La verità dei servizi segreti americani sulla fucilazione ... · no Belmonte con l’amante in...

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16 emerge è chiaro e serve per chiudere in modo definitivo questa tragica storia. Come avvenne l’esecuzio- ne del duce e della Petacci? Per cominciare: il mito del “colonnello Valerio”, giusti- ziere solitario, esce infranto. Davanti al cancello del villi- no Belmonte a Giulino di Mezzegra alle 16,10 di quel 28 aprile 1945 erano presen- ti cinque persone. Il “c o l o n- nello Va l e r i o” (Walter A u- disio), “Guido” (Aldo Lam- predi), “P i e t r o” (Michele Moretti, commissario politi- co del Distaccamento “P u e- c h e r” della 52°), “Neri” (Luigi Canali) e “Lino” (Giuseppe Frangi), partigia- no vicino a “Neri”, a sua volta ucciso in circostanze oscure il 4 maggio a Dongo. Mussolini, prelevato con la Petacci a casa De Maria, al- le 16 è fatto avvicinare al muretto d’ingresso del villi- no Belmonte con l’amante in lacrime. “Valerio” è alla sinistra del duce, in posizio- ne frontale. “P i e t r o” è sulla destra. “Guido” è alle loro spalle. “Neri” e “Lino” sono poco distanti a controllare la strada. “Valerio” esplode due colpi con una pistola a Mussolini raggiungendolo alla schiena. Ciò fu dovuto al fatto che Mussolini stava muovendosi come per ripa- rarsi dal mitra di Audisio che invece fa cilecca. L’ a r- ma non spara perché è nuo- va di zecca, piena di grasso e non è mai stata usata pri- ma. A “Valerio” la consegnò a Milano Alberto Mario Ca- vallotti, “A l b e r o”, commis- sario delle brigate dell’Ol- trepo, che l’aveva ricevuta da un lancio alleato. Altri tre colpi partono dal mitra Mas 7,65 di “Pietro” che rag- giungono il duce al torace. Poi cade la Petacci ma Lada- Mocarski non ne fa cenno forse per pietà. Ed ecco l’al- tra grande novità: il duce non è morto. Scrive l’agente 4 4 1”: “L’occhio di Mus- solini ruotava guardando il c i e l o”. Allora, invitato da “P i e t r o”, si avvicina “N e r i” che dà i due colpi di grazia. Esattamente quello che io e Giorgio Cavalleri avevamo saputo dalla madre di “N e r i”, Maddalena Zanoni, trent’anni fa, e che non rit e- nemmo mai di rendere pub- blico in assenza di riscontri oggettivi che oggi ci sono. C’è dell’altro? Si. Interessante quanto “N e- ri”, definito da Lada-Mocar- ski “the captain of local p a r t i s a n s”, dice a proposito della Petacci. “Lino” gli aveva confidato di aver sen- tito la donna, rivolta al duce, sussurrare: “Sei soddisfatto che ti abbia seguito fino a questo tragico momento?”, una frase di tragica e ironica amarezza o d’amore infini- to. A quel punto “Valerio” con “Guido” e “Pietro” si trasferirono a Dongo a fuci- lare i ministri per poi portar- li a Milano. Gli Alleati avrebbero volu- to prendere Mussolini vivo. Perché? Ci sono accenni? La verità dei servizi segreti americani sulla fucilazione di Mussolini Era previsto dalla clausola n. 29 del “Lungo armistizio” del 29 settem- bre 1943 firmato a Malta da Eisenhower e Badoglio. Il duce doveva essere conse- gnato alle Nazioni Unite cioè ai sedici rappresentanti dei Paesi vincitori della guerra per un processo pub- blico. Certo che, vivo, il du- ce in mano alleata avrebbe potuto essere utilizzato in mille modi. Tutte le “mis- s i o n i” Oss partite da Firen- ze e da Lugano comunque fallirono il bersaglio. Il me- rito d’aver stretto i tempi è di Luigi Longo, il “v i c e” di Cadorna, che inviò Audisio e Lampredi. Nel libro è contenuto an- che un rapporto dell’Uff i- cio X2, il controspionaggio Usa, sull’ “oro di Dongo”. Secondo l’Oss la somma, fra valuta e oggetti preziosi, sarebbe stata di un miliardo di lire dell’epoca. Per la 52 a brigata il valore sarebbe sta- to di pochi milioni. Certo che molti beni andarono di- spersi. Gli stessi ministri si erano preoccupati di conse- gnare i loro bagagli ai citta- dini rivieraschi con l’accor- do che, a guerra finita, sa- rebbero tornati a prendere i loro averi. C’è un argomento politi- camente molto intere s s a n- te: la collaborazione del “capitano Neri”, un pre- stigioso partigiano comu- nista e l’agente Oss Vale- rian Lada-Mocarski. Su che basi maturò? Il tema dei rapporti fra Al- leati e Resistenza è poco no- to o volutamente ignorato. I rapporti ci furono, erano or- ganici e conosciuti dai mas- simi dirigenti del Pci e del Psi che utilizzarono i ponti- radio Alleati del Sud per co- municare con il Nord occu- pato, autorizzando da parte loro alcuni elementi a colla- borare. Le recenti ricerche del professor Giorgio Pe- tracchi dell’Università di Fi- renze negli archivi america- ni mostrano come gli A l l e a- ti utilizzassero uomini delle diverse estrazioni politiche per manovrare sui vari scac- chieri politici. Era la “l i n e a D o n o v a n”. Per esempio gli uomini della Brigata “L i n- c o l n” della guerra di Spa- gna, tutti comunisti, da Irwin Goff a Milton Wo l ff , insegnarono strategie opera- tive a quadri italiani nella base di Bagnoli di Napoli. Lì funzionava il “Commu- nist Desk”, il cosiddetto ta- volo comunista. Il caso più clamoroso è quello del par- tigiano comunista italiano Sandro Beltramini, “co- mandante Como” della Missione “Violetta”, invia- to al Nord per infiltrarsi fra le bande garibaldine. Beltra- mini riuscì il 28 gennaio 1944 a “liberare” Campione d’Italia dai repubblichini e a trasformarla in base alleata per la Resistenza italiana. Così accadde per Lada-Mo- carski: seppe di “N e r i”, au- torevole, colto, credibile, aperto e lo contattò. È vero o no che gli Alleati contri- buirono alla liberazione d’I- talia? Non è il caso di mena- re scandalo. Il libro si chiude con una “sorpresa”. Eccome. L’agente “4 4 1” , una volta rientrato in patria e diventato vice presidente della J. Schoeder Banking Corporation, venne invitato da “Atlantic Monthly” nel dicembre 1945 a ricostruire la fine di Mussolini. Ebbene da perfetto agente segreto “si dimenticò” della verità che aveva scritto qualche mese prima, appiattendosi per opportunità sulla ver- sione corrente. A uccidere il duce fu “il colonnello Vale- r i o”, da solo, con una sven- tagliata di mitra! Il vendica- tore solitario!

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e m e rge è chiaro e serve perchiudere in modo definitivoquesta tragica storia.Come avvenne l’esecuzio-ne del duce e della Petacci?Per cominciare: il mito del“colonnello Valerio”, giusti-ziere solitario, esce infranto.Davanti al cancello del villi-no Belmonte a Giulino diMezzegra alle 16,10 di quel28 aprile 1945 erano presen-ti cinque persone. Il “c o l o n-nello Va l e r i o” (Walter A u-disio), “G u i d o” (Aldo Lam-predi), “P i e t r o” (MicheleMoretti, commissario politi-co del Distaccamento “P u e-c h e r” della 52°), “Neri”(Luigi Canali) e “L i n o”(Giuseppe Frangi), partigia-no vicino a “N e r i”, a suavolta ucciso in circostanzeoscure il 4 maggio a Dongo.Mussolini, prelevato con laPetacci a casa De Maria, al-le 16 è fatto avvicinare almuretto d’ingresso del villi-no Belmonte con l’amantein lacrime. “Va l e r i o” è allasinistra del duce, in posizio-ne frontale. “P i e t r o” è sulladestra. “G u i d o” è alle lorospalle. “Neri” e “Lino” sonopoco distanti a controllare lastrada. “Va l e r i o” esplodedue colpi con una pistola aMussolini raggiungendoloalla schiena. Ciò fu dovutoal fatto che Mussolini stavamuovendosi come per ripa-rarsi dal mitra di A u d i s i oche invece fa cilecca. L’ a r-ma non spara perché è nuo-va di zecca, piena di grassoe non è mai stata usata pri-ma. A “Valerio” la consegnò

a Milano Alberto Mario Ca-vallotti, “A l b e r o”, commis-sario delle brigate dell’Ol-trepo, che l’aveva ricevutada un lancio alleato. Altri trecolpi partono dal mitra Mas7,65 di “P i e t r o” che rag-giungono il duce al torace.Poi cade la Petacci ma Lada-Mocarski non ne fa cennoforse per pietà. Ed ecco l’al-tra grande novità: il ducenon è morto. Scrive l’agente“4 4 1”: “L’occhio di Mus-solini ruotava guardando ilc i e l o”. Allora, invitato da“P i e t r o”, si avvicina “N e r i”che dà i due colpi di grazia.Esattamente quello che io eG i o rgio Cavalleri avevamosaputo dalla madre di“N e r i”, Maddalena Zanoni,trent’anni fa, e che non rit e-nemmo mai di rendere pub-blico in assenza di riscontrioggettivi che oggi ci sono.C’è dell’altro ?Si. Interessante quanto “N e-ri”, definito da Lada-Mocar-ski “the captain of localp a r t i s a n s”, dice a propositodella Petacci. “L i n o” gliaveva confidato di aver sen-tito la donna, rivolta al duce,sussurrare: “Sei soddisfattoche ti abbia seguito fino aquesto tragico momento?” ,una frase di tragica e ironicaamarezza o d’amore infini-to. A quel punto “Va l e r i o”con “G u i d o” e “P i e t r o” sitrasferirono a Dongo a fuci-lare i ministri per poi portar-li a Milano. Gli Alleati avre b b e ro volu-to pre n d e re Mussolini vivo.P e rché? Ci sono accenni?

La verità dei servizisegreti americani sulla fucilazione di Mussolini

Era previsto dalla clausolan. 29 del “L u n g oa r m i s t i z i o” del 29 settem-bre 1943 firmato a Malta daEisenhower e Badoglio. Ilduce doveva essere conse-gnato alle Nazioni Unitecioè ai sedici rappresentantidei Paesi vincitori dellaguerra per un processo pub-blico. Certo che, vivo, il du-ce in mano alleata avrebbepotuto essere utilizzato inmille modi. Tutte le “m i s-s i o n i” Oss partite da Firen-ze e da Lugano comunquefallirono il bersaglio. Il me-rito d’aver stretto i tempi èdi Luigi Longo, il “v i c e” diCadorna, che inviò A u d i s i oe Lampredi.Nel libro è contenuto an-che un rapporto dell’Uff i-cio X2, il contro s p i o n a g g i oUsa, sull’ “ o ro di Dongo”.Secondo l’Oss la somma,fra valuta e oggetti preziosi,sarebbe stata di un miliardodi lire dell’epoca. Per la 52a

brigata il valore sarebbe sta-to di pochi milioni. Certoche molti beni andarono di-spersi. Gli stessi ministri sierano preoccupati di conse-gnare i loro bagagli ai citta-dini rivieraschi con l’accor-do che, a guerra finita, sa-rebbero tornati a prendere iloro averi. C’è un argomento politi-camente molto intere s s a n-te: la collaborazione del“capitano Neri”, un pre-stigioso partigiano comu-nista e l’agente Oss Va l e-rian Lada-Mocarski. Suche basi maturò?Il tema dei rapporti fra A l-leati e Resistenza è poco no-to o volutamente ignorato. Irapporti ci furono, erano or-ganici e conosciuti dai mas-simi dirigenti del Pci e delPsi che utilizzarono i ponti-radio Alleati del Sud per co-municare con il Nord occu-pato, autorizzando da parteloro alcuni elementi a colla-borare. Le recenti ricerche

del professor Giorgio Pe-tracchi dell’Università di Fi-renze negli archivi america-ni mostrano come gli A l l e a-ti utilizzassero uomini dellediverse estrazioni politicheper manovrare sui vari scac-chieri politici. Era la “l i n e aD o n o v a n”. Per esempio gliuomini della Brigata “L i n-c o l n” della guerra di Spa-gna, tutti comunisti, daIrwin Goff a Milton Wo l ff ,insegnarono strategie opera-tive a quadri italiani nellabase di Bagnoli di Napoli.Lì funzionava il “C o m m u-nist Desk”, il cosiddetto ta-volo comunista. Il caso piùclamoroso è quello del par-tigiano comunista italianoSandro Beltramini, “c o-mandante Como” dellaMissione “Vi o l e t t a”, invia-to al Nord per infiltrarsi frale bande garibaldine. Beltra-mini riuscì il 28 gennaio1944 a “liberare” Campioned’Italia dai repubblichini e atrasformarla in base alleataper la Resistenza italiana.Così accadde per Lada-Mo-carski: seppe di “N e r i”, au-torevole, colto, credibile,aperto e lo contattò. È veroo no che gli Alleati contri-buirono alla liberazione d’I-talia? Non è il caso di mena-re scandalo. Il libro si chiude con una“ s o r p resa”. Eccome. L’agente “4 4 1” ,una volta rientrato in patriae diventato vice presidentedella J. Schoeder BankingCorporation, venne invitatoda “Atlantic Monthly” neldicembre 1945 a ricostruirela fine di Mussolini. Ebbeneda perfetto agente segreto“si dimenticò” della veritàche aveva scritto qualchemese prima, appiattendosiper opportunità sulla ver-sione corrente. A uccidere ilduce fu “il colonnello Vale-r i o”, da solo, con una sven-tagliata di mitra! Il vendica-tore solitario!

A pochi mesi di distanzadal suo compagno di sof-ferenza Giovanni A r a l d i ,anche lui deportato a Dora,si è spento il 2 agostoAttilio Zampieri della se-zione Aned di Verona. Natonel 1924 nella città scali-gera, arruolato nell’ago-sto 1943 nel genio alpini,dopo l’armistizio era statocatturato dai tedeschi aUdine. Assieme ai com-militoni fu spedito in car-ro bestiame verso il cam-

po di concentramento di Sudauen e in seguito venne“prescelto” con altri 99 compagni per essere trasferitonel lager di Dora dove i tedeschi costruivano le V-2; permolti mesi con turni di lavoro massacranti e con un vit-to scarsissimo dovette svolgere lavori come minatore,muratore, falegname e pittore senza quasi mai usciredalle gallerie in cui si costruivano le nuove armi.Dopo immani sofferenze e avendo dovuto aff r o n t a r e ,come scrisse in un breve ricordo redatto nel 2000, “in-giustizie, crudeltà, impiccagioni, bastonate delle guar-die”, nel marzo 1945, quando il campo di Dora stavaper essere liberato dalle truppe sovietiche, Zampierivenne trasferito nel lager di Bergen Belsen dove le suepene ebbero fine il 14 aprile 1945 con l’arrivo delletruppe inglesi. Alla sezione Aned di Verona ha dato il suofattivo contributo e partecipava sempre alle manifesta-zioni indossando con orgoglio il fazzoletto dei deportatiitaliani, simbolo delle sue grandi sofferenze per il ri-scatto del paese.

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GIUSEPPE GREGORIG R E G O R I O

iscritto alla sezione di Schio,fu deportato nel campo diDachau con matricola n.11 7 3 9 5 .

A N I TA M A R I A N Iiscritta alla sezione diMilano, fu deportata nelcampo di concentramentodi Bergen Belsen.

I NOSTRI LUTTI

G i o v a n n iAraldi eA t t i l i oZ a m p i e r ifotografati al congre s s oAned a Trieste nel 2004.

Si è spento a Verona a 84 anni Milo Navasa iscritto al-la sezione Aned della città scaligera. Era stato arresta-to nel dicembre 1944 con il padre Augusto per una de-lazione sulle loro attività di militanti antifascisti.Imprigionato dapprima nel carcere repubblichino pres-so il Teatro Romano venne trasferito in seguito al palazzoIna di corso Porta Nuova, sede del comando nazista inItalia. Nel carcere tedesco Navasa fu sottoposto a cruen-ti interrogatori che sopportò stoicamente senza rivela-re i nomi dei compagni di lotta. Verso la fine del gen-naio 1945 venne inviato nel campo di transito di Bolzanodove fu detenuto fino alla liberazione mentre il padrefu spedito nel lager di Mauthausen e morì il 12 marzo1945 nel sottocampo di Gusen.Milo Navasa riuscì a tornare a Verona provato nel fisi-co e nello spirito ma trovò nella passione per la montagnaun rifugio alle immani sofferenze di quei mesi di prigioniae alla perdita del padre. È stato un grande rocciatore eun maestro di arrampicata per generazioni di veronesi.Divenne accademico del Club Alpino Italiano e del fran-cese Ghm. Innumerevoli sono state le imprese di Navasaassieme a altri compagni di cordata. Ricordiamo fra letante “prime” (in quella occasione fu con lui Claudio DalBosco) il superamento dello spallone della parete estdel Sassolungo, 800 metri di arrampicata per tre gior-ni in condizioni climatiche proibitive: un’impresa maipiù ripetuta. Per l’ultimo saluto a Milo Navasa eranopresenti i suoi compagni alpinisti e i deportati verone-si e sulla bara sono stati deposti il casco e le corde usa-ti nelle sue ascensioni e il fazzoletto dell’Aned a ri-cordo di quei tragici giorni nell’ultimo scorcio dellaguerra mondiale.

La scomparsa di Milo Navasa maestro di arrampicata.Matricola 8718 di Bolzano

In ricordo di Attilio Z a m p i e r i ,Matricola 0203 del lager di Dora

PIETRO PRADETTOB O N V E C C H I O

iscritto alla sezione di To-rino, deportato a Dachau conmatricola n. 69786, infati-cabile collaboratore della se-z i o n e .

E M M A T U Liscritta alla sezione di Tr i e s t e ,fu deportata nel campo diAuschwitz con matricola

n.82132. Fu trasferita aH i r t e m b e rg e poi aMauthausen dove venne im-matricolata con il n. 421.

CARMINE V E N E Z I Aiscritto alla sezione diGenova, fu deportato nelcampo di Flossenbürg conmatricola n. 43823.

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Il Comitato internazionale didi Giovanna Massariello e Rita Innocenti

Nei giorni 15-20 maggio 2009, ha avuto luogo all’Aja la riunione annuale del Cir che ha riunito le delegatedi 15 paesi: Francia, Spagna, Belgio, Paesi Bassi,Norvegia, Repubblica federale tedesca, Repubblicaslovacca, Repubblica ceca, Slovenia, Bielorussia,Ucraina, Austria, Norvegia, Polonia e Italia( r a p p resentata da Giovanna Massariello e RitaInnocenti della Fondazione Memoria dellaD e p o rtazione, in sostituzione di Bianca Paganini Mori.Ambra Laurenzi, figlia e nipote delle deportate Mire l l aStanzione e Nina Tantini che negli ultimi tre anni hap a rtecipato in luogo di Bianca, non ha infatti potutop a rt e c i p a re a causa di un infort u n i o ) .La presidenza delle sedute è stata affidata alla delegataitaliana Giovanna Massariello.Aspetti commemorativi,contatti con le istituzioni os-pitanti, resoconti org a n i z z a-tivi e soprattutto informatividelle attività svolte nei di-versi paesi rappresentano lecostanti dell’incontro, in cuitemi principali restano la vi-gilanza sulla conservazionedel complesso del Lager intutte le sue parti e la sceltadelle politiche più idonee arenderlo visitabile e com-prensibile alle future genera-zioni. A tale proposito è sta-ta presentata da GiovannaMassariello la relazione del-le attività svolte in Italia dal-l’Aned e dalla FondazioneMemoria della Deportazio-ne, insieme alla segnalazio-ne delle opere più importan-ti uscite in Italia relative alladeportazione. Come è noto, le più impor-

tanti trasformazioni del luo-go si ebbero dopo la libera-zione (30 aprile 1945) conl’insediamento delle truppesovietiche nelle baracchestesse dei deportati che ven-nero demolite al momentodel ritiro dei militari (1994).All’occupazione post-belli-ca si devono costruzioni incemento con funzione di ri-covero dei camion proprionell’area del Ve r n i c h t u n g-s l a g e r di Uckermark, pro-paggine al fondo del campo,non ancora integrato al com-plesso monumentale del La-g e r, perché l’area non appar-tiene alla fondazione diB r a n d e b u rgo. Soltanto gliappassionati lavori di scavoe di allestimento con cartelliesplicativi, avvenuti ad ope-ra di giovani donne, di asso-ciazioni femministe e lesbi-

che tedesche hanno consen-tito negli ultimi anni di inco-minciare ad orientarsi nellospazio sterminato e vuotodell’antico J u g e n d l a g e r

(“Lager della gioventù”),originariamente sorto comecampo di punizione dellegiovani tedesche cosiddettea s o c i a l i .

Il ricordo delle deportategià presenti nel CilSono state commemorate al-l’apertura dei lavori le depor-tate già presenti nel C i r escomparse recentemente:Christina Usarek (Polonia) eYvonne Useldinger (Lussem-b u rgo), importanti figure didonne attive nell’antifasci-smo nei rispettivi Paesi. Unacerimonia celebrativa si èsvolta anche nella località diWaalsdorp, luogo nascostonella brughiera nei dintorni diScheveningen, in cui furono

trucidati 263 resistenti olan-desi e ove il 4 maggio si svol-ge una solenne commemora-zione. Ad essa ha partecipatoanche l’ambasciatore d’Italiain Olanda, dr. Franco Giorda-no, esprimendo parole diprofonda condivisione e sot-tolineando l’importanza del-la memoria; era viva in lui laprofonda impressione rice-vuta dalla visita compiuta aTrieste, alla Risiera di SanS a b b a .

La riunione all’Ajaalla presenza delle delegate di 15 paesi

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di Ravensbrück e la memoria

L’ o rganizzazione museografica e l’assetto del campo Dalla relazione della diret-trice del Museo, dr. InsaEschebach, si è avuto il qua-dro delle attività culturaliche si svolgono lungo l’inte-ro arco dell’anno all’internodel campo: tra gli eventiprincipali il Seminario esti-vo (E u ropäische Somme-runiversität Raven-s b r ü c k) dedicato quest’an-no al tema: Sotto l’occupa-zione tedesca: politiche dig e n e re e razzismo duran-te la II guerra mondiale:Polonia, Francia e Italia.Al centro della relazione, edella successiva discussio-ne, sono stati i lavori di re-cupero delle strutture anco-

ra esistenti nel campo, peresempio il consolidamentodella costruzione del crema-torio, con restituzione del-l’altezza originaria del ca-mino (l’instabilità dellastruttura era legata all’in-cendio subito nel 1945), ilrestauro del cosiddetto Mu-ro delle Nazioni che circon-da il Lager e soprattutto l’al-lestimento secondo nuoveprospettive espositive delMuseo sito nell’anticaKommandantur (DirezioneSS del campo). La relazionein merito è stata affidata allad r. Schikorra assistentepresso il Museo di Raven-s b r ü c k .

Il percorso concettuale nelMuseo dovrà rendere contoal visitatore delle vicendestoriche del Lager, dal mo-mento della costruzione si-no alla liberazione, ricercan-do l’equilibrio tra la narra-zione delle vicende interna-zionali, il succedersi dell’af-fluire delle deportate dai di-versi paesi europei occupatidai nazisti e il disegno diprofili individuali, all’inter-no di ciascuna nazione, cherestituisca alla memoria fi-gure di donne particolar-mente rappresentative. L’esposizione futura illu-strerà gli esperimenti medi-ci, le pratiche di sterilizza-zione, il tema della morte, ilCrematorio, le selezioni, iltrasporto, la cosiddetta ten-da nera in cui furono stipateal culmine del sovraff o l l a-

mento del campo soprattut-to zingare e ungheresi (ne èstata testimone Rosa Canto-ni, recentemente scompar-sa), la camera a gas, la mar-cia della morte, la liberazio-ne ad opera dell’ArmataRossa, i tribunali e i proces-si agli aguzzini. Ma avrannoanche spazio i racconti dellavita dopo la liberazione, leconseguenze della deporta-zione sulle deportate e letracce del ricordo delle sof-ferenze della prima genera-zione sulla seconda e addi-rittura sulla terza. La possi-bilità di installazione diplacche commemorative de-dicate anche a singole per-sone, non più soltanto a na-zioni, nei luoghi esterni alMuseo, probabilmente neipressi del Muro delle Nazio-ni, conferma la volontà del

Nella pagina a fianco le sopravvissute diRavensbrück insieme allaP residente della Camera dei deputati olandese, Gerdi Ve r b e e t .Qui a lato: lacerimonia commemorativaal Memoriale di Wa a l s d o r pdove furono trucidati 263resistenti olandesi; a sinistral ’ A m b a s c i a t o re d’Italia inOlanda, Dr. FrancoGiordano, la direttrice delmuseo di Ravensbrück, Dr.Insa Eschebach, e GiovannaMassariello, figlia di MariaArata, deportata aRavensbrück nel 1944.

Sono state inoltrep a rticolarmente preziose levisite guidate a quelle part idel campo che solitamente èd i fficile visitare: inp a rt i c o l a re lo Jugendlager d iUckermark. Ecco quiaccanto un’immagine delleragazze in questo campo,distante due kilometri daquello principale:

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recupero della storia di figu-re femminile nel loro profi-lo peculiare.Nell’ultima sezione musea-le si renderà conto delle pra-tiche della memoria e delleforme da esse assunte in Eu-ropa, presso le diverse org a-nizzazioni. Il percorso mu-seale, come ha sottolineatola direttrice, non potrà ter-minare che con l’esposizio-ne del libro dei morti, a pe-renne memoria e monito.La delegata polacca ha sug-gerito come nucleo tematicoforte il tema della “ fame”,ben noto alle deportate ditutti i paesi.Moderati consensi ha inve-ce riscosso il progetto di unnuovo parcheggio da realiz-zarsi in prossimità dell’O-stello della gioventù.Infine, il dibattito si è spo-stato sulla reiterata richiestadi poter inserire nello spaziovuoto in cui sorgevano lebaracche, le baracche rinve-nute al di fuori dello spaziodel campo: in una di esse èstato riconosciuto il Kanada,cioè il luogo in cui venivanoaccumulati tutti gli oggettipersonali delle deportatefrutto della spoliazione al-l’ingresso nel Lager. È statoosservato che l’utilità di unallestimento della “vita quo-tidiana” nel campo potrebbeparlare in modo efficace al-le nuove generazioni: in me-rito resta aperto il dibattito,a fronte della proposta diuna rappresentazione “vir-tuale” e “smaterializzata”,tramite le moderne tecnolo-gie audiovisive, e non ne-cessariamente attraverso og-getti materiali.La storia delle donne tede-

sche e della loro lotta controil nazifascismo è stata ri-chiamata, nella sua specifi-cità, tenuto conto anche del-la modalità dei loro arrivi aRavensbrück, avvenuti inmodo individuale, non attra-verso trasporti collettivi, co-me accadde per le altre de-p o r t a t e .

Incontri istituzionali: anche una seduta alla Camera La calda accoglienza delleo rganizzatrici olandesi, GretRoodveldt van Kampen eJoke van Dyk, appartenentialla seconda generazione, èstata resa possibile dalle piùalte istituzioni governativeche hanno finanziato gene-rosamente l’evento.L’incontro con i parlamen-tari olandesi è avvenuto inmodo assolutamente cordia-le e il livello della vita de-mocratica del paese è statotestimoniato dall’invito ri-volto al Cir ad assistere aduna seduta parlamentare al-la Camera dei deputati, pre-ceduto da un incontro con lapresidente stessa del Parla-mento, Gerdi Verbeet. Nonpoteva mancare anche l’ac-coglienza al Tribunale del-l’Aja e alle sale che hannoaccolto i processi relativi aicrimini commessi nellaguerra dell’ex-Jugoslavia.Altrettanto colloquiale l’in-contro nella sede dell’amba-sciata tedesca all’Aja conl’ambasciatore, dr. T h o m a sM. Läufer. Il prossimo incontro si terràper il 65° anniversario dellaliberazione in Germania, aridosso dei festeggiamentinel campo stesso.

La Manh-und Gedenkstätte Ravensbrück insieme ada l t re prestigiose istituzioni tra cui la FondazioneHeinrich Boll ha organizzato una università d’estatesul tema “Sotto l’occupazione tedesca. Politica dig e n e re e razzismo durante la seconda guerra mondiale- Polonia, Francia, Italia”, a cui hanno partecipato uncentinaio di persone tra studiosi e pubblico.

Un seminariointernazionaletenuto aRavensbrück

di Alessandra Chiappano

L’intento del semina-rio era quello di ra-gionare sulle diverse

forme assunte dalla politi-ca di occupazione nazistae di analizzare come que-ste abbiano influito nellavita quotidiana delle don-n e .Uno degli aspetti più inte-ressanti dei lavori che han-no avuto un ritmo molto so-stenuto è stato quello diadottare un’ottica di com-parazione: è indubbio chele politiche di occupazio-ne, così come le deporta-zioni nei KL hanno assun-to dimensioni alquanto dif-ferenti ad esempio se si pre-sendono in considerazionepaesi come la Polonia el’Italia, mentre si trovanonumerosi punti in comunetra l’esperienza delle don-ne francesi e quella delledonne italiane.

La giornata dedicata al-l’Italia è stata apertada Brunello Mantelli

che ha tenuto una ampia le-

zione introduttiva sulle po-litiche di occupazione postein essere in Italia dopo l’8settembre, mentre chi scri-ve ha tenuto una lezione sul-la vita quotidiana, letta at-traverso una prospettiva digenere, durante l’occupa-z i o n e .

Alle puntuali rifles-sioni dei discussant,Michael Wederkind e

Sara Galli, sono seguiti nelpomeriggio quattro work-shop tenuti rispettivamen-te dai relatori e dai discus-sant durante i quali BrunelloMantelli ha incentrato i la-vori su “Occupazione, col-laborazionismo e Resistenzanella memoria collettiva enell’attuale memoria pub-blica in Italia”, mentre SaraGalli e Alessandra Chiap-pano hanno toccato i temidelle deportazioni dall’Ita-lia, della dimensione dellaResistenza femminile e in-fine del campo di Raven-sbrück visto con gli occhidelle deportate ital i a n e .

La vita delle d

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Durante i seminari loscambio, soprattuttocon le studiose del

caso francese, PaulaSchwartz e Sara Fishmansono stati molto intensi ehanno creato un vivace di-battito all’interno dei grup-pi di lavoro.Sono stata anche assai con-tenta di constatare che laGedenkstätte Ravensbrückha iniziato una serie di la-vori volti a rendere più com-prensibile ai visitatori, sem-pre più numerosi ed inter-nazionali, questo luogo dimemoria. È stato infatti co-struito un centro per i visi-tatori molto funzionale perl’accoglienza dei gruppi, do-ve c’è anche una piccola li-breria a dire il vero non mol-to fornita.Inoltre sono statisistemati numerosi totem al-l’interno del percorso di vi-sita con scritte in tedesco edin inglese e il memoriale hain programma di aprire unamostra sulla guarnigione del-le SS che aprirà il prossimogennaio e un gigantesco pia-no di rifacimento della mo-stra sul campo che verràinaugurata nel 2012.Sono state inoltre partico-larmente preziose le visiteguidate a quelle parti delcampo che solitamente è dif-ficile visitare: in particola-re lo Jugendlager di Ucker-mark, utilizzato nell’ultimafase come campo di stermi-nio per le donne che non era-no più in grado di essere uti-lizzate come forza lavorodalle SS. Esso dista circa 2

km dal campo principale, ilcampo originale è stato com-pletamente distrutto, gli edi-fici che si possono vedererisalgono al periodo del-l’occupazione sovietica.Tuttavia in anni molto re-centi sono stati effettuati de-gli scavi che hanno permessodi portare alla luce le fon-damenta delle baracche do-ve erano rinchiuse le pri-g i o n i e r e .

Altrettanto illuminan-te per me è stato po-ter visitare la zona

del cosiddetto campoSiemens. Anche in questocaso del campo originario,costruito dalla Siemens nelcorso del 1944, non restanulla e tra l’altro la zona nonè aperta ai visitatori, se nona piccoli gruppi e con la gui-da degli operatori dellaGedenkstätte, perché l’in-tera zona è stata occupatamilitarmente dai sovieticied è insicura perché il ter-reno è contaminato. Tu t t a v i acapire da un punto di vistaspaziale dove si trovava que-sta zona del campo di cuiparlano tante deportate ita-liane è stato molto utile, an-che perché dal campoSiemens come dal luogo do-ve fu eretta la famosa “ten-da” nel 1944, si può com-prendere la reale estensionedel campo.

P e r quanto riguarda i te-mi toccati dal mio inter-vento, si dà conto nelle pa-gine seguenti.

d on ne nell’E uropa occupata

Immagini di quotidianas o ff e renza: le deportate in colonna raggiungono il campo di lavoro. S t remate, a sera,ritorneranno nelle baracche gelide.

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L’aiuto ai soldati, le staffette parti le cause dell’aiuto spontaneo alla

Durante il primo intervento sulla vita quotidiana delle donnedurante l’occupazione nazista, ho focalizzato l’attenzione suquattro tipi di comportamenti assunti dalle donne italianedurante i tragici anni dell’occupazione nazista.In primo luogo dell’aiuto che le donne, anche quelle che nonerano in alcun modo legate a partiti od org a n i z z a z i o n ipolitiche antifasciste hanno dato ai giovani soldati chefacevano ritorno a casa nei giorni convulsi che hanno fattoseguito alla proclamazione dell’armistizio. Si è trattato di uncomportamento molto diffuso: quello che è stato definitodalla storica Anna Bravo “un maternage di massa”. Di questoaiuto spontaneo, e non privo di una connotazione anchepolitica, che ha segnato l’inizio di una più consapevoleribellione delle donne nei confronti del fascismo, si sonoconservate infinite testimonianze. Ad esempio Chiara Serdiha detto parlando di sua madre:

Quando abbiamo saputo che i militari erano tutti scappatidalle caserme, e cercavano disperatamente rifugio pertornare a casa, che nessuno aveva voglia di combattere, perònon potevano pre n d e re il treno vestiti da militare… alloramia mamma aveva chiesto là nella casa di tutti quelli cheavevano dei vestiti vecchi, poi aveva chiesto alle suore di viaAssetta, che raccoglievano sempre vestiti da dare ai poverieccetera, e aveva fatto una bella scorta di vestiti in cantina.E le voci corrono sa e allora venivano sempre ‘sti ragazzi:«Signora sono così non ha qualcosa da mettermi?» A l l o r a«venga con me», ah la mia mamma era tremenda, aveva unospirito di iniziativa […] e allora li portava in cantina, livestiva, poi li accompagnava alla stazione, li baciava, liabbracciava, così e cosà, mio parente, e li metteva sui carr ibestiame, perché allora non c’era altro1…

Con il progredire dell’occupazione e le sempre più evidentid i fficoltà a cui le donne andavano incontro per nutrire,vestire e riscaldare le loro famiglie, le donne iniziarono aribellarsi in un modo più sistematico e concreto, anche se èindubbio che esse si sono avvicinate alla Resistenzasoprattutto grazie ai componenti maschi delle loro famiglie.Le donne sono state utilizzate soprattutto in ruoli pereccellenza femminili e soprattutto come portaordini: las t a ffetta con la bicicletta è diventata una delle icone dellaResistenza al femminile. Le donne che hanno combattuto inprima linea sono state poco numerose perché nelle brigatepartigiane si guardava con un certo sospetto a queste donneche uscivano di casa per andare a vivere con i maschi sullemontagne: era preferibile che le donne lavorassero nelle filadella Resistenza da casa: cucendo, procurando medicinali ecibo, dovevano insomma essere utilizzate in ruoli“femminili”. Tuttavia vale la pena di ricordare che ci sonostate anche molte donne che hanno condiviso con i lorocompagni la vita della banda in montagna e fra queste mipiace ricordare Anna Cherchi, che riuscì da sola a tenere testa

ai nazifascisti venuti per arrestarli e che permise a tutta labanda di porsi in salvo; lei fu invece catturata e deportata aRavensbrück nel giugno del 1944:Nei primi tempi avevamo il compito di aiutare gli sbandaticon ogni mezzo a nostra disposizione, affinché non fosserofatti prigionieri, mettendoli poi a contatto con le primeformazioni partigiane, e nel contempo aiutandoli anche as o p r a v v i v e re. Erano tempi duri, viveri e mezziscarseggiavano, ma la volontà di avere un’Italia libera cis p ronava a duri sacrifici sfruttando anche l’impossibile purdi arr i v a re presto alla vittoria finale. Fu così che entrammonel duro della nostra lotta. Da casa svolsi il mio lavoro conorgoglio e coraggio fino al 7 gennaio, giorno in cui vennero itedeschi accompagnati dai fascisti del paese e bru c i a rono lanostra casa dichiarandola ro c c a f o rte dei ribeli. Riuscendo as f u g g i rgli, da quel giorno iniziò anche per me la lottaarmata, accanto a mio fratello Giuseppe e ai suoi compagni.Questo durò fino al 19 marzo 1944 giorno in cui in unr a s t rellamento fui arrestata dai tedeschi, riuscendo con unostratagemma a far sì che tutto il comando, compreso mifratello potesse mettersi in salvo2

Il terzo caso riguarda le donne ebree che stremate da anni dipersecuzione si trovarono ad affrontare il pericolo delledeportazioni, quando le “azioni” contro gli ebrei davveroquotidiane. In generale furono molto pochi gli ebrei checompresero il reale pericolo degli arresti, tuttavia le donnedovettero sopportare il peso delle fughe spesso con figlipiccoli o genitori anziani. Per le madri era difficile far capireai bambini perché bisognava nascondersi o cambiare nome eLiliana Treves Alcalay ricorda le parole di sua madre chevoleva impedirle di andare a giocare con i figli del fattoreche aveva accettato di nasconderli in attesa di passare inSvizzera:

Voglio andare a giocare – dicevo alla mamma – Ci sono deibambini fuori. Perché non mi fai scendere? La mamma cercòdi spiegarmi che era rischioso per tutti, che ci stavanoc e rcando, di avere pazienza. Parlava tenendomi il visodelicatamente tra le mani e mi guardava coi suoi occhia z z u rri bellissimi. Voleva farmi capire, con lo sguardo e conle parole, quanto le costasse negarmi un po’ di libert à(Liliana Treves A l c a l a y, Con occhi di bambina 1941-1945,Giuntina, Firenze 1994, p. 44). La situazione era molto difficile anche per le mamme chea rrestate venivano dapprima rinchiuse con tutta la lorofamiglia nei campi di transito, Fossoli o la Risiera in attesadi partire per ignota destinazione, tuttavia Primo Levi in unamemorabile pagina di Se questo è un uomo ricorda cont e n e rezza le donne che la sera prima di part i re preparano ibambini per il lungo viaggio, inconsapevoli del fatto che sis a rebbe trattato di un viaggio di morte. Il viaggio erat e rribile soprattutto per i bambini: Settimia Spizzichino,

Ravensbrück

Un intervento di AlessandraChiappano

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giane, le ebree stremate dalla persecuzione, le deportazioni: a lotta che ha segnato l’inizio di una più consapevole ribellione

l’unica donna sopravvissuta alla razzia del 16 ottobre 1943r i c o rda con sofferenza la sua nipotina di 18 mesi chepiangeva disperata nel vagone bestiame:

D. E la bambina?R. È stata strana per tutto il viaggio piangeva sempre.D. Quanto tempo aveva?R. Aveva 18 mesi, non sapevamo come tenerla, la mettevamovicino all’aria. D. Ma alla bambina hanno dato qualcosa da mangiare?R. Niente.

Naturalmente la mamma e la bambina andarono in gasappena giunte a Birkenau perché le donne giovani cheportavano i loro bambini in collo erano immediatamentecondannate alla camera a gas come ricordano tutte ledottoresse-prigioniere, tra cui Luciana Nissim.

So che i vecchi e i bambini che arrivano qui sonocondannati, e che la mamma che ha un bambino in braccio,fosse pure la più bella, la più sana, la più forte delle donne,andrà inesorabilmente in gas col suo bimbo! (Luciana NissimMomigliano, Ricordi della casa dei morti e altri scritti,Giuntina, Firenze 2008, p. 58).

L’ultimo caso che ho presentato riguarda le deportazioni dallafrontiera orientale. Come hanno ampiamente dimostrato glistudi di Marco Coslovich, che trovano conferma anche ne I ll i b ro dei deport a t i, il numero di persone inviate nei KL d aquesta zona è stato particolarmente alto. In particolaremoltissime donne arrestate per la loro reale o presunta attivitàdi collaborazione con la Resistenza sono state deportate adAuschwitz-Birkenau, anziché a Ravensbrück come di solito

avveniva nel caso delle donne arrestate per motivi politici. Leloro testimonianze raccolte per merito dell’Istituto dellaResistenza di Trieste sono assai significative perchépermettono di gettare una luce sia sulla difficile situazionedella frontiera orientale, sottoposta ad un regime dioccupazione particolarmente brutale, sotto il diretto controlloamministrativo del Reich. Inoltre è assai interessante poterguardare Auschwitz con gli occhi delle deportate politiche: leparole che usano per descrivere quell’inferno sono del tuttoidentiche a quelle utilizzate dalle loro compagne ebree:

D. La me racconti el suo arrivo ad Auschwitz come xe stado.Che ora iera del giorno, la me racconti come che xe avvenutoe cossa che la se ricorda.R. Mi go tutto davanti proprio, dopo quattro giorni deviaggio, sempre nei vagoni bestiame chiusi, verso le tre emezza, quattro, iera ancora scuro, semo rivadi a A u s c h w i t z .La stazion la iera fin dentro nel campo, se rivava con iconvogli fino a dentro. Come che semo rivadi – una cosa chea mi me xe restada in mente – noi ierimo scortadi daitedeschi però iera anche i nostri carabinieri che ne ga portadofino a là. Già iera el clima brutto, nebbia… La nebbia bassa,quell’odor nauseante…Semo rivadi là, subito verti i portoni e “raus” zo el treno elassar tutto lì: le valigie che ne gaveva portado i familiardurante la strada, perché neanche loro saveva che partivimo. Ine ga portà a Udine un poco de roba de vestir. Lassar tutto lìe subito giù. (Bianca Torre, intervista di Marco Coslovich del6 marzo 1992, p. 14)”.

Anche dai racconti delle donne triestine “politiche” deportatead Auschwitz troviamo molti accenni alle umiliazioni, agliattacchi perpetrati contro la loro identità femminile:

Non i te dà da magnar el primo giorno. I ne ga messo in unaspecie de quarantena. Non i ne ga dà de magnar quel giorno.Noi quando che se gavemo visto dopo lavade, dopo vestide,tutte lustre de quel che gavevimo addosso, chi che gaveval ’ o ro… Mi non gavevo niente. Senza cavei. Mia mammagaveva el chignon e la iera tutta taiada, poveretta. Non i negaveva taiade proprio a zero, corti corti e basta. In tempo demezza giornata noi ierimo trasformade. Co’ se guard a v a m oqualcheduna piangeva e qualcheduna rideva. Seg u a rdavamo…. un’impression de smarrimento. E dopo tuttezitte, nessuna fiatava. Per due giorni non gavemo magnà (IdaCandotto, intervista di Marco Coslovich, p. 30).

1 Intervista di Chiara Serdi, a cura di Anna Gasco, p. 90. Traggo la citazione daAnna Bravo-Anna Maria Buzzone, op. cit., p. 80. 2 Anna Cherchi, La parola libertà. Ricordando Ravensbrück, a cura di LucioMonaco, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2004, pp. 7-8.

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La vergogna spagnola dSta per compiersi il mezzo secolo dall’inaugurazione del -l ’ o rribile monumento conosciuto come la Valle dei Cadu -ti. Era il 1940 quando a Franco venne l’idea di emulareFelipe II e costru i re questo mostro d’estetica fascista chedoveva serv i re per dare sepoltura a lui stesso, a Primo deRivera e a quanti allora erano chiamati Caduti per Dio eper la patria. Diciannove anni dopo, nel 1959, l’opera era terminata.L’enorme lavoro giunse a compimento grazie allo sforzodi migliaia di prigionieri politici, rojos, incarcerati chescontavano la pena rompendo pietre in quello che era co -nosciuto come il campo diconcentramento di Cuelga -muros. Si calcola che furonoventimila gli uomini obbli -gati a costru i re il mausoleo,uomini che vivevano am -massati e mezzo congelati inbaracche, lavoravano diecio re al giorno, mangiavanoun tozzo di pane e una scato -la di sardine o un piatto dilenticchie (salvo la domeni -ca quando il cibo era cotto)e guadagnavano due pesetasil giorno, dalle quale veni -vano dedotte 1,5 per spesed’alimentazione e manteni -mento. Il resto delle dieci o dodicipesetas che lo Stato ricevevaper ogni lavoratore dai co -s t ruttori – Molan, Banús eSan Romàn – servì per co -p r i re le spese della costru -zione, che costò più di 300milioni d’euro in denaro at -tuale. In quegli anni di famee di miseria.Il numero di decessi avvenu -ti durante i lavori non fu maireso noto. Ufficialmente fu -rono una dozzina, cifra a cuinessuno crede. E poco si sa

di Pietro Ramella

Un articolo della scrittrice A n g e l e sCaso apparso su “Magazine DigitalCom”, rivista spagnola, nel giugnodi quest’anno.

anche dei trentamila morti che vi sono sepolti, dei qualiventimila non identificati. Alcuni erano vittime della par -te golpista, trasferiti con l’autorizzazione dei familiari. Molti altri erano repubblicani che giacevano in fosse co -muni o che morirono lavorando alla costruzione. Non esi -ste in tutto l’edificio una targa che ricordi i prigionierioperai o i rossi lì sepolti. La guida ufficiale del monumen -to, edita dal Patrimonio Nacional, non fa praticamentemenzione di queste atrocità.Un mese fa ho visitato Nure m b e rg, la città dove A l b e rtSpeer, l’architetto di Hitler, costruì un immenso anfiteatro– incompiuto – per celebrare le grandi manifestazioni delP a rtito nazista. Nessuno pensò di distru g g e re questo sim -bolo dopo la sconfitta tedesca, ma neppure mantenerlo

come luogo d’esaltazione,lo si è convertito in un Cen -t ro di documentazione delP a rtito nazista, dove sip roiettano video, fotografiee testi su quell’ideologia edove si tengono congre s s i ,corsi, anche per bambinieccetera.So che non sono la prima ap roporlo però qualcuno do -v rebbe pre n d e re la decisio -ne di esumare i resti diFranco e di Primo de Rive -ra dalle tombe e re n d e r l ialle loro famiglie, come lestesse chiedono, togliendolida un luogo pubblico dove iresponsabili di tanta mort ee tanto dolore possono esse -re venerati dai loro seguaci. Allo stesso tempo si dovreb -be trasformare la Valle deiCaduti, per esempio, in unmuseo della Guerra civile.E finire una volta per tutte,

in un periodo di democra -zia, di mantenere un mauso -leo dedicato ad onorare lamemoria di un dittatore co -s t ruito con la soffere n z adelle sue vittime. Tutta unavergogna.

La scrittrice spagnola Angeles Caso che propone dit r a s f o r m a re l’impressionante complesso di Cuelgamuro inun centro-museo della Guerra civile.

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a della Valle dei Caduti

L’a rticolo permettedue considerazio-ni, la prima smen-

tisce l’affermazione che ilmausoleo rappresentò ilsimbolo della riconciliazio-ne tra le due parti in lotta,tesi sostenuta anche daquello che è ritenuto unmaestro del giornalismoitaliano, Indro Montanelli,lo stesso che sostenne chegli italiani non usarono igas contro gli abissini du-rante la conquista dell’E-tiopia. La seconda considerazioneriguarda la diversa inter-pretazione della storia inSpagna e in Italia: mentrela prima è riuscita final-

mente a fare luce sulle atro-cità perpetrate dai franchi-sti, (un esempio è la ricercadelle numerosissime fossecomuni dove giacciono icorpi di migliaia di repub-blicani uccisi e la rimozionedei monumenti celebratividi Francisco Franco), nellacapitale italiana, come è giàavvenuto in altri centri, sivuole dedicare una strada aun repubblichino che firmòi decreti di fucilazione deipartigiani. A Roma, città che fu tra lepoche a tentare di opporsiall’occupazione nazista, sivogliono ricordare gli scon-tri di Porta San Paolo del 10settembre 1943, e dove fu

commesso uno dei più ter-ribili massacri della guerradi Liberazione, quello delleFosse Ardeatine. Parte deinomi dei 335 fucilati furo-no forniti dai funzionaridella Repubblica sociale dicui il personaggio che sivuole onorare fu parte atti-va. Ma qui gioca l’ambiguità,una delle caratteristicheprincipali del nostro popo-lo: per ottenere ciò s’intito-la una strada anche a unpersonaggio politico di par-te opposta.Un’altra dimostrazione del-l’ambiguità italiana è datada una città Medaglia d’oroal valore militare per il con-

tributo alla guerra partigia-na (fu, infatti, una delle re-pubbliche libere durantel’occupazione nazista) lacui amministrazione ha po-sto all’entrata del paese deicartelli su cui si evidenza ilfatto dell’onorificenza, main calce aggiunge “Guerra1943-45” come si verg o-gnassero dell’attiva parteci-pazione alla Resistenza.Povera Italia, che per sod-disfare lo sfrenato desideriodi potere di un uomo, na-sconde la parte più vivadella sua Storia, il momen-to in cui si dovette sceglie-r e, tra libertà e tirannia, do-ve per la prima volta si fu ti-tolari del proprio destino.

Nel complesso si trovano un'abbazia benedettina,p a rte della quale fu riconvertita in foresteria pera c c o g l i e re i visitatori, una basilica scavata nellaroccia dove si trovano le tombe di Franco, Primode Rivera e due cappelle dove sono sepolti militaridei due schieramenti. Sopra la basilica sorge la piùalta croce cristiana del mondo: 150 metri dialtezza, visibile a più di 40 chilometri di distanza.

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I grandi della deport a z i o n eLodovico Barbiano di Belgiojoso

P e r r i c o r d a real meglio lafigura delgrande

a rchitetto LodovicoBarbiano diBelgiojoso, ripubblichiamo la bella intervista che gli fece il nostro carissimo compagnoEnnio Elena, splendido re d a t t o re del“ Triangolo Rosso”,scomparso nel 2006.

L’intervista fu rilasciata n e l l ’ a u t u n n odel 2000 e

venne pubblicata nellarivista nel dicembredello stesso anno, col titolo “Un ‘principe, aM a u t h a u s e n ” .Belgiojoso era moltoanziano e molto p rovato nel fisico maaccolse volentieri la richiesta del“ Triangolo Rosso” di essere intervistato.

Noi lo r i c o r d i a m ocon a ff e t t u o s a

nostalgia negli ultimigiorni della sua vitasulla carro z z e l l a ,nella sede dellaFondazione sorridente nonostantetutto, e poco prima,s e m p re sulla c a r rozzella, nel cimiteroMonumentale perr i c o r d a re tutti i caduti, ebrei e non,nei campi di sterminio. Era molto malato ma anche molto determinato a mantenere la propria p resenza e il proprio impegno di uomodella Resistenza.

Mi sembra quasi irreale intervistare un secolo distoria. E di quale storia.

Eppure Lodovico Barbiano di Belgiojoso, questovecchio gentile signore, è al di là del tavolino sulquale ho posato il taccuino e una copia del suo libroFrammenti di una vita. C’è tanta Milano e tantaItalia nella sua lunga vita.E c’è il filo rosso della coerenza e dell’impegno allespalle di Belgiojoso, come un lungo film che dallaMilano bene dei primi del Novecento ci portaall’inferno di Gusen, sottocampo di Mauthausen,dove, dice Belgiojoso, “era la vita, denudata esincera, vera come la fame, vera come l’odio el’amore per il vicino.I sentimenti, le passioni, gli odi, le voglie, i desideri ele paure più elementari – quelli di cui era nutrita lavita e che nella vita trovavano un altro nome, un’altradefinizione – venivano alla luce, trovavano unatotale, perfetta autenticità.Avevamo toccato il fondo – là dove molti eranodestinati a rimanere – ma era un fondo di verità”.

di Ennio Elena

“ A Mauthausen re a g i v ocantando m e n t a l m e n t el ’ I n t e r n a z i o n a l e ”

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A rchitetto, mi ha molto colpito questa parte delsuo libro di memorie.Si può tro v a re la verità in fondo all’abisso?

Ho voluto dire che in queste circostanze drammatiche siamonoi stessi, senza mediazioni, senza schermi, senza convenzio-ni, senza ipocrisie.Noi stessi.

In fondo all’abisso si possono anche conservare lal i b e rtà, la dignità. Vestiti di stracci si possono sfi-d a re i giganti, come lei scrive.

Belgiojoso accenna di sì, col capo ed ha un sorriso pieno dio rgoglio quando gli ricordo l’episodio del comandante delcampo di Mauthausen che passa in rassegna i deportati: «Eraun uomo piuttosto bello, abbronzato, con la camicia bruna amaniche corte ben stirata ed un frustino in mano, che volen-tieri mollava in faccia ai detenuti.Ero in prima fila e lui avanzava lentamente seguito dai suoisubalterni agghindati e odoranti di cuoio grasso, soff e r m a n d o-si ogni tanto a scrutarci.Noi immobili, aspettavano col berretto in mano.Quando si avvicinò, con forza cominciai a pensare: “Io sonolibero, mentre tu sei schiavo. Tu non capisci quello che pensoe io penso quello che voglio”.

Canticchio dentro di me l’inno di Mameli, oppure “Bandierarossa”; anzi per farti dispetto, la canto in tedesco “Die rotheFahne”… oppure canto l’“Internazionale”!.“Lui si fermò e mi guardò, probabilmente come guardavagli altri.Io mi sentivo – debbo dirlo – un leone e senza abbassare gliocchi ricambiai il suo sguardo: la prova di forza durò qualcheattimo, poi lui riprese a camminare. Ero sudato per lo sforzo,ma dentro di me ero infantilmente felice. L’avevo aff r o n t a t o » .Nel salotto c’è una virtuale dissolvenza.Il tranquillo signore sparisce per lasciar posto al deportatoche sfida con lo sguardo un feroce ufficiale delle SS: que-sta è la memoria che non si può violentare, addomestica-re, stravolgere.

Si dice che chi non ha memoria non ha futuro. Maveramente la memoria serve, ha un futuro ?

Sì, la memoria ha, deve avere un futuro perché è ricca di inse-gnamenti. Serve a ricordare quello che non doveva essere, chenon dovrà mai più essere.La memoria può e deve avere un futuro se non solo la conser-viamo ma la utilizziamo per rispondere alle domande che civengono rivolte, per raccontare, spiegare, propagandare.

Ha mai avuto paura che gli avvenimenti che voi

Belgiojso con Ernesto Roger, a sinistra nel 1936.Nella pagina accanto eccolo militare a Pavia nel 1932 e accanto al titolo Lodovico studente a 14 anni.A destra una foto di Belgiojoso scattata in occasionedell'inaugurazione della Fondazione avvenuta il 23 marzo 2003.

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Nasce a Milano il 1° dicembre 1909. Il padre Alberico eraarchitetto, la madre, Margherita Confalonieri, pittrice.Trascorre un’infanzia, un’adolescenza e una prima partedella gioventù in mezzo agli agi.Nel 1932 si laurea in architettura insieme a ErnestoNathan Rogers, Gian Luigi (Giangio) Banfi ed Enrico(Aurel) Peressutti con i quali costituisce lo studio BBPR.Nel 1934 sposa Carolina Cicogna Manzoni, matrimoniodal quale nascono quattro figli: Margherita, Maria Lui-sa, che diventerà architetto, Alberico, che farà la stessascelta, e Giovanni, medico.Nel dicembre del 1942 Belgiojoso e gli altri architettidello studio prendono contatti con esponenti del Partitod ’ A z i o n e .Dopo l’8 settembre Rogers, come molti altri ebrei, espa-tria in Svizzera mentre si fa più intensa l’attività clande-stina dei tre amici rimasti. Partecipano alla redazione edalla diffusione di “Italia libera”, giornale del Partito d’A-zione, e collaborano con le prime formazioni partigiane,in particolare con quelle operanti nella zona di Lecco.Il 21 marzo 1944 Belgiojoso viene arrestato insieme aBanfi. Incarcerato a San Vittore, viene poi internato nelcampo di Fossoli e successivamente, insieme a Banfi de-portato nel campo di sterminio di Mauthausen-Gusen.Viene liberato il 4 maggio 1945 dalle truppe americane.Ritornato a Milano, svolge un’intensa attività professio-nale con importanti progetti in Italia, fra i quali quellodella Torre Velasca a Milano, e all’estero.Belgiojoso, tra l’altro, è stato membro della Royal So-ciety of Arts di Londra e dell’American Institute of A r-c h i t e c t s .

raccontate siano talmente terribili da sembrare in-c re d i b i l i ?

Sì, ho sempre avuto presente, parlando e scrivendo i miei ri-cordi, il rischio di non essere creduti, anche se nessuno ha maimanifestato apertamente la sua incredulità. Eppure l’ho fatto eoccorre continuare a farlo. Come ho spiegato nell’introduzio-ne a “Frammenti di una vita” ho esitato a lungo prima di scri-vere, ma poi mi sono deciso perché è un patrimonio di ricordiche mi sembrava giusto far conoscere, perché si eviti di rica-dere nella barbarie.

Ritiene che questa diffusione della memoria stori-ca, la conoscenza di quegli anni tragici, cupi so-prattutto da parte di chi li ha vissuti e soff e rti inprima persona, sia particolarmente import a n t eoggi quando sono in atto molti tentativi di falsifi-c a re quel periodo?

Senz’altro. È particolarmente importante perché solo cono-scendo la verità si impedisce di ricadere in quella tragedia.

Il fatto di essere un professionista le è stato di aiu-to nella detenzione nel lager?

La vita era durissima per tutti. Io non finii nella cava e fui in-vece mandato a lavorare alle officine Messerschmidt e Steyrdove, dopo un primo periodo ai forni della tempera, fui adibi-to alla rettifica di pezzi di fucili e di mitragliatrici, lavoro cheper fortuna potevo fare stando seduto.Quando arrivai al campo mi qualificai come “ingegnieur” per-ché pensai chissà cosa capiscono questi se dico architetto eperciò alla fine di aprile mi mandarono con due tecnici polac-chi a realizzare un piccolo acquedotto per rifornire un campoin una località vicina.

Ha mai pensato, ricordando quei momenti terribi-li: ma ne valeva la pena?

Mai. Ho sempre pensato che ne valeva la pena. Ho sentitoquella scelta come un dovere.

Anche in momenti come questi che viviamo quan-do, cadute le ideologie sembrano essere caduti an-che ideali, valori e ci si preoccupi solo di intere s s i ?

Anche adesso continuo a pensare che ne valeva la pena per-

I grandi della deport a z i o n e

D a l l ’ a rchitettura alla deport a z i o n e .E ritornoa l l ’ a rc h i t e t t u r a

La scomparsa nell’aprile 2 0 0 4

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Qui accanto un disegno di Belgiojoso eseguito aGusen. L’annotazione diceGusen nella Hart e rei. Il pro f .Heim, A l b e rt Carion.

Immagini “vecchie” e attualidelle famigerata cava dipietra di Mauthausen. Nellasequenza deportati al lavorop e r s p a c c a re e squadrare iblocchi di pietra. Al centro la“volata” di mine per o t t e n e reil materiale e qui sopra lacava oggi, in disuso. A d e s t r ail “port a p i e t re”, una sorta dizaino di legno fissato sullespalle dei deportati chet r a s p o rtavano i blocchi allasommità della cavap e rc o r rendo la terribile“scala della mort e ” .

ché io ho fatto una scelta di vita.Su quella scelta ha influito il ricordo, l’esempiodi due suoi antenati come Cristina BelgiojosoTrivulzio e Federico Confalonieri, grandi figuredel nostro Risorgimento?

Senz’altro. Ricordo anche nel mio libro che in famigliaerano spesso citati ad esempio per il loro comportamento.

Rivedendo il passato c’è qualcosa che rimpiangedi non aver fatto?

No, sono abbastanza soddisfatto. Posso aver fatto qualcosamale ma non ho rimpianti.

Tra le scelte che è soddisfatto di aver compiuto c’èsenza dubbio quella di aver deciso di diventare ar-chitetto, professione nella quale ha fatto una pre-

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stigiosa carriera. Perché decise di fare l’arc h i t e t t oe non, ad esempio, il medico o l’avvocato?

Perché sono un po’ un figlio d’arte dato che mio padre, A l b e-rico era architetto e perché mi piaceva disegnare, occuparmidi case e anche di urbanistica, soprattutto come accadde dopola guerra con i problemi riguardanti la ricostruzione che si po-nevano a Milano pesantemente bombardata nell’agosto del’43 e in tante altre città europee. Come ricordo nel mio libro dimemorie la ricostruzione di Milano è avvenuta in modo spo-radico e, malgrado gli sforzi degli amministratori e delle asso-ciazioni di tecnici, in assenza di un progetto omogene.

Nel 1932, subito dopo la laurea, lei e tre amici checon lei si erano laureati – Ernesto Nathan Rogers,Gian Luigi (Giangio) Banfi, Enrico Peressutti –avete dato vita allo studio professionale BB-PR de-stinato a diventare dopo la guerra uno dei pro t a-gonisti dell’architettura del ’900. A quali concezio-ni ispiravate la vostra attività?

Eravamo molto interessati, direi affascinati, da quel grandemovimento moderno, di rinnovamento, di avanguardia cheprende il nome dal Bauhaus, la scuola di architettura fondatanel 1919 a Weimar da Walter Gropius e che svolse una grandefunzione non solo per ciò che riguarda l’architettura.Sentivamo che c’era qualcosa di nuovo, di importante in quelmovimento che purtroppo nel 1933 venne soppresso da Hitlerche lo considerava espressione di tendenze internazionalisti-che nel campo dell’arte, in contrasto con la dottrina nazista.

A suo giudizio c’è stato di recente un import a n t emovimento di rinnovamento culturale?

Il ’68 aveva buone intenzioni, si poneva apprezzabili obiettividi rinnovamento. Ma… e a questo punto del discorso Bel-giojoso agita una mano come per scacciare un pensiero mole-sto “… gli esami di gruppo, gli esami di gruppo.

In tema di architettura mi ha sempre incuriosito, e

questa esigenza penso l’abbiamo provata in tanti,s a p e re com’è nata l’idea della To r re Velasca, diquesto edificio, come dire?, un po’ insolito e cher a p p resenta una delle realizzazioni più import a n t idel vostro studio.

Si doveva ricostruire al posto di un intero isolato distrutto daibombardamenti. Si potevano ricostruire case basse comequelle che c’erano in precedenza o realizzare un edificio in al-tezza: noi scegliemmo la seconda soluzione perché ci parve lapiù suggestiva. Ritengo che la Torre Velasca sia una delle piùsignificative opere del dopoguerra e che arricchisca il panora-ma cittadino.

Nel suo Frammenti di una vita ha descritto le diff i-coltà incontrate per r i p re n d e re la vita normale,dopo il periodo trascorso nel campo di sterminio.La difficoltà maggiore era quella di convincersi a

v i v e re mentre la grande maggioranza dei suoi com-pagni non era sopravvissuta. Scrive di aver a n c h epensato a togliersi la vita e ai modi per f a r l o .

Belgiojoso non smentisce, ovviamente, ma dallo sguardo sicapisce che questo ricordo non è fra quelli più graditi, anchese testimonia di una grande sensibilità umana. Del resto aduna precedente domanda aveva detto che il ritorno alla nor-malità dopo quell’inferno aveva rappresentato uno choc.E c’era il ricordo lacerante di Gian Luigi (Giangio) Banfi, suocompagno nello studio e nel lager.Belgiojoso nel suo volume ricorda il suo ultimo incontro, nelblocco 30 dell’infermeria, dove Banfi era arrivato dopo cheAldo Carpi, il pittore, autentico buon samaritano del campo diGusen, era riuscito con un sotterfugio a trarlo dal blocco 31,dove c’era la “cameretta” della morte, e a farlo sistemare n e l-la sua stessa cuccetta.“Giangio” è morto il 10 aprile meno di un mese prima dell’ar-rivo degli americani quando Belgiojoso era ritornato al lavoro.

Ritiene sia possibile che l’umanità possa conosce-re ancora gli orrori che lei e milioni di altri esseriumani avete soff e rto, che ci possa essere un nuovoO l o c a u s t o ?

La risposta è pronta e decisa: «No, ritengo che questo nonsia possibile per molti motivi, perché troppe cose sono

I grandi della deport a z i o n e

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cambiate anche se penso che sia sempre presente il peri-colo di dimenticare».

Lei ha scritto: “Nel campo di Gusen ciascuno di noiaveva una speranza e più la vita si assottigliava piùla speranza di ciascuno diventava import a n t e .Ognuno si era abituato a vivere della propria art e ,della propria passione”. Oggi che cos’è per lei las p e r a n z a ?

È il pensare positivo, ritenere che si possa vivere normalmen-te e che sia possibile ottenere un miglioramento generale del-l ’ u m a n i t à .

Sono le diverse definizioni date del Novecento: se-condo uno scrittore, Golding, “è stato il più violen-to della storia dell’umanità”; per un autore v o l estorico inglese, Hobsbawm, è stato un “secolo bre-ve” per l’accelerazione vorticosa degli eventi dellastoria; per un manager e un uomo di cultura, Mar-tinoli, un “secolo da non dimenticare ” .Lei che lo ha attraversato praticamente tutto e dap rotagonista, come lo definisce?

Concordo con la definizione di “breve” per la velocità con laquale sono avvenuti molti cambiamenti e, poiché ho detto chesperare significa pensare positivamente, getto uno sguardo disperanza sul futuro.

All’avvio del nuovo anno scolastico ci piaces e g n a l a re, accanto al servizio che pubblichiamo inqueste pagine, una bella iniziativa dedicata ainostri ragazzi.Con il coordinamento di Daniela Fattori gli allievidell’istituto statale d’arte “Giovanni Sello” diUdine hanno prodotto un video di rara semplicitàe di grande spessore artistico la cui colonna sonoraè la poesia di Lodovico Barbiano di Belgiojoso,scritta a Mauthausen nel 1945, che ripro d u c i a m o .La loro espressione scenica è efficace e rende laspaventosa soff e renza e la tenace volontà di viveredel nostro compagno deport a t o .

Una poesia puòs a l v a re una vita.Questa è scritta da Belgiojoso

Non mi avrete

Ho fame, non mi date da mangiare,ho sete, non mi date da bere,ho freddo, non mi date da vestire,ho sonno non mi lasciate dormire!

Sono stanco, mi fate lavorare,sono sfinito, mi fate trascinareun compagno morto per i piedi,con le caviglie gonfie e la testache sobbalza sulla terracon gli occhi spalancati...

Ma ho potuto pensare una casain cima a uno scoglio sul mareproporzionata come un tempio antico

Sono felice: non mi avrete.

Lo segnaliamo, anche come spunto agli insegnanti: sipuò vedere allo http://www.arteudine.it/ alla voce“aliante teatro”

Attività didattica in una scuola di UdineL’ i n c o n f o n d i b i l ep rofilo dellaTo r re Ve l a s c afotografata dalleguglie del duomodi Milano. E ’ l’opera piùfamosa dellostudio BBPR.