La vigilanza prudenziale nel settore bancario · presentate dal Comitato di Basilea per la...
Transcript of La vigilanza prudenziale nel settore bancario · presentate dal Comitato di Basilea per la...
La vigilanza prudenziale nel
settore bancario
Un’analisi degli Accordi di Basilea
Studente Relatore
Aaron Sabia Prof. Mauro Mini
Corso di laurea Indirizzo di approfondimento
Economia Aziendale Banking & Finance
Tipo di documento
Tesi di Bachelor
Luogo e data di consegna
Manno, 16 ottobre 2017
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Titolo: La vigilanza prudenziale nel settore bancario
Un’analisi degli Accordi di Basilea
Autore: Aaron Sabia
Relatore: Prof. Mauro Mini
Tesi di Bachelor in Economia Aziendale
Scuola Universitaria Professionale della Svizzera Italiana
Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale
Manno, 16 ottobre 2017
“L’autore è l’unico responsabile di quanto contenuto nel lavoro”
i
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Abstract
Una regolamentazione chiara e certa del settore bancario e, più in generale, dell’intero
sistema finanziario sta assumendo sempre più importanza in un’economia mondiale che
stenta tutt’oggi a riprendersi dalla crisi economica del 2007/2008. Queste considerazioni
assumono ulteriore valore se si pensa alla peculiare rilevanza del settore finanziario
all’interno dell’economia svizzera.
In quest’ottica, uno schema normativo uniforme che funga da standard regolamentare per
l’intero settore sembra essere fondamentale affinché le autorità di vigilanza nazionali
possano garantire un elevato grado di efficacia nei processi di controllo all’interno delle
proprie giurisdizioni. Al contempo, la crescente necessità di normative omogenee ed
applicabili all’intero settore, indipendentemente dal luogo in cui si trova la sede del gruppo
bancario osservato, devono spronare le autorità preposte ad intensificare il percorso di
implementazione verso un sistema facilmente comparabile.
Il lavoro esposto è dunque inteso a descrivere le proposte più significative fatte in materia e
presentate dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria a partire dal 1988, ossia gli
accordi di Basilea I, II e III. Nello specifico, il primo capitolo analizza il framework di Basilea I,
evidenziandone gli aspetti teorici e le lacune che hanno reso necessaria la sua integrazione
con il nuovo paradigma rappresentato da Basilea II. Il secondo capitolo pone appunto
l’accento su Basilea II e sul suo sistema di regolamentazione basato su una prospettiva a tre
pilastri. Il terzo capitolo contempla gli accordi di Basilea III, che vanno intesi come misura
correttiva voluta dal Comitato per regolamentare e impedire il ripetersi di crisi quali quella
occorsa nel 2007/2008. Il quarto capitolo è dedicato all’importante processo di revisione in
atto trasversalmente su tutte le normative presentate sino ad oggi dal Comitato, cercando
altresì di valutarne sinteticamente i potenziali impatti sul credito bancario. Il quinto capitolo è
infine incentrato sul recepimento delle normative prudenziali all’interno della legislazione
svizzera in materia, dando brevemente conto degli impatti riscontrati a livello nazionale e
dell’attuale situazione patrimoniale dei due principali gruppi bancari nazionali, nonché unici
intermediari svizzeri di rilevanza sistemica a livello globale, UBS e Credit Suisse.
Nel corso delle conclusioni verranno proposte delle considerazioni personali alla luce del
lavoro svolto, cercando di stabilire se quanto proposto con gli accordi di Basilea e le
susseguenti revisioni sia sufficiente a garantire una stabilità duratura del sistema bancario e
finanziario.
ii
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
iii
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Indice
Abstract ................................................................................................................................. i
Indice ................................................................................................................................... iii
Indice delle tabelle ............................................................................................................... v
Indice delle figure ................................................................................................................ v
Elenco delle abbreviazioni ................................................................................................ vii
Introduzione ......................................................................................................................... 1
Domanda di ricerca e obiettivi ............................................................................................ 2
Metodologia ......................................................................................................................... 3
1 Il primo accordo: Basilea I ............................................................................................ 5
1.1 Nascita e obiettivi dell’accordo ....................................................................................... 5
1.2 Definizione di capitale e suoi elementi costitutivi ............................................................ 5
1.3 Modifiche a Basilea I ...................................................................................................... 7
1.4 I limiti di Basilea I ........................................................................................................... 9
2 Il nuovo accordo: Basilea II ........................................................................................ 11
2.1 Nascita e obiettivi dell’accordo ..................................................................................... 11
2.2 I tre pilastri di Basilea II ................................................................................................ 12
2.3 Requisiti patrimoniali minimi ......................................................................................... 13
2.3.1 Rischio di credito ............................................................................................... 13
2.3.2 Rischio operativo .............................................................................................. 19
2.3.3 Rischio di mercato............................................................................................. 21
2.4 Controllo prudenziale ................................................................................................... 22
2.5 Disciplina di mercato .................................................................................................... 24
2.6 I limiti di Basilea II ........................................................................................................ 25
3 Il nuovo schema di rafforzamento per il settore: Basilea III ..................................... 27
3.1 Nascita e obiettivi dell’accordo ..................................................................................... 27
3.2 Definizione di capitale in Basilea III .............................................................................. 28
3.3 I buffer di capitale previsti da Basilea III ....................................................................... 29
3.3.1 Il buffer di conservazione del capitale................................................................ 30
3.3.2 Il buffer anticiclico ............................................................................................. 31
3.4 Il leverage ratio ............................................................................................................ 32
iv
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
3.5 I nuovi requisiti di liquidità ............................................................................................ 34
3.5.1 Il Liquidity Coverage Ratio ................................................................................ 35
3.5.2 Il Net Stable Funding Ratio ............................................................................... 37
3.6 I limiti di Basilea III ....................................................................................................... 39
4 La revisione di Basilea III: verso Basilea IV .............................................................. 43
4.1 Il nuovo approccio al rischio di credito .......................................................................... 43
4.2 Il rischio di mercato e la revisione del portafoglio di negoziazione ................................ 44
4.3 Una nuova prospettiva per il rischio operativo .............................................................. 46
4.4 La Total Loss Absorbing Capacity “TLAC” ................................................................... 47
4.5 Considerazioni sulla revisione di Basilea III .................................................................. 49
5 Il recepimento delle normative in Svizzera................................................................ 51
5.1 Introduzione al contesto nazionale ............................................................................... 51
5.2 Rafforzamento della stabilità nel settore finanziario “too big to fail” .............................. 51
5.3 La Legge federale sulle infrastrutture finanziarie .......................................................... 56
5.4 Gli impatti della regolamentazione in Svizzera ............................................................. 57
6 Conclusioni ................................................................................................................. 61
Ringraziamenti ................................................................................................................... 63
Bibliografia ......................................................................................................................... 65
Allegato I: Grafico riassuntivo dei requisiti patrimoniali richiesti con Basilea III ......... 69
Allegato II: Fasi di applcazione dei requisiti di Basilea III ............................................... 71
Allegato III: Lista FSB delle banche di rilevanza sistemica globale ............................... 73
v
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Indice delle tabelle
Tabella 1: coefficienti di ponderazione delle attività previsti da Basilea I ................................ 6
Tabella 2: coefficienti di ponderazione attribuiti alle imprese in funzione del rating .............. 15
Tabella 3: differenze nel calcolo dei parametri secondo il metodo IRB ................................. 17
Tabella 4: coefficienti Beta attribuiti alle differenti linee di business ...................................... 21
Tabella 5: conversione degli utili fino alla costituzione del buffer di conservazione .............. 30
Tabella 6: conversione degli utili fino alla costituzione del buffer anticiclico ......................... 31
Tabella 7: indice di leva finanziaria pre-crisi di alcune banche statunitensi .......................... 32
Tabella 8: TLAC e nuovi requisiti minimi di capitale per le banche di rilevanza sistemica .... 48
Tabella 9: grado di patrimonializzazione di UBS e Credit Suisse ......................................... 55
Indice delle figure
Figura 1: visione d’insieme introduttiva dei 3 pilastri di Basilea II ......................................... 12
Figura 2: categorie di rischio e relativa definizione ............................................................... 14
Figura 3: categorizzazione delle banche svizzere operata dalla FINMA ............................... 52
Figura 4: esigenze RWA “going concern” e “gone concern” per le banche svizzere ............. 54
Figura 5: esigenze per le banche svizzere in materia di leverage ratio ................................ 54
Figura 6: volume nazionale dei crediti di tutte le banche svizzere (dal 1996 al 2014) ........... 58
Figura 7: occupazione nel settore bancario svizzero ............................................................ 59
vi
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
vii
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Elenco delle abbreviazioni
ABI Associazione bancaria italiana
AMA Advanced Measurement Approach
ASF Available Stable Funding
BIA Basic Indicator Approach
BIS Bank for International Settlements
BNS Banca nazionale svizzera
CBVB Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria
CET1 Common Equity Tier 1
DFF Dipartimento federale delle finanze
ECAI External Credit Assessment Institution
FINMA Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari
FSB Financial Satbility Board
G10 Gruppo dei dieci
G20 Gruppo dei venti
HQLA High Quality Liquid Assets
IMA Internal Models Approach
IRB Internal Ratings Based
LBCR Legge federale sulle banche e le casse di risparmio
LBVM Legge federale sulle borse e il commercio di valori mobiliari
LCR Liquidity Coverage Ratio
LInFi Legge federale sulle infrastrutture finanziarie
NSFR Net Stable Funding Ratio
OBCR Ordinanza sulle banche e le casse di risparmio
OCSE Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico
OTC Over-the-Counter
PIL Prodotto interno lordo
PMI Piccole e medie imprese
PwC PricewaterhouseCoopers
RSF Required Stable Funding
RWA Risk Weighted Assets
SMA Standardised Measurement Approach
TLAC Total Loss Absorbing Capital
TSA Standardised Approach
VaR Value-at-Risk
viii
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
1
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Introduzione
Come ogni attività d’impresa, anche quella bancaria presenta dei rischi di cui gli istituti
operanti nel settore devono tenere necessariamente conto. In quest’ottica, essi devono
detenere dei fondi propri sufficienti a garantire l’assorbimento delle perdite derivanti dalle
esposizioni assunte. Desideroso di agire in merito, il Comitato di Basilea per la vigilanza
bancaria ha quindi definito degli standard da applicare alla materia, estendendoli nel tempo
dagli iniziali fondi propri minimi, alla sorveglianza interna, a quella esterna esercitata dal
mercato.
Il Comitato nasce nel 1974 per volere delle Banche centrali dei Paesi membri del G101 ed è
parte costituente della Banca dei Regolamenti Internazionali (in inglese: Bank for
International Settlements “BIS”), istituto con sede a Basilea.
Lo scopo del Comitato è il rafforzamento della cooperazione tra le autorità di vigilanza
nazionali ed internazionali al fine di garantire una maggiore stabilità del sistema bancario e
finanziario internazionale. A questo fine, il Comitato approfondisce lo studio e funge da sede
di dibattito per specifici temi di vigilanza, sviluppa linee guida e requisiti standard per gli
istituti bancari implementando le prassi bancarie in materia di regolamentazione a livello
mondiale (Raule, 2011).
I membri del Comitato sono ad oggi ventotto2 e comprendono le banche centrali e le autorità
di vigilanza dei Paesi che hanno deciso di aderirvi. A questi si aggiungono oltre cento Paesi
in tutto il mondo che, anche se non formalmente membri del Comitato, si impegnano ad
osservare le disposizioni de esso emanate.
A livello normativo, il Comitato non possiede il potere di imporre ai Paesi membri le proprie
disposizioni in materia di regolamentazione. Ciononostante, le sue proposte sono
riconosciute internazionalmente quale standard di riferimento e vengono recepite su base
volontaria all’interno delle legislazioni vigenti nei Paesi interessati. Ad ogni modo, alle singole
nazioni viene lasciata ampia libertà di implementazione degli ordinamenti all’interno del
proprio quadro normativo3.
Nel corso degli anni, il Comitato ha pubblicato un notevole numero di documenti con l’intento
di uniformare i sistemi di vigilanza nazionali, quindi di competenza specifica di ogni Stato,
con l’ambiente bancario e finanziario sempre più globalizzato. Questi lavori hanno
conosciuto, nel primo accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali del 1988, il loro massimo
1 Organizzazione internazionale che, dal 1962, riunisce le dieci economie più industrializzate del mondo, ovvero: Belgio, Canada, Francia, Germania, Italia, Giappone, Paesi Bassi, Gran Bretagna, Stati Uniti e Svezia. Nel 1984 vi aderisce anche la Svizzera. 2 Per la lista completa dei Paesi aderenti: https://www.bis.org/bcbs/membership.htm 3 Per questo punto di rimanda allo Statuto del Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria: http://www.bis.org/bcbs/charter_it.pdf
2
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
contributo alla materia. Questo accordo prevedeva la determinazione dei requisiti minimi di
capitale proprio che le banche dovevano detenere in proporzione agli attivi esposti al rischio
di credito e, successivamente, a quello di mercato (Tarullo, 2008).
L’evoluzione della gestione in ambito bancario e l’aumentare dei rischi di cui le banche
devono tenere conto, hanno reso necessaria una revisione del vecchio paradigma. A tal
proposito, il Comitato ha proposto nel 2004 una nuova versione degli accordi, denominata
Basilea II, che contemplava al proprio interno una regolamentazione basata su tre pilasti
distinti. Il primo pilastro recepiva i requisiti minimi di capitale; il secondo il processo di
controllo prudenziale (leggasi vigilanza); mentre il terzo obbligava a vincoli di trasparenza
verso il pubblico, definendoli disciplina di mercato (Raule, 2011). Nel corso di questa tesi
verranno in seguito trattati nel dettaglio.
La profonda crisi finanziaria che nel 2007/2008 ha colpito il settore, ha spinto i regolatori del
Comitato a proporre un nuovo accordo, denominato Basilea III, con l’intento di migliorare le
capacità del settore bancario di assorbire le conseguenze di una congiuntura economica
negativa. Aspetti peculiari di Basilea III sono rappresentati dall’intenzione di scoraggiare il
ricorso eccessivo al leverage4 delle banche, dall’introduzione di requisiti minimi per la
liquidità nonché dal tentativo di ridurre le conseguenze deleterie dell’effetto di pro-ciclicità5
(Raule, 2011). La completa entrata in vigore di questo nuovo standard è prevista per il 2019.
La regolamentazione in ambito bancario risulta quindi essere un argomento estremamente
attuale e meritevole di interesse, considerando anche le difficoltà di ripresa economica
vissute finora, nonché la contrazione dell’erogazione dei crediti a privati e imprese.
Domanda di ricerca e obiettivi
Nel contesto bancario assumono sempre più importanza gli aspetti regolamentari e di
vigilanza prudenziale. Oggigiorno l’osservanza di queste disposizioni rappresenta un
imprescindibile aspetto di cui tener conto nella prassi operativa bancaria. Note queste
considerazioni, il presente lavoro è volto ad esaminare le caratteristiche degli accordi di
Basilea in relazione al ruolo che ricoprono nel garantire la stabilità del sistema bancario.
Per raggiungere questo scopo conviene identificare degli obiettivi di ricerca, qui di seguito
brevemente riassunti:
- analizzare la letteratura in materia al fine di comprendere il tema;
- analizzare e comparare gli accordi e i correttivi apportati alle varie versioni;
4 In ambito bancario viene definito come il rapporto tra il capitale netto e la totalità delle attività della banca. Maggiore è il leverage, maggiore è l’esposizione al rischio dell’istituto. 5 Quando il ruolo della regolamentazione sul capitale comporta un’eccessiva contrazione del credito, innescando l’instabilità del sistema finanziario.
3
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
- valutare sinteticamente l’impatto degli accordi, in special modo di Basilea III, e
formulare delle considerazioni in merito;
- individuare ed analizzare il recepimento delle normative internazionali all’interno
dell’ordinamento giuridico svizzero, dando una visione d’insieme dell’attuale stato
patrimoniale delle due grandi banche elvetiche;
- esporre l’impatto della regolamentazione prudenziale a livello nazionale, in special
modo in relazione all’erogazione del credito bancario;
- formulare dei commenti personali alla luce del lavoro svolto.
Attraverso questi punti, il presente lavoro si pone l’obiettivo di comprendere se gli accordi di
Basilea, e più in generale la regolamentazione in materia, rappresentino effettivamente un
buono strumento per perseguire la stabilità del sistema bancario e finanziario.
Metodologia
Per la realizzazione di questa tesi è stata utilizzata prevalentemente una strategia di tipo
qualitativa, affiancata da un’approfondita analisi della letteratura. La prima fase di raccolta e
analisi bibliografica assume, quindi, un ruolo centrale per la riuscita del lavoro. L’intento è
quello di analizzare il testo degli accordi così come redatto dal Comitato di Basilea per la
vigilanza bancaria, nonché articoli e letteratura scientifica di studiosi e istituzioni terze.
Questo approccio consente di comprendere la materia e il contesto all’interno del quale si
articola la vigilanza prudenziale bancaria. Come seguito all’analisi teorica, vengono descritti i
limiti di ogni accordo e le conseguenti correzioni. Parallelamente vengono valutati anche gli
impatti della regolamentazione sul settore bancario nazionale, in special modo relativamente
al canale del credito e all’occupazione. Con la parte finale si intende, invece, arricchire la
teoria trattata in precedenza con delle conclusioni e valutazioni personali.
4
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
5
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
1 Il primo accordo: Basilea I
1.1 Nascita e obiettivi dell’accordo
Come conseguenza ai documenti prodotti nel corso degli anni dal Comitato, nel 1988
nasceva una prima storica proposta di regolamentazione basata sulle osservazioni e sulle
modifiche operate al documento originale dalle autorità di vigilanza dei Paesi del G10. Con
questa proposta si enunciava il metodo concordato per la misurazione dell’adeguatezza
patrimoniale delle banche, calcolando il coefficiente minimo di capitale che gli istituti
dovevano detenere.
Sono due gli obiettivi principali che il Comitato si prefiggeva al fine di perseguire una
convergenza delle regolamentazioni internazionali (CBVB, 1988):
- il rafforzamento della stabilità e solidità del settore bancario a livello
internazionale; e
- la promozione di condizioni di parità concorrenziale per le banche attive a livello
internazionale (level playing filed).
Nel testo dell’accordo venivano lasciati volutamente discrezionali molteplici aspetti, in
particolare relativamente alle modalità di applicazione e recepimento regolamentare, variabili
da Paese a Paese. Inoltre, il paradigma presentato aveva come intento la definizione di limiti
minimi di patrimonializzazione per le banche, nulla vietava alle autorità nazionali di
prevedere limiti più stringenti.
Il Comitato si riservava anche la facoltà di monitorare l’evoluzione dell’implementazione
dell’accordo nei vari Paesi, mantenendo per sé il diritto di valutare i progressi delle autorità
nazionali nel raggiungere la convergenza normativa citata in precedenza (CBVB, 1988).
1.2 Definizione di capitale e suoi elementi costitutivi
Con l’intento di raggiungere una determinazione del capitale applicabile ai vari contesti
nazionali, il Comitato si è focalizzato su due elementi fondamentali per la valutazione della
patrimonializzazione di un istituto bancario. In particolare, si è convenuto che il patrimonio di
una banca dovesse essere definito in funzione di due componenti di bilancio, ovvero (CBVB,
1988):
- il patrimonio di base (o Tier 1), inteso come capitale azionario e riserve palesi
derivanti da utili non distribuiti al netto delle imposte; e dal
6
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
- patrimonio supplementare (o Tier 2), costituito da riserve occulte e di
rivalutazione, da accantonamenti e riserve per perdite su crediti, nonché da debiti
subordinati a termine e strumenti ibridi di capitale-debito6.
Questi elementi sono infatti presenti nei conti di qualsiasi banca (indipendentemente dal
Paese in cui essa è incorporata) e sono facilmente rilevabili dai bilanci d’esercizio.
Unendo le due componenti si ottiene il “patrimonio di vigilanza”, ossia l’indicatore che nella
pratica permette di valutare se una banca disponga o meno di sufficiente capitale per
assorbire le perdite derivanti, in particolare, dal rischio di credito.
Il requisito patrimoniale minimo richiesto veniva calcolato mediante il rapporto tra patrimonio
di vigilanza “PV” e sommatoria delle attività ponderate per il rischio di credito, o Risk-Weight
Assets “RWA”, accettando valori uguali o maggiori all’8% e con una quota di patrimonio di
base pari ad almeno il 4% (CBVB, 1988). In formula si ottiene:
𝑃𝑉
Σ𝑅𝑊𝐴 ≥ 8%
Nella determinazione dei RWA, le attività non devono essere trattate tutte ugualmente. Al
contrario, il Comitato prevedeva un sistema di valutazione basato sulla ponderazione dei
differenti attivi di bilancio mediante dei coefficienti specifici. Nelle intenzioni del regolatore,
questa concezione rappresentava un metodo di stima più raffinato rispetto all’approccio
basato sul solo rapporto patrimonio/attivo, poiché teneva conto delle caratteristiche di
solvibilità delle controparti, delle garanzie ricevute a tutela del debito e dell’eventuale rischio
Paese (CBVB, 1988). Nella seguente tabella la suddivisione viene così riassunta:
Tabella 1: coefficienti di ponderazione delle attività previsti da Basilea I.
0% 0, 10, 20, 50%* 50% 100%
• prestiti a
Stati e
banche
centrali dei
Paesi OCSE.
• prestiti a enti
pubblici diversi
dai governi e/o
da essi garantiti;
• crediti a banche
secondarie di
Paesi OCSE.
• crediti
ipotecari
residenziali.
• crediti a
imprese
private;
• crediti per
partecipazioni;
• tutte le altre
attività.
Fonte: elaborazione personale di dati tratti da CBVB, 1988.
(*) Percentuale applicabile discrezionalmente dai singoli Paesi.
6 Per il dettaglio delle componenti si veda: CBVB. (1988). Convergenza internazionale nella misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali minimi, pp. 5-8.
7
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
1.3 Modifiche a Basilea I
il Comitato presto realizzò che una regolamentazione basata sul solo rischio di credito
presentava numerose criticità e inadeguatezze. A partire dal 1996 ha dunque apportato un
correttivo volto a migliorare l’efficacia della regolamentazione. Con l’introduzione del
patrimonio Tier 3, che poteva rientrare nel patrimonio di vigilanza per massimo 2.5 volte il
Tier 1, il Comitato ha voluto dettagliare maggiormente la definizione dei prestiti subordinati
già compresi nel patrimonio supplementare Tier 2, comprendendo nello specifico i debiti
subordinati a breve termine a copertura del rischio di mercato7. Con questa modifica, si è
compiuto infatti un passo in avanti verso la regolamentazione di un rischio fino ad allora
trascurato, il rischio di mercato.
Il rischio di mercato è definito nell’accordo come rischio derivante dalla variazione
sfavorevole dei prezzi di mercato in relazione alle poste di bilancio e fuori bilancio di
proprietà della banca. In generale, questo rischio viene suddiviso in rischio specifico, ovvero
il rischio legato al singolo emittente del titolo o dello strumento finanziario preso in
considerazione; e in rischio generale, comprendente il rischio di mercato inteso in senso lato
(intero mercato dei titoli e strumenti finanziari). Volendo dettagliare maggiormente però, il
rischio di mercato viene suddiviso in quattro ulteriori categorie distinte che comprendono: i) il
rischio di tasso d’interesse; ii) il rischio sulle posizioni in titoli; iii) il rischio di cambio; iv) il
rischio sulle posizioni in merci (CBVB, 1996).
Per operare una corretta identificazione e valutazione del rischio di mercato, l’emendamento
dell’accordo presentato nel 1996 prevedeva la suddivisione delle posizioni detenute dalle
banche in due portafogli distinti: il portafoglio bancario (banking book) e il portafoglio di
negoziazione (trading book). La differenza tra questi due portafogli è riconducibile alla natura
delle posizioni che li compongono.
Infatti, mentre il banking book è costituito dalle esposizioni che la banca detiene non a fini di
negoziazione e che quindi ci si aspetta vengano detenute fino alla loro scadenza (si pensi
tipicamente ai prestiti o ai depositi bancari), il trading book comprende tutti gli strumenti e
titoli finanziari, compresi derivati e poste fuori bilancio, che una banca detiene al solo fine di
conseguire un profitto dalla loro successiva vendita sul mercato (si pensi alle attività di
trading con titoli di proprietà operate giornalmente dagli istituti bancari). Una differenza
saliente è costituita anche dalle diversità nei metodi di contabilizzazione relativamente alle
posizioni comprese nei due portafogli. L’emendamento prescriveva, infatti, che le poste
presenti nel trading book venissero costantemente rivalutate mark-to-market, ossia al valore
di mercato corrente, mentre consentiva alle banche di valutare le esposizioni nel banking
book secondo il loro valore storico, quindi al valore contabile (CBVB, 1996).
7 Per una definizione più esaustiva si veda: CBVB. (1996). Presentazione dell’emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per incorporarvi i rischi di mercato, pp. 8-9.
8
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Questa distinzione assume valore se si considera lo scopo perseguito dal Comitato e
prospettato nell’emendamento correttivo. Infatti, ai fini della calcolazione del neo-introdotto
rischio di mercato, venivano considerate unicamente le posizioni presenti nel portafoglio di
negoziazione. Al contrario, per le poste comprese nel portafoglio bancario, rimanevano
invariate le disposizioni introdotte con l’accordo del 1988 e volte al calcolo del rischio di
credito, così come presentato nel paragrafo precedente.
Nel testo dell’emendamento si faceva specifico riferimento alle autorità di vigilanza nazionali
per quanto concerne il controllo e la sorveglianza delle corrette disposizioni in materia. In
particolare, si ravvisava la necessità di una corretta e coerente suddivisione delle posizioni
detenute dalle banche tra i due portafogli, bancario e di negoziazione, nonché di un’attenta
valutazione contabile delle poste in essi comprese.
Con la presentazione della revisione dello schema, il Comitato lasciava autonomia di scelta
per l’implementazione delle metodologie di misurazione del rischio di mercato. In particolare,
veniva data alle banche la possibilità di scegliere tra due strumenti alternativi, ovvero il
metodo standard e il metodo basato su modelli interni.
Il metodo standard è basato su un approccio univoco, dove i coefficienti attribuibili alle
differenti posizioni sono forniti nel testo dell’emendamento e recepiscono il grado di
rischiosità dello strumento stesso (si fa particolare distinzione in relazione alla tipologia
dell’emittente: Stati, enti pubblici, banche centrali o imprese private)8. Nel caso del metodo
basato sui modelli interni, i coefficienti di ponderazione specifici ad ogni attività vengono
assegnati internamente alle banche e mediante dei processi di calcolo e attribuzione svolti in
autonomia durante le fasi di implementazione. Ad ogni modo, prima di poter essere utilizzati
all’interno della prassi operativa, questi processi dovevano dimostrare di rispettare dei
requisiti di conformità stabiliti dal Comitato e validati dalle autorità di vigilanza nazionali9. Il
benestare per l’utilizzo di un metodo piuttosto dell’altro, era comunque subordinato
all’approvazione dell’autorità di vigilanza nazionale (CBVB, 1996).
Il nuovo requisito patrimoniale minimo richiesto veniva calcolato utilizzando sempre il
rapporto tra patrimonio di vigilanza “PV”, così come identificato nell’accordo del 1988, e la
sommatoria delle attività ponderate per il rischio di credito “RWA”. A queste due componenti
se ne aggiungeva ora però una terza, che incorporava il rischio di mercato. Al fine di
garantire pesi e criteri omogenei nel calcolo del grado di patrimonializzazione, sia esso
legato al rischio di credito o di mercato, il Comitato ha volutamente previsto un collegamento
numerico per l’apporto dei due rischi nel calcolo dell’indice.
8 Per il dettaglio dei coefficienti attribuiti alle attività secondo il metodo standard, si veda: CBVB. (1996). Presentazione dell’emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per incorporarvi i rischi di mercato, p. 9 e seguenti. 9 I requisiti comprendono le direttive adottate dalle banche per identificare una serie appropriata di fattori di rischio, assicurando al contempo l’adeguatezza dei sistemi impiegati per la valutazione e gestione dei rischi stessi. In merito si rimanda a: CBVB. (1996). Presentazione dell’emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per incorporarvi i rischi di mercato, p. 4.
9
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Infatti, il valore ponderato delle attività, trovato utilizzando i metodi di misurazione del rischio
di mercato descritte in precedenza, deve essere moltiplicato per 12.5, ossia il reciproco del
requisito patrimoniale minimo dell’8% (CBVB, 1996). In formula si ottiene:
𝑃𝑉
12.5 ∗ (𝑅𝑃𝑅𝑀) + Σ𝑅𝑊𝐴 ≥ 8%
Il peso derivante dal rischio di mercato è rappresentato nella formula dal requisito
patrimoniale legato a questo specifico rischio, ovvero 𝑅𝑃𝑅𝑀. Il risultato del rapporto deve
essere sempre uguale o maggiore all’8%.
Il periodo di recepimento dell’emendamento all’interno del sistema bancario comprendeva un
periodo transitorio terminato a fine 1997. L’entrata in vigore effettiva delle correzioni, che
fornivano un ampliamento normativo complementare all’accordo del 1988, era prevista per il
1° gennaio 1998.
1.4 I limiti di Basilea I
Malgrado le intenzioni del Comitato, e l’impatto simbolico del primo accordo, la
regolamentazione così come introdotta nel 1988 presentava già numerosi ed evidenti limiti.
In prima analisi, per quanto concerne le banche, il patrimonio di vigilanza non era messo in
diretta relazione con l’effettiva propensione al rischio degli istituti; inoltre, come detto in
precedenza, il sistema era pensato solo per coprire il rischio di credito e solo in parte quello
di mercato, ma tralascia completamente gli altri10.
Lo schema venne altresì criticato perché non teneva conto né della qualità del credito ai
privati, i coefficienti di ponderazione erano infatti fissi e al massimo del 100%, né della durata
del prestito stesso (fosse esso a breve o lungo termine). Parallelamente, le controparti della
banca venivano suddivise in macrocategorie di appartenenza che non permettevano di
valutare nel migliore dei modi la rischiosità dell’operazione. In questo modo veniva
completamente ignorata la possibilità di suddividere i crediti in base alla loro qualità,
precludendo di conseguenza la diversificazione del portafoglio di prestiti detenuto dalle
banche. In aggiunta, lo schema così come presentato non considerava, per il calcolo dei
requisiti minimi di capitale, la possibilità di mitigare il rischio di credito mediante operazioni di
copertura con garanzie, siano esse classiche o più sofisticate (Altman & Saunders, 2001).
Il timore che una suddivisione delle classi di rischio basata solo su macrocategorie di
controparti comportasse una stima troppo superficiale dei potenziali rischi insiti nelle
operazioni creditizie, ha spinto il Comitato a considerare una revisione del paradigma che
considerasse un sistema più articolato di valutazione. Questa nuova concezione trova
10 L’attività bancaria presenta diverse tipologie di rischio, tra le quali: operativo, di credito, di mercato, di compliance e legale, rischi reputazionali, ecc.
10
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
fondamento su una ripartizione basata sui differenti rating attribuibili alle controparti.
Particolare enfasi, infatti, deve essere posta sull’analisi e valutazione dei debitori che
rappresentano buona parte dei soggetti finanziati nonché il grado maggiore di rischiosità,
ovvero le imprese private.
Infatti, queste entità fanno molto spesso affidamento al credito bancario per finanziare le
proprie attività operative e, conseguentemente, trovano nell’accessibilità del ricorso al
prestito bancario uno dei principali fattori critici di successo. Da queste considerazioni si
deduce la necessità di concedere crediti più consapevolmente, cercando di ridurre le
possibilità che una banca non possa più recuperare il capitale prestato ed evitando così di
registrare a bilancio delle perdite dai potenziali effetti deleteri sull’erogazione futura di crediti
a privati ed aziende (Altman & Saunders, 2001).
In conclusione si aggiunge che, a questi limiti riscontrabili semplicemente analizzando il testo
dell’accordo, se ne aggiunsero altri manifestatisi nel tempo. In particolare, la
regolamentazione introdotta non ha portato al livello auspicato di stabilità e solidità del
sistema bancario internazionale e non ha condotto nemmeno alla desiderata parità di livelli
concorrenziali all’interno del settore finanziario globale (Altman & Saunders, 2001).
11
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
2 Il nuovo accordo: Basilea II
2.1 Nascita e obiettivi dell’accordo
Come risposta alle critiche sollevate da più fronti, il Comitato ha attuato una revisione del
primo accordo volta all’eliminazione delle lacune riscontrate. Questa modifica ha richiesto
diversi anni di lavoro, caratterizzati da consultazioni e confronti con le autorità di vigilanza dei
Paesi membri. Il processo revisionista, che vide il suo inizio nel 1999, si svolse in tre tappe.
La prima, appunto del 1999, venne seguita dall’invio di nuove proposte di modifica nel 2001
e nel 2003. Grazie a queste iniziative, il Comitato ha potuto operare diverse importanti
modifiche alla struttura del primo accordo, avvalendosi del prezioso contributo fornito dalle
autorità di vigilanza nazionali nel processo di correzione del progetto originario. La ratifica
per accettazione del nuovo accordo avvenne nel giugno del 2004 a Basilea.
Il Comitato prevedeva un periodo da dedicare al recepimento nell’ordinamento giuridico delle
nazioni interessate, ipotizzando una piena entrata in funzione del nuovo schema entro la fine
del 2006. Si era optato per una fase transitoria volutamente lunga per consentire alle autorità
nazionali di effettuare degli studi quantitativi sull’impatto della nuova regolamentazione.
Il Comitato ha ritenuto di mantenere nel testo del nuovo accordo anche alcuni elementi
introdotti con Basilea I. Nello specifico, restavano in vigore il patrimonio di vigilanza in
funzione delle attività ponderate per il rischio all’8% e l’integrazione con l’emendamento del
1996 relativo ad una prima rudimentale regolamentazione dei rischi di mercato.
Gli obiettivi perseguiti dal Comitato sono stati ampliati notevolmente con l’introduzione del
nuovo schema e sono così riassumibili (CBVB, 2004):
- assicurare che la determinazione del patrimonio di vigilanza delle banche sia più
sensibile al rischio;
- trattare, oltre al rischio di credito e di mercato, anche il rischio operativo;
- imporre alle banche l’utilizzo di strumenti di rating per valutare la qualità di un
prestito (rating esterno);
- incoraggiare gli istituti all’implementazione e all’utilizzo di sistemi interni per il
calcolo dei rischi (rating interno).
Si deduce dunque la volontà di perseguire un importante obiettivo di rafforzamento e
miglioramento nella misurazione e nella gestione dei rischi. Alle banche veniva infatti
richiesto di adottare delle metodologie ad hoc per l’analisi delle controparti e delle garanzie.
In particolare, la novità principale era rappresentata dall’introduzione di sistemi di rating per
l’identificazione delle varie classi di rischio (Nosetti, 2017).
12
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Come effetto immediato e tangibile, le banche svilupparono al proprio interno dei sistemi di
controllo in grado di analizzare oggettivamente e individualmente le caratteristiche
economiche e finanziare della controparte debitrice. In questo modo è emerso lo stretto
legame che deve caratterizzare la propensione e il grado di rischio di ciascun cliente con il
relativo costo del finanziamento. In quest’ottica, infatti, si premia la capacità dei clienti di far
fronte agli impegni presi, concedendo loro un minor costo del debito (Cuccoli, 2006).
2.2 I tre pilastri di Basilea II
La regolamentazione introdotta con il nuovo accordo di Basilea è notevolmente più corposa
di quanto non lo fosse quella proposta nel 1988. La voluminosità è senz’altro riconducibile
alla volontà di imporre una regolamentazione più articolata e basata su di una triplice
prospettiva rappresentata dai cosiddetti “tre pilastri di Basilea II” (o pillars). Nello specifico, il
primo pilastro contempla i requisiti patrimoniali minimi di capitale e disciplina
dettagliatamente i criteri per la misurazione dei rischi, siano essi di credito, di mercato (già
regolamentati con Basilea I) o operativi. Il secondo propone una definizione del concetto di
controllo prudenziale, offrendo dei principi chiave e delegando alle autorità di vigilanza
nazionali il compito di verificare l’osservanza dei requisiti patrimoniali minimi sanciti
dall’accordo. Il terzo e ultimo pilastro esamina la cosiddetta disciplina di mercato, ovvero
stabilisce degli standard minimi di trasparenza informativa che le banche devono
obbligatoriamente osservare al fine di fornire al mercato notizie in relazione al loro patrimonio
di vigilanza, all’esposizione ai rischi cui sono soggette e sui processi di valutazione e
gestione dei rischi attuati dall’istituto (CBVB, 2004).
Figura 1: visione d’insieme introduttiva dei 3 pilastri di Basilea II.
Fonte: elaborazione personale di dati tratti da CBVB, 2004.
13
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
2.3 Requisiti patrimoniali minimi
Come riscontrabile nella Figura 1, la misurazione dei requisiti minimi di capitale introdotta
con Basilea II include tre tipologie di rischio: di credito, operativo e di mercato.
Intuitivamente, il rischio di credito rappresenta l’aspetto più rilevante di cui tener conto
nell’attività bancaria e si manifesta allorquando una controparte non riesca a fare fronte ai
propri impegni nei confronti del creditore. Con l’introduzione del rischio operativo, il
regolatore ha invece voluto comprendere tutti i potenziali rischi cui una banca è esposta
anche solo attraverso l’essere in affari. In senso più stretto, esso è però definito come il
rischio cagionato dal fallimento nei processi interni di controllo, dal rischio derivante da errori
e comportamenti umani o da eventi esterni non prevedibili (Cornford, 2005). Il rischio di
mercato è stato trattato e definito nel precedente capitolo e qui non se ne da ulteriore conto.
Come introdotto da Basilea I, anche nel nuovo accordo il requisito patrimoniale minimo resta
invariato all’8% e viene calcolato mediante il rapporto tra patrimonio di vigilanza “PV” e
sommatoria delle attività ponderate per il rischio “RWA”. La vera novità è che questo
coefficiente viene ora determinato tenendo conto anche del rischio operativo. Quest’ultimo
viene trattato analogamente al rischio di mercato, ovvero prevedendo una moltiplicazione dei
valori ponderati per 12.5. Il peso derivante dal rischio operativo è rappresentato nella formula
dal suo requisito patrimoniale, ovvero 𝑅𝑃𝑅𝑂.
Riassumendo, si ottiene la seguente formula:
𝑃𝑉
12.5 ∗ (𝑅𝑃𝑅𝑀 + 𝑅𝑃𝑅𝑂) + Σ𝑅𝑊𝐴 ≥ 8%
2.3.1 Rischio di credito
Con lo schema di Basilea II, il Comitato ha lasciato sostanzialmente invariata, rispetto alla
proposta del 1988, la procedura di calcolo mediante approccio standard, limitandosi a
prevedere dei nuovi coefficienti di ponderazione che tengano conto anche della classe di
merito della controparte e non solo della tipologia del prestito. A tal fine, risulta fondamentale
la figura dell’agenzia di rating esterna quale organismo indipendente in grado di fornire
informazioni sulla classe di merito, e dunque sulla solvibilità, della controparte da finanziare.
Nell’accordo viene delegata alle autorità di vigilanza statali la facoltà di riconoscere o meno
l’autorizzazione ad operare sul proprio suolo nazionale alle agenzie di rating11.
Con l’approccio standard, la ponderazione riservata ad ogni controparte poggia su dei
coefficienti che variano a seconda delle valutazioni corrisposte dalle agenzie di rating che,
nella definizione data dal Comitato di Basilea, assumono il nome di ECAI “External Credit
Assessment Institution”. Conviene comunque ricordare che più volte nel corso degli anni
11 Le agenzie di rating autorizzate dalla FINMA ad operare su suolo nazionale sono: Standard & Poor’s Ratings Services, Moody’s Investors Service, Fitch Ratings, DBRS e, limitatamente alla valutazione di enti di diritto pubblico svizzero, Fedafin AG.
14
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
l’operato delle agenzie di rating internazionali è stato severamente criticato. In particolare, si
recrimina loro di non aver saputo individuare e comunicare tempestivamente il
deterioramento del merito di credito di numerose società poi finite in bancarotta. Tra gli
esempi più significativi si ricorda il fallimento della società energetica americana Enron
avvenuto nel 2001 (Cornford, 2005). Più recentemente si ricorda inoltre il fallimento della
banca d’investimento newyorkese Lehman Brothers avvenuto nel 2008.
Di seguito vengono riportati i vari giudizi di rating attribuiti alle imprese con relativo
significato. L’annotazione è riconoscibile in quanto compendia le valutazioni utilizzate dalle
principali agenzie operanti nel settore.
Figura 2: categorie di rischio e relativa definizione.
Fonte: ABI. (2010). Conoscere il rating. Come viene valutata l’affidabilità delle imprese
con l’accordo di Basilea, p. 5.
Una volta identificati i giudizi attribuiti dalle agenzie di rating, conviene metterli in relazione ai
corrispettivi coefficienti di ponderazione così come previsti negli accordi. Il testo dettaglia la
definizione, suddividendo le controparti in più categorie a seconda del ruolo economico
15
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
ricoperto. In seguito però, al solo fine d’esempio, vengono mostrati unicamente i coefficienti
associati alle imprese12. Si noti come essi siano stati affinati suddividendoli in cinque termini,
dal 20% al 150%, anziché in un’unica ponderazione del 100% come previsto da Basilea I.
Tabella 2: coefficienti di ponderazione attribuiti alle imprese in funzione del rating.
Rating controparte Coefficiente di
ponderazione
(Basilea I)
Coefficiente di
ponderazione
(Basilea II)
Da AAA a AA- 100% 20%
Da A+ a A- 100% 50%
Da BBB+ a BB- 100% 100%
Sotto BB- 100% 150%
Senza rating 100% 100%
Fonte: elaborazione personale di dati tratti da CBVB, 2004.
Per facilitare la lettura dei dati nella Tabella 2 conviene fare un esempio numerico che ben
rappresenta la pratica. Supponiamo che una grande azienda svizzera con rating AAA chieda
un credito di 100 CHF ad una banca. Seguendo il principio introdotto da Basilea II, l’istituto di
credito dovrà prevedere il 20% di attività ponderate per il rischio, ovvero 20 CHF. Questa
percentuale andrà a sua volta moltiplicata per il requisito di patrimonializzazione minimo
dell’8%, ottenendo: 1.60 CHF. In questa operazione la banca dovrà quindi accantonare a
titolo di riserva 1.60 CHF (ovvero l’1.6% del capitale prestato).
Nel caso di un prestito di pari importo ad una PMI (la maggioranza dei casi nella realtà
ticinese), che difficilmente sarà valutata da un’agenzia di rating, la banca dovrà prevedere il
100% di attività ponderate per il rischio da moltiplicare in seguito per il coefficiente dell’8%. In
questo caso le riserve da prevedere ammonteranno dunque a 8 CHF (ovvero l’8% del
capitale prestato). È dunque evidente il beneficio derivante dall’avere un’alta classe di merito
creditizio. Infatti, a parità delle altre condizioni, una banca è incentivata ad offrire un prestito
12 Per la suddivisione dettagliata delle controparti si veda: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 13 e seguenti.
16
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
più conveniente al debitore che gli consentirà di risparmiare sul proprio grado di
patrimonializzazione.
Questo metodo presenta indubbiamente dei vantaggi. Innanzitutto è di semplice
implementazione, visto che si basa su rating esterni e non richiede strutture di valutazione
interne alla banca. Inoltre, è particolarmente indicato per banche di piccole e medie
dimensioni vista la loro presumibile scarsità di risorse e di strutture. Infine, basandosi su dati
esogeni alle banche, comporta che queste ultime dispongano di informazioni uniformi a
parità di controparte e agenzia di rating.
Una struttura così semplificata comporta però anche degli svantaggi evidenti. In particolare si
rinuncia ad utilizzare competenze interne alle banche nella valutazione dei rischi e del merito
creditizio, finendo per attribuire troppo valore alle interpretazioni e opinioni delle agenzie di
rating, nonostante queste si siano già dimostrate più volte inaffidabili in passato13 (come
ricordato in precedenza).
Alternativamente, il metodo Internal Ratings Based “IRB” offre una prospettiva
completamente differente. Questo metodo è infatti stato creato pensando alle banche di
grandi dimensioni e che possano annoverare al proprio interno strutture e competenze
specifiche in ambito di valutazione e gestione dei rischi. Seguendo questa metodologia, sono
le banche stesse a fornire i rating alle controparti e non più le agenzie di rating esterne.
Definendo il metodo IRB, il Comitato individua due tipologie di perdite su crediti meritevoli di
attenzione: le perdite attese e le perdite inattese. Queste ultime identificano l’ammontare di
perdite eccedenti le perdite attese. Esse sono calcolabili mediante dei modelli statistici che
considerano un certo livello di confidenza e un dato orizzonte temporale. In sostanza,
rappresentano l’eccesso di perdite conseguenza della volatilità intrinseca alle perdite attese
(Orelli, 2017).
Parallelamente, il regolatore ha previsto due differenti tipologie di approccio per
l’identificazione e valutazione delle perdite attese: quello di base e quello avanzato. In
entrambi i casi, i fattori di ponderazione sono molteplici e vengono calcolati mediante le
probabilità che l’evento in analisi si verifichi. Di seguito vengono elencati gli elementi che le
banche utilizzano per fornire una stima delle possibili perdite attese (CBVB, 2004):
- PD (Probability of Default ): ovvero le probabilità che una controparte faccia
default prima di onorare i propri impegni;
- LGD (Loss Given Default): ovvero la percentuale di perdita sul credito che la
banca stima soffrirà in caso di default della controparte. A tal fine ricoprono un
ruolo importante le garanzie fornite dal cliente;
13 Per un confronto in merito si veda: Basel II, presentazione on-line: https://www.princeton.edu/~markus/teaching/Eco467/10Lecture/Basel2_last.pdf
17
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
- EAD (Exposure At Default): ovvero la percentuale di credito ancora da rimborsare
al momento del default;
- M (Maturity): ovvero la durata effettiva dell’operazione di credito, calcolata come
media delle scadenze dei pagamenti.
La differenza sostanziale tra i due approcci IRB, di base e avanzato, consiste
nell’elaborazione degli elementi elencati in precedenza. Infatti, mentre nel metodo di base la
banca stima solo la probabilità di default della controparte (ovvero PD), e in alcuni casi
specifici e limitati la durata dell’operazione (ovvero M), rivolgendosi all’autorità di vigilanza
nazionale per la stima degli altri input; nel caso dell’approccio avanzato la banca elabora
autonomamente tutte le componenti necessarie per la calcolazione della ponderazione
(Cornford, 2005).
Schematizzando si ottiene:
Tabella 3: differenze nel calcolo dei parametri secondo il metodo IRB.
IRB di base IRB avanzato
PD (Probability of Default) Banca Banca
LGD (Loss Given Default) Autorità di vigilanza Banca
EAD (Exposure At Default) Autorità di vigilanza Banca
M (Maturity) Autorità di vigilanza Banca
Fonte: elaborazione personale di dati tratti da: Conford, A. (2005). Basel II: the revised
framework of June 2004.
In sostanza il rating, sia esso attribuito dalle agenzie esterne o internamente alle banche, è
un giudizio che definisce, in maniera sintetica, la capacità delle imprese di ripagare i propri
debiti nel lasso di tempo convenuto. In questa valutazione si tiene conto di dati raccolti
analizzando lo storico del comportamento dell’azienda in analisi nonché l’andamento del
settore nel quale opera. In generale offre, quindi, una previsione sulle capacità future del
debitore di onorare gli impegni presi nel rispetto delle modalità di rimborso convenute (ABI,
2010).
18
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Nella pratica operativa degli istituti bancari, ed in conformità agli standard proposti dal
metodo IRB avanzato, le analisi che vengono svolte al fine di attribuire un rating alle
controparti sono così suddivisibili14:
- analisi quantitativa: operata attraverso lo studio dei bilanci delle società e
analizzando degli indicatori facilmente rilevabili e non interpretabili (per esempio la
redditività, l’indebitamento, la liquidità, le dimensioni, ecc.). Questa analisi deve
essere fatta in principio, prima del finanziamento, ma anche successivamente con
l’intento di rivalutare periodicamente lo stato dell’affidamento;
- analisi qualitativa: ovvero un’analisi legata maggiormente ad aspetti strategici e di
posizionamento dell’impresa. In questo caso si da meno importanza ai dati
rilevabili dai conti delle società, prediligendo un’analisi più discrezionale e legata,
per esempio, alla qualità del management, all’andamento del settore economico
nel quale opera l’impresa, alla competenza e know-how maturati dai dipendenti
nonché ad aspetti di carattere reputazionale. Risulta quindi un’analisi
caratterizzata da elementi soggettivi, è dunque fondamentale che la banca
conosca molto bene la società da finanziare;
- analisi andamentale: questa fase rappresenta forse l’aspetto più pratico
nell’attribuzione del merito di credito. Infatti, questa analisi considera l’andamento
storico dei rapporti tra la banca e il cliente e, basandosi su relazioni e operazioni
concluse in passato, fornisce un indicatore affidabile e realistico per l’attribuzione
del futuro rating al debitore.
In seguito, incrociando i dati ottenuti con queste analisi, le banche sono in grado di
approssimare un numero notevole di informazioni attraverso la loro elaborazione elettronica
in un modello di scoring15 focalizzato sullo specifico cliente. Parallelamente, gli istituti di
credito stimano un nuovo valore di merito creditizio attribuibile ad ogni controparte (Nosetti,
2017).
Schematizzando in una semplice formula si ricava il valore del fattore di ponderazione,
ottenuto come prodotto dei parametri elencati nella Tabella 3. Questa formula rappresenta il
valore della perdita attesa (EL) relativa al finanziamento concesso:
𝑝𝑒𝑟𝑑𝑖𝑡𝑎 𝑎𝑡𝑡𝑒𝑠𝑎 (𝐸𝐿) = 𝑃𝐷 ∗ 𝐿𝐺𝐷 ∗ 𝐸𝐴𝐷
Anche per il caso dei tre parametri costituenti il fattore di ponderazione, il Comitato ha
previsto dei differenti coefficienti percentuali da attribuire ai fattori di rischio sottostante.
Questa suddivisione poggia su di una classificazione delle esposizioni basata sulle diverse
14 Per un confronto in merito si veda Rutigliano M., presentazione on-line: http://www.dea.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid954244.pdf 15 Procedura prevista da Basilea II per l’assegnazione del rating bancario. In merito si rimanda a: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 100.
19
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
classi si attività. Secondo il testo dell’accordo, un prestito può rappresentare un’esposizione
verso cinque macrocategorie di debitori16: i) imprese; ii) soggetti sovrani; iii) banche; iv)
soggetti privati; v) azionari.
Nel caso della metodologia IRB (sia di base che avanzata), l’approccio presenta quali
vantaggi una maggiore rappresentatività e realismo in relazione alle attività bancarie, visto
che trae le proprie basi su stime derivate da serie storiche. Inoltre, consente alle grandi
banche di aumentare la propria autonomia in ambito di valutazione e di gestione dei rischi,
sviluppando al proprio interno competenze preziose. Analizzando gli aspetti negativi, si
riscontrano degli svantaggi relativamente ai costi che la creazione di strutture dedicate può
comportare per le banche. Inoltre, per giungere ad un’approssimazione accettabile dei dati, è
necessaria l’analisi di un’importante mole di serie storiche che spesso conduce a risultati
interpretabili e che la banca potrebbe trattare discrezionalmente17.
Secondo un’ulteriore e più approfondita analisi dei due metodi, un’altra critica va parimenti
attribuita ad entrambi i criteri. Nello specifico, i metodi che si basano sul rating contribuiscono
ad accentuare l’effetto pro-ciclico che scaturisce da una congiuntura economica negativa.
Infatti, in queste condizioni i coefficienti di ponderazione utilizzati per la valutazione delle
esposizioni aumentano, causando un incremento dei fondi minimi richiesti alle banche con
conseguente contrazione dei crediti erogati. Questa condizione, nota in inglese come “credit
crunch”, può contribuire significativamente al prolungamento e aggravamento delle crisi
(Nosetti, 2017).
2.3.2 Rischio operativo
L’introduzione del rischio operativo rappresenta la novità più importante e significativa dei
nuovi accordi di Basilea. Con questa aggiunta, il Comitato ha voluto regolamentare il rischio
di perdite derivanti da fallimenti nei processi gestionali, siano essi causati dal comportamento
umano o da eventi esterni, nonché dall’inosservanza delle procedure di gestione dei sistemi
interni all’istituto. Seguendo questa definizione, sono fattori determinanti il rischio operativo:
le frodi (interne od esterne), le falle nei sistemi informatici, le procedure e i contenziosi aperti
contro la banca, i danni ai beni di proprietà (es. incendio, terremoto, attentati). Il capitale
minimo a copertura del rischio operativo costituisce dunque una componente del patrimonio
di vigilanza così come inteso da Basilea II. In questo senso, il Comitato ha previsto tre
diverse metodologie di misurazione per i coefficienti patrimoniali legati a questo specifico
rischio: il metodo base, il metodo standardizzato e i metodi avanzati di misurazione (CBVB,
2004).
16 Per il dettaglio delle definizioni e dei coefficienti si rimanda a: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 56 e seguenti. 17 Per un confronto in merito si veda: Basel II, presentazione on-line: https://www.princeton.edu/~markus/teaching/Eco467/10Lecture/Basel2_last.pdf
20
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Si è optato per tre alternative differenti visto l’intento di prevedere una sofisticazione dei
controlli che vada di pari passo con il grado di complessità dell’operato delle specifiche
banche. Infatti, il Comitato incoraggia le banche attive internazionalmente, e con elevata
propensione al rischio operativo, ad implementare una metodologia più sofisticata del
semplice metodo di base. In qualsiasi caso però, l’autorizzazione per l’utilizzo di un sistema
piuttosto che un altro spetta alle autorità di vigilanza nazionali. Esse hanno altresì la facoltà
di concedere ad un istituto di utilizzare più metodi, a seconda del grado di rischiosità delle
differenti aree di attività nelle quali opera (CBVB, 2004).
Nel caso del metodo di base, in inglese Basic Indicator Approach “BIA”, il capitale da
prevedere a fronte del rischio operativo è così definibile:
𝐾𝐵𝐼𝐴 = 𝛼 ∗ 𝐺𝐼
dove: KBIA = requisito patrimoniale secondo il metodo di base;
𝛼 = percentuale fissa stabilità dal Comitato e pari al 15%;
GI = margine di intermediazione medio (Gross Income), riferito ai tre anni precedenti.
Adottando il metodo standardizzato, in inglese Standardised Approach “TSA”, le banche
suddividono le proprie attività in otto macroaree d’affari18: corporate finance, trading and
sales, retail banking, commercial banking, payment and settlement, agency services, asset
management e retail brokerage. In questo modo si ha un quadro più preciso delle
esposizioni al rischio operativo relativamente a ciascuna area di attività. Il requisito
patrimoniale che ne deriva è più specifico ed indicativo dell’esposizione (CBVB, 2004):
𝐾𝑇𝑆𝐴 = 𝛽𝑖 ∗ 𝐺𝐼
dove: KTSA = requisito patrimoniale secondo il metodo standardizzato;
βi = percentuale fissa stabilità dal comitato a seconda delle diverse aree di business;
GI = margine di intermediazione medio (Gross Income) dell’area di business, riferito
ai tre anni precedenti.
Nella tabella che segue vengono presentati gli otto coefficienti attribuiti alle differenti aree di
affari. Si noti come la percentuale sia calibrata in relazione alla rischiosità della specifica
area.
18 Per la definizione puntuale delle aree d’affari, si veda: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, pp. 121-122.
21
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Tabella 4: coefficienti Beta attribuiti alle differenti linee di business.
Fonte: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei
coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 159.
Nell’ultimo metodo, ovvero quello avanzato, in inglese Advanced Measurement Approach
“AMA”, la misurazione del requisito patrimoniale è interamente delegata alla banca stessa
che, in conformità al proprio sistema di misurazione e gestione dei rischi, stabilisce in
autonomia le percentuali da attribuire alla copertura dei rischi operativi. Questo metodo è
dunque simile al sistema IRB avanzato utilizzato per quantificare e gestire il rischio di credito.
La validità dei modelli implementati dagli istituti di credito è comunque verificata dalle autorità
di vigilanza che, se necessario, possono imporre delle correzioni (CBVB, 2004).
2.3.3 Rischio di mercato
Come anticipato nel primo capitolo, il Comitato operò una prima regolamentazione del rischio
di mercato già nel 1996, integrandolo nell’accordo del 1988. Il rischio di mercato, così come
presentato nel documento, è a sua volta suddivisibile in delle sottocategorie, tra le quali le
più considerate sono: il rischio di cambio, d’interesse e di prezzo (di titoli o merci). Tutti
questi fattori possono comportare cambiamenti di prezzo delle attività più o meno marcati.
Queste variazioni possono essere sia positive per la banca, quando comportano un aumento
di valore delle attività, sia negative, quando invece ne consegue una diminuzione19.
Analogamente ai rischi già trattari, anche in questo caso il Comitato prevedeva la definizione
di due metodologie differenti per la valutazione del rischio di mercato. Il primo metodo,
definito standardizzato, consente di quantificare il rischio basandosi su coefficienti fissi
stabiliti nel testo dell’accordo; mentre nel secondo, che viene definito dei modelli interni, la
banca gode di una certa autonomia nella definizione dei processi di valutazione, a patto che
questi siano approvati dall’autorità di vigilanza nazionale. In entrambi i casi però, l’approccio
19 Per un confronto in merito si veda Santorsola G., presentazione on-line: http://www.economia.uniparthenope.it/modifica_docente/santorsola/INTERMEDIARI_E_FINANZIAMENTI_D%60AZIENDA_14_-_LE_COMPONENTI_E_LA_GESTIONE_RISCHIO_DI_CREDITO.PDF
22
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
preferito per la stima delle potenziali perdite è il Value-at-Risk, abbreviato in VaR20. Infatti,
nel pensiero del Comitato, il VaR rappresenta uno strumento affidabile e uniforme per il
monitoraggio dei livelli di rischio assunto, permettendo al contempo una comparazione dei
dati ottenuti in relazione alle differenti aree di attività delle banche (CBVB, 2004).
Per una buona gestione del rischio di mercato, risulta dunque necessaria una struttura
all’interno delle banche in grado di acquisire e valutare continuamente le informazioni relative
all’evoluzione dei mercati e alle situazioni delle controparti. Nella pratica questa funzione è
ricoperta dall’ufficio di risk management interno agli istituti di credito (CBVB, 2004).
2.4 Controllo prudenziale
Il secondo pilastro proposto da Basilea II poggia le proprie fondamenta sul controllo
prudenziale. Esso è inteso come la necessità di implementare all’interno delle banche
strumenti di controllo e gestione dei rischi efficaci, che non si limitino solo a garantire il
rispetto dei requisiti minimi di capitale. A tal fine, il Comitato attribuisce all’alta direzione la
responsabilità di prevedere, in seno all’istituto amministrato, tutti gli strumenti necessari a
garantire l’osservanza di questa regolamentazione.
In questo processo, alle autorità di vigilanza spetta invece il compito di controllore,
verificando periodicamente che le disposizioni in materia vengano rispettate in conformità
con la propensione al rischio peculiare di ogni istituto.
Il Comitato ha incoraggiato le banche a considerare i requisiti minimi di capitale, così come
espressi nel primo pilastro, non sufficienti a garantire la stabilità dell’istituto in fasi
congiunturali negative. Al contrario, una gestione e valutazione dei rischi più cauta è da
considerarsi quale strumento efficace in grado di compensare le lacune di un sistema basato
unicamente sulla determinazione di requisiti minimi di patrimonializzazione.
Osservando queste linee guida, il Comitato ha ampliato lo schema prudenziale previsto da
Basilea II, prevedendo nel testo dell’accordo quattro principi chiave che ben sintetizzano le
basi regolamentari del secondo pilastro (CBVB, 2004):
i. Il rispetto dell’adeguatezza patrimoniale di un istituto non deve basarsi unicamente
sul grado di patrimonializzazione minima stabilito dal primo pilastro. Ogni istituto è
invece invitato a prevedere un livello di patrimonializzazione coerente con il proprio
grado di propensione al rischio, adattandolo dinamicamente alla congiuntura
economica in cui si trova ad operare. A tal fine risultano fondamentali le procedure
interne di valutazione e gestione dei rischi stabilite dall’alta direzione, e validate
periodicamente da un efficace sistema di monitoraggio interno;
20 Il VaR è una misura statistica che indica la perdita potenziale di una posizione di investimento in un certo orizzonte temporale e con un dato livello di confidenza. È una tecnica comunemente usata dalle banche per misurare il rischio di mercato delle attività che detengono in portafoglio.
23
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
ii. Le autorità di vigilanza sono incaricate di effettuare controlli periodici al fine di
garantire l’osservanza dei requisiti minimi in materia di adeguatezza patrimoniale.
Esse sono incoraggiate ad operare delle ispezioni nel corso delle quali verificano
l’operato dell’impresa, relazionandosi con l’alta direzione e validando il lavoro di
controllo svolto dall’audit interno e esterno all’istituto. Nel caso si riscontrino
inadempienze, le autorità sono incoraggiate ad intervenire proponendo delle misure
prudenziali correttive;
iii. Le autorità di vigilanza, seguendo principi prudenziali, hanno la facoltà di richiedere
alle banche che sottostanno al loro controllo di prevedere requisiti minimi di capitale
in eccesso rispetto a quelli sanciti nel testo dell’accordo. In quest’ottica, esse
possono richiedere agli istituti di credito di detenere una dotazione di capitale
sufficiente anche alla copertura di rischi non ancora identificati e valutati;
iv. Le autorità di vigilanza sono fortemente incoraggiate ad operare interventi preventivi
volti a scongiurare la diminuzione del capitale di una banca al disotto dei requisiti
minimi stabiliti. Allorquando venga riscontrata una patrimonializzazione insufficiente,
le autorità dispongono di diversi strumenti correttivi applicabili discrezionalmente e
tenendo conto della specifica situazione in cui versa la banca inadempiente. A titolo
di esempio, si pensi ad una ricapitalizzazione dell’istituto oppure all’imposizione di
una revisione dei suoi sistemi di controllo interno.
Leggendo questi principi, risulta chiara l’importanza che il dialogo tra banche e autorità di
vigilanza nazionali ricopre nel processo di controllo prudenziale prospettato dal Comitato di
Basilea. In questo senso, si rimanda al testo dell’accordo per un dettagliato elenco di
argomenti di discussione, relativamente all’identificazione e al trattamento dei principali temi
sul controllo prudenziale21.
Secondo un approccio più analitico e critico, con la creazione del secondo pilastro, il
Comitato ha voluto includere nello schema regolamentare proposto, oltre ai rischi di credito,
di mercato e operativo, anche due ulteriori tipologie fino ad allora tralasciate. Nello specifico
veniva posta enfasi sul rischio reputazionale e su quello strategico. Quest’ultimo è
classicamente rappresentato dalle potenziali perdite derivanti da una gestione sbagliata
dell’impresa e delle sue priorità. Il rischio reputazionale è invece caratterizzato da una
perdita di credibilità della banca che, a seconda della gravità, può interessare i clienti, le
autorità di vigilanza, le controparti nelle operazioni interbancarie nonché i mercati nel loro
complesso. Questa introduzione permette al Comitato di estendere ancora di più il proprio
ruolo regolamentare sulle banche, guadagnando contemporaneamente potere contrattuale
per le future negoziazioni (Cornford, 2005).
21 Per gli argomenti di discussione proposti dal Comitato si rimanda a: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 230 e seguenti.
24
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
2.5 Disciplina di mercato
Il terzo ed ultimo pilastro è incentrato sulla cosiddetta disciplina di mercato, ovvero gli
standard informativi che le banche devono rispettare per garantire un operato chiaro e
facilmente valutabile dal mercato. Infatti, nelle intenzioni del Comitato, la pubblicazione di
informazioni facilmente accessibili deve costituire un efficace deterrente volto a scoraggiare
le banche dall’assumere rischi eccessivi. In coerenza con il primo e secondo pilastro, gli
istituti sono tenuti a fornire al mercato informazioni di carattere quantitativo per quanto
concerne, per esempio, il loro grado di patrimonializzazione nonché gli elementi su cui si
basa il suo calcolo; e di carattere qualitativo circa le metodologie implementate per
identificare e valutare i rischi nei quali incorrono. A tale scopo, con l’introduzione del terzo
pilastro, risulta chiara l’intenzione del Comitato di formulare delle disposizioni volte
all’integrazione dei requisiti minimi di capitale con il processo di controllo prudenziale (CBVB,
2004).
Nel testo dell’accordo vengono anche fornite delle linee guida per determinare se
un’informazione sia o meno da comunicare. Questo approccio, basato sul principio della
rilevanza, fornisce alle banche una definizione dei fattori che contribuiscono alla
determinazione dell’importanza di una informazione22.
La frequenza di pubblicazione delle informazioni rilevanti dovrebbe essere quanto più
commisurata all’importanza economica rivestita dalla singola banca. Infatti, le grandi banche
attive internazionalmente sono invitate a pubblicare con cadenza trimestrale i dati salienti
relativi, per esempio, al loro grado di patrimonializzazione. Generalizzando però, il testo
prevede di principio pubblicazioni semestrali per gli istituti che non rientrano nella categoria
descritta sopra.
Il comitato prevedeva altresì delle eccezioni agli obblighi d’informazione. In particolare, si
esentavano gli istituti dal divulgare dati ritenuti confidenziali e potenzialmente dannosi per la
competitività dell’impresa. Ciononostante le banche sono chiamate a sostituire questi dati
con informazioni più indicative ma, al contempo, in grado di far comprendere
orientativamente la portata degli avvenimenti (CBVB, 2004).
Infine, consapevole delle differenti regolamentazioni a livello nazionale, il Comitato si
auspicava che quanto richiesto dal terzo pilastro fungesse da complemento alla
regolamentazione nazionale già in vigore in materia di trasparenza informativa, con l’intento
di aumentare la stabilità del sistema bancario, incentivando un comportamento prudente del
settore nel suo insieme. Questa intenzione presenta però una sfida. Si pensi, infatti, ai
problemi d’integrazione che le banche attive internazionalmente devono risolvere al fine di
osservare regole spesso diverse a seconda della giurisdizione nella quale si trovano ad
operare (Cornford, 2005).
22 Per la definizione delle informazioni rilevanti si veda: CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione, p. 247 e seguenti.
25
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
2.6 I limiti di Basilea II
I limiti dello schema regolamentare proposto con Basilea II si sono palesati a seguito della
drammatica crisi finanziaria iniziata nel 2007. Infatti, la valutazione dei rischi e le relative
previsioni di copertura operate dalle banche si sono mostrate inefficaci e, spesso, del tutto
insufficienti.
In prima analisi, l’introduzione dei differenti coefficienti di ponderazione da applicare ai
prestiti comportava si una maggiore categorizzazione e suddivisione rispetto alle semplici
percentuali fisse previste dal primo accordo ma, al contempo, non consentiva di attuare una
differenziazione basata sulla effettiva rischiosità delle controparti finanziate. Inoltre, l’accordo
non prevedeva un adeguamento dei coefficienti minimi di capitale in grado di recepire, oltre
alla rischiosità del debitore, anche la composizione del portafoglio di crediti detenuto dalla
banca prestatrice al momento dell’erogazione del credito. In questo caso, risulta evidente la
lacuna in ottica di una maggiore e più consapevole diversificazione dei rischi assunti
dall’istituto. La miopia della regolamentazione emerge ancora se si analizzano secondo e
terzo pilastro. Infatti, delineando solo le linee guida che le banche dovevano osservare in
materia di controlli prudenziali e trasparenza informativa, si tralasciava completamente un
approccio regolamentare volto a dare ai creditori le indicazioni necessarie per valutare
criticamente l’operato delle banche in materia di valutazione e gestione dei rischi. Queste
lacune sono in parte giustificabili se si pensa alla mole e alla complessità dell’accordo così
come presentato dal Comitato. Esso, infatti, mal si prestava ad una semplice e univoca
implementazione dei processi di gestione quotidiani attuati dagli intermediari bancari (Resti &
Sironi, 2008).
Seguendo un’ulteriore interpretazione dei limiti di Basilea II, si constatano diverse criticità
imputabili alla natura dell’accordo. Innanzitutto, il grado di patrimonializzazione degli istituti
bancari si è dimostrato insufficiente e, soprattutto, troppo spesso poco correlato con
l’effettiva propensione al rischio delle banche. Inoltre, lo schema proposto nel 2004
presentava evidenti vuoti normativi in materia di regolamentazione delle attività fuori bilancio.
A titolo esemplificativo si pensi all’importanza rivestita, nelle fasi di innesco e propagazione
della crisi, dalle operazioni di cartolarizzazione dei titoli di credito23.
Nell’aggravamento della crisi, un ruolo importante è stato ricoperto anche dal livello di
squilibrio di liquidità raggiunto nel corso degli anni dal settore bancario. In particolare,
l’aspettativa delle banche di reperire facilmente liquidità all’interno del settore (raccogliendo il
risparmio o accedendo a prestiti interbancari) si è dimostrata del tutto inapplicabile. A
compensazione di questo squilibrio si sono dimostrati fondamentali i numerosi interventi
delle banche centrali volti all’approvvigionamento di liquidità dell’intero sistema bancario.
23 Processo attraverso il quale le banche cedono le proprie attività a società esterne (Special Purpose Vehicle “SPV”) con l’intento di trasformare titoli di credito/debito in obbligazioni da vendere al pubblico. Con la cartolarizzazione il rischio di credito viene dunque trasferito dalla banca agli obbligazionisti. In tal modo la banca sarà in grado di liberare risorse patrimoniali.
26
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Inoltre, analizzando le metodologie proposte dal Comitato e utilizzate dagli istituti bancari per
la misurazione e copertura dei rischi, in special modo per il rischio di mercato collegato a
titoli e strumenti finanziari, si evince a posteriori la superficialità con cui si è permesso a
queste attività di assorbire meno requisiti patrimoniali in relazione alle esposizioni detenute
nel portafoglio di negoziazione. In particolare, la valutazione al valore corrente di mercato di
strumenti potenzialmente pericolosi quali, per esempio, derivati e titoli cartolarizzati, non ha
tenuto conto del lungo periodo di illiquidità che, a seguito della crisi, ha caratterizzato i
mercati dove queste attività vengono scambiate (Montanaro, 2016).
Completando questa interpretazione, e attribuendo una critica maggiormente concettuale al
paradigma di Basilea II, si potrebbe far notare l’eccessiva focalizzazione posta sulla
regolamentazione delle banche intese come entità singole. In questo caso, l’approccio
adottato non consentiva di prevedere misure volte a garantire la stabilità del sistema
bancario nel suo complesso. Infatti, il crescente grado di interconnessione tra gli attori
operanti nel settore ha favorito l’acuirsi della crisi, facilitando una sua rapida propagazione
all’intero sistema finanziario globale. A ulteriore riprova di questo, si pensi alla profonda fase
di concentrazione vissuta dal settore bancario nel corso degli anni Ottanta e Novanta e alla
conseguente nascita di grandi conglomerati finanziari, il cui fallimento potrebbe comportare
una nuova e ancor più grave crisi economica (concetto “too big to fail”)(Montanaro, 2016).
27
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
3 Il nuovo schema di rafforzamento per il settore: Basilea III
3.1 Nascita e obiettivi dell’accordo
A seguito dell’esperienza maturata con la crisi finanziaria del 2007/2008, il Comitato,
attraverso la pubblicazione nel 2010 di un nuovo schema regolamentare denominato Basilea
III, ha manifestato la volontà di aumentare la regolamentazione del settore bancario,
concentrandosi principalmente su tre aspetti: i) la ridefinizione più dettagliata del patrimonio;
ii) l’introduzione di una regolamentazione incentrata sull’indice di leva finanziaria degli istituti
e iii) la presentazione di uno schema regolamentare dedicato alla liquidità delle banche. Con
questo intento, e coerentemente al terzo pilastro introdotto con il precedente accordo, un
processo di revisione ha anche interessato la disciplina di mercato e, più nello specifico, la
trasparenza informativa contemplata al suo interno (CBVB, 2010). Inoltre, particolare
attenzione è stata attribuita all’identificazione, gestione e pubblicazione dei rischi legati a
poste fuori bilancio come, ad esempio, i titoli di credito cartolarizzati di cui si è dato
brevemente conto nel precedente capitolo. Il Comitato ha individuato nel sistema bancario
ombra, o “shadow banking”, il maggior responsabile della diffusione all’intero sistema di
questi titoli altamente pericolosi e non regolamentati. In tal senso si auspica, quindi, un
intervento delle autorità di vigilanza nazionali volto al disciplinamento e al contenimento di
questo sistema parallelo, costituito da un insieme diversificato di operatori e attivo come
alternativa ai canali tradizionali di finanziamento bancario24.
Cercando di impedire il ripetersi di crisi finanziarie così acute, il Comitato ha altresì previsto
un approccio inedito volto alla gestione del rischio di credito relativamente alle specifiche
controparti. In questo senso, l’intenzione dichiarata è quella di limitare i rischi legati alle
numerose operazioni in prodotti derivati che sempre più caratterizzano le attività bancarie. In
particolare, si è posta enfasi sulla volontà del Comitato di prevedere delle controparti centrali
in grado di garantire anche le transazioni in contratti OTC25, eliminando così il rischio di
credito di controparte intrinseco a queste specifiche operazioni. Parallelamente, con il fine di
presentare una regolamentazione di carattere maggiormente macroprudenziale, il Comitato
di Basilea, coadiuvato nel processo dal Financial Stability Board (FSB)26, ha previsto un
approccio specifico per le banche di rilevanza sistemica e attive internazionalmente. Infatti,
per queste ultime sono previsti dei requisiti aggiuntivi quali, ad esempio, un grado di
patrimonializzazione maggiore nonché la copertura delle perdite contratte rifacendosi
24 Per un confronto in merito si veda: Bernanke, B. (2013). The Crisis as a Classic Financial Panic. Disponibile on-line: https://www.federalreserve.gov/newsevents/speech/bernanke20131108a.htm 25 I contratti Over-the-Counter “OTC” sono contratti non standardizzati e scambiati al di fuori dei mercati borsistici regolamentati. Sono rischiosi in quanto soggetti al rischio di default della controparte poiché non godono delle garanzie prestate in questo senso dalle borse valori. 26 Il Financial Stability Board è un organismo internazionale che monitora il sistema finanziario mondiale. In tale organismo sono rappresentati tutti i Paesi del G20. Ha anch’esso sede a Basilea.
28
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
direttamente su alcuni creditori dell’istituto (procedura di “bail-in”, ovvero salvataggio della
banca attingendo alle risorse interne anziché affidandosi all’aiuto dello Stato, ossia al “bail-
out”).
In conclusione, e come brevemente accennato nell’introduzione di questa tesi, il Comitato di
Basilea ha voluto presentare un nuovo schema regolamentare con il fine dichiarato di
perseguire una maggiore stabilità del sistema bancario. Per fare ciò, il regolatore si è
impegnato per fornire al settore una regolamentazione semplice, e contemporaneamente più
stringente, che limiti il ricorso alla leva finanziaria degli istituti, attuando un processo di
controllo più articolato delle fasi di pro-ciclicità che hanno interessato l’economia reale nel
corso dell’ultima crisi finanziaria (CBVB, 2010). Nel corso dei seguenti paragrafi verranno
descritte le novità introdotte da Basilea III.
3.2 Definizione di capitale in Basilea III
Uno degli insegnamenti più incisivi della crisi finanziaria scorsa è stato senz’altro il palesarsi
dell’insufficiente grado di patrimonializzazione di cui disponevano le banche. Queste ultime
infatti, malgrado i requisiti introdotti con Basilea II, si sono dimostrante in maggioranza sotto
capitalizzate e contraddistinte da una pessima qualità del loro patrimonio di vigilanza.
Questa situazione ha conosciuto inoltre un aggravamento causato dalle differenti definizioni
di patrimonio così come previste dalle normative di ciascuna nazione. Questo fenomeno ha
costituito infatti un impedimento per la corretta valutazione e comparazione degli istituti
bancari attivi in diversi Paesi (CBVB, 2010).
Per scongiurare il ripetersi di queste criticità, il Comitato ha voluto rivedere la definizione di
patrimonio proposta con i precedenti accordi, adeguandola alla luce degli avvenimenti
occorsi nel primo decennio del nuovo millennio. A tal fine viene identificato un patrimonio di
base che mantiene il nome di Tier 1. A sua volta questo elemento patrimoniale si suddivide
in due componenti: il patrimonio di classe primaria, o Common Equity Tier 1 “CET1”; e il
patrimonio Tier 1 aggiuntivo. Inalterata rimane la terminologia a cui si riferisce il patrimonio
supplementare, ossia Tier 2. Nelle intenzioni del regolatore, il Tier 1 così costituito, deve
consentire all’istituto di assorbire le perdite in condizioni normali d’impresa, mentre il Tier 2
deve essere sufficiente a compensare le eventuali perdite derivanti da una crisi.
Dettagliando maggiormente, il testo dell’accordo prevede tre differenti definizioni alle quali si
accompagno delle soglie minime di capitale espresse in percentuale. Di seguito, si nota
l’intenzione del Comitato di aumentare i requisiti patrimoniali richiesti (CBVB, 2010):
- il Common Equity Tier 1 “CET1” deve essere pari ad almeno il 4.5% delle attività
ponderate per il rischio. Esso è costituto dalle azioni ordinarie emesse dalla banca
dedotti i dividendi, dalle riserve da utili e da quelle di rivalutazione;
- il patrimonio di base, costituito da CET1 e Tier 1 aggiuntivo, deve essere pari ad
almeno il 6% delle attività ponderate per il rischio (in Basilea II questo coefficiente
29
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
si fermava al 4%). Il Tier 1 aggiuntivo è destinato a coprire le perdite in condizioni
di continuità d’impresa (“going concern”) ed è costituito da diversi strumenti che
devono rispettare dei requisiti di computabilità imposti dal Comitato;
- il patrimonio di vigilanza, inteso come la somma di patrimonio di base e
supplementare Tier 2, deve esse almeno pari all’8% delle attività ponderate per il
rischio (così come previsto in Basilea II). Il patrimonio supplementare è destinato
a coprire le perdite in condizioni di crisi d’impresa (“gone concern”) ed è costituito
da diversi strumenti che devono rispettare dei requisiti di computabilità imposti dal
Comitato27;
- il patrimonio Tier 3, introdotto nel 1996 con la revisione del primo accordo e volto
alla regolamentazione del rischio di mercato, viene invece eliminato da Basilea III.
Al fine di consentire un graduale avvicinamento agli standard patrimoniali citati nell’elenco di
cui sopra, il Comitato ha previsto un periodo transitorio nel corso del quale le banche
poterono operare, per esempio, delle politiche di accantonamento degli utili o di aumento di
capitale propedeutici al raggiungimento degli innalzati coefficienti minimi. Questo periodo di
transizione prevedeva l’effettiva entrata in vigore degli standard a far data dal 1° gennaio
2015 (CBVB, 2010).
3.3 I buffer di capitale previsti da Basilea III
Con l’introduzione dei buffer di capitale, il Comitato ha voluto trattare uno dei fattori
determinanti nella propagazione e nel prolungamento delle crisi finanziarie: la pro-ciclicità
determinata dai requisiti patrimoniali. In particolare, questo fenomeno è responsabile della
deleteria diffusione della crisi, dal settore bancario e finanziario, all’economia reale. Nello
specifico, durante una crisi economica caratterizzata da un periodo di congiuntura negativo,
il ricorso al credito per chi ne ha bisogno è impedito dalla necessità delle banche di
trattenere capitale al fine di osservare i requisiti patrimoniali minimi imposti loro dalle autorità.
Questo fenomeno diventa più grave se preceduto da un periodo di grande espansione
creditizia (come nel caso degli anni precedenti la crisi del 2007/2008). Il Comitato ha dunque
proposto i buffer di capitale quali strumenti volti al rafforzamento della stabilità del sistema
bancario. Questi ultimi sono costituibili mediante delle misure prudenziali di accantonamento
di capitale (definiti accantonamenti anticiclici “forward looking”) da operare nelle fasi positive
di crescita economica, ossia quando ci si aspetta che le banche generino utili da poter
impegnare nel rafforzamento del proprio grado di patrimonializzazione (CBVB, 2010).
Queste misure vanno collocate nell’ampia ottica di regolamentazione macroprudenziale del
settore così come auspicata nel testo dell’accordo e sono volte a garantire la stabilità
27 Per il dettaglio dei requisiti di computabilità applicabili a Tier 1 aggiuntivo e Tier 2 si veda: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, pp. 16-20.
30
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
dell’intero settore, contenendo il rischio sistemico. Una volta definito l’obiettivo perseguito
con l’introduzione del buffer di capitale, il Comitato ha suddiviso lo stesso in due strumenti
distinti: il buffer di conservazione del capitale e il buffer anticiclico (CBVB, 2010).
3.3.1 Il buffer di conservazione del capitale
Seguendo i principi prudenziali di accantonamento descritti nel paragrafo precedente, il
buffer di conservazione del capitale si pone come obiettivo principale la costituzione di
riserve di capitale alle quali attingere nel caso in cui l’istituto incorra in delle perdite. In questo
senso, le banche sono fortemente incoraggiate ad attuare le misure necessarie a garantire
un surplus di patrimonio rispetto ai vincoli imposti con la sola definizione del patrimonio di
vigilanza. Il testo dell’accordo suggerisce, per esempio, di limitare la distribuzione degli utili
mediante dividendi, prevedendo al contrario la loro capitalizzazione28. Secondo
l’interpretazione del Comitato, si ritiene infatti inaccettabile che una banca senza un
adeguato buffer patrimoniale distribuisca dividendi o elargisca bonus al proprio personale. La
percentuale minima prevista da Basilea III per il buffer di conservazione del capitale è fissata
al 2.5%. Questo requisito deve essere costituito interamente da Common Equity Tier 1 e va
rapportato alle attività ponderate per il rischio. In altri termini, seguendo questo nuovo
approccio, le banche sarebbero tenute a detenere, rispettando l’entrata in vigore di questo
nuovo standard prevista per il 1° gennaio 2019, un CET1 del 7% (ossia 4.5%, così come
previsto dalla definizione originaria del Common Equity Tier 1, più 2.5% di buffer di
conservazione del capitale). Nel caso in cui una banca non rispettasse i requisiti minimi
previsti per il buffer, essa è tenuta a limitare le proprie politiche di distribuzione degli utili
fintantoché quest’ultimo non venga ripristinato (CBVB, 2010).
Nella tabella che segue vengono riassunte le percentuali di utile da attribuire alla creazione
del buffer di conservazione nel caso non sia raggiunto l’obiettivo minimo di CET1 al 7%.
Tabella 5: conversione degli utili fino alla costituzione del buffer di conservazione.
Fonte: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il
rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, p. 61.
28 Per il dettaglio degli elementi sottoposti al vincolo di distribuzione si veda: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, p. 62.
31
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
3.3.2 Il buffer anticiclico
Ponendo maggiore attenzione agli aspetti macroprudenziali, il Comitato ha previsto un
ulteriore buffer di capitale, complementare e da affiancare a quello di conservazione
presentato nel precedente paragrafo. Questo cuscinetto di capitale, che prende il nome di
buffer anticiclico, funge da riserva di capitale impiegabile qualora si verifichi un periodo di
crisi particolarmente prolungato all’interno del sistema finanziario. Il testo dell’accordo delega
alle autorità di vigilanza nazionali la facoltà di imporre alle banche controllate l’utilizzo di
questo strumento allorquando venga ravvisata una eccessiva crescita del credito. Infatti,
come dimostrato dal recente passato, una crescita incontrollata del credito, seguita da un
periodo di recessione, porta tipicamente ad un elevato numero di inadempienze nei rimborsi
dei prestiti che, a causa delle conseguenti difficoltà di reperimento di liquidità all’interno del
sistema bancario, innescano una spirale pro-ciclica in grado di colpire l’economia reale e, più
in generale, di tardare la ripresa economica. L’obiettivo dichiarato dal Comitato con
l’introduzione di questo strumento vuole essere, dunque, quello di garantire una continuità
dell’erogazione dei crediti anche nei periodi di recessione economica cui spesso, al
contrario, si accompagna una contrazione degli stessi. A tal fine le autorità nazionali sono
tenute a monitorare le condizioni di crescita del mercato del credito, confrontandolo con le
attività dei singoli istituti bancari controllati e, laddove necessario, richiedere la costituzione
del buffer anticiclico in una misura variabile dallo 0% al 2.5%. Anche in questo caso il
rapporto per la determinazione del coefficiente viene calcolato mediante le attività ponderate
per il rischio e, parimenti a quello di conservazione del capitale, il buffer anticiclico deve
essere costituito da patrimonio di classe primaria CET1 (CBVB, 2010).
In sintesi, se ritenuto necessario dalle autorità di vigilanza nazionali, alle banche operanti
nella loro giurisdizione può essere imposta la creazione di un cuscinetto di capitale
aggiuntivo, costituibile ponendo dei limiti alla distribuzione degli utili realizzati (come previsto
per il buffer di conservazione). Schematizzando in una tabella che prevede un buffer
anticiclico massimo e pari al 2.5%, si ottengono le seguenti limitazioni:
Tabella 6: conversione degli utili fino alla costituzione del buffer anticiclico.
Fonte: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il
rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, p. 66.
32
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Dai dati riportati nella Tabella 6 si nota che, nel caso specifico di una banca a cui sia
richiesto un elevato grado di prudenza nel trattamento delle proprie attività, l’autorità di
vigilanza può richiedere un coefficiente patrimoniale CET1 fino al 9.5% (ossia 4.5% di
Common Equity Tier 1, più 2.5% di buffer di conservazione, più il massimo applicabile in
materia di buffer anticiclico, ovvero il 2.5%). Risulta dunque evidente l’incremento dei
requisiti richiesti da Basilea III circa la dotazione di patrimonio di classe primaria di ciascuna
banca. Il recepimento di questi nuovi standard è graduale e prevede un’implementazione che
vada di pari passo con l’entrata a regime del buffer di conservazione del capitale. Lo
strumento diventerà infatti operativo a far data dal 1° gennaio 2019 (CBVB, 2010).
In aggiunta a questi due strumenti, e solo per le banche di rilevanza sistemica internazionale,
un emendamento al nuovo accordo prevedeva un requisito addizionale di assorbimento delle
perdite che varia a seconda dell’importanza economica ricoperta dal singolo istituto. Infatti,
attribuendo uno score indicativo e modificabile a seconda della specifica rilevanza ricoperta
nel sistema finanziario dalla banca considerata, questo buffer supplementare di capitale può
variare dall’1% al 2.5% delle attività ponderate per il rischio. Come nel caso dei due buffer
precedenti, anche quest’ultimo deve essere interamente costituito da Common Equity Tier 1
ed entrerà in vigore a far data dal 1° gennaio 2019 (CBVB, 2011).
3.4 Il leverage ratio
Per comprendere dal principio il livello insostenibile di leva finanziaria raggiunto dalle banche
nel corso degli anni, conviene ricorrere ad una tabella che sintetizzi appunto questo indice
relativamente ad alcune delle principali banche statunitensi (ossia quelle maggiormente
interessate dal fenomeno).
Tabella 7: indice di leva finanziaria pre-crisi di alcune banche statunitensi.
Fonte: Sorensen, B., et al. (2011). Leverage across firms, banks and countries, p. 40.
33
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Nella Tabella 7, il leverage ratio è definito come rapporto tra la totalità delle attività (assets, in
miliardi di dollari) e il capitale azionario della specifica banca (equity, in miliardi di dollari).
Il recente passato ha dimostrato come le banche caratterizzate da un rapporto assets/equity
maggiore siano state effettivamente quelle più colpite dalla crisi economica. Si ricordano,
infatti, i fallimenti di Bear Stearns (rapporto 33.5:1) e di Lehman Brothers (rapporto 30.7:1)
avvenuti nel 2008. Altri istituti, come Merrill Lynch (rapporto 31.9:1) o Morgan Stanley
(rapporto 33.4:1), hanno evitato la bancarotta solo grazie ad interventi di salvataggio esterni.
Infatti, la prima è stata acquistata da Bank of America mentre la seconda è stata soggetta a
pesanti iniezioni di capitale pubblico da parte del governo statunitense.
Volendo dare al contempo un dato molto esplicativo della drammatica situazione raggiunta,
basti pensare che nel caso delle banche più esposte, con indici di leva prossimi o perfino
superiori a 33:1, una contrazione minima del loro patrimonio di base (equity), anche solo del
3%, avrebbe potuto significare l’insolvenza di fatto dell’istituto e la conseguente bancarotta
(Sorensen, Yesiltas, & Kalemli-Ozcan, 2011).
Con l’intenzione di porre un freno all’aumento di questo fenomeno, il Comitato ha ritenuto di
proporre un nuovo indice che valuti il livello di leverage raggiunto attraverso le poste di
bilancio e fuori bilancio delle istituzioni bancarie. Per fare ciò, il testo di Basilea III prevede un
indicatore semplice e complementare ai requisiti patrimoniali basati sul rischio così come
sanciti nel primo pilastro di Basilea II. L’obiettivo perseguito da questo nuovo strumento è
l’aumento della stabilità del sistema finanziario in relazione ai processi di deleveraging che
spesso seguono una crisi del sistema bancario. Infatti, come risposta ai periodi recessivi, le
banche sono spesso obbligate a liquidare parte dei propri attivi al fine di recuperare liquidità
(il fenomeno è visibile se si confrontano i dati riportati nella Tabella 7. Infatti, per la
maggioranza delle banche nel campione osservato, si nota come l’indice di leva sia sceso tra
2007 e 2008 a seguito della diminuzione degli assets detenuti a cui si accompagna un
processo di ricapitalizzazione, ovvero aumento di equity). Questo processo innesca però una
diminuzione di valore di tutte le attività a bilancio delle banche, causando una pericolosa
erosione del patrimonio di queste ultime. Per la creazione dell’indice, il Comitato ha previsto
un rapporto dove troviamo a numeratore il valore del patrimonio di base delle banche, ossia
il requisito Tier 1 così come presentato al paragrafo 3.2; mentre a denominatore viene posta
quella che nel testo dell’accordo viene definita come misura totale e non ponderata
dell’esposizione. Per quest’ultima il Comitato fa un’ulteriore distinzione, suddividendo la
misura tenendo conto, sia delle attività a bilancio, sia di quelle fuori bilancio29. In particolare,
viene posta molta attenzione alla valutazione dei prodotti derivati detenuti dalle banche,
cercando di prezzarli coerentemente agli standard contabili in vigore e applicando i principi
del fair value30. A riprova della particolare attenzione con la quale si intende trattare le attività
29 Per l’elenco completo delle poste in bilancio e fuori bilancio previste dall’accordo si veda: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, pp. 67-69. 30 Così come previsto dall’International Accounting Standards Committee mediante l’emanazione dello standard contabile internazionale: IFRS 13. Fair Value Measurement. Dettagli disponibili on-line su: https://www.iasplus.com/en/standards/ifrs/ifrs13
34
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
fuori bilancio, queste verranno computate all’interno dell’indice con un fattore di conversione
pari al 100%. Così facendo, il Comitato riconosce la pericolosità e l’importanza intrinseche
alle poste fuori bilancio nella determinazione dell’indice di leverage di un istituto,
auspicandosi parallelamente che queste vengano prezzate correttamente e, soprattutto,
incluse interamente nel calcolo della leva stessa (CBVB, 2010).
Schematizzando in un intuitivo indice si ottiene la formula del leverage ratio:
𝑃𝑎𝑡𝑟𝑖𝑚𝑜𝑛𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑏𝑎𝑠𝑒 𝑇𝑖𝑒𝑟 1
𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑎 𝑏𝑖𝑙𝑎𝑛𝑐𝑖𝑜 + (𝐴𝑡𝑡𝑖𝑣𝑖𝑡à 𝑓𝑢𝑜𝑟𝑖 𝑏𝑖𝑙𝑎𝑛𝑐𝑖𝑜 ∗ 100%)≥ 3%
Il coefficiente risultante dall’indice deve essere in ogni momento maggiore o uguale al 3%.
Consapevole delle difficoltà riscontrabili nelle procedure di valutazione delle voci contabili,
soprattutto in relazione alle poste fuori bilancio e a quelle in prodotti derivati, il testo prevede
un periodo di sperimentazione dell’indice di leva finanziaria volutamente generoso. Il
processo di prova dell’applicabilità del coefficiente al 3% ha avuto inizio il 1° gennaio 2013 e
vedrà la sua conclusione nel corso dell’anno corrente, ossia il 31 dicembre 2017. L’entrata in
vigore effettiva dello strumento è prevista dunque per il 1° gennaio 2018. Nonostante questa
scadenza, le banche sono tenute alla pubblicazione dell’indice già a partire dal 1° gennaio
2015 (CBVB, 2010).
3.5 I nuovi requisiti di liquidità
L’ultimo tassello del nuovo schema regolamentare introdotto con Basilea III è rappresentato
dall’attenzione focalizzata interamente su un aspetto regolamentare prima tralasciato: la
liquidità delle banche. L’introduzione di questi nuovi strumenti manifesta l’intenzione del
Comitato di integrare i requisiti patrimoniali con dei nuovi standard dedicati alla liquidità e
volti allo stabilire dei livelli minimi uniformati a livello internazionale, il cui rispetto deve essere
garantito dalle autorità di vigilanza.
Ragionando sulla pericolosità delle fasi pro-cicliche, innescate dai requisiti minimi di capitale
imposto dai regolatori e abbinate a periodi economici recessivi, risulta chiara l’importanza
che un allineamento delle scadenze tra attività e passività nei bilanci bancari assume nel
garantire la stabilità del sistema finanziario e, ancor più rilevante, la sua liquidità. Infatti, il
Comitato riconosce il ruolo fondamentale ricoperto dal facile reperimento di capitali all’interno
del sistema finanziario nelle fasi di recupero economico post-crisi. Si ritiene, infatti, che la
chiave per il ripristino di una congiuntura positiva sia appunto la presenza di un’elevata
liquidità all’interno del sistema finanziario nonché il conseguente facile accesso al credito per
privati ed aziende (CBVB, 2010).
Per permettere il raggiungimento di un livello di liquidità più solido e stabile all’interno del
sistema bancario, il testo di Basilea III prevede l’implementazione di due strumenti differenti
ma complementari. In prima analisi viene introdotto il Liquidity Coverage Ratio “LCR”, ossia
un indice di liquidità che misura la capacità degli istituti di superare periodi di crisi di liquidità
35
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
acute ma di breve durata (fino a trenta giorni). Con l’aggiuntiva introduzione del Net Stable
Funding Ratio “NSFR”, Basilea III presenta un indice di liquidità specificatamente concepito
per la valutazione dell’allineamento tra scadenze attive e passive nei bilanci bancari. In
particolare, l’indice NSFR permette di valutare la resilienza delle banche in periodi di crisi
illiquide di durata maggiore, ma comunque non superiore ad un anno (CBVB, 2010).
Oltre a questi due specifici indici, il Comitato ha definito un’ulteriore serie di strumenti di
monitoraggio che dovrebbero rappresentare un complemento per il controllo svolto dalle
autorità di vigilanza nazionali. Questi strumenti integrativi sono stati introdotti a seguito della
crisi finanziaria del 2007/2008 e contemplano al proprio interno informazioni specifiche
relative alla struttura di bilancio delle istituzioni bancarie. Senza entrare nello specifico, ma
volendo fare solo un breve accenno, questi strumenti riguardano ad esempio: il
disallineamento delle scadenze contrattuali e il conseguente scompenso tra afflussi e
deflussi di liquidità, l’eventuale eccessiva concentrazione della raccolta all’ingrosso nei
confronti di determinate controparti (la mancanza di diversificazione può causare infatti
problemi di liquidità se la controparte dovesse incorrere nel pericolo di default) , nonché
l’entità delle attività non vincolate disponibili e utilizzabili come garanzia nelle operazioni di
finanziamento interbancario e con le banche centrali (CBVB, 2008).
3.5.1 Il Liquidity Coverage Ratio
Prendendo in considerazione un periodo di tempo limitato a trenta giorni, il Liquidity
Coverage Ratio si pone quale primo strumento di misurazione della liquidità detenuta da una
banca. Questo indice stabilisce a numeratore l’identificazione di attività liquide di elevata
qualità, definite in inglese High Quality Liquid Assets “HQLA”, di cui le banche dispongono e
che possono essere facilmente e velocemente convertite in contanti attraverso la loro
vendita sui mercati privati (si esclude dunque l’intervento degli Stati), mentre a denominatore
prevede il calcolo dei deflussi di cassa ottenuti per differenza rispetto al totale degli afflussi
previsti nel corso dei trenta giorni successivi (CBVB, 2013).
Schematizzando in un semplice rapporto si ottiene:
𝑆𝑡𝑜𝑐𝑘 𝑑𝑖 𝐻𝑄𝐿𝐴
𝑇𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 𝑑𝑒𝑖 𝑑𝑒𝑓𝑙𝑢𝑠𝑠𝑖 𝑑𝑖 𝑐𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑛𝑒𝑖 30 𝑔𝑖𝑜𝑟𝑛𝑖 𝑠𝑢𝑐𝑐𝑒𝑠𝑠𝑖𝑣𝑖 ≥ 100%
Il requisito prevede dunque che, in condizioni ottimali di esercizio e in assenza di stress
finanziari esterni, il valore del rapporto non sia mai inferiore al 100%. Questo significa che le
banche devono poter sempre disporre di risorse liquide sufficienti ad affrontare un periodo di
trenta giorni consecutivi caratterizzato da ingenti uscite di cassa. Questi deflussi si
manifestano tipicamente quando si verifica un importante prelevamento dei depositi al
dettaglio oppure a seguito dell’utilizzo imprevisto di risorse finanziarie a copertura di posizioni
preesistenti.
Il testo dell’accordo specifica inoltre le caratteristiche delle HQLA portando ad esempio le
voci attive la cui vendita, secondo l’interpretazione del Comitato, consente di recuperare
agevolmente e rapidamente liquidità sui mercati. Nello specifico, Basilea III prevede una
diversificazione dello stock di HQLA che tiene conto della differente liquidità intrinseca ad
36
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
ogni classe di attività. Per fare ciò vengono identificate due classi distinte di attivi: le attività di
primo e di secondo livello.
Per dare una visione di massima della distinzione, si consideri che nelle attività di primo
livello rientrano in particolare le monete e le banconote, le riserve di liquidità detenute presso
le banche centrali e i titoli negoziabili, a patto che vengano rispettate delle condizioni di
computabilità sancite dall’accordo31. Queste attività possono essere inserite nello stock di
HQLA liberamente e senza limiti legati a delle ponderazioni imposte. Al contrario, le attività di
secondo livello possono costituire lo stock di HQLA solo fino al raggiungimento di una
percentuale non eccedente il 40% dello stock complessivo. Fanno parte di questa categoria,
per esempio, i titoli di debito emessi dalle società (obbligazioni e commercial paper32) con un
rating creditizio non inferiore ad AA-. A queste componenti, considerate più speculative e
rischiose, viene applicato uno scarto di garanzia sul valore pari al 15%. Inoltre, delegando
maggiori responsabilità alle autorità di vigilanza nazionali, l’accordo stabilisce che queste
ultime possano autorizzare altresì delle attività definite di secondo livello “B”. Questa
componente è costituita, per esempio, da titoli garantiti da mutui residenziali (con uno scarto
di garanzia pari al 25%), da titoli azionari ordinari e da titoli di debito societari, come
obbligazioni e commercial paper, emessi da imprese con un rating creditizio fino a BBB- (ad
entrambe queste classi si applica uno scarto di garanzia sul valore pari al 50%). In ogni caso
le attività di secondo livello “B” possono costituire lo stock di HQLA per una percentuale
massima pari al 15% dello stock complessivo (CBVB, 2013).
Comprendendo le possibili difficoltà legate ad una uniforme individuazione delle attività e alla
loro successiva classificazione, il Comitato ha ritenuto di fornire delle linee guida volte alla
determinazione di alcuni fattori fondamentali affinché un’attività possa essere definita liquida
e rientrare nello stock di HQLA. Queste caratteristiche comprendono in particolare (CBVB,
2013):
- basso rischio. Infatti, un’attività ritenuta meno rischiosa rispetto ad altre sarà
considerata più liquida e più facilmente vendibile se messa sul mercato;
- facile e univoca valutazione. L’attività costituita da uno strumento standardizzato e
regolamentato è tipicamente di più facile valutazione. Si noti, dunque, l’intenzione
del regolatore di escludere dall’indice tutti gli strumenti strutturati e derivati
perlopiù scambiati sui mercati OTC;
- quotati sui mercati borsistici. I titoli scambiati in borsa sono per definizione più
liquidi poiché vengono scambiati su mercati di grandi dimensioni e accessibili da
molti operatori. Inoltre questa categoria rispetta coerentemente le restrizioni di cui
al punto precedente;
31 Per il dettaglio delle attività di primo e secondo livello definite nell’accordo si veda: CBVB. (2013). Basilea 3. Il Liquidity Coverage Ratio e gli strumenti di monitoraggio del rischio di liquidita, pp. 12-17. 32 Titolo di credito non garantito emesso dalle società per finanziarsi nel breve periodo. Solitamente presenta scadenze massime pari a 270 giorni. È considerato un titolo rischioso e, come tale, offre un’alta remunerazione all’investitore.
37
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
- bassa volatilità. Le attività che, alla luce delle analisi svolte sulle serie storiche, si
sono dimostrate caratterizzate da un prezzo stabile hanno più possibilità di essere
vendute senza causare un deprezzamento forzato degli attivi stessi;
- scarsa correlazione. Le attività prese in considerazione per lo stock di HQLA non
devono essere correlate con il settore nel quale opera la banca, ovvero devono
essere prive di correlazione con l’emittente finanziario in esame.
A denominatore invece vengono trattati i deflussi di cassa netti attesi nei trenta giorni
successivi all’inizio del periodo di stress finanziario. In questo lasso di tempo la banca deve
essere in grado di far fronte alle possibili uscite straordinarie di liquidità senza
compromettere la propria efficienza e senza ricorrere ad iniezioni di capitale esterne
(chiedendo aiuto, per esempio, alle banche centrali). In questo senso, si incoraggiano le
banche a prevedere scenari caratterizzati da ingenti prelievi al dettaglio da parte della
clientela, dall’aumento delle richieste per linee di credito, sia da clienti privati che aziendali,
da difficoltà nel ricorrere a prestiti interbancari e dalla eventuale copertura di perdite derivanti
da operazioni in derivati. Inoltre, si invitano gli istituti a tener conto delle possibili uscite di
liquidità causate da un declassamento del rating della banca, riscontrabile a seguito di un
periodo di crisi del settore33 (CBVB, 2013).
Il testo dell’accordo suggerisce una frequenza di calcolo per il Liquidity Coverage Ratio che,
secondo l’interpretazione del Comitato, dovrebbe essere quantomeno a cadenza mensile. La
pubblicazione dell’indice resta comunque modificabile su specifica richiesta dalle autorità di
vigilanza. Queste ultime infatti possono imporre alle controllate di aumentare la frequenza di
pubblicazione in periodi di crisi o stress economici. In ogni caso, le banche sono tenute a
comunicare alle rispettive autorità di vigilanza ogni contrazione dell’indice al disotto del
100%. Come per il caso dei requisiti patrimoniali, l’accordo prevede un periodo transitorio di
applicazione del nuovo indice di liquidità LCR. Questo lasso temporale consente alle banche
di implementare il nuovo standard gradualmente e partendo dal 1° gennaio 2011 con un
coefficiente pari al 60%. La piena entrata a regime era prevista per il 1° gennaio 2015,
quando il coefficiente doveva essere massimo e pari al 100% (CBVB, 2013).
3.5.2 Il Net Stable Funding Ratio
Il Liquidity Coverage Ratio può essere considerato un valido strumento per la valutazione
della liquidità di una banca solo se affiancato ad un ulteriore strumento di vigilanza.
Consapevole di questo, e desideroso di rafforzare la resilienza del settore a medio-lungo
termine, il Comitato ha creato un secondo indice di liquidità denominato Net Stable Funding
Ratio “NSFR”.
Così facendo, l’accordo incoraggia le banche a finanziarsi in un’ottica incentrata più sul lungo
termine, considerando orizzonti temporali di un anno (non più di trenta giorni) e fonti di
33 Per una lista esaustiva dei deflussi di cassa e degli afflussi di cassa previsti da Basilea III si veda: CBVB. (2013). Basilea 3. Il Liquidity Coverage Ratio e gli strumenti di monitoraggio del rischio di liquidita, pp. 22-40.
38
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
approvvigionamento stabili e in grado di superare eventuali crisi di liquidità future. Inoltre,
con l’introduzione dell’NSFR, si vuole porre un freno all’eccessivo ricorso al finanziamento
all’ingrosso e a breve termine, caratteristico dei periodi di crescita economica, utilizzato in
seguito per finanziare crediti e passività a lungo termine (si ricorda l’importante ruolo
ricoperto dalle banche in qualità di intermediari finanziari nella trasformazione delle
scadenze, raccogliendo il risparmio a breve termine e prestandolo sotto forma di crediti a
lungo termine)(CBVB, 2014).
Al lato pratico, l’indice NSFR viene definito come rapporto tra l’ammontare di provvista34
stabile disponibile e l’ammontare di provvista stabile obbligatoria e deve essere sempre pari
ad almeno il 100% (CBVB, 2014):
𝐴𝑚𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑑𝑖𝑠𝑝𝑜𝑛𝑖𝑏𝑖𝑙𝑒 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒
𝐴𝑚𝑚𝑜𝑛𝑡𝑎𝑟𝑒 𝑜𝑏𝑏𝑙𝑖𝑔𝑎𝑡𝑜𝑟𝑖𝑜 𝑑𝑖 𝑝𝑟𝑜𝑣𝑣𝑖𝑠𝑡𝑎 𝑠𝑡𝑎𝑏𝑖𝑙𝑒 ≥ 100%
Questo rapporto trova a numeratore la provvista stabile disponibile di una banca, definita
come la combinazione di patrimonio e passività ritenute affidabili e di cui si pensa si potrà
disporre in un orizzonte temporale di un anno; mentre a denominatore si considerano le
caratteristiche di liquidità e di vita residua relative alle attività detenute dagli istituti, comprese
quelle fuori bilancio. Per consentire una classificazione più precisa delle fonti di provvista
stabile, siano esse disponibili (numeratore) o obbligatorie (denominatore), il testo degli
accordi prevede una suddivisione degli attivi bancari in categorie distinte. A ciascuna di
queste viene poi applicato un coefficiente di ponderazione determinato dal Comitato e
variabile dallo 0% al 100%. Questi fattori di ponderazione assumono differenti nomi a
seconda della tipologia di provvista con la quale verranno ponderati.
Infatti, nel caso del calcolo della provvista stabile disponibile, il coefficiente di ponderazione
prende il nome di Available Stable Funding “ASF” e la classificazione delle attività spazia dal
capitale e le passività con scadenza superiore ad un anno, alle passività con scadenza
inferiore ad un anno nonché ai depositi di provvista fornita da enti pubblici o banche centrali.
Nel caso del calcolo della provvista stabile obbligatoria, il procedimento per la definizione
delle attività è analogo ma i coefficienti applicati vengono definiti Required Stable Funding
“RSF”. Questa volta la classificazione contempla, per esempio, monete e banconote, mutui
residenziali e titoli derivati. Il coefficiente di ponderazione RSF assegnato a ciascuna di
queste attività terrà conto del grado di liquidità dell’attivo in esame nonché del livello di
esposizione contratto nel fuori bilancio dell’intermediario. Nello specifico, tanto maggiore è la
liquidità dell’attivo (esempio monete e banconote), tanto minore è il coefficiente di
ponderazione applicato35 (CBVB, 2014).
34 In ambito bancario, con provvista si intendono le operazioni passive mediante le quali la banca, costituendosi debitrice verso il pubblico o verso altre banche, acquisisce i mezzi monetari da impiegare nelle operazioni attive. Le operazioni di provvista più comuni sono i conti correnti bancari. 35 Per la definizione completa ed esaustiva dei coefficienti applicabili alle attività costituenti la provvista stabile disponibile e obbligatoria si rimanda a: CBVB. (2014). Documento di consultazione Basilea 3 – Il Net Stable Funding Ratio, pp. 6 e 9.
39
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Anche in questo caso il processo di implementazione del nuovo standard Net Stable Funding
Ratio è graduale e, dopo aver previsto un periodo di osservazione iniziato nel 2012, vedrà la
propria entrata in vigore a partire dal 1° gennaio 2018.
3.6 I limiti di Basilea III
Alla pubblicazione del nuovo schema regolamentare previsto da Basilea III, hanno fatto
presto seguito numerose e trasversali critiche provenienti da esponenti del mondo bancario,
imprenditoriale e accademico. Al nuovo framework regolamentare viene in particolare
rimproverato il deleterio effetto che i nuovi requisiti patrimoniali determinerebbero sul costo e
sull’accessibilità del credito bancario, sulla ripresa economica intesa in senso lato, e
sull’effettivo miglioramento del grado di solidità del sistema finanziario nel suo insieme.
Secondo una prima interpretazione degli effetti economici riscontrabili a seguito
dell’introduzione di Basilea III, l’attenzione degli osservatori si è concentrata su almeno
quattro criticità intrinseche agli accordi così come presentati dal Comitato di Basilea (Sironi,
2010).
In prima analisi, e relativamente alla redditività del settore bancario, una critica è rivolta
all’importante aumento dei requisiti patrimoniali sancita da Basilea III. In particolare si fa
riferimento all’innalzamento dei requisiti patrimoniali riguardanti il patrimonio di classe
primaria Tier 1 che, con l’introduzione del Common Equity Tier 1 e del buffer di
conservazione del capitale, raggiunge ora un coefficiente pari al 7% (con Basilea II questa
percentuale era stata fissata al 2%, ossia la metà del patrimonio di base Tier 1 previsto).
Come conseguenza dell’inasprimento dei requisiti patrimoniali, molti osservatori temono
inoltre una contrazione dell’offerta di credito a privati e imprese tale da poter compromettere
la ripresa economica già fortemente rallentata dalla congiuntura post-crisi. A supporto di
questa teoria vi sono diversi studi teorici realizzati dal Comitato stesso e da altre istituzioni
internazionali che, mettendo in relazione l’aumento dei requisiti patrimoniali richiesti agli
intermediari finanziari con la crescita del PIL riscontrabile nelle economie sviluppate,
constatano una flessione dell’indicatore se confrontato con le condizioni vigenti prima
dell’applicazione di Basilea III (Sironi, 2010).
Un’altra critica, più strutturale, concerne la formulazione dei nuovi requisiti patrimoniali.
Infatti, se molti intermediari finanziari considerano i nuovi coefficienti troppo severi e lesivi
della redditività del settore, altri osservatori più esterni e imparziali ritengono che gli standard
proposti non siano sufficienti a scongiurare il ripetersi di crisi globali come quella verificatasi
nel 2007/2008. Le motivazioni addotte considerano in particolare il grado elevato di
esposizioni fuori bilancio che le banche, approfittando dei periodi di crescita economica,
tendono a detenere senza curarsi di una prudente valutazione e gestione dei rischi ad esse
collegati. In questo senso viene rimproverato al Comitato di non aver previsto abbastanza
contromisure per la limitazione del ricorso a strumenti innovativi, in particolare derivati e
strumenti esotici trattati fuori bilancio e negoziati OTC, dimostratisi i maggiori responsabili
della crisi appena trascorsa.
40
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Concludendo queste prime considerazioni, si fa accenno anche al periodo transitorio, da
molti considerato troppo lungo, previsto per la completa implementazione dell’accordo.
Infatti, considerando la prima presentazione del nuovo paradigma avvenuta nel 2010, la sua
effettiva e completa entrata in vigore è prevista non prima del 1° gennaio 2019. La
generosità dimostrata dal Comitato nel prolungare i tempi di recepimento dell’adeguamento
regolamentare è infatti considerata da molti inopportuna (Sironi, 2010).
Come parziale risposta a queste critiche, si constata come le principali banche internazionali,
ossia quelle più interessate dai nuovi scenari regolamentari nonché le maggiormente colpite
dalla crisi, si siano in maggioranza già adeguate ai nuovi standard con diversi anni di
anticipo, se si considera la piena entrata in vigore delle disposizioni prevista per il 2019.
Inoltre, rispondendo alle preoccupazioni sulla diminuzione del credito a privati e aziende,
vale la pena ricordare il ruolo fondamentale ricoperto dalla fiducia, riposta dal mercato in
intermediari finanziari patrimonialmente solidi, quale condizione indispensabile per una
ripresa sostenibile dell’economia, in special modo, se quest’ultima risulta essere basata su di
un massiccio ricorso al credito bancario. In quest’ottica si apprezza maggiormente la
gradualità d’implementazione prevista dagli accordi che, infatti, propongono un periodo
transitorio volutamente prolungato. In questo modo il Comitato mira ha consentire una
ripresa economica libera dai potenziali impedimenti dettati da un istantaneo adeguamento
del livello di patrimonializzazione delle banche (Sironi, 2010).
Volendo analizzare più dettagliatamente il comportamento tenuto dalle banche nel periodo
antecedente la crisi finanziaria del 2007/2008, risulta ora evidente che le aspettative riposte
dal Comitato sulle capacità delle banche di autovalutare le proprie esposizioni, e si fa
particolare riferimento ai sistemi di rating interno introdotti con Basilea II, sono state del tutto
disattese. Nulla viene introdotto in questo senso con l’avvento di Basilea III. Il sistema di
rating interno ed esterno previsto per l’analisi del rischio di credito resta, infatti,
sostanzialmente invariato. La speranza è che le banche, incoraggiate nel processo dalle
autorità di vigilanza nazionali, implementino autonomamente nuovi standard di valutazione
per l’analisi della controparte da finanziare. In particolare, si sente la necessità di attribuire
rating più legati agli aspetti qualitativi del processo di analisi, limitando il peso e l’importanza
attribuiti agli aspetti quantitativi e andamentali (così come previsti da Basilea II). Infatti, i
modelli proposti dal regolatore e basati in larga parte sullo studio dei bilanci e delle serie
storiche aziendali, si sono mostrati nel tempo troppo teorici e incapaci di cogliere i rischi reali
insiti nella pratica operativa bancaria. In ogni caso, la mancata formulazione di nuovi e più
severi criteri per la determinazione dei rating di controparte nell’erogazione del credito risulta
essere un’occasione di regolamentazione incredibilmente persa dal Comitato (Bencini,
2010).
Seguendo un’ulteriore interpretazione critica degli accordi di Basilea III, vengono confermati i
timori legati al possibile effetto dei nuovi requisiti patrimoniali sulla redditività del settore
bancario ma, più specificatamente, si cerca di comprendere quali correttivi gli intermediari
applicheranno a compensazione di questa contrazione. Se si assume che la maggioranza
delle banche non avvieranno modifiche strutturali nella propria offerta di prodotti, né
tantomeno tenteranno di espandersi su nuovi mercati geografici, risulta interessante cercare
di capire dove queste ultime recupereranno la redditività persa. Ipotizzando che si verifichi lo
41
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
scenario più probabile, gli istituti avvieranno verosimilmente un processo generalizzato di
aumento dei tassi medi applicati ai crediti concessi, siano essi al dettaglio o a imprese. In
aggiunta, è facile prevedere un aumento che interessi anche le commissioni richieste dalle
banche a fronte di operazioni in deposito titoli e per conto della clientela (ad esempio per
quanto concerne la gestione patrimoniale). Infatti, il timore che il recupero di redditività passi
per un doloroso aumento dei costi applicati alla clientela bancaria interessa tutte le aree
operative degli istituti di credito. In questo senso, l’aspetto più pericoloso della riforma è
rappresentato dalla potenziale contrazione dei crediti bancari volta a consentire un minore
impegno di capitale in accantonamenti prudenziali, sperando così di recuperare, almeno
parzialmente, la redditività perduta. Consapevoli del fatto che, a parità di patrimonio, le
banche osservanti la nuova regolamentazione imposta con Basilea III non potranno che
prestare meno denaro, l’auspicio di un aumento del grado di patrimonializzazione del settore
risulta fondamentale al fine di consentire una rapida ripresa nel mercato del credito. Ripresa
che purtroppo stenta a palesarsi (Penza, 2011).
42
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
43
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
4 La revisione di Basilea III: verso Basilea IV
4.1 Il nuovo approccio al rischio di credito
Il nuovo schema regolamentare, così come previsto dal testo di Basilea III, lasciava irrisolte
numerose criticità manifestatesi nel tempo e riconducibili, sin dagli albori della vigilanza
prudenziale prospettata dal Comitato, al concepimento stesso degli accordi. L’introduzione
dei modelli interni di valutazione del rischio, in particolare per quello di credito, avvenuta con
Basilea II, ovvero IRB di base e avanzato, ha comportato una limitazione del grado di
comparabilità in relazione alle metodologie utilizzate dai vari istituti bancari. Infatti, i modelli
interni di valutazione vengono creati in relativa autonomia dalle banche che, in seguito,
devono ricevere l’autorizzazione al loro utilizzo dalle autorità di vigilanza nazionali. Nelle
intenzioni del Comitato, il ruolo super partes di controllore delle autorità di vigilanza doveva
garantire un efficace strumento deterrente nell’assunzione di eccessivi rischi in seno agli
istituti controllati. Ciononostante, i diversi approcci utilizzati dalle autorità nazionali nella
validazione e approvazione dei modelli interni elaborati dai singoli istituti ha creato una
distorsione dei livelli concorrenziali all’interno del sistema bancario globale (Jackson, 2016).
Alla luce di queste considerazioni, sin dal 2015 il Comitato si sta adoperando per la
formulazione di numerose modifiche al testo originale dell’accordo. In particolare, è in corso
una sostanziale revisione volta alla formulazione di un nuovo approccio standard in grado di
apportare concrete migliorie al metodo introdotto con Basilea II (presentato al paragrafo
2.3.1). Questi miglioramenti dovrebbero interessare in special modo l’introduzione di
strumenti atti ad aumentare la credibilità delle agenzie di rating esterne nella valutazione
delle operazioni di credito. Per quanto concerne le metodologie interne di valutazione,
leggasi modelli IRB di base e avanzato, il Comitato è attualmente propenso a consentirne
ancora l’utilizzo in futuro, a patto che vengano rispettate delle nuove soglie minime di
capitale, definite capital floors, in grado di assicurare un grado di patrimonializzazione
minimo garantito e quanto più possibile simile a quello che sarebbe previsto se si seguisse
un approccio standard. Delle simili soglie erano già state introdotte con Basilea II ma, col
tempo, queste si sono dimostrate insufficienti e troppo poco correlante con quanto previsto
dall’approccio standard. I nuovi capital floors sono sotto processo di consultazione e i
coefficienti finali verranno stabiliti nel testo dei nuovi accordi. In ogni caso però, il Comitato è
intenzionato a porre delle restrizioni all’utilizzo dei modelli IRB nella valutazione delle
operazioni e, in sostanza, propone che certe esposizioni, in particolare verso controparti per
le quali è particolarmente difficile stimare modelli interni di rischio, vengano interamente
trattate seguendo l’approccio standard. A titolo d’esempio, le controparti più significative
interessate da questa modifica sono le istituzioni finanziarie e altre banche (per prestiti
interbancari) e le imprese non finanziarie con attivi pari o eccedenti 50 miliardi di Euro. La
definizione di un nuovo trattamento delle esposizioni verso i soggetti sovrani, al contrario,
non è ancora stato preso in considerazione (Jackson, 2016).
44
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Un altro tema centrale in corso di discussione in queste fasi di consultazione è
l’implementazione, per i modelli interni IRB di valutazione del rischio di credito, di una
prospettiva meno correlata all’andamento della congiuntura economica in corso. Infatti, in
relazione alla stima delle probabilità di default delle controparti, il Comitato ritiene che un
approccio di calcolo più svincolato dall’andamento economico consentirebbe di ottenere dei
requisiti patrimoniali più stabili nel tempo e, parallelamente, questo permetterebbe di
assicurare una minore incidenza degli effetti pro-ciclici derivanti dai requisiti patrimoniali
imposti dalla regolamentazione (così come descritto in precedenza in questa tesi). In questo
senso, il Comitato sta dunque incoraggiando il passaggio ad un’ottica definita “through-the-
cycle”, abbandonando il vecchio concetto “point-in-time” (letteralmente in un certo momento)
che è troppo dipendente dall’andamento congiunturale osservato in un dato momento e per
questo dimostratosi inadeguato (Jackson, 2016).
Quelle descritte in precedenza sono solo alcune delle proposte di revisione più significative
in relazione al trattamento del rischio di credito e dei relativi approcci di stima, standard e
interni. Ciononostante, solo queste modifiche comporterebbero di per sé un significativo
aumento dei requisiti patrimoniali che interesserebbe molte banche europee. Un primo
recepimento di questa revisione all’interno delle normative vigenti era previsto per il gennaio
2017 ma, a seguito di ritardi e richieste di proroga, il Comitato ha rinviato il processo di
implementazione a data da destinarsi36.
4.2 Il rischio di mercato e la revisione del portafoglio di negoziazione
Con la pubblicazione del nuovo standard “Minimum capital requirements for market risk37”
avvenuta nel gennaio 2016, il Comitato ha voluto operare un profondo processo revisionista
che ha interessato anche la valutazione e il trattamento del rischio di mercato. Per fare ciò, il
nuovo standard prevede sostanziali modifiche al paradigma esistente, proponendo
l’introduzione di un novo modello interno per la stima del rischio di mercato denominato
Internal Models Approach “IMA”.
Questo modello è da considerarsi complementare a quello standard e prevede una verifica
accurata dei modelli interni in uso nelle banche precedentemente alla pubblicazione della
revisione e, qualora si ravvisassero delle inadeguatezze, stabilisce che questi ultimi vangano
sostituiti dal metodo standardizzato concepito dal Comitato e validato dalle autorità di
vigilanza nazionali. In questo senso, è prevista anche la suddivisione in differenti sezioni
delle attività di mercato delle banche, per esempio, in relazione alle operazioni caratterizzate
da rischio di cambio, da rischio di tasso d’interesse o dal rischio di prezzo nelle operazioni in
titoli. Queste sezioni (denominate trading desk) dovranno essere valutate separatamente e,
36 In merito si rimanda a: ilsole24ore.com. Basilea 4, rinviato vertice. Si allontana il rischio di aumenti per 860 miliardi di euro. Disponibile on-line: http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2017-01-03/basilea-4-rinviato-vertice-nuova-stretta-bancaria-155237.shtml?uuid=AD6szQPC 37 Disponibile on-line: http://www.bis.org/bcbs/publ/d352.pdf
45
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
per ognuna di esse, verrà data specifica autorizzazione alla banca per l’implementazione di
un modello interno di rischio piuttosto che dell’approccio standard.
Per favorire un’applicazione uniforme e trasversale di entrambe le metodologie, IMA e
standard, il Comitato ha previsto altresì una revisione di quest’ultimo approccio. Il metodo
standard però, cosi come prospettato nella revisione, risulta essere molto complesso. Infatti,
seguendo l’interpretazione del Comitato, il nuovo metodo richiederà il calcolo di tre differenti
fattori per una corretta valutazione del rischio di mercato. In altri termini, sarà da considerare
l’incidenza del rischio così come calcolata seguendo il vecchio approccio standard, più un
rischio di default standardizzato e stimato basandosi sul rischio di mercato delle attività
detenute nel portafoglio bancario al quale, infine, si aggiungerà un ulteriore fattore di rischio
residuo che raccoglie tutti gli altri potenziali rischi non direttamente presi in considerazione
con le due componenti precedenti (Jackson, 2016).
Con il calcolo di un fattore di rischio di default standardizzato e legato alle posizioni detenute
nel portafoglio bancario (ovvero il banking book così come presentato al paragrafo 1.3), il
Comitato ha voluto ridurre le potenziali differenze in requisiti patrimoniali, a parità di
esposizioni, derivanti dalla presenza di una determinata attività nel portafoglio di
negoziazione piuttosto che in quello bancario. Infatti, parallelamente alla restrizione delle
possibilità di arbitraggio delle attività tra un portafoglio e l’altro al solo fine di risparmiare
requisiti di capitale (è stato infatti descritto al numero 1.3 che solo le poste presenti nel
trading book devono essere coperte patrimonialmente ai fini dello specifico rischio di
mercato), è in corso di consultazione l’introduzione di un coefficiente di capitale fisso,
applicabile alle posizioni detenute nel banking book per diminuire il gap regolamentare tra i
due portafogli (Jackson, 2016). Queste modifiche, e altre di cui qui non si dà conto, sono
contenute nel documento consultivo pubblicato dal Comitato nel gennaio 2014 e nominato
“Fundamental review of the trading book: A revised market risk framework38”.
Relativamente all’approccio statistico per la misurazione delle potenziali perdite derivanti dal
rischio di mercato, la revisione proposta prevede l’abbandono della metodologia VaR
utilizzata sino ad ora a favore di un nuovo strumento di stima denominato Expected Shortfall.
L’Expected Shortfall è una misura statistica di rischio che descrive l’ampiezza delle perdite
potenziali di un portafoglio nel caso in cui esse superino i valori calcolati mediante il VaR. In
altri termini, è una misura di rischio più sensibile e rappresentativa (Jackson, 2016).
Per stimare il potenziale impatto della nuova normativa sui requisiti di capitale aggiuntivi
richiesti al sistema bancario, nel novembre 2015 il Comitato ha pubblicato uno studio
quantitativo al quale ha partecipato un campione di 44 banche, denominato “Fundamental
review of the trading book – interim impact analysis39”. Secondo questa analisi, l’aumento
medio dei requisiti di capitale attribuibili alla sola revisione del trading book, nonché alle
correzioni apportate nella valutazione del rischio di mercato, sono stimabili in un +41%
rispetto al precedente schema regolamentare. A questo dato, di per sé impressionante, si
38 Disponibile on-line: http://www.bis.org/publ/bcbs265.pdf 39 Disponibile on-line: http://www.bis.org/bcbs/publ/d346.pdf
46
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
aggiungono i costi impliciti che le banche dovranno sostenere per l’adeguamento dei loro
sistemi interni di valutazione e gestione dei rischi. In particolare, si ritiene necessaria una
revisione dei sistemi informatici di calcolo e controllo dei requisiti patrimoniali, la creazione di
un database informatico sufficiente a stimare e calcolare i nuovi fattori di rischio cosi come
introdotti dalla revisione (triplice prospettiva) e l’introduzione di nuovi processi gestionali volti
alla definizione dei trading desk e alla loro supervisione. Infine, pare indispensabile
l’adeguamento o la creazione di nuove procedure interne per garantire l’osservanza delle
neo-introdotte modifiche, conformandosi alla supervisione svolta dalle autorità di vigilanza
nazionali (PwC, 2017).
Concludendo, la revisione in materia di rischio di mercato e portafoglio di negoziazione,
sinteticamente presentata in questo paragrafo, ha come principale obiettivo l’adeguamento
del livello di patrimonializzazione del sistema bancario globale in relazione ai rischi di
mercato. Il nuovo schema dovrà essere implementato nelle normative nazionali a partire dal
1° gennaio 2019, mentre le banche saranno tenute a riportare i nuovi requisiti già nelle
comunicazioni consuntive di fine 2019 (PwC, 2017).
4.3 Una nuova prospettiva per il rischio operativo
Se il ruolo ricoperto da una regolamentazione fallimentare in materia di valutazione del
rischio di credito e di mercato, anche alla luce delle considerazioni fatte in precedenza, è
apparso evidente nel causare il fallimento dello schema regolamentare in vigore, l’apporto
fornito dalle falle nelle procedure di controllo del rischio operativo risulta essere invece
collegato meno direttamente a queste problematiche.
Proprio per questa ragione, il processo revisionista descritto nei paragrafi precedenti non ha
inizialmente comportato una sua sostanziale modifica. Ciononostante, le pesanti perdite
registrate a seguito della crisi da molte importanti banche si sono dimostrate spesso
connesse direttamente con l’inosservanza di procedure operative, sfociate in seguito in veri e
propri comportamenti fraudolenti40. Queste criticità, riconducibili soprattutto alla conduzione
incauta di operazioni in strumenti derivati, hanno convinto il Comitato ad avviare un processo
di revisione che interessi altresì l’approccio al rischio operativo. Questa revisione è stata
inizialmente prospettata nel documento consultivo “Standardised Measurement Approach for
operational risk41”, pubblicato dal Comitato nel marzo 2016 e attualmente ancora in fase di
implementazione.
40 A titolo d’esempio, si ricordano due casi eclatanti e tra i più recenti. Nel primo, il trader Jérôme Kerviel, operando senza autorizzazione sul mercato europeo dei futures, ha causato nel 2008 una perdita consolidata di 4.9 miliardi di euro alla banca francese Société Générale. Nel secondo, il trader UBS Kweku Adoboli, agendo sempre all’insaputa dei suoi superiori sul mercato dei derivati azionari, nel 2011 cagionò una perdita di circa 2.3 miliardi di euro alla banca svizzera. 41 Disponibile on-line: http://www.bis.org/bcbs/publ/d355.pdf
47
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Con questo documento, il Comitato espone l’intenzione di accantonare definitivamente
l’approccio interno Advanced Measurement Approach “AMA” (così come presentato al
paragrafo 2.3.2) a favore di un nuovo metodo standardizzato denominato appunto
Standardised Measurement Approach “SMA”. Con l’introduzione dell’approccio SMA, il
regolatore ha parimenti manifestato la volontà di abbandonare il Basic Indicator Approach
“BIA” e lo Standardised Approach “TSA” ad oggi ancora in uso. L’intenzione dichiarata è,
infatti, quella di uniformare totalmente le metodologie di valutazione del rischio operativo,
risolvendo al contempo i problemi di eccessiva complessità e di bassa comparabilità dei
sistemi di controllo interni. Tali criticità sono perlopiù derivanti dalla varietà delle pratiche di
modellazione dei rischi operate dai singoli gruppi bancari (Jackson, 2016).
Il metodo SMA si baserà sulla definizione di una serie di Business Indicator “BI”, paragonabili
per concetto ai margini di intermediazione medi “Gross Income” previsti nei due vecchi
approcci standard BIA e TSA. Rispetto a questi ultimi però, i nuovi indicatori saranno più
sensibili al rischio specifico di ogni area di business e, più in generale, di ogni specifica
banca. Infatti, prevendendo una suddivisione in cinque diverse bande di appartenenza, le
banche verranno valutate diversamente a seconda della loro grandezza (calcolata
considerando la totalità dei loro attivi) e del loro modello di business, consentendo così un
approccio univoco, ma allo stesso tempo su misura, in grado di recepire proporzionalmente i
potenziali rischi insiti nell’attività operativa di ogni intermediario (Jackson, 2016).
L’entrata in vigore del nuovo standard è ad oggi ancora pendente e, come per il caso della
revisione che interesserà il nuovo approccio al rischio di credito, le consultazioni sono state
rimandate a data da destinarsi.
4.4 La Total Loss Absorbing Capacity “TLAC”
Come già brevemente accennato nel paragrafo 3.1, il Comitato, coadiuvato nel processo dal
Financial Stability Board (FSB), ha previsto una regolamentazione ulteriore volta alla
definizione di requisiti patrimoniali supplementari applicabili ai gruppi bancari attivi a livello
mondiale. In particolare, con il documento del novembre 2015 “Total Loss-absorbing
Capacity (TLAC) Term Sheet42” l’FSB propone che, accanto ai requisiti patrimoniali così
come sanciti da Basilea III e validi per tutto il settore, le banche di rilevanza sistemica
dispongano di un grado di patrimonializzazione supplementare relativamente ai requisiti
minimi di capitale e all’indice di leverage. In aggiunta, e come introdotto al numero 3.3.2, gli
istituti dovranno altresì predisporre un buffer di capitale complementare variabile dall’1% al
2.5%.
Secondo quanto proposto dall’FSB, dal 1° gennaio 2019 il requisito minimo di capitale a
seguito dell’introduzione della TLAC dovrà essere pari ad almeno il 16% delle attività
42 Disponibile on-line: http://www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-Principles-and-Term-Sheet-for-publication-final.pdf
48
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
ponderate per il rischio “RWA”; mentre, dal 1° gennaio 2022, questo coefficiente dovrà
essere pari ad almeno il 18%. Parallelamente, l’indice di levarage previsto da Basilea III
viene rivisto e portato ad un valore minimo rispettivamente del 6% e del 6.75%. Il patrimonio
di vigilanza, costituito da CET1, Tier 1 aggiuntivo e Tier 2, potrà essere utilizzato per il
calcolo del nuovo grado di patrimonializzazione TLAC fino a concorrenza della soglia minima
dell’8% così come introdotta da Basilea III. Al contrario, il CET1 già impiegato per la
costituzione dei buffer di capitale, ossia quello di conservazione del capitale e quello
specifico per le banche di rilevanza sistemica, non potrà essere computato ai fini
dell’osservanza dei nuovi requisiti introdotti con la regolamentazione TLAC (Jackson, 2016).
Sintetizzando il nuovo schema in una tabella riassuntiva si ottiene:
Tabella 8: TLAC e nuovi requisiti minimi di capitale per le banche di rilevanza
sistemica.
Componente dal 1° gennaio 2019 dal 1° gennaio 2022
Buffer di conservazione del capitale* 2.5% 2.5%
Buffer di capitale per le banche di rilevanza
sistemica**
1% - 2.5% 1% - 2.5%
Buffer anticiclico di capitale (cfr. n. 3.3.2) 0% - 2.5% 0% - 2.5%
CET1 totale a copertura dei due buffer
precedenti (*e**) e quindi non computabile nei
requisiti TLAC
3.5% - 5% 3.5% - 5%
Capitale richiesto da Basilea III 8% 8%
Capitale supplementare TLAC 8% 10%
Totale RWA (Basilea III + TLAC) 19.5% - 21% 21.5% - 23%
Indice di leverage (Basilea III + TLAC) 6% 6.75%
Fonte: Jackson, P. (2016). Proposed changes to the Basel capital framework. 2016,
rush for the finish line?, p. 14.
49
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Confrontando i dati riportati in tabella con i coefficienti inizialmente richiesti da Basilea III, si
constata l’importante aumento del grado di patrimonializzazione minimo richiesto e, in
particolare, la necessità di incrementare la dotazione di patrimonio di classe primaria.
L’intento perseguito da FSB e Comitato in quest’ottica è mirato a consentire il risanamento o
la liquidazione degli intermediari sistemici assicurando meno ripercussioni possibili per il
sistema economico nel suo insieme e senza coinvolgere nel processo gli enti pubblici. Nel
recente passato, infatti, troppo spesso questi ultimi si sono costituiti garanti del sistema
bancario, attingendo ai fondi dei contribuenti per salvaguardarne la stabilità, causando però
al contempo una distorsione del mercato e fornendo un incentivo alle banche nell’operare
incautamente, consce che lo Stato non le avrebbe fatte fallire (incentivo all’azzardo morale).
Nel nuovo scenario, parte delle perdite sarà invece supportato direttamente dai creditori della
banca che, così facendo, consentiranno un suo rifinanziamento sul mercato (processo di
bail-in). Se questo approccio dovesse risultare impraticabile, l’intermediario verrà sottoposto
a una procedura di liquidazione al fine di preservarne le funzioni di rilevanza sistemica.
In altri termini, il mercato, gli operatori e i governi devono iniziare a credere che, per i grandi
gruppi bancari, il concetto “too big to fail” non rappresenterà più una sicurezza di salvataggio
statale. Al contrario, questi intermediari dovranno disporre autonomamente di sufficienti
risorse patrimoniali per assorbire le perdite, anche significative, che potrebbero verificarsi sia
prima del periodo di crisi (capitale “going concern”), sia durante il periodo di crisi, anche se
questo dovesse condurre alla liquidazione della banca (capitale “gone concern”)(FSB, 2015).
4.5 Considerazioni sulla revisione di Basilea III
Con la presentazione della revisione di Basilea III, appaiono evidenti due caratteristiche
principali rimaste sostanzialmente invariate in tutti gli accordi proposti dal Comitato.
In primo luogo, viene ancora adottato un criterio unitario di regolamentazione dell’intero
sistema bancario che non consente di trattare le banche coerentemente alla propria tipologia
di business e propensione al rischio. In questo senso, nulla viene introdotto per correggere la
difformità degli standard contabili e della loro applicazione nei vari Paesi europei e questo
sembra essere un importante impedimento verso l’uniformità di valutazione e comparazione
dell’intero sistema bancario continentale. In aggiunta, il costante aumento di complessità
nella definizione dei nuovi standard patrimoniali pare essere deleterio se si pensa alle scarse
risorse delle piccole banche regionali, che pure rivestono un ruolo importantissimo nel
finanziamento della piccola e media impresa (realtà estremamente diffusa e importante nel
tessuto economico europeo). Considerato ciò, la tendenza alla concentrazione del settore in
grandi gruppi bancari e la parallela scomparsa dei piccoli intermediari locali pare inevitabile,
a maggior ragione se si pensa che questo trend è già in atto (Masera, 2016).
L’impatto di queste problematiche negli Stati Uniti risulta essere potenzialmente molto meno
invasivo. L’economica americana è infatti molto meno legata alle PMI di quanto non lo sia
quella europea e, inoltre, le grandi imprese statunitensi ricorrono meno al credito bancario in
50
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
quanto, storicamente, accendono molto più frequentemente e facilmente al mercato
azionario per ottenere il capitale di cui necessitano. Esse sono infatti per la maggioranza
quotate in borsa (Jackson, 2016).
In seconda analisi, viene proposto troppo poco in relazione all’introduzione di un approccio
macroprudenziale volto alla regolamentazione del sistema finanziario più in senso lato e
meno in senso stretto (ossia meno legato ai singoli intermediari). Queste considerazioni
assumono valore se si pensa alle differenze di recepimento degli schemi regolamentari
riscontrate sino a qui in Europa e negli Stati Uniti. Il raffronto è indicativo se si considera il
processo espansivo di politica monetaria attuato negli Stati Uniti tra 2008 e 201443. Con
questa operazioni, infatti, le autorità americane affrontarono con interventi più o meno diretti
anche il problema dei crediti non più incassabili che affliggeva le banche statunitensi a
seguito della crisi finanziaria del 2007/2008. Il governo, costituendosi garante per questi
crediti problematici, ha infatti favorito la ripresa del credito a privati ed aziende e il
conseguente processo di ripresa dell’intera economia americana (Masera, 2016).
Alle autorità europee, al contrario, non si può riconoscere la medesima velocità di risposta.
Infatti, il processo espansivo di politica monetaria nel vecchio continente è cominciato con
diversi anni di ritardo rispetto agli Stati Uniti e oggi si contrappone per natura all’inasprimento
delle richieste di patrimonializzazione previste con la revisione di Basilea III. Il timore di
diversi osservatori è infatti legato alla apparentemente inspiegabile contraddizione di
perseguire una politica monetaria espansiva, volta a favorire la ripresa del credito, e
contemporaneamente richiedere requisiti minimi di capitale prudenziale sempre più alti. Il
pericolo fondato è che la liquidità iniettata nel sistema economico dalla Banca centrale
europea venga destinata internamente alla copertura dei nuovi requisiti patrimoniali introdotti
con la TLAC e che, conseguentemente, la ripresa del canale creditizio stenti ulteriormente a
palesarsi nel breve termine (Masera, 2016).
Muovendo una critica maggiormente concettuale al nuovo schema, si può anche constatare
l’eccessiva complessità delle metodologie di valutazione dei rischi prospettate nella
revisione, siano esse interne o standardizzate, nonché il conseguente importante incremento
di costi che le banche dovranno sostenere per osservare una regolamentazione che, ad
oggi, pare essere incerta ed in continua evoluzione. In questo senso, la maggiore importanza
riposta dai regolatori sui rivisti approcci standard, costituisce di per sé una bocciatura delle
metodologie interne di valutazione presentate con Basilea II e riprese, quale fulgido esempio
di progresso regolamentare, in Basilea III. Alla luce di queste considerazioni, per le banche
pare fondamentale attuare un veloce processo di adeguamento ai nuovi standard,
recependoli per quanto possibile in anticipo rispetto alla loro effettiva entrata in vigore
(Masera, 2016).
43 Processo di acquisto di titoli, perlopiù obbligazionari, sui mercati da parte del governo americano per iniettare liquidità nel sistema economico nazionale e agevolarne la ripresa. In questa operazione, nota in inglese come Quantitative Easing, la Banca centrale americana (Federal Reserve) si impegnò ad acquistare assets per 85 miliardi di dollari al mese.
51
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
5 Il recepimento delle normative in Svizzera
5.1 Introduzione al contesto nazionale
In considerazione della particolare importanza ricoperta dal settore bancario e finanziario
all’interno dell’economia nazionale nonché della notevole rilevanza economica dei grandi
gruppi bancari svizzeri in rapporto al PIL nazionale, il Consiglio federale si è dimostrato
comprensibilmente molto rapido nel recepire, all’interno della legislazione nazionale, le
norme di vigilanza prudenziale presentate dal Comitato. In termini pratici, con
l’implementazione delle nuove misure regolamentari, la Svizzera si impegna ad applicare gli
standard internazionali presentati dal Comitato e relativi a Basilea III, nonché il supplemento
previsto dall’FSB per le banche di rilevanza sistemica in relazione agli standard minimi di
capitale per l’assorbimento delle perdite “TLAC”. Secondo l’interpretazione nazionale,
l’applicazione dei nuovi standard minimi consentirà in futuro una gestione armonizzata ed
efficiente delle crisi economiche, permettendo parallelamente di tutelare la stabilità e gli
interessi del Paese quale piazza finanziaria di riferimento a livello mondiale (Consiglio
federale, 2017). Questo obiettivo è perseguito grazie all’intero quadro giuridico nazionale in
materia, costituito dall’azione regolamentare di Parlamento e FINMA, nonché dalle norme di
autodisciplina emanate dall’Associazione svizzera dei banchieri.
5.2 Rafforzamento della stabilità nel settore finanziario “too big to fail”
L’implementazione delle nuove disposizioni ha coinvolto trasversalmente tutta la legislazione
nazionale in materia ma, in particolare, ha interessato la Legge federale sulle banche e le
casse di risparmio (LBCR). Quest’ultima è stata infatti adeguata per la prima volta al nuovo
schema regolamentare con l’introduzione delle disposizioni “too big to fail” contemplate al
capo quinto della legge stessa ed entrate in vigore il 1° marzo 2012. In seguito, l’approccio
impiegato dalla Svizzera è stato oggetto di diverse valutazioni interne in relazione all’efficacia
dell’orientamento adottato nei confronti dei nuovi standard internazionali. Questo processo di
verifica, cominciato nel 2014 e condotto con l’ausilio di Dipartimento federale delle finanze,
FINMA e BNS, ha portato ad una riformulazione dell’Ordinanza sulle banche e le casse di
risparmio (OBCR) e dell’Ordinanza sui fondi propri (OFoP). Queste modifiche, concernenti in
particolar modo le banche di rilevanza sistemica, sono state adottate dal Consiglio federale
l’11 maggio 2016 e sono entrate in vigore il 1° luglio 2016 (Consiglio federale, 2017).
Secondo la definizione data dai regolatori svizzeri, è considerata banca di rilevanza
sistemica, internazionale o nazionale, l’intermediario il cui fallimento: “potrebbe comportare
notevoli squilibri nel sistema finanziario e ripercuotersi negativamente sull’intera economia
nazionale a causa delle sue dimensioni, della sua importanza sul mercato e delle sue
interconnessioni” (Consiglio federale, 2017, p. 4178).
52
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Detto ciò, e per comprendere meglio l’approccio usato dai regolatori nazionali, conviene
innanzitutto presentare la categorizzazione del sistema bancario domestico sancita
all’interno dell’OBCR e recepita formalmente anche dalla circolare FINMA 2011/2. Questa
suddivisione tiene conto dell’importanza di ogni gruppo bancario nazionale e della specifica
rilevanza sistemica. I criteri utilizzati per una uniforme suddivisione degli intermediari sono
stabiliti all’art. 2 cpv. 2 dell’OBCR e incorporano i seguenti fattori: i) totale di bilancio; ii)
patrimoni gestiti; iii) depositi privilegiati e iv) fondi propri necessari. Ogni banca rientra nella
categoria di cui soddisfa almeno tre dei requisiti citati.
Tenendo conto dei quattro criteri di valutazione menzionati, è possibile ottenere una
suddivisione del settore bancario svizzero in cinque macrocategorie che vengono riassunte
nella figura seguente (si è tenuto conto dei dati disponibili più recenti).
Figura 3: categorizzazione delle banche svizzere operata dalla FINMA.
Fonte: FINMA. (2016). Rapporto annuale 2016, p. 94.
La Figura 3 risulta essere di particolare interesse poiché consente di definire, per ogni
categoria, il numero di intermediari operanti su suolo nazionale. Partendo dalla classe più
importante, ossia la numero uno, si nota come in essa siano compresi solo due grandi gruppi
bancari che, nella fattispecie, sono UBS e Credit Suisse. In aggiunta, questi sono anche gli
unici due istituti finanziari svizzeri definiti di rilevanza sistemica internazionale dall’FSB. Nella
seconda classe troviamo invece i tre intermediari definiti di rilevanza sistemica nazionale,
ovvero Banca cantonale di Zurigo, Raiffeisen e Postfinance. Nelle tre categorie rimanenti
sono raccolti gli altri istituti di credito nazionali.
53
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Operata la doverosa categorizzazione del settore bancario nazionale, necessaria per trattare
ogni intermediario coerentemente al proprio grado di importanza all’interno dell’economia
svizzera, sia esso ottenuto in funzione dello specifico livello di propensione al rischio o di
interconnessione con l’intero tessuto economico domestico, conviene esporre gli obiettivi
perseguiti con l’adeguamento della regolamentazione in un’ottica “too big to fail”.
L’approccio nazionale è volto all’ottenimento di misure strutturali efficaci, in grado di garantire
un regolare svolgimento delle attività operative degli istituti e, al contempo, un indenne
superamento dei periodi di crisi o tensione finanziaria. In questo senso, le banche svizzere
devono essere in grado di garantire, in ogni situazione congiunturale, la loro operatività,
soprattutto in relazione alle funzioni di rilevanza sistemica (es. traffico pagamenti o rapporti in
senso lato con privati ed aziende). Per l’ottenimento di questi risultati, si è ritenuto
necessario recepire immediatamente a livello nazionale le disposizioni del Comitato e
dell’FSB in relazione agli standard “TLAC”, creando le basi legali necessarie e prevedendo,
laddove non fosse possibile agire diversamente, gli strumenti per consentire un’ordinata
liquidazione degli intermediari che tenga conte delle loro caratteristiche peculiari. In aggiunta
a questi due obiettivi di carattere più concettuale, conscia dell’importanza del settore
bancario nell’economia nazionale, la Svizzera richiede elevate esigenze di capitale
prudenziale se comparate agli standard minimi proposti da Comitato e FSB. Questa severità
di regolamentazione interessa sia le RWA, ossia le attività ponderate in funzione del rischio,
sia l’indice di leverage che, al contrario, fornisce un’indicazione dell’esposizione totale e non
ponderata della banca in esame. In altri termine, la Svizzera è da considerarsi
all’avanguardia nel campo della vigilanza prudenziale del settore e, ad oggi, stabilisce
esigenze di patrimonializzazione che oltrepassano abbondantemente gli standard
internazionali. A livello domestico, le banche di rilevanza sistemica dovranno rispettare le
nuove esigenze entro la fine del 2019 (Consiglio federale, 2017).
Riprendendo le disposizioni entrate in vigore il 1° luglio 2016 e menzionate all’inizio di questo
paragrafo, e volendo contemporaneamente fornire dei dati numerici a riprova delle
considerazioni fatte, si può facilmente quantificare il surplus regolamentare che le banche
attive nazionalmente saranno tenute a rispettare. Coerentemente alla categorizzazione in
cinque classi degli intermediari nazionali, i requisiti patrimoniali per ciascuno di quest’ultimi
sono differenti a seconda della rilevanza sistemica ed economica dell’istituto osservato. In
particolare, per le due grandi banche attive internazionalmente e di rilevanza sistemica
globale, la patrimonializzazione minima deve rispettare un requisito del 14.3% dei RWA, se
si considerano solo le attività a copertura delle esigenze “going concern”, più un requisito di
pari entità per le esigenze “gone concern”. L’indice di leverage complessivo e non ponderato
per il rischio per questi intermediari si attesta invece al 10%, ovvero 5% per le esigenze
“going concern”, più 5% per le esigenze “gone concern”. Riflettendo la minor rilevanza
sistemica, per le banche definite nella categoria due, i requisiti minimi per le esigenze “going
concern” di Raiffeisen si attestano al 13.2% dei RWA e al 4.63% per l’indice di leva. Per
Banca cantonale di Zurigo e Postfinance, gli standard nazionali sono stabiliti al 12.9% dei
RWA e al 4.5% in relazione al leverage ratio. Conseguentemente, alle esigenze “going
concern” di queste tre banche viene applicato uno scarto del 40% che consente di
determinare i rispettivi requisiti minimi “gone concern”.
54
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Le banche che non rientrano nelle prime due categorie, ma bensì in una delle restanti tre,
devono rispettare un’esigenza “going concern” rispettivamente del 12%, 11.2% e 10.5% dei
RWA e del 3% in relazione al leverage ratio. Per queste ultime, constatata la loro non
rilevanza sistemica, non sono previste ulteriori esigenze “gone concern”. La legislazione
nazionale lascia altresì alla FINMA la facoltà di riconoscere degli sconti sulle esigenze
patrimoniali, che vengono applicati variabilmente da banca a banca (Consiglio federale,
2017). Queste disposizioni sono disciplinate all’interno dell’Ordinanza sui fondi propri (OFoP)
e, a titolo esemplificativo, vengono graficamente riassunte nelle figure seguenti.
Figura 4: esigenze RWA “going concern” e “gone concern” per le banche svizzere.
Fonte: Consiglio federale. (2017). Rapporto sulle banche di rilevanza sistemica, p. 4188.
Figura 5: esigenze per le banche svizzere in materia di leverage ratio.
Fonte: elaborazione personale di dati tratti da Consiglio federale, 2017, p. 4189.
55
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Nelle Figure 4 e 5 sono stati tracciati anche gli standard minimi proposti dal Comitato. Essi,
come trattato nei capitoli precedenti, corrispondo all’8% dei RWA e al 3% dell’indice di
leverage. Questi requisiti, valevoli per tutte le banche, sono rappresentati dalle linee
tratteggiate arancioni. Riprendendo il supplemento di regolamentazione proposto da
Comitato e FSB e recepito parimenti a livello nazionale, nelle figure si trovano due linee
tratteggiate nere che rappresentano le soglie minime di patrimonializzazione in relazione agli
standard di Basilea III, più le ulteriori esigenze di capitale sancite con la normativa TLAC.
Queste soglie, che si applicano solo alle banche di rilevanza sistemica internazionale (UBS e
Credit Suisse), si attestano al 16% dei RWA e al 6% dell’indice di leverage.
Al fine di consentire la comparabilità dei dati di tutte e cinque le categorie di banche previste,
per la costruzione delle soglie minime nei grafici non si è volutamente tenuto conto dei buffer
di capitale previsti, ossia quello di conservazione del capitale (pari al 2.5% dei RWA) e quello
supplementare per le banche di rilevanza sistemica (variabile dall’1% al 2.5% dei RWA e
applicabile solo a UBS e Credit Suisse). Ciononostante, è osservabile come i requisiti
richiesti dalle autorità elvetiche oltrepassino ugualmente gli standard minimi internazionali.
Inoltre, a fini pratici, si è tenuta in considerazione solo la scadenza più prossima per l’entrata
in vigore dei nuovi requisiti internazionali, ovvero il 1° gennaio 2019; ma analogamente, se si
considerasse il secondo termine, ossia il 1° gennaio 2022, i coefficienti minimi di cui tener
conto sarebbero più alti ma ugualmente rispettati (cfr. n. 4.4, Tabella 8).
Alla luce dei dati riscontrabili nelle figure, si nota come la Svizzera sia effettivamente molto
prudente nella formulazione dei requisiti patrimoniali minimi per il settore bancario. In
quest’ottica, si può affermare che le banche nazionali si siano dimostrate molto rapide
nell’adeguarsi alle nuove normative. Riferendosi in particolare ai due grandi gruppi bancari,
UBS e Credit Suisse, si possono ricontrare i dati patrimoniali presentati nella Tabella 9.
Tabella 9: grado di patrimonializzazione di UBS e Credit Suisse.
Dati al I. trimestre 2017 UBS Credit Suisse Requisito
minimo
“Going concern” capital ratio (RWA) 17.1% 14.5% 14.3%
“Gone concern” capital ratio (RWA) 16.1% 13.1% 14.3%
“Going concern” leverage ratio 4.3% 4.1% 5%
“Gone concern” leverage ratio 4.0% 3.7% 5%
Fonte: BNS. (2017). Financial Stability Report 2017, p. 13.
56
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Dal confronto emerge come i due intermediari siano già pressoché conformi ai requisiti in
materia di RWA (fatta eccezione per il capitale “gone concern” di Credit Suisse che risulta
leggermente sottodimensionato). Per quanto concerne il leverage ratio, si constata invece un
indice insufficiente per entrambe le banche. Ciononostante, considerando l’entrata in vigore
dei nuovi standard nazionali fissata per il 1° gennaio 2020, i due istituti potranno disporre
ancora di parecchio tempo per adeguarsi completamente ad entrambi i requisiti.
Detto ciò, va osservato come le due grandi banche rispettino già oggi, completamente e
abbondantemente, i requisiti patrimoniali stabiliti con la sola regolamentazione di Basilea III
e, per il caso specifico di Credit Suisse, si fa presente che l’istituto, in data 26 aprile 2017, si
è pubblicamente impegnato ad attuare nel breve termine una ricapitalizzazione per oltre
quattro miliardi di franchi. Inoltre, nel confronto internazionale si può constatare come le
banche svizzere dispongano mediamente di più capitale di classe primaria (CET1) rispetto
alle concorrenti. Questo è un fattore di successo non trascurabile se si considera che,
spesso in passato, il CET1 è stato utilizzato quale principale indicatore dello stato di solidità
di un istituto (BNS, 2017).
5.3 La Legge federale sulle infrastrutture finanziarie
Continuando il processo di adeguamento dell’ordinamento giuridico nazionale, il Parlamento
svizzero ha adottato in data 19 giugno 2015 la nuova Legge federale sulle infrastrutture
finanziarie (LInFi). Questo testo, entrato effettivamente in vigore il 1° gennaio 2016,
sostituisce la vecchia Legge federale sulle borse e il commercio di valori mobiliari (LBVM).
Nonostante la LInFi rappresenti, in sostanza, un ammodernamento della vecchia legge, essa
recepisce per la prima volta una serie di normative volte alla regolamentazione degli
strumenti derivati e, in particolare, a quelli scambiati OTC. In quest’ottica, la LInFi
rappresenta il primo approccio verso una nuova regolamentazione del sistema finanziario
elvetico, che presto verrà completata dall’entrata in vigore della nuova Legge federale sui
servizi finanziari (LSF) e dalla Legge federale sugli istituti finanziari (LIFin). Questi due testi,
che completeranno la trilogia di leggi volute dal Parlamento in materia, sono attualmente
sotto processo di discussione parlamentare e, quando verranno effettivamente adottate,
sanciranno l’abolizione della vecchia LBVM nonché una sostanziale revisione della LBCR
(Mini, 2017).
La LInFi rappresenta, innanzitutto, un’importante sforzo normativo che si pone quali obiettivi
principali la trasparenza e la stabilità dei mercati finanziari dove vengono scambiati i valori
mobiliari e gli strumenti derivati. Perseguendo questi macro obiettivi, la nuova legge è in
grado di tutelare altresì i partecipanti e gli operatori di questo mercato. Consci di queste
considerazioni, si può apprezzare come la LInFi rappresenti in effetti una risposta decisa alla
crisi finanziaria del 2007/2008 e, in particolare, come essa voglia limitare l’uso improprio e
deregolamentato dei derivati, riportando il settore di questi strumenti finanziari a dimensioni
più gestibili e potenzialmente meno pericolose per l’intera economia (Mini, 2017).
57
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
In questo senso, la novità più significativa introdotta con la nuova LInFi è rappresentata
dall’obbligo di compensazione delle operazioni in strumenti OTC per mezzo di una
controparte centrale autorizzata44, parimenti a quanto già previsto per gli scambi effettuati sui
mercati borsistici regolamentati svizzeri. Il fine di questa norma è intuitivo e riconducibile alla
volontà del legislatore di ridurre i rischi di inadempienza delle controparti e di pericolo di
contagio, perseguendo così l’auspicata stabilità dell’intero sistema finanziario (Mini, 2017).
5.4 Gli impatti della regolamentazione in Svizzera
Come accennato in apertura del presente capitolo, la particolare rilevanza del settore
bancario nell’economia nazionale, nonché l’importante peso dei due grandi gruppi bancari
UBS e Credit Suisse in proporzione al PIL nazionale, giustificano ampiamente le esigenze
patrimoniali maggiori richieste dai regolatori elvetici.
Constatato questo, occorre svolgere un’analisi dei costi e benefici derivanti dalle
regolamentazioni più severe, tracciando al contempo un bilancio in grado di fornire
comparabilità nel confronto internazionale. Partendo dal presupposto che le crisi bancarie
possono essere potenzialmente più gravi per le economie di piccole dimensioni, e per questo
molto aperte internazionalmente e dotate di importanti settori finanziari, è facile comprendere
i benefici derivanti dall’avere un sistema bancario stabile e solido. In questo senso, le
esigenze maggiori in materia di capitale forniscono garanzie superiori a tutti gli operatori
economici e, pertanto, consentono di ottenere dei benefici tangibili rispetto ai costi sostenuti
per adempierle. A riprova di queste considerazioni, se si adottano periodi transitori
relativamente generosi per l’applicazione dei nuovi standard accoppiati a delle politiche
monetarie espansive, la diminuzione del PIL annuo riconducibile alle nuove esigenze TLAC
è stimabile in una contrazione di solo lo 0.02%-0.07% (DFF, 2016).
A livello nazionale, i rinvigoriti standard regolamentari, affiancati dalla storica stabilità politica
ed economica elvetica, garantiscono minori probabilità di registrare nuove crisi bancarie e,
pertanto, concorrono ad aumentare l’attrattività della Svizzera quale piazza finanziaria di
caratura mondiale. Inoltre, constatati i nuovi requisiti patrimoniali TLAC e il parallelo
indebolimento del concetto “too big to fail”, la mancata garanzia implicita di salvataggio
statale per le grandi banche consentirà un incremento della concorrenza all’interno del
mercato bancario domestico. L’aumentata concorrenzialità gioverà alla clientela bancaria e
servirà a raggiungere il prospettato “level playing field” auspicato dal Comitato addirittura con
la formulazione del primo accordo di Basilea (DFF, 2016)(cfr. n. 1.1).
Nel confronto internazionale non si attendono significative variazioni di competitività delle
banche svizzere che, al contrario, potranno disporre di maggiore solidità nei confronti dei
44 Secondo la visione della FINMA, è definita controparte centrale autorizzata l’entità che s’interpone nel commercio dei titoli in borsa e in parte anche nel commercio fuori borsa (OTC) in qualità di intermediario nei contratti. In una transazione funge sia da compratore sia da venditore, assumendo così la funzione di garante dell’adempimento delle obbligazioni assunte.
58
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
principali competitori internazionali. Anche in quest’ottica si apprezza dunque lo sforzo
richiesto dal legislatore in materia di accresciute esigenze patrimoniali (DFF, 2016).
A livello quantitativo, alle due principali banche del Paese viene chiesto di prevedere aumenti
di capitale volti al raggiungimento dei nuovi requisiti patrimoniali. In particolare, si ritiene
necessario uno sforzo maggiore per osservare i nuovi standard in materia di leverage ratio
che, per UBS e Credit Suisse, comporterebbe aumenti di capitale per oltre un miliardo di
franchi per quest’ultima e di tre miliardi per UBS. Buona parte di queste esigenze
supplementari dovrà essere soddisfatta con capitale “gone concern” e quindi volto alla
copertura delle perdite in fasi economiche critiche. A tal fine, gli strumenti più indicati sono i
bail-in bond45 di nuova emissione oppure ottenuti mediante la conversione di obbligazioni già
sul mercato. Tuttavia, le intenzioni di far fronte alla questione nel breve periodo mostrate dai
due intermediari, unite al generoso periodo transitorio che scadrà a fine 2019, sembrano
offrire sufficienti garanzie in merito (DFF, 2016).
Dal punto di vista della concessione dei crediti, che rappresenta un fattore fondamentale per
valutare l’andamento congiunturale dell’economia nonché il suo stato di salute, a livello
nazionale si può osservare un trend in continuo aumento e che non ha risentito della
regolamentazione “too big to fail” adottata nel 2012. A dimostrazione di ciò si rimanda al
grafico seguente.
Figura 6: volume nazionale dei crediti di tutte le banche svizzere (dal 1996 al 2014).
Fonte: DFF. (2016). Analisi d’impatto della regolamentazione, p. 21.
Dal grafico di Figura 6 è possibile notare come l’andamento crescente dei volumi di credito
erogati non sia stato interessato dalle disposizioni “too big to fail” (nel grafico abbreviato in
45 I bail-in bond sono obbligazioni che non pagano cedole e non rimborsano il capitale in caso di particolari e severe difficoltà finanziarie dell'emittente poiché vengono convertite in capitale azionario di quest’ultimo. Proprio per questo motivo offrono rendimenti maggiori rispetto ad altre obbligazioni dello stesso emittente e con caratteristiche simili.
59
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
TBTF) ma, al contrario, come la tendenza continui ad aumentare anche dopo il 2012. Questo
trend è parimenti riscontrabile sia nel mercato delle ipoteche, sia in quello degli altri crediti. In
quest’ultima categoria sono compresi in particolare i crediti alle imprese. A questo riguardo,
va constatata una diminuzione delle quote di mercato possedute dalle due grandi banche a
favore delle banche cantonali e degli altri intermediari. Tuttavia, non è possibile trovare
collegamenti diretti tra questa contrazione e l’entrata in vigore delle disposizioni per le
banche di rilevanza sistemica. Nel complesso, come dimostrato, il volume degli affidamenti
non è comunque diminuito (DFF, 2016). In relazione alle nuove normative TLAC, sarà
altrettanto interessante osservare se l’andamento del mercato creditizio risulterà ancora
decorrelato rispetto alle accresciute esigenze di capitale.
Risulta anche molto interessante svolgere un’analisi settoriale separata in considerazione
dell’importanza rivestita dalle banche nazionali quale datore di lavoro. In quest’ottica, è
indicativo osservare l’evoluzione dell’occupazione nel settore a seguito della crisi finanziaria
del 2007/2008 nonché dell’entrata in vigore della regolamentazione “too big to fail” nel 2012.
Dalla figura che segue emergono delle tendenze piuttosto nette.
Figura 7: occupazione nel settore bancario svizzero.
Fonte: DFF. (2016). Analisi d’impatto della regolamentazione, p. 18.
È infatti evidente come, dall’inizio del periodo di crisi, il numero di occupati nelle due grandi
banche sia sceso progressivamente. Questa contrazione è stata però in buona parte
compensata dall’aumento degli effettivi riscontrabile negli intermediari di rilevanza sistemica
nazionale (Banca cantonale di Zurigo e Raiffeisen in particolare). Nel complesso, dunque,
l’occupazione nel settore risulta pressoché stabile (linea verde)(DFF, 2016). Nonostante la
fluttuazione dell’occupazione sembri maggiormente correlata con il periodo di crisi, di quanto
non lo sia in effetti con l’entrata in vigore delle normative “too big to fail”, occorre sottolineare
come questi dati si fermino al 2014 e anche come non sia possibile stabilire
previsionalmente, e con un sufficiente margine di precisione, l’impatto potenziale delle nuove
60
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
regolamentazioni (Basilea III e TLAC) sull’occupazione del settore in generale. Il periodo di
applicazione dei nuovi standard è infatti molto graduale e terminerà non prima del 2022.
Per quanto concerne invece la clientela bancaria, sia essa privata o aziendale, un aumento
dei tassi applicati ai crediti quale conseguenza dei maggiori costi sostenuti per una corretta
patrimonializzazione non risulta escludibile a priori. Ciononostante, traendo esempio da
quanto verificatosi col l’entrata in vigore delle normative “too big to fail” nel 2012, un impatto
significativo e deleterio di questi costi per l’economia nazionale è improbabile. Ad avvalorare
questa visione contribuisce sostanzialmente anche l’accresciuta concorrenzialità del settore
nel suo insieme e a tutto beneficio della clientela. In alternativa, per le imprese, risulta altresì
praticabile un maggiore ricorso al mercato dei capitali, ricorrendo alla borsa per finanziarsi
più di quanto non sia stato fatto finora (DFF, 2016).
In merito a quest’ultima considerazione, risulta interessante osservare la spinta verso un
settore economico meno legato al credito bancario e per questo potenzialmente più forte nel
superamento dei periodi di crisi. Inoltre, nell’ottica di un maggior ricorso al circuito borsistico,
si verificherebbe un approccio al finanziamento d’impresa più simile a quello da sempre in
vigore negli Stati Uniti, favorendo di conseguenza una più facile e uniforme comparazione tra
i due sistemi nazionali.
Concludendo, si possono anche apprezzare le nuove possibilità d’investimento, sia per gli
investitori domestici che internazionali, relativamente ai nuovi strumenti di capitale “gone
concern”. Si fa particolare riferimento ai bail-in bond che offrono un interessante rendimento
in relazione al rischio per chi è disposto ad investirvi (DFF, 2016).
61
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
6 Conclusioni
Durante la scrittura di questo lavoro è emersa la vastità e complessità della
regolamentazione prudenziale bancaria introdotta nel corso degli anni. In particolare, le
susseguenti revisioni degli accordi di Basilea sono state interessate, in misura sempre
crescente, da un importante aumento delle normative in vigore. Il processo revisionista dello
schema di Basilea III in corso in questo periodo, rappresenta in questo senso un fulgido
esempio di complessità regolamentare che lascia aperti diversi dubbi. Infatti, risulta
interessante cercare di capire se e come il Comitato avesse potuto fare di più per presentare
una regolamentazione più semplice e snella ma, al contempo, parimenti incisiva. Constatato
ciò, si potrebbe esprimere maggiore apprezzamento nei confronti di uno schema
regolamentare suddiviso in più “sezioni”, ognuna delle quali in grado di adattarsi alle
caratteristiche specifiche di ogni intermediario; seguendo, per esempio, criteri di ripartizione
legati alle dimensioni, alla propensione al rischio e alla rilevanza economica ricoperta dagli
istituti. In quest’ottica, una regolamentazione unica pare un impedimento verso il
raggiungimento della auspicata parità dei livelli concorrenziali in seno al mercato bancario
(nazionale e internazionale). Questa interpretazione rivisitata degli accordi di Basilea è per
altro già stata adottata negli Stati Uniti, dove viene considerata tuttora la strategia di
riferimento nella supervisione del sistema bancario nazionale.
A livello concettuale, probabilmente si ravvisa la necessità di fare di più in relazione alle
restrizioni poste in materia di leverage ratio. Infatti, l’eccessivo ricorso alla leva finanziaria,
operato soprattutto dalle banche di investimento, ha concorso in maniera determinante nel
cagionare una crisi economica così severa. A tal merito, risultano incoraggianti gli sforzi
intrapresi dalle autorità elvetiche, anche in materia di esposizioni ponderate per il rischio
“RWA”, per garantire coefficienti minimi più restrittivi di quanto esplicitamente richiesto dal
Comitato (cfr. n. 5.2). L’auspicio è che questi supplementi consentano di raggiungere
un’elevata stabilità del sistema bancario nel suo insieme, senza compromettere la
disponibilità del ricorso al canale del credito per privati ed aziende.
Considerando anche il costante mutamento degli ordinamenti giuridici in materia, sia per
quanto riguarda gli standard nazionali che quelli internazionali, risulta interessante
comprendere quale sarà il potenziale impatto di una regolamentazione in continua
evoluzione, e che non entrerà completamente in vigore prima del 2019. Il timore è, infatti,
che questi continui processi di adeguamento portino ad una sensazione di incertezza
normativa diffusa a tutti gli operatori del mercato bancario.
Ad accrescere le incertezze in questo periodo contribuiscono in maniera rilevante anche
diverse situazioni di carattere più macroeconomico. In particolare, risultano sostanzialmente
imprevedibili gli effetti di medio-lungo termine riscontrabili nel settore, relativamente alla
Brexit e alla presidenza Trump negli Stati Uniti. Londra e New York rappresentano infatti i
due centri bancari e finanziari più importanti del mondo. Occorre altresì ricordare come la
crisi appena trascorsa sia scoppiata a causa del settore bancario americano fortemente
62
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
deregolamentato. In quest’ottica, la spinta prospettata dal presidente Trump verso una
riforma liberale di Wall Street e una politica fiscale molto espansiva per il Paese, nonostante
l’importante livello del debito pubblico nazionale, pare acuire la generalizzata sensazione di
incertezza di cui si accennava in precedenza. Più in generale, questi aspetti potrebbero
essere stati tra i più determinanti nel posticipare i lavori di recepimento di parte della nuova
revisione di Basilea III (cfr. n. 4.1).
A livello interno, e secondo quanto considerato per la redazione di questo lavoro, nel
confronto internazionale la Svizzera risulta senz’altro posizionata molto bene. Infatti,
parallelamente alla nota stabilità politica ed economica nazionale, le esigenze regolamentari
supplementari richieste dalle autorità elvetiche contribuiscono sostanzialmente
nell’accrescere la percezione del pubblico di stabilità degli intermediari svizzeri e, più in
generale, dell’intero sistema bancario elvetico se confrontato con quello di altri Paesi. In
questo senso, un elevato livello di patrimonializzazione potrebbe costituire un importante
vantaggio competitivo nei confronti degli intermediari concorrenti. Questi aspetti, uniti alle
competenze maturate dal Paese nel corso degli anni quale primaria piazza finanziaria
mondiale, concorrono ad aumentare ulteriormente il potenziale del settore nazionale. A
riprova di queste considerazioni, si pensi al livello più che soddisfacente già raggiunto dalle
banche elvetiche in relazione ai severi standard patrimoniali richiesti loro (cfr. n. 5.2).
In conclusione, appaiono senz’altro chiari gli sforzi fatti a livello internazionale, e nazionale,
per creare un sistema finanziario il più efficiente e solido possibile. Si apprezza dunque
l’approccio verso una regolamentazione incisiva del settore bancario in grado di porre
rimedio ai decenni di deregulation che hanno caratterizzato anni Ottanta e Novanta.
Rispondendo alla domanda di ricerca posta a inizio lavoro, l’autore è confidente nell’asserire
che gli accordi di Basilea III, e più in generale tutta la regolamentazione prodotta in materia a
seguito della recessione del 2007/2008, costituiscano un efficace deterrente affinché non si
verifichino più crisi finanziarie così violente nel medio-lungo periodo.
Per avvalorare questa conclusione, è rappresentativo riferirsi al pensiero dell’attuale
presidente della Banca centrale americana (Federal Reserve), Janet Yellen, che durante un
intervento del giugno 2017 a Londra ha espressamente commentato come il settore
bancario, oggigiorno, sia molto meglio patrimonializzato di quanto non lo fosse in passato.
Ella ha infatti elogiato le capacità delle banche di superare i periodi di stress programmati ai
fini di valutarne la stabilità, definendo gli intermediari molto più sicuri e solidi se rapportati alla
loro situazione pre-crisi. In conclusione di intervento, la Federal Reserve considera la
possibilità che si verifichi una nuova crisi nei prossimi anni assolutamente improbabile46.
Ciononostante, solo il tempo ci dirà se gli sforzi attuati dai regolatori daranno effettivamente i
risultati auspicati, garantendo una duratura stabilità del sistema bancario nel suo insieme.
46 Per un confronto in merito si veda: https://www.cnbc.com/2017/06/27/yellen-banks-very-much-stronger-another-financial-crisis-not-likely-in-our-lifetime.html
63
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Ringraziamenti
Innanzitutto tengo molto a ringraziare il relatore di questa tesi, Prof. Mauro Mini, per la
disponibilità e la cortesia dimostrate durante tutto il periodo di scrittura di questo lavoro.
Ringrazio molto anche la mia famiglia per avermi saputo trasmettere la comprensione e
l’armonia necessaria per affrontare questo percorso formativo.
Un ringraziamento particolare va anche al mio datore di lavoro per la flessibilità e
disponibilità dimostrate per tutta la durata del periodo di studi.
Infine, vorrei ringraziare i compagni di classe che mi hanno accompagnato durante questo
ciclo di studi e con i quali ho potuto condividere i momenti più impegnativi ma anche molte
soddisfazioni.
64
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
65
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Bibliografia
ABI. (2010). Conoscere il rating. Come viene valutata l’affidabilita delle imprese con
l’Accordo di Basilea. Tratto il giorno July 8, 2017 da Associazione bancaria italiana:
http://www.prefettura.it/FILES/docs/1173/Conoscere_il_rating.pdf
Altman, E. I., & Saunders, A. (2001). An analysis and critique of the BIS proposal on capital
adequacy and ratings. Journal of Banking & Finance (25), p. 25-46.
Bakiciol, T., Cojocaru-Durand, N., & Lu, D. (s.d.). Basel II. Tratto il giorno July 7, 2017 da
Princeton University:
https://www.princeton.edu/~markus/teaching/Eco467/10Lecture/Basel2_last.pdf
Bencini, F. (2010). Dopo Basilea 2 arriva Basilea 3: quali impatti sulle imprese. Nuovi
parametri: opportunità e aspetti critici. Contabilità finanza e controllo (11), p. 1-5. Tratto il
giorno August 5, 2017 da Editore Gruppo 24 ore: www.kon.eu/download-d122.html
BNS. (2017). Financial Stability Report 2017. Tratto il giorno September 30, 2017 da Banca
nazionale svizzera:
https://www.snb.ch/en/mmr/reference/stabrep_2017/source/stabrep_2017.en.pdf
CBVB. (2011). Banche di rilevanza sistemica globale: metodologia di valutazione e requisito
addizionale di assorbimento delle perdite. Tratto il giorno September 15, 2017 da Banca dei
Regolamenti Internazionali: http://www.bis.org/publ/bcbs207_it.pdf
CBVB. (2013). Basilea 3 – Il Liquidity Coverage Ratio e gli strumenti di monitoraggio del
rischio di liquidita. Tratto il giorno July 28, 2017 da Banca dei Regolamenti Internazionali:
http://www.bis.org/publ/bcbs238_it.pdf
CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il rafforzamento
delle banche e dei sistemi bancari. Tratto il giorno July 10, 2017 da Banca dei Regolamenti
Internazionali: http://www.bis.org/publ/bcbs189_it.pdf
CBVB. (2004). Convergenza internazionale della misurazione del capitale e dei coefficienti
patrimoniali. Nuovo schema di regolamentazione. Tratto il giorno July 15, 2017 da Banca dei
Regolamenti Internazionali: http://www.bis.org/publ/bcbs107ita.pdf
CBVB. (1988). Convergenza internazionale nella misurazione del capitale e dei coefficienti
patrimoniali minimi. Tratto il giorno July 2, 2017 da Banca dei Regolamenti Internazionali:
http://www.bis.org/publ/bcbsc111_it.pdf
CBVB. (2014). Documento di consultazione Basilea 3 – Il Net Stable Funding Ratio. Tratto il
giorno July 28, 2017 da Banca dei Regolamenti Internazionali:
http://www.bis.org/publ/bcbs271_it.pdf
66
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
CBVB. (1996). Presentazione dell’emendamento dell’Accordo sui requisiti patrimoniali per
incorporarvi i rischi di mercato. Tratto il giorno July 9, 2017 da Banca dei Regolamenti
Internazionali: http://www.bis.org/publ/bcbs23it.pdf
CBVB. (2008). Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision. Tratto il
giorno July 29, 2017 da Bank for International Settlements:
http://www.bis.org/publ/bcbs144.pdf
CBVB. (2016). Standardised Measurement Approach for operational risk. Tratto il giorno
September 17, 2017 da Bank for International Settlements:
http://www.bis.org/bcbs/publ/d355.pdf
Consiglio federale. (2017). Rapporto del Consiglio federale sulle banche di rilevanza
sistemica. Tratto il giorno September 29, 2017 da Consiglio federale:
https://www.admin.ch/opc/it/federal-gazette/2017/4177.pdf
Cornford, A. (2005). Basel II: the revised framework of June 2004. New York: United Nations
conference on trade and development.
Cuccoli, S. (2006). Dal primo Accordo di Bailea, al Basilea II e verso il Basilea III. Tratto il
giorno July 7, 2017 da Oltrestudio Associati:
http://www.oltrestudio.com/IMMAGINI/baslmastercfo.pdf
DFF. (2016). Analisi d’impatto della regolamentazione concernente le modifiche
dell’ordinanza sui fondi propri e dell’ordinanza sulle banche (esigenze in materia di fondi
propri per le banche – ricalibratura TBTF e categorizzazione). Tratto il giorno October 3,
2017 da Dipartimento federale delle finanze DFF:
https://www.newsd.admin.ch/newsd/message/attachments/43954.pdf
FINMA. (2016). Rapporto annuale 2016. Tratto il giorno September 29, 2017 da FINMA:
https://www.finma.ch/it/documentazione/pubblicazioni-della-finma/rapporto-di-gestione/
FSB. (2015). Principles on Loss-absorbing and Recapitalisation Capacity of G-SIBs in
Resolution. Total Loss-absorbing Capacity (TLAC) Term Sheet. Tratto il giorno September
22, 2017 da Financial Stability Board: http://www.fsb.org/wp-content/uploads/TLAC-
Principles-and-Term-Sheet-for-publication-final.pdf
Jackson, P. (2016). Proposed changes to the Basel capital framework. 2016, rush for the
finish line? Tratto il giorno September 16, 2017 da Ernst & Young:
http://www.ey.com/Publication/vwLUAssets/EY-proposed-changes-to-the-basel-capital-
framework-2016-rush-for-the-finish-line/$FILE/EY-proposed-changes-to-the-basel-capital-
framework-2016-rush-for-the-finish-line.pdf
Masera, R. (2016). Verso Basilea 4: le criticita per le banche e l’economia. Bancaria (1), p. 2-
17. Tratto il giorno September 24, 2017 da Associazione bancaria italiana:
http://www.bancaria.it/assets/PDF/2016-01.pdf
67
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Mini, M. (2017). Manuale di diritto finanziario (Vol. I), p. 95-133. Manno: Scuola Universitaria
professionale della Svizzera italiana.
Montanaro, E. (2016). Basilea 3 nell'Unione Europea. Parte I: il quadro di sintesi degli
strumenti prudenziali. Tratto il giorno July 16, 2017 da Università di Siena:
https://www.disag.unisi.it/sites/st07/files/allegatiparagrafo/24-11-
2016/montanaro_2016_basilea_3_nellue.pdf
Nosetti, P. (2017). Attività e gestione bancaria. Le esigenze minime sui fondi propri e sulla
liquidità. Manno: Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
Orelli, S. (2017). Presentazione del corso Derivatives & FRM. Rischio di credito e operativo.
Manno: Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana.
Penza, P. (2011). Basilea 3 e gli impatti sulle banche: redditività, gestione del capitale e
ruolo del Pillar 2. Bancaria (11), p. 24-36. Tratto il giorno August 4, 2017 da Associazione
bancaria italiana: http://www.bancaria.it/assets/Special-Issues/2011-11/pdf/03.pdf
PwC. (2017). Fundamental Review of the Trading Book – FRTB. Principali impatti e
implicazioni. Tratto il giorno September 17, 2017 da PricewaterhouseCoopers:
https://www.pwc.com/it/it/publications/assets/docs/frtb.pdf
Raule, M. (2011). Gli Accordi di Basilea sulla vigilanza bancaria. Tratto il giorno June 24,
2017 da Fondazione Cultura Responsabile Etica Onlus:
http://www.valori.it/moduli/capire_finanza_pdf/FINANZA_09_Basilea.pdf
Resti, A., & Sironi, A. (2008). Rischio e valore nelle banche. Misura, regolamentazione,
gestione. Milano: Egea.
Rutigliano, M. (s.d.). Basilea 2. Tratto il giorno July 8, 2017 da Università di Verona:
http://www.dea.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid954244.pdf
Santorsola, G. G. (s.d.). Il rischio di credito. Componenti e modalita di gestione secondo
Basilea 2. Tratto il giorno July 11, 2017 da Universita di Napoli Parthenope:
http://www.economia.uniparthenope.it/modifica_docente/santorsola/INTERMEDIARI_E_FIN
ANZIAMENTI_D%60AZIENDA_14_-
_LE_COMPONENTI_E_LA_GESTIONE_RISCHIO_DI_CREDITO.PDF
Sironi, A. (2010). Chi ha paura di Basilea 3? Economia & Management (6), p. 3-9. Tratto il
giorno July 30, 2017 da Egea Online: digitalibri.egeaonline.it/getFile.php?id=12154
Sorensen, B., Yesiltas, S., & Kalemli-Ozcan, S. (2011). Leverage Across Firms, Banks and
Countries. Tratto il giorno July 23, 2017 da National Bureau of Economic Research:
http://www.nber.org/papers/w17354.pdf
Tarullo, D. K. (2008). Banking on Basel. Washington D.C.: Peterson Institute for International
Economics.
68
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
69
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Allegato I: Grafico riassuntivo dei requisiti patrimoniali richiesti con Basilea III
Fonte: elaborazione personale di un’immagine tratta da: http://www.aifirm.it/basilea3-
schema-riassuntivo-del-capitale/
(*) Richiesto all’occorrenza delle autorità di vigilanza nazionali al fine di ridurre gli effetti pro-
ciclici dei requisiti patrimoniali (cfr. n. 3.3.2).
• standard di Basilea III, applicabile a tutte le banche (non si tiene conto degli standard
supplementari TLAC valevoli solo per le banche di rilevanza sistemica globale);
• nel grafico non si tiene conto del cuscinetto di capitale richiedibile solo alle banche di
rilevanza sistemica (variabile dallo 0% al 2.5%. Richiesto dalle autorità di vigilanza
nazionali coerentemente alle disposizioni di CBVB e FSB).
Come esposto nella tesi, la FINMA richiede dei supplementi per le banche nazionali.
Categorizzazione degli intermediari in 5 classi distinte (cfr. n. 5.2).
Categoria: 1. “Going concern” + “gone concern” capital ratio: 14.3% + 14.3%;
2. “Going concern” + “gone concern” capital ratio: 13.2%/12.9% + 5.3/5.2%;
3. Solo “going concern” capital ratio: 12%;
4. Solo “going concern” capital ratio: 11.2%;
5. Solo “going concern” capital ratio: 10.5%.
70
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
71
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Allegato II: Fasi di applcazione dei requisiti di Basilea III
Fonte: CBVB. (2010). Basilea 3. Schema di regolamentazione internazionale per il
rafforzamento delle banche e dei sistemi bancari, p. 75.
(*) Dal 1° gennaio 2019 entreranno gradualmente in vigore anche gli standard TLAC per le
banche di rilevanza sistemica proposti dall’FSB e recepiti altresì dal Comitato di Basilea (cfr.
Tabella 8, n. 4.4).
72
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
73
La vigilanza prudenziale nel settore bancario. Un’analisi degli Accordi di Basilea.
Allegato III: Lista FSB delle banche di rilevanza sistemica globale
Fonte: FSB. (2016). 2016 list of global systemically important banks (G-SIBs).
(*) Ad oggi non vi sono banche tenute a detenere un buffer di capitale per intermediari di
rilevanza sistemica globale pari al 3.5%. Si applicano dunque i coefficienti dall’1% al 2.5%
coerentemente allo schema di Basilea III (cfr. n. 3.3.2).
Nota 1: evidenziate le uniche due banche svizzere interessante dal supplemento, UBS e
Credit Suisse.
Nota 2: un aggiornamento della presente lista verrà pubblicato dall’FSB nel novembre 2017.