L’evoluzione della vigilanza prudenziale nel comparto ......1.4.4 Il rischio operativo 1.5...
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FACOLTÀ DI ECONOMIA
CORSO DI LAUREA IN
INTERMEDIARI, FINANZA INTERNAZIONALE E RISK
MANAGEMENT
TESI DI LAUREA MAGISTRALE
IN
“RISK MANAGEMENT DELLE BANCHE ED ASSICURAZIONI”
L’evoluzione della vigilanza prudenziale nel comparto
assicurativo: il passaggio da Solvency I a Solvency II
Relatore:
Chiar.ma Prof.ssa
Pasqualina Porretta Laureando:
Correlatore: Michele Finazzi Agrò
Chiar.mo Prof. Matricola: 1125864
Fabrizio Santoboni
ANNO ACCADEMICO 2009-2010
1
INTRODUZIONE
CAPITOLO I. PRESUPPOSTI ALLA BASE DELL’ADOZIONE DI SOLVENCY II
1.1 La vigilanza sulle assicurazioni in Italia
1.2 La vigilanza sulle assicurazioni a livello europeo
1.2.1 L’EIOPC
1.2.2 Il CEIOPS
1.3 Introduzione ai concetti di solvibilità e di Risk Management
1.3.1 L’importanza della solvibilità nelle aziende assicurative
1.3.2 Il margine di solvibilità
1.4 I rischi caratteristici dell’attività assicurativa
1.4.1 Il sistema dei controlli interni e il Risk Management
1.4.2 I rischi della gestione finanziaria
1.4.3 I rischi tecnici
1.4.4 Il rischio operativo
1.5 Evoluzione storica del requisito di solvibilità nell’Unione Europea
1.5.1 Il rapporto Muller
1.5.2 Solvency I
1.6 Altri modelli di calcolo della solvibilità
1.6.1 Regno Unito: Enhanced Capital Requirements e Individual Capital Adequancy
Standard
1.6.2 Lo Swiss Solvency Test in Svizzera
1.6.3 Il sistema Risk Based Capital negli Stati Uniti
CAPITOLO II. IL PROGETTO SOLVENCY II
2.1 Caratteristiche e principi generali
2.1.1 Il ruolo del CEIOPS nel progetto Solvency II
2.2 Il primo pilastro
2.2.1 Fondi propri
2.2.2 Il Calcolo del SCR: modello standard
2.2.3 I modelli interni
2.2.4 I requisiti patrimoniali di gruppo
2.3 Il secondo pilastro
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2.3.1 Disposizioni per il sistema di vigilanza
2.3.2 Disposizioni in materia di Corporate Governance
2.4 Il terzo pilastro
2.5 Interazioni tra i pilastri
2.6 Differenze e analogie con altri sistemi regolamentari: Solvency I
2.6.1 Differenze e analogie con Basilea II
2.6.2 Differenze ed analogie col RBC americano
CAPITOLO III. IL POSSIBILE IMPATTO DELLA NUOVA NORMATIVA
3.1 Il ruolo dei Quantitative Impact Studies (QIS)
3.1.1 I risultati del QIS 4
3.1.2 Il QIS 5
3.2 Le implicazioni per il business delle assicurazioni
3.2.1 Ramo vita
3.2.2 Ramo non-vita
3.3 L’impatto a livello organizzativo
3.3.1 La qualità dei dati
3.4 L’impatto sui requisiti quantitativi
3.4.1 Implicazioni per la strategia d’investimento
3.4.2 L’ottimizzazione della struttura di capitale
3.5 Le conseguenze sulla stabilità finanziaria
3.5.1 Le conseguenze sul rating degli assicuratori
3.5.2 Le ripercussioni per il sistema bancario
3.6 Il possibile impatto sul mercato italiano
CAPITOLO IV. UN’APPLICAZIONE PRATICA DELLA NORMATIVA
4.1 Il caso dell’azienda Alfa
4.2 Calcolo del requisito patrimoniale secondo Solvency I
4.3 Calcolo del requisito patrimoniale secondo Solvency II
4.4 Conclusioni
Bibliografia
Sitografia
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Introduzione
Il settore assicurativo svolge da sempre un ruolo fondamentale all‟interno del sistema
finanziario ed economico internazionale sia a livello microeconomico, attraverso la
copertura di rischi che un singolo individuo non sarebbe in grado di affrontare con le
proprie sole forze, sia macroeconomico, contribuendo a rafforzare l‟efficienza e la
stabilità dell‟economia tramite il trasferimento dei rischi.
Ma le stesse compagnie d‟assicurazione sono esposte, nello svolgimento della propria
attività, ad una serie di rischi che quotidianamente mettono in pericolo la solvibilità
dell‟impresa, ovvero la sua capacità di far fronte agli impegni assunti nei confronti degli
assicurati.
Da ciò si deduce la fondamentale importanza che riveste il controllo del livello della
solvibilità stessa non solo da parte dell‟assicuratore, ma più in generale da parte delle
Autorità di vigilanza nazionali ed internazionali, il cui fine ultimo è quello di preservare
la stabilità di tutto il sistema economico.
Al fine di una sempre migliore misurazione dei rischi attinenti alle compagnie
assicurative e del livello di solvibilità che da essi scaturisce, negli ultimi anni sono stati
compiuti numerosi sforzi da parte dei legislatori che hanno portato alla stesura di nuove
regolamentazioni in materia di vigilanza assicurativa.
In particolare, a livello europeo, nei primi anni del nuovo millennio, si è dato vita ad
una serie di lavori e di progetti che hanno dapprima portato alla redazione, nel 2002, di
un insieme di direttive che ha preso il nome di Solvency I e, successivamente, alla luce
delle lacune riscontrate in tale sistema di vigilanza, alla stesura di un‟unica direttiva
comunitaria, nota come Solvency II, che è stata pubblicata sul finire del 2009 e che ha
apportato dei sostanziali cambiamenti nella valutazione della solvibilità delle
compagnie di assicurazione, le quali, grazie alla nuova regolamentazione, si troveranno
obbligate ad avere una sempre maggiore consapevolezza del proprio profilo di rischio.
È proprio dello studio di quest‟ultima normativa che si occupa il presente lavoro,
definendone i presupposti e le caratteristiche e analizzandone i potenziali impatti sia sul
settore assicurativo che sul più ampio sistema finanziario internazionale.
4
A tal fine, sono state prese in considerazione numerose pubblicazioni scientifiche
nazionali ed internazionali sul tema della solvibilità, mentre, per quanto riguarda la
direttiva e le sue possibili implicazioni, data la forte attualità dei temi trattati, sono stati
consultati articoli tratti da riviste, quotidiani e siti internet. Molto importante è stato il
ricorso ai database delle Autorità di vigilanza sia italiane che europee, mentre, per
quanto riguarda l‟applicazione pratica della normativa, ci si è basati sui dati di bilancio
di una compagnia di assicurazioni di cui non è possibile rivelare il nome per motivi di
riservatezza, grazie anche all‟aiuto di alcuni responsabili dell‟attuariato vita della
compagnia stessa.
Entrando nello specifico della struttura della tesi, nel primo capitolo, dopo aver elencato
i maggiori organi responsabili della vigilanza assicurativa italiana ed europea, ci si è
soffermati, inizialmente, sulla definizione di alcuni concetti fondamentali per la
comprensione dei temi trattati e di come essi si inseriscano nel contesto delle compagnie
di assicurazione.
Successivamente, è stato introdotto brevemente il processo che ha portato alla
realizzazione del progetto Solvency I, specificando le caratteristiche fondamentali di
quest‟ultimo e confrontandolo con le regolamentazioni di altri paesi.
Nel secondo capitolo, invece, si è entrati nel vivo della nuova normativa, focalizzando,
in primo luogo, l‟attenzione sugli studi che ne hanno accompagnato la stesura e,
successivamente, chiarendo nei dettagli quali sono le principali disposizioni in essa
contenute. Infine, sono state analizzate anche per Solvency II le analogie e le differenze
con gli altri sistemi regolamentari.
All‟interno del terzo capitolo si è inteso esaminare quelli che potrebbero essere i
possibili risvolti della nuova regolamentazione per il settore assicurativo e per il sistema
finanziario, secondo il parere di alcuni esperti e secondo quelli che sono stati i risultati
scaturiti dagli studi d‟impatto avviati dal CEIOPS (Comitato delle Autorità europee di
vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali), per volontà
della Commissione Europea. Nell‟ultimo paragrafo di questo capitolo, inoltre, ci si è
concentrati specificatamente su quelle che potrebbero essere le ripercussioni per il
mercato italiano.
Infine, nel quarto capitolo del presente lavoro, si è voluto sperimentare, tramite
un‟applicazione pratica, quelli che potrebbero essere i possibili cambiamenti nei
5
requisiti di un‟impresa d‟assicurazione – denominata Alfa –, con determinati dati di
bilancio e uno specifico profilo di business.
6
CAPITOLO I
Presupposti alla base dell’adozione di Solvency II
1.1. La vigilanza sulle assicurazioni in Italia
In Italia la distribuzione delle competenze tra i vari Organi di vigilanza prevede un
approccio per così dire “misto” in cui si sovrappongono due modelli: il modello
orizzontale (approccio per finalità) e quello verticale (approccio per istituzioni).
Proprio in base a quest‟ultimo, che assegna alla Banca d‟Italia la vigilanza sul settore
bancario e alla COVIP quella sui fondi pensione, è stata scelto l‟ISVAP (Istituto per la
Vigilanza delle Assicurazioni Private) come organo competente in materia assicurativa.
Istituito con la legge 576 del 12 agosto 1982, l‟ISVAP è un ente dotato di personalità
giuridica di diritto pubblico e si configura come un‟Autorità indipendente dotata di
autonomia giuridica, patrimoniale, contabile, organizzativa e gestionale. Gli organi che
lo compongono sono il presidente (attualmente il dott. Giancarlo Giannini), con
funzione di direttore generale e il consiglio composto da sei membri oltre al presidente
medesimo. Quest‟ultimo è scelto tra persone di indiscussa moralità ed indipendenza,
particolarmente esperte nelle discipline tecniche ed amministrative interessanti l'attività
assicurativa, ed è nominato con decreto del Presidente della Repubblica, previa
deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'attività
produttive. Alla nomina si applicano le disposizioni della legge 24 gennaio 1978, n. 14.
I componenti del consiglio, invece, sono nominati con decreto del Presidente del
Consiglio dei Ministri, di concerto con il Ministro delle Attività produttive; durano in
carica quattro anni e possono essere confermati per non più di due volte. Essi devono
essere scelti fra persone di indiscussa moralità e indipendenza e di approvata
competenza nelle materie tecniche o giuridiche interessanti le attività assicurative e
finanziarie.
7
I componenti del consiglio non possono esercitare alcuna attività, remunerata o gratuita,
in favore degli enti e delle imprese di cui all'articolo 4 o di enti e società con essi
comunque collegati1.
L‟organigramma dell‟ISVAP è formato, inoltre, da 17 servizi, a loro volta suddivisi in
11 sezioni e 9 uffici.
Figura 1: Organigramma ISVAP
Fonte: www.isvap.it
Per una visione complessiva più specifica, le funzioni di vigilanza vengono svolte per
gruppi assicurativi ed affidate a due servizi che operano in maniera speculare.
L‟unica funzione interamente accentrata in unico servizio, invece, è la vigilanza
ispettiva.
1 Sito ufficiale ISVAP: www.isvap.it
Presidenza Direzione generale
Staff di presidenza
Ufficio staff di presidenza
Internal auditing
Vice-direzione generale
Vigilanza I
Vigilanza II
Ispettorato
Vigilanza intermediari e
periti
Tutel degli utenti
Studi
Risorse umane
Contabilità e Amm.ne
Organ.ne sistemi
Direzione coordniamento
giuridico
Sanzioni
Liquidazione ordinarie e coatte
amministrative
8
L„ISVAP ha come compito istituzionale quello di tutelare la sana e prudente gestione
degli intermediari assicurativi, garantendone altresì la trasparenza e la correttezza dei
comportamenti al fine di salvaguardare la stabilità, l„efficienza, la competitività del
sistema assicurativo, a garanzia degli interessi degli assicurati e dell„utenza in generale.
Altro compito dell„Autorità di vigilanza è quello di controllare costantemente i rischi di
instabilità che possono derivare da una concorrenza troppo elevata coniugata con dosi
eccesive di rischio; ciò al fine di perseguire la solidità finanziaria e patrimoniale e
dunque l„imprescindibile condizione della stabilità del sistema assicurativo e,
conseguentemente, del sistema finanziario nel suo complesso.2
Tale attività viene svolta attraverso poteri di natura autorizzatoria, prescrittiva,
accertativa, cautelare e repressiva.3
L'ISVAP esercita queste sue funzioni di vigilanza nei confronti4:
* delle imprese che esercitano nel territorio della Repubblica italiana attività di
assicurazione e riassicurazione;
* dei gruppi assicurativi e dei conglomerati finanziari nei quali tali imprese sono
incluse, in conformità alla specifica normativa ad essi applicabile (c.d. vigilanza
"supplementare");
* degli intermediari di assicurazione e di riassicurazione, dei periti e di ogni altro
operatore del mercato assicurativo;
* dei soggetti che in qualunque forma svolgono funzioni parzialmente comprese nel
ciclo operativo delle imprese di assicurazione o di riassicurazione, limitatamente ai
profili assicurativi e riassicurativi.
Le suddette funzioni sono molteplici, ma nello specifico le più importanti sono:
-concessione dell‟autorizzazione all‟esercizio dell‟attività assicurativa;
-controllo continuo della gestione tecnico-assicurativa, patrimoniale e contabile dei
soggetti controllati;
-vigilanza sull‟osservanza delle leggi e dei regolamenti in materia assicurativa da parte
delle imprese e dei loro agenti;
-assicurare la trasparenza per la tutela dei consumatori;
2 SELLERI L., (2003), Impresa di assicurazione e strategia del valore, ETAS, Milano, pagg. 81 e segg.
3 Codice delle Assicurazioni 2008, articolo 5
4 Codice delle Assicurazioni 2008, articolo 6
9
-accoglimento dei reclami da parte dei consumatori in un apposito registro5 e potere
correttivo, repressivo e sanzionatorio nei confronti dei soggetti vigilati;
-rilevamento dati di mercato per la formazione delle tariffe e delle condizioni
contrattuali delle polizze;
-fornire con cadenza annuale un rapporto sulla politica assicurativa al Ministro dello
Sviluppo Economico, contenente, tre le altre cose, eventuali proposte di risanamento del
settore presentate dalle società assicurative;
-promozione di ogni forma di collaborazione ritenuta necessaria con le altre Autorità di
vigilanza finanziaria e con gli Organi di controllo assicurativi dei Paesi comunitari.
In Italia vige il principio della specializzazione operativa6 per le compagnie assicurative
secondo cui esse non possono esercitare la propria attività sia nel ramo vita che nel
ramo danni. Le imprese che volessero derogare a tale principio sono tenute ad una
gestione amministrativa e contabile separata per ciascun ramo.7
Con queste disposizioni si mira ad eliminare, o comunque ridurre, i rischi
imprenditoriali estranei all‟attività assicurativa e a fornire ulteriore protezione verso gli
assicurati del ramo vita, che sono così garantiti da eventuali risultati negativi scaturiti
nella gestione danni.
Per quanto riguarda l‟autorizzazione all‟attività concessa dall‟ISVAP, quest‟ultima è
subordinata al possesso di determinati requisiti8:
la forma giuridica di società per azioni, società cooperativa e di mutua
assicurazione;
il possesso del capitale sociale minimo richiesto pari ad un ammontare compreso tra
i cinque milioni e un milione e cinquecentomila euro a seconda dei rami (o del
fondo di garanzia nel caso di società di mutua assicurazione);
la presentazione, unitamente all„atto costitutivo e statuto, di un programma
concernente l„attività iniziale e la struttura organizzativa e gestionale;
il possesso di requisiti di onorabilità da parte di titolari di partecipazioni rilevanti ,
nonché dei requisiti di onorabilità, professionalità e indipendenza dei soggetti che si
occupano dell„amministrazione, direzione e controllo;
5 Cosiddetto registro dei reclami istituito con circolare ISVAP 518 del 21 Novembre del 2003
6 Codice delle Assicurazioni private, Art 11, comma 2
7 Regolamento ISVAP n.17
8 Codice delle Assicurazioni private, Art 58
10
l„assenza, tra l„impresa o i soggetti del gruppo di appartenenza e altri soggetti, di
stretti legami che ostacolano l„effettivo esercizio delle funzioni di vigilanza.
Circa l‟importante funzione di controllo della situazione patrimoniale e finanziaria delle
imprese, l‟ISVAP si occupa di verificare il possesso dei requisiti di solvibilità e di
riserve tecniche sufficienti per fronteggiare le attività svolte, nonché di attivi congrui
alla loro integrale copertura.
Queste, d‟altronde, rappresentano condizioni indispensabili per l„esercizio dell„attività
assicurativa e proprio per questo, il legislatore stabilisce criteri precisi e abbastanza
severi per il calcolo delle riserve tecniche a seconda dei rami9, mentre, per quanto
concerne il margine d solvibilità, elemento introdotto su sollecitazione comunitaria,
impone il mantenimento di un rapporto fra volumi di attività e margine stesso non
inferiore ad una determinata soglia.
Tutte le molteplici norme di vigilanza del settore, che prima non trovavano una comune
collocazione, sono contenute dal 1° Gennaio del 2006 nel Codice delle Assicurazioni10
.
1.2. La vigilanza sulle assicurazioni a livello europeo
La sempre maggiore integrazione a livello internazionale dei mercati finanziari ha reso
sempre più indispensabile l‟adozione di organismi sovranazionali che coordinassero
l‟attività delle Autorità di vigilanza nazionali. In tale ottica la Commissione europea
nominò nel 2000 un comitato di “saggi”, presieduto dal barone Alexander Lamfalussy
per valutare le misure da adottare per far fronte a questo nuovo scenario.
Alla fine del proprio lavoro, il comitato propose l‟adozione di una nuova procedura
articolata su quattro livelli, nota appunto come “Procedura Lamfalussy”, con l‟obiettivo
di semplificare e velocizzare il processo legislativo comunitario per quanto riguardava i
servizi finanziari. Tale proposta venne approvata nel marzo del 2002 dal Consiglio
europeo.
La procedura fu applicata però, inizialmente, al solo settore mobiliario11
e, solo in
seguito, attraverso la direttiva 1 del 2005, si decise di estendere l‟utilizzo della struttura
tipica di Lamfalussy anche all‟area bancaria, assicurativa e a quella dei fondi pensione:
9 Codice delle Assicurazioni private, Art.36 e 37
10 D.Lgs. 7 Settembre 2005, n.209
11 Direttiva CE 527 del 2001
11
il risultato di tale decisione nel campo assicurativo è stata la scomparsa del vecchio
Insurance Committee e la creazione di un due nuovi comitati: l‟EIOPC (Comitato
europeo delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali), per quanto
riguarda il secondo livello e il CEIOPS (Comitato delle Autorità europee di vigilanza
delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali) per il terzo.
In realtà tali organismi erano stato già stato introdotti rispettivamente, con le direttive 9
e 6 del 2004, ma si era deciso che sarebbero entrati in funzione solo dopo l‟adozione di
nuove regole riguardanti la funzione di consulenza dell‟ Insurance Committee.
Per quanto riguarda il settore bancario furono istituiti, invece, rispettivamente, il
Comitato Bancario Europeo12
(EBC) e il Comitato delle Autorità europee di vigilanza
bancaria (CEBS)13
.
Al primo livello della procedura sopra descritta vengono definiti le regole e i principi
alla base delle nuove normative attraverso un processo di “codecisione” che coinvolge
sia il Parlamento europeo che il Consiglio.
Nell‟ambito del secondo livello, vengono stabilite, tramite provvedimenti specifici della
Commissione Europea approvati dai rappresentanti dei singoli stati membri, le
procedure tecniche per rendere operativi i principi stabiliti al livello precedente.
Arrivati al terzo livello, entrano in gioco i comitati di esperti dei vari settori (CESR,
CEBS e CEIOPS) che coordinano l‟applicazione delle disposizioni regolamentari
scaturite dal primo e secondo livello, all‟interno della legislazione degli stati membri.
Nel quarto livello la Commissione Europea verifica l‟effettiva conformità dei vari paesi
alla legislazione comunitaria ed interviene, adottando vari tipi di provvedimenti, nel
caso in cui ciò non si realizzi.
12
Direttiva CE 10 del 2004 13
Direttiva CE 5 del 2004
12
Figura 2: Rappresentazione processo Lamfalussy
C‟è da dire che la recente crisi finanziaria ha dimostrato come grandi passi debbano
essere ancora fatti affinché il sistema di regolamentazione europeo sia sufficientemente
omogeneo: si afferma infatti14
, che una delle ragioni fondamentali della crisi stessa sia
stata proprio l‟eccessiva discrezionalità lasciata alle singole Autorità nazionali,
dichiarando sostanzialmente con ciò il fallimento dell‟obiettivo che ci si era preposti
con l‟adozione della procedura Lamfalussy.
14
GRUPPO DE LAROSIERE, (2009), The High-Level group on financial supervision in the EU,
Bruxelles
Livello 2: Misure attuative
Livello 3: Implementazione a livello
nazionale
Livello 4: Controllo dell‟applicazione
della legislazione emanata
Livello 1: Predisposizione direttiva
13
Si è osservato in particolare, che è stato lasciato troppo margine di scelta fin dal primo
livello della struttura, rendendo conseguentemente impossibile per i comitati di terzo
livello imporre soluzioni omogenee, dato che le normative di livello 1 non possono
essere modificate dal terzo livello.
In campo assicurativo, ad esempio, esistono divergenze profonde su aspetti riguardanti
l‟autorizzazione e la definizione delle riserve tecniche.
Per evitare che si ripresentino situazioni di questo tipo, è stato proposto di rivedere la
vigilanza comunitaria nell‟ottica di una continua ricerca della stabilità a livello
internazionale, raggiungibile attraverso un maggiore coerenza della regolamentazione
internazionale e un rafforzamento della cooperazione tra le Autorità di vigilanza
nazionali: in questo contesto si prevede un rafforzamento di quelli che sono i poteri in
capo ai comitati di terzo livello.
La nuova architettura di vigilanza15
, secondo il pacchetto di proposte della
Commissione, sarà fondata sulla creazione di un‟entità centrale per la vigilanza
macroprudenziale contro il rischio sistemico (European Systemic Risk Board - ESRB)
ed una rete di supervisori finanziari (European System of Financial Supervisors –
ESFS) per la vigilanza microprudenziale. Quest‟ultima sarà formata sia dagli attuali
Comitati di terzo livello che verranno trasformati in tre Autorità con personalità
giuridica (l‟EBA per le banche, l‟EIOPA per le assicurazioni e i fondi pensione,
l‟ESMA per il mercato mobiliare) sia dalle Autorità nazionali, alle quali viene
confermata la responsabilità di vigilare sulle entità stabilite in ciascun Paese.
Nel nuovo disegno, inoltre, le Autorità nazionali potranno incidere sul processo
decisionale europeo soltanto indirettamente, mediante il supporto tecnico che
forniscono alle Autorità politiche in occasione delle riunioni dei Comitati di secondo
livello secondo l‟approccio Lamfalussy.
Per quanto concerne il comparto assicurativo, in particolare, sebbene meno esposto al
rischio sistemico in quanto, ad esempio, minori sono le possibilità di contagio (a
differenza delle banche, le assicurazioni non si prestano soldi a vicenda), va tenuta in
conto la possibilità che situazioni di crisi riguardanti soggetti di grandi dimensioni
appartenenti a tale settore, possano compromettere la stabilità complessiva del sistema
finanziario. Proprio per questo, la segnalazione all‟ESRB di fenomeni inerenti il
15
Comunicazione 252 della Commissione Europea del 27.5.2009
14
mercato assicurativo sarà garantito dalla presenza - nel Board - del Presidente della
nuova Autorità europea per la vigilanza microprudenziale specifica di settore. Inoltre le
Autorità nazionali assicurative potranno partecipare direttamente o coordinarsi con
l‟Autorità nazionale designata a sedere nel Board. Ciò permetterà ai rappresentanti del
settore assicurativo di fornire il loro specifico apporto che potrà servire come base per
lo sviluppo di raccomandazioni che tengano conto degli specifici rischi e del modello di
business dell‟attività assicurativa.
Perplessità riguardo il nuovo sistema sono state espresse dall‟ANIA16
(Associazione
Nazionale Fra Le Imprese Assicuratrici), secondo cui è discutibile la scelta di affidare
ad un organismo esterno rispetto al sistema europeo delle banche centrali la
responsabilità della sorveglianza sistemica. I principali strumenti per il raggiungimento
della stabilità infatti, sono proprio quelli gestiti dalla BCE, nell‟ambito della politica
monetaria, quali: la movimentazione dei tassi di rifinanziamento, la variazione delle
riserve o del capitale delle banche ed ancora i vincoli sulla liquidità e la trasformazione
delle scadenze. Tuttavia, il segretariato del nuovo organismo sarà assicurato dalla BCE
e, inoltre, l‟ESRB non avrà personalità giuridica né autonomi poteri di intervento: si
tratta in pratica di un meccanismo di coordinamento rafforzato tra le Autorità monetarie
e finanziarie europee attorno alla BCE, più che di un nuovo organismo.
L‟ANIA ha inoltre criticato il fatto che le raccomandazioni dell‟ESRB, prima di essere
pubblicata, dovranno prima passare per la consultazione dell‟ECOFIN (insieme dei
Ministri dell'Economia e delle Finanze dei 27 stati membri della Unione europea riuniti
in seno al Consiglio dell'Unione europea), in quanto sostiene che “i governi non amano
esser richiamati quando conducono politiche destabilizzanti e trovano presto l‟accordo
quando si tratta di nascondere all‟opinione pubblica fatti politicamente imbarazzanti.”
1.2.1. L’EIOPC
L‟EIOPC, come detto, è il comitato di secondo livello per quanto riguarda il comparto
assicurativo. Esso, sostanzialmente, è un organo consultivo che consigliare la
16
Intervento del presidente dell‟Assonime Luigi Abete presso la Commissione 6^ (Finanze e Tesoro) del
Senato della Repubblica, (2010), Indagine conoscitiva sugli strumenti di vigilanza europea dei mercati
finanziari, creditizi e assicurativi, pag. 4.
15
Commissione, su richiesta della stessa, sulle questioni politiche riguardanti
l'assicurazione, la riassicurazione e le pensioni aziendali o professionali nonché sulle
proposte della Commissione in materia. Il comitato deve esaminare tutte le questioni
riguardanti l'esecuzione delle disposizioni e, soprattutto, delle direttive comunitarie
relative ai suddetti settori.
La competenza del comitato è a livello macro, quindi ad esso non è demandata l‟analisi
di casi riguardanti singoli attori dei settori considerati, né tantomeno gli dev‟essere
richiesto di prendere in considerazione questioni riguardanti il diritto sociale e del
lavoro (organizzazione dei regimi professionali, redazione dei contratti collettivi ecc.)
Il comitato, che è composto da rappresentanti ad alto livello degli Stati membri ed è
presieduto da un rappresentante della Commissione, si riunisce ad intervalli regolari e
ogniqualvolta la situazione lo renda necessario.
Dall‟altro lato, invece, l‟ISVAP ha espresso la propria approvazione per il nuovo
modello, sottolineando in particolare come quest‟ultimo, attraverso la separatezza
settoriale della sua architettura, abbia salvaguardato quelle che sono le specificità del
settore assicurativo e le sue profonde differenze con quello bancario e mobiliare,
proprio come accade nel modello del nostro Paese.
1.2.2. Il CEIOPS
Il Comitato è composto dai più alti rappresentanti delle Autorità di vigilanza degli Stati
membri dell‟Unione europea sulle assicurazioni, le riassicurazioni e sulle pensioni
aziendali o professionali. Le Autorità degli altri Stati membri dello Spazio economico
europeo (Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e la Commissione europea partecipano alle
attività del CEIOPS in qualità di osservatori.17
Il CEIOPS partecipa ad attività sia di secondo che di terzo livello del processo di
Lamfalussy, fornendo consulenza alla Commissione europea sull‟elaborazione di
misure di attuazione delle direttive quadro e dei regolamenti in materia di assicurazioni
e pensioni aziendali o professionali, e pubblicando, periodicamente, raccomandazioni e
linee guida riguardanti criteri di vigilanza per il costante miglioramento
17
In tal senso si rinvia al sito internet: www.ceiops.eu
16
dell‟applicazione efficace e convergente dei regolamenti e la promozione di una sempre
maggiore cooperazione tra Autorità di vigilanza nazionali.
Più nello specifico, il ruolo del CEIOPS attualmente è di consigliare la Commissione
Europea, su richiesta della stessa o su iniziativa del Comitato, in particolare sulla
preparazione di progetti di misure attuative nelle materie di sua competenza, e di
contribuire alla coerente attuazione delle direttive UE. Esso funge anche da organo per
la cooperazione, facilitando lo scambio di informazioni sugli istituti controllati e
adoperandosi per il raggiungimento della convergenza della vigilanza sulle compagnie
di assicurazione e sui fondi pensione.
Almeno due volte all‟anno il comitato fornisce alla Commissione valutazioni in merito
alle tendenze microprudenziali, ai rischi potenziali e alle vulnerabilità del settore. In
queste valutazioni viene inclusa una classifica dei rischi e delle vulnerabilità principali,
la misura in cui tali rischi e vulnerabilità costituiscono una minaccia per la stabilità
finanziaria e, laddove necessario, proposte di azioni preventive o correttive.
Il CEIOPS, per quello che riguarda le proprie competenze, partecipa al lavoro di altri
comitati istituiti dall‟UE per la vigilanza del sistema finanziario, quali il Comitato
economico e finanziario (CEF), il Comitato dei servizi finanziari (FSC), lo stesso
EIOPC e gli altri comitati di livello 3, con i quali collabora in tutte quelle aree rilevanti
a livello multisettoriale
La direttiva con cui era stato istituito e regolato il CEIOPS è stata recentemente
abrogata e sostituita dalla direttiva CE 79 del 2009, che prevede provvedimenti
aggiuntivi per quanto riguarda il ruolo del comitato all‟interno della procedura
Lamfalussy.
Il CEIOPS è un comitato sostanzialmente indipendente, anche se costituito con
decisione della Commissione Europea. Considerato il suo ruolo, il Comitato deve
rendere conto (cioè deve essere accountable) nei confronti di una serie di stakeholders,
prima di tutto la Commissione e i rappresentanti politici, il Parlamento e il Consiglio.
Il CEIOPS nel suo lavoro deve utilizzare – è questo è un altro aspetto fondamentale
delmodello “Lamfalussy” – la massima trasparenza e deve servirsi di un ampio processo
diconsultazione. Il Public statement on consultation practices del CEIOPS, disponibile
sul sito web del comitato, definisce gli impegni del CEIOPS nel processo di
consultazione.
17
1.3. Introduzione ai concetti di solvibilità e di Risk Management
La solvibilità è da sempre considerato uno dei parametri fondamentali per giudicare il
merito creditizio di un affidato e, in particolare, di un intermediario finanziario: essa
rappresenta la capacità dell‟affidato stesso di mantenere il valore dell‟attivo corrente
maggiore rispetto a quello del passivo.
Perché un soggetto sia considerato solvibile è necessario che questo abbia
costantemente a disposizione mezzi propri tali da coprire ogni eventuale esigenza di
capitale, comprese, dunque, le situazioni di necessità impreviste.
Il concetto di solvibilità viene spesso confuso con quello di liquidità che rappresenta la
capacità di adempiere alle obbligazioni regolarmente, ovvero nei modi e nei tempi
previsti contrattualmente. Già da questa prima definizione, è chiara la prima distinzione
tra i due suddetti concetti: mentre la solvibilità riguarda una condizione che dev‟essere
mantenuta in ogni momento della vita di un‟impresa, intermediario, ecc., la liquidità si
riferisce maggiormente ad un orizzonte temporale di breve periodo. Da questo deriva
l‟individuazione di un certo grado di correlazione tra le due condizioni che
generalmente è strettamente positiva: infatti, guardando a periodi non brevi, appare
chiaro che un intermediario non liquido è esposto a un rischio crescente di insolvenza,
poiché è costretto a liquidare attività a prezzi di cessione sfavorevoli, e che, dall‟altra
parte, un intermediario non solvibile è esposto ad un elevato rischio di liquidità poiché i
suoi creditori manifestano una crescente preferenza a riscuotere i rispettivi crediti.
Un‟altra distinzione è rinvenibile, infine, nel diverso grado di riversibilità delle due
situazioni: l‟insolvibilità è infatti irrimediabile e deve condurre alla liquidazione,
mentre l‟ illiquidità può essere una condizione soltanto temporanea.
Tornando al concetto che a noi più interessa, quello di solvibilità, è fondamentale
rilevare come, alla base del mantenimento di tale condizione, vi sia l‟individuazione di
un insieme di rischi cui l‟intermediario va incontro nello svolgimento della propria
attività, che quest‟ultimo dovrà cercare in tutti i modi di eliminare o, se questo non è
possibile, di ridurre e contenere la propria esposizione verso di essi.
Ma cos‟è un rischio? Per spiegarlo ci affidiamo alle parole di F.H.Knight che lo
definiva come: “una determinante fondamentale di una situazione aleatoria in cui il
futuro è prevedibile attraverso calcoli con cui si attribuisce valori di probabilità ai
18
diversi stati del mondo18
.” Dunque, seguendo tale definizione possiamo notare come il
rischio non sia considerata una situazione totalmente incerta, ovvero un evento
assolutamente impossibile da misurare probabilisticamente. Tuttavia, recentemente si è
negata la possibilità di effettuare tale distinzione in quanto si è sostenuto che qualsiasi
tentativo di valutazione e misurazione della casualità degli eventi sia sempre
condizionata da una componente soggettiva e personale.
Di fatto, invece, secondo i fautori di quest‟ultima teoria, il rischio è profondamente
connaturato con qualsiasi tipo di attività economica e la valutazione e la gestione
dell„incertezza costituiscono l„essenza stessa dell„attività imprenditoriale. Si può
constatare come, operativamente, il rischio economico di un„impresa è configurabile
nelle variazioni (positive o negative) dei risultati economici di esercizio rispetto a quello
che può considerarsi il risultato medio normale atteso: i rischi che posso portare sia
effetti positivi che negativi vengono definiti rischi speculativi, quelli che portano
esclusivamente ad un danno per chi ne è soggetto vengono, invece, denominati rischi
puri.
A ben vedere, la variabilità dell„andamento economico della gestione può dipendere da
diverse cause che, comunque, hanno tutte a fondamento negli errori di previsione: ogni
impresa, infatti, opera sulla base di budget e se le condizioni e le quantità pianificate ex-
ante non si verificano si producono, inevitabilmente, variazioni positive o negative nei
risultati. Gli errori in questione possono derivare da una carenza di informazioni e/o di
strumenti di elaborazione delle stesse (errori soggettivi), oppure da una evoluzione dei
fatti e circostanze non previste e non prevedibili sulla base dell„esperienza (errori
oggettivi).
Relativamente al primo tipo di errori (soggettivi) è frequente che i rischi vengano
assunti sulla base di esperienze passate (dati storici) che possono invalidare la corretta
predeterminazione dell„evento futuro. Dall‟altra parte, vi sono, poi, gli errori cosiddetti
oggettivi che non dipendono dal soggetto valutatore, ma da una evoluzione dei fatti
completamente diversa da quella che l„osservazione dei dati statistici consente di
prevedere.
A questo proposito, sempre più importanza sta assumendo per gli intermediari il ruolo
della funzione di gestione del rischio, meglio nota come Risk Management (termine
18
KNIGHT F.H., (1921), Risk, Uncertainty and Profit, HART, SCHAFFNER & MARX, Boston.
19
coniato intorno alla metà degli anni ‟50), che consente all‟intermediario stesso di tenere
conto nella formulazione delle proprie strategie e, in particolare, nell‟allocazione delle
proprie risorse, della propria esposizione complessiva a tutti i rischi individuati,
analizzati e affrontati dai responsabili del risk management stesso. Quest‟ultimo sta
diventando sempre più un fattore critico di competitività per quanto riguarda
l‟intermediazione finanziaria, in quanto una corretta gestione del rischio consente di
ottenere un‟immagine migliore davanti al pubblico degli stakeholders ed una maggiore
redditività nel lungo periodo.
1.3.1. L’importanza della solvibilità nelle aziende assicurative
Com‟è avvenuto nel settore bancario, anche nel settore assicurativo si è assistito ad un
profonda trasformazione di quelle che sono le norme che quotidianamente lo regolano e,
soprattutto, della loro interpretazione da parte degli attori economici : da un sistema
caratterizzato da grande rigidità negli anni `70 si è infatti passati ad uno molto più
flessibile negli anni 2000. Per flessibilità, sia chiaro, non s‟intende la scarsità o
addirittura la mancanza di regole né un‟approssimazione nell‟affrontare questi temi, ma
anzi è richiesta una sempre maggiore precisione nella scelta di norme e requisiti
specifici, che consentano al sistema di autoregolarsi e sopravvivere autonomamente: da
qui deriva, come detto in precedenza, la maggiore importanza assunta dal sistema di
controllo e gestione del rischio interna.
La peculiarità dell‟attività assicurativa, ovvero l`inversione del ciclo dei costi e dei
ricavi, comporta che, a fronte di un premio incassato anticipatamente, segue un esborso,
eventuale, che può talvolta non essere coperto dal premio stesso: l‟esborso, infatti, può
essere stimato inizialmente soltanto attraverso previsioni derivanti da metodi attuariali,
mentre la certezza dell‟importo si avrà in momenti successivi.
Esiste, però, come detto in precedenza, la possibilità di commettere errori che, unita
all‟importante ruolo che le imprese assicurative rivestono nel mercato finanziario, ci
rendono chiaro il motivo per cui la solvibilità e la solidità finanziaria siano requisiti
imprescindibili per un soggetto che operi in questo determinato settore. I due requisiti
sono fondamentali per il raggiungimento di altrettanti obiettivi: la tutela degli assicurati
e la stabilità del sistema finanziario.
20
E‟ stato evidenziato, in dottrina19
, infatti, che i contratti assicurativi contengono una
sorta di promessa implicita di solvibilità nel lungo periodo, in quanto l„assicuratore
garantisce che sarà in grado di onorare l„impegno del risarcimento al verificarsi
dell„evento temuto entro un determinato arco di tempo.
Nel caso di insolvenza di un intermediario assicurativo, gli assicurati subiscono la
perdita, oltre che della garanzia di risarcimento del danno eventualmente provocato
dalla manifestazione del rischio, anche dell„ammontare dei premi già pagati per ottenere
la gestione assicurativa.
Ne deriva che soddisfacenti condizioni si solvibilità costituiscono per gli assicurati, così
come per gli intermediari finanziari, la premessa per la creazione ed il mantenimento di
una buona reputazione che renda gli individui propensi a negoziare contratti finanziari.
In termini generali, il concetto di solvibilità è legato alla probabilità di fallimento: può
pertanto ritenersi solvibile quell„intermediario che riesce a mantenere bassa tale
probabilità.
Si può sostenere che la difesa della solvibilità, e quindi la minimizzazione della
probabilità di fallimento, risultano incentrate primariamente sulla correttezza della
gestione tecnica. La rilevanza anche quantitativa della gestione dei rischi caratterizzante
è tale per cui, in genere, gli impulsi che possono influire sulle condizioni di solvibilità
muovono principalmente dalla gestione caratteristica, cioè dalla gestione dei rischi
assicurati.
La letteratura degli assicurati, in particolare la teoria attuariale del rischio, suggerisce
che, nel processo di determinazione del premio di equilibrio, una delle condizioni da
considerare è la riduzione al valore minimo della probabilità di fallimento.
Date certe condizioni, se l„intermediario realizza una gestione ottimale dei rischi
caratterizzanti, cioè assume una quantità di rischi adeguata rispetto al prezzo stabilito e
alle proprie dimensioni operative e conduce una corretta gestione del portafoglio, esso
dovrebbe riuscire a tutelare le proprie condizioni di solvibilità.
Più in generale, il mantenimento di condizioni di solvibilità, il cui principale indicatore
è rappresentato dalla capacità di reddito producibile, richiede l„attitudine a riassorbire
fisiologicamente le perdite impreviste derivanti da errori di valutazione o da fenomeni
congiunturali inattesi.
19
CAPPIELLO A., (2003), Lineamenti normativi ed economico-tecnici delle imprese assicurative,
FRANCO ANGELI, Milano, pag. 155.
21
Se prendiamo in considerazione la nozione di solvibilità da un punto di vista teorico, ci
è utile rifarci alla definizione dell`International Association of Insurance Supervisors
(IAIS): “Una compagnia di assicurazioni è solvibile se è capace di adempiere le proprie
obbligazioni per tutti i contratti e in tutte le circostanze che si possono ragionevolmente
prevedere“20
.
Ma quest‟accezione è diversa da quella comunemente usata. Se consideriamo il caso di
una famiglia, ad esempio, essa risulterà solvibile se sarà in grado di far fronte alle
proprie spese la cui entità e scadenze saranno precedentemente note (ad esempio un
mutuo). Queste considerazioni conducono ad una considerazione deterministica della
solvibilità, ma anche la famiglia può trovarsi in difficoltà quando sopraggiunge un
esborso non previsto: ad esempio per danni relativi alla casa o alla macchina. La
concezione deterministica è un concetto estremo di solvibilità che non può essere
traslato al campo assicurativo in quanto economicamente non applicabile.
La solvibilità deterministica, infatti, comporterebbe che l‟impresa assicurativa sia in
grado in ogni momento di coprire il massimo delle perdite: dunque una volta che si
saranno raccolti i premi, ciò che non sarà coperto dall‟entità di questi ultimi dovrà
essere garantito con capitale proprio, cosa che renderebbe ovviamente impossibile
l‟operatività della compagnia stessa.
Lo stesso IAIS conferma che: “Per la stessa natura delle assicurazioni, è impossibile
garantire la solvibilità con certezza. Allo scopo di avere una definizione trasferibile in
pratica, è necessario fare chiarezza sull‟adeguatezza degli asset che coprono i sinistri in
relazione a specifiche situazioni, cioè se ci si deve riferire ad affari già esistenti o ad
affari nuovi e futuri. Con riferimento al volume e alla natura degli affari di una
compagnia, si considera l`orizzonte temporale e un accettabile livello di probabilità di
insolvenza”.
Il passaggio successivo, quindi, è quello di definire la solvibilità in senso stocastico, la
cui struttura richiede un modello probabilistico per il rischio e uno scenario.
Collegate al modello probabilistico saranno le formule per calcolare i requisiti di
capitale, ad esempio, le formule di short-cut o i modelli interni.
20
IAIS (2002), Principles on Capital Adequacy and Solvency, Principle 5
22
La solvibilità in senso stocastico è quindi la capacità di far fronte, con assegnata
probabilità, agli impegni aleatori realisticamente descritti da una struttura
probabilistica21
.
1.3.2. Il margine di solvibilità
Per il mantenimento dei sopracitati requisiti di solvibilità e solidità e dei relativi
obiettivi, è richiesto alle imprese assicurative di detenere tra le proprie attività un
determinato ammontare che costituisca una sorta di “cuscinetto” per le situazioni
impreviste che possono presentarsi durante la vita dell‟azienda stessa: questo strumento
è comunemente chiamato Margine di Solvibilità.
L‟articolo 18 della direttiva CEE 79/267 (per il ramo vita) e l‟articolo 16 della direttiva
73/239 (per il ramo danni) stabiliscono che “ciascuno Stato membro impone ad ogni
impresa la cui sede sociale si trova nel suo territorio di disporre di un margine di
solvibilità sufficiente per l' insieme delle sue attività”
Al contrario delle riserve tecniche che sono costituite ex-post, cioè a seguito della
raccolta dei premi derivanti dalla gestione tecnico-assicurativa, il margine è un importo
costituito principalmente dal capitale netto costituito dagli asset liberi da impegni già
assunti. Il capitale netto, infatti, viene opportunamente rettificato togliendo le azioni
proprie, il capitale netto non versato e altre voci che non sono libere da impegni. Per
definire il margine occorre dunque stabilire, in base alla normativa, quali voci far
rientrare in questo computo. Seguendo quelle che sono le direttive del codice delle
assicurazioni, tali voci sono22
:
1) il capitale sociale versato (o se si tratta di mutue assicuratrici il fondo di garanzia
versato);
2) la metà della quota non versata di capitale (a condizione che sia stato versato almeno
il 25% dell‟intero ammontare del capitale sottoscritto);
21
PROSPERETTI M., COLAVOLPE A.,(2009), Banche assicurazioni e gestori di risparmio, IPSOA,
Milano, pag. 678. 22
Articolo 44
23
3) le riserve legali, le riserve statutarie e le riserve facoltative che non abbiano carattere
di poste rettificative o provvisionali;
4) il riporto di utili;
5) i crediti che le società di mutua assicurazione a contributo variabile vantano verso i
soci, entro determinati limiti (solo per i rami danni);
6) su richiesta dell‟impresa e con l‟autorizzazione dell‟Autorità di vigilanza, le
plusvalenze risultanti da sottovalutazione di elementi dell‟attivo e da sopravvalutazione
di elementi del passivo, nella misura in cui tali plusvalenze non abbiano carattere
eccezionale;
7) le azioni preferenziali cumulative ed i prestiti subordinati.
Bisogna specificare che il margine di solvibilità, in quanto destinato a fronteggiare il
rischio generale della compagnia derivante prevalentemente dalle politiche di
assunzione dei rischi assicurati, assume un ruolo complementare rispetto ad altre misure
di prevenzione, in primis rispetto alle riserve tecniche, chiamate anch„esse a garantire
condizioni di solvibilità aziendale in rapporto alla sinistralità assunta a base della
formazione dei premi: in tal senso, il margine di solvibilità rappresenta una garanzia
ulteriore della stabilità finanziaria dell‟impresa. Oltre alle riserve tecniche, vi sono altri
strumenti propri dell‟attività assicurativa che collaborano con il margine di solvibilità ad
una corretta copertura dai rischi: molto importante, ad esempio, è l‟attività di
riassicurazione che permette di trasferire la propria esposizione ad altri soggetti (previa
pagamento di un premio) senza dimenticare la normale attività di risk management.
Importante è anche il concetto di “minimo margine”, che rappresenta una sorta di soglia
nelle valutazioni dell‟impresa: quest‟ultima, una volta considerato un profilo di rischio
(ad esempio la riassicurazione, il numero di polizze in portafoglio, i tipi di polizze, ecc.)
per non andare incontro a problemi di solvibilità deve avere un margine almeno uguale
al minimo. Il calcolo di questa soglia però comporta l‟adozione di metodi molto
complessi e costosi che hanno da sempre provocato una certa avversione verso questo
sistema, soprattutto da parte degli operatori più piccoli e questo ha portato alla ricerca di
metodi caratterizzati da procedure semplificate e, dunque, più facilmente comprensibili.
24
La definizione più semplice di margine di solvibilità fu data da Teivo Pentikainen23
nel
1952 che lo identificò come semplice differenza tra attivi e passivi.
In conclusione possiamo affermare che è difficile individuare una misura del margine
corretta in maniera assoluta, in quanto essa differisce di caso in caso. Anche il criterio
della proporzionalità, che assegna un minimo margine maggiore per imprese di
dimensioni più elevate, è da ritenere privo di fondamento.
In termini generali, comunque, il margine di solvibilità dovrebbe consentire di
raggiungere determinate finalità quali:
-ammortizzare le perdite dovute all‟attività d‟investimento
-ridurre l‟effetto delle oscillazioni legate alla variabilità dei rischi assicurati rispetto alla
media e assorbire le variazioni, non casuali, ma di natura più stabile, intervenute nelle
probabilità di base
-ridurre anche i rischi più generali (calamità naturali, rischi riguardanti i rapporti con i
riassicuratori ecc.)
-essere in grado di fronteggiare le perdite derivanti da errori di gestione
1.4. I rischi caratteristici dell’attività assicurativa
Come tutte le attività economiche, anche quella assicurativa è soggetta a molteplici
rischi che condizionano la variabilità dei risultati che essa andrà ad ottenere.
La tipologia di rischi affrontati dal settore in considerazione sono strettamente collegati
al tipo di attività che in esso viene svolta. Dunque nell‟individuazione dei rischi stessi,
ci accorgeremo che questi differiscono da quelli che andremmo ad incontrare
analizzando la gestione del rischio di una banca, ad esempio. Una delle differenze
fondamentali con quest‟ultime è ascrivibile alla diversa esposizione verso il rischio di
liquidità: mentre l‟intermediario bancario fonda la propria attività sulla trasformazione
delle scadenze e dunque sul “mismatching” tra la durata del passivo (breve termine) e
dell‟attivo (lungo termine), il passivo delle imprese assicurative è composto
principalmente dalle riserve che non potranno essere intaccate su richiesta dei clienti,
ma solo in caso si verifichino definiti eventi di perdita. Dall‟altra parte, anche l‟attivo
23
PENTIKAINEN T., (1952), On the net retention and solvency of insurance companies,
SKANDINAVISK AKTUARIETIDISKRIFT, Helsinki, pagg. 71-92.
25
delle assicurazioni risulta essere molto liquido, in quanto prevalentemente investito in
obbligazioni statali o aziendali e pertanto le imprese assicuratrici saranno molto meno
esposte al rischio di liquidità rispetto alle banche.
L‟unica eccezione a quanto detto sopra può essere riscontrabile in alcuni prodotti del
ramo vita, dove le polizze posso essere rimborsate su richiesta degli assicurati (il
procedimento di rimborso comporta però tempi lunghi e penali assai elevate).
Figura 3: Peso dei vari rischi sull’attività delle diverse tipologie di intermediari finanziari:
Fonte: Indagine ECAP 2006: sommario IFRI redatto da Oliver Wyman sulla base dei report annuali forniti
dalle società.
1.4.1. Il sistema dei controlli interni e il Risk Management
Data la grande importanza assunta dal controllo interno per il corretto svolgimento dei
processi gestionali, si è cercato, soprattutto nell‟ultimo periodo, attraverso
l‟introduzione di Solvency II, di incentivare sempre di più le imprese ad una gestione
integrata dei rischi, che comprenda, quindi, non solo i rischi tipici dell‟attività
assicurativa, ma anche gli altri rischi propri dell‟intermediazione finanziaria in generale:
quali il rischio di credito, di mercato, operativo, ecc..
Ma il nostro paese è stato addirittura precursore rispetto a Solvency stesso: l‟ISVAP,
infatti, aveva già promosso, attraverso la circolare 577 del 2005, la predisposizione per i
26
soggetti vigilati di adeguati sistemi di controllo interno e di gestione dei rischi per
garantire solvibilità alle imprese di assicurazione, sulla base dei principi di sana e
prudente gestione, e conseguentemente, la stabilità del settore tutto.
Nella circolare si specificava che i requisiti quantitativi riguardanti la predisposizione di
accantonamenti, requisiti minimi e attivi idonei alla copertura dei rischi, non sono
sufficienti per il raggiungimento di uno sviluppo equilibrato dell‟impresa. Ad essi
vanno infatti affiancati altri requisiti di natura qualitativa che si sostanziano in
un‟adeguata governance, efficaci ed efficienti sistemi di controllo interno e di
individuazione, valutazione e controllo dei rischi.
Il sistema dei controlli interni, così come concepito dall‟ISVAP, dovrebbe essere in
grado di garantire con un relativo margine di sicurezza:
1. l‟efficienza e l‟efficacia dei processi aziendali che si concretizza nel costante
raggiungimento degli obiettivi operativi e strategici;
2. un adeguato controllo dei rischi che comprende un‟appropriata mappatura,
classificazione e quantificazione dei rischi stessi;
3. l‟attendibilità e l‟integrità delle informazioni contabili e gestionali per un corretto
recepimento sia a livello interno che esterno;
4. la salvaguardia del patrimonio;
5. la conformità dell‟attività dell‟impresa alla normativa vigente, alle direttive e alle
procedure aziendali.
Responsabili di tale processo sono il Consiglio di amministrazione, che deve
assicurarne la costante completezza, funzionalità ed efficacia, anche con riferimento alle
attività esternalizzate, il Comitato per il controllo interno che ha la funzione di indirizzo
e di reazione attiva alle eventuali criticità riscontrate, l‟Alta Direzione, che si occupa
dell‟attuazione, del mantenimento e del monitoraggio del sistema, ed infine un organo
di controllo, solitamente identificato con il Collegio Sindacale, che verifica
l„adeguatezza dell„assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato
dall„impresa e il suo concreto funzionamento.
Per quanto riguarda il Risk Management, invece, le assicurazioni utilizzano un modello
adottato dalla maggior parte degli intermediari finanziari, che è noto con il nome di
ERM (Enterprise Risk Management) ed è definito24
come un processo messo in atto
24
In tal senso si rinvia al sito internet www.coso.org
27
dall‟alta direzione dell‟azienda e dal management, coinvolgendo tutto il personale, per
l‟identificazione dei possibili eventi di rischio, la definizione di una soglia di rischio
accettabile e il raggiungimento di una relativa sicurezza per quanto riguarda il
perseguimento degli obiettivi aziendali.
Per il corretto funzionamento di questo modello è necessario che tutte le sue
componenti operino in maniera efficiente. Tali componenti sono:
L‟ambiente interno, che corrisponde alla cultura aziendale, alla visione del rischio di
coloro che compongono l‟impresa e a come esso viene affrontato;
Definizione degli obbiettivi, in primis strategici e di conseguenza operativi e di
reporting;
Identificazione dei rischi e degli eventi da cui posso scaturire;
Valutazione e misurazione dei rischi, prima a livello singolo e poi a livello
complessivo;
Risposta al rischio, che può realizzarsi evitando, riducendo o accettando il rischio in
considerazione;
Attività di controllo che verifichi l‟effettiva realizzazione delle decisioni di risposta
al rischio;
Raccolta delle informazioni rilevanti e comunicazione sia a livello interno che
esterno;
Monitoraggio continuo al fine di operare eventuali correzioni.
All‟interno delle compagnie assicurative la gestione dell‟ERM viene suddivisa tra
Consiglio di Amministrazione, che si occupa di definire obbiettivi e strategie,
management, che traduce tali strategie a livello pratico, e il personale preposto alla
gestione dei rischi, che si occupa dell‟individuazione, della valutazione e della
misurazione di questi ultimi
A questo proposito, l„art.20 del Regolamento ISVAP n. 20, introdotto nel Marzo del
2008, abrogando e sostituendo la circolare 577, stabilisce che per ciascuna fonte di
rischio individuata, è importante effettuare analisi prospettiche di carattere quantitativo
con l„uso di stress test, i quali si propongono di valutare correttamente l„impatto (sulla
situazione finanziaria dell„impresa) di andamenti sfavorevoli dei fattori di rischio,
considerati singolarmente o combinati in un unico scenario ipotizzato.
28
La principale innovazione prevista nella nuova normativa è però, l‟inserimento di un
capo V dedicato alla disciplina della compliance, di cui l‟articolo 23 predispone la
costituzione e detta alcuni principi per la sua istituzione ed operatività. Si tratta di
principi generali che lasciano le singole imprese libere di individuare le soluzioni
organizzative più appropriate alla natura, dimensioni e complessità del proprio business,
valutando in particolare se costituire una specifica unità organizzativa o avvalersi di
risorse appartenenti ad altre strutture aziendali, ricondotte ad unitarietà attraverso
l‟individuazione di un unico responsabile della funzione.
Viene richiesto che l‟organizzazione della funzione di compliance sia formalizzata in
una specifica delibera dell‟organo amministrativo che, nella sua autonomia, ne definisce
compiti, responsabilità, modalità e frequenza di reportistica agli organi sociali e alle
altre strutture interessate. Deve essere comunque assicurata l‟indipendenza,
professionalità e autorevolezza della funzione, nonché la separatezza dalle funzioni
operative e dalle altre strutture cui sono attribuiti compiti di controllo. L‟indipendenza
va garantita attraverso la presenza di adeguati presidi per prevenire conflitti di interesse,
nel caso in cui alla funzione lavorino risorse di altre aree operative.
Si prevede che l‟attività della funzione di compliance sia sottoposta a verifiche di audit
periodiche da parte della funzione di revisione interna, che ne valuta l‟efficienza e
l‟efficacia.
L‟articolo 24 prevede che, indipendentemente dal modello organizzativo scelto
dall‟impresa, debba essere comunque nominato un responsabile della funzione di
compliance, in possesso di adeguati requisiti di professionalità, indipendenza ed
autorevolezza, cui devono fare riferimento tutte le risorse investite a vario titolo di
compiti di conformità.
Carattere innovativo riveste anche l‟introduzione di una nuova regolamentazione sul
tema del controllo delle attività “esternalizzate” dalle imprese. L‟articolo 25 della
disposizione prevede, infatti, una gamma di opzioni per l‟organizzazione della funzione
di compliance, che consente alle imprese di nominare quale responsabile anche un
amministratore, purché privo di deleghe operative, ovvero di esternalizzare detta
funzione, nel rispetto delle condizioni già previste dalla circolare 577 per l‟affidamento
in outsourcing delle funzioni di revisione interna e di risk management. Al fine di
consentire adeguate economie di scala, si è inoltre previsto che le attività relative alla
29
funzione di compliance possano essere accentrate all‟interno del gruppo assicurativo
attraverso la costituzione di una unità specializzata; ciò a condizione che in ciascuna
impresa sia individuato un referente che curi i rapporti con il responsabile della
funzione di gruppo e che siano adottate procedure atte a garantire che le politiche di
gestione del rischio di non conformità definite a livello di gruppo siano adeguatamente
calibrate rispetto alle caratteristiche operative della singola impresa.
1.4.2. I rischi della gestione finanziaria
La centralità della gestione patrimoniale nell„impresa di assicurazione provoca notevoli
conseguenze sui processi di gestione del rischio, sulla determinazione dei premi, nonché
sulla valutazione delle riserve tecniche iscritte in bilancio. Le oscillazioni di mercato si
ripercuotono sulla gestione tecnica, soprattutto nel caso in cui i premi siano stabiliti in
base al rendimento che si ritiene di poter ottenere investendoli.
Proprio il rischio di mercato è uno dei rischi maggiormente rilevanti per l‟attività
assicurativa, in particolare per quanto riguarda il rischio di cambio e, soprattutto, il
rischio di tasso d‟interesse. Molto importante è anche i ruolo assunto dal rischio di
credito e dal già citato rischio di liquidità (ricordiamo che i rischi che devono essere
obbligatoriamente catalogati dalle imprese assicurative sono comunque catalogati nel
Regolamento 20 dell‟ISVAP).
Per quanto riguarda il rischio di tasso esso può essere definito come il rischio
economico finanziario cui è esposta una istituzione creditizia in relazione ad una
variazione dei tassi d'interesse, misurabile in termini di variazioni potenziali dei margini
d'interesse futuri o del valore attuale del patrimonio netto (inteso come differenza tra il
valore attuale delle attività fruttifere e passività onerose)25
.
Esso, dunque, scaturisce dal cosiddetto mismatching tra le scadenze (generalmente nota
come maturity) di raccolta e impieghi e non solo: può derivare, infatti, anche dai
differenti criteri con cui vengono regolati i flussi (interest rate mismatching), dalle
diverse scadenze periodiche di pagamento (reset date mismatching), o infine dal diverso
tasso di riferimento scelto (basis mismatching).
25
Definizione tratta dal Glossario del sito internet www.unicredit.eu
30
Il rischio di tasso può essere a sua volta suddiviso in rischio di reddito, che deriva dalle
asincronie tra attività e passività che le rendono diversamente sensibili alla variazioni di
mercato, e il rischio d’investimento, che scaturisce invece dalla variazione nel valore del
portafoglio titoli indotta da un mutamento nell‟andamento dei tassi. Riguardo al primo,
nel caso delle imprese assicurative deriva soprattutto dal fatto che la maggior parte delle
variabili costitutive di un contratto assicurativo vengono definite in base a stime
riguardanti uno scenario futuro incerto.
Detto che la crescente integrazione tra gestione tecnica e gestione finanziaria fa sì che i
risultati di quest‟ultima siano fondamentali nella determinazione della prima, c‟è da
notare che mentre il rischio d‟investimento colpisce indifferentemente sia il ramo vita
che il ramo danni, in quanto caratteristico del portafoglio di qualsiasi tipo
d‟intermediario, l‟esposizione al rischio di reddito dipende dalla tipologia di attività in
considerazione: nel ramo danni, infatti, tale rischio attiene esclusivamente al lato
dell‟attivo, poiché per le passività non risulta fissato contrattualmente alcun tasso e,
comunque, vi è frequentemente la possibilità di rinegoziare i contratti a nuovi tassi di
riferimento. Nel ramo vita, data la natura di risparmio sovente attribuitagli, vi sono
alcune tipologie di polizze, quali, ad esempio, i contratti di capitalizzazione pura, in cui
si riscontra un vero e proprio rischio di tasso d‟interesse a carico dell‟assicuratore.
Legata a questa tipologia di rischio, è soprattutto la fissazione del tasso minimo
garantito all‟assicurato, che solitamente è pari al rendimento delle riserve tecniche: la
rigidità di tale tasso si contrappone alla variabilità che si riscontra nel lato dell‟attivo e
rende evidente l‟esposizione al rischio. Per ridurre tale esposizione, il tasso tecnico
viene solitamente fissato a livelli molto inferiori rispetto al tasso di mercato.
Per la copertura dai rischi di cui abbiamo trattato fino ad ora, fondamentale è il ruolo
assunto dal processo ALM (Asse and Liability Management), che rappresenta uno
strumento indispensabile per stabilire un legame tra il passivo e l‟attivo del bilancio, per
gestire il rischio di tasso di interesse assicurando anche una redditività degli
investimenti, per consentire una adeguata comunicazione tra le persone dell‟azienda che
si occupano della gestione dell‟attivo e quelli incaricati dello studio e progettazione dei
prodotti assicurativi al fine di coordinare nel modo migliore le strategie di investimento
con le strategie commerciali. Risulta in tal modo utile per ottenere una migliore
31
redditività ed una maggiore stabilità di guadagni26
. Le principali tecniche relative a tale
strumento sono: la cash flow matching, che minimizza gli sbilanci tra tutti i cash flows
dell‟attivo e del passivo, creando un portafoglio titoli in grado di fornire flussi di
liquidità tali da eguagliare per scadenze e importi i flussi del passivo., la tecnica della
segmentazione, attraverso la quale si suddivide il passivo in relazione alle differenze
esistenti nei prodotti e si collega a ciascuna classe di passivo una corrispondente classe
di attivo27
, e la gap analysis28
, che misura l‟esposizione al rischio di tasso come
differenza tra attività e passività a tasso fisso e variabile.
In tempi recenti, è stato possibile fronteggiare il tasso d‟interesse anche attraverso
l‟utilizzo di strumenti derivati quali swaps, options e futures, riguardo ai quali vengono
stabilite delle regole di utilizzo all‟interno dell‟ALM stesso.
Se consideriamo il rischio di liquidità, a cui abbiamo brevemente accennato in
precedenza, che, anche se in maniera minore rispetto agli altri intermediari, rappresenta
uno dei rischi tipici dell‟attività assicurativa. Questo deriva dall‟asincronia riscontrabile
nei normali flussi in entrata e in uscita: i primi, sotto forma di premi incassati,
precedono i secondi, che sono invece rappresentati dalle uscite dovute agli indennizzi e
che si distribuiranno uniformemente nel tempo. L‟assicuratore per essere “liquido”
dovrà essere costantemente in grado di pagare in moneta legale gli impegni assunti
verso gli assicurati nel corso della propria attività, senza alterare l‟equilibrio economico
e patrimoniale. Anche per il rischio di liquidità è fondamentale l‟utilizzo di una
funzione di ALM.
Sempre con riferimento al rischio di mercato, importanti sono anche il rischio di prezzo,
che riguarda la possibilità che variazioni sfavorevoli dei fattori di mercato conducano a
variazioni dello stesso segno nel portafoglio d‟investimenti dell‟impresa assicuratrice, e
il rischio di cambio, legato invece alle diverse valute in cui possono essere espresse le
attività e le passività e alla variazione dei diversi rapporti di cambio.
Per la copertura di quest‟ultimo rischio, è prassi consolidata tra le imprese assicurative
italiane, la realizzazione di un matching pressoché perfetto fra la valuta di
26
BABBEL D.F., STRICKER R., (1987), “Asset/Liability Management for Insurers.”, GOLDMAN
SACHS. 27
OSTASZEWSKI K.,(2002), Asset-Liability Integration, SOCIETY OF ACTUARIES, USA. 28
Questo tipo di tecnica si divide a sua volta in maturity gap analysis e duration gap analysis: la prima
riclassifica le voci di bilancio in base alla propria sensibilità alle variazioni dei tassi, la seconda in basse
alla loro duration modified, ovvero la durata finanziaria residua.
32
denominazione delle polizze stipulate e quella delle attività poste in essere per la
copertura delle riserve tecniche.
E‟ necessario, infine, un cenno a quella che è l‟esposizione dell‟attività assicurativa al
rischio di credito che si manifesta nell‟incapacità di un debitore di adempiere alle
proprie obbligazioni nei tempi e nei modi previsti. A quest‟ambito possono riferirsi
crediti verso gli assicurati, verso le agenzie o verso le compagnie di riassicurazione,
oltre ai titoli acquistati presso imprese emittenti nello svolgimento della propria gestione
finanziaria.
1.4.3. I rischi tecnici
I rischi tecnici rappresentano i rischi tipici dell‟attività assicurativa e sono quelli che
condizionano maggiormente la variabilità dei risultati economici di questo settore. Essi
possono essere distinti in: rischio di sottotariffazione, rischio di sovrasinistralità e
rischio di insufficienza delle riserve tecniche.29
Il rischio di sottotariffazione riguarda la possibilità che i premi fissati dall‟impresa siano
inferiori a quelli che sarebbero richiesti da una “corretta tecnica statistico-attuariale” e
deriva da errori di previsione dovuti o ad una carenza di informazioni, ossia da
insufficiente disponibilità di dati storici relativi a fatti che si debbono prevedere, oppure
ad un‟inadeguata elaborazione e ponderazione dei dati posseduti. Dall‟altra parte, gli
errori commessi possono anche non discendere da calcoli errati ex-ante (difficilmente le
compagnie assicurative sono solite commettere errori soggettivi data la competenza
statistica che gli deriva dallo svolgimento della propria attività), ma semplicemente da
un‟evoluzione dei fatti che concretamente si discosta da quella ipotizzata secondo la
propria esperienza. Si noti, in merito, che i costi tecnici dell„impresa di assicurazione
risentono in misura minore, rispetto a quanto accade nelle economie di altri
intermediari, delle vicende economiche e dell„andamento di talune variabili a queste
correlate, mentre risultano fortemente influenzati da eventi aleatori – in particolare il
ramo danni – per quanto opportunamente valutati e costantemente monitorati dalla
compagnia su basi statistiche e probabilistiche. La frequenza con cui si verificano i
29
Quaderno ISVAP n .6
33
sinistri, infatti, può derivare anche da comportamenti di moral hazard da parte
dell‟assicurato.
Il rischio di sottotariffazione, può essere, infine, assunto anche consapevolmente
dall‟assicuratore, nel caso in cui la riduzione dei premi sia dovuta, ad esempio,
all‟adozione di una specifica politica commerciale.
Per quanto concerne il rischio di sovrasinistralità, esso misura la possibilità che la
sinistralità e il suo costo medio effettivo si discostino da quelli previsti dall‟assicuratore.
Nel ramo danni il rischio di sovrasinistralità, può ricondursi a fattori di diversa natura
quali: la dispersione della distribuzione dei sinistri per numero e somma (scarti
normali); le fluttuazioni per situazioni eccezionali dell„andamento della rischiosità,
legate per esempio ad eventi catastrofali (scarti eccezionali); il cambiamento delle
condizioni sociali, economiche o tecnologiche nei fattori che condizionano la frequenza
o la dimensione monetaria dei sinistri (scarti sistematici).
Nel ramo vita il rischio di sovrasinistralità è legato, invece, alla valutazione del rischio
demografico che risente di taluni fenomeni quali l„allungamento della vita media, le
variazioni sfavorevoli della mortalità stimata, gli abbandoni dei contratti e i riscatti che
riducono la numerosità delle polizze in portafoglio con conseguente incremento delle
fluttuazioni casuali della mortalità.
Ne deriva che un ulteriore rischio tecnico riguarda la valutazione delle riserve tecniche
che possono rivelarsi non congruenti rispetto alle obbligazioni assunte. Oltre ad errate
stime da parte della compagnia, che riguardavano anche i due rischi di cui abbiamo
parlato in precedenza, esso deriva anche da fattori legati ai già citati rischi finanziari
(soprattutto nel ramo vita) e da fattori normativi, riguardanti, ad esempio l‟introduzione
di nuovi requisiti per la predisposizione delle riserve.
In linea generale, per la determinazione di un premio congruo rispetto al rischio assunto,
è necessario un processo di selezione e classificazione dei rischi, che porti alla riduzione
o, meglio ancora, eliminazione di quei rischi ritenuti inaccettabili.
Teoricamente bisognerebbe adattare i premi alle caratteristiche di ogni singolo relativo
rischio assunto, ma ciò risulta quasi impossibile dal momento che risulterebbe
oltremodo oneroso tener conto di tutti i profili di rischio. Tuttavia, una migliore
commisurazione del premio generico, stabilito per la classe di rischi di appartenenza,
può essere perseguito imponendo all„assicurato di adottare talune misure di sicurezza
34
volte a ridurre sia l„entità sia la probabilità di manifestazione del rischio, agevolandone,
per tale via, la gestione da parte dell„impresa.
Questo obbiettivo può essere raggiunto tramite l„inserimento di particolari vincoli
contrattuali tendenti ad attenuare il rischio che l„impresa assume: si fa riferimento alle
clausole che prevedono la fissazione di franchigie, scoperti, carenze, ecc.
Si consideri inoltre che le imprese di assicurazione, nella determinazione dei premi di
tariffa, tengono sempre conto di un margine – caricamento di rischio – a copertura di
possibili scarti negativi tra frequenza di sinistri effettiva e prevista. Il calcolo di tale
margine, essendo basato su previsioni di tipo empirico, risulta essere assai complicato.
Particolare rilevanza per il governo dei rischi assicurativi di natura attuariale assume la
diversificazione del portafoglio rischi.
La diversificazione, infatti, attraverso modifiche apportate alla composizione del
portafoglio, consente di addivenire ad una maggiore mitigazione del rischio nel
medio/lungo periodo. Essa può essere condotta a livello geografico, a livello di
controparte, e a livello di rami assicurativi, seguendo una logica che persegua la
creazione di combinazioni di portafoglio che presentino andamenti dei sinistri tra loro
indipendenti o negativamente correlati; ciò con l„evidente obiettivo di ridurre il rischio
complessivo e di stabilizzare la redditività aziendale.
Il riequilibrio del portafoglio passivo può essere ottenuto anche grazie al trasferimento,
parziale o totale, del rischio mediante operazioni di riassicurazione, di securitization,
oppure facendo ricorso a strumenti finanziari di tipo innovativo quali i cosiddetti
catastrophe derivates30
.
La securitization, ritenuta particolarmente utile nell„ambito dei rischi catastrofali,
consente il trasferimento dei rischi tecnici ai mercati dei capitali mediante peculiari
strumenti finanziari quali, i catastrophe bonds, obbligazioni che, a fronte di elevati
rendimenti, consentono il finanziamento dell„impresa assicuratrice in merito alla
manifestazione dell„evento negativo. Al riguardo, sia il pagamento degli interessi, sia la
restituzione del capitale risultano subordinati al non verificarsi dell„evento catastrofale.
I catastrophe derivates, d„altro lato, offrono protezione contro i rischi catastrofali nel
caso di insufficienti liquidità da parte dell„impresa di assicurazione o riassicurazione.
Tra questi si annoverano i catastrophe futures – che permettono la copertura rispetto ad
30
RIVISTA SIGMA N.7/2006, Securization – new opportunities for insurers and investors
35
aumenti del tasso di sinistralità al di sopra della media di stima – ed i catastrophe
options, che dietro pagamento di un premio, prevedono la facoltà di acquisto di un
future assicurativo nell„ipotesi di aumento della sinistralità media.
Non bisogna dimenticare, inoltre, che oltre a ricorrere agli strumenti appena ricordati,
l„impresa assicuratrice può cercare di stabilizzare l„andamento economico della gestione
mediante il ricorso a strategie di intesa e collaborazione di vario tipo con altre imprese
del comparto assicurativo, con ciò intendendo tutte le varie forme di strategie
aggregative quali i processi di concentrazione e/o di integrazione che hanno assunto
particolare importanza nell‟ultimo periodo.
1.4.4. Il rischio operativo
Il rischio operativo rappresenta “il rischio di perdite economiche derivanti da
inadeguatezza o disfunzioni attribuibili a processi interni, risorse umane e sistemi o
eventi esterni.”31
Nel rischio operativo è compreso il rischio legale, ossia il rischio di
perdite derivanti da violazioni di leggi o regolamenti, da responsabilità contrattuale o
extra-contrattuale ovvero da altre controversie; non sono invece inclusi i rischi strategici
e di reputazione, come conseguenza dell‟adattamento della regolamentazione
assicurativa a quella bancaria.
Nell‟ultimo periodo, contraddistinto dalla crisi finanziaria, si è riscontrato il sempre
maggior peso assunto dal rischio operativo all‟interno dell‟attività assicurativa e si è
resa sempre più indispensabile l‟adozione di un sistema di Operational Risk
Management da parte delle compagnie attraverso il quale governare il recente sviluppo
dell‟information technology all‟interno della gestione aziendale.
Tale processo dev‟essere appropriatamente documentato e i suoi responsabili
opportunamente stabiliti, facendo in modo che esso sia attentamente integrato col più
ampio processo di Risk Management.32
31
Art. 13, n. 27 – Solvency 2 32
CEIOPS,(2009), Consultation Paper n. 33
36
1.5. Evoluzione storica del requisito di solvibilità nell’Unione Europea
I primi requisiti in tema di solvibilità furono introdotti già dai primi anni del XX secolo,
più precisamente nel 1909, quando nel Regno Unito venne introdotto il cosiddetto
Assurance Companies Act, che richiedeva alle compagnie stesse di detenere un deposito
cauzionale di 20.000 sterline per ogni ramo in cui operavano. Queste disposizioni
vennero aggiornate nel 194633
, sostituendo al deposito un margine pari ad un decimo
dei premi incassati, con un minimo di 50.000 sterline.
Le prime due direttive a livello europeo, invece, risalgono agli anni „7034
, quando si
decise di imporre degli “ammortizzatori patrimoniali” per contrastare l‟incertezza legata
alla peculiare attività assicurativa. I requisiti stabiliti da queste disposizioni normative si
basavano principalmente sul lavoro di un professore belga, il professor Campagne35
, il
quale, su richiesta dell‟OEEC (Organisation for European Economic Cooperation),
pubblicò un rapporto sulla solvibilità del rampo non vita, che venne successivamente
applicato da una decina di compagnie in Svizzera tra il 1954 e il 1957, come riportato
da Daykin nel suo “Minimum Standards of Solvency for Insurance Firms” del 1984.
Nel suo lavoro, Campagne supponeva, come precedentemente fatto da Pentikainen, che,
nello stimare la solvibilità, il rischio fosse considerato in modo teorico, e propose che il
margine fosse fissato come 25% dei premi raccolti (requisito che evitava un‟alta
possibilità di rovina e, allo stesso tempo, facilmente raggiungibile dalle compagnie36
),
più un‟ulteriore aggiunta del 2,5% per coprire i rischi relativi alla riassicurazione. Alla
base di questo requisito vi erano alcune ipotesi formulate sulla distribuzione della
probabilità della solvibilità, che lo portarono a stimare una probabilità di rovina dello
0,1% per un periodo di tre anni e dello 0,03% per un periodo di un anno, mentre
suppose che l‟ammontare delle spese e delle commissioni fosse pari al 42% dei premi e
quello dei sinistri al 58% dei premi stessi. In generale Campagne era dell‟idea che il
modello non dovesse dare alcuna informazione riguardo alla posizione della compagnia
33
Come riportato dal Journal of the Institute of Actuaries nel 1947 34
Direttiva 73/239/CEE per il ramo danni e Direttiva 79/267/CEE per il ramo vita. 35
CAMPAGNE C., (1961), Standard minimum de solvabilité applicable aux entreprises d`assurances,
Report to the OECE. 36
KASTELIJN W.M. e REMMERSWAAL J.C.M.,(1986), Solvency, Surveys of Actuarial Studies 3,
NATIONALE-NEDERLANDEN N.V., Olanda.
37
circa la solvibilità, ma soltanto fornire un primo avvertimento di una potenziale
situazione di pericolo.
In seguito l‟Isurance Commitee dell‟OEEC deliberò un nuovo gruppo di lavoro
presieduto da Campagne medesimo. Il gruppo era formato da 14 membri provenienti da
10 paesi, tra cui i Professori de Mori e Grossman che compilarono un database con dati
provenienti da un questionario risalente agli anni 1953-1957 sottoposto ad 8 paesi per il
non vita e 5 paesi per il vita.
La Study Commission sviluppò il lavoro iniziato da Campagne e propose un criterio
alternativo per il minimo margine di solvibilità basato su tre rapporti37
:
- asset liberi rapportati ai premi ricevuti durante l`ultimo anno
- asset liberi rapportati alla media dei sinistri negli ultimi tre anni
- asset liberi rapportati alle riserve tecniche.
I risultati proposti dalla commissione furono considerati troppi alti da alcuni paesi,
mentre altri li ritenevano addirittura appena sufficienti per il perseguimento della
copertura della solvibilità. Proprio in risposta a queste critiche venne introdotta la prima
direttiva sui rami non vita nel 1973, come compromesso tra queste divergenti visioni.
L‟articolo 16 di tale direttiva stabiliva che il margine doveva essere al più alto tra i due
risultati ottenuti in base ai premi e in base ai sinistri, andando così a rappresentare anche
il margine minimo per la compagnia: se quest‟ultima non avesse raggiunto almeno tale
minimo, l'Autorità di controllo del paese della sede sociale esigeva dall'impresa un
piano di finanziamento a breve termine che doveva essere sottoposto alla sua
approvazione.
Con questa metodologia, però, non si teneva conto della struttura dei sinistri, in quanto
venivano predisposti stessi requisiti per compagnie che avevano un‟entità totale di
sinistri uguale, ma una diversa composizione in termini di singole esposizioni.
37
DE MORI B., (1965), Possibilite d`etablir des bases techniques acceptables pour le calcul d`une
marge minimum de solvabilite des enterprises d`assurances contre les dommages, in ASTIN
BULLETTIN 3, pagg. 286-313.
38
Vi era, inoltre, una grosso difficoltà nello stabilire quali fossero gli asset da far rientrare
nel margine, che dovevano essere ovviamente diversi da quelli che componevano le
riserve.
L‟approccio della direttiva vita del 1979 (i sei anni di distanza tra le due normative sono
dovuti al forte dibattito che si era creato intorno alla legittimità per le compagnie di
esercitare entrambi i rami) ricalcò sostanzialmente quello della direttiva non vita e
stabilì il minimo margine come somma di un‟aliquota del 4% sulle riserve matematiche
lorde, moltiplicata per il rapporto tra le riserve matematiche al netto dell‟attività di
riassicurazione e appunto le suddette riserve matematiche lorde, e di una dello 0,3% sui
capitali a rischio lordo, moltiplicata a sua volta per il rapporto tra capitale a rischio al
netto dell‟attività riassicurativa e lo stesso capitale a rischio lordo. Tale risultato era
modificabile in fasi successive in base allo specifico ramo esercitato.
A queste prime direttive ne seguirono altre di seconda38
e terza39
generazione all‟inizio
degli anni ‟90, che furono introdotte per rispondere alle esigenza di un nuovo mercato
aperto che non prevedeva alcun tipo di controllo sui premi e sui prodotti assicurativi a
livello di Unione Europea40
, e che consentiva alle Autorità di vigilanza di poter
intervenire in caso si fossero verificati problemi tra compagnie di paesi diversi. Questa
nuova regolamentazione imponeva dei requisiti standard per tutti i paesi della
Comunità, ma allo stesso tempo dava la possibilità ai singolo stati di introdurre regole
specifiche per il proprio paese.
1.5.1. Il rapporto Muller
Le direttive di terza generazione palesarono la necessità a livello europeo di rivedere
quelli che erano stati, fino a quel momento, i requisiti in ambito di solvibilità, in esso
comprendendo non solo il margine, ma anche le riserve, i fondi di garanzia ecc..
Nonostante ciò, al contrario di quanto avvenuto nel settore bancario con Basilea, si
dovette attendere i primi anni del nuovo secolo per assistere a dei cambiamenti
significativi nella regolamentazione assicurativa.
38
Direttiva 90/619/CEE per il ramo vita e 88/357/CEE per il ramo danni. 39
Direttiva 92/96/ CEE per il ramo vita e 92/49/CEE per il ramo danni. 40
Cfr. RIVISTA SIGMA N.4/2006, Solvency II:un approccio integrato al rischio per gli assicuratori
europei.
39
Dopo le richieste delle già citate direttive, infatti, nel 1994 l‟Insurance Commette
richiese alle Autorità dei singoli stati di costituire un gruppo di lavoro, che si sarebbe
occupato delle questioni riguardanti il campo assicurativo. Al termine dei lavori di
questo, venne presentata nel 1997 una relazione, che successivamente prese il nome di
“Rapporto Muller”41
col quale si evidenziò come i requisiti stabiliti fino ad allora dalle
direttive europee avevano ottenuto risultati soddisfacenti e anzi, si poteva procedere ad
un‟ulteriore semplificazione per quanto riguardava gli indici dei premi e dei sinistri
nell‟ambito dell‟assicurazione non vita. Ciò risultò dall‟analisi delle cause di dissesto
delle compagnie assicurative negli ultimi vent‟anni, che registrò pochissimi casi di
perdita, che in ogni caso risultavano impossibili da prevedere o comunque da evitare,
anche rispettando tutti i requisiti sul margine di solvibilità.
Dall‟altra parte però, il rapporto sottolineò come alcuni casi di dissesto potevano essere
evitati se si fosse calcolato con maggior cura il margine di solvibilità. Specialmente nel
non vita le cause erano da attribuirsi a: rischi sulla coda della distribuzione di
probabilità delle perdite, non equilibrio tra investimenti e asset-liability, rapida crescita
dell‟impresa, riassicurazione inadeguata.
Il gruppo, inoltre, sostenne la necessità di alcune modifiche ed aggiunte al vigente
sistema:
Il fondo minimo di garanzia doveva essere innalzato, tenendo conto
dell‟inflazione che vi era stata da quando le prime direttive erano state emanate;
Il margine di solvibilità dell‟assicurazione non-vita doveva essere calcolato sulla
base di tre indici e non più due dunque: oltre agli indici calcolati sui premi e sui
sinistri, andava preso in considerazione un indice delle riserve in modo tale da
considerare le code lunghe delle distribuzioni di probabilità dei pagamenti
aleatori;
Andavano rivisti quelli che erano gli strumenti a disposizione delle Autorità di
vigilanza nel caso in cui i requisiti di solvibilità non fossero stati soddisfatti;
Bisognava rivedere non solo i requisiti relativi a margine di solvibilità e fondo di
garanzia, ma anche regolare le componenti del capitale proprio che potevano
essere predisposti a copertura di questi requisiti;
41
MULLER, (1997), Solvency of Insurance Undertakings report, disponibile sul sito www.ceiops.eu
40
Si negava, infine, la possibilità di introdurre un indice per tenere conto dei rischi
d‟investimento sia nel ramo vita che nel ramo non-vita, all‟interno del calcolo
della posizione di solvibilità.
Come vedremo in seguito, il lavoro di questo gruppo confluì nel 2002 in una riforma42
,
nota col nome di Solvency I , che entrò definitivamente in vigore nel 2004.
1.5.2. Solvency I
Con l‟espressione Solvency I non indichiamo una direttiva ben precisa riguardante il
tema della solvibilità, bensì di un progetto messo in atto dall‟Unione Europea per
affrontare quest‟argomento: esso comprende una serie di studi, ricerche e critiche
inerenti la capacità dell‟impresa d‟assicurazione di affrontare situazioni di difficoltà e
può riguardare la predisposizione del livello di riserve da detenere, della quantità di
capitale minimo e di requisiti di capitale in generale.
Come suggerito dal rapporto Muller, Solvency I non ha modificato il calcolo del livello
di solvibilità, così come era stato predisposto dalle direttive di terza generazione, ma ne
ha solo corretto alcune componenti affinché si potesse rappresentare con maggior
precisione la situazione effettiva delle compagnie.
Le nuove norme rafforzavano il potere della vigilanza assicurativa, imponendo ai
soggetti che agivano nell‟area di sua competenza di mantenere i requisiti richiesti non
soltanto alla data della redazione del bilancio, ma continuativamente per tutta la durata
della vita dell‟impresa e fornivano maggiori poteri d‟intervento alle Autorità stesse.
Più nello specifico Solvency I impone agli assicuratori ramo vita e non-vita di disporre
di capitali pari al più elevato tra il fondo di garanzia minimo, pari ad un terzo del
margine di solvibilità richiesto (esso non può comunque essere inferiore ai 2 milioni di
euro per il ramo vita e a 3 milioni per il ramo non-vita), e i rispettivi margini di
solvibilità.
Per quanto riguarda il ramo danni, il margine da prendere in considerazione è il più alto
tra l‟indice dei premi e l‟indice dei sinistri, calcolati come segue:
42
Direttiva 2002/12 e 2002/83 CE
41
Indice dei premi = (18% premi lordi fino a 50 milioni di euro + 16% premi lordi
eccedenti tale soglia) x (sinistri al netto delle cessioni in riassicurazione/media
ultimi 3 anni sinistri lordi);
Indice dei sinistri = (26% sinistri lordi fino a 35 milioni di euro + 23% sinistri
lordi eccedenti tale soglia) x (sinistri al netto delle cessioni in
riassicurazione/media ultimi 3 anni sinistri lordi).
Nel ramo vita il margine è uguale a: 4% riserve matematiche lorde + (riserve al netto
della cessione in riassicurazione/riserve lorde x capitale sotto rischio x (capitale sotto
rischio netto/capitale sotto rischio lordo).
Con solvibilità I, inoltre l‟UE ha disciplinato la politica d‟investimento delle compagnie
assicurative, imponendo delle restrizioni sulle attività su cui allocare le riserve tecniche,
tenendo conto del fatto che, seguendo le direttive del gruppo di studio di Muller, il
livello di solvibilità non tiene conto dei rischi d‟investimento.
Infine, è stato stabilito che il capitale disponibile per l‟assicuratore è pari alle proprie
attività libere da qualsiasi passività prevedibile, con l‟eccezione di alcuni elementi
immateriali.
Se da un lato il progetto Solvency I presenta notevoli vantaggi in termini di semplicità,
comparabilità tra le imprese e robustezza, dall‟altro diversi sono stati identificati come
punti deboli di tale normativa:
1. La valutazione di attività e passività non viene effettuata secondo un approccio
market consistent, ovvero non considera le variazioni dovute alla volatilità dei
fattori di mercato.
2. I parametri con cui vengono calcolati i margini di solvibilità non sono del tutto
rappresentativi dei rischi tecnici di portafoglio.
3. I rischi al di fuori dei rischi tecnici, in particolare i rischi d‟investimento, non
vengono presi molto in considerazione o non sono proprio rappresentati
nell‟ambito del computo del livello di solvibilità.
4. Non è possibile ridurre i requisiti imposti tramite strategie di diversificazione o
trasferimento del rischio e dunque non vi è nessun incentivo per le compagnie
per una migliore gestione del rischio.
5. Non vengono tenuti nella giusta considerazione gli effetti della riassicurazione.
42
6. Non favorisce una vigilanza prospettica, né tantomeno una convergenza della
vigilanza stessa a livello sovranazionale.
Per questi ed altri motivi, come vedremo in seguito, Solvency I è stato presto ritenuto
inadeguato e si è dato vita ai primi studi per cercare di correggerne le lacune.
1.6. Altri modelli di calcolo della solvibilità
I modelli per il calcolo del livello di solvibilità nelle compagnie assicurative posso
essere suddivisi in due grandi macroaeree: da una parte i modelli statici, che si
suddividono a loro volta in modelli basati su più fattori di rischio (multi-risk-factor
based) o su uno solo di essi (single risk based), dall‟altra modelli dinamici che
quantificano i rischi e il loro livello di correlazione attraverso una visione integrata e
facendo talvolta ricorso a test di scenario. Il modello di Solvency I che abbiamo
analizzato nel paragrafo precedente, fa parte del primo gruppo ed in particolare esso si
basa su unico fattore di rischio. Negli anni recenti, però, grazie ad un miglioramento
nelle tecniche di calcolo e alla maggiore consapevolezza della molteciplità dei rischi a
cui è esposta l‟attività assicurativa, si è assistito alla diffusione di modelli sempre più
sofisticati.
I modelli multi-risk-factor sono quelli più utilizzati negli ultimi anni, poiché molto
semplici e standardizzati, ma recentemente, soprattutto in europa, si è incentivato il
sempre maggiore ricorso a modelli interni creati dagli assicuratori in prima persona.
43
Tabella 1: Modelli usati dai vari paesi, suddivisi per tipologia.
Modelli single-
risk-factor-based
Modelli multi-risk-
factor-based
Modelli che
quantificano rischi e
loro interdipendenze
Scenari
UE Solvency I Solvency II modello
standard
Solvency modelli
interni
Olanda Solvency I Test solvibilità
Regno Unito Solvency I Enhanced Capital
Requirements
Enhanced Capital Requirements e
Individual Capital Adequancy Standards
USA RBC
Canada Minimum capital test e
Minimum continuing
capital and surplus
requirements
Dynamic capital
adequacy testing
Giappone RBC Modelli interni per compagnie danni
Australia Modello Apra Swiss Solvency Test (SST)
Svizzera Solvency I
Fonti: Swiss Federal Office of Private Insurance, Swiss Re Economic Research & Consulting 2006
1.6.1. Regno Unito: Enhanced Capital Requirements e Individual
Capital Adequancy Standards
In Gran Bretagna dal 2005 è stato introdotto un nuovo sistema di vigilanza incentrato
sul rischio secondo cui “una compagnia di assicurazione deve detenere, in qualsiasi
momento, risorse finanziare complessive […] idonea a verificare l‟assenza di rischi
significativi ai fini dell‟adempimento dei propri impegni quando questi giungono a
scadenza”43
. Inoltre, gli assicuratori sono tenuti a mantenere un livello di capitale che
rifletta la natura e l`entità del rischio che esse hanno assunto. Tale livello viene
calcolato attraverso due diversi modelli: un modello statico (multi-fattoriale), l‟
Enhanced Capital Requirements, e uno dinamico, l‟ Individual Capital Adequancy
Standards.
Per quanto attiene al ramo vita, in linea generale essi devo detenere un capitale che sia
pari al maggiore tra margine di solvibilità e fondo minimo di garanzia stabiliti da
Solvency I più un resilience capital requirement, che viene predisposto al contrario di
43
FINANCIAL SERVICES AUTHORITY (FSA), (2006), Integrated Prudential sourcebook.
44
quanto avviene nel modello europeo, a copertura degli scostamenti dovuti ai rischi
d‟investimento.
Caso particolare è quello degli assicuratori che offrono polizze cosiddette “with profit”,
che hanno natura obbligazionaria e prevedono la corresponsione di un rendimento
minimo garantito. Le compagnie che detengono più di 500 milioni di sterline di questo
tipo di strumenti devono adottare uno specifico approccio, denominato twin peaks, al
fine di predisporre un ulteriore fondo a copertura dei bonus discrezionali previsti da
queste polizze, oltre alla riserva matematica. Quest‟approccio prevede che, al margine
di solvibilità e al già citato resilience capital requirement venga sommato una
componente di capitale aggiuntivo44
(il With Profit Insurance Capital Component).
Questa somma prenderà, appunto, il nome di Enhanced Capital Requirements che,
qualora superiore ai requisiti patrimoniali minimi relativi al ramo vita, verrà utilizzato
come requisito di capitale.
Nel ramo danni, invece, gli assicuratori devono detenere capitale sufficiente a coprire il
maggiore tra l‟ECR45
stesso e il Minimum capital Requirement definito dalla direttiva
europea.
Nel Regno Unito, inoltre, si è voluto sviluppare un nuovo sistema per cui gli standards
di capitale per una singola impresa possano essere determinati anche per un range più
ampio di imprese di quanto non lo sia finora. Lo scopo del sistema è di fornire ulteriori
indicazioni su come le imprese possano stimare risorse consone al proprio profilo di
rischio e come possiamo essere certi che queste stime siano adeguate. L‟approccio di
questo sistema, denominato Individual Capital Adequacy Standards, mira
all‟armonizzazione dei modelli interni delle singole compagnie: i risultati scaturiti da
questi modelli vengono analizzati dalla British Finacial Services Authority, che
comunica all‟assicuratore la propria opinione sui requisiti di capitale da esso calcolati.
1.6.2. Lo Swiss Solvency Test in Svizzera
Il progetto Swiss Solvency Test è stato lanciato nella primavera del 2003 dal Federal
Office of Private Insurance, l‟Autorità che controlla le attività delle compagnie private
44
Questo è pari alla differenza tra requisiti che tengono conto degli oneri futuri e del rischio
d‟investimento e i requisiti prudenziali. 45
Qui calcolato come somma del requisito per il rischio d‟investimento e dei requisiti relativi al rischio di
assicurazione al netto delle riserve di perequazione dell‟assicuratore.
45
di assicurazione, è entrato in vigore tramite la legge sulla sorveglianza degli assicuratori
nel 2006 e divenuta obbligatoria alla fine del 2008. Il progetto raccoglie i risultati del
Insurance Supervisory Act del 2002 e propone dei requisiti di solvibilità che
effettivamente tengano conto del rischio, non solo implicitamente come Solvency I.
Il sistema svizzero è di tipo normativo e si propone come obbiettivi principali la tutela
dell‟assicurato, la diffusione della cultura del rischio, il rafforzamento del mercato
tramite la concorrenza e l‟adozione di requisiti patrimoniali tarati sui rischi.
I punti cardine di tale modello sono:
Una struttura a tre pilastri che prevede due requisiti di capitale: un requisito
minimo (minimum statutory solvency) e un requisito obbiettivo (market-valued
solvency);
Valutazione delle attività e delle passività al valore di mercato;
Misurazione del rischio usando l‟expected shortfall, o Tail var, della variazione
di capitale che sopporta il rischio (risk-bearing capital46
) sull‟orizzonte
temporale di un anno;
Utilizzo di un modello standard che misura la correlazione tra i rischi e prevede
una serie di scenari predefiniti specifici per il rischio di credito, di mercato e
assicurativo;
Aggregazione dei risultati dei modelli standard e della valutazione degli scenari
per determinare il capitale target;
Possibilità di richiedere l‟utilizzo di modelli interni: le assunzioni alla base di
questi modelli interni e i relativi risultati devono essere documentati in uno SST
report e devono essere resi noti al supervisore;
Piena considerazione dei fenomeni riassicurativi;
1.6.3. Il sistema Risk Based Capital negli Stati Uniti
La National Association of Insurance Commissioners (NAIC), nel dicembre 199347
,
introdusse un sistema basato sul risk based capital (RBC) per gli assicuratori vita e
46
Il risk-bearing capital è definito come la differenza tra il valore di mercato degli asset e la best estimate
delle liability. In termini di capitale di solvibilità disponibile, il risk-bearing capital è il capitale
disponibile più il margine al valore di mercato (risk margin)
46
salute e nel dicembre dell‟anno successivo introdusse standard simili per gli assicuratori
del ramo danni. In precedenza i requisiti di solvibilità differivano da uno Stato all'altro e
consistevano in taluni casi in un requisito fisso di capitale relativamente basso. Questo
tipo di normativa rientrava in un più ampio contesto di razionalizzazione e
armonizzazione della vigilanza sul settore assicurativo che era stato messo in atto dalle
Autorità americane.
Il principio dell'RBC è quello di determinare un requisito patrimoniale per ciascuno dei
principali "rischi" assunti dalle imprese di assicurazione: i metodi di calcolo utilizzati,
più o meno complessi, tengono conto delle caratteristiche di ciascuna impresa. Il
requisito patrimoniale complessivo dell'impresa si ottiene assemblando i requisiti
patrimoniali connessi a ciascun rischio, tenendo conto delle possibili correlazioni. Dal
confronto tra requisito patrimoniale calcolato e fondi propri della compagnia si
determina la possibilità e il tipo d‟intervento da parte della vigilanza.
La procedura si articola su 4 livelli:
1. Fissazione delle categorie di rischio alle quali le compagnie assicurative sono
esposte e individuazione della struttura della correlazione tra le varie categorie;
2. Quantificazione del rischio per ogni categoria (e per ogni sottocategoria e fattore
di rischio) e assegnazione, ad ogni categoria, di un certo ammontare di capitale
come requisito. Quest‟ultimo è calcolato moltiplicando un valore di base
ottenuto dal bilancio per un fattore (percentuale) fissato dal NAIC;
3. Somma dei requisiti per ogni categoria di rischio e formazione di un singolo
RBC globale che tenga conto la struttura delle correlazioni;
4. Confronto tra requisito patrimoniale calcolato e fondi propri della compagnia, da
cui si determina la possibilità d‟intervento da parte della vigilanza che ne
stabilisce l‟entità.
Nel ramo danni, le categorie di rischio che influiscono di più sulla determinazione del
RBC sono quelle relativi ai rischi tecnici, in particolare il rischio di riservazione ed il
rischio di tariffazione; nel ramo vita, invece, assumono rilevanza maggiore i rischi
d‟investimento.
47
NAIC,(1999), Property and Casualty Risk-Based Capital Report Including Overview and Instructions
for Companies tratto da www.naic.org.
47
CAPITOLO II
Il progetto Solvency II
2.1. Caratteristiche e principi generali
Nel marzo del 2001
48, proprio mentre stavano per essere approvate le nuove normative
riguardanti Solvency I, si decise di dare inizio ai lavori per la predisposizione di una
nuova direttiva, al fine di sottoporre a revisione l‟intero sistema di vigilanza prudenziale
sul settore assicurativo: tale progetto assunse il nome di Solvency II; l‟obiettivo non era
solo quello di modificare i criteri quantitativi per il calcolo del margine di solvibilità,
ma di rivedere il complesso di regole a presidio della stabilità delle imprese.
Oltre alle già citate lacune riscontrate in Solvency I, vi erano, infatti, altri fattori
riguardanti i nuovi scenari di mercato venutisi a configurare in quegli ultimi anni, che
spinsero la Commissione a tale decisione. All‟inizio del XXI secolo, effettivamente, si
sono registrati profondi cambiamenti per quanto riguarda il business degli assicuratori e
il tipo di prodotti da essi offerti, si è manifestata una sempre maggiore competizione
all‟interno del settore e una sempre più evidente convergenza tra i vari settori finanziari,
che ha esposto anche gli assicuratori alle frequenti crisi dei mercati che si sono
registrate in questo periodo.
Proprio per questo la stabilità finanziaria, insieme alla tutela dell‟assicurato, sono le
principali finalità di Solvency II raggiungibili attraverso la creazione di un sistema di
solvibilità più adeguato al profilo di rischio di ciascun‟impresa, che incoraggi gli
assicuratori stessi ad una migliore misurazione e gestione dei propri rischi, non solo di
quelli tecnici, incentivandoli, in particolare, all‟uso di modelli interni: obiettivo finale è
l‟individuazione della solvibilità complessiva dell‟impresa.
Nella fase di programmazione del progetto, si stabilì che i lavori fossero suddivisi in
due fasi, la prima delle quali, iniziata nel maggio del 2001 e conclusasi nel novembre
del 200249
, è stata dedicata alla definizione dell‟architettura del nuovo sistema di
48
Nota CE MARKT/2027/01 49
Nota CE MARKT/2535/02
48
solvibilità, dopo l‟attenta valutazione di tutti i principali temi ad essa collegati. Tale
compito fu commissionato dal sottocomitato solvibilità dell‟Insurance Committee a
KPMG (società multinazionale, specializzata nella revisione di bilancio e nella
consulenza alle imprese in materia fiscale, di outsourcing contabile e legale) e a due
gruppi di lavoro, uno per ogni ramo, costituiti dalle Autorità di vigilanza dei singoli stati
membri.
Dal lavoro svolto da KPMG è scaturita quella che è una delle caratteristiche
fondamentali di questo nuovo sistema, ovvero la sua articolazione in tre pilastri50
,
analogamente a quanto previsto in Basilea 2: il primo di questi, riguardante i requisiti
quantitativi; il secondo concernente i requisiti qualitativi (in particolare nell‟ambito
della gestione del rischio); il terzo avente ad oggetto la disciplina di mercato, che
comprende tutto ciò che riguarda la corretta informazione e la trasparenza da parte degli
operatori.
Figura 4: Struttura di Solvency II
Fonte: www.isvap.it
Dall‟altra parte, l‟indagine svolta dal gruppo di lavoro delle Autorità di vigilanza fu più
approfondita e portò alla stesura di una relazione denominata “Sharma Report” (dal
nome del presidente del gruppo stesso), che fu suddivisa in tre sezioni:
50
KPMG, (2002), Study into the Methodologies to Assess the Overall Financial Position of an Insurance
Undertaking from the Perspective of Prudential Supervision.
Pillar I - Riserve tecniche - MCR - SCR
Pillar II
-Corporate Governance
- ORSA -Add-on di capitale
Pillar III -Pubblic disclosure - Report annuali - Informazioni ai fini di vigilanza
49
1. la prima analizzava gli interventi che erano stati messi in atto dalle Autorità di
vigilanza in quel periodo e ne valutava l‟efficacia;
2. la seconda esaminava quelli che erano stati i fallimenti delle imprese
assicurative e ne analizzava le cause;
3. la terza, infine, proponeva le raccomandazioni del gruppo di lavoro a seguito
delle indagini svolte.
La principale conclusione della Relazione era che il sistema prudenziale dovesse
prevedere tutta una serie di strumenti regolamentari, preventivi o correttivi, che
permettessero di intervenire in tutte le fasi in cui un problema può manifestarsi: dalla
fase più precoce (causa sottostante), quando, ad esempio, la cattiva gestione di
un'impresa è percettibile soltanto nell'atteggiamento dei dirigenti o dei dipendenti
dell'impresa, fino all'ultima fase, quando un concatenamento di cause e di effetti (eventi
esterni, decisioni inadeguate, errori, ecc.) ha già determinato un grave deterioramento
della situazione finanziaria recante pregiudizio agli assicurati.
In questa prospettiva, i requisiti patrimoniali venivano considerati soltanto uno dei
necessari strumenti regolamentari, che non era però sufficiente da solo a costituire un
sistema di vigilanza prudenziale. A tale riguardo, la relazione suggeriva una maggiore
differenziazione delle soglie d'intervento in funzione delle caratteristiche finanziarie
dell'impresa, senza entrare nel dettaglio su come queste soglie dovessero essere
calcolate.
In compenso, la relazione contiene una serie di raccomandazioni concrete per la
creazione, lo sviluppo e l'armonizzazione di altri strumenti regolamentari.
A conclusione della prima fase, dunque, le caratteristiche essenziali di Solvency II, oltre
alla già citata struttura a tre pilastri, dovevano essere:
valutazione della solvibilità a livello complessivo;
approccio tarato sul rischio che incentivi gli operatori a misurare e gestire i
rischi;
due requisiti di capitale: il Solvency Capital Requirement (SCR), che rappresenta
il requisito obbiettivo ed è rivolto alla copertura di perdite consistenti, e il
Minimum Capital Requirement (MCR), ovvero un requisito minimo di sicurezza
al di sotto del quale dovrebbero scattare gli interventi delle Autorità di vigilanza;
maggiore coerenza tra i sistemi finanziari;
50
vigilanza più accurata sui gruppi assicurativi e sui conglomerati finanziari;
armonizzazione tra metodi quantitativi e metodi qualitativi;
rapida convergenza con le attività di altri organismi internazionali, quali IAIS,
IAA, IASB ecc.;
In considerazione della complessità del progetto, per promuovere la competitività, le
norme dovevano rispondere a criteri di better regulation51
ovvero a principi di:
1. semplificazione: codificazione in un testo unico delle direttive assicurative
vigenti;
2. trasparenza: costante consultazione con le parti interessate;
3. proporzionalità: applicazione dei medesimi principi in modo differenziato,
tenendo conto della realtà delle entità regolate;
4. valutazione d‟impatto: analisi di costi/benefici delle misure proposte in relazione
a tutte le componenti del mercato (imprese, consumatori e supervisors).
La seconda fase, iniziata nel 2003, si è occupata della definizione nel dettaglio del
progetto e della redazione dell‟impianto normativo ad esso relativo, e si è conclusa con
la prima proposta di “Framework Directive” su Solvency II, che è stata presentata nel
luglio del 2007 ma che è diventata operativa, dopo l‟approvazione del Consiglio e del
Parlamento Europeo, solo nell‟aprile del 2009. Successivamente, è stata pubblicata sulla
Gazzetta Ufficiale nel dicembre dello stesso anno.52
La nuova regolamentazione, che razionalizza tutta la normativa comunitaria in materia
di assicurazioni, si configura come testo unico di tutta la legislazione vita e danni e
sostituisce le 13 direttive attualmente in essere, escludendo quelle concernenti auto, conti
annuali e fondi pensione.
La direttiva rappresenta solo la prima fase del modello Lamfalussy, attraverso il quale il
progetto Solvency II verrà implementato; pertanto saranno necessarie ancora altre tre
fasi per ritenere concluso il processo: l‟obiettivo è quello di rendere il sistema
applicabile a partire dal 2012
Nel Giugno 2009 sono state presentate dalla Commissione le fasi durante le quali
saranno definite le misure d‟applicazione. La data d‟entrata in vigore della riforma non
51
Con il termine BETTER REGULATION, s'intende il processo di semplificazione e riduzione della
legislazione europea e lo studio della valutazione di impatto delle nuove proposte in termini di costi
amministrativi a carico dei cittadini, in particolare, le imprese. 52
Direttiva 2009/138/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 novembre 2009 in materia di
accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione
51
è stata traslata e dunque, alle compagnie d‟assicurazione europee, rimangono meno di
due anni, sia per uniformarsi al nuovo quadro legislativo, sia per dimostrare all‟Istituto
di Vigilanza che i modelli adottati sono adeguati, sostenibili e ben controllati. Perciò,
anticipando eventuali effetti di saturazione e di congestione, le compagnie dovranno
essere in grado di ottenere l‟assenso dall‟Istituto di Vigilanza a partire da Gennaio 2012,
anche se la direttiva entrerà definitivamente in vigore l‟anno successivo.
E„ il caso di ricordare, infine, l‟importanza assegnata al principio di proporzionalità, volto
ad assicurare che il nuovo sistema non sia eccessivamente oneroso per le imprese di
dimensioni medio-piccole. Il principio si applica a tutte le disposizioni della proposta di
direttiva ed è particolarmente rilevante per l„applicazione dei requisiti qualitativi e
quantitativi di solvibilità e delle norme di vigilanza. Tale principio trova ulteriore
specificazione nelle disposizioni di attuazione.
2.1.1. Il ruolo del CEIOPS nel progetto Solvency II
Nel Marzo del 2004, dopo aver consultato l‟EIOPC nell‟ambito della procedura
Lamfalussy per lo sviluppo del progetto di Solvency II, la Commissione Europea
sollecitò il CEIOPS, in qualità di comitato competente di terzo livello per il settore
assicurativo, a fornire consulenza tecnica e supporto per la predisposizione del nuovo
sistema di vigilanza, tramite le cosiddette waves53
(ondate) che contenevano specifiche
richieste di pareri su i singoli punti del progetto.54
Per espletare il compito che gli era stato assegnato, il CEIOPS decise di istituire, nella
primavera del 2004, un‟organizzazione “ad hoc” ad esso dedicata divisa in cinque
gruppi di esperti: due gruppi si sono occupati di rispondere alle richieste riguardanti il
primo pilastro (uno per il ramo vita e l‟altro per il ramo danni), uno si è occupato del
lavoro per la predisposizione del secondo pilastro ed uno per quella del terzo. Ad un
ultimo gruppo, infine, venne richiesto di analizzare le possibili implicazioni per la
vigilanza dei gruppi assicurativi e dei conglomerati finanziari. Successivamente, nel
Maggio del 2005, i due gruppi che si occupavano del primo pilastro si sono uniti in un
53
MARKT/2543/03, MARKT/2515/04 e MARKT/2501/05 54
In particolare, la prima ondata prende in considerazione aspetti riferiti soprattutto al secondo pilastro; la
seconda include aspetti principalmente relativi al primo pilastro, quali: safety measures, solvency capital
requirement, technical provision; la terza, infine, prende in considerazione il terzo pilastro.
52
unico gruppo. Il coordinamento di tutti i working groups è affidato al comitato direttivo
e alla segreteria generale del CEIOPS.
Sulla base delle risposte che il comitato ha fornito al termine del proprio lavoro (tramite
la redazione di svariati consultation papers), sono stati stabiliti i principi fondamentali
che dovevano essere contenuti all‟interno della direttiva ed, in particolare, all‟interno
dei tre pilastri.
Al CEIOPS è stato inoltre richiesto di eseguire degli studi, noti come QIS (Quantitative
Impact Study), sul possibile impatto della nuova direttiva sugli operatori e sul mercato
in generale, basati sull‟analisi di dati raccolti tramite questionari compilati dagli
assicuratori su base volontaria.55
Fino ad oggi sono stati pubblicati cinque QIS, che
hanno aiutato il CEIOPS a calibrare gli standard di solvibilità scelti alle caratteristiche
dell‟industria assicurativa moderna.
Una volta definita la direttiva quadro, sono state studiate le implementing measures
della stessa, che sono poi state inserite all‟interno della normativa al momento della
definitiva pubblicazione, avvenuta, come affermato in precedenza, sul finire del 2009.
Al termine di questa fase, il CEIOPS ha cominciato a lavorare su quelle che saranno le
regole di III livello, ovvero sugli standard di vigilanza per il conseguimento della
convergenza internazionale tra le Autorità dei singoli stati membri. E‟ stato richiesto al
comitato di completare tale lavoro entro la fine del 2011.
Figura 5: Processo di approvazione e implementazione di Solvency II
Fonte: www.isvap.it
55
Questi documenti sono reperibili per gli assicuratori direttamente sul sito del CEIOPS (www.ceiops.eu)
53
2.2. Il primo pilastro
Come già detto, il primo pilastro dell‟architettura di Solvency II, cui sono dedicati gli
articoli da 73 a 132 della direttiva, contiene le disposizioni riguardanti i requisiti
quantitativi che le imprese di assicurazioni devono perseguire all‟interno della loro
attività. In particolare, vengono dettati criteri prudenziali per:
la valutazione delle attività e delle passività;
la determinazione dei fondi propri e per la loro ammissibilità ai fini della copertura
dei requisiti patrimoniali;
il calcolo del Solvency Capital Requirement (SCR)con particolare riguardo alla
struttura della formula standard e alle condizioni per l‟utilizzo dei modelli
interni;
il calcolo del Minimum Capital Requirement (MCR);
gli investimenti a copertura delle riserve tecniche e del SCR;
il calcolo dei requisiti patrimoniali per i gruppi di impresa
Fondamentali per la determinazione dei requisiti di solvibilità sono soprattutto le nuove
regole per la valutazione delle riserve tecniche, che mirano ad una sempre maggiore
armonizzazione a livello europeo attraverso l‟utilizzo dei principi contabili
internazionali IFRS56
, come suggerito dai rapporti del CEIOPS57
. Il comitato ha
sviluppato, per le principali categorie di attività e passività (diverse dalle passività
tecniche), proprie views su come dovrebbero essere valutate tali poste contabili. In
alcuni casi, le valutazioni previste dagli IFRS risultano essere una buona
approssimazione di una valutazione economica; in altri casi, il CEIOPS ritiene
necessario effettuare aggiustamenti rispetto ai valori calcolati in accordo agli IAS/IFRS
al fine di rendere la valutazione della posta più aderente ad una valutazione di tipo
economico.
Nel dettaglio, l‟art. 75 della direttiva richiede che le imprese di assicurazione e di
riassicurazione valutino le attività e le passività all‟importo al quale potrebbero essere
scambiate, trasferite o regolate tra parti consapevoli e consenzienti in un‟operazione
56
In particolare, con riferimento ai criteri IFRS 4 sui contratti di assicurazione 57
CEIOPS, (2005), Implication of IAS/IFRS Introduction for the prudential supervision of Insurance
Undertakings, Bruxelles
54
svolta alle normali condizioni di mercato; da notare che le passività non tengono conto
del merito creditizio proprio dell‟impresa.
Il fair value delle poste deve essere determinato mark to market e, dove non possibile,
mark to model, utilizzando input osservabili e sottoponendo il modello a revisione
periodica.
Secondo la definizione data dall‟articolo 76, invece, il valore delle riserve tecniche deve
corrispondere “all‟importo attuale che le imprese di assicurazione e di riassicurazione
dovrebbero pagare se dovessero trasferire immediatamente le loro obbligazioni di
assicurazione e di riassicurazione ad un‟altra impresa di assicurazione o di
riassicurazione.” Il computo di tale importo deve essere svolto in modo prudente,
affidabile e obiettivo e sulla base delle informazioni fornite dai mercati finanziari e dei
dati generalmente disponibili sui rischi di sottoscrizione, secondo un principio di
coerenza.
Da un punto di vista pratico, le riserve tecniche vengono calcolate come somma tra best
estimate (migliore stima) e risk margin: il primo corrisponde alla media ponderata dei
flussi di cassa futuri (valore attuale atteso) sulla base della struttura per scadenza dei
tassi di interesse privi di rischio, al lordo dei contratti di riassicurazione, mentre il
secondo è uguale al costo di costituzione di un importo di fondi propri pari al requisito
di solvibilità necessario per far fronte agli impegni presi, ovvero al premio di rischio che
un altro assicuratore richiederebbe per rilevare gli impegni stessi. Tramite il QIS 5, è
stato da poco introdotto un premio di illiquidità, da incorporare nel tasso di interesse
con il quale si scontano i flussi delle liability.
La valutazione di risk margin e best estimate viene effettuata separatamente dalle
imprese di assicurazione.
Aspetto fondamentale del primo pilastro è, però, la previsione di due livelli per i
requisiti di capitale, calcolati anch‟essi valutando attività e passività ai valori di
mercato:
SCR (Solvency Capital Requirement), che deve consentire all‟impresa di
assicurazione di poter assorbire anche significative perdite inattese e fornire così
una ragionevole sicurezza agli assicurati. Esso può essere considerato anche
come quel capitale necessario a far fronte agli impegni esistenti (e a quelli che si
presuppone vengano assunti nei 12 mesi successivi) su un dato orizzonte
55
temporale con un predefinito livello di confidenza (solitamente un anno e
99,5%).
Il SCR deve tenere conto di tutti i rischi quantitativi e può essere calcolato sia
attraverso una formula standard, sia attraverso dei modelli interni che
sicuramente riescono a fornire dei requisiti patrimoniali aderenti al reale profilo
di rischio dell‟impresa, sebbene comportino elevati costi di sviluppo e di risorse
umane;
MCR (Minimum Capital Requirement), che stabilisce un livello di capitale
minimo al di sotto del quale l‟operatività di un‟impresa assicurativa presenta un
rischio per gli assicurati inaccettabile, tale da rendere necessari gli interventi di
vigilanza più gravi.
Il modello per la determinazione del MCR dovrà essere semplice, ma allo stesso
tempo robusto e verificabile, e dovrà prevedere una soglia minima ed una soglia
massima.
Il MCR, calcolato con una formula standard, è compreso tra il 25% e il 45% del
SCR (20-50% nel QIS4) e non può essere inferiore a 2.200.000 euro per le
imprese danni, 3.200.000 euro per le imprese vita e riassicurative, 5.400.000
euro per le assicurazioni che esercitano sia i rami vita che non vita.
Sugli investimenti delle imprese, Solvency II recepisce il Prudent Person Principle, che
stabilisce il rispetto di principi generali di sicurezza, liquidità, redditività,
diversificazione del portafoglio, senza l‟imposizione, salvo casi eccezionali e su basi
comunque temporanee, di precisi limiti quantitativi agli attivi detenuti.
2.2.1. Fondi propri
L‟esperienza derivante dall‟applicazione del QIS 3, i cui risultati sono stati pubblicati
nel Novembre del 2007, ha evidenziato l‟importanza di un approccio chiaro verso i
fondi propri e la necessità per l‟impresa assicurativa di avere certezza sul trattamento
degli stessi da parte della nuova normativa. Quest‟ultima, da questo punto di vista,
presenta un forte innovazione rispetto a quelli che erano i requisiti stabiliti con Solvency
I. Seguendo il modello proposto in Basilea 2, i diversi elementi di capitale sono stati
56
divisi in tre Tier (classi) a cui corrisponde una diversa qualità delle attività
corrispondenti. I criteri inizialmente stabiliti per suddividere gli own funds nei diversi
Tier erano cinque, ampliati a sei con l‟introduzione del quarto QIS. Essi sono:
1) subordinazione dell‟ammontare totale in caso di liquidazione:
subordinati alle passività verso gli assicurati e ai creditori senior in caso
di liquidazione;
2) assorbimento delle perdite in prospettiva della continuazione dell‟attività
aziendale:
principal write down o conversion in common equity;
3) perpetuità o sufficiente durata:
perpetuo o con un durata superiore alle passività verso gli assicurati che
coprono;
rimborso con previa autorizzazione da parte del regulator e sostituzione
con uno strumento con pari o superiore subordinazione.
4) assenza di incentivi a redimere il capitale:
innalzamento del tasso fisso non prima dei 10 anni dalla data di
emissione e limitato al più alto tra 100 bps o al 50% dello spread iniziale.
5) assenza di costi fissi:
al verificarsi di determinati trigger, i coupon devono poter essere
cancellati;
il differimento deve avvenire per un periodo indefinito;
6) assenza di impedimenti.
Queste caratteristiche rispondono ad un‟ottica priciple-based (concetto che si analizzerà
nel seguito della trattazione) e quindi possono essere applicate a prescidere dalla
struttura del capitale e alle caratteristiche del business dell‟impresa. E‟ stato scelto di
utilizzare tale tipo di approccio per rendere i requisiti di capitale maggiormente flessibili
ed adattabili ai cambiamenti e per non limitare l‟innovazione finanziaria, nel caso in cui
questa non diminuisca la qualità del capitale a fini prudenziali58
Sono considerati Tier I i Basic Own Funds che rispettano pienamente i criteri 1 e 2 e
sostanzialmente i criteri dal 3 al 6, ed in particolare: capitale versato, riserve di capitale
58
FINANCIAL SERVICES AUTHORITY, (2008) Insurance Risk Management: The path to Solvency II,
pag. 24, consultabile dal sito internet www.fsa.gov.uk
57
idonee ad assorbire le perdite, debiti ibridi con capacità di assorbire le perdite
paragonata al capitale (per esempio, non cumulative preference shares; non cumulative
fixed terms preference shares), passività subordinate con loss absorbency paragonabile
al capitale (per esempio titoli perpetui).
I Tier II devono possedere le stesse caratteristiche dei Tier I fatta eccezione per il
criterio 2) (ovvero, assorbimento delle perdite in prospettiva di continuazione
aziendale).
Gli strumenti che possono essere considerati Tier II sono:
a) ibridi con maturity di almeno 5 anni dalla data di emissione (per esempio,
cumulative preference shares);
b) passività subordinate con una maturity di almeno 5 anni dalla data di emissione
(per esempio passività subordinate datate)
I Tier III costituiscono una voce residuale che raccoglie tutte le passività subordinate
che non rispettano le caratteristiche richieste per i Tier I e II, ma che sono subordinate a
tutte le passività verso gli assicurati e agli altri creditori senior in liquidazione.
Gli strumenti che possono essere considerati Tier III sono:
a) ibridi con maturity inferiore ai 5 anni dalla data di emissione;
b) passività subordinate con maturity inferiore 5 anni dalla data di emissione.
L‟obiettivo ultimo di questa suddivisione è l‟individuazione degli elementi che possono
essere ammessi per il calcolo di MCR e SCR.
Recentemente, con l‟introduzione del QIS 5 nel luglio di quest‟anno e terminato a metà
di Novembre, è stata previsto che, ai fini del calcolo dei fondi propri, è necessaria la
valutazione anche degli utili attesi inclusi nei premi futuri (EPIFP) che vengono
considerati parte dei Tier I.
2.2.2. Il Calcolo del SCR: modello standard
58
L‟articolo 102 della Direttiva dispone che le imprese di assicurazione e di
riassicurazione calcolino il requisito patrimoniale di solvibilità almeno una volta
all‟anno e comunichino il risultato di tale calcolo alle Autorità di vigilanza.
La normativa distingue, inoltre, all‟interno dell‟articolo 101, tra sei tipi di rischi che
devono essere considerati nel computo del SCR:
a) il rischio di sottoscrizione per l‟assicurazione non vita;
b) il rischio di sottoscrizione per l‟assicurazione vita;
c) il rischio di sottoscrizione per l‟assicurazione malattia;
d) il rischio di mercato;
e) il rischio di credito;
f) il rischio operativo.
Da questi, secondo quanto descritto dall‟articolo 104, è possibile giungere al calcolo del
SCR di base secondo la formula standard:
Dunque il requisito patrimoniale di base è pari al prodotto di tutte le combinazioni dei
moduli (a parte quello relativo al rischio operativo) moltiplicato per il relativo fattore di
correlazione tra i rischi considerati nella seguente matrice di correlazione:
Tabella 2: Matrice correlazioni SCR
CorrSCR=
1 0,25 0,25 0,25 0,25
0,25 1 0,25 0,25 0,5
0,25 0,25 1 0,25 0
0,25 0,25 0,25 1 0
0,25 0,5 0 0 1
Fonte: Allegato IV della direttiva Solvency II
59
Al risultato ottenuto da questa formula vanno sommati il requisito patrimoniale per il
rischio operativo (ex art. 107) e l‟aggiustamento per la capacità di assorbimento delle
perdite delle riserve tecniche e delle imposte differite (ex art. 108).
Nel dettaglio, il requisito patrimoniale per il rischio operativo riflette i rischi operativi
nella misura in cui non siano già coperti nei moduli di rischio di cui all‟articolo 104.59
Per quanto riguarda i contratti di assicurazione vita, in cui il rischio di investimento è
sopportato dai contraenti, il calcolo del requisito patrimoniale per il rischio operativo
tiene conto dell‟importo delle spese annuali sostenute in relazione a tali obbligazioni di
assicurazione, mentre, per quanto concerne le attività degli altri rami, il calcolo del
requisito tiene conto del volume delle operazioni in termini di premi acquisiti e di
riserve tecniche detenute a copertura delle obbligazioni. In questo caso, il requisito
patrimoniale per il rischio operativo non supera il 30% del requisito patrimoniale di
solvibilità di base relativo a tali operazioni di assicurazione e di riassicurazione.
Il calcolo del Solvency Capital Requirement, come detto, richiede la definizione di una
misura di rischio e di un intervallo di confidenza, dove per misura di rischio s‟intende
una funzione che assegna una quantità di capitale ad una distribuzione di utili e perdite
economiche. A questo proposito, il CEIOPS è particolarmente favorevole all‟adozione
del metodo della expected shortfall60
(anche nota come TailVar) ai fini di vigilanza61
che, da un punto di vista tecnico ed economico, sembrerebbe preferibile rispetto al
semplice VaR62
, in quanto i suoi risultati risultano maggiormente coerenti. Tuttavia, il
CEIOPS ritiene che, a seconda delle caratteristiche di rischio del portafoglio, il VaR
possa essere calibrato in modo da ottenere lo stesso livello di prudenza del TailVar.
L‟intervallo di confidenza suggerito dal Comitato è del 99,5% e, di conseguenza, la
probabilità di default target è dello 0,5% (vale a dire, uno ogni 200 anni), mentre
l‟orizzonte temporale è un anno.
Ciascun modulo di rischio compreso nel SCR di base è, a sua volta, suddiviso in
sottomoduli, secondo i principali fattori di rischio.
59
Ovvero, tutti i rischi considerati dall‟articolo 101 escluso il rischio operativo stesso 60
“L‟ES è pari all‟opposto della medie delle α perdite” e dunque considera anche la coda della
distribuzione, che viene invece tralasc iata dal VaR (MENONCIN F., (2009), Misurare e gestire il rischio
finanziario, SPRINGER, Milano, pag. 162 61
CEIOPS(2005), Answers to the European Commission on the second wave of Calls for Advice in the
framework ofthe Solvency II project, pag. 105 62
Perdita che si stima si verifichi con un certo livello di confidenza e in un determinato orizzonte
temporale.
60
Figura 6: Suddivisione SCR secondo Solvency II
Fonte: Direttiva CE Solvency II
In questa sede, vogliamo specificare le modalità di calcolo per gli SCR del rischio di
sottoscrizione per l‟assicurazione vita e per l‟assicurazione non vita.
Per il primo (Life underwriting risk) è prevista la suddivisione, confermata anche dagli
studi QIS, nei seguenti sottomoduli:
a) mortality risk: si applica ai contratti per cui il capitale da pagare in caso di
decesso dell‟assicurato supera le riserve tecniche. Pertanto, poiché un aumento
nei tassi di mortalità dovrebbe portare ad un innalzamento nel livello delle
riserve stesse il SCR di mortalità deve catturare il rischio che un numero
maggiore di quello atteso di assicurati deceda prima della scadenza contrattuale;
SCR
Adjusted SCR SCR di base
SCR danni
tariffazione e riservazione
riscatto
catastrofe
SCR vita
mortalità
longevità
malattia
riscatto
spese
revisione
catastrofe
SCR mercato
tasso
cambio
immobiliare
azionario
credito
liquidità
SCR malattia SCR credito
SCR operativo
61
b) longevity risk: si applica ai contratti per cui non vi è capitale caso morte oppure
il capitale da pagare in caso di decesso dell‟assicurato è inferiore alle riserve
tecniche. Poichè, quindi, una diminuzione nei tassi di mortalità dovrebbe
portare ad un aumento delle riserve stesse, il SCR di longevità deve pertanto
catturare il rischio che un numero maggiore di quello atteso di assicurati
sopravviva: questo è quello che ci si aspetta soprattutto nei paesi sviluppati;
c) disability risk (rischio di malattia): è associato alle assicurazioni che coprono
perdite dovute a malattia, incidenti e disabilità o spese mediche ad essi
collegate. Si tratta di un modulo di rischio residuale rispetto a quello relativo
all’health underwriting risk. Il SCR deve catturare il rischio che ad un maggior
numero di assicurati rispetto alle attese sia diagnosticata una delle disabilità
contemplate o non sia più in grado di lavorare nel periodo di copertura della
polizza;
d) lapse risk (rischio di riscatto): questo modulo copre il rischio di perdita
derivante da estinzioni anticipate, recessi, rinnovi e riscatti delle polizze;
e) expense risk (rischio di spese): rischio derivante da una variazione nelle spese
di gestione dei contratti;
f) revision risk: si riferisce al rischio di perdite o di variazioni avverse del valore
delle passività assicurative, derivante da oscillazioni del livello, della tendenza
o della volatilità dei tassi di revisione delle rendite, dovute a variazioni del
quadro giuridico o dello stato di salute della persona assicurata
g) catastrophe risk : Deriva da eventi estremi o irregolari i cui effetti non sono
sufficientemente catturati negli altri sottomoduli del settore vita. Viene trattato
utilizzando tassi molto elevati di mortalità/morbilità, quindi si ritiene associato
a prodotti in cui la compagnia assicura un capitale in caso di morte o malattia.
Come per gli altri rischi che compongono l‟SCR di base, i singoli SCR per ognuno dei
sottomoduli possono essere calcolati con un approccio di scenario, in termini di
variazioni del NAV (Net Asset Value) in seguito a possibili situazioni di shock:
-A) - )
dove e sono i valori di attivi e riserve ricalcolati secondo lo scenario applicato.
62
Dall‟altra parte, è possibile utilizzare un approccio cosiddetto factor based, basato
sull‟applicazione di un fattore (dove si considerano tutti gli elementi di rischiosità) ad
una misura rappresentativa dell‟esposizione al rischio dell‟impresa.
La combinazione dei requisiti dei sottomoduli, infine, da come risultato il requisito
complessivo per il rischio di sottoscrizione vita, secondo la formula usata anche per il
SCR di base.
Dall‟altra parta, il SCR del rischio di sottoscrizione non vita tiene conto dell‟incertezza
dei risultati delle imprese di assicurazione e di riassicurazione in rapporto alle relative
obbligazioni esistenti, nonché delle nuove attività che si prevede siano contabilizzate
nel corso dei dodici mesi successivi. Anch‟esso è calcolato secondo la stessa formula
del SCR di base, tenendo conto che a corrisponde il sottomodulo del rischio
congiunto di tariffazione e di riservazione (premium risk)63
ed a il sottomodulo del
rischio di catastrofe. Recentemente, con la pubblicazione delle specifiche tecniche del
QIS 5, è stata aggiunto all‟interno della formula anche il SCR legato al rischio di
riscatto.
In conclusione va ricordato che, ai fini di una riduzione del requisito patrimoniale,
possono essere utilizzati strumenti riassicurativi a condizione che vi sia un effettivo
trasferimento del rischio e che le imprese cessionarie abbiamo almeno rating BBB; la
riassicurazione considerata deve essere legalmente applicabile ed esecutiva in tutte le
giurisdizioni rilevanti. E‟ anche possibile ricorrere a forme di mitigazione finanziaria, in
particolare per i crediti, nel caso via siano, all‟interno dell‟azienda, le adeguate
conoscenze di tali strumenti; anche in questo caso, però, sono richieste determinate
condizioni giuridiche e di rating. Inoltre, il SCR di base può essere abbattuto dell‟effetto
fiscale fino a concorrenza delle tasse differite iscritte a passivo.
2.2.3. I modelli interni
63
rischio di perdita o variazione sfavorevole del valore delle passività assicurative, derivante da
oscillazioni riguardanti il momento di accadimento, la frequenza e la gravità degli eventi assicurati
nonché il momento di accadimento e l‟importo delle liquidazioni di sinistri (ex art. 105 comma 2)
63
Oltre all‟utilizzo del metodo standard previsto dalla direttiva, le compagnie possono
adottare, anche parzialmente, un modello interno promosso dalle Autorità di vigilanza
successivamente alla redazione di una domanda di approvazione in cui le imprese di
assicurazione e di riassicurazione presentano quanto meno prove documentali a
dimostrazione del fatto che il loro modello interno soddisfa i requisiti richiesti dagli
articoli da 120 a 125. Il modello, a prescindere dal metodo prescelto, deve essere
ampiamente utilizzato in azienda, soprattutto nei processi di risk managament e capital
assignement e deve fornire un requisito più adatto al profilo di rischio dell‟impresa.
Proprio al Risk Management è affidato il compito di costruire, testare (con cadenza
periodica) e documentare il modello, diffondendone i risultati all‟interno dell‟azienda e
definendone le responsabilità. Il modello deve adattarsi in maniera appropriata al
business dell‟impresa e le metodologie di calcolo e le basi statistiche adoperate devono
essere adeguatamente dettagliate. Devono essere, inoltre, indicati i rischi coperti, gli
effetti di diversificazione e le management actions intraprese.
Non è prescritto alcun metodo particolare per il calcolo della distribuzione di probabilità
prevista. In tal senso, possono essere utilizzati sia modelli che adattano i parametri della
propria azienda al modello standard, sia modelli che si discostano totalmente da esso.
Quando le imprese di assicurazione e di riassicurazione non sono in grado di derivare il
requisito patrimoniale di solvibilità direttamente dalla distribuzione di probabilità
prevista prodotta dal loro modello interno, le Autorità di vigilanza possono autorizzare
l‟uso di approssimazioni nella misura in cui tali imprese possano dimostrare loro che i
contraenti beneficiano di un livello di tutela equivalente a quello previsto dall‟articolo
101.
Dichiaratamente, Solvency II intende incentivare ogni assicurazione ad adottare un
modello interno e, proprio per questo, comporta dei requisiti patrimoniali maggiori per
chi adotta la formula standard. Una seconda causa penalizzante per chi adotta la formula
standard, è che questa consente un procedimento di calcolo sicuramente molto meno
oneroso come tempi e costi, ma fornisce delle stime delle uscite attese (del costo dei
sinistri aggregato) meno accurate, che portano ad una minore affidabilità sulla
probabilità di fallimento così calcolata. Tuttavia, a meno che l‟impresa non ottenga
l‟approvazione del proprio modello interno entro il termine attualmente fissato per il 31
64
Ottobre 2012, essa dovrà necessariamente applicare la formula standard a partire da tale
data.
2.2.4. I requisiti patrimoniali di gruppo
Anche se non inclusi direttamente nel primo pilastro, è bene illustrare il contenuto delle
disposizioni dettate dagli articoli che vanno dal 218 al 259 e che trattano la disciplina
per la solvibilità di gruppo. Secondo quanto previsto da questi articoli, il SCR di gruppo
può essere valutato sulla base di dati consolidati, ma deve tener conto di tutte le fonti di
rischio al proprio interno, comprese quelle group-specific. In seguito ai risultati ottenuti
con il QIS 4, innovando rispetto alle precedenti disposizioni, è stato previsto che nel
calcolo del SCR di gruppo si tenga conto della diversificazione (con quest‟ultima
s‟intende la diversificazione a livello di gruppo, dato che quella a livello di singola
partecipata dovrebbe essere già inclusa all‟interno dei singoli SCR) e dunque tale
requisito non può essere superiore alla somma dei SCR delle singole imprese facenti
parte del gruppo stesso. Dall‟altro lato, il SCR di gruppo dev‟essere perlomeno pari al
più elevato degli SCR tra quelli delle partecipate. Devono infine essere eliminate dal
computo del requisito le intra-group transactions, per evitare un doppio conteggio.
E‟ prevista la possibilità di calcolare la solvibilità di gruppo anche con un metodo
alternativo, basato sulla somma dell‟SCR a livello individuale calcolata con la formula
standard, dei fondi propri dell‟impresa di assicurazione partecipante e della quota
proporzionale dell‟SCR individuale e dei fondi propri di ciascuna impresa di
assicurazione partecipata, con i necessari aggiustamenti.
Laddove l‟applicazione esclusiva del metodo standard risultasse non appropriata, i
gruppi possono applicare una combinazione dei metodi standard e alternativo.
Infine, anche per i gruppi è prevista la possibilità di adottare un modello interno per il
calcolo del proprio SCR.
Per quanto riguarda il calcolo delle riserve tecniche del gruppo, esse corrispondono alla
somma delle riserve delle singole società, al netto della riassicurazione interna. Il risk
margin complessivo è pari semplicemente alla somma dei singoli risk margin.
Anticipando quanto diremo riguardo al nuovo sistema di vigilanza introdotto con
Solvency II, teniamo a sottolineare come una delle previsioni fondamentali introdotte in
65
quest‟ambito riguardi specificatamente la supervisione a livello di gruppo. Se, infatti,
con le precedenti direttive era stata istituita una vigilanza di tipo supplementare,
attraverso la quale la supervisione di gruppo era aggiunta alla cosiddetta vigilanza
“solo” e dunque non la sostituiva, con Solvency II viene sostanzialmente cambiata
quest‟impostazione, perché viene considerato il gruppo come un‟unica entità, secondo
la definizione proposta dall‟articolo 212 della direttiva, e vengono stabiliti i compiti e le
modalità di nomina di un‟Autorità di vigilanza di gruppo, cui sono attribuiti estesi poteri
di coordinamento e decisionali. D‟altra parte Solvency II riconosce che un‟efficiente
supervisione a livello di gruppo si ripercuota positivamente sul mercato delle singole
compagnie assicurative.64
2.3. Il secondo pilastro
Al secondo pilastro di Solvency II sono dedicati i primi 49 articoli della direttiva. Tale
pillar è costituito, da un lato, da norme che concernono la governance, il risk
management e il controllo interno dell‟impresa e, dall‟altro, dalla disciplina delle
attività, degli strumenti e dei poteri della vigilanza. Con riferimento al primo aspetto, è
di particolare rilievo la previsione della direttiva in base alla quale l‟impresa,
nell‟ambito del proprio sistema di risk management, effettui regolarmente una propria
valutazione dei rischi e della posizione di solvibilità (nella terminologia del legislatore
comunitario: “Own Risk and Solvency Assessment - ORSA”); per quanto riguarda il
secondo aspetto, invece, vengono definiti i nuovi principi alla base del sistema di
vigilanza, secondo una nuova ottica di tipo principle based65
, che si discosta da quella
rule based che contraddistingueva le precedenti normative: questo processo di
revisione, già affrontato nel secondo pilastro di Basilea II, è noto con il nome di
“Supervisory review process”.
2.3.1. Disposizioni per il sistema di vigilanza
64
CEA, (2008), Solvency II: FAQs on Group Supervision & Group Support Regime, consultabile presso
il sito www.cea.eu 65
“la regolamentazione [...] tende, inoltre, ad evitare un'eccessiva prescrittività, indicando solo principi di
carattere generale, integrati da linee guida applicative e indicazioni su prassi accettabili, diffuse e
utilizzate presso gli intermediari” (tratto daTitolo I, Circolare della Banca d'Italia n. 263 del 27 dicembre
2006)
66
Per quanto concerne la vigilanza, l‟articolo 27 afferma che obiettivo principale di
quest‟ultima dev‟essere la tutela dei contraenti e dei beneficiari, senza dimenticare,
nell‟espletamento delle proprie funzione generali, il costante perseguimento della
stabilità, soprattutto in situazioni di emergenza (ex art. 28), che potrebbero portare a
fenomeni di prociclicità nei suoi interventi.
Negli articoli successivi vengono poi specificati quelli che sono i principi generali alla
base del nuovo sistema di vigilanza:
1. la vigilanza è basata su un metodo prospettico e basato sul rischio ed include la
verifica continua del corretto esercizio dell‟attività di assicurazione o di
riassicurazione e dell‟osservanza delle disposizioni di vigilanza da parte delle
imprese di assicurazione e di riassicurazione;
2. la vigilanza delle imprese di assicurazione e di riassicurazione, in particolare,
comprende un‟opportuna combinazione di attività cartolari e ispezioni in loco;
3. gli Stati membri garantiscono che i requisiti stabiliti nella direttiva siano
applicati in modo proporzionato alla natura, alla portata e alla complessità dei
rischi inerenti all‟attività di un‟impresa di assicurazione o di riassicurazione;
4. la Commissione si adopera affinché le misure di attuazione tengano in
considerazione il principio di proporzionalità, garantendo in tal modo
l‟applicazione proporzionale della direttiva, in particolare alle imprese
assicurative di piccole dimensioni.
Viene specificato, inoltre, che la vigilanza del settore assicurativo rientra nella
competenza esclusiva dello stato membro di origine ed i suoi poteri comprendono il
dovere di garantire che le imprese forniscano alle Autorità di vigilanza preposte le
indicazioni richieste dall‟articolo 35 (riguardanti l'insieme delle attività dell'impresa di
assicurazione o di riassicurazione e comprendenti lo stato di solvibilità dell'impresa, la
costituzione di riserve tecniche, le sue attività e i suoi investimenti e i fondi propri
ammissibili) e che le Autorità stesse possano verificare tali informazioni, anche tramite
ispezioni in loco, conformemente alle norme o prassi stabilite dallo stato membro
stesso, come previsto delle disposizioni adottate a livello comunitario. Gli stati membri,
inoltre, devono garantire che le Autorità di vigilanza abbiano il potere di adottare
67
misure preventive e correttive per assicurare che le imprese di assicurazione e di
riassicurazione rispettino le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative. E‟
previsto, infine, che, in casi specifici ed eccezionali, successivamente alla procedura di
riesame di loro competenza, le Autorità di vigilanza possano richiedere all‟impresa di
assicurazione o riassicurazione un maggior accantonamento di capitale (cosiddetto add-
on) che dev‟essere sommato al requisito calcolato dall‟impresa stessa.
Come accennato in precedenza, obiettivo ultimo di questo processo di revisione è la
convergenza in materia di strumenti e di prassi di vigilanza all‟interno dell‟Unione,
come reso palese dall‟articolo 70 della direttiva, che prevede inoltre che gli stati membri
garantiscano la presenza delle proprie Autorità di vigilanza all‟interno delle riunioni del
CEIOPS, tenendo sempre in considerazione i relativi orientamenti e raccomandazioni.
Al fine di conseguire tale convergenza, vengono dettate una serie di disposizioni per
una sempre maggiore libertà di circolazione di informazioni tra le Autorità dei diversi
stati membri.66
2.3.2. Disposizioni in materia di Corporate Governance
Un‟efficace funzione di Risk management e un‟adeguata governance sono punti cardine
di un solido sistema di solvibilità. Nel dicembre 2002, lo Sharma Report67
concluse che,
sebbene sia assolutamente necessario per gli assicuratori detenere un capitale adeguato a
copertura del proprio rischio di fallimento, le decisioni del senior management e la
qualità dei controlli interni sono da considerare ancor più decisivi per la sopravvivenza
dell‟assicuratore a lungo termine.
Con la direttiva Solvency II, attraverso la nuova visione principle based, si è inteso
attribuire sempre maggiore importanza agli organi amministrativi delle imprese di
assicurazione ed in particolare del consiglio di amministrazione a cui vengono assegnate
responsabilità in materia di:
1. implementazione della normativa;
2. risk appetite e strategia operativa;
66
A tal proposito si rimanda agli articoli 64-70 della direttiva. 67
SHARMA GROUP, (2002), Prudential supervision of insurance firmsper la Conferenza delle Auotità
di vigilanza assicurativa degli Stati Membri dell‟Unione Europea.
68
3. predisposizione del sistema di Risk Management;
4. diffusione della cultura di Risk Management all‟interno dell‟azienda;
5. adozione di modelli interni;
6. reportistica verso l‟interno e verso l‟esterno.
Secondo l‟art. 41 della direttiva, le imprese di assicurazione devono dotarsi di un
sistema efficace di governance, proporzionato alla dimensione, alla natura e alla
complessità dell‟azienda, in modo tale da consentire una gestione solida e prudente
dell‟attività. Tale sistema deve avere una struttura organizzativa trasparente ed
adeguata, con una chiara ripartizione e un‟appropriata separazione delle responsabilità,
e comprendendo al suo interno un efficace processo per la trasmissione delle
informazioni.68
Il sistema di governance è soggetto, da una parte, ad un riesame interno periodico,
dall‟altra, grazie al nuovo Supervisory Review Process, è sottoposto all‟esame
dell‟Autorità che giudica la capacità degli organi amministrativi aziendali di
identificare, valutare e gestire i rischi effettivi e potenziali connessi con la propria
attività, nell‟ambito del processo di autovalutazione ORSA. L‟Autorità di vigilanza ha
anche il potere di imporre rimedi a possibili debolezze o deficienze del sistema di
governance, comprese le relative strategie, i processi e le procedure di reporting, in
modo tale da incrementare la fiducia sulla solvibilità complessiva dell‟impresa.
Quest‟ultima ha l‟onere di dimostrare che la sua governance e il suo risk management
sono adeguati al proprio profilo di rischio e deve fornire all‟Autorità tutta la
documentazione necessaria per effettuare i propri controlli.
Il sistema di governance deve, infine, disporre di politiche scritte ed implementate
quantomeno in materia di gestione del rischio, controllo interno, internal audit e,
laddove rilevante, esternalizzazione.
Come già specificato più volte all‟interno di questo lavoro, anche dalla direttiva si
evince il ruolo chiave che dovrà assumere il risk management all‟interno delle imprese
di assicurazione o riassicurazione. Solvency II, infatti, riflette il desiderio della
Commissione Europea di collegare sempre più il calcolo della solvibilità delle imprese
ai rischi assunti e, proprio per questo, molti sono gli incentivi previsti per la costituzione
68
CEIOPS, (2009), Advice for Level 2 Implementing Measures on System of governance
69
di una funzione di risk management che, secondo l‟articolo 44, comprenda le strategie, i
processi e le procedure di segnalazione necessarie per individuare, misurare,
monitorare, gestire e segnalare, su base continuativa, i rischi (e le relative
interdipendenze), a livello individuale ed aggregato, ai quali sono o potrebbero essere
esposte le compagnie di assicurazione e riassicurazione.
I requisiti presentati dalla direttiva, anche alla luce del Consultation Paper n. 33 del
CEIOPS, sono intesi ad introdurre stabilmente le tematiche di Risk Management
all‟interno dell‟azienda sia a livello organizzativo che di processi decisionali (strategici
e tattici), incrementando la consapevolezza sul proprio profilo di rischio, sviluppando
capacità di valutazione riguardo le proprie necessità di solvibilità e introducendo
tecniche best practice di gestione del rischio.
Nell‟ambito di questa funzione devono, come minimo, essere svolte le seguenti attività:
a) sottoscrizione e costituzione delle riserve;
b) asset-Liability management;
c) investimenti, con particolare attenzione a derivati e simili;
d) gestione dei rischi di liquidità e concentrazione;
e) gestione del rischio operativo;
f) riassicurazione e altre tecniche di mitigazione del rischio.
Tutto ciò senza dimenticare che il sistema di Risk Management copre, ovviamente, tutti
i rischi che concorrono alla determinazione del requisito di solvibilità (SCR), nonché gli
altri rischi che da quest‟ultimo sono completamente o parzialmente esclusi.
In questo contesto, Solvency II ha introdotto un nuovo strumento per l‟autovalutazione
qualitativa della propria posizione di solvibilità, denominato ORSA, i cui risultati
devono essere documentati e trasmessi all‟Autorità di vigilanza nell‟ambito delle
informazioni richieste secondo l‟articolo 35.
Come affermato dal CEIOPS, questo strumento “può essere definito come l‟insieme dei
processi e procedure adottate per identificare, valutare, monitorare, gestire e
rappresentare i rischi di breve e lungo periodo che la Compagnia deve o potrebbe dover
fronteggiare e per determinare i fondi propri necessari a coprire i requisiti di
solvibilità”. 69
69
CEIOPS, (2008) Issues paper on the Own Risk and Solvency Assessment (dal sito www.ceiops.eu)
70
La struttura verticale e i contenuti del processo ORSA presentano analogie con il
processo ICAAP (Internal Capital Adequacy Assessment) previsto dalla normativa
Basilea II e ormai ben avviato nel settore bancario. Esso rappresenta, oltre che il punto
di partenza dell‟attività di supervisione da parte delle Autorità di vigilanza,
un‟importante occasione di revisione interna, sia sul piano dei controlli, che della
strategia: le imprese che riusciranno a dare vita ad un‟attenta valutazione interna
otterranno un vantaggio competitivo poiché calibreranno le proprie decisioni di business
tenendo sempre in considerazione il possibile impatto sui rischi e sul capitale
dell‟azienda. Con l‟applicazione di questo procedimento, inoltre, l‟impresa potrà
superare la visione dell‟accantonamento patrimoniale come mero requisito
regolamentare, considerandolo, invece, un utile strumento per migliorare la
competitività del proprio business.
Secondo l‟articolo 45, la valutazione dell‟ORSA riguarda per lo meno:
a) il fabbisogno di solvibilità globale tenuto conto del profilo di rischio specifico, dei
limiti di tolleranza del rischio approvati e della strategia operativa dell‟impresa;
b) l‟osservanza continua dei requisiti patrimoniali e dei requisiti riguardanti le riserve
tecniche;
c) la misura in cui il profilo di rischio dell‟impresa interessata si discosti dalle ipotesi
sottese al requisito patrimoniale di solvibilità, calcolato con la formula standard o con
un modello interno parziale o completo.
La rivalutazione interna effettuata dall‟ORSA non origina però, di per sé, un ulteriore
requisito patrimoniale di solvibilità; l‟Autorità di vigilanza esaminerà infatti le
informazioni ricevute, nel quadro della procedura di valutazione complessiva della
vigilanza dell‟impresa, e deciderà di richiedere una maggiorazione del requisito solo nei
casi previsti dall‟articolo 37 della direttiva.
Particolare importanza, all‟interno della valutazione qualitativa effettuata in ambito
ORSA, è assunta dal rischio operativo per il quale l‟impresa deve predisporre una
valutazione ben documentata e un sistema di risk management specifico, con
responsabilità ben definite.
Competenza del Risk Management è anche quella, nel caso sia adottato un modello
interno, di costituire, verificare, applicare e infine documentare tale modello, prima di
informare l‟organo amministrativo sui risultati con esso ottenuti. Se questi ultimi si
71
discostano eccessivamente dalle assunzioni alla base del calcolo del SCR, il modello
dev‟essere ritarato in modo tale da ottenere valori coerenti con la calibrazione del SCR
stesso. La complessità dei rischi, non solo tecnico-assicurativi, e degli strumenti
finanziari espone le imprese ad elevati rischi di modello dal momento che errori
metodologici, dati insufficienti o inadeguati e interpretazioni non corrette degli output
possono condurre a decisioni di business sub-ottimali. Per mitigare tale tipo di rischio è
essenziale implementare una governance dei modelli che preveda un processo di
validazione indipendente rispetto alle figure che hanno partecipato direttamente
all‟implementazione dei modelli stessi e che comprenda al suo interno una serie di use
test.70
Solvency II richiede, attraverso l‟articolo 47 della direttiva, la presenza di una funzione
di internal audit che valuti l‟adeguatezza e l‟efficacia del sistema di controllo interno e
di altri elementi del sistema di governance, facendo in modo che questa risulti sempre
adeguata ed efficiente.
Secondo l‟articolo 48, infine, è necessaria, all‟interno dell‟impresa, la presenza di una
funzione attuariale, ritenuta addirittura indispensabile dal CEIOPS per l‟adeguatezza del
sistema di governance. Non risulta necessario che questa funzione venga svolta da
personale con specifica formazione professionale, ma è sufficiente che “sia esercitata
da persone che dispongono di conoscenze di matematica attuariale e finanziaria,
commisurate alla natura, alla portata e alla complessità dei rischi inerenti all‟attività
dell‟impresa di assicurazione o di riassicurazione e che sono in grado di dimostrare
un‟esperienza pertinente in materia di norme professionali e di altre norme
applicabili.”71
E‟ possibile esternalizzare tutte le funzioni di corporate governance di cui si è fatta
menzione, ma l‟impresa di assicurazione rimane responsabile in toto delle attività
esternalizzate. Questa scelta, inoltre, comporta dei requisiti di capitale addizionali (ex
art. 50) per garantire che i contratti di esternalizzazione siano costituiti e gestiti in
maniera effettiva.
70
Gli use test richiedono all‟assicuratore di dimostrare che vi sia sufficiente autodisciplina da parte
dell‟impresa nello sviluppo e nell‟applicazione del modello interno, in modo tale che quest‟ultimo sia
largamente utilizzato e abbia un ruolo importante all‟interno dell‟azienda stessa. (FINANCIAL
SERVICES AUTHORITY, Insurance Risk Management: The path to Solvency II, pag. 31, dal sito
internet www.fsa.gov.uk) 71
CEIOPS, Consultation Paper No. 24– Advice on the Principle of Proportionality in the Solvency II
Framework Directive Proposal, (rinvenibile sul sito www.ceiops.eu)
72
2.4. Il terzo pilastro
Il terzo pilastro che compone la struttura di Solvency II è contenuto all‟interno degli
articoli 35 e da 50 a 55 e detta disposizioni relative ai contenuti e alle modalità
dell‟informativa ai fini di vigilanza e verso il mercato. Obiettivo di questa parte della
normativa è il conseguimento di un sempre maggiore livello di trasparenza informativa
delle imprese di assicurazione, che faciliti la vigilanza nello svolgimento dei propri
compiti.
Con il nuovo regime previsto, le imprese devono prepararsi a fornire pubblicamente una
quantità d‟informazioni molto maggiore rispetto al passato.72
Dall‟altra parte, per il
mercato sarà più semplice analizzare un‟impresa, confrontare due o più imprese di
assicurazione e fare benchmark sul settore assicurativo.
Solvency II, infatti, intende garantire una sempre maggiore coerenza tra reporting
regolamentare e informativa al pubblico a livello europeo, che porterà anche ad un
cambiamento nel tipo d‟informazioni richieste dalle Autorità.
Oltre al supervisor, anche gli analisti, le agenzie di rating, gli investitori ed i clienti
potranno disporre di informazioni pubbliche sulla governance, sul profilo di rischio, sul
capital management e sul grado di patrimonializzazione delle imprese. Dal canto loro, le
imprese potranno utilizzare l‟informativa per dimostrare la propria solidità patrimoniale,
l‟efficacia della propria governance e delle funzioni di controllo, fornendo un maggiore
livello di conforto a tutti gli stakeholders. In particolare nei confronti dei clienti, le
imprese potranno costruire un‟immagine sulla base della loro trasparenza, solidità e
capacità di gestione dei rischi inerenti il business assicurativo. Questo potrebbe portare
nuovi investitori, precedentemente restii ad affacciarsi nel settore assicurativo, a
riconsiderare le proprie strategie d‟investimento.
Secondo quanto richiesto dalla normativa, è prevista la predisposizione di due tipi di
documenti:
il Report to Supervisor (RTS), destinato all‟Autorità di vigilanza, che, secondo
quanto descritto dall‟articolo 35 comma 1 della direttiva, deve contenere
72
CEIOPS, (2008), Issues Paper on the Supervisory Review Process and Undertakings’ Reporting
Requirements (consultabile presso il sito www.ceiops.eu)
73
quantomeno le informazioni necessarie a valutare il sistema di governance
adottato dalle imprese, l‟attività che esse esercitano, i principi di valutazione
applicati a fini di solvibilità, i rischi cui sono esposte e i sistemi di gestione dei
rischi, nonché la loro struttura patrimoniale, il loro fabbisogno di capitale e la
loro gestione del capitale. Le informazioni, inoltre, devono consentire al
supervisor di adottare tutte le misure derivanti dalle funzioni assegnategli dalla
direttiva;
Il Solvency and Financial Condition Report (SFCR), ovvero una disclosure
pubblica redatta annualmente da parte dell‟impresa d‟assicurazione e
contenente, come richiesto dall‟articolo 51, informazioni quantitative riguardanti
i requisiti di capitale regolamentari adottati, incluso ogni possibile scostamento
dei propri MCR e SCR e, in caso, la maggiorazione del requisito per essi
prevista. Dall‟altra parte, in aggiunta alle principali informazioni finanziari, è
richiesta una descrizione qualitativa del proprio business e delle proprie
performance finanziarie, del sistema di governance e dei differenti rischi
affrontati all‟interno della propria attività, indicando, per ogni categoria di
rischio, l‟esposizione, la concentrazione, la mitigazione e la sensibilità verso lo
stesso.
Il RTS e il SFCR sono report autonomi per i quali CEIOPS73
ha previsto una struttura
comune per ridurre l‟impatto sulle imprese chiamate a preparare i report. In questo
senso, il dettaglio delle informazioni contenute nel report dovranno essere
“proporzionali” alla natura, dimensione e complessità del business.
Questo tipo di reportistica dev‟essere redatta secondo una frequenza predeterminata, ma
il comma 2 dell‟articolo 35 stabilisce che vi sono eventi (come, ad esempio, una
modifica sostanziale del profilo di rischio o della posizione patrimoniale) che
determinano la necessità di comunicazione specifica da parte dell‟impresa. Inoltre,
l‟Autorità di vigilanza, nell‟ambito del Supervisory Review Process, possono richiedere
all‟impresa di ricevere determinate documentazioni.
Infine, l‟articolo 53 prevede dei casi in cui l‟informativa al pubblico non è necessaria,
ovvero allorquando le informazioni fornite potrebbero recare vantaggi indebiti ai
concorrenti dell‟impresa o nel caso in cui quest‟ultima sia tenuta ad obblighi di
73
CEIOPS, (2009) Consultation Paper n. 58, Draft Level 2 Advice on Supervisory Reporting and
Disclosure
74
segretezza e riservatezza nei confronti dei contraenti. Tali informazioni dovranno
comunque essere fornite privatamente all‟Autorità di vigilanza.
2.5. Interazioni tra i pilastri
La situazione economica attuale ha evidenziato la necessità di un miglioramento dei
presupposti alla base di Solvency II per un futuro migliore. Infatti, gli studi hanno
condotto al rafforzamento della struttura sottostante alla formula standards per la
determinazione del SCR. In aggiunta, lo sviluppo di varie classi di attività, ha
provveduto a comprendere nuovi valori di volatilità che il sistema ha il compito di
assorbire e che risultano incorporati all‟interno del sottomodulo del rischio di mercato.
L‟esperienza ha insegnato che in situazioni di crisi reali, solo l„alta qualità degli
elementi di capitale possono, giustamente, essere la prima linea di difesa per
l‟assorbimento delle perdite, evitando di coinvolgere gli assicuratori in una piena e
totale bancarotta.
Proprio per questo, nel settore assicurativo è stata riscontrata la necessità di ridefinire le
funzioni di governance, risk management e controlli interni.
Dette funzioni sono la chiave di lettura della filosofia di Solevency II in merito ad un
sistema risk sensitive che prenda in considerazione rischi interni e rischi esterni,
quantificabili e non.
In relazione a tale circostanza, è necessario porre in essere una reciproca e appropriata
interazione tra primo e secondo pilastro, in modo da poter considerare unitariamente i
rischi quantificabili e non (ad esempio, i rischi posti in essere da decisioni strategiche o
il rischio reputazionale).
La necessità di armonizzare gli obblighi informativi per le imprese, un‟informativa
chiara e trasparente nei confronti degli investitori e dei consumatori per favorire la
“disciplina di mercato” (vista come capacità del mercato di valutare la solvibilità delle
imprese di assicurazione) e renderla efficace al fine di ridurre le distorsioni derivanti
dall‟esigenza di fissare requisiti patrimoniali elevati, sono le motivazioni che hanno
portato, invece, alla creazione di un terzo pilastro.
Tramite il rispetto delle disposizioni previste da tutti e tre i pilastri si presuppone che
sarà promossa la best practice industriale.
75
2.6. Differenze e analogie con altri sistemi regolamentari: Solvency I
Per comprendere meglio l‟impatto che Solvency II avrà sul settore assicurativo, è
importante sottolineare quali sono le principali differenze tra quest‟ultimo e le
precedenti direttive facenti parte del progetto Solvency I.
La più evidente tra queste differenze è sicuramente l‟approccio utilizzato nelle due
normative: se in Solvency I, infatti, veniva preso in considerazione il rischio di
un‟impresa di assicurazione nel suo complesso, con Solvency II, attraverso un
approccio di tipo risk-based vengono valutati tutti i rischi relativi all‟attività
dell‟operatore, da cui dipenderanno direttamente i relativi requisiti patrimoniali.
Obiettivo della nuova normativa non è quello di rendere complessivamente più elevati
tali requisiti secondo un‟ottica di mera vigilanza, bensì garantire che questi siano il
risultato di un‟efficiente funzione di risk management e di allocazione del capitale.
In quest‟ambito, possiamo vedere come la nuova direttiva valuti sia le attività che le
passività (Total balance sheet approach) partendo dal loro valore economico, basandosi
dunque su un‟ottica market consistent che, in precedenza, veniva utilizzata solo per le
attività e solo a condizione del rispetto di taluni criteri prudenziali. Questa scelta
condiziona il calcolo delle disponibilità di capitale e, conseguentemente, dell‟intera
posizione di solvibilità dell‟impresa. Sempre in questo senso, con Solvency II viene
riconosciuta la possibilità di utilizzare diverse forme di capitale a seconda della propria
capacità di assorbire il rischio, mentre questa facoltà era soggetta a numerose restrizioni
nel precedente regime: da questo deriva che alcune attività che non venivano prese in
considerazione da Solvency I, saranno invece ammissibili con Solvency II
Diverso è anche l‟approccio quantitativo al calcolo dei requisiti di capitale stessi, in
quanto, se in precedenza esso prevedeva l‟utilizzo di parametri decisi arbitrariamente e
soggettivamente dall‟assicuratore, trascurando spesso quello che era il proprio specifico
profilo di rischio, con la nuova normativa si sono introdotti criteri puntuali per calibrare
questo calcolo per arrivare ad una misura più oggettiva della posizione di solvibilità
(probabilità di rovina dello 0,5%, orizzonte temporale maggiore di un anno, ecc.)
76
Va ricordato inoltre che, con Solvency II, diversificazione e riassicurazione sono
pienamente prese in considerazione nelle valutazioni sul profilo di rischio di solvibilità
dell‟impresa, cosa che non era prevista precedentemente.
Infine, molto importante è la previsione di due nuovi livelli di capitale secondo la nuova
direttiva che pone l‟MCR come limite invalicabile da parte delle imprese assicurative,
mentre l‟SCR viene visto come un obiettivo target delle stesse, il cui mancato
raggiungimento non fa scaturire di per se i severi interventi di vigilanza che erano
invece previsti per l‟inadempimento dei livelli di capitale previsti da Solvency I.
2.6.1. Differenze e analogie con Basilea II
Come si può notare, l‟analogia più evidente tra Solvency II e Basilea II è sicuramente la
previsione di una struttura a tre pilastri in tutti e due le normative. Ma quest‟apparente
similitudine non deve ingannare, in quanto la netta differenza che c‟è tra settore
bancario ed assicurativo si riflette in un altrettanto netta distinzione di quelli che sono i
principi alla base dei sistemi di vigilanza.
Ciò detto, va comunque ricordato che i due sistemi nascono dichiaratamente entrambi
per il perseguimento degli stessi obiettivi. Tra questi il principale è sicuramente legato
alla nuova visione sistemica del rapporto tra Autorità di vigilanza e soggetti vigilati che
non sarà più unidirezionale bensì contraddistinto da un intenso scambio d‟informazioni
che deriva dall‟assegnazione di maggiori responsabilità in capo alle imprese, soprattutto
nell‟ambito della misurazione della propria posizione di rischio: i vigilati cessano di
essere unicamente soggetti passivi delle regole stabilite dai vigilanti. I due progetti
rappresentano l‟ultimo passo di un evoluzione nei sistemi di controllo e
regolamentazione del sistema finanziario, iniziata negli anni ‟80 e che ha portato al
graduale passaggio da una vigilanza strutturale all‟odierna vigilanza prudenziale. 74
Il riscontro più evidente di quanto detto è che tutte e due le normative promuovono ed
incentivano l‟adozione di modelli interni per il calcolo dei requisiti di capitale ed,
inoltre, sia secondo Basilea II che secondo Solvency II, la gestione interna dei rischi
dev‟essere sempre più adeguata al profilo dell‟intermediario, che deve andarsi a
74
VINCENZINI M., SANTOBONI F., (2005), I progetti di riforma della vigilanza nel sistema
finanziario: i “suggerimenti organizzativi” di Basilea 2 e Solvency II, in MONDO BANCARIO n.2,
marzo aprile, pag.49-50
77
riflettere anche sul calcolo dei requisiti patrimoniali dello stesso. Da ciò deriva anche la
comune enfasi sul ruolo della governance e sulla funzione di risk management, il cui
sviluppo viene promosso all‟interno del secondo pilastro di entrambe le normative.
Probabilmente, la differenza più evidente è riscontrabile nell‟ampiezza della proprio
campo di applicazione dovuta alle divergenze che esistono tra i due modelli di business:
se da una parte infatti, Basilea II è orientato a potenziare la stabilità del sistema bancario
internazionale, partendo dalla consapevolezza di trovarsi in un mercato in cui gli
operatori dipendono l‟uno dall‟altro, dall‟altra Solvency II ha come obiettivo la
protezione degli assicurati contro il rischio di fallimento di una specifica compagnia di
assicurazione basandosi sulla filosofia del “one size doesn’t fit alls” 75
e dal momento
che il settore assicurativo è molto meno esposto al rischio sistemico. Per questo motivo,
mentre Solvency è diretta alla totalità degli assicuratori, Basilea riguarda principalmente
le banche attive a livello internazionale. Questa differenza è rinvenibile anche nelle
diverse categorie di rischio che vengono prese in considerazione all‟interno del primo
pilastro delle due normative, riguardante i requisiti quantitativi. In questo campo, infatti,
sono poche le idee di Basilea II che possono essere trasposte in campo assicurativo dato
che, ad esempio, il rischio d‟insolvenza della controparte legato al rischio di credito non
interessa particolarmente le compagnie assicurative che, solitamente, investono i loro
fondi in attività poco rischiose e diversificate e svolgono una funzione di erogazione
prestiti molto limitata.
Diversa è anche la concezione di rischio di mercato, che in Basilea II assume una
connotazione tipicamente bancaria, poiché riguarda il portafoglio di negoziazione di cui
non vi è una corrispondenza a livello assicurativo.
Per quanto riguarda il rischio di tasso ed il rischio di variazione del valore delle attività,
non è previsto un requisito ad hoc, ma queste tipologie di rischio vengono gestite,
all‟interno del secondo pilastro, nell‟ambito del processo ALM che viene
dettagliatamente valutato dall‟Autorità di vigilanza in una fase successiva.
La gestione del rischio operativo, infine, risulta separata da quella degli altri rischi
secondo entrambi i sistemi regolamentari, in quanto costituisce per entrambi un forte
elemento di criticità.
75
GIOMMI G. e AA. VV., (2006), Nuovi strumenti per Basilea II, LE FONTI, Milano, pagg. 90-93
78
In generale, possiamo notare come i rischi considerati all‟interno di Basilea II
riguardino principalmente il lato dell‟attivo degli intermediari bancari (ad eccezione del
rischio operativo ovviamente), mentre esistono dei rischi caratteristici delle compagnie
assicurative che incidono anche a livello di passività (rischio di insufficienza delle
riserve, rischio di sottoscrizione, rischio di riassicurazione ecc.). Da ciò deriva che,
mentre Solvency II promuove la diversificazione del rischio e la valutazione
dell‟adeguatezza considerando in un‟ottica economica (il già citato total balance sheet
approach) tanto le attività quanto le passività, il sistema prudenziale bancario trascura
tale approccio, concentrandosi solo sugli assets. Questa è stato uno dei motivi che hanno
portato alla recente crisi finanziaria, in quanto, tramite fenomeni di securization, molti
assets sono usciti dal bilancio e quindi dal controllo dell‟intermediario e dell‟Autorità di
vigilanza.
Secondo il parere di Margarita Von Tautphoeus76
(responsabile del controllo della
solvibilità nel gruppo Munich RE), invece, Solvency sarà in grado di proteggere le
compagnie di assicurazione, e quindi l‟intero sistema finanziario, molto più di quanto
non abbia fatto Basilea II con le banche, e supporta questa sua affermazione ricordando,
ad esempio, che l‟attenzione verso fenomeni prociclici è espressamente citata all‟interno
della direttiva. Von Tautphoeus, inoltre crede fermamente che Solvency II incorpori al
suo interno una più ampia e sofisticata considerazione del rischio rispetto a Basilea,
affermando che “gli scenari analizzati da Basilea si basano solo su un dato numero di
giorni, mentre Solvency considera un range di rischio di ben 200 anni”.
I due sistemi divergono anche sull‟approccio di vigilanza utilizzato che, come abbiamo
anticipato, è di tipo principle based per Solvency II, affidando alle imprese la
responsabilità ultima di interpretare tali principi, mentre la visione di Basilea II è di tipo
rule based. Questi differenti approcci garantiscono una maggiore flessibilità da parte di
Solvency ad adattarsi al profilo delle imprese (anche per quanto riguarda i modelli
interni ad esempio), che si manifesta in una interazione costante tra primo e secondo
pilastro.
Al contrario si sostiene77
che l‟approccio utilizzato da Basilea II non sia adattabile, in
quanto il livello di regolamentazione, per quanto riguarda le metodologie da adottare,
76
Dall‟articolo Why Solvency II is more sophisticated than Basel II consultabile presso il sito
www.insuranceerm.com 77
CRO FORUM, (2009), Internal Model Admissibility, pag. 30
79
risulta essere troppo specifico e prescrittivo, così da rendere i modelli un semplice
ibrido tra un modello standard e un vero e proprio modello interno.
2.6.2. Differenze ed analogie col RBC americano
L‟impostazione prescrittiva è una caratteristica anche del sistema del Risk Based
Capital americano, che quindi si differenzia anch‟esso dall‟ottica utilizzata da Solvency
II. Ciò rende RBC poco flessibile e i suoi procedimenti assai lenti.78
Sebbene vi siano delle analogie tra il calcolo del SCR secondo Solvency e il calcolo dei
requisiti del sistema americano, va tuttavia precisato che, a differenza di quanto accade
nella direttiva europea, il RBC calcola detti requisiti unicamente in base ad un
approccio multi-risk-factor, non consentendo l‟utilizzo di modelli interni e di approcci
di scenario. RBC si concentra, inoltre, soprattutto sui rischi tecnici propri delle
compagnie assicurative, trascurando rischi importanti quali il rischio operativo, il
rischio di credito e il rischio di concentrazione e soprattutto non considerando la
possibile correlazione tra i vari tipi di rischi.
Per quanto riguarda la valutazione di attivi e passivi, c‟è da rilevare come RBC non si
basi sul principio market consistent utilizzato da Solvency, bensì utilizza regole
contabili legali (statutory accounting rules), che non ne riflettono il valore di mercato.
A differenza di quanto avviene con la nuova direttiva europea, il sistema americano non
coglie i possibili disallineamenti tra attivi e passivi, né definisce esplicitamente un
livello massimo di probabilità d‟insolvenza. In generale, il livello implicito di
probabilità d‟insolvenza previsto varia a seconda della tipologia di rischio, ma
solitamente è fissato intorno al 5% e su un orizzonte temporale pluriennale.
Infine, RBC non stabilisce regole esplicite per la vigilanza sulla funzione di corporate
governance e di reporting, come previsto, rispettivamente nel II e nel III pilastro della
direttiva Solvency II
CAPITOLO III
78
HOLZMÜLLER I., (2008), The United States RBC Standards, Solvency II, and the Swiss Solvency
Test: a comparative assessment, UNIVERSITA‟ DI SAN GALLO, pag. 24-25
80
Il possibile impatto della nuova normativa
3.1. Il ruolo dei QIS: Quantitative Impact Studies
Come già anticipato, nell'ambito del progetto Solvency II, il CEIOPS, oltre a svolgere
l‟attività di consulenza tecnica per la Commissione Europea, ha anche avviato una serie
di studi di impatto quantitativo (QIS – Quantitative Impact Study) con l‟obiettivo di
ottenere indicazioni in merito agli effetti delle nuove regole sui bilanci delle imprese.
Ad oggi, sono stati effettuati quattro studi di impatto quantitativo ed attualmente ne è in
corso un quinto, i cui risultati si conosceranno nella primavera del 2011.
I QIS risultano essere indispensabili soprattutto per la valutazione delle conseguenze
delle nuove norme introdotte all‟interno del I pilastro.
Il primo studio di impatto quantitativo (QIS 1)79
, preceduto da un Preparatory Field
Study, si è svolto nel 2005 e ha avuto lo scopo di valutare il livello di prudenza delle
riserve tecniche sotto diverse ipotesi. Hanno partecipato 19 Paesi europei con 312
compagnie, di cui soltanto sette italiane, che coprivano rispettivamente il 15% e il 23%
della quota di mercato del ramo vita e del ramo danni.
Il QIS 280
, condotto dalle compagnie nel 2006, si è concentrato, invece, sulla
valutazione di mercato di tutte le poste attive e passive, sulla definizione di SCR e
MCR, calcolati per mezzo di formule standard.
Il QIS 2 ha avuto una partecipazione maggiore rispetto al primo studio: 514 società
distribuite in 23 Paesi. Per l„Italia hanno partecipato 13 imprese di dimensioni medio-
grandi, coprendo il 30% del ramo vita e il 37% del danni.
Una partecipazione ancora maggiore da parte delle imprese si è registrata per la stesura
del QIS 381
, che ha coinvolto anche compagnie di dimensioni minori.
Complessivamente, hanno preso parte allo studio 1.027 compagnie di 28 Paesi tra i 30
dell„area Euro: per l„Italia le imprese partecipanti sono state 73, che coprono il 71% del
ramo vita e l‟82% del danni.
79
CEIOPS, (2006), QIS1 – Summary report 80
CEIOPS, (2006), QIS2 – Summary report 81
CEIOPS, (2007), CEIOPS’ Report on its third Quantitative Impact Study (QIS3) For Solvency II
81
In questo studio, svoltosi nel 2007, alcuni coefficienti per il calcolo dei requisiti
patrimoniali sono stati modificati, si è data una maggiore importanza alle valutazioni di
scenario e ai modelli interni a discapito delle formule standard per il calcolo del SCR,
ma le novità maggiori hanno riguardato la trattazione degli eligible elements (capitale
disponibile per la copertura degli impegni) e la previsione di un questionario anche a
livello di gruppo. Sono stati inoltre rivisti i parametri per la valutazione dei rischi tecnici
danni e per quelli di mercato: in generale, tutti i coefficienti e i parametri utilizzati per il
QIS3 sono stati calibrati in modo da calcolare i SCR come VaR al 99.5% con orizzonte
temporale di un anno.
Come si può notare, i QIS sono condotti in modo tale che il grado della granularità e lo
scopo aumentino gradatamente.
3.1.1. I risultati del QIS 4
Nonostante i numerosi passi in avanti compiuti a partire dallo studio preparatorio fino al
QIS3, si registravano ancora numerose criticità82
:
il QIS3, infatti, imponeva di riclassificare i dati di bilancio e gli elementi
costitutivi del capitale disponibile in particolari categorie e ciò non risulta
sempre possibile, anche tenuto conto delle diverse legislazioni nazionali e delle
regole IAS/IFRS;
i requisiti di capitale per i rischi di mercato erano frutto di una formula standard
che prevede un approccio factor based per i rischi di tasso d„interesse, di cambio
e immobiliare. Soprattutto nel primo caso, il valore dei coefficienti
necessitavano di una migliore specificazione per catturare una struttura del
portafoglio molto più articolata di quella proposta con tale approccio;
i maggiori rischi tecnici del ramo danni, tariffazione e riservazione, erano stati
accorpati in un„unica formula, peraltro proponendo per il calcolo del SCR un
modello factor based, che non teneva conto della rischiosità specifica delle
riserve tecniche dell„assicuratore;
82
KPMG, (2008), QIS4 in practice: Experiences and data requirements, pagg. 8-10, consultabile presso
il sito www.kpmg.co.il
82
i rischi di mortalità e longevità del ramo vita, che vengono valutati attraverso un
aumento della probabilità di morte/sopravvivenza, non venivano applicati
all„intero portafoglio, ma il primo ai contratti il cui rischio principale è
l„innalzamento della mortalità, il secondo alle polizze che perderebbero in caso
di eccessiva longevità. Dal momento che entrambi gli shock non possono
verificarsi allo stesso tempo, ciò avrebbe comportato un inutile aggravamento di
capitale;
il requisito di capitale per rischi operativi veniva calcolato attraverso dei
coefficienti applicati ai premi e alle riserve vita e del ramo danni, non tenendo in
considerazione alcuna peculiarità di tale rischio né tantomeno gli strumenti di
risk mitigation, che possono rivelarsi assai importanti per le imprese di
assicurazione;
infine, il MCR era calcolato secondo due alternative, anch‟esse quantificate da
formule factor based che, in alcuni casi, facevano risultare il MCR addirittura
più elevato del SCR.
Per tutti questi motivi, si è resa indispensabile la formalizzazione di un QIS 483
, con cui
si è inteso concentrare per la prima volta l‟attenzione sulla comparazione dei risultati
ottenuti con la formula standard e con i modelli interni per il calcolo del SCR, attraverso
la previsione di un questionario ad hoc.
Il QIS 4 si è occupato inoltre di riconsiderare la struttura e la calibrazione del MCR e di
valutare l‟impatto quantitativo della nuova normativa sui bilanci dei gruppi di
assicurazione e riassicurazione, con particolare attenzione agli effetti della
diversificazione e della trasferibilità dei fondi propri.
Tramite questo studio quantitativo si è rilevato che Solvency II, come previsto, ha
impattato sia sul capitale disponibile per la copertura degli impegni assunti da ciascuna
compagnia (eligible elements) sia sul SCR che si è attestato mediamente intorno al
200% del capitale. In particolare, il coefficiente di solvibilità (rapporto percentuale tra il
"patrimonio di vigilanza" dell'intermediario e il totale delle "attività ponderate per il
rischio") è cresciuto per le compagnie vita dal 200% al 230% rispetto a Solvency I,
83
CEIOPS, (2008), CEIOPS’ Report on its fourth Quantitative Impact Study (QIS4) For Solvency II
83
mentre è diminuito addirittura del 85% per le compagnie non vita. Le riduzioni sono
ancora maggiori per quanto riguarda le compagnie di riassicurazione e le captive.
Tabella 3: Confronto tra i coefficienti di solvibilità con Solvency I e QIS 4
Segmento di business Solvency I QIS 4
Vita 200% 230%
Non vita 277% 193%
Composite 267% 230%
Riassicurazione 366% 221%
Captive 331% 167%
Fonte: www.ceiops.eu
Inoltre, si è rilevato che circa l„1% dei partecipanti (17 compagnie), non sono stati in
grado di soddisfare i Requisiti Minimi di Capitale (MCR), mentre circa l„11% delle
imprese (154 compagnie) non sono state in grado di soddisfare il Requisito di Capitale
di Solvibilità (SCR).
Tabella 4: Percentuale di compagnie (suddivise per dimensioni) che non hanno coperto il
SCR
Grandi Medie Piccole Totale
Vita 16,7% 7,2% 7,9% 9,7%
Non vita 14,5% 10,3% 11,2% 11,2%
Composite 4,7% 6,3% 5,7% 5,7%
Riassicurazione 10% 6,7% 0% 4,1%
Captive - 0% 28,6% 28,3%
Totale 13,2% 8,6% 12% 10,9%
Fonte: www.ceiops.eu
Rispetto alla Formula standard, analizzando il modello interno s„è rilevato che esso
potrebbe ridurre il SCR del 20%. Tuttavia, per alcuni moduli di rischio, come
l‟azionario, l‟immobiliare e l‟operativo, il modello interno ha un più alto requisito
rispetto alla Formula standard.
84
Dall‟altra parte, altri rischi, quali il rischio di tasso, di longevità e di tariffazione e
riservazione, sembrano generare un requisito di capitale più basso.
Queste differenze, nel modello interno, evidenziano che l„incentivo, nel determinare il
requisito di capitale, non è stato uniforme tra le diverse classi di rischio.
Grazie al QIS 4, inoltre, si è potuto rilevare come sussistano effetti sostanziali dovuti
alla diversificazione di gruppo (26% nel QIS4), mentre si sono palesate forti
preoccupazioni riguardo alla trasferibilità del capitale all„interno del gruppo, in
particolare per quanto riguarda le imprese al di fuori dello SEE (Spazio Economico
Europeo).
Da quanto rilevato, dal punto di vista del CEIOPS e della Commissione Europea, il
QIS4 è stato un grande successo: allo studio d‟impatto, infatti, hanno partecipato tutti i
30 stati membri dello SEE; in più si sono inserite nel campione di riferimento anche le
nuove entranti Romania e Liechtenstein.
In termini percentuali, la partecipazione al QIS4 è stata del 40% con oltre 1.412
compagnie (maggiore partecipazione rispetto al QIS3), ben 111 Gruppi e in più anche
99 aziende captive.
Esso ha fornito utili dati per consentire l„analisi delle molte questioni tecniche e per
raggiungere gli obiettivi fissati per le compagnie partecipanti.
L„elevato livello di partecipazione indica, inoltre, l„impulso necessario per la
realizzazione del progetto Solvency II.
Tuttavia, va specificato che i calcoli del QIS4 sono stati eseguiti utilizzando i dati di
dicembre 2007 e per questo, non riflettono la volatilità delle condizioni economiche
vissute negli ultimi anni a causa della crisi.
3.1.2. Il QIS 5
Recentemente, la Commissione Europea ha richiesto al CEIOPS di dare vita ad un
quinto (e forse ultimo) studio d‟impatto quantitativo, le cui specifiche tecniche sono
state pubblicate nell‟Aprile del 201084
e i cui questionari sono stati sottoposti alle
imprese tra Agosto e Novembre. La pubblicazione dei relativi risultati è prevista per
l‟Aprile di quest‟anno. Obiettivo dichiarato per questo nuovo studio è aumentare ancora
84
CEIOPS, (2010), QIS5 Technical Specifications
85
il livello di partecipazione da parte delle imprese rispetto ai QIS precedenti, cercando di
superare la soglia del 60% per le imprese singole e del 75% per i gruppi.85
Risulta evidente l‟utilità del QIS 5 per l‟Autorità di vigilanza ai fini della valutazione
degli impatti della Standard Formula e della definizione delle implementing measures,
ma è importante sottolineare come la partecipazione allo studio rappresenta soprattutto
un vantaggio per le compagnie, in quanto:
1. potranno valutare le ricadute apportate dalla nuova normativa in termini di
allocazione del capitale e di cambiamenti a livello organizzativo e tecnologico;
2. aiuteranno il CEIOPS a limare le deficienze riscontrate all‟interno delle
specifiche tecniche proposte, rendendole più aderenti alle esigenze delle
imprese;
3. saranno in grado di valutare se i risultati ottenuti con i parametri aggiornati della
formula standard sono in linea con il proprio profilo di rischio.
QIS 5, dunque, indicherà alle compagnie la strada da seguire non solo a livello di
calcolo dei requisiti, ma anche a livello strategico, coinvolgendo a tutti i livelli le
strutture delle compagnie stesse: dal risk manager all‟attuariato, dal CFO
all‟amministratore delegato.
Addentrandoci in quelle che sono le specifiche tecniche finali proposte dal CEIOPS a
Luglio, possiamo subito notare come siano stati apportati alcuni cambiamenti, tra cui
molto importante è l‟introduzione di un illiquidity premium da incorporare all‟interno
del tasso che sconta i flussi di cassa passivi per il calcolo del best estimate e, dall‟altra
parte, il riconoscimento degli effetti della diversificazione tra linee di business
nell‟ambito del calcolo del risk margin.
Per quanto riguarda il SCR, sembra essere aumentato lo sforzo richiesto in termini di
esercizi simulativi da effettuare ai fini del calcolo dei vari ΔNAV, in particolare per
quanto concerne i sottomoduli del rischio di mercato per il rischio di credito, di
concentrazione e di controparte. Viene inoltre dato più peso alla correlazione tra i rischi
stessi.
85
ANGELILLI A., (2010), Importanza del QIS 5 per il disegno di Solvency II, nell‟ambito del Convegno
ANIA tenutosi a Roma il 21 Luglio
86
Novità sono anche state introdotte nell‟ambito della valutazione dei fondi propri. Con
QIS 5, infatti, si è inteso rendere possibile la pratica del grandfathering86
con alcune
limitazioni: gli elementi che soddisfano i criteri per il grandfathering nel Livello 2
possono essere inclusi nei fondi propri del Livello 1 a condizione che gli altri strumenti
di capitale versati non siano superiori al 20% del totale dei fondi propri del Livello 1. In
altri termini, il totale degli elementi dei fondi propri del Livello 1 grandfathered e gli
altri strumenti di capitale versati che rientrano nel Livello 1 non dovranno superare il
20% del totale. Gli elementi che eccedono tale limite possono essere considerati nel
Livello 2 nel rispetto dei limiti di ammissibilità dei fondi propri.
Da un recente studio effettuato dalla società di consulenza attuariale Milliman87
, risulta
chiaro come il QIS 5 comporterà una riduzione dei coefficienti di solvibilità che si
erano individuati con il quarto studio d‟impatto per il ramo vita, dovuta al
rafforzamento complessivo degli stress applicati al calcolo del SCR che compensa
l‟effetto dell‟utilizzo di tassi d‟interesse più elevati. Viene, però, specificato che questa
condizione non si verificherà indistintamente in tutti i paesi europei, ma si avvererà solo
in presenza di determinate circostanze. Questa diminuzione nel grado di solvibilità è
stata ulteriormente aggravata dagli effetti della crisi finanziaria.
Lo studio condotto da Milliman ha inoltre osservato che l‟inclusione dell‟illiquidity
premium nel calcolo del best estimate delle passività avrà un effetto positivo sul
bilancio redatto con Solvency II.
L‟impatto sul comparto non-vita dovrebbe essere ancora più elevato a livello di
coefficienti di solvibilità, con una riduzione di questi ultimi ancora maggiore rispetto al
ramo vita.
3.2. Possibili implicazioni per il business delle assicurazioni
86
Il grandfathering è una clausola di salvaguardia che consente a situazioni sottoposte ad una vecchia
normativa di essere esenti dall‟applicazione di una nuova, in presenza di determinate condizioni. 87
CLARK D. e MITCHELL S., (2010), Report on the possible impact of the likely Solvency II QIS 5
Standard Formula on the European life market, MILLIMAN, consultabile presso il sito
cee.milliman.com
87
Solvency II avrà un profondo impatto sulle compagnie di assicurazione a livello
strategico, in quanto porterà ad una rivalutazione dei propri modelli di business88
, sia in
termini di prodotti offerti, che di diversificazione del proprio portafoglio.
Questo impatto varierà sicuramente a seconda del paese e del tipo di attività svolta, ma
alcuni possibili effetti risultano già ora chiari ed evidenti
Chi beneficerà maggiormente dell‟introduzione della nuova normativa saranno,
probabilmente, i riassicuratori più capitalizzati, grazie all‟aumento della domanda di
quelle mutue assicuratrici che non trovano fonti alternative di capitale e soprattutto
mediante un incremento dell‟utilizzo della riassicurazione quale strumento per la risk
mitigation. Dall‟altra parte, le imprese più piccole e maggiormente localizzate saranno
quelle più duramente messe alla prova, dal momento che i requisiti patrimoniali
dipenderanno fortemente dalla diversificazione del proprio business e dei prodotti
offerti.
Quanto detto potrebbe portare a fenomeni di consolidamento soprattutto all‟interno dei
mercati maggiormente frammentati, dove minore è la possibilità di raccogliere capitale,
rendendo l‟industria assicurativa europea stessa più efficiente.
Non va sottovalutato, infine, che i grandi gruppi faranno sempre più ricorso, per gestire
al meglio i propri bilanci, a strutture specifiche di ingegneria finanziaria, siano essi
programmi di cartolarizzazione che contratti finanziari ad hoc.
Solvency II, come ricordato in precedenza, basandosi su principi economici, consente
l‟utilizzo di un‟ampia gamma di strumenti per la copertura o il trasferimento del rischio.
E‟ necessario, tuttavia, avviare dei cantieri di attività finalizzate a valutare l‟impatto che
tali prodotti avranno in termini di bilancio. Una tappa importante in tale contesto è
rappresentata ancora una volta dalla validazione dei modelli di valutazione da parte
degli Organi di vigilanza.
La direttiva, inoltre, aumenterà considerevolmente la trasparenza all‟interno del
business e questo potrebbe portare gli assicuratori a cercare di ottenere ricavi maggiori
per quelle linee di prodotto che richiedono maggiori accantonamenti di capitale.
Dall‟altra parte, invece, la maggiore consapevolezza del proprio profilo di rischio
porterà ad un minore utilizzo di quelle linee di business che comportano una distorsione
del profilo stesso.
88
Insurance: Solvency II, quantitative & strategic Impact: the tide is going out, report redatto
congiuntamente da Oliver Wyman e Morgan Stanley, nel Settembre del 2010
88
Molte imprese, però, si sono concentrate esclusivamente sullo sviluppo dei modelli
interni e dunque sugli aspetti tecnici della nuova regolamentazione, tralasciando quelli
che potrebbero essere i cambiamenti nel proprio business e rischiando quindi di
commettere lo stesso errore commesso dalle banche nell‟ambito di Basilea II.
3.2.1. Ramo vita
L‟affinamento delle tecniche di misurazione e analisi dei rischi può avere dunque degli
impatti importanti sulla tipologia dei prodotti venduti e sul pricing degli stessi in quanto
dovrebbe consentire di tarare il costo dei prodotti ai rischi sottostanti, fino all‟eventuale
sostituzione di alcune linee di prodotto.
Il rafforzamento delle riserve tecniche da parte di Solvency, infatti, tramite l‟utilizzo del
risk-free per l‟attualizzazione delle stesse (a prescindere da quelle che sono le attività a
copertura), comporterà dei requisiti maggiori per alcuni titoli, quali ad esempio
corporate bonds, e dunque rendite minori, soprattutto per quanto riguarda gli
assicuratori vita che maggiormente investono in tale tipo di strumenti.
Quanto detto comporterà anche una maggiore volatilità del bilancio, dato che variazioni
nei credit spread si ripercuoteranno esclusivamente sul passivo, rendendo le compagnie
maggiormente esposte al rischio di tasso d‟interesse legato ai propri prodotti ed in
generale al rischio di mercato.
In termini di gestione del bilancio, sebbene la problematica sia ancora allo studio dei
diversi gruppi di lavoro coinvolti, sarà necessario avviare anche delle attività finalizzate
a riconciliare quanto indicato nella normativa Solvency II con le regole previste dai
criteri IFRS, il che non farà altro che aumentare i costi legati all‟adeguamento alla
nuova regolamentazione.
Come se non bastasse, si ritiene che molti assicuratori vita, a causa dei nuovi requisiti
previsti per le garanzie, aboliranno del tutto o, quantomeno, diminuiranno la propria
offerta di prodotti garantiti, aumentando le tariffe legate a tali prodotti, alla ricerca di
una profittabilità più adeguata al proprio profilo di rischio.
Anche la previsione di un risk margin basato sul costo del capitale risulterà assai
oneroso per quelle imprese che detengono un portafoglio di polizze vita molto esteso, e
ciò, unito ai fattori precedentemente elencati, potrebbe spingere molti assicuratori del
89
comparto vita a spostare le proprie sedi principali al di fuori dell‟Europa per garantire
una maggiore possibilità di impiego del proprio capitale.89
Le possibili soluzioni previste per diminuire il peso dell‟adozione di Solvency da parte
delle compagnie europee sembrano essere due. Da una parte, è stata introdotta, tramite
il QIS 5, la possibilità di includere i profitti derivanti dai cash flow futuri nel capitale a
copertura dei rischi; ma questa soluzione, se da un lato sembrerebbe essere positiva,
dall‟altro comporterebbe comunque costi maggiori per la valutazione della profittabilità
futura degli strumenti.
La seconda soluzione, invece, riguarda l‟introduzione in alcuni mercati europei di
speciali “ammortizzatori” che aiutino a diminuire l‟accantonamento patrimoniale. In
Olanda e in Francia, ad esempio, sono state direttamente collegate le garanzie che
coprono i tradizionali prodotti vita all‟andamento degli indici sui bond statali, riducendo
così notevolmente l‟esposizione verso il rischio di tasso.
Infine, i prodotti vita a cui corrispondono passività totalmente illiquide, potranno
beneficiare dell‟illiquidity premium, anch‟esso introdotto dall‟ultimo studio d‟impatto
quantitativo.
I problemi fin qui elencati dovrebbero incidere solo in minima parte sulle compagnie
italiane che sono tipicamente meno esposte al rischio di mercato e fanno un grande uso
di prodotti di tipo unit-linked. Questi ultimi rappresentano uno strumento quasi perfetto,
visti con l‟ottica dell‟assicuratore, sia dal lato dell‟attivo che dal lato del passivo. Se, da
una parte, infatti, il rischio d‟investimento ad esso legato è quasi interamente
sopportato da terzi, dall‟altra, i profitti che ne scaturiscono possono essere considerati
come capitale disponibile, come detto in precedenza.
Per quanto riguarda i prodotti ibridi e a rendita variabile, essi potrebbero beneficiare
dell‟introduzione del nuovo sistema a seconda del loro costo e del loro profilo di
rischio. La copertura dei rischi legati a questi prodotti innovativi potrebbe certamente
ridurre i requisiti di capitale, dato che gli strumenti di mitigazione dovrebbero essere
facilmente assimilati all‟interno della nuova normativa, ma allo stesso tempo potrebbero
comportare degli ulteriori accantonamenti dovuti ad una maggiore esposizione verso il
rischio di controparte e alla volatilità di mercato.
89
DELOITTE, (2009), Considering the business impact of Solvency II, pagg. 6-9
90
In generale, si ritiene che solo le compagnie più sofisticate e con un elevato livello di
controllo interno possano essere in grado di ottenere profitto da questi prodotti, ed
anche questo tipo d‟imprese dovranno cercare comunque di limitare la loro esposizione
verso di essi, dato che anche la crisi ha dimostrato come siano poco profittevoli.90
3.2.2. Ramo non-vita
Dal lato delle compagnie non-vita, Solvency diminuirà la profittabilità di molti prodotti,
obbligando gli assicuratori ad aumentare i prezzi degli stessi o comunque a stabilire
delle condizioni più restrittive per i rischi che vengono coperti. 91
Si è stimato, attraverso il QIS 5, che, per questo tipo di compagnie, l‟entità dei requisiti
di capitale deriverà principalmente dal rischio di sottoscrizione non-vita, anche se ciò
dipenderà essenzialmente dal tipo di prodotti offerti. Il requisito complessivo, in
generale, dovrebbe subire un grosso incremento rispetto a quello calcolato tramite
Solvency I (in alcune compagnie tale aumento potrebbe essere addirittura del 600%), a
causa dell‟aumento delle riserve tecniche richieste e dell‟accrescimento dei requisiti
richiesti per il rischio di sottoscrizione appunto e per il rischio di default, quest‟ultimo
soprattutto legato all‟esposizione verso controparti di tipo corporate. Inoltre, i requisiti
di capitale potrebbero anche subire l‟effetto dovuto alla nuova valutazione delle poste di
bilancio di tipo market-consistent, il cui impatto varierà tra paese e paese.
In Italia a differenza di quanto accaduto in Germania, ad esempio, le compagnie danni,
nonostante l‟incremento dei requisiti, hanno relativamente limitato il ricorso alle riserve
occulte, che sono considerate forme di eligible capital secondo Solvency II, e dunque
saranno probabilmente costrette ad aumenti di capitale o, molto più semplicemente, a
rincarare i prezzi dei propri prodotti.
Figura 7: Suddivisione percentuale dei principali rischi costitutivi i requisiti patrimoniali
per le compagnie vita e non-vita
90
JUNKER L., RAMEZANI S., (2010), Variable Annuarities in Europe after the crisis: Blockbusteror
Niche product?, in MCKINSEY WORKING PAPERS ON RISK n.19, pagg. 1-8 91
CORRADI D., BERNERT A. e AA. VV.., (2010), The Solvency II Challenge: Anticipating the far-
range impact on business strategy, BOSTON CONSULTING GROUP, pag. 1-15
91
Fonte: www.bcg.com
3.2.4. Riassicurazione
Come già detto più volte in precedenza, Solvency II consentirà agli assicuratori
“primari” di liberare capitale tramite l‟utilizzo della riassicurazione; pertanto, lo stesso
mercato riassicurativo è destinato a crescere enormemente grazie alla nuova normativa.
Dall‟altra parte, però, la diffusione di questo fenomeno potrebbe portare molte
compagnie, al fine di proteggersi da un deterioramento del merito creditzio del
riassicuratore e dal conseguente aumento dei requisiti richiesti, a richiedere l‟inclusione
di clausole rating trigger all‟interno dei contratti di riassicurazione, che esporrebbe
proprio i riassicuratori ad un elevato rischio di liquidità assimilabile a quello derivante
dai bank run nelle banche.92
Gli assicuratori, inoltre, saranno in grado di trasferire al mercato il rischio di credito
legato ai rapporti di riassicurazione attraverso l‟uso della securitisation, mentre i
riassicuratori potranno a loro volta coprirsi dai rischi assunti attraverso fenomeni di
retrocessione, che comporteranno però un‟ulteriore esposizione al rischio di credito.
92
SWISS RE, (2003), Reinsurance: A systemic risk?, Sigma No 5/2003.
-20%
0%
20%
40%
60%
80%
100%
Compagnie vita Compagnie non-vita
Diversificazione
Operativo
Controparte
Sottoscrizione
Mercato
92
Considerando ora le tipologie delle forme di riassicurazione, sulla base di quanto
previsto dalla normativa, risulta immediatamente evidente che :
per quanto concerne la riassicurazione di tipo proporzionale, essa viene
pienamente considerata e valutata appropriamente, ai fini del calcolo del capitale
rilasciato, con l‟utilizzo della formula standard perché si riduce
proporzionalmente l‟esposizione e quindi l‟SCR per il premium & reserve risk
(anche se ci sono delle eccezioni perché eventuali condizioni speciali con “event
limits” o “partecipazioni alle perdite” non vengono comunque considerate);
le coperture di tipo non proporzionale, invece, non sono adeguatamente valutate
nella formula standard e quindi le compagnie non riceveranno adeguato
beneficio di rilascio di capitale da questo tipo di soluzioni riassicurative, perché
viene considerata solo la differenza tra i premi lordi e quelli al netto del costo
delle coperture.
Tuttavia, è possibile pervenire ad una valutazione efficiente del beneficio relativo a
quest‟ultimo tipo di riassicurazione tramite l‟adozione di un modello interno, anche
parziale.
3.3 Possibile impatto a livello organizzativo
Con Solvency II l‟organizzazione interna delle compagnie dovrà subire profonde
trasformazioni se queste vorranno rendersi compliant con la nuova normativa.
Inoltre, i costi dell‟implementazione, seppur regolati dal principio di proporzionalità,
devono essere equamente suddivisi tra tecnologia, processi e formazione.
Per giungere ad una gestione attiva dei rischi, infatti, risulta essenziale intervenire sulle
procedure organizzative per monitorare i rischi esistenti e gestire i nuovi in funzione del
loro impatto marginale sul portafoglio.
Solvency II spinge le compagnie ad effettuare una selezione dei rischi da sottoscrivere,
per evitare una concentrazione troppo elevata che richiederebbe una maggiore
disponibilità di capitale a discapito della redditività dei contratti.
Le compagnie assicurative, già coscienti di tali difficoltà, hanno già provveduto a
predisporre le tecniche finalizzate alla misura del RAROC (Risk Adjusted Return on
93
Capital), che rimpiazzerà l‟EVA, ma in ogni caso la riforma Solvency II impatterà
direttamente sui calcoli di redditività.
Tutte le funzioni aziendali dovranno adeguare le proprie procedure operative affinché
queste rispettino le disposizioni di Solvency II e per garantire un processo decisionale
più rapido.
Fondamentale, per adeguarsi ai nuovi requisiti previsti dalla normativa, sarà l‟adozione
di un processo di Enterprise Risk Management (ERM), che includa la nomina di un
Chief Risk Officer (CRO), o comunque di un comitato esecutivo per la gestione dei
rischi.
Un‟efficiente funzione di risk management potrebbe portare a benefici in termini di:
minori accantonamenti di capitale e conseguente possibilità di fissare prezzi più
competitivi per determinati prodotti;
diversificazione del portafoglio per le imprese più grandi;
sviluppo di tecniche di gestione dei rischi specifiche per determinate aree di
prodotto da parte delle compagine di minori dimensioni.
Tutto ciò renderà indispensabile per le imprese una maggior domanda di risorse
qualificate ed è proprio per questo motivo che le compagnie dovrebbero giocare
d'anticipo sul progetto Solvency II e prevedere un piano di training per ampliare le
capacità all'interno dell'organizzazione.
Probabilmente, però, l‟esigenza di tali interventi non sarà sentita come prioritaria ma si
procederà ad una rivisitazione di tale ambito solo in un secondo momento sulla base
dell‟avanzamento del progetto.93
In questo contesto, comunque, molto importante risulterà il ruolo del consiglio di
amministrazione e del management esecutivo in generale, che si dovranno impegnare in
prima persona nella definizione della strategia di rischio complessiva e nel supporto dei
processi di cambiamento del management stesso, che saranno necessari per la
costituzione di una solida cultura del rischio all‟interno dell‟organizzazione.
93
PRICEWATERHOUSECOOPERS, (2009), Solvency II: impact on Organisation, Procesesses and
Structure, consultabile presso il sito www.pwc.com
94
La formalizzazione richiesta dall‟ORSA è lo strumento per dimostrare l‟assunzione di
tali responsabilità e, dunque, l‟effettivo ruolo di indirizzo, supervisione e controllo della
strategia di risk management della compagnia.
Figura 8: Impatto sulle funzioni previsto dalle compagnie secondo un sondaggio condotto
dalla società di consulenza Towers Perrin
Fonte: www.towersperrin.com
3.3.1. La qualità dei dati
La qualità dei dati costituirà un punto cruciale per ottenere l‟approvazione dell‟Autorità
di Vigilanza, sia che si tratti della validazione di un modello standard, sia di quello di un
modello interno. Da inizio Luglio, il CEIOPS ha proposto un Consultation Paper nel
quale rammenta i tre criteri che ritiene utile considerare: le compagnie d‟assicurazione
dovranno effettuare i loro calcoli, in particolare la determinazione delle riserve tecniche,
attraverso l‟utilizzo di dati pertinenti, esaustivi e precisi. Allo stesso tempo, ha precisato
le condizioni che permetteranno di ricorrere a delle approssimazioni (proxies, utilizzo di
dati esterni, approcci caso per caso, ecc.). Così facendo, le compagnie d‟assicurazione
dovranno creare dei data warehouse e perfino adattare, o arricchire, quelli già a
0% 20% 40% 60% 80% 100%
Funzione Attuariale
Risk Management
Asset Management
Corporate Governance
Impatto Alto
Impatto Medio
Impatto Basso
95
disposizione. Inoltre, dovranno giustificare la coerenza di questi dati con quelli utilizzati
dalle altre funzioni (contabilità, controllo di gestione, marketing, ecc).
La quadratura dei dati originati da fonti differenti, sovente all‟origine di problemi, è
facilmente controllabile dall‟Autorità di vigilanza, e può penalizzare e inficiare un
modello seppur sofisticato. Le compagnie assicurative che intendono implementare un
modello interno per tutte le società del gruppo, dovranno assicurarsi della disponibilità e
dell‟omogeneità dei dati provenienti dalle differenti filiali. Se non l‟hanno ancora fatto,
le compagnie dovranno realizzare dei sistemi di riferimento dei dati ed estenderli ai
differenti sistemi d‟informazione che hanno al loro interno. Secondo alcune stime, il
lavoro di raccolta e certificazione della qualità dei dati, rappresenterà almeno il 20%94
del costo totale del progetto. Si tratta dunque di un aspetto cruciale che l‟Autorità di
vigilanza non mancherà di controllare e a cui le compagnie dovranno adeguarsi
completamente.
3.4. Possibile impatto sui requisiti quantitativi
Come evidenziato dal lavoro svolto dalla società di consulenza Deloitte, su
commissione della Commissione Europea95
, l‟introduzione di Solvency II dovrebbe
portare ad una diminuzione delle riserve tecniche in tutti i paesi dell‟unione, ma
soprattutto in quei mercati caratterizzati da una maggiore prudenza nell‟accantonamento
delle riserve stesse, anche se la nuova normativa ha lo scopo di armonizzare sempre di
più a livello europeo i metodi di calcolo utilizzati per queste ultime.
Dall‟altra parte, in linea con la filosofia sottostante Solvency II, che considera la totalità
dei rischi riguardanti le compagnie, si dovrebbe registrare un aumento sia del capitale
disponibile, che dei requisiti patrimoniali. Di tale incremento risentiranno in maniera
minore quelle compagnie che, già allo stato attuale, detengono dei requisiti di capitale
maggiori rispetto a quanto previsto da Solvency I e tutte le imprese che esercitano
un‟attività ben diversificata. Discorso inverso va fatto, invece, per le compagnie piccole
e concentrate in un‟unica area di attività.
94
AA. VV., (2010), Solvency II – non si può più attendere, consultabile presso il blog di SIA
PARTNERS, blog.sia-partners.it 95
DELOITTE, (2010) External study by Deloitte for the impact assessment of Solvency II (Level 2),
consultabile presso il sito www.deloitte.com, pagg. 4-13
96
Mentre l‟incremento del SCR (che sarà minore per le compagnie che utilizzano i
modelli interni) appare essere abbastanza chiaro, non altrettanto si può dire per il MCR,
il cui andamento sembra variare molto da paese a paese. In generale, comunque, le
imprese più grandi dovrebbero registrare un MCR maggiore rispetto al passato.
L‟aumento dei requisiti patrimoniali sarà più alto in valore assoluto del decremento
previsto per le riserve tecniche, dunque in generale si registrerà un innalzamento degli
impegni a carico delle compagnie d‟assicurazione.
Ma l‟ammontare finale dei requisiti di capitale dipenderà essenzialmente dalla scelta da
parte delle compagnie di adottare un proprio modello interno, dalla capacità di
quest‟ultimo di catturare i tratti fondamentali del profilo di rischio dell‟impresa e della
relativa appropriata calibratura dei suoi parametri. Risulta evidente che i mercati
assicurativi più sviluppati e sofisticati avranno maggiore possibilità di adottare tale tipo
di soluzione rispetto ai mercati più piccoli, in cui la maggior parte degli assicuratori si
troveranno a dover utilizzare la formula standard.
La valutazione degli assets al valore di mercato effettuata da Solvency II, infine,
suggerisce che, per quanto riguarda i fondi propri, l‟impatto della normativa dipenderà
dalle condizioni del mercato stesso al momento dell‟implementazione. Tuttavia ci si
aspetta che tale impatto possa essere positivo per la maggior parte dei paesi.
3.4.1. Implicazioni per la strategia d’investimento
Sotto il profilo della gestione degli investimenti, tenuto conto che con la nuova
normativa i requisiti patrimoniali rifletteranno anche la rischiosità degli attivi in
portafoglio, gli strumenti di gestione integrata delle attività-passività (ALM)
giocheranno un ruolo sempre più importante. Ad avere successo non sarà più chi è in
grado di generare un volume premi elevato, bensì chi saprà conseguire un alto
rendimento sul capitale di rischio che gli è stato assegnato.
Dopo i risultati non molto rassicuranti scaturiti dalla prima bozza delle specifiche
tecniche, che vedevano un forte innalzamento dei requisiti rispetto al precedente studio
d‟impatto, nel documento finale proposto dal CEIOPS per il QIS 5 sono stati rivisti
97
alcuni punti che allegeriscono di molto l‟assorbimento di capitale previsto ai fini di
vigilanza.96
Particolare importanza riveste, in questo contesto, la decisione di utilizzare la curva dei
tassi swap come tasso “privo di rischio” per l‟attualizzazione delle riserve assicurative,
al posto della curva dei bond statali che veniva usata in precedenza. Questo
cambiamento porterà gli assicuratori ad un forte incremento nell‟utilizzo degli interest-
rate swap nell‟ambito della propria funzione di Assets and Liabilities Management97
,
anche se gli assicuratori più grandi ne fanno già un ampio utilizzo. Altra modifica
importante, come già ricordato nei paragrafi precedenti, è sicuramente l‟inclusione di un
premio per la carenza di liquidità (illiquidity premium) nei periodi di instabilità dei
mercati. Questo add-on avrà l'effetto di ridurre l'ammontare delle riserve attualizzate,
aumentando pertanto la disponibilità di capitale delle compagnie e, dall‟altro lato,
cambierà radicalmente il modo di investire nel mercato del credito da parte delle
assicurazioni. Se le previsioni dovessero essere esatte, le differenze con il passato per il
mercato assicurativo europeo saranno evidenti e comporteranno un aumento della
domanda di strumenti quali:
receiver swaps a lungo termine per un migliore mismatch delle scadenze;
interest-rate swaps a lungo termine che aiutino a gestire meglio la volatilità;
asset come government bonds che non comportano ulteriori requisiti
patrimoniali.
Dall‟altra parte, la nuova regolamentazione potrebbe portare gli assicuratori ad
abbandonare altre forme d‟investimento come:
corporate bonds a medio-lungo termine;
obbligazioni con rating AAA emesse da paesi non facenti parte dell‟EEA
(European Economic Association) o del OECD (Organisation for European
Economic Cooperation and Development);
titoli non quotati;
prodotti cartolarizzati e crediti strutturati.
96
Dall‟articolo “Bruxelles ammorbidisce le regole di Solvency II” del Sole 24 Ore del 21 Aprile 2010. 97
MCGLOUGHLIN P., (2010), How Solvency II will change insurers’ ALM and investment strategies,
consultabile presso il sito www.insuranceern.com
98
La scelta della curva dei tassi swap, nonostante l‟idea comune che gli strumenti
cosiddetti OTC (over the counter) aumentino la volatilità dei mercati, è stata motivata
dal CEIOPS da una maggiore sicurezza e liquidità riscontrata nel mercato di questo tipo
di derivati rispetto a quello delle obbligazioni statali che, d‟altro canto, si è
caratterizzato recentemente per un forte rischio di default.98
Gli swaps sembrano dunque
essere lo strumento migliore a disposizione degli assicuratori per far fronte alle proprie
passività.
Per quanto riguarda la previsione dell‟illiquidity premium, questo porterà minori
incentivi per l‟assicuratore ad includere nel proprio portafoglio obbligazioni di tipo
corporate a lungo termine, che comportano requisiti maggiori rispetto a forme di credito
qualitativamente migliori e con scadenza più breve.
3.4.2. L’ottimizzazione della struttura di capitale
Tramite l‟aumento degli strumenti di capitale idonei a disposizione delle compagnie per
la copertura dei requisiti, Solvency II ha inteso fortemente promuovere l‟ottimizzazione
nella struttura del capitale delle imprese d‟assicurazione. Questo allargamento ha esteso
la qualità di elementi eligible a forme di capitale quali securization, debito subordinato
e capitale ibrido.
Questi ultimi due strumenti, in particolare, comportano una serie di vantaggi rispetto al
normale capitale azionario. Innanzitutto godono di una piena deducibilità fiscale degli
interessi ad essi relativi, il che determina un costo di finanziamento minore rispetto
all‟equity. Inoltre, gli utili portati a nuovo di queste forme di capitale sono maggiori e
producono dunque maggiori dividendi per gli investitori.
Questi strumenti, dunque, non saranno soltanto utili per gli assicuratori che, avendo un
accesso limitato al mercato, saranno alla ricerca di capitale per coprire i propri requisiti,
ma anche per quelli che vorranno finanziare operazioni di buyback (riacquisto) delle
proprie azioni o di aumento dei dividendi.
Per di più, tali forme di capitale risulteranno utilissime per i fenomeni di
consolidamento che si prevede comporterà la nuova regolamentazione.
98
CEIOPS, (2009), Advice for L2 Implementing Measures on SII: Technical Provisions - Risk free
interest rate, pagg. 19-22
99
L‟ampio ricorso a capitale ibrido e debito subordinato renderà meno rilevante l‟utilizzo
di strumenti di securization.99
3.5. Possibili conseguenze sulla stabilità finanziaria
La recente crisi ha messo a nudo tutte le lacune del sistema finanziario, soprattutto per
quanto riguarda il settore bancario, costringendo i vari paesi ad adottare misure di
sostegno per superare questo momento di difficoltà ed a rendere la propria politica
economica molto più espansiva rispetto al passato, tralasciando quelle che potrebbero
essere (e già sono state) le conseguenze per il proprio debito pubblico.
Ma la crisi, inevitabilmente, si è estesa anche agli altri settori del sistema finanziario,
come quello assicurativo, anche se in maniera sicuramente più lieve.
Gli assicuratori hanno risentito dell‟effetto del dissesto finanziario internazionale in
termini di svalutazione dei propri investimenti in azioni ed obbligazioni, con una perdita
totale (stimata al Febbraio 2010) di circa 270 miliardi di dollari, ossia il 26% della
propria equity; per le banche, a titolo di paragone, le perdite sono state invece pari al
68% della capitalizzazione.100
Sempre secondo le stesse stime, il complesso delle
operazioni di ricapitalizzazione del settore assicurativo (comprensivi degli aiuti di Stato
quando effettuati nella forma di capitale) è stato pari a 170 miliardi di dollari, ossia il
16% della capitalizzazione del 2006. Tale percentuale si confronta con il 58% nel
settore bancario.
D‟altronde, il settore assicurativo internazionale, grazie a un basso ricorso alla leva
finanziaria e a una ridotta esposizione al cosiddetto rischio di run degli assicurati, non
ha evidenziato quei problemi di rischiosità sistemica che hanno, invece, interessato altri
segmenti del sistema finanziario e che motivano una profonda revisione delle regole
prudenziali.
Una delle poche eccezioni a quanto detto, forse la più eclatante, è stata quella relativa al
caso dell‟AIG, che alcuni sostengono sia prova della vulnerabilità del settore
assicurativo. Ma se andiamo ad analizzare i motivi che hanno portato al dissesto di
99
FITCH RATINGS, (2005), Reeling in the years: VIF securitisation, Europe Special Report di Giugno 100
GENEVA REPORT, (2010), Systemic Risk in Insurance - An analysis of insurance and financial
stability, Special Report of The Geneva Association Systemic Risk Working Group, disponibile presso il
sito www.genevaassociation.org
100
quest‟azienda, ci accorgiamo che questo è stato dovuto a situazioni che difficilmente si
presentano nelle altre compagnie di assicurazione. AIG, infatti, deteneva, all‟interno del
proprio portafoglio, una grande quantità di strumenti derivati ed era, inoltre,
un‟istituzione che agiva con un‟elevatissima leva finanziaria, cosa che non è consentita
dalla maggior parte delle regolamentazioni assicurative.101
La crisi finanziaria, inoltre, ha fatto riemergere il tema se la regolamentazione possa
attenuare o meno la naturale pro-ciclicità del sistema finanziario. Quest‟ultima, a livello
assicurativo, è un problema che si concentra sul mercato finanziario, dove una caduta
nei prezzi dei titoli può costringere le compagnie a vendere i propri asset, soprattutto
quelli che comportano maggiori requisiti in termini di capitale, generando così una
spirale che porta ad un‟ulteriore caduta dei prezzi.
Questo problema potrebbe essere ulteriormente aggravato dal fatto che, con Solvency II,
le poste dell‟attivo e del passivo verranno valutate al valore di mercato, aumentandone
dunque la volatilità.
Dall‟altra parte, però, la nuova normativa ha introdotto delle nuove misure per il
contrasto del fenomeno della pro-ciclicità, quali:
l‟introduzione di un meccanismo anticiclico simmetrico che aumenta (o
diminuisce) fino a un massimo di 10 punti percentuali il coefficiente da
applicare nel calcolo del requisito patrimoniale per le azioni, in funzione di
come l‟indice azionario di riferimento si trova rispetto a una media mobile dei
valori passati;
la previsione che il periodo entro il quale le imprese devono riportare i fondi
propri a un livello sufficiente per coprire il SCR possa essere esteso qualora i
mercati finanziari registrino cadute eccezionali e il meccanismo di
aggiustamento simmetrico si riveli insufficiente a permettere alle imprese di
soddisfare il requisito patrimoniale di solvibilità.
Secondo Dario Focarelli (Direttore Economia e Finanza dell‟ANIA), è assolutamente
indispensabile che queste misure siano coerenti con l‟obiettivo di eliminare gli incentivi
regolamentari che costringono le imprese di assicurazione a vendere titoli durante le fasi
101
Per approfondimenti si rinvia all‟articolo del New York Times del 3 Marzo 2009 dal titolo “Fed Chief
says insurance giant acted irresponsibly” disponibile anche sul sito internet www.nytimes.com
101
di ribasso dei mercati, così come va favorito l‟irrobustimento del patrimonio nelle fasi
di espansione.102
Ad ogni modo, l‟adozione di una valutazione market consistent e i nuovi requisiti di
capitale più stringenti potrebbero portare gli assicuratori a scegliere una composizione
di portafoglio più “sicura”, preferendo ad esempio investire in obbligazioni statali,
piuttosto che in partecipazioni corporate. Inoltre, anche grazie all‟allargamento della
lista degli asset eligible, molti assicuratori potrebbero decidere di aumentare la propria
raccolta di capitale piuttosto che esporsi ad un maggiore rischio d‟investimento,
provocando una contrazione del volume di titoli scambiati sul mercato.
3.5.1. Possibili conseguenze sul rating degli assicuratori
Nel suo report sulla stabilità finanziaria globale dell‟Aprile del 2004, il Fondo
Monetario Internazionale sottolineava come l‟importanza data al ruolo delle agenzie di
rating, all‟interno del sistema assicurativo, fosse sproporzionata e suggeriva, in
quest‟ambito, un rafforzamento dei poteri della vigilanza.103
Solvency II è stata una
risposta in questo senso, soprattutto tramite le disposizioni introdotte dal suo terzo
pilastro che hanno fortemente aumentato gli obblighi di public disclosure e di reporting
per le compagnie, rendendo le procedure di due diligence più facili per gli
stakeholders.
Tuttavia, gli operatori non ritengono che questo cambierà di molto il ruolo delle agenzie
di rating, dal momento che i dati che verranno forniti dagli assicuratori potrebbero
essere molto volatili e difficili da interpretare anche per i broker e i risk manager stessi,
mentre i giudizi delle agenzie sono relativamente più stabili104
Detto ciò, la recente crisi ha sicuramente portato gli investitori e gli assicurati a dare
minore peso ai giudizi espressi dalle agenzie, preferendo, ad esempio, “spalmare” il
proprio rischio su una moltitudine di controparti, piuttosto che affidare il proprio destino
nelle mani di una o due soggetti seppure valutati con rating elevati.
102
FOCARELLI D., (2010), Il ruolo delle imprese di assicurazione nella crisi finanziaria: Solvency II è
una risposta adeguata ?, pag. 11, consultabile presso il sito www.ania.it 103
FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE, (2004), Global Financial Stability Report, pagg. 6 e
seguenti 104
Tratto dall‟intervista a Rob Jones, amministrazione delegato della Standard & Poor‟s, all‟interno
dell‟articolo “Will Solvency II harm the rating agencies?”, consultabile presso il sito
www.insuranceerm.com
102
Dall‟altro lato, però, le difficoltà incontrate dalle agenzie di rating nella valutazione di
prodotti complessi offerti dal settore bancario durante la crisi, non dovrebbe essere
riscontrata nel giudizio sulle compagnie d‟assicurazione, grazie alla minore opacità del
loro business. Dunque il ruolo delle agenzie dovrebbe rimanere intatto.
Grazie a Solvency II, inoltre, il rating espresso da questi operatori conterrà anche un
giudizio implicito sulle capacità di risk management delle singole compagnie.
A dispetto di quanto detto, si ritiene che l‟innalzamento dei requisiti previsto dalla
nuova normativa potrebbe avere delle implicazioni sul rating soprattutto per quelle
imprese che non saranno in grado di raccogliere capitale aggiuntivo e di ridurre i
requisiti stessi tramite strategie di diversificazione.105
Dall‟altro lato, invece, le imprese
più grandi e diversificate potrebbero ottenere effetti positivi sul proprio rating grazie a:
un minor ricorso al leverage;
una migliore capacità di valutazione di tipo risk-based;
maggiori barriere all‟entrata.
Per queste imprese, tuttavia, l‟utilizzo di modelli interni complessi porterà ad una
minore trasparenza dei risultati con essi ottenuti e dunque ad una maggiore difficoltà per
le agenzie di rating nel giudicarli.106
3.5.2. Possibili ripercussioni per il sistema bancario
La probabile ondata di fenomeni di consolidamento e il possibile aumento nell‟utilizzo
di strumenti di securization all‟interno del comparto assicurativo, dovrebbe portare ad
un incremento degli utili per le banche.
Solvency II, inoltre, viene riconosciuto come uno strumento all‟interno del proceso di
armonizzazione della regolamentazione tra i vari settori finanziari, con cui si è inteso
andare incontro alla sempre maggiore convergenza delle attività e dei rischi assunti
dagli operatori dei diversi comparti.107
105
HUGES C., ZINNER S., PROWSE D., (2010), Solvency II - Considerations for Credit Rating
Analysis, FITCH RATINGS, pagg. 2-4 106
HUGES C., ZINNER S., PROWSE D., (2010), Solvency II - Far Reaching Implications of New
Insurance Regulation, FITCH RATINGS, pag. 1 107
BANCA CENTRALE EUROPEA, (2007), Potential impact of Solvency II on Financial Stability,
consultabile presso il sito internet ec.europa.eu, pagg. 34-39
103
Si è cercato, innanzitutto, di far sì che ad uno stesso rischio corrispondesse uno stesso
requisito di capitale sia per le banche che per gli assicuratori, per evitare un‟inefficiente
allocazione del rischio e del capitale che minerebbe la stabilità finanziaria.
Tuttavia, come risulta dalle differenze tra le direttive di Solvency II e Basilea II, appare
molto difficile, se non impossibile, conseguire una perfetta coerenza tra le due
regolamentazioni, dati i differenti rischi che gli intermediari interessati si trovano ad
affrontare, che portano ad una conseguente differenza nella struttura dei bilanci degli
assicuratori e delle banche.
Il nuovo regime regolamentare in campo assicurativo potrebbe portare le compagnie
vita a convertire molte delle proprie polizze in prodotti unit-linked, che in molti aspetti
assomigliano alle forme di risparmio offerte dalle banche, dato che anch‟essi, ad
esempio, sono legati all‟andamento dei mercati. Dunque Solvency II dovrebbe portare
ad un aumento della competizione per le banche, che si potrebbe riscontrare anche nella
maggiore propensione degli assicuratori ad investire in obbligazioni corporate, le quali
potrebbero costituire una forma di raccolta di capitale importante per le imprese, in
alternativa ai consueti prestiti bancari.
Dall‟altro lato, però, sia in Basilea II, che in Solvency II, non risultano esservi benefici
derivanti dalla diversificazione intrasettoriale ottenuta grazie a consolidamenti, per la
formazione di conglomerati finanziari e di gruppi di bancassicurazione. Questo perché
si ritiene che tali fenomeni potrebbero portare ad un incremento del rischio sistemico a
sua volta dovuto all‟aumento che si avrebbe nel rischio di contagio, con evidenti
implicazioni negative per la stabilità finanziaria.108
Inoltre, i maggiori requisiti previsti
dalla nuova normativa in campo assicurativo per il rischio di credito, diminuiranno gli
incentivi per gli assicuratori a intrattenere rapporti troppo stretti con le banche.
D‟altro canto, però, l‟introduzione di Solvency II, potrebbe comportare l‟aumento delle
partecipazioni incrociate tra i due settori, sia a livello di equity, che di debito
subordinato, grazie all‟ampliamento della lista degli elementi di capitale ammessi per
gli assicuratori, che potrebbe portare ad un aumento del rischio di contagio, dal
momento che il fallimento di una banca o di un assicuratore potrebbe avere effetti diretti
sulla stabilità dell‟altro settore.
108
DARLAP P. e MAYR B., (2006), Group aspects of regulatory reform in the insurance sector,
GENEVA PAPERS ON RISK AND INSURANCE, Vol. 31, pagg.. 96-123.
104
Nel medio-lungo termine, inoltre, l‟incentivo fornito dalla nuova disciplina per
l‟utilizzo di prodotti di trasferimento del rischio agli assicurati, quali unit-linked ad
esempio, dovrebbe portare ad un generale aumento del livello di rischio sopportato
dall‟intera economia. Alcuni rischi che precedentemente venivano diversificati
attraverso tecniche di pooling, infatti, potrebbero venire trasferiti all‟interno dei bilanci
dei consumatori: uno di questi dovrebbe essere il longevity risk, oltre ovviamente al
rischio finanziario legato a questo nuovo tipo di prodotti. Dal momento che l‟incertezza
per gli assicuratori è da sempre stata legata alla corretta previsione della longevità
media attesa, paradossalmente gli assicurati dovranno affrontare sia il rischio legato ad
una sottostima della durata della propria vita, sia ad una sovrastima della stessa.
Gli assicurati, in generale, non sono in grado di valutare adeguatamente i rischi connessi
a prodotti così complessi e potrebbero commettere scelte d‟investimento sbagliate che
potrebbero portare a conseguenze gravi per i propri redditi, dato che al contrario degli
intermediari finanziari essi non hanno le capacità per smussare la propria esposizione ai
rischi o per assorbire le forti perdite che ad essa potrebbero essere legate.
Dunque, quanto detto potrebbe aumentare notevolmente l‟esposizione al rischio di
credito per le banche, per le quali variazioni avverse all‟interno dei mercati potrebbero
compromettere la capacità da parte dei propri clienti di onorare i debiti.
I possibili effetti ora elencati non devono ingannare nella valutazione del generale
impatto positivo che Solvency II dovrebbe avere sia per il settore bancario, che per il
sistema finanziario in generale, grazie all‟armonizzazione con le altre regolamentazioni,
che porterà a minori possibilità di arbitraggio regolamentare per gli operatori del
comparto assicurativo e non.
3.6. Il possibile impatto sul mercato italiano
La società di rating Moody‟s, in una recente analisi sul mercato assicurativo italiano,
sostiene che: l‟introduzione di Solvency II porterà a una riduzione solo marginale del
surplus di capitale dell‟industrie assicurative italiane, in particolare grazie alla forte
crescita delle vendite di polizze vita tradizionali ad alto assorbimento di capitale nel
2009 e nella prima metà del 2010. Nella stessa analisi si rileva come la solvibilità del
comparto sia migliorata nel 2009 con un surplus complessivo di 25,5 miliardi di euro in
105
base alle regole di Solvency I, con un aumento della copertura a 2,3 volte rispetto alle 2
del 2008. L‟agenzia di rating non vede inoltre problemi significativi sul fronte delle
riserve, che in generale sono ritenute soddisfacenti. Ogni eccesso di riservazione è stato
comunque esaurito, come dimostra un rafforzamento di riserve per 92 milioni a livello
di settore nel 2009, dovuto soprattutto al settore Rc Auto a seguito di un aumento dei
rimborsi per danni alle persone.109
Per quanto riguarda i costi legati all‟introduzione della normativa per le assicurazioni
italiane, la società di consulenza in change management, Sia Conseil ha realizzato un
studio partendo dall‟analisi di un progetto Solvency II per una compagnia tipo.110
Secondo quest‟analisi, è stato stimato che i costi complessivi dell‟implementazione
della direttiva Solvency II saranno pari a circa 560 milioni di euro da suddividere su un
arco di 3 - 4 anni per l‟intero mercato assicurativo italiano, ma 330 milioni di questi
(circa il 60% quindi) si ripercuoteranno solo sulle prime 15 compagnie, che
rappresentano il 90% del totale dei premi lordi contabilizzati.
Le compagnie di dimensione più rilevanti dovranno dunque affrontare costi più
significativi: in media, circa 165 milioni per una compagnia il cui fatturato è superiore
ai 5 miliardi di euro, contro i 73 milioni di compagnie il cui fatturato è invece inferiore
ai 3 miliardi. Inoltre, Sia Conseil stima che i primi 5 gruppi italiani si troveranno ad
affrontare un costo per ciascun progetto che varia tra i 22 e i 44 milioni di euro, mentre
un progetto base in una compagnia di medie dimensioni comporterà costi complessivi in
media di 16 milioni di euro.
Rispetto agli altri principali paesi europei, l‟Italia farà registrare un costo complessivo
minore, anche grazie alle minori dimensioni del proprio mercato assicurativo: nel
Regno Unito, ad esempio, il numero di compagnie è quattro volte quello del nostro
paese ed il fatturato complessivo italiano è circa il 37% di quello generato dal mercato
inglese. Facendo riferimento alle proporzioni, però, il costo di Solvency II per le
assicurazioni italiane risulta essere maggiore di quello per le compagnie inglesi: se,
infatti, il costo totale per i paesi anglosassoni rappresenta lo 0,5% del totale del proprio
fatturato, per l‟Italia questo rapporto si dovrebbe attestare allo 0,6%
109
Dall‟articolo de “Il Sole 24 Ore” del 2 Novembre 2010, dal titolo “Moody's, con Solvency II rimane
surplus capitale” 110
AA. VV., (2009), Solvency II: i veri costi della riforma, consultabile presso il blog di SIA
PARTNERS: blog.sia-partners.it
106
Tabella 5: Il costo dell’implementazione per i maggiori paesi europei
Paese N° compagnie Fatturato (mld €) Costo Solvency II
Regno Unito 1.050 249 1.325 (mln €)
Francia 1.077 204 1.154
Benelux 607 165 859
Germania 511 120 641
Italia 246 92 561
Fonte: www.sia-partners.it
Un aspetto poco preso in considerazione dalle assicurazioni, ma che invece potrebbe
risultare decisivo per lo scenario competitivo, è rappresentato dal fatto che oltre
all‟aumento dei costi marginali necessari all‟adeguamento delle compagnie alla direttiva
Solvency II, le modifiche nell‟organizzazione delle assicurazioni e nelle linee di
prodotto potrebbero comportare costi aggiuntivi fino a un +45% rispetto ai costi base
del progetto. Questo surplus dovrebbe essere causato, innanzitutto, dal massiccio ricorso
che faranno le compagnie ai modelli interni, il cui uso è fortemente incoraggiato da
parte della nuova normativa e che dovrebbe comportare un aumento dei costi di circa il
25% rispetto a quanto previsto.
D‟altronde, in termini qualitativi, gli investimenti saranno concentrati soprattutto sulle
attività necessarie per adeguarsi al pillar I (69%), che si caratterizzano per la forte
componente di analisi e necessitano di interventi a livello di processi e IT, mentre molto
minore sarà l‟incidenza dei costi per l‟adeguamento al secondo e, soprattutto, al terzo
pilastro.
107
Tabella 6: Ripartizione dei costi tra i tre pilastri
Totale 100%
Primo pilastro 69%
Secondo pilastro 27%
Terzo 4%
Fonte: www.sia-partners.it
La spinta di Solvency II ad effettuare una selezione dei rischi da sottoscrivere per
evitare una concentrazione troppo elevata richiederà, inoltre, una maggiore disponibilità
di capitale per le compagnie, mentre le modifiche per adeguare le procedure operative
delle funzioni aziendali (Corporate Governance, Business, ALM) comporteranno costi
aggiuntivi fino al 10% del progetto iniziale. Da questo punto di vista l‟Italia è
avvantaggiata rispetto ad altri paesi poiché molte delle prospettive messe in campo con
Solvency II erano state anticipate dal Regolamento 20 dell‟Isvap in materia di controlli
interni e gestione dei rischi.
Infine, l‟avvio di un cantiere ad hoc finalizzato a valutare gli impatti di Solvency II sulle
poste di bilancio (legati in particolare all‟utilizzo di un‟ampia gamma di strumenti per la
copertura o il trasferimento del rischio) potrebbe comportare anch‟esso costi aggiuntivi
fino al 10% del progetto base.
Tuttavia, oltre a quanto detto, esistono altri elementi esterni che potrebbero in gran parte
modificare i costi che sono stati stimati. Tra questi i più importanti sono sicuramente
l‟incertezza sulle tempistiche e sulle effettive modalità di implementazione della
riforma, oltre all‟aumento del rischio operativo. Sebbene, infatti, la gestione del rischio
sia un elemento essenziale nel business assicurativo e già oggi le compagnie siano
focalizzate sull‟ottimizzazione dei propri sistemi di risk management, non vanno
tuttavia sottovalutati nel percorso di adeguamento a Solvency II il livello di
informatizzazione, la migliore qualità di dati, la produzione di una documentazione
sufficientemente completa e soprattutto la diffusione di una cultura del rischio
all‟interno dell‟azienda.
108
Prendendo in esame quelli che sono stati i risultati del QIS 4, pubblicati dal CEIOPS nel
Novembre del 2008111
, si possono analizzare quelli che dovrebbero essere i
cambiamenti nella composizione del bilancio delle compagnie assicurative rispetto alla
precedente normativa. Da quest‟analisi si evince che non vi sono grandi differenze dal
lato dell‟attivo, dove si registrano solo piccole variazioni: una leggera diminuzione della
riassicurazione (-0,8%) e un debole aumento degli investimenti in generale (+0,6%) e
degli investimenti unit-linked in particolare (+0,5%). Dal lato del passivo, invece, le
differenze sono più evidenti e si palesano in un forte aumento del capitale proprio, che
passa dal 8,2% al 14%, bilanciato da una riduzione delle riserve tecniche che tra best
estimate e risk margin passano dal 59,6% al 52,2%.
Figura 9: Composizione passivo di bilancio delle compagnie italiane con Solvency I
Fonte: CEIOPS, 2008
111
CEIOPS, (2008), CEIOPS’on its fourth Quantitative Impact Study (QIS 4) for Solvency II, Annex of
selected tables, pagg. 24-31
Equity
Riserve tecniche
Passività unit-linked
Altre passività
109
Figura 10: Composizione passivo di bilancio delle compagnie italiane con QIS 4
Fonte: CEIOPS
Per quanto riguarda il coefficiente di solvibilità, esso dovrebbe aumentare sia per il
ramo vita che per i rami non-vita: nel vita, si passa dal 147% di Solvency I al 154%
risultante dal QIS 5; nel danni, detto coefficiente, che col Solvency I era pari al 129%, si
è attestato al 229% (come emerso dagli ultimi studi d‟impatto).
Figura 11: Andamento dei principali ratio delle compagnie vita italiane nel QIS 4 e QIS 5 (secondo i dati medi del mercato)
Fonte: Elaborazioni Milliman
Equity
Passività best estimate
Passività unit-linked
Altre passività
Risk margin
0,00%
50,00%
100,00%
150,00%
200,00%
250,00%
300,00%
350,00%
400,00%
450,00%
QIS 4 2007 QIS 4 2008 QIS 5 2008
SCR
Fondi propri
Coefficiente solvibilità
110
CAPITOLO IV
Un’applicazione pratica della normativa
4.1. Il caso dell’azienda Alfa
Per avere un‟idea più precisa di quello che sarà l‟impatto della normativa sulle
compagnie d‟assicurazione europee, si è deciso, all‟interno dell‟ultimo capitolo del
presente lavoro, di analizzare i dati di bilancio di un‟impresa d‟assicurazione, di cui si è
preferito non rivelare il nome per motivi di riservatezza e a cui, all‟interno della
trattazione, verrà fatto riferimento con il nome di azienda Alfa.
Per fare questo, ci si è avvalsi dell‟aiuto di un responsabile dell‟attuariato vita della
compagnia stessa che ha fornito i fogli di lavoro necessari per i calcoli che si sono
andati ad effettuare.
Grazie ad alcune semplificazioni, sarà possibile verificare come le nuove norme vadano
ad incidere sui requisiti di un‟azienda-tipo ed inoltre si verificherà la bontà delle
assunzioni riguardanti le differenze tra le due normative, che sono state presentate nei
precedenti capitoli della tesi.
Tramite i dati bilancio che ci sono stati forniti per l‟ azienda Alfa, si è deciso, per prima
cosa, di procedere al calcolo del margine di solvibilità secondo quanto prescritto
dall‟attuale normativa di Solvency I per poi raffrontare tale risultato, in un secondo
momento, con il requisito ottenuto applicando le disposizioni introdotte dalla nuova
regolamentazione.
Entrando nel dettaglio, per semplicità, si è scelto di far riferimento ad un‟impresa che
opera esclusivamente nel comparto vita, principalmente nel Ramo I (assicurazioni sulla
durata della vita umana) e nel Ramo II (assicurazioni di nuzialità e di natalità), mentre
svolge solo un‟attività marginale nei Rami III (assicurazioni legate a fondi di
investimento ed indici azionari), V (operazioni di capitalizzazione) e VI (operazioni di
gestione di fondi collettivi costituiti per l'erogazione di prestazioni in caso di morte, in
caso di vita o in caso di cessazione o riduzione dell'attività lavorativa).
111
Tabella 7: suddivisione dell’attività della compagnia Alfa per ramo
Ramo esercitato Riserve relative alle
operazioni dirette*
Percentuale sul totale
dell’attività
Rami I e II 1,2 80%
Ramo V 0,27 18%
Rami III e VI 0,03 2%
Totale 1,5 100%
*= Valori espressi in miliardi di euro
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Oltre che dalle riserve matematiche, che rivestono un ruolo predominante, il passivo
dello stato patrimoniale - che farà da base per il calcolo del margine di solvibilità
attualmente richiesto all‟azienda Alfa - è composto da:
45 milioni di capitale sociale sottoscritto;
10 milioni di riserva legale;
5 milioni di riserve statutarie;
30 milioni di altre riserve;
20 milioni di perdite portate a nuovo;
4.2. Calcolo del requisito patrimoniale secondo Solvency I
Prima di procedere al computo del requisito patrimoniale richiesto applicando la vigente
normativa, si è deciso di calcolare quello che è il margine di solvibilità effettivamente a
disposizione dell‟impresa Alfa alla fine dell‟esercizio. Quest‟ultimo può essere misurato
procedendo alla semplice somma degli elementi costitutivi previsti112
e sottraendo a tale
somma gli elementi che devono essere dedotti.
Gli elementi costitutivi presi in considerazione ai fini del calcolo del margine di
solvibilità disponibile sono quelli illustrati dalla seguente tabella:
112
CODICE DELLE ASSICURAZIONI, titolo III: Esercizio dell’attività assicurativa, capo IV: Margine
di solvibilità, art. 44
112
Tabella 8: Composizione margine di solvibilità disponibile dell’azienda Alfa
Elementi costitutivi Ammontare*
Capitale sociale versato 45
Riserva legale 10
Riserve libere 35
Utili non distribuiti 10
Altri attivi immateriali (1)
Perdite portate a nuovo (20)
Altre deduzioni (1,5)
Totale 77,5
*=Cifre espresse in milioni di euro
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Dunque, il margine di solvibilità disponibile è pari a 77,5 milioni di euro, importo che
andrà ora confrontato con il margine di solvibilità richiesto dalla normativa vigente.
Per il calcolo di quest‟ultimo si è proceduto attraverso l‟utilizzo delle formule previste
dalle direttive comunitarie che si basano sulla somma di tre requisiti, rappresentativo
ognuno di un fattore di rischio:
a) rischio finanziario (M1);
b) rischio demografico (M2);
c) rischio relativo alle assicurazioni complementari (M3).
La formula relativa al margine di solvibilità così calcolato è, dunque, la seguente:
MDS = M1+M2+M3 = 0,04Va1+0,003 (S-V‟)a2+bPa3
dove per V s‟intende l‟ammontare delle riserve matematiche, al lordo della
riassicurazione, (S-V‟) rappresenta l‟ammontare dei capitali sotto rischio relativi ai
contratti in cui gli stessi non sono negativi, mentre con P ci riferisce al cumulo dei
premi o contributi per le assicurazioni complementari al netto dei premi annullati,
imposte e tasse.
113
Sempre per quanto riguarda P, il coefficiente b da applicare ad esso è pari al 18% se P è
minore a 53,1 milioni di euro, mentre è pari al 16% se P è inferiore a questa cifra.
A1, a2 e a3, infine, sono i coefficienti di conservazione, che vengono utilizzati per tener
conto degli effetti della riassicurazione e differiscono tra i vari fattori di rischio, infatti:
a1 = max [0,85; Vr/V];
a2 = max [0,50; (S-V‟)r/(S-V)];
a3 = max [0,50; L/L‟]
dove per Vr s‟intende l‟ ammontare riserve matematiche, al netto delle cessioni in
riassicurazione, (S-V‟)r rappresenta l‟importo di capitali sotto rischio che rimangono a
carico dell‟impresa, dopo aver detratto le cessioni in riassicurazione.
L e L‟ rappresentano, infine, rispettivamente, il totale dei sinistri liquidati e i sinistri
liquidati al netto di quelli a carico dei riassicuratori.
Tabella 9: Margine di Solvibilità richiesto dall’attuale normativa per l’azienda Alfa
Ramo esercitato M1 M2 M3 TOTALE
Ramo I 40.800.000 € 14.700.000 € - 55.500.000 €
Ramo V 9.200.000 € - - 9.200.000 €
Ramo III e VI - - 300.000 € 300.000 €
TOTALE 50.000.000 € 14.700.000 € 300.000 € 65.000.000 €
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Il risultato complessivo, dunque, ottenuto sommando tutti i margini relativi ai singoli
rami esercitati, risulta essere in questo modo pari a 65 milioni di euro, che per la
maggior parte scaturisce dall‟attività della compagnia nei primi rami (il requisito ad
esso relativi rappresenta 84,6% del totale), mentre molto più esigua è la partecipazione
al margine delle operazioni di capitalizzazione (15,4%). Quasi nullo è infine l‟apporto
relativo alle operazione dei rami III e VI.
La quota di garanzia è di 21,7 milioni di euro, ovvero pari al maggiore tra la quota
minima di garanzia ai sensi dell'art. 36, comma 2, del decreto legislativo 174 del 95, che
114
è pari a 3,2 milioni, e una frazione di un terzo del margine di solvibilità richiesto, che è
appunto uguale a 21,7 milioni.
Da quanto detto risulta evidente come la compagnia Alfa, nella propria attività, sia stata
molto prudente, dato che dal proprio bilancio risulta avere a disposizione un margine a
copertura di molto maggiore rispetto a quello che le sarebbe imposto dalla
regolamentazione: la differenza tra questi due importi è di 12,5 milioni di euro e potrà
essere reimpiegato dall‟impresa per ampliare le proprie strategie di business.
Da quest‟ultimo risultato possiamo anche ricavare il solvency ratio, che rappresenta un
coefficiente che ci permette di valutare la capacità della compagnia di fronteggiare le
passività con i valori realizzabili dell‟attivo in situazioni di crisi.113
Il valore di tale
coefficiente è pari al 119%.
Come si può notare, per il calcolo del proprio requisito, l‟azienda non ha potuto tener
conto pienamente degli effetti della riassicurazione, mentre sono stati totalmente
trascurati gli effetti derivanti dalla possibile diversificazione. Tali mancanze
rappresentano due delle imputazioni di maggior peso rivolte alle direttive presenti nel
progetto Solvency I e che hanno, conseguentemente, portato alla decisione di dare vita a
Solvency II.
Le formule attraverso cui viene calcolato il requisito secondo l‟attuale normativa,
secondo il parere di chi scrive, sebbene siano suddivise in più parti per tener conto di
diversi aspetti del rischio, non sembrano tuttavia sufficienti per prendere in
considerazione le molteplici sfaccettature che questo può assumere, soprattutto per
quanto riguarda il rischio finanziario o d‟investimento. Questo problema è ulteriormente
aggravato dal fatto che le poste di bilancio sono tutte considerate al costo storico,
tralasciando le variazioni di mercato; inoltre, il lato dell‟attivo appare trascurato.
Si ritiene, d‟altronde, che il requisito che emerge da tale calcolo offra un‟immagine
statica dell‟impresa che è sottoposta a valutazione, non prestandosi a segnalare le
specificità del suo profilo di rischio. Aziende con quantità di premi e sinistri simili,
infatti, potrebbero trovarsi a dover assolvere a requisiti patrimoniali identici, ancorché il
loro profilo di rischio risulti essere assai diverso.
113
CAPRIGLIONE F., (2010), L’ordinamento finanziario italiano, WOLTERS KLUWER, Padova, pag.
306
115
4.3. Calcolo del requisito patrimoniale secondo Solvency II
Dopo aver calcolato quello che sarebbe attualmente il requisito patrimoniale per
l‟azienda Alfa secondo la vigente normativa, nell‟applicazione di quelle che sono le
prescrizioni di Solvency II ed, in particolare, dalle ultime specifiche tecniche suggerite
dal CEIOPS tramite il QIS 5.
Come illustrato nel secondo capitolo, per il computo del SCR totale è necessario
calcolare prima gli SCR per tutti i rischi previsti dalla direttiva, ottenere dalla somma di
questi ultimi l‟SCR di base ed applicare ad esso un aggiustamento per la capacità di
assorbimento delle perdite delle riserve tecniche e delle imposte differite, che nel nostro
caso si baserà su un approccio di scenario:
SCR = SCR di base + SCR operativo + Aggiustamento
SCR di base =
Per ogni modulo e sottomodulo il CEIOPS richiede che venga specificata la
metodologia utilizzata per il calcolo del requisito, che per semplicità caso in
considerazione sarà sempre quella standard, con l‟eccezione del sottomodulo del rischio
di sottoscrizione vita, relativo al rischio catastrofale, per cui sono state utilizzate delle
semplificazioni.
Nonostante, come detto più volte in precedenza all‟interno del presente lavoro, la
valutazione delle poste di bilancio secondo la nuova regolamentazione differirà da
quella attualmente vigente, ma nella nostra rappresentazione non è stato possibile
evidenziare tale differenza. E‟ stata fatta questa scelta perché per la contabilizzazione
secondo i nuovi principi IAS/IFRS si basa su criteri molto specifici e precisi, che sono
inoltre impossibili da applicare se prima non si è ipotizzata dettagliatamente la
composizione tecnica di un portafoglio finanziario.
In questa sede, ci si limita ad indicare quali saranno i principali cambiamenti introdotti
per l‟area assicurativa delle imprese. Con la nuova valutazione, infatti, il portafoglio-
polizze potrà essere suddiviso in 3 macroaree a seconda della loro tipologia:
116
1) polizze il cui rischio assicurativo è significativo e che verranno valutate secondo
i principi IFRS 4;
2) polizze unit linked, index linked, fondi pensione e polizze con attivi specifici a
copertura che verranno valutate secondo i principi IAS 39;
3) polizze di investimento con partecipazione agli utili discrezionale, che
comprendono tutto il ramo V (escluse le index linked), per cui si continueranno
ad utilizzare i principi contabili nazionali.
Nel dettaglio, secondo i nuovi principi IFRS 4, l‟assicuratore dovrà misurare i contratti
assicurativi come somma di due componenti:
a) valore attuale atteso dei flussi di cassa futuri in uscita meno i flussi di cassa in
entrata derivanti dall‟adempimento del contratto assicurativo, rettificato
dall‟effetto dell‟incertezza relativa all‟ammontare e al tempo di questi futuri
cash flows;
b) residual margin che elimina ogni guadagno all‟emissione del contratto (il
residual margin nasce quando la componente di cui al precedente punto sub a) è
minore di zero, per esempio quando il valore attuale atteso dei futuri cash flows
in uscita sommato al risk adjustment114
è minore del valore attuale atteso dei
futuri flussi di cassa in entrata).
114
Il risk adjustment è il prezzo massimo che un assicuratore sarà razionalmente disposto a pagare per
essere sollevato dal rischio che i cashflow effettivi si rivelino minori di quelli attesi.
117
Fatta questa premessa, la composizione dell‟attivo e del passivo di bilancio è la
seguente:
Tabella 10: Composizione attivo e passivo di bilancio azienda Alfa
ATTIVITA’ PASSIVITA’
Attivi immateriali 5.000.000 € Best estimate 1.350.000.000 €
Immobili ed impianti 40.000.000 € Risk Margin 50.000.000 €
Partecipazioni 50.000.000 € Totale 1.400.000.000 €
Azioni quotate 100.000.000 € Differenza attivo-
passivo
405.000.000 €
Azioni non quotate 10.000.000 €
Obbligazioni statali 900.000.000 €
Corporate bonds (ABS) 200.000.000 €
Altri corporate bonds 500.000.000 €
TOTALE 1.805.000.000 € TOTALE 1.805.000.000 €
C‟è da sottolineare che, per quanto riguarda il lato del passivo, le technical provisions
(riserve tecniche) sono state ricalcolate secondo un modello di proiezione che definisce
la possibile evoluzione mensile del portafoglio e non secondo le effettive ipotesi di
tariffazione.
Per quanto concerne il lato dell‟attivo invece, l‟elevata quantità di obbligazioni
dovrebbe essere dovuta ai minori requisiti che esse comportano rispetto ad altre forme
di attività più rischiose, dal momento che per il calcolo del SCR, al contrario di quanto
avveniva con Solvency per il margine di solvibilità, viene preso in considerazione
l‟intero bilancio e non solo, dunque, le poste del passivo.
Attraverso questi dati, dunque, si è proceduto al calcolo del requisito secondo le
specifiche tecniche del QIS 5, che ha portato ad un SCR di base totale pari a 88,5
milioni di euro, ben al di sopra del requisito che avevamo ottenuto applicando le
previsioni di Solvency I ed addirittura superiore al margine di solvibilità disponibile che
avevamo calcolato in precedenza.
Grazie all‟aggiustamento dovuto alla capacità di assorbimento delle perdite delle riserve
tecniche e delle imposte differite, però, è stato possibile effettuare una riduzione di tale
118
requisito di 38,5 milioni di euro, ovvero del 43,5% del totale. Il requisito finale, dunque,
è pari a 49,9 milioni, ben inferiore sia al margine disponibile che al requisito calcolato
secondo le disposizioni di Solvency I.
Figura 12: margine di solvibilità secondo le differenti metodologie
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Come è facile intuire, la riduzione del requisito patrimoniale per la compagnia in
considerazione non fa altro che migliorare la capacità della stessa di far fronte ai propri
impegni anche in situazioni di crisi impreviste, rappresentata numericamente, come
detto in precedenza, dal solvency ratio che aumenta considerevolmente rispetto a quello
che si ha applicando la normativa vigente, passando dal 119% al 155%.
0
10
20
30
40
50
60
70
80
MDS disponibile Requisito Solvency I
Requisito Solvency II
MDS disponibile
Requisito Solvency I
Requisito Solvency II
119
Figura 13: Confronto solvency ratio tra Solvency I e Solvency II
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Il risultato ottenuto applicando le regole di Solvency II è dovuto, in particolar modo, al
peso notevole derivante dal requisito calcolato per il sottomodulo relativo al rischio di
mercato. Tale rischio, come detto, era di fatto scarsamente considerato all‟interno di
Solvency I, laddove all‟interno del Solvency II il Market SCR rappresenta da solo circa
il 65% del SCR di base totale, ciò al netto della diversificazione che consente, d‟altra
parte, di giungere al risultato da noi ottenuto, grazie ad un “alleggerimento” del
requisito di circa 20,6 milioni di euro (senza gli effetti della diversificazione, infatti, il
SCR di base sarebbe stato addirittura pari a 109,1 milioni).
Molto più modesti sono i contributi degli altri sottomoduli: per la precisione, al
computo del SCR di base concorre per l‟11,37% il SCR per il rischio di controparte e
per il 23% i sottomoduli relativi al rischio di sottoscrizione. Il peso del modulo relativo
al rischio operativo è, invece, quasi irrilevante.
0%
20%
40%
60%
80%
100%
120%
140%
160%
180%
Solvency ratio
Solvency I
Solvency II
120
Figura 14: Composizione SCR totale
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Focalizzando l‟attenzione sul sottomodulo relativo al rischio di mercato – che, come
detto, offre il contributo maggiore alla formazione del requisito patrimoniale
complessivo -, si può analizzare quali sono le cause che concorrono alla creazione dei
71,2 milioni di euro necessari per costituire il market SCR. Esso che, sulla base della
semplice somma delle componenti, sarebbe pari a 105,8 milioni di euro, gode, per
contro, di una riduzione di 34,2 milioni grazie agli effetti della diversificazione.
Venendo ai singoli sottomoduli, si può subito osservare che non vi è alcuna esposizione
né verso il rischio di cambio, né verso il rischio di concentrazione, mentre il
sottomodulo che contribuisce maggiormente è quello relativo al market SCR
immobiliare, insieme al sottomodulo per il rischio azionario e a quello per il rischio di
credito. Concorre solo moderatamente alla formazione del SCR totale il sottomodulo
per il rischio di tasso.
-40%
-30%
-20%
-10%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
SCR operativo
SCR sottoscrizione
SCR controparte
SCR mercato
Aggiustamento
Diversificazione
121
Figura 15: Composizione SCR di mercato
Fonte: elaborazioni proprie tramite dati aziendali
Al termine delle simulazioni effettuate, si può affermare che con l‟applicazione delle
nuove regole di accantonamento patrimoniale, si è riusciti ad ottenere l‟effetto
auspicabile, ovvero la riduzione del requisito ai fini di vigilanza, uno dei principali
motivi per cui il progetto Solvency II è stato creato (anche se probabilmente questo
viene messo in secondo piano nelle intenzioni del legislatore).
Si ritiene che questo risultato sia soprattutto frutto del nuovo ruolo riconosciuto agli
effetti della diversificazione, senza la quale il requisito calcolato con la nuova
regolamentazione si sarebbe rivelato più alto, non solo rispetto a quello derivante dal
calcolo effettuato sulla base di Solvency I, ma anche rispetto al margine di solvibilità
disponibile.
Si può presumere, inoltre, che la compagnia Alfa goda anche dei benefici relativi alla
cessione in riassicurazione, dal momento che, già per il calcolo del margine di
solvibilità secondo la normativa vigente, si era avvalsa della possibilità di ridurre il
proprio requisito, utilizzando fino al massimo possibile il coefficiente di conservazione
previsto.
Si può notare che, come per la maggior parte delle compagnie vita, l‟ammontare del
SCR - calcolato secondo le specifiche tecniche del QIS 5 - è spiegato in misura
-40%
-20%
0%
20%
40%
60%
80%
Liquidità
Credito
Immobiliare
Azionario
Tasso d'interesse
Diversificazione
122
prevalente, dalla presenza di una forte esposizione verso il rischio di mercato. Tale
esposizione è dovuta ad una maggiore possibilità di reinvestimento dei premi raccolti da
parte degli operatori di questo ramo, che si riflette, ad esempio, in una forte presenza
delle partecipazioni all‟interno dell‟attivo di bilancio dell‟azienda in considerazione.
4.4. Conclusioni
Dal raffronto degli impatti sul livello di patrimonializzazione della compagnia Alfa a
seguito dell‟applicazione delle prescrizioni normative di cui al regime di Solvency I ed
al futuro regime di Solvency II, emergono chiare tutte le differenze che si sono
analizzate all‟interno della trattazione ed è possibile esprimere un giudizio complessivo
su quello che l‟introduzione di Solvency II comporterà per le imprese di assicurazione
europee e per il sistema finanziario internazionale in generale.
Attraverso l‟analisi condotta si è, pertanto, giunti alla conclusione che, attraverso
l‟adozione della nuova regolamentazione, si apriranno nuovi scenari competitivi nel
settore assicurativo europeo, all‟interno dei quali diverrà sempre più fondamentale il
ruolo del risk management nell‟ambito delle singole compagnie, al fine di raggiungere
dei vantaggi competitivi.
Tramite l‟adozione del SCR e di strumenti come l‟ORSA, infatti, le aziende stesse
saranno in grado di valutare con maggiore accuratezza la tipologia di rischi a cui sono
esposte e di individuare, tra di essi, quelli che richiedono una maggiore attenzione e
coperture di capitale più elevate. Da ciò consegue anche che l‟assicuratore avrà la
possibilità di modificare la propria strategia di business a seconda dei risultati che
otterrà dalle sue valutazioni riguardo al profilo di rischio dell‟azienda.
In questo senso, fondamentale si rivelerà l‟utilizzo dei modelli interni i quali non
risulteranno utili solamente al fine di una più puntuale calibrazione dei requisiti
patrimoniali stessi rispetto all‟effettivo profilo dell‟impresa, ma anche per la diffusione
di una generale cultura del rischio che, nelle intenzioni, dovrebbe divenire sempre più
radicata all‟interno delle compagnie.
Dai nuovi criteri di calcolo dei requisiti patrimoniali trarrà enorme beneficio il settore
riassicurativo, dato che le aziende vedranno riconosciuti in pieno gli effetti da esso
123
derivanti, mentre saranno le compagnie di maggiori dimensioni a godere di maggiore
giovamento delle nuove riduzioni legate alla diversificazione.
La normativa di Solvency II rientra, inoltre, nell‟ambito di un più ampio processo di
trasformazione della vigilanza a livello europeo, che mira a far sì che il singolo
intermediario possa essere in grado di “autoregolarsi” nell‟ambito della propria attività,
rendendo di fatto meno rilevanti i poteri attribuiti alle Autorità di vigilanza. Tutto ciò
non esclude, tuttavia, che gli intermediari dovranno comunque intrattenere rapporti di
collaborazione costante e dare vita a flussi d‟informazione continui da ambo le parti.
Il rischio è quello che si commetta lo stesso errore registratosi in ambito bancario con
Basilea 2, dove gli operatori non sono stati in grado di sfruttare in maniera positiva le
libertà concesse loro attraverso la regolamentazione.
Per quanto concerne gli aspetti più tecnici riguardanti il calcolo del requisito,
fondamentale appare la differenza nel livello di approfondimento con cui la solvibilità
aziendale viene valutata: il modello scelto da Solvency II risulta essere molto più vicino
a quello adottato per la valutazione del rischio in ambito bancario, dato che vengono
presi in considerazione la totalità dei rischi relativi all‟attività di un intermediario e non
solo, dunque, i rischi tecnici, come avviene oggi per il calcolo del margine di solvibilità
secondo Solvency I. Quest‟ultimo, inoltre, come detto, si basa essenzialmente sul
volume d‟affari della compagnia, trascurandone in gran parte la rischiosità, che è invece
alla base del calcolo del SCR.
Fondamentale, infine, è anche il fatto che con Solvency II venga presa in considerazione
per la determinazione dei requisiti non solo la composizione del passivo, ma anche
quella dell‟attivo che risulta essenziale per tenere conto, ad esempio, di rischi importanti
- come il rischio di credito e il rischio di mercato - che possono influire anche in misura
sostanziale sul grado di solvibilità della compagnia.
Recentemente115
, però, si è sostenuto che le assunzioni alla base del progetto Solvency
II siano prive di significato scientifico in quanto fanno confusione tra due concetti ben
distinti, quali quello di rischio e di incertezza. Quest‟ultima è profondamente
connaturata nelle azioni umane ed in particolare nell‟attività imprenditoriale da cui
dipende la sopravvivenza o meno di una compagnia.
115
HUERTA DE SOTO J., (2008), Il fatale errore di “Solvency II”, in DIRITTO ED ECONOMIA
DELL‟ASSICURAZIONE n. 4, pag. 809-817
124
L‟incertezza, per sua natura, non è assicurabile, né, secondo i critici, è possibile ottenere
distribuzioni di probabilità o scenari su avvenimenti futuri che sono da essa
caratterizzati.
La presenza dei requisiti di solvibilità, inoltre, potrebbe essere vista come un elemento
che deresponsabilizza l‟attività degli assicuratori, i quali - come avviene per il
fenomeno del moral hazard - potrebbero dare vita a comportamenti più rischiosi,
nell‟erronea convinzione di disporre di un meccanismo automatico di sicurezza che li
possa mettere a riparo da qualsiasi errore imprenditoriale.
Si deve, inoltre, tener conto che da quanto risulta dagli ultimi studi d‟impatto, con
esclusione del ramo vita - come emerso anche dal caso pratico che si è analizzato
all‟interno dell‟ultimo capitolo –, sembrerebbe che i requisiti patrimoniali tenderebbero
ad aumentare, rendendo i costi del progetto ancora più elevati, soprattutto per le
compagnie di dimensioni minori, le quali non sarebbero in grado di mettere in piedi un
proprio modello interno.
Si prevede, quindi, che potrebbero essere necessari ulteriori QIS, per tentare di capire i
motivi di tale incremento dei requisiti patrimoniali, allungando di conseguenza i tempi
per l‟entrata in vigore della normativa - come dimostrato anche dai continui rinvii voluti
dagli Organi preposti nell‟ultimo periodo-.
Si ritiene, infine, che, nell‟ottica del processo di convergenza fra le Autorità di vigilanza
di cui si è ampiamente trattato all‟interno della tesi, obiettivo ultimo di tali decisioni sia
quello di far sì che l‟adozione di Solvency II possa coincidere con quella prevista per il
nuovo progetto di regolamentazione del settore bancario, che prenderà il nome di
Basilea 3.
125
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