyab Abou Ja-hjah, scrittore e attivista politico che si autodefinisce culturalmente mussulmano ma spiritualmente agnostico. Egli si batte per il riconoscimento dei diritti e dell’identità culturale degli immigrati arabi in Europa, dei mussulmani che professano la loro religione nel rispetto sia delle istituzioni politiche, sia del loro credo, e aborra chi impone la propria fede con la violenza come gli attentatori del Char-lie Hebdo; riguardo alla vicenda, così si espresse su Twitter: “Io non sono Charlie, sono Ahmed il po-liziotto morto. Charlie ha ridicolizzato la mia fede e cultura e io sono morto difendendo il suo diritto di farlo”. Nonostante il suo atteggiamento diplomatico, non violento, Jahjah è fortemente ostacolato, nel 2002 fu anche arrestato con l’accusa di aver organizzato un moto rivoluzionario violento e filoislamico.Non è umano che ci sia ancora chi deve pagare con la libertà o addirittura con la vita l’espressione di un proprio pensiero. È abominevole.Ho molto riflettuto sull’accaduto perché da quest’anno mi sono ritrovato a dirigere questa rivi-sta e mi sono chiesto a cosa sto esponendo i redattori che collaborano con me. Se quel che di-ciamo offende o addirittura ferisce, è giusto che ci sia fatto notare, che l’irriverenza della no-stra voce sia travolta da una controvoce arrabbiata, ma non che sia messa a tacere con la violenza.

Pietro Balestra

EDITORIALE Nous sommes tous Charlie

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UNA STORIA SCONTATAQuante volte la settimana si parla d’immigrazione?Quante volte si sente di una vicenda che parla di estero, stranieri, immigrati o argomenti del genere?L’immigrazione è uno dei temi principa-li dei notiziari e, di sicuro, della società.Sono così spesso pronunciate le parole di que-sto fenomeno, che si è perso il senso di quello che rappresentano. Iniziamo quindi con il defini-re le parole che orbitano attorno a questo mondo. L’immigrazione è “in generale, l’insediamento di uomi-ni in paesi diversi da quello in cui sono nati, per cause naturali o politiche,” nello specifico, “l’arrivo e lo stabi-lirsi, nel territorio di uno stato, di lavoratori stranieri.”1 Un immigrato è quindi “chi si è stabilito tempo-raneamente o definitivamente per ragioni di la-voro in un territorio diverso da quello d’origine.”2

All’interno di questo linguaggio troviamo an-che parole come clandestino, profugo o rifu-giato che definiscono la condizione di alcu-ni immigrati all’interno della nazione ospitante.Dato che siamo in Italia, si cercherà di analizzare la condizione italiana in merito al fenomeno dell’im-migrazione, partecipando in primis a quella che sarà un’analisi soggettiva del fenomeno contemporaneo.Negli ultimi anni si è decisamente demonizzata la figura dell’immigrato per ragioni di convenien-za personale e politica, come a seguire l’idea che un buon capro espiatorio sia migliore di una buo-na soluzione. L’Italia, il governo, i partiti, gli ita-liani “non funzionano” e noi ce la prendiamo con la minoranza, tanto è facile dire “la colpa è loro!”Questa è l’immagine che si dà dell’immigrato e questa, purtroppo, è quella che l’italiano medio ha dello stra-niero che, secondo l’opinione comune, ruba il lavoro.Non sarà questo un articolo che vuole convincere o prendere parte politica a quest’analisi sociale, ma sareb-be bene soffermarsi su alcuni punti di questo pensiero.Lo straniero ci ruba davvero il lavoro? Se un ru-meno, albanese, algerino, greco, polacco, spagno-lo, svizzero, francese, tedesco, inglese venisse in Italia con l’idea di lavorare e ci riuscisse, può es-sere semplicisticamente definito ladro di lavoro? Insomma, se facesse quello che gli è richiesto sot-to compenso economico, sarebbe così fuorilegge?

Credo che il “problema” di legalizzare e regolarizzare questo rapporto, spetti non tanto all’italiadio che spara sentenze ignoranti, quanto allo stato ospi-tante che da quella forza lavoro, oltre a guadagnar-ci braccia, ci guadagna anche contributi e tasse.Ma è mai possibile lamentarsi per una disoccupazione al 13% per poi dire che lo straniero ci ruba il lavoro? Come mai si preferisce prendere posizione contrastante a un lavoratore straniero, in favore di una visione parti-tica (ossia di logiche di partito) che danneggia gli stessi lavoratori italiani, piuttosto che unirsi agli immigrati? È mai possibile che non ci si renda conto della guerra tra poveri che i vari partiti stanno mettendo in atto? Il capro espiatorio, appunto, è lo straniero de-monizzato, con differente linguaggio, con diffe-rente cultura, fisionomia, idee, paure e desideri.Da sempre il diverso è ghettizzato perché diver-so, ma quando siamo noi i diversi? La cosa che l’italiano farebbe bene a ricordarsi, infatti, è la condizione d’immigrato che ha vissuto per tut-to il secolo scorso e che ancora continua a vivere.Ma insomma, prima ci si lamenta per “l’invasione barbara” che ci ruba il lavoro e poi si parte per l’e-stero per cercare fortuna, “tanto qui non c’è futuro”? Il paradosso è che l’uomo individuo tende a schierarsi da una parte piuttosto che da un’altra, dimenticando di appartenere alla stessa specie: l’essere umano. Ve-niamo dal secolo delle grandi guerre, dal secolo dei campi di sterminio, delle bombe atomiche e ancora si creano queste divisioni? Ma se io, per caso, fossi nato cento chilometri più a destra o cinque paesi più in alto, sarebbe davvero così rilevante il punto di vi-sta che ho adesso, il punto di vista italiano? Se invece che in Italia, fossi nato in Croazia, avrei avuto lo stesso spirito nazionalistico italiano? No, l’avrei avuto croato. E quindi quale sarebbe stato il punto di vista migliore?Non ci sarebbe stato, poiché facciamo parte appunto della stessa categoria che è l’uomo, di una sottospecie che però, quando non ha nessun talento, passione o sogno, diventa patriottico e nazionalista. È normale diventare nazionalisti quando non si ha virtù: l’unica facoltà che rimane è quella di essere nati per caso (un caso comunque fortunato) in un posto specifico e quin-di credere che quello sia specificatamente migliore.

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Sbagliato: è soltanto diverso.Questo è facilmente comprensibile dal fatto che se il na-zionalista amasse le tradizioni e la cultura del proprio paese, sarebbe curioso di conoscere soprattutto quelle degli altri, proprio perché l’amore per la civiltà ha alla base lo stesso sentimento di conoscenza e curiosità delle cose che ci circondano, anche quelle più lontane.I confini geopolitici non definiranno mai la na-tura di un uomo e nemmeno il suo carat-tere. Potrebbero influenzarli, ma non è in giustificazione di quest’influenza che si può determi-nare la superiorità di una “razza” o di una nazione.Siamo arrivati a un periodo storico nel quale sa-rebbe retrogrado un atteggiamento di divisione. Bisogna unire e trovare tutte le cause comuni che ci spingono a stare insieme, senza divisione di genere o etnia. L’essere umano è uno e la prima cosa che do-vrebbe osservare è il rispetto per se stesso che com-prende quello per gli altri e quello per l’ambiente.È facile indirizzare l’odio e il malessere verso le minoranze. Quando si è in rappresentanza di un partito, si ha del potere e quel potere dev’essere usato in modo diligente. Quando espressioni tristi o slogan pseu-do-fascisti e neo-razzisti prendono voce dalla boc-ca di questi rappresentanti, sta all’individuo, ancora meglio all’essere umano, definire il termine di con-venienza che sta dietro quelle parole buttate in aria. Un uomo che non sa fare una critica del genere o non è in grado d’imparare dagli errori fatti in passato da una storia che si ripresenta, finirà per subire le conseguenze fisiche degli stessi slogan che ignorantemente promuove.Siamo noi la storia e decidiamo noi come far evolvere queste situazioni.Il fenomeno dell’immigrazione è una grandissima risorsa e demonizzare lo straniero significherebbe ghettizzare noi stessi. Non abbiamo dominio su nien-te se non sulla nostra persona, cerchiamo quindi di tollerare e comprendere quelle che sono le diverse culture e tradizioni, solo così potremmo veramen-te valorizzare le nostre ed essere un grande popolo.

Simone Bevilacqua

1: www.treccani.it2: www.treccani.it

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obbligato i cooperanti ad abbandonare lo Stato per motivi di sicurezza nel 2011. Ma, come ben si sa, la perseveranza è una risor-sa, altre che una qualità di ogni addetto del settore e può far incontrare diverse arti. Due infatti sono gli esempi che voglio riportarvi, accomiatandomi:- Il primo è un progetto incominciato nel 2013 in Cambogia, chiamato Migra-Safe: con la preziosa col-laborazione del circo nazionale cambogiano Pha-re Ponleu Selpak (PPS), il teatro, la musica e le arti circensi si uniscono in uno spettacolo affascinante che ha lo scopo di informare la popolazione cambo-giana sui rischi connessi alle migrazioni irregolari e sulle pratiche necessarie per migrare regolarmente;- Il secondo, catapultato nei Caraibi e partito a mar-zo 2014, coinvolge i giovani film-makers di Cuba, Haiti e Repubblica Dominicana nel potenziare la circolazione internazionale dei video-documen-tari, attraverso la ricerca di fondi, l’autopromozio-ne e il finanziamento di un concorso competitivo.

Federica Losi

Ciao a tutti! Sono Federica Losi, ospite del nuo-vo numero de La Voce di Thalìa per raccontare una “forma d’arte” alternativa, ovvero il volontariato.Ho sempre visto la solidarietà come espressione na-turale dell’intelligenza emotiva, che spinge così tanti scrittori e artisti a donarsi per la comunità, per lancia-re un messaggio o sensibilizzare l’uomo comune sulle proprie potenzialità che può esprimere in favore di altri.Ebbene, con GVC faccio proprio questo. Nel mio piccolo.La collaborazione è iniziata più di un anno fa, nel 2013, quando, a una conferenza, ho conosciuto le atti-vità di cooperazione e sviluppo della ONG bolognese. Ciò che più mi ha affascinato, oltre all’operare in un vasto contesto internazionale, è stato il principio di vo-ler rendere autonome le popolazioni che più necessita-no di aiuto nel mondo. Non è stato certo difficile fare mia questa idea: dopo un breve periodo di rodaggio, ho preso il mio posto e iniziato la mia collaborazio-ne nell’Ufficio Comunicazione della sede principale.Tante sono le cose da fare, di volta in volta diver-se e peculiari; per esempio, data la mia buona co-noscenza dell’inglese, le traduzioni delle schede progetto costituiscono una parte rilevante del mio lavoro. Mentre si riempiono i fogli bianchi, si sen-te sempre una voce dentro la testa ripetere di fare del proprio meglio, perché dalla propria performan-ce dipenderà il pasto di un bambino o la fornitura di acqua in zone desertiche. Senso di responsabi-lità? Sì, forse, ma connesso a un altrettanto grande desiderio di contribuire al successo dell’iniziativa.Anche assistere all’inaugurazione di mostre con i colleghi è importante, così come organizzare stand informativi in tutti i centri di maggiore interes-se è divertente, specialmente quando il pubblico partecipa con viva attenzione e qualche aneddoto dal gusto esotico viene raccontato dai cooperanti.E così, fra carte, eventi sociali e “assaggi” di esperienze sul campo, pian piano si uniscono i tanti pezzi di un puzzle che permettono di comprendere il panorama delle NGO italiane, delle collaborazioni a livello eu-ropeo con privati e istituzioni (come l’Unione Euro-pea) e gli sforzi congiunti nel continuare i progetti.Spesse volte la stessa Storia entra prepotentemente come protagonista nel lavoro quotidiano: la guerra in Siria, nazione in cui GVC è presente dal 2006, ha

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Riporto ora l'intervista fatta alla dottoressa Patrizia Moroni, medico chirurgo specialista in Psicologia ad in-dirizzo medico, psicoterapeuta, diplomata in agopun-tura e in omotossicologia, che lavora a Genova come libera professionista e come consulente presso l'Unità di Medicina Integrata per patologie ematologiche e rare dell'ospedale Natale Gallino di Genova Pontedecimo.

Chi è lo psico-logo medico?Lo psicolo-go medico è una figura in e s t i n z i o n e , infatti attual-mente le spe-

cialità della facoltà di medicina e chirurgia contempla-no psichiatria, neurologia e neuropsichiatria infantile. Lo psicologo medico si occupa delle implicazioni psi-cologiche delle patologie organiche e di tipo fisico.La psicologia medica si interessa, in sintesi, di tut-to ciò che è la psicosomatica, della reintegrazione corpo-mente e della esplicitazione di disagi psi-cologici reattivi e dipendenti da patologie gra-vi, quali tumori, patologie autoimmuni, patologie croniche, postumi di interventi chirurgici, ecc...

Come ha già anticipato, adesso i percorsi universitari contemplano psicologia in campo umanistico e psichia-tria in campo medico-scientifico, mentre la psicologia medica è stata abolita. Cosa ne pensa?Direi che lo psicologo medico ha un ruolo in tutto quello che è il settore attinente alla medicina, alla pa-tologia: lo psicologo medico può prescrivere farmaci che possono essere i tradizionali o, come nel mio caso specifico, cose più sul versante naturale. La psicologia dal punto di vista più umanistico offre la possibilità d'impiego nella psicologia sociale, nella psicologia educativa, nel life coaching, e in tutti i rami della psi-cologia nei quali un medico non ha nessuna compe-tenza per agire; sono quindi due branche in integra-zione, non certo in opposizione: ben vengano i medici specialisti in psicologia e ben vengano gli psicologi. Possiamo dire che, in ambito sanitario, importante è il ruolo di un esperto che riesca ad accompagnare

le persone in un percorso d'accoglimento e di empa-tia e in più riesca ad alleviare i sintomi prescrivendo eventualmente sostanze naturali e nutrienti, senza dover per forza ricorrere a farmaci allopatici. Peral-tro importante è la formazione psicoterapeutica de-gli psichiatri, per non correre il rischio di intervenire solo a livello sintomatologico con gli psicofarmaci.

Potremmo quindi dire che l’abolizione della specialisti-ca in psicologia medica non sia una scelta positiva per il paese, è d’accordo?Be’, direi che sono necessariamente di parte. Non è mol-to positiva dal mio punto di vista; anche se credo che sia molto importante salvaguardare gli insegnamenti di psicologia, riguardanti il rapporto medico-paziente, all’interno del corso di laurea in Medicina e Chirurgia.

Entriamo nel suo ambito: cos’è la medicina integrata e perché fino a poco tempo fa la si definiva alternativa?Si definiva alternativa proprio perché non c’era la pos-sibilità, e forse anche la volontà, da parte della medici-na tradizionale di integrarla nel proprio operato. Fare della medicina integrata significa associare alla medi-cina tradizionale allopatica quei supporti terapeutici che consentono una visione olistica del paziente, ne favoriscono un processo di salutogenesi e lo rendono partecipe e attivo al programma terapeutico. La me-dicina integrata non rappresenta una rinuncia alla medicina tradizionale, ma consente al medico di am-pliare le sue armi terapeutiche e migliorare il rapporto con il paziente. Si stanno lentamente abolendo false convinzioni quali la lentezza di azione della medicina naturale, o l’utilizzo riservato solo a patologie meno gravi o ancora l’assenza di studi scientifici comprovan-ti l’efficacia. Oggi si definisce integrata, invece, perché si riescono ad associare a dei farmaci tradizionali dei farmaci naturali che ne riducono gli effetti collatera-li o che addirittura ne implementano l’effetto. A me capita spesso di prescriverli in situazioni tumorali in aggiunta alla chemio e alla radioterapia, per diminu-irne gli effetti collaterali; in caso di patologie autoim-muni mi affianco quindi al cortisone e alle terapie immunosoppressive. Integrata quindi perché riesce a far convivere bene e in modo proficuo quella che è la medicina naturale e la medicina tradizionale (del resto

COS’É LA MEDICINA INTEGRATA?

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la medicina è unica: quella volta al benessere psicofi-sico), che è imprescindibile in molte situazioni: se è necessario l’antibiotico, l’antibiotico si dà, o se è ne-cessario un cortisonico, un antidolorifico di un certo tipo, si danno. La Medicina Integrata non prevede solo la prescrizione di farmaci (si avvale anche di tecniche energetiche come ad esempio l’agopuntura, ecc...) ma pone l’attenzione anche a dimensioni che sono quelle dell’esercizio fisico, di un’alimentazione sana, di un ot-timo lavoro sull’intestino rispetto alle disbiosi intesti-nali e rispetto al contrasto dell’acidosi e dell’ossidazio-ne dell’organismo. Diciamo che si amplia a tutto tondo quello che è il concetto di salute, in un’ottica che è di tipo Psico, Neuro, Endocrino e Immunologico (PNEI).

Lei come e perché ha scelto di avvicinarsi alla medicina integrata?Posso affermare che è stata una cosa graduale e di co-struzione progressiva, una scelta dettata dall’esigen-za di acquisire strumenti che mi aiutassero a far star meglio le persone. È un percorso che si è consolidato sempre di più, vedendo i risultati e constatando che la medicina integrata riesce a meglio riequilibrare l’or-ganismo, con minori effetti collaterali. E tutt’ora è una formazione umana e professionale in continuo pro-gredire: inutile dire che non si smette mai di studiare.

Come può essere applicata la medicina integrata in psicologia?Se noi partiamo dal presupposto che non siamo o cor-po o mente, ma siamo entrambi, anche in ambito psi-cologico la medicina integrata ha un suo valore. Basti pensare alle moltissime situazioni in cui ci sono attac-chi di panico o altre situazioni che sembrano essere a valenza esclusivamente psicologica e invece ci si rende conto di quanto sia importante alleggerirne i sintomi mediante nutrienti, oligoelementi e altri rimedi. Se da una parte quindi la “psicologia pura” può insegnare dal punto di vista cognitivo, anche con tecniche bioener-getiche eccetera, a risolvere un certo tipo di situazioni, dall’altra parte l’aiuto arriva anche dai rimedi omeopati-ci, omotossicologici, isopatici e dai nutrienti, a iniziare da un’insonnia e dall’eventuale necessità di melatoni-na o da un dolore con la sua necessità di un antidolo-rifico naturale, o dalla depressione e dalla sua necessità di serotonina omeopatizzata e dall’imprescindibile la-voro sull’intestino, nostro secondo cervello, secretore esso stesso di serotonina, ecc... Ben venga quindi il

fatto che una persona cambi, mediante la psicologia, l’atteggiamento mentale con cui affronta la sua vita, ma se noi puntiamo a ristabilire la sua integrità anche dal punto di vista fisico, i tempi si accorciano molto e la persona riesce a produrre cambiamenti in modo molto più veloce. Arriverei pertanto ad affermare che la psicologia fa parte della medicina integrata e che non possiamo continuare in questa ottica dualistica.

Lei ha riscontrato risultati positivi nei suoi pazienti?Assolutamente, da ogni punto di vista, anche in pazienti molto gravi, con infezioni da HIV per esempio, o per situazioni come la sclerosi multi-pla, il fatto di non separare quello che è l’aspet-to fisico da quello mentale aiuta a mantenere un miglior risultato e sicuramente più duraturo.

Come può il pubblico accedere alla medicina integrata?Per quanto riguarda l’agopuntura, c’è stata una grande apertura nei centri di terapia del dolore, viene quindi usata come terapia antalgica anche in molti ospedali ed è convenzionata con la ASL. Per quanto riguarda la medicina integrata, sta funzionando a Genova, all’o-spedale Natale Gallino, da un anno, l’Unità di Medicina Integrata per le patologie ematologiche e rare, struttu-ra alla quale le persone possono avere accesso del tutto gratuitamente. Si spera verrà sviluppata una conven-zione, per ora siamo sostenuti dall’Associazione Onlus Antonio Lanza. Quando diciamo medicina integrata, intendiamo non solo la medicina in senso stretto, ma anche tutta una serie di attività che comprendono lo shiatsu, che segue la medicina tradizionale cinese, gruppi di auto-aiuto di tipo ipnotico, attività di tipo fisico riequilibrativo, come ad esempio il fendelkrais, il lavoro sul respiro, la musicoterapia, la danzaterapia... In Italia fin’ora ci sono pochi centri; diciamo che la roc-caforte è Pitigliano (la Toscana è molto avanti rispetto alla Liguria) in cui fanno proprio dei servizi specifici, addirittura hanno trasformato un ospedale di campa-gna in un centro di medicina naturale (agopuntura, fitoterapia, omeopatia) del tutto convenzionata con il Sistema Sanitario Nazionale; stanno nascendo al-tre iniziative in reparti specifici a Milano e a Roma.Pian piano ci stiamo quindi affacciando anche a questo tipo di realtà che merita ancora di esse-re sostenuta, ma di cui il riscontro è già verificabile.

Pietro Balestra5

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LA ZECCASarebbe stato facile commentare le ultime notizie, quindi non lo facciamo. Oggi analizzeremo le news di tre mesi fa, cosa succedeva fra settembre e ottobre del 2014? Che fine hanno fatto i personaggi che hanno fatto scandalo in quel periodo? Come si sono risolte le vicende raccontate dai nostri amici giornalisti?Di seguito alcune notizie di Settembre\Ottobre 2014, come sono state date, correlate di un piccolo commento della zecca.

Cronaca:La notizia: Arrestato Genny ‘a carogna: «Incitava i tifosi alla rivolta»La zecca dice: Genny ‘a carogna è diventato un’icona dei mesi scorsi, adesso, grazie a conoscenze importanti, occupa il numero 78 nella smorfia napoletana, al posto di “A' bella figliola”.Fonte: roma.corriere.it notizia del 22 Settembre 2014

Intrighi internazionali:

La notizia: Ok India a rientro Latorre per 4 mesi

La zecca dice: Il marò è tornato in Italia per ricevere delle cure mediche e spera di poter rimanere qualche mese in più, giusto il tempo di rivalutare la prigionia in India.Fonte: ansa.it notizia del 12 Settembre 2014

Tecnologia:

La notizia: Apple presenta il nuovo iPhone 6 e l'attesissimo Apple Watch

La zecca dice: vendite da record per il nuovo iPhone, il più malleabile di sempre! L’Apple Watch deve ancora esse-re commercializzato, nell’attesa c’è chi ancora utilizza orologi da polso senza il touch screen.Fonte: tgcom24.mediaset.it notizia del 9 Settembre 2014

Comunità:

La notizia: Un milione di bambini figli dell’Erasmus

La zecca dice: Risposta energica a chi diceva che in Erasmus non si fa nulla: i ragazzi hanno dimostrato grande propensione ad aprirsi a nuove culture a fronte di scarsissima conoscenza di metodi contraccettivi.Fonte: tenicadellascuola.it notizia del 9 Ottobre 2014 Politica:

La notizia: Passera: «Sarò il nuovo Berlusconi ma in meglio, mille miliardi di investimenti con eurobond»

La zecca dice: Passera si esercita a diventare il nuovo Berlusconi cominciando già da subito a spararle grosse. A tre mesi di distanza dalla notizia non si è ancora fatto vedere in giro ed effettivamente è quello che tutti avremmo voluto facesse anche Berlusconi. Nota Bene: sono riuscito a non fare battute sul cognome dell’ex ministro.Fonte: ilmessaggero.it notizia del 22 Settembre 2014

Politica:

La notizia: Renzi svela il programma per i 1000 giorni

La zecca dice: Alluvioni, terremoti e un altro paio di disastri naturali si sono verificati dall’annuncio del Presi-dente al momento in cui scrivo. A questo punto sarebbe un ottimo risultato se si riuscisse a non far sprofondare l’Italia nel mediterraneo entro il termine dei 1000 giorni.Fonte: ansa.it notizia del 2 Settembre.

Andrea Fiume

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C’è una magia nel Festival 20 30 che è difficile ri-portare nero su bianco e ambizioso volerla trasmette-re al lettore che non sa neanche di cosa sto parlando. Una magia figlia del teatro sicuramente, ma non solo.C’era un sorriso e una soddisfazione, al termine degli spettacoli, sui volti di artisti e fruitori, che molto di rado si vede fuori dai teatri stabili di qualsiasi città italiana, sotto capelli troppo spesso argentei e bastoni che accom-pagnano un pubblico stanco e semplicemente abbonato.

Il teatro ha bisogno di un nuovo pubblico o il pubblico ha bisogno di un nuovo teatro?

Dal 19 al 30 ottobre 2014 fuori dall’Oratorio San Fi-lippo Neri non era necessario avere una particolare sensibilità per sentire un’aria che profumava di inso-lito, nuovo, inusuale e bello. In quelle serate ha avuto luogo il Festival 20 30. Si sono esibite quattro compa-gnie: Generazione Disagio, Chiara Stoppa, Maniaci D’Amore e la compagnia Vico Quarto Mazzini, idea-trice e organizzatrice dell’intero festival grazie alla vit-toria del bando indetto dalla Fondazione Del Monte.Fuori dalla sala di centocinquanta posti, alla fine di ogni spettacolo, c’era un’atmosfera che pungeva, fa-ceva stare in piedi quei giovani che, a detta di molti che non lo sono più, “amano sedersi ovunque, pure per terra! Giovani nati stanchi, che la tecnologia li ha rovinati ormai”… Be', forse sono frasi vere. Ma quel-le sere si stazionava fuori dal teatro e si continuava a parlare per ore! Una cosa che si crea solo ai concerti ormai e proprio da questo paragone, proprio dal do-mandarsi senza invidia e con spirito di ricerca perché un concerto de Lo Stato Sociale fa il tutto esaurito e una compagnia altrettanto brava e appassionata non sempre ha il teatro pieno, nasce la volontà di Nicola Borghesi (attore della compagnia Vico Quarto Maz-zini) di spostare l’attenzione su chi a teatro ci va per sedersi: il pubblico. Senza il pubblico la performance non ha motivo di esistere, allora è bene prendersene cura, familiarizzarci, lavorare e pensare con esso attra-verso l’organizzazione di laboratori aperti a giovani del territorio, condotti dalle stesse compagnie che la sera andavano in scena; coinvolgendolo anche nel tema, interrogandolo: giovani fra i 20 e i 30 anni, chi sare-

mo nel 2030? E, prima di tutto, giovani, chi siamo? L’o-biettivo era quello di raccontarsi, uscendo da etichette quali: “I giovani non hanno voglia di lavorare, i giova-ni lavorano gratis, vivono di rendita, sono già stanchi, sono sottovalutati, sono sopravvalutati, saranno pre-cari a vita, sono degli sdraiati, sono pessimisti, sono troppo ottimisti...” Frasi poco attente e incoerenti che rendono piatto e acefalo un gruppo composto da mi-lioni di individui, i quali invece vogliono trovare la pro-pria voce, il proprio modo di esprimersi, per ricordare prima di tutto a sé stessi, un po’ addormentati dietro a schermi di pc, fiumi di tisane rilassanti, fumi di ta-bacchi senza additivi, storditi da giudizi di voci troppo adulte con troppo potere, che i sogni e i progetti pos-sono esistere davvero! Quella degli artisti del festival e soprattutto quella della compagnia VQM è stata una dimostrazione forte, empirica: hanno dimostrato sen-za retorica che è possibile far vivere nella realtà ciò che prima viveva solo nella nostra testa, con la loro voglia di fare, con i mezzi che sapevano e potevano utilizzare!Io ho avuto la curiosità di conoscere chi c’era dietro quell’entusiasmo, dietro quegli spettacoli “scandalosa-mente gratuiti” che hanno portato una scandalosa fila di giovani che aspettavano di entrare a teatro, ammaz-zando il tempo gustandosi tarallucci e vino. Qualche ora di chiacchiere con Nicola, che da attore mi dice che l’immaginazione è il primo strumento: “Ci dico-no che siamo bamboccioni? Bene, allora giochiamo a chi saremo nel 2030.” I nostri genitori, alla nostra età, già sapevano chi sarebbero stati da grandi, noi no: noi abbiamo la crisi, quindi abbiamo tante strade, tanti vestiti, e a teatro possiamo indossarli tutti! Possiamo chiederci se il futuro è davvero così male, immaginarci un futuro utopico e uno distopico, come hanno fatto i ragazzi nel laboratorio di VQM o i protagonisti della performance conclusiva del festival: Quit The Doner. Chiederci e sperimentare fino in fondo chi e come saremo, per scoprire che forse l’importante non è ri-spondersi, ma scoprire che approfittare del presente, che sia in modo cinico, comico o idealista, è l’unica cosa che possiamo fare. “Quello che ci fa paura del fu-turo – dice Nicola – è solamente la sua proiezione.”Dobbiamo chiederci se dentro a questa tempesta di crisi non ci sia qualche vento favorevole che ci pos-

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sa far navigare a vele spiegate, se possiamo godercela un po’, chiudendo l’ombrello e guardando in alto, cor-rendo il rischio di scapigliarci. Rendersi conto, come Nicola, che non avere i soldi per pagare un addetto stampa, per un direttore artistico di oggi può essere l’opportunità di conoscere direttamente i giornalisti che parleranno del festival e soprattutto avere la pos-sibilità di invitare il pubblico di persona, magari dal palco di un concerto di un amico e poi buttarsi let-teralmente fra le braccia del pubblico facendo crowd surfing sulla folla di sotto. Rendersi conto che proprio per colpa della crisi ci tocca reinventarci, ma che que-sto vuol dire eliminare schemi, ruoli e “-ismi” creando una mente libera degna di pensare il 2015. Imparare a disabituarsi, ad accettare il “posto mobile” che forse è meglio di quello fisso, a trovarci bene fuori luogo, perché tanto è crearci spazio quello che conta. Ed è esattamente quello che hanno dimostrato i VQM: han-no saputo conquistarsi spazio e hanno saputo darne altrettanto ad altre compagnie uscendo dal “cattivi-smo” dilagante e anteponendo l’attore gentile a quel-lo arrivista, facendo dell’unione fra artisti senza nomi altisonanti il segreto della riuscita di questo festival.Non me ne vorranno gli artisti, se parlando del festival non ho speso parole sui loro emozionanti spettacoli, sull’irriverenza di Quit The Doner, sulla performance de Lo Stato Sociale, ma quello che mi è rimasto im-presso con freschezza dentro, e che vorrei trovasse eco fra noi giovani è proprio questa passione ottimista e travolgente che dà la forza di costruire mentre tutto intorno crolla o almeno questo è quel che ci dicono!

Io: “La scommessa del festival, l’avete vinta, e poi?”Nicola: “Bisogna spostare la lancetta della scommessa un po’ più su!”

Marzia D'Angeli

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BOLONEWS

Scoop del secolo. Thalìa e Apollo paparazzati

insieme ai figli dopo il divorzio. La famiglia ritrova la felicità dopo la fuga in Messico del dio del sole.

Succede a Bologna, in un tiepido autunnodel MMXIV d.C.. Frutto dell'unione dei due im-mortali: ZARR e Ladri de' stracci. I due pargoli,rispettivamente dell'età 2 anni e 3 mesi, hanno, sin dai primi passi, dedicato anima e corpo all'artemusicale. Su questo versante, il padre ha dichiara-to: “Mi capita spesso di avere figli e, per quanti neabbia, mi sforzo sempre di essere fiero di loro.” Per quanto riguarda l'indole creativa, sicuramente igeni materni hanno avuto un ruolo predominan-te, accrescendo sempre di più in loro il desiderio difarsi conoscere al mondo.Testimonianza di questo desiderio, come ripor-tano i cantori traci, al compleanno della madre,festeggiato presso la Via Zamboni, i due pargo-li hanno avuto modo di mostrare la proprie ca-pacità e, per quanto giovani e inesperti, han-no riscosso uno discreto successo tra il popolo.Voci di porticato affermano che i due musican-ti si esibiranno ancora a Bologna, presso gli anfi-teatri Caos Rock Club e Wolf, per una raccolta fon-di in aiuto della madre, purtroppo colpita dalla crisi monetaria e senza alimenti dopo la separazione.Entrando più nel dettaglio, i due figliocci d'ar-te hanno mostrato da sempre una diversa visionemusicale. ZARR, più riflessivo del fratello mino-re , ha mirato ad acquisire un sound più aggressivoe "metallico", a partire dai mesi trascorsi in sala pro-ve, che hanno provato ma fortificato il giovane.Le antiche voci narrano della sua presenza in terre abruzzesi, nelle quali il virgulto ha avutol'occasione di registrare la propria musica con l'au-silio di moderni marchingegni esotici. Da sempreinfluenzato dalla musica anglosassone e america-na, ha voluto ricercare l'innovazione, sforzandosisempre di proporre qualcosa che risultasse di-verso da qualsiasi altra musica ascoltata, ma maipreoccupandosi di risultare fastidioso. Nei pro-pri testi racconta le diverse sfaccettature della vitaquotidiana. L'amore, la pena amorosa stessa e le maschere che portiamo ogni giorno sono alcunidegli argomenti principali, ma raccontati da un punto di vista "altro", lontano da altalene di fragole

e cieli stellati. Il fratello minore, Ladri de' strac-ci, ha invece conservato un'anima più irriverente,con una ricerca musicale volta ad animare e di-vertire le persone che lo incontrano. Tramiteorganetti, strumenti a corda e percussioni, il gio-vanissimo ma sveglio semidio ha la capacità discatenare la danza negli uomini che lo ascolta-no. Il suo più grande successo, Amandoti, cover dei musicanti CCCP, ha scalato le più importan-ti classifiche internazionali di musica da piazza.Egli ha potuto inoltre migliorare le proprie capacità nel tempio dedicato ad Irnerio, eretto da Omar il Gio-vane, amico di vita di Thalìa e suo grande estimatore. Durante queste sessioni di prova, il giovinotto ha acquisito coordinazione e padronanza d'esecuzio-ne, con interpretazioni personali di grandi successi.Quali altre sorprese ci riserveranno queste giova-ni promesse della canzone italiana ? Hanno moltoda dire e faranno sicuramente parlare di sé.

Federico Gnesutta

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L’ANGOLO DYLAN DOGGHIANOIn questo angolo si recensisce a piacimento. E si spoilera. Benvenuti!

SPAZIO PROFONDOSceneggiatura: Roberto RecchioniDisegni: Nicola MariCopertina: Angelo StanoColori: Lorenzo De Felici

Con l’albo numero 337 il celebre fumetto della Sergio Bonelli Editore prende una svolta. L’attesa era già alimentata da tempo e scandita in maniera eccellente da un’ottima campagna di marketing virale, la quale ha sfruttato soprattutto i social network ed è stata ben capace di alzare l’aspettativa per questo albo-chiave. Well done, così si fa!Timoniere di questa nuova era è Roberto Recchioni, che è anche autore della sceneggiatura di Spazio Profon-do. E ve lo dico subito, è stato bravo: l’albo è coinvolgente. La storia è atipica e si pone al di fuori del conti-nuum dell’Indagatore dell’Incubo. Ma quale Indagatore, il vecchio, il nuovo? Precisamente un clone catapulta-to nel futuro e riportato in vita per dare la caccia a spettri dello spazio, con lo scopo di recuperare la navicella spaziale UK-Thatcher. Insieme a lui altri quattro personaggi che impersonificano alcuni lati intrinseci dell’es-sere di Dylan Dog, ma tra tutti solo uno sopravviverà. Questo scenario, oltre a essere accattivante, permette a Recchioni di sviscerare in chiave allegorica il nuovo corso del fumetto. Per un nuovo inizio bisogna adden-trarsi in un’analisi profonda, che contempli riflessioni organiche sull’Old Boy e si faccia storia. Ecco steso il cammino al nuovo Dylan Dog che emergerà dalla “fase due”: solo un Dylan Dog sopravviverà… e speriamo sia quello vero! Come lo stesso Recchioni afferma, Spazio Profondo è una “grossa metafora editoriale”. E io aggiungo: con delle tavole bellissime e una cromatica convincente, moderna e con una colorazione al top.

MAI PIÙ, ISPETTORE BLOCHSceneggiatura: Paola Barbato

Disegni: Bruno BrindisiCopertina: Angelo Stano

L’ispettore Bloch va in pensione. Eh sì, il tanto agognato momento di attaccare la divisa al chiodo si realizza nel n.338 e rappresenta una svolta epocale. In una storia che strappa diversi sorrisi, Bloch sembra sprizza-re di gioia, contento di aver finalmente trovato la sua dimensione, fatta di relax e piaceri personali. Ma nel frattempo le persone paiono essersi liberate dall’unico certo destino che accomuna tutti gli uomini: la morte. Sta all’Indagatore dell’Incubo sbrogliare la matassa, la quale si intreccia con una domanda: ma è davvero così serena e quieta la nuova vita dell’ispettore Bloch? Inoltre l’assenza della signora con la falce non è chiaramente portatrice solo di vantaggi, a cominciare da Nora, la cliente di Dylan che è stata ferita fatalmente e vorrebbe che il suo decesso giungesse a compimento.È un albo che si fa leggere in maniera più che piacevole e ti esalta grazie ai disegni di un Brindisi certosino nelle espressioni facciali e maniacale nei dettagli scenografici. La grande svolta si è consumata, come promes-so. Il mondo dell’Indagatore dell’Incubo è cambiato e l’ormai ex-ispettore non sarà più soggetto alla possibilità di morire nella veste di figura comprimaria del protagonista. Auguri per la pensione, Bloch.

PARNASO - IL CRITICO

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ANARCHIA NEL REGNO UNITOSceneggiatura: Gigi SimeoniDisegni: Giampiero CasertanoCopertina: Angelo Stano

Dopo un albo di transizione e il pensionamento dell’ispettore Bloch, il n.339 è da considerarsi il primo albo che entra pienamente nel vivo della “fase due” del nuovo corso del fumetto di casa Bonelli. E non è finita qui: fin dall’inizio Dylan Dog si vede piombare in casa un nuovo personaggio, l’ispettore Carpenter, accompagnato dalla sua assistente Rania Rakim, che ricopre l’incarico al posto di Bloch. Il nuovo ispettore di Scotland Yard si presenta in maniera, diciamo, un po’ cinica e scettica nei confronto di Dylan, sbattendolo celermente dietro le sbarre. Intanto però nelle strade esplode il caos, una rivolta in piena regola trainata da fili oscuri e apparente-mente indecifrabili. Sarà l’Indagatore dell’Incubo, malgrado il benservito di Carpenter, a risolvere il caso.Il ritmo narrativo di Anarchia Nel Regno Unito è serratamente guidato dall’interesse che suscita per quello che sarà lo sviluppo conclusivo, il quale si esemplifica poi in un finale forse un po’ troppo affrettato, ma che comunque non dispiace. Un albo nel complesso apprezzabile, che crea aspettative per le evoluzioni future le-gate al nuovo personaggio, introduce per la prima volta (leggi bene, neofita) l’utilizzo di smartphone e mostra tavole cariche di espressione e realismo.

BENVENUTI A WICKEDFORDSceneggiatura: Michele Medda

Disegni: Marco NizzoliCopertina: Angelo Stano

Bando alle ciance. Nell’albo numero 340 viene svelato il nome di Bloch, ed è un nome semplice, forse banale. Lettori increduli. È un nome preso dal detective più famoso di Londra in assoluto, nato dalla mente di Arthur Conan Doyle. Lettori molto increduli. Ed è stato scelto da Tiziano Sclavi in persona. Lettori enormemente increduli. Eppure è la pura verità, che, personalmente, non disdegno affatto.La storia di Benvenuti a Wickedford è ambientata nell’omonimo paese, nel quale Bloch si è trasferito da quan-do è andato in pensione. La tranquillità del luogo viene però intaccata dalle vicende legate al giovane Adrian, un eccellente violinista affetto dalla sindrome di Proteo, la stessa malattia che aveva John Merrick, noto come “Elephant Man” (pesante deformazione della faccia e disfunzioni muscolari). La vicenda si svolge piano e Dylan ricostruisce tutti i tasselli legati a raccapriccianti omicidi. La sceneggiatura di Madda è molto buona e i disegni di Nizzoli hanno pienamente soddisfatto i requisiti della storia, aiutandola. Dylan Dog non è solo incubo e fantasia (per così dire), ma incarna anche il mondo che ci sta attorno, racchiudendone tutte le verità. Anche se scomode, come quella in cui un personaggio etichettato come mostro dalle pochezze sociali, si rivela poi realmente mostruoso, quasi a voler scardinare con la realtà le ipocrisie e i buonismi che gli si sventolavano dinanzi. Eppure è la pura verità.

Roberto Meattini

PARNASO - IL CRITICO

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PARNASO - IL CRITICO

L'anno scorso, in tutti i cinema The Space d'Italia, sono stati riproposti in esclusiva due capisaldi del cyberpunk giapponese del ventennio '80-'90, dapprima Evange-lion, la nuova trilogia, a seguire Ghost in the Shell 2.0, la versione digitalizzata, con tanto di sequel, Innocence – Ghost in the Shell, e prequel fresco di produzione (e non eccelso quanto i sopraccitati), Arise – Ghost in the Shell. Potremmo dire che all'appello mancava giusto Akira!Quest'anno invece la stessa catena di multisala sta riproponendo dei mediometraggi del ventennio '60-'70 che hanno per protagonisti i grandi eroi mecha di quegli anni: Mazinga Z, il Grande Mazinga, Getta Robot e naturalmente Goldrake col suo UFO Robot.Dopo essermi fatto un'idea delle direzioni prese dal ci-nema d'animazione giapponese in ambito cyberpunk, sono pronto a condividere con voi le mie riflessioni.Partiamo dagli albori: cosa rappresentano i super ro-bot degli anni dei nostri genitori? Il trionfo dell'uo-mo che, grazie allo sviluppo tecnologico e scienti-fico, è diventato inarrestabile: in questa serie di film vediamo infatti la Terra attaccata da nemici alieni, esterni, i quali vengono puntualmente sconfitti dai nostri eroi umani alla guida dei loro fidati robot. Un altro fattore degno di nota è l'autocelebrazionismo giapponese: in barba ai due schieramenti rivali vigenti negli anni della Guerra Fredda, in suddetti mediome-traggi Mosca e New York sono ugualmente vittime delle minacce extraterrestri, solo Tokyo resiste e ha i soldati addestrati e le armi capaci di salvare il mondo intero!Nel 1976 accade però qualcosa di peculiare: esce il mediometraggio Il Grande Mazinga, Getta Ro-bot G, UFO Robot Goldrake contro il Dragosau-ro (ultimo film proposto alla rassegna alla qua-le ho partecipato per chiari motivi cronologici). Nella seconda metà di questo film scopriamo che l'antagonista di turno, la preistorica creatura nota come Dragosauro, si è risvegliata ed è diventata tan-to mastodontica e ostile dopo aver ingerito enormi quantità di petrolio rilasciato nell'oceano dalle navi. Quindi anche l'uomo è fallibile ed è proprio nel-la scienza e nella tecnica, simbolo e trionfo dell'e-voluzione umana, che vediamo tale fallimento.A questa prima scottante verità, non potran-no che seguire domande scomode: siamo piena-mente consapevoli del futuro che andremo a co-

struire con l'uso spregiudicato delle macchine? Sia-mo uomini con le macchine o uomini-macchina?Evangelion e Ghost in the Shell ci offrono una possi-bile risposta, ma non quella che vorremmo sentire: città grigie e buie, claustrofobiche, il naturale si con-fonde con l'artificiale, il reale con il virtuale... Da un lato Evangelion ci mostra un mondo arrivato al ca-polinea, un mondo che ha bisogno di essere purifi-cato da un equilibrio universale superiore, ma i po-chi uomini superstiti si oppongono a questa forza, facendo scendere in campo i loro super robot, che sono in realtà cloni umani geneticamente modifica-ti, guidati da altri umani in un continuo confonder-si di organico con inorganico; dall'altro Ghost in the Shell (che, ci tengo a dirlo, è il film d'animazione che ha ispirato i creatori di Matrix) ci fa fare la conoscen-za di cyborg e software che sviluppano una propria autocoscienza e si dicono: “io sono un prodotto, un artificio, non un essere vivente; eppure penso, quindi esisto. Ma posso io esistere senza vivere?” Questo in un mondo dove anche al cervello umano è stata im-plementata una componente computerizzata, quin-di è un attimo instillare delle immagini virtuali nella mente di qualcuno, facendogliele percepire come reali.Come ho già detto, a completare la triade manca Akira, film d'animazione che tratta con tono cru-dele il tema dell'eugenetica. “Migliorare” attraver-so la scienza il nostro DNA ci rende più evoluti e più liberi o schiavi intellettuali del nostro fattore?Il cyberpunk giapponese rappresenta la storia dell'e-voluzione del pensiero intorno alla scienza e alla tecnica, dall'autocelebrazione della specie alla cri-si esistenziale, passando per il trauma ambientale, può quindi aiutarci a sviluppare una coscienza so-ciale, ad acquistare consapevolezza delle nostre ca-pacità e dei nostri limiti e a prendere atto delle no-stre responsabilità nei confronti dell'umanità futura.

Pietro Balestra

NIPPOCYBERPUNK!La fantascienza nel cinema d'animazione giapponese di ieri e di oggi

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PARNASO - SAI CHE C’É

Frequentare il teatro oggi è una sfida, questo è as-sodato, perché la varietà di generi e performances a nostra disposizione è talmente ampia che ogni spet-tacolo è diverso dall’altro e ha bisogno di un occhio particolare per essere guardato. Assodata la più gran-de delle banalità, passiamo a spiegare. Durante un incontro con un professore di teatro al DAMS, una ragazza si è posta il problema di come si guarda uno spettacolo: “con quale occhio devo guardare quello che mi si presenta davanti?” La risposta del profes-sore è giunta chiara e immediata, facendo il gesto di liberare la fronte con entrambe le mani: bisogna pri-ma di tutto liberare la mente da pregiudizi o precon-cetti sull’autore del testo, sul regista, se lo si conosce, sul “genere” di teatro a cui si assiste ed essere pronti a tutte le informazioni e suggestioni che ci vengono trasmesse; in secondo luogo però bisogna avere e for-marsi una coscienza critica su quello a cui si assiste.Per spiegare questo secondo punto pongo un’ulteriore domanda: esiste ancora il cosiddetto “occhio del prin-cipe”, cioè quella postazione privilegiata che nei teatri rinascimentali era riservata ai principi, da cui si aveva la miglior visuale possibile di uno spettacolo? Un pro-getto dell’Arena del Sole tenta di fornire i mezzi per recuperare questo sguardo, partendo dal presupposto che certamente esiste ancora l’occhio del principe, ma oggigiorno si tratta di ricercare “uno sguardo più sen-sibile, emancipato, attrezzato”, uno sguardo critico e competente per capire uno spettacolo. Dall’altra parte però il citato professore ha più volte specificato che se lo spettacolo ha bisogno del libretto d’ istruzioni per essere capito significa che da solo non sta in piedi e che non è ben riuscito; inoltre – dice – essere spetta-tori è un lavoro a tutti gli effetti che ha bisogno sia di formazione, sia di una sana curiosità da autodidatta.Questo ciclo di incontri si chiama appunto L’ Oc-chio del Principe – Una scuola per spettatori.“L’ esperienza dell’arte non è mai soltanto il risulta-to di una pura concezione emotiva; essa nasce da un sottile equilibrio tra sentimento e sapere, tra abban-dono dei sensi e consapevolezza critica” recita il vo-lantino di presentazione del progetto. “Ogni lezione, condotta da Fabio Acca e Silvia Mei, è finalizzata alla fruizione di uno o più spettacoli presenti in cartel-

lone, e offre una guida ragionata e un orientamen-to per una corretta contestualizzazione delle opere”.Partecipando ai primi due incontri sono rimasta piacevolmente soddisfatta: non sono incontri per specialisti, ma condivisioni di saperi ed impressio-ni su performance diverse, in particolare i primi due incontri erano sulla Danza d’ autore in Italia e sulle Presenze animali in scena; mi sono lasciata incuriosire e sono andata poi a vedere lo spettacolo suggeritoci, Animali senza favola di Simona Bertozzi e Marcel-lo Briguglio, dove ho ritrovato le informazioni sul-la danza e sul movimento “animale” che Mei e Acca ci avevano suggerito. Grazie alle lezioni, chi vi scrive ha innanzi tutto scoperto una genere di performan-ce nuovo di cui non aveva assolutamente idea, e ha guardato con un occhio diverso uno spettacolo che altrimenti, probabilmente, non avrebbe compreso.Note tecniche per concludere: gli incontri si tengono di sabato pomeriggio, dalle 16.30 alle 18.30, al Teatro del-le Moline, in sabati alternati fino a maggio ed è possi-bile ancora iscriversi e partecipare1. Il vantaggio per gli iscritti sono sconti sui prezzi dei biglietti per gli spet-tacoli in programma all’Arena, al Teatro delle Moline e nei teatri gestiti da Emilia Romagna Teatro Fondazio-ne. Un bella occasione per formarsi quella “consape-volezza critica” e conoscenza ulteriore sul vastissimo mondo del teatro. Certo è che questa coscienza e baga-glio culturale richiede tempo e sforzi ulteriori, richie-de di andare a vedere molti spettacoli dello stesso ge-nere, dello stesso autore, dello stesso regista, ma anche e soprattutto opere completamente diverse tra loro, per fare confronti e trovare similitudini che ci per-mettono di poter riconoscere e capire uno spettacolo.

Elisa Marta

1Per informazioni ed iscrizioni: Arena del Sole, via San Giuseppe 8, Bologna;

[email protected]; 0512910911;Per informazioni sul programma: www.arenadelsole.it

Fonte primaria: volantino promozionale.

COME SI GUARDA UNO SPETTACOLO?

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PARNASO - SAI CHE C’É

Eventi di Bolognaa cura di Federico Gnesutta

Youngabout- International Film FestivalDal 16 al 28 marzo 2015, parte il festival rivolto in primis a giovani videomaker, appassionati di cinema e a coloro che vogliono mettersi in gioco nella realizzazione di un cortometraggio. I temi dell’ottava edizione: l’amore, la Grande Guerra, lo specchio e gli alberi. Scadenza per la consegna il 10 febbraio.Info: www.youngabout.com

Da Cimabue a Morandi-Felsina pittriceDal 14 febbraio, una mostra curata da Vittorio Sgarbi, presso palazzo Fava.

Un viaggio attraverso sette secoli di arte, un’ esposizione che raccoglie i massimi capolavori degli artisti bolognesi.

Info: www.genusbononiae.it

STORIES un viaggio tra fotografia e letteratura-di Paolo GottiFino al 19 febbraio 2015, nel foyer del Teatro Duse di Bologna, una mostra che interpreta grandi classici della letteratura internazionale attraverso l’arte fotografica di un artista bolognese. Da Defoe a Keruak, passando per Baricco e Tolstoj, 13 fotografie per 12 capolavori della scrittura di tutti i tempi.Info: www.teatrodusebologna.it

ZARR live@ Caos Rock ClubIl 13 marzo 2015, i bolognesi ZARR calcano il palco del Chaos

per una notte a suon di Stoner metal. Evento promosso dall’Associazione Thalìa e MolecoleBolognesi.

Info: Facebook: Caos Rock Club

Artefiera, 'Too early too late Middle East and modernity'Dal 22 gennaio, presso la Pinacoteca Nazione di Bologna, apre la più grande mo-stra italiana della scena artistica medio orientale. Oltre sessanta artisti e cento opere esposte per indagare sul continuo scontro e confronto tra tradizione orientale e modernità occidentale ed interrogarsi sui molteplici luoghi comuni che molto spesso inquinano la nostra visione della cultura orientale.Info: www.artefiera.bolognafiere.it

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PARNASO - ATELIER DALETNome – sinonimo dell’universal intenzione.Bizzarra abitudine di significar sé stessi,oltre il lampo dell’intuizione.

Piccolo nido fra i sentieri plurimi scavati dal conciliarsi a contrasti di spazio e tempo;canto di colui che accetta il destino della precaria bellezza,visione dei cuori caritatevoli.

Nome, tinto di lettere, volto immaginifico al di là delle contraddizioni, le immagini custodiranno quanto la memoria ha affanno di ripetere.

Siete dunque veicolo dell’entusiasmo che cresce i fili d’erba,ricoprite di caduche sfumature l’intimo sinodo che molteplice pulsa e si contrae nel divenire.

Sii, Nome, veicolo di saggezza, Incantevole brio della corrispondenza.

Accennati quando sarai araldo dello schiudersi della bella presenza che dell’Amor vela la prima autentica essenza.

Per tua via la Natura svelò le chiavi di se stessa, per le tue mani nacque Poesia.

Sii ambasciator di quella Prudenza che nei secoli plasmail modello della buona esistenza. Sii il contrastante caotico spirito che dei sefiri il soffio conduce. Sii lo zampillo di vita che tende e rende battito al divenire.

Corri, circoscrivendo lo scrosciare della pioggia, lo scottarsi delle dita, il riconoscersi degli intelletti.

Crea, col tuo essere, un valido valicofra realtà e fantasia.Farfuglierai il formicolante

vivere delle falene e delle ginestre, - t’accorgerai che son tutte aperte le mie finestre, e scorgerai, al di la, delle squillanti trombe che fan eco alle vocali,la speranza ingenua d’incastonar l’ineffabile sentire, utopia di sanar tutti i mali.

Privilegio di soli punto e nota, sigilli che dal divenire insegnano a fuggire.

NumeIllustrazione di Margherita Brambilla

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PARNASO - ATELIER

LA PRINCIPESSA DELLA SOLITUDINE

C’era una volta una piccola isola in mezzo all’Oceano, sulla quale, al centro, troneggiava un’imponente torre di pietra, circondata dai boschi. La padrona della torre non usciva mai all’esterno, perché era una bambola di pez-za, non poteva muoversi; eppure aveva sempre il sorriso, perché il suo artigiano le aveva infuso solo ricordi lieti.Un giorno naufragarono sull’isola un bellissimo principe e una manciata di suoi fidati marinai. Trovarono la torre e vi entrarono per cercare l’occorrente per riparare la loro imbarcazione. Il principe entrò nella ca-mera da letto della bambola di pezza, la vide e la prese in braccio con dolcezza; fin da quel primo sguardo

la padrona della torre s’innamorò dell’uomo che subito idealizzò come il suo salvatore e il suo sorriso di-venne più luminoso che mai, anche se, naturalmente, non poteva comunicare i suoi sentimenti all’altro.Per ore i due ballarono nella stanza, come due nobili fidanzati a un ballo di corte, finché i mari-nai non richiamarono il principe: avevano trovato tutto ciò che cercavano ed erano pronti ad andar-sene. L’uomo, il salvatore allora, entusiasta, lasciò cadere la bambola a terra e l’abbandonò per sempre. Ora l’inanimata bambina non aveva solo ricordi lieti, ma anche l’orribile fantasma del-la sua dolorosa delusione amorosa che la perseguitava; così il suo sorriso si capovolse in bron-cio, i suoi occhi si coprirono di lacrime d’ovatta, gli alberi dei boschi circostanti si spogliaro-no, rovi dalle spine mortali coprirono la torre, fattasi spettrale, e un’eterna notte calò sull’isola. L’uomo, il salvatore, allora, entusiasta, lasciò cadere la bambola a terra e l’abbandonò per sempre.Ora l’inanimata bambina non aveva solo ricordi lieti, ma anche l’orribile fantasma del-la sua dolorosa delusione amorosa che la perseguitava; così il suo sorriso si capovolse in bron-cio, i suoi occhi si coprirono di lacrime d’ovatta, gli alberi dei boschi circostanti si spogliaro-no, rovi dalle spine mortali coprirono la torre, fattasi spettrale, e un’eterna notte calò sull’isola.

Pietro BalestraIllustrazione di Daniel Papa

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PARNASO - ATELIER

Potrei scrivere all'infinito di storie inventate, ai margini della galassia e oltre. Potrei. Ma esisto-no fatti reali dei quali aspetto ancora di trovare la giusta sostanza per cominciare a parlarne. È il momento di attendere l'attesa stessa. Di aspetta-re che quei fatti si mettano per il verso giusto, am-messo che esista un verso giusto. Intanto ci provo.Era l'era della Hera e a Bologna a malapena si respi-rava. Il buco dell'ozono sostituiva gli orizzonti, senza la giusta retribuzione. Il Sole, quando osava compari-re, pareva fatto di nebbia. E svaniva. Una nebbia che puntava diritta agli animi acerbi di chi ci conviveva. Di gente ce n'era: timidi, indisposti, vivaci, affranti, cupi, tetri, vitali, malridotti, vivi. Di gente ce n'era. Di per-sone prese una alla volta, invece, poche tracce. Se ne stavan tutti per le vie più affollate, a cercar di assomi-gliare a meraviglie distanti. E lì così distanti li lasciavo.Ammassati alla stazione stavano i solitari in branco. Sopravvivevano chiedendo, a grandi mani, un pò di vita. Equidistanti al parallelo principale, sbucavan i ricchi, chiusi nel loro giaciglio egoista. Una vita fat-ta di rinunce, la loro, di rinunce alla vita stessa. Non si giravan più nemmeno dall'altra parte, era inuti-le, erano circondati dalla povertà. Oramai le stra-de erano colme di sostanze indefinite, di umani con tetti di cartone, di esseri che chiedevano qualcosa in più di quell'esistenza fatta di pura finzione. Era-no anime in pena alla ricerca della verità universale.E qui conosciamo una personaggio qualsiasi, un men-dicante sdraiato per terra in mezzo al gelo bolognese, potrebbe essere chiunque di noi ma ha scelto di non addentrarsi nella vita. Se ne sta sui cartoni con aria d'attesa, a volte guarda passare la gente e ride, si diver-te, almeno lui. Qualcuno gli lascia gli avanzi del pran-zo o della merenda e il signor B. (così lo chiameremo, almeno in questo punto della storia) si alza di scatto, prende il cibo e lo divora. Poi ride soddisfatto. È una risata libera ma soffocata, reale, tenebrosa, insistente, sua e basta. Poi il signor B. si alza e fugge dalla sua tana momentanea. La gente attorno non lo sfiora nemmeno con lo sguardo, su un manifesto legge "Le orecchie non hanno palpebre" e resta incantato. Se uno vuole cono-scere una città deve passare per la stazione e poi inol-trarsi nelle periferie, e lì vederne il vero volto. Il signor B. attraversa le strisce pedonali e s'inoltra lungo la via. "Se arrivo dalla stazione sento meglio il freddo che

fa!", urla. Percorre poi la strada in orizzontale, come se la città scorresse limpida in altre dimensioni, in via Masini. Ora non può fare a meno di discorrere con altri manifesti. Un uomo viene rappresentato in modo serio. Sempre lui ora abbozza un'espressione che pare sorridere. Ora la sua bocca sembra sorridere veramen-te. Adesso ride di gusto. Poi si ferma. È triste. Dispe-rato. Urla di dolore. Sembra soccombere. E poi torna serio, come prima di sorridere. E tutto riparte da capo.Il signor B. riesce a percepirne la tristezza ma si mette a ridere di gusto anche stavolta, una risata che combatte la seconda parte di quei manifesti, un suono che pare costargli l'intera esistenza. Cerca nei passanti un segno di vita, arriva a Porta Mascarella, decide di lasciarsela alle spalle e riparte lungo il ponte Stalingrado. Si fer-ma esattamente a metà, vicino agli scalini, e ammira il panorama: l'Hera, con una nuova compagna di strut-tura, un albero natalizio che illumina il vuoto attorno.Il signor B. si ricorda che sul quel ponte è stato girato il video di Mary dei Gemelli Diversi, e ripete mental-mente alcuni frasi della canzone, che alla fine nemme-no aggrada: "Mary, che cammina su sentieri più scuri, sta cercando sorrisi sinceri, oltre i muri di questa città... Con quel suo sorriso che dà senso a tutto il resto, pro-tetto da un mondo sporco che ha scoperto troppo pre-sto, ha un'anima ferita, un'innocenza rubata... Sa che la vita non è una fiaba, ma ora Mary è tornata una fata."Che stupidaggini, pensa. Poi si volta per vedere me-glio e si accorge che pure Mary ha diversi gemelli che passano per quel ponte, e magari cercano sorrisi sinceri anche loro, oltre i muri di questa città che fa presto a escluderti. Il signor B. ora comincia a chia-mare Mary tutte le persone che passano, sorride, si aspetta di rappresentar lui quel sorriso sincero. Ma nessuno ricambia. I gemelli di Mary puntano dritti verso il centro, camminano tutti per la stessa via ma hanno vite diverse. Son gemelli sì, colpevoli di attra-versare le stesse strisce pedonali senza calcolarsi, di coesistere facendo finta di niente. Poi vede il suo ri-flesso su una vetrina e si accorge che potrebbe essere lui uno dei diversi gemelli di Mary. Procede in dire-zione di Porta Mascarella, vi si ferma davanti, come se l'universo dipendesse da quella recente scoperta. La guarda ma non la vede. Prova a guardare oltre, ora è in grado di percepirla. Decide di varcare la soglia, in fondo le porte sono fatte per entrare da qualche parte.

IL SENTIERO DI PORTA MASCARELLA

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PARNASO - ATELIERE poi succede. Era ora. Inevitabilmente. Così in fret-ta. Così naturale. E splash. E bum. E poi tutto il resto.Il signor B. è passato da Porta Mascarella, ma non si è ancora reso conto di nulla. Ora è un'altra persona. Si è trasformato in chi è riuscito ad andare oltre l'a-nonimato. Ognuna delle dodici porte bolognesi con-tiene un magico segreto. Questa ti trasforma in ciò che avresti ambito, nel contrario di ciò che sei, alme-no per un po'. Il signor Bruno ora calza delle scarpe lucide da avvocato, un vestito elegante e pulito, la sua barba è sparita, nella sua borsa dello stesso prez-zo di tutti i vestiti che indossa sono contenuti docu-menti importanti, il suo portafoglio è pieno di carte di credito e banconote di colori mai visti prima. Il si-gnor Bruno è una parte importante della società ora, il tempo non gli appartiene più, non può fermarsi a pensare a Mary e ai suoi gemelli. Deve andare al la-voro e continuare a riempire la sua borsa. Si ricorda il palazzone del centro dove abita, della moglie e del loro rapporto superficiale basato sul preparare le va-canze, degli amici che ha perso per troppa dedizione al lavoro, dei suoi hobby inesistenti. Era un sonno sin-cronizzato con quello dei colleghi, la sua vita. Ora il signor Bruno non osava ridere e parlare con la gente.Attraversava via Mascarella, una giovane ragazza ven-deva rose finte e cercava di interagire con la gente. "Mi scusi, ha due secondi da dedicarmi?" chiese. "No, devo scappare, scusami."... Il signor Bruno non poteva più dedicarsi a nessuno, se ne andò dritto nel suo ufficio a compiere i suoi doveri. Una volta rientrato in casa, trovò la cena pronta, la moglie indaffarata a leggere ri-viste di moda, l'ambiente pulito e silenzioso. Si ritirò in bagno soddisfatto della sua nuova vita. Era tutto così perfetto e in ordine. Cosa poteva volere di più?Quella vita potè sopportarla per un mese. Il signor Bruno si era reso conto che quello non era il presente dove avrebbe desiderato vivere. Gli mancavano le risa-te per le vie, la gente che non lo calcolava, il contatto con la strada, gli amici mendicanti, la fredda lotta quo-tidiana per la sopravvivenza. Voleva tornare indietro e migliorare partendo da zero. Ripassò per via Mascarel-la e la ragazza delle rose finte cercò di fermarlo nuova-mente. Il signor Bruno aveva fretta pure stavolta, pure in quel corpo. Se ne andò attraversando nuovamente Porta Mascarella, al contrario. Uscì dall'altra parte ma nulla era cambiato. Urlava contro al cielo, che avreb-be fatto ora? Intanto la ragazza delle rose si avvicinò. "Il massimo che puoi fare non l'hai ancora misurato,

vero?" disse. Il signor Bruno non capiva. Cosa avrebbe dovuto misurare? "Sai, Bologna ti può insegnare tanto anche lungo una sola via. E poi questa città ti dà tanto anche con una sola persona. Le vie, le luci sfuocate, i concerti, i teatri, i calendari che non guardi più, quella goia inspiegabile. " Il signor Bruno si avvicinò, ebbe un crollo fisico ed emotivo cadendo per terra. Si ri-svegliò cinque minuti dopo con la consapevolezza di poter, di voler fare del bene. Diede alla ragazza le sue carte di credito e i soldi che possedeva. E senza rivol-gerle parola attraversò nuovamente Porta Mascarella sparendo. Uscì circa un quarto d'ora più tardi, era di nuovo il signor B. e rideva di gusto. Assaporava ogni istante e urlava: "Mai parlare d'amore a chi non ne ha, ma farglielo provare sì. Qualsiasi forma. Dare amore è la più grande prova vitale. Riceverlo risulta ancora estremo. So solo che son pronto a viverla tutta sta-volta." Passò dalla ragazza delle rose finte in attesa di essere nuovamente fermato ma lei non lo calcolò. Il suo sguardo assente lo gelò. Chi mai fermerebbe un barbone per chiedere dei soldi o anche un semplice consiglio? Però B. capiva, non poteva far altro che ca-pire gli altri, andando oltre, viaggiando con il termi-ne indispensabile. Niente da aggiungere questa volta. La ragazza però non sapeva i codici pin delle carte di credito, e non li scoprì mai. Materialismo concluso.Ecco, questi fatti che vi racconto non possono essere realmente accaduti, ma le storie son tessute di bugie universali. A volte preferisco andare oltre il mio es-sere consapevole di come gira il mondo e di tutte le sue brutalità, mi prendo a sassate interiori e poi eli-mino il superfluo per lasciar scorrere tutto quanto. Vi riempio comunque di menzogne affinché possiate trovare la vostra piccola verità in qualcosa che non è mai avvenuto. Perchè spesso mi piace romanzare i fatti quotidiani e portarli all'estremo, capire ciò che stona nel mondo, dannatamente consapevole del fatto che non posso cambiare le cose così facilmente. Sceglie-te però, scegliete davvero che volete fare della vita.

Jeipi

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PARNASO - ATELIER

Monologo di un senzatetto

Un giorno come tutti cercai dove io potessi essere finito. Nella brina, nella brezza? Sepolto nella timidezza? Sono un pazzo. Sono la x di un’equazione irrisolvibile, sono la lacrima del lamento sordo. Ma perché non mi volete bene? Perché non mi volete? E non c’è sole al manicomio. Non ho pace in chi sono. Ma chi sono? E non ho baci, non ho ricordi da sciogliere fuor da un dolore. E non ho sogni e non ho ancora baci. Non ho mia ma-dre. Non ho baci, non ho pavimento, non ho piedi che calpestano posti miei. Non ho realtà, non ho baci. Non ho mia madre. Non riesco a morire e non riesco a vivere. Non ho baci. E non ho mia madre. Sono morti gli ab-bracci e finiti i baci, dov’è mia madre. E non c’è cuore e non c’è poesia, dentro a queste pareti che sanno di piscio e pena. E non riesco a essere come voglio essere. Ma com’è che voglio essere? E non ci sono campi di tramonti in fiori, ma letti e chiodi fissati a muri di dolore. Che squallore. Fottuto squallore. E a ogni respiro, non ho un mio respiro. A ogni viola, non sto cogliendo mai una viola. E la cera, è soltanto ceralacca. E la pelle la posso incidere come carta. E non lo sentite, quanto io non riesco a vivere? E non lo sentite quanto io mi strazi senza lo strazio? Non lo capite che mi lasciate solo al bruciore di un sigaro marcio e miserabile? Rubati tutti i baci. Non ho baci. Se li è rubati tutti mia madre. E voi, bastardi e signori della corte, ma non vi accorgete di questa inquieta creatura, che sbava, gronda incertezze e ansie, e chiede di respirare in collina? E voi, figli di sua altezza la gran puttana, che cosa avete fatto per me? Un letto non mi basta. Nel cuor dei pazzi Dio si fiacca. Nel grigio delle pareti si sporcano i brandelli di vita. Nelle attese di non so cosa, aspetto un’idea di mare in risacca. E non lo vedete, questo disagio che attanaglia la bocca dell’anima? Che passa per la tangente della mia mente, ricopre di schizofrenia le mie energie e alla fine irrompe alla centrale del mio cuore? E dov’è il cuore? Ho solo ansia o possiedo ancora un cuore? E voi, lo avete mai avuto un cuore? ...Avete mai dato una carezza, un bacio per aver voluto bene il sole alle ginestre? E l’anima vostra, oltre ai vermi umani, esiste? Dov’è? Dove sono tutti quei baci?...Dov’è mia madre?

Davide Giannelli

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Monologhi

“Non lo so perché. Davvero non so darmi spiegazioni. Lei era bella, bellissima, il nostro incastro era unico, il calore, il profumo che emanava, il suo sapore, la sua presenza sdraiata, accomodata sul mio letto. Sembrava nata per stare lì. Io la tenevo stretta avevo quasi paura che potesse scappare o potesse dissolversi come i so-gni alle prime luci dell'alba. Non capivo dov'era l'er-rore, lo cercavo disperatamente e più lo cercavo più la mia mente si bloccava, si svuotava. Lentamente la-sciai andare la presa e mi raggomitolai su me stesso evitando di incontrare i suoi occhi pieni di doman-de. Lei aspettò un po' accarezzandomi la testa, poi si alzò e scivolando nei suoi vestì uscì senza dire nulla”

“No ma io sto bene. Direi che sto bene, non potrei lamentarmi di nulla. Mi vogliono, mi desiderano, mi cercano, ci scontriamo violentemente e poi ce ne andiamo in due direzione diametralmente oppo-ste. Ci sta. Le donne oggi sono forti, sono esseri in-dipendenti, alti, fieri, confusi, un po' psicopatici a tratti. Però ci sta. Io sto bene. Sono solo un'anima in pena a volte, nessuno mi ama e io non amo nessuno, come un gigantesco loop. Però sto bene, sto bene.”

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Medico e infermiera

-Che succede?-Credo sia sul punto di esplodere-Ah non si preoccupi, anche l’altro giorno stava per accadere, è una cosa positiva, anzi positivissima-No guardi non credo. Penso che questa volta sia differente-L’altro giorno le scoppiava il cuore per la troppa bellezza del mondo, stava per aprirsi in due e fondersi col mondo, e adesso è diverso?-Sì.. Penso sia uno scoppiare dovuto al troppo vuoto-Troppo vuoto? Ma come! Non è possibile, non ne posso più di questa ipocondriaca. Perché questo è. Un’ipocondriaca affettiva. E prima i genitori, e poi il cibo, e poi gli amori, e poi gli amici. E poi sempre queste cose che si rimescolano e ritornano ciclica-mente. L’importante è averne sempre una. Una scusa

per non vivere bene e ossessionarsi. Io non ne posso più. Cosa dovrei fare? Cosa dovrebbe fare un medico, eh? Arriva un punto in cui non se ne può più delle lagne degli altri, ti mettono solo rabbia. Perché hanno tutto, e non sanno fare altro che essere insoddisfatti. E poi scappano, vanno mesi in Africa per cercare di convincersi che le vere sofferenze sono altre, per sfruttare le sofferenze degli altri per guarire le pro-prie. Tutti questi infelici sono solo degli egoisti. Degli egoisti viziati. E io non ho tempo da sprecare.-Provi a pensare lei-Prego?-No dico, se lei è stufo di doversi occupare di queste menti malate, provi a pensare quanto devono esse-re stufe loro di dover convivere 24 ore su 24 con se stesse. Lei almeno quando finisce qua il suo turno torna a casa dalla sua famiglia, dalla sua vita. Loro invece non hanno qualcosa da cui tornare, perché non hanno nulla da cui partire. Loro sono già in se stesse. E che fanno? L’unica via di fuga è cercare qualcosa fuori, una distrazione. Quella che lei chia-ma l’ossessione del momento, la “scusa” per essere infelici. Che poi secondo me queste anime non sono poi davvero infelici. L’ha detto anche lei, no? L’altro giorno a questa le scoppiava il cuore per la troppa bellezza che aveva attorno.. Sapeva e temeva che sarebbe durato poco, non si capacitava come, non capiva come quella gioia prima o poi avrebbe potuto finire, data la bellezza del mondo. Magari poi però le è successo che voleva condividerla, questa bellezza.. Con un amore probabilmente. Perché mi pare che sia questo il problema adesso. Insomma ha un po’ risolto con i sensi di colpa, con il corpo, in parte con il cibo.. Ma noi sappiamo che in realtà tutto deriva dal fatto che vuole l’amore. Darlo darlo da impazzire e ricever-lo. E certo magari a volte riesce a sublimare tutto ciò entrando in un nirvana osservando la bellezza della vita.. E non voglio dire che sia una forma di felicità di serie B! Però insomma.. Lo sappiamo che è convinta che la cosa più importante nella vita, nella sua vita, sia l’amore.. E quanti lampioni, quante nuvole, quanti alberi verdi, quante stradine ciottolate, quanti tavolini all’aperto dovrà guardare per emozionarsi prima che ritorni a galla ciò che veramente vuole?-Bè perché lei pensa che sappia ciò che veramente

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vuole?-Oh no, certo che non lo sa.. Sa però come vuo-le sentirsi forse. Forse l’amore non è una cosa che si desidera, ma uno stato dell’anima.. Forse vuole sentirsi sempre come sotto la prima doccia tiepida di primavera che ha fatto dopo la corsa nel parco dopo mesi di nebbia. Forse vuole sentirsi come quando ha pianto leggendo di altri sognatori nel libro di un autore che non conosceva. Forse vuole qualcuno accanto alla cui sola idea senta i morsi nello stoma-co, e non deve quindi imbottirlo con quel cibo la cui sola esistenza le dà ormai la nausea, per non cercare di sentire il vuoto, anche se sa benissimo che non funziona e la fa solo star peggio.-Non si può esser sempre felici, ci sono i momenti di alti e di bassi. E mi pare che la signorina qua l’abbia capito bene e che stia anche imparando a gestirseli. Quindi ora non vedo perché non possiamo sempli-cemente contestualizzare e ridimensionare questa malinconia come ha imparato a fare.. Ha una vita stupenda, quando diavolo se ne renderà conto?

Maria Zinutti

Mai vissuto

Avevo anche già deciso cosa non mi sarebbe piaciuto di te.Quel tuo stare continuamente a scrive-re su internet quel che ti passa per la men-te, e avere quindi spesso in mano il cellulare.Te lo avrei tolto di mano nascondendomelo die-tro la schiena, mentre ti parlavo e non mi ascolta-vi assorto nel ticchettare qualcosa, e mentre lotta-vamo mi dicevi di ridartelo, che era importante, ancora un attimo e poi l’avresti messo via, mentre io ridevo, ti guardavo negli occhi e annuivo con fin-ta sufficienza, e ti baciavo ai lati della bocca ru-morosamente e in maniera infantile, per distrarti scherzando, per riportarti a concentrarti su di me.Quel tuo sbagliare i verbi transitivi tipico del sud, prenderti in giro sulle cose da “salire”, “scende-re”, “uscire” e “entrare”, e scoprirmi capace di so-prassedere sulla grammatica italiana, nono-stante la mia forte allergia ed improvviso calo di libidine a chiunque sbagli nello scrivere o nel parlarlo.Quel tuo ingozzarti di certe schifezze che io da tempo non ho neanche più il coraggio di guardare, e far finta di nulla mentre mi decanti quanto sia buono quello o

quell’altro manicaretto che hai mangiato ieri sera in-tanto che io leggo attentemente le etichette al super-mercato per controllare l’assenza di latte-uova-zuc-cheri-conservanti-coloranti-grassi idrogenati-olio di palma-etc. Sentirti dire quanto non saresti capace di vivere senza certi cibi, proprio quelli che io ho tolto e dei quali non voglio discutere con te per cercare di convincerti, perchè so che non ce la farei e che non mi ascolteresti. Anche se spesso mi immaginerei quanto potrebbe diventare magnifico il tuo corpo, il suo odo-re, il suo sapore, la pelle, se mi ascoltassi e lo facessi.Quel tuo essere così aggressivo e polemico, una sorta di snobbismo di sinistra, verso ciò che ti sdegna, la musica commerciale, la povertà, chi vota Berlusconi.Ti prenderei in giro dicendoti come ho passato tutto il pomeriggio ad ascoltare Fedez e gli One Direction, ti prenderei per le guance a mo’ di buffetto come si fa coi bimbi dicendoti “bello il mio brontolone!”E forse cercherei di insegnarti che la gente non decide completamente di essere stupida, e che certe cose pos-sono essere semplicemente belle ed emozionanti an-che se create con il solo scopo di esserlo. Che nella vita è più interessante cercare di capire che di giudicare.E magari quando ci saremmo lasciati, ti sare-sti reso conto di aver recepito questo da me, che fra le varie cose che la nostra storia ti avesse dato ci fosse questa, di aver imparato qualcosa da me.Non avrei sopportato che fumassi, e forse una sera di-stesi nel mio letto, dopo aver fatto l’amore, seminudi e abbracciati, con solo la luce della lampada del como-dino accesa, avrei approfittato delle emozioni, della luce, dell’atmosfera, per farti apprezzare quanto fosse bello un corpo umano, profumato, liscio, limpido, per deturparlo con un nervoso vizio. Ti avrei fatto respira-re la mia pelle, vergine di questo abominio, lasciando che fossero i tuoi sensi a farti capire quanto fosse un peccato privarmi della stessa sensazione, l’odore unico di un uomo nelle pieghe del collo, coperto da quello omologalizzante e bruciato della sigaretta. Forse mi avresti detto che avresti provato a smettere, e poi una sera verso l’una saresti venuto a trovarmi mezzo ubria-co e con le pupille minuscole, e baciandoti avrei sen-tito nella tua bocca quel gusto catramoso fra le nostre lingue, ma per non passare troppo per maestrina forse non ti avrei detto subito “hai fumato?”, anche se con una battuta prima di salutarti sulla porta con un bacio ti avrei fatto capire che l’avevo percepito fin da subito.Quel tuo perdere un sacco di tempo a guardare serie

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televisive, una puntata dopo l’altra, cercando anche di coinvolgermi. E sul letto nella tua stanza doppia, con il pc ai piedi, ti avrei accontentato e ci avrei provato davvero a prendermi, ma dopo un quarto d’ora, men-tre senza batter ciglio fissavi ipnotizzato lo schermo leggendo i sottotitoli in inglese, mi sarei già stufata, e avrei cominciato a giochicchiare coi tuoi capelli, ben più interessanti. E poi, stufa e dispettosa, avrei comin-ciato a fare respiri profondi, a stiracchiarmi, facendo quei versi così maliziosamente simili a gemiti, stru-sciandomi in maniera fintamente ingenua, attirando per pochi secondi la tua attenzione. E sempre respi-rando sempre più intensamente, avrei cominciato a dondolare il corpo come se delle onde lo attraver-sassero, muovendo lentamente le mani sulla pelle, e facendone scivolare una... E lì sì, probabilmente più per orgoglio maschile che per vera eccitazione, avresti chiuso di scatto il pc, e ti saresti scagliato su di me.

Se sono riuscita a immaginare questo, pensa a cosa sarei stata capace con quello che mi sarebbe piaciuto di te.

Ci sono sempre un po’ troppi condizionali nelle cose che scrivo.I pezzi più belli mi vengono sempre per gli amori che non ho vissuto.

Maria Zinutti

Le cose che non puoi avere

Sono belle, le cose che non puoi avere.Le cose che non puoi avere sono il massimo.Puoi modellarle sulle tue aspettative, immaginare che siano assolutamente come le desideri: tanto, non avrai mai modo di scoprire che non sono così. Le cose che non puoi avere sono la tua creatura. Le cose che non puoi avere sono te. Non fingere di volere altro: ti ami troppo per volere qualcosa che sia diversa da te.

Non ci sono compromessi in una cosa che non avrai: puoi guidarla lungo il binario che hai tracciato nella tua testa, senza considerare quegli ostacoli, quelle variabili, quelle ostinate difficoltà che invece ti sbatte

in faccia ciò con cui hai a che fare davvero.Le cose che hai ti presentano sempre un conto. Sono ostili, le cose che hai; ti costringono a tenere sempre in considerazione la loro presenza.Ma quel che non hai... Oh, quant’è dolce quel che non hai. È così pienamente tuo, così aperto a qualsiasi possibilità, così libero di non esistere.

Giocaci, con le cose che non hai. Parlaci. Toccale e fatti toccare, violentale e fatti violentare, rompile e ricostruiscile mille volte. Tanto poi tornano esatta-mente come prima a non esserci.Non provare ad averle, mai. Gli toglieresti la più rara qualità che una cosa può possedere: l’inesistenza.Ma poi no, in fondo puoi sempre provarci, sta anche in questo la bellezza e l’unicità delle cose che non puoi avere: non le avrai.Vai sul sicuro, con una cosa che non avrai. Non corri rischi. Vinci facile. Da quando ti alzi al mattino e per tutto lo scorrere del giorno puoi andarne alla ricerca, avventurandoti ovunque, esercitando ogni tuo potere, impegnando ogni tua energia, con la consapevolezza che tanto tornerai a casa di notte stremato ma rassi-curato da un confortevole pensiero: “Anche oggi non l’ho avuta.” E potrai dormire sereno. Sarà tutto nella norma. Non avrai perso niente, come invece può accadere con quel che possiedi realmente, che è così incostante, ti riempie di incertezza e del terrore di non averlo più da un momento all’altro.Ma le cose che non puoi avere... Con loro è tutt’altra storia. Non ti possono far paura. Non ti possono far del male. Saranno lì per sempre: non ti apparterran-no, ma saranno sempre lì.

Le cose che non puoi avere non ti deludono mai. Le cose che non puoi avere sono le uniche che hai.

Valentina Gentile

Caro lettore, questo spazio è dedicato a te e alla tua Voce.Inviaci i tuoi lavori alla mail: [email protected]

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