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Università degli Studi Dipartimento di di Brescia Economia Aziendale Dicembre 2011 Paper numero 124 Annalisa BALDISSERA - Federico MANFRIN LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE DEL SOCIO RECEDENTE DA SOCIETÀ DI CAPITALI: INCERTEZZE, ARBITRARIETÀ, PATOLOGIE

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2011

Paper numero 124

Annalisa BALDISSERA - Federico MANFRIN

LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONEDEL SOCIO RECEDENTE DA SOCIETÀ DI CAPITALI:

INCERTEZZE, ARBITRARIETÀ, PATOLOGIE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONE

DEL SOCIO RECEDENTE DA SOCIETÀ DI CAPITALI: INCERTEZZE, ARBITRARIETÀ, PATOLOGIE

di

Annalisa BALDISSERA Ricercatore di Economia Aziendale

Università degli Studi di Brescia e

Federico MANFRIN Dottore di Ricerca in Economia Aziendale

Università degli Studi di Brescia

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Tutti i problemi della vita aziendale, prima o poi, vengono espressi in numeri. Le sintesi numeriche risentono del processo interpretativo che ad esse ha dato vita e di quello a cui debbono essere in via susseguente assoggettate.

Egidio Giannessi, Il “Kreislauf” tra costi e prezzi

come elemento determinante delle condizioni di equilibrio del sistema d’azienda (1982)

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Indice

1. Prefazione ............................................................................................ 1

2. Antinomie e incertezze interpretative.................................................. 5

2.1. La valutazione delle azioni di società non quotate ........................ 5

2.2 Il valore di liquidazione delle azioni quotate............................... 12

2.3 Il valore di liquidazione delle quote di S.r.l.................................. 13

2.4 La discrezionalità tecnica del valutatore tra arbitrarietà eterodiretta e patologie secundum legem ..................................... 19

3. Il caso Beta S.r.l................................................................................. 24

3.1 Introduzione.................................................................................. 24

3.2 La determinazione preventiva del valore della quota da parte della società ................................................................................. 26

3.3 La determinazione preventiva del valore della quota da parte del socio recedente....................................................................... 36

3.4 La <negoziazione> del valore della quota.................................... 41

4. Conclusioni.......................................................................................... 42

Bibliografia.............................................................................................. 46

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La valutazione della partecipazione del socio recedente da società di capitali: incertezze, arbitrarietà, patologie

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1. Prefazione

La normativa in materia di recesso e, in particolare, di valutazione della partecipazione del socio che tale diritto abbia esercitato si presenta caratterizzata da un ampio ventaglio di variegate e possibili interpretazioni oltre che da numerose zone d’ombra di non facile soluzione. Il diritto alla liquidazione (o al rimborso)1 della propria partecipazione consegue alla decisione discrezionale del socio adottata a seguito del verificarsi di rilevanti fattispecie, ritenute – ex lege o ex statuto – idonee ad alterare l’originario contratto sociale e la conseguente affectio societatis.

È noto che l’ampiezza del diritto di recesso rappresenta il variabile punto di incontro di due interessi contrapposti:

a) la tutela del socio di minoranza, non più in sintonia con le politiche manageriali selezionate dal soggetto economico (soprattutto in assenza di potenziali acquirenti, situazione questa che costringerebbe il socio uscente, in mancanza del diritto di recesso, a svendere la propria partecipazione);

b) la salvaguardia dell’integrità del patrimonio sociale in favore sia dei creditori sociali, sia dell’istituto-impresa che viene ad essere privato di parte delle risorse originariamente destinate allo svolgimento dell’attività economica2.

La preferenza anche involontariamente accordata dal legislatore all’uno o l’altro dei menzionati interessi, o la possibile scelta – almeno sul piano formale – del loro contemperamento, trova inevitabile rappresentazione nella selezione dei criteri volti a determinare il valore di liquidazione della partecipazione relativamente alla quale il socio abbia esercitato il diritto di recesso.

Già la normativa pre riforma del diritto societario si mostrava al riguardo contraddittoria3. Con riferimento ai titoli non quotati (sia azioni sia quote) disponeva infatti che il socio uscente avesse diritto di ottenere il rimborso

(*) Sebbene il presente lavoro sia frutto di discussioni comuni, i §§ 1 e 2 devono essere

attribuiti a Federico Manfrin, e i §§ 3 e 4 ad Annalisa Baldissera. 1 Ove non diversamente indicato, non si affronterà in questa sede l’analisi della

possibile diversa portata dei concetti di liquidazione e rimborso della partecipazione oggetto di recesso, utilizzati dal legislatore rispettivamente per le S.p.A. (art. 2437 ter c.c.) e per le S.r.l. (art. 2473 c.c.).

2 Così A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, pp. 5-6. Si consulti inoltre V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. Comm., 2005, n. 3, pp. 304 ss.

3 Cfr. A. MUSAIO, La riforma del diritto societario. Profili economico-aziendali, Milano, 2005, pp. 195-196.

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della propria partecipazione4 in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio, ovvero, per le azioni di società quotate, per un valore pari al prezzo medio dell’ultimo semestre5. Nel primo caso con evidente preferenza per gli interessi dell’impresa, la quale avrebbe liquidato la partecipazione del socio uscente a un valore nella maggior parte dei casi inferiore al valore economico; nel secondo caso a miglior tutela dell’interesse del socio uscente, che poteva scegliere il valore maggiore tra il prezzo di contrattazione delle azioni nel momento in cui esercitava il diritto di recesso, e il valore medio determinato a norma di legge (che, in ipotesi di valori decrescenti nell’arco dei sei mesi considerati, sarebbe stato comunque maggiore del prezzo di Borsa al tempo del recesso).

Oggi, con riferimento alle società per azioni, il dettato del nuovo art. 2437 ter c.c., sebbene lasci pressoché immutato il criterio di valorizzazione per le partecipazioni di società quotate6, attua una radicale innovazione per quanto concerne i titoli non quotati7. Vengono infatti introdotti nel secondo comma tre criteri di ampia portata: la “consistenza patrimoniale”, le “prospettive reddituali” e l’“eventuale valore di mercato delle azioni”, con il chiaro obiettivo di mutare la base di calcolo dal capitale di funzionamento, di cui al precedente art. 2437 c.c., al capitale economico. A differenza del precedente dettato legislativo, il nuovo privilegia pertanto una configurazione del capitale d’impresa che tenga conto non soltanto dei cespiti che lo compongono, ma altresì dei risultati che esso capitale è in grado di produrre in termini di capacità di reddito8. Tuttavia, la difficoltà riscontrata da parte della dottrina giuridica nell’attribuire significato tecnico alle tre espressioni sopra menzionate evidenzia come, più che di criteri specificamente indicati, si tratti in verità di canoni economico-aziendali cui

4 In tutto ovvero, ove consentito, in parte. 5 Cfr. P. ONIDA, Il bilancio di esercizio delle imprese. Significato economico del

bilancio. Problemi di valutazione, Milano, 1951, pp. 91-95. 6 Viene in particolare chiarito, rispetto al previgente testo, che il valore di riferimento

per il calcolo della media deve essere il prezzo di chiusura. 7 Si consulti sul punto G. FERRERO, La valutazione del capitale di bilancio, Milano,

1995, pp. 15-22 e M. CATTANEO, Alcune osservazioni sulla scelta della formula di valutazione del capitale economico, in Finanza Marketing e Produzione, n. 1, 1986, pp. 11-13.

8 Nella prassi tale configurazione di capitale è normalmente ritenuta la più idonea in ipotesi di cessione in blocco dell’azienda o di un suo ramo a terzi. Cfr. E. CAVALIERI-R. FERRARIS FRANCESCHI, Economia aziendale. 1. Attività aziendale e processi produttivi, Torino, 2005, pp. 299-305; A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, pp. 16-18; N. ANGIOLA, Il diritto di recesso del socio di società di capitali. Riflessioni economico-aziendali alla luce dell’innovata disciplina civilistica, in N. Abriani e T. Onesti (a cura di), La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, Atti del Convegno di Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Milano, 2004, p. 302.

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ricondurre la valutazione; da tali principi derivano poi metodi, dai quali a loro volta il valutatore è chiamato a desumere i parametri più adeguati nel rispetto della voluntas legis e impiegando la più opportuna combinazione tra le numerose tecniche che le scienze appunto economico-aziendali gli mettono a disposizione9. Da tale contemperamento di criteri economico-aziendali e legislativi scaturirà naturaliter il valore di liquidazione delle azioni.

Parimenti, anche relativamente alle società a responsabilità limitata gli operatori sono oggi chiamati a effettuare le loro valutazioni sulla base di un nuovo canone svincolato dai dati storici e prudenziali di bilancio, i.e. il valore di mercato del patrimonio sociale: si tratta nondimeno, anche per questa fattispecie, di un criterio connotato da scarsa chiarezza e idoneo a dare adito a molteplici e contrastanti interpretazioni, con conseguenti valori di sintesi differenziati.

Occorre tuttavia sottolineare che, nonostante l’ampia formulazione dei nuovi criteri-quadro di cui agli artt. 2437 ter e 2473 c.c., pare improbabile che il valore alla fine determinato possa effettivamente rispecchiare vuoi la misura del capitale economico (S.p.A.) vuoi il valore di mercato del patrimonio sociale (S.r.l.). E per numerose ragioni, legate non solamente alle diverse metodologie di valutazione impiegabili, ma altresì alla natura economico-aziendale dell’iter valutativo in sé considerato e alla plasticità di confini del bene oggetto di valutazione.

Si potrebbe infatti definire il processo di valutazione in oggetto quale forma particolare di contrattazione implicita, ove il valore della partecipazione del socio uscente costituisce il risultato di un procedimento valutativo influenzato da condizioni oggettive e soggettive di negoziazione10. La norma di legge richiede infatti – almeno espressamente per le S.p.A., ma non si vede come potrebbe operarsi diversamente per le S.r.l. – che siano gli amministratori a determinare il valore di liquidazione, e non un valutatore esterno e indipendente11. Gli amministratori, invero, in

9 Cfr. E. VIGANÒ, La natura del valore economico del capitale di impresa e le sue

applicazioni, Napoli, 1967, pp. 35-86; G. FERRERO, La valutazione economica del capitale d’impresa, Milano, 1966, passim; I. GREZZINI, La valutazione delle imprese industriali in funzionamento. Analisi comparata dei metodi di stima del «capitale economico» d’azienda, Padova, 2005, passim.

10 Cfr. C. MASINI, L’ipotesi nella dottrina e nelle determinazioni dell’economia di azienda, Milano, 1961, passim e A. MUSAIO, Valore “intrinseco” e valore “soggettivo” delle partecipazioni, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, nn. 5-6, 1995, pp. 248 ss.

11 Ricorda P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 461, come la scelta di affidare la determinazione del valore di liquidazione delle azioni agli amministratori sia stata dettata dal fatto di essere questi i soggetti “considerati

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quanto soggetti direttamente interessati a ridurre al minimo sia la fuoriuscita di capitali dall’impresa sia l’eventuale esborso per l’acquisto della partecipazione del socio uscente a beneficio proprio o altrui, opteranno in generale non per il valore economico di tale partecipazione, bensì per il minor valore che i potenziali soci recedenti saranno presumibilmente disposti ad accettare senza sollevare impugnazioni (condizioni soggettive)12; inoltre, gli stessi amministratori saranno con ogni probabilità a conoscenza di informazioni riservate sconosciute al socio di minoranza intenzionato a recedere, il quale, pertanto, non le potrà in nessun caso eccepire in sede di contestazione (condizioni oggettive).

La presenza di una contrattazione (successiva ma già implicita ex ante) in grado di influenzare il valore di liquidazione della partecipazione è del resto confermata dalla numerosità dei soggetti che sono chiamati ex lege a partecipare al processo valutativo: obbligatoriamente gli amministratori, il collegio sindacale e il soggetto incaricato della revisione contabile nelle società per azioni, eventualmente i soci recedenti e i non recedenti, i creditori della società13, l’esperto nominato dal Tribunale in caso di contestazione; e non ultimi tutti i professionisti che a vario titolo sono chiamati a compiere valutazioni tecniche a tutela degli interessi particolari dei soggetti predetti14.

Nondimeno, e ancora a monte della selezione e dell’effettivo utilizzo di specifici criteri di determinazione del valore di liquidazione della partecipazione, il valutatore deve interrogarsi in merito alla stessa nozione di valore che intende adottare quale linea direttrice del suo incarico, in particolare: a) valore di trasferimento, b) valore di mercato, c) valore di liquidazione, d) valore di rimborso?15.

Si ricorda al riguardo la tradizionale dicotomia disciplinare tra i due momenti dell’unitario fenomeno della liquidazione: da un lato

più rappresentativi nell’ambito della società emittente e, presuntivamente, più informati in materia di valore aziendale”.

12 Il punto trova chiara esemplificazione in G. FERRERO, La valutazione economica del capitale d’impresa, Milano, 1966, pp. 77-79.

13 Tali soggetti sono legittimati a proporre opposizione all’eventuale deliberazione di riduzione del capitale sociale ai sensi dell’art. 2445 c.c. per le S.p.A. e dell’art. 2482 c.c. per le S.r.l.

14 In merito alle funzioni, al ruolo e alle aspettative dei soggetti coinvolti, si veda P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, pp. 461-461.

15 Parte della dottrina sostiene che a un valore stand alone, determinato estrapolando l’impresa dalle sue interazioni con l’ambiente esterno, si contrapponga un valore strategico (o di acquisizione) in grado di tener conto altresì delle sinergie e delle interazioni con imprese terze (alias, le note business combinations). Sul punto si consulti A. SALVIDIO, La valutazione in caso di recesso del socio, in La valutazione delle aziende, a cura di Finanza e Valore, n. 36, 2005, p. 10.

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l’accertamento dei presupposti giuridici per l’applicabilità – necessaria o opzionale – dei criteri di valutazione di origine legale o statutaria (in altre parole l’an dei parametri e delle tecniche di stima), dall’altro la concreta utilizzazione di tali criteri onde pervenire al valore di liquidazione della partecipazione (e che potremmo definire il quomodo della valorizzazione). Ricostruzione questa talora tanto elegante dal punto di vista formale quanto priva di reale valenza empirica se, come si avrà modo di osservare nel prosieguo, l’estrema e inevitabile soggettività di interpretazione dei criteri di valutazione fissati ex lege può agilmente scardinare qualunque lodevole ricostruzione giuridica dell’istituto.

Chiarite le problematiche valutative di fondo, si procede di seguito a introdurre una preliminare analisi della portata e della discrezionalità (tecnica?) dei giudizi estimativi per mezzo dei quali viene determinato il valore della partecipazione da liquidare.

2. Antinomie e incertezze interpretative

2.1. La valutazione delle azioni di società non quotate La dottrina aziendalistica è pressoché concorde nell’affermare che, per

determinare il valore di liquidazione delle azioni per le quali si sia esercitato il diritto di recesso, è necessario valutare ex ante l’intero complesso aziendale in funzionamento16. A tale fine gli studi economico-aziendali offrono numerose metodologie tradizionalmente raggruppate nelle macroclassi dei metodi a) patrimoniali, b) reddituali, sovente variamente combinate nei c.d. c) metodi misti.

I metodi patrimoniali di valutazione del capitale economico di un’impresa perseguono il fine di stimare analiticamente gli elementi attivi e passivi che tale capitale vanno a comporre17. Diversamente, i metodi

16 Per una panoramica della principale dottrina aziendalistica si vedano in particolare: C.

MASINI, La dinamica economica nei sistemi di valori d’azienda, valutazioni e rivalutazioni, Milano, 1955; A. AMADUZZI, La teoria delle valutazioni dei complessi aziendali, in Rivista di Politica Economica, 1954; C. CARAMIELLO, Il problema della valutazione di azienda in caso di cessione, in Rivista italiana di ragioneria e di economia aziendale, n. 3, 1977, pp. 91-97 e La valutazione dell’azienda. Prime riflessioni introduttive, Milano, 1993; G. BRUGGER, La valutazione di aziende ed acquisizioni, in S. Pivato (a cura di), Trattato di finanza aziendale, Milano, 1983; G. CERIANI, Il trasferimento dell’impresa in economia aziendale, Padova, 1990; G. ZANDA, M. LACCHINI e T. ONESTI, La valutazione delle aziende, Torino, 2005, passim.

17 Si osservi tuttavia che i metodi patrimoniali in tema di valutazione appaiono ormai “diffusamente in disuso nelle costruzioni dottrinali e nelle applicazioni pratiche, in ragione della visione palesemente parziale del valore d’impresa che i medesimi risultano in grado di esprimere”: così I. GREZZINI, La valutazione delle imprese industriali in funzionamento.

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reddituali mirano a determinare il valore lato sensu economico dell’azienda in funzione della sua durevole capacità di reddito.

E proprio a tale bipartizione parrebbero fare eco, almeno in prima approssimazione e con riferimento alle società non quotate, i concetti di “consistenza patrimoniale” e “prospettive reddituali” di cui al secondo comma del vigente art. 2437 ter c.c. Ma se la correlazione logica appare verisimile18, più difficile risulta asserire la necessità di utilizzazione di tali metodi. La norma si rivolge agli amministratori, e tramite questi ai professionisti che li affiancano, chiedendo loro solamente di “tenere conto” di tali parametri, rimettendoli di fatto al loro prudente apprezzamento; con la possibilità di poterli anche disattendere del tutto?19 Parrebbe infatti che con tale espressione il legislatore non abbia voluto esaurire – mediante l’indicazione dei criteri contenuti nell’art. 2437 ter c.c. per la determinazione del valore della partecipazione oggetto di recesso – il procedimento valutativo ma, in un certo senso, lo abbia voluto valorizzare, consentendo di coniugare molteplici metodi propri della dottrina economico-aziendale.

Sia gli aziendalisti sia i giuristi hanno poi alimentato l’ulteriore dibattito in merito alla molteplicità delle possibili tecniche valutative con le quali soddisfare i criteri legali di determinazione del valore della partecipazione oggetto di recesso. Va in particolare osservato che la mancanza di un criterio chiaro e definitivo deve venire interpretata come precisa voluntas legis, onde consentire un certo grado di discrezionalità tecnica nella scelta dei metodi stessi (siano essi analitico-patrimoniali, sintetico-reddituali,

Analisi comparata dei metodi di stima del «capitale economico» d’azienda, Padova, 2005, p. 38.

18 Contra si consulti A. SALVIDIO, La valutazione in caso di recesso del socio, in La valutazione delle aziende, a cura di Finanza e Valore, n. 36, 2005, p. 17.

19 Il comma 6 dell’art. 2437 ter introduce la possibilità per il socio recedente di contestare la valutazione effettuata dagli amministratori. In tale ipotesi il valore di liquidazione è demandato ad un esperto nominato dal tribunale su istanza della parte più diligente, il quale dovrà procedere, ai sensi del comma 1 dell’art. 1349, con equo apprezzamento. Tale ultimo parametro non ha mancato di destare interrogativi in merito alla sua autonomia rispetto ai criteri espressamente indicati dai commi 2 (“consistenza patrimoniale”, “prospettive reddituali” ed “eventuale valore di mercato delle azioni”), 3 (“media aritmetica dei prezzi di chiusura”) e 4 (“criteri diversi” stabiliti dallo statuto) dell’art. 2437 ter. Sebbene l’interpretazione letterale del testo di legge sembri consentire il superamento dei predetti criteri, nondimeno occorre riconoscere che difficilmente l’esperto potrà adottare metodologie non rientranti in quelle menzionate dall’art. 2437 ter. Come già evidenziato, infatti, i parametri indicati da tale norma, nel momento della loro effettiva operatività, rappresentano non specifici criteri bensì macroclassi di metodologie, alle quali è improbabile che l’esperto possa sottrarsi senza ricorrere a metodi avulsi e biasimevoli di mero arbitrio, e come tali fonte di possibili impugnazioni.

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misti, finanziari, o altri ancora)20, primariamente in funzione delle concrete circostanze di fatto21.

Si osserva poi che, proprio a seguito del silenzio del legislatore in merito alla gerarchia dei criteri stabiliti ex lege, si scontrano sia nella dottrina sia nella prassi l’approccio che considera quale punto di partenza per la valutazione del quantum da liquidare il valore dei beni impiegati per l’esercizio dell’impresa (orientamento questo che trova la sua fonte nell’originaria prospettiva formalistica e prudenziale, sebbene oggi parzialmente superata, del nostro legislatore), e l’approccio che si fonda principalmente sulla capacità prospettica di generare flussi di reddito o di cassa (prospettiva quest’ultima tipicamente anglosassone).

In particolare, per quanto concerne poi la portata interpretativa dei suddetti criteri individualmente considerati, in merito alla “consistenza patrimoniale” si prospetta la scelta tra un “metodo patrimoniale semplice”, che prenda in considerazione il solo valore del capitale netto rettificato; ovvero, come preferito dalla dottrina maggioritaria, un “metodo patrimoniale complesso”, che tenga altresì conto, oltre al capitale netto rettificato, anche del valore complessivo dei componenti immateriali non contabilizzati, nonché dell’avviamento22. Sempre con riferimento alla

20 Cfr. S. CAPPIELLO, Prospettive di riforma del diritto di recesso dalle società di

capitali: fondamento e limiti dell'autonomia statutaria, in Quaderni di ricerca giuridica della Banca d’Italia, n. 54, 2001, p. 26, per il quale “occorre osservare che per quanto la possibilità di determinare il valore di mercato della partecipazione del socio uscente rappresenti una condicio sine qua non per l’efficace funzionamento di un diritto al disinvestimento, tuttavia non sembra enucleabile un criterio legislativo di valutazione capace di assicurare con sufficiente margine di certezza il rispetto di detta condizione. La scelta tra diversi criteri di valutazione è infatti un processo necessariamente ed intrinsecamente discrezionale, che sconta un inevitabile grado di aleatorietà circa gli esiti a cui la stessa può condurre nei singoli casi, si tratti di società quotate o non”.

21 Cfr. L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 441, ove si osserva che i parametri valutativi di cui all’art. 2437 ter c.c. si traducono “sul piano minimale:

a. nel ricorso al modello misto patrimoniale-reddituale, dove il calcolo, se ne è il caso, si svilupperà considerando anche il valore di intangibili specifici;

b. nel ricorso alla valutazione patrimoniale, integrata dalla verifica reddituale. Le combinazioni consigliate prevedono inoltre la considerazione, in aggiunta e per

ambedue le ipotesi precedenti, della prova dei moltiplicatori impliciti. Questo completamento del processo valutativo adempie anche all’obbligo di tenere conto, indirettamente, del valore di mercato delle azioni”.

22 Come ricorda P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 469: “non tutte le attività aziendali sono iscritte in bilancio, né tutte sono iscrivibili”. Si veda inoltre I. GREZZINI, La valutazione delle imprese industriali in funzionamento. Analisi comparata dei metodi di stima del «capitale economico» d’azienda, Padova, 2005, pp. 43-44 e N. ANGIOLA, Il diritto di recesso del socio di società di capitali. Riflessioni economico-aziendali alla luce dell’innovata disciplina civilistica, in N. Abriani

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prospettiva patrimoniale, la dottrina si è poi interrogata – dando sovente risposta affermativa – sulla necessità o meno di redigere un bilancio straordinario, nel quale dovrebbero trovare manifestazione sia l’avviamento sia gli intangibles normalmente non presenti nel bilancio di esercizio23.

Relativamente al parametro delle “prospettive reddituali” è dubbio se si debba tener conto unicamente delle capacità reddituali già perseguite o ragionevolmente perseguibili in un breve arco temporale, ovvero anche delle aspettative di lungo periodo del soggetto economico (eventualmente già dichiarate, ma che in ogni caso non potrebbero trovare ragione nei maggiori flussi reddituali attesi a fronte dell’operazione contestata che ha determinato l’esercizio del diritto di recesso)24.

e T. Onesti (a cura di), La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, Atti del Convegno di Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Milano, 2004, p. 301.

23 Il dibattito sul tema era particolarmente vivace nel vigore della normativa pre riforma. Ricorda in particolare P. ONIDA, Le dimensioni del capitale d’impresa. Concentrazioni, trasformazioni, variazioni di capitale, Milano, 1951, p. 238, che il bilancio ufficiale “può essere stato composto in vista della prossima fusione della società con altre o di un prossimo aumento di capitale con emissione di nuove azioni da collocare presso terzi. In connessione alla stima delle azioni per la fusione od alle previste condizioni della nuova emissione, particolari sopravalutazioni o svalutazioni possono essere state apportate al capitale di bilancio, in confronto ai valori che si sarebbero accolti ove le accennate circostanze non si fossero presentate. Tali sopravalutazioni o svalutazioni non sempre potrebbero essere ammesse nella determinazione del valore di rimborso delle azioni dei soci recedenti”. Inoltre, la nuova dicitura “consistenza patrimoniale della società” utilizzata dal legislatore, rispetto alla precedente che faceva riferimento unicamente al patrimonio netto della società risultante dall’ultimo bilancio di esercizio, sembra perseguire la finalità “di qualificare la variabile de quo in termini reali e non di considerarla sic et simpliciter a valori contabili”: così A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, p. 21. Sottolinea infine P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 467, che “la mancata qualificazione del patrimonio autorizza, sia a rilevare la ricercata consistenza patrimoniale anche a livello consolidato, nella ipotesi di una società posta al vertice di un gruppo, sia a recuperare le eventuali attività (soprattutto intangibili) non iscritte/iscrivibili nello stato patrimoniale”. Per i profili legati alla rappresentazione in bilancio dell’operazione di recesso, si veda quanto disposto dal Principio contabile n. 28: il Patrimonio Netto del 30 maggio 2005, in ORGANISMO ITALIANO DI CONTABILITÀ, Principi contabili nazionali 2007, Milano, pp. 821-822.

24 È indubbio che l’operazione di stima della capacità reddituale dell’impresa si qualifichi quale operazione complessa. Si pensi alla difficoltà di valutare le prospettive economiche del settore in cui l’impresa opera, il prospettico andamento dei costi dei fattori produttivi, la previsione della domanda legata ai gusti e alle preferenze dei consumatori e la possibilità di ingresso di nuovi concorrenti nel mercato di riferimento. Afferma infatti sul punto T. ONESTI, Problemi valutativi nella liquidazione della quota del socio uscente nelle società di persone e nelle società di capitali, Torino, 1991, p. 33: “al fine di considerare i fattori determinanti della redditività dell’impresa, è necessario far riferimento ad essa come ad un sistema complesso, inserito nell’ambito di un sistema ancor più complesso, l’ambiente”. Si consulti inoltre L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano,

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È tuttavia con riferimento al terzo criterio indicato dal legislatore, ossia l’“eventuale valore di mercato delle azioni” che si riscontrano le maggiori differenze in tema di posizioni dottrinali25.

Alcuni Autori identificano infatti tale parametro con il criterio finanziario dei multipli26; altri sostengono che tale valore possa esistere solo qualora la società abbia, in un arco temporale relativamente recente, compiuto operazioni straordinarie per le quali si sia dovuto determinare un opportuno prezzo di mercato delle azioni27; altri infine ricavano da tale parametro la possibilità di poter valutare soggettivamente l’impresa tenendo conto delle più varie condizioni d’ambiente28 riscontrabili nel momento di esercizio del diritto di recesso29. E tuttavia, proprio per questa sua elasticità, tale parametro sembra essere verisimilmente il più adatto per la valutazione di azioni non ordinarie provviste di specifici privilegi accordati in sede statutaria30.

2007, p. 248, ove si evidenziano le principali variabili che possono influenzare il modello reddituale di valutazione delle aziende, inter alia, la misurazione dei flussi reddituali, la durata dell’orizzonte temporale di riferimento, le modalità di definizione delle attese e delle proiezioni future, la scelta dei tassi di attualizzazione.

25 Cfr. P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 472: “La locuzione «eventuale valore di mercato delle azioni» è certamente la più problematica sul piano interpretativo della norma in esame. Ciò dipende non solo dal carattere di eventualità della presenza del parametro valutativo (accertabile, si ipotizza, da parte degli amministratori chiamati ad effettuare la valutazione e non, presuntivamente, in senso assoluto), ma anche dall’accostamento del concetto di «valore» (per definizione soggettivo e calcolabile in base a metodologie non scientifiche o pragmatiche) al concetto di «mercato» (per definizione fonte di «prezzi» oggettivi, espressione dell’univoco incontro della domanda e dell’offerta)”.

26 In particolare L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 441, sostengono che “i multipli impliciti e il loro confronto con un campione di società comparabili sono l’unico modo (in assenza di prezzi espressi direttamente dal mercato, com’è regola nelle società non quotate) per realizzare la comparazione con il mercato”.

27 Cfr. A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, p. 29.

28 Ad esempio, tra gli altri, il contesto normativo, le particolari tutele delle minoranze riconosciute dallo statuto e la presenza di un efficiente e liquido mercato di private equity.

29 Per una disamina delle soluzioni adottabili cfr. A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, pp. 27-29.

30 Ricorda P. ONIDA, Le dimensioni del capitale d’impresa. Concentrazioni, trasformazioni, variazioni di capitale, Milano, 1951, p. 242, che “le clausole statutarie relative ai privilegi accordati a particolari categorie di azioni, debbono essere attentamente considerate non solo quando si ricerca il valore di rimborso delle azioni privilegiate ma pure quando si valutano le azioni ordinarie, giacché i privilegi delle prime possono limitare la somma rimborsabile sulle seconde”.

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Il dettato legislativo non consente poi di definire se i tre parametri debbano venire necessariamente utilizzati congiuntamente, come sostenuto da autorevole dottrina con riferimento ai già citati metodi misti31, ovvero se il valutatore possa discrezionalmente impiegarne due o addirittura solamente uno. Tuttavia, anche qualora si optasse per un utilizzo simultaneo di tali criteri, il valutatore resterebbe comunque arbitro del sistema di ponderazione fra gli stessi, risultando tecnicamente inadeguata la semplice media aritmetica fra i valori risultanti dall’applicazione isolata delle tre metodologie32.

Ai parametri di cui al comma 2 dell’art. 2437 ter c.c. si aggiungono poi gli eventuali criteri convenzionali dichiarabili statutariamente, a norma del comma 4 del medesimo articolo. In particolare lo statuto potrà indicare “le componenti patrimoniali iscritte in bilancio che possono essere rettificate (ad esempio, i fabbricati, i marchi, i brevetti, i fondi per rischi ed oneri), i criteri da utilizzare per la rettifica, nonché altre componenti del patrimonio suscettibili di valutazione (ad esempio, il know-how, il portafoglio lavori), compreso l’avviamento”33.

Una volta concluso il processo di determinazione del valore fondamentale delle azioni34 per mezzo di criteri giustificabili alla luce dei parametri legislativi più sopra esaminati, il valutatore è chiamato a interrogarsi sull’opportunità e la legittimità di correggere tale valore in funzione di eventuali sconti a) di minoranza per ridotti poteri, b) di liquidità per mancanza di mercato e conseguente difficile smobilizzo delle azioni stesse35.

Tali sconti infatti, in sede di valutazione delle partecipazioni sociali in ipotesi di operazioni straordinarie, assumono sovente valori diversi a seconda che ad essere coinvolte siano partecipazioni di minoranza semplice

31 Alcuni Autori, particolarmente rispettosi del dettato legislativo, si sono espressi per la

necessaria applicazione congiunta dei tre parametri indicati dal legislatore, con l’utilizzo ad un tempo di valutazioni patrimoniali, modelli reddituali e verifiche basate su moltiplicatori impliciti. Così, tra gli altri, L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 780.

32 Sul punto si veda P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, pp. 476-478.

33 Così N. ANGIOLA, Il diritto di recesso del socio di società di capitali. Riflessioni economico-aziendali alla luce dell’innovata disciplina civilistica, in N. Abriani e T. Onesti (a cura di), La riforma delle società di capitali. Aziendalisti e giuristi a confronto, Atti del Convegno di Foggia, 12 e 13 giugno 2003, Milano, 2004, p. 311.

34 Cfr. L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, 2007, p. 517. 35 Cfr. M. MASSARI, Il valore di “mercato” delle aziende. Approfondimenti teorici e

metodi di stima, Milano, 1984, pp. 29-36 e Ancora in tema di cessione di pacchetti di controllo, in Riv. Soc., 1979, pp. 1025-1026.

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ovvero di minoranza qualificata36. Inoltre, ove si opti per la correttezza valutativa del loro impiego, non sembra di facile soluzione il dubbio se gli amministratori possano discrezionalmente correggere il valore delle azioni con l’impiego di tali sconti anche qualora ciò non sia menzionato tra i criteri convenzionali previsti statutariamente. Si osserva nondimeno che parte della dottrina si è dichiarata fortemente critica in merito all’utilizzabilità degli stessi37.

Inoltre, qualora si sia esercitato il diritto di recesso per un pacchetto di minoranza “qualificato”, sembra ad alcuni corretto in sede di valutazione decurtarne il valore pro quota del danno subito dalla società a seguito della decisione operata dal socio recedente. A fronte del recesso, infatti, è verisimile che il sistema-azienda nel suo complesso possa risentire di un danno economico in termini di futura capacità reddituale, sia per la diminuzione del capitale, qualora il rimborso della partecipazione avvenga con esborso a carico della società, sia per l’incremento degli oneri finanziari, qualora la società sia costretta a indebitarsi per far fronte alla diminuzione dei mezzi propri38.

I correttivi testé esaminati richiedono però che il rimborso della partecipazione del socio uscente avvenga sulla base del valore pro quota del capitale economico calcolato dopo l’operazione di recesso: è infatti dalla significatività della partecipazione azionaria oggetto di recesso che dipendono il valore degli sconti e l’entità del nocumento subito dalla società. Tuttavia, dal dettato del comma 5 dell’art. 2437 ter c.c., conformemente al quale i soci hanno diritto di conoscere il valore delle azioni “nei quindici giorni precedenti alla data fissata per l’assemblea”, discende che tali aggiustamenti dovrebbero essere determinati in un momento che precede l’esercizio del diritto di recesso e, di conseguenza, senza conoscere l’ammontare totale delle azioni coinvolte. Per tale motivo, in questa sede si pone l’ulteriore interrogativo se si possa rimediare a tale limite ricorrendo alla determinazione di un prezzo con collegata una formula correttiva in grado di tenere conto, necessariamente ex post, del valore “semplice” o “qualificato” della partecipazione oggetto di recesso.

36 Per minoranza semplice intendiamo il socio titolare di una frazione irrilevante del

capitale; per minoranza qualificata facciamo riferimento al socio che possiede una quota rilevante, pur sempre minoritaria, del capitale della società.

37 Si veda per tutti P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, pp. 477- 479.

38 Esprimendosi favorevolmente per l’applicazione di tali correttivi, T. ONESTI, Problemi valutativi nella liquidazione della quota del socio uscente nelle società di persone e nelle società di capitali, Torino, 1991, p. 39, conclude sul tema affermando che il valore economico della partecipazione del socio recedente “dovrà essere sicuramente inferiore al valore economico del capitale d’azienda calcolato pro quota, determinato prima dell’operazione di recesso”.

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2.2 Il valore di liquidazione delle azioni quotate Ulteriori problematiche emergono inoltre con riferimento alla

determinazione del valore di liquidazione delle azioni di società quotate. Per questa ipotesi il legislatore ha optato per un’operazione di mero calcolo negando in nuce l’applicabilità di un processo valutativo39. Tale valore, infatti, andrà determinato “facendo esclusivo riferimento alla media aritmetica dei prezzi di chiusura nei sei mesi che precedono la pubblicazione ovvero ricezione dell’avviso di convocazione dell’assemblea le cui deliberazioni legittimano il recesso”. Trattandosi poi di titoli tendenzialmente liquidi, ed essendo il recesso e la cessione in Borsa valori “strumenti concorrenziali a disposizione dello stesso socio”40, l’azionista ricorrerà al recesso solo qualora il valore determinato ex lege sia superiore al valore negoziato dal mercato nel medesimo periodo.

Si rileva inoltre come parte della dottrina, nonostante la nuova formulazione del testo di legge, lamenti il perdurare della differenza di trattamento tra società quotate e non quotate: infatti, mentre il prezzo di mercato sconta inevitabilmente (o dovrebbe) le attese della futura performance della società emittente, allo stesso risultato non sembra si possa giungere impiegando i soli criteri previsti per le società non quotate41.

Tralasciando in questa sede le perplessità in merito all’utilizzabilità del suddetto metodo di calcolo previsto ex lege in ipotesi di turbative occorse nel periodo temporale di riferimento, o qualora la quotazione abbia registrato una durata inferiore al semestre, ovvero ancora qualora si siano verificate sempre nel semestre di riferimento operazioni straordinarie in grado di alterare i valori di Borsa, si osserva che la dottrina aziendalistica ha sottolineato in più occasioni che tali valori sono normalmente soggetti a molteplici variabili economiche e psicologiche, e inoltre alle manovre di speculatori e market makers, non di rado poi degli stessi soci di maggioranza che ad esempio potrebbero essere interessati a scoraggiare il recesso tramite la svalutazione delle azioni, ovvero a deprimere il prezzo per

39 Cfr. L. GUATRI-M. BINI, La valutazione delle aziende, Milano, p. 779. 40 Cfr. A.M. BISCOTTI, Il diritto di recesso nelle società di capitali alla luce della

novella legislativa. Alcune considerazioni civilistiche, economiche e contabili, Roma, 2007, p. 35.

41 Sul punto P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 464, sottolinea opportunamente che “la «consistenza patrimoniale» valorizza il passato che è andato stratificandosi nel presente (risultante dalla situazione patrimoniale utilizzata per la stima), mentre le «prospettive reddituali», indubbiamente orientate al futuro, scontano attese ipotizzabili solo dall’interno dell’impresa e non dal mercato, e l’«eventuale valore di mercato» è un parametro più idoneo a riflettere le utilità attribuite alle azioni sociali dalle parti della negoziazione che lo ha generato”.

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acquistare eventualmente le azioni (qualora il recesso fosse comunque esercitato) a un prezzo inferiore al loro valore economico42.

In termini generali, inoltre, i fluttuanti valori di Borsa potrebbero addirittura, in un periodo di ampia incertezza dei mercati, generare un valore delle azioni inferiore al valore del patrimonio netto contabile dell’impresa. In questa eventualità è dubbio se tale ultimo valore debba comunque rappresentare il limite invalicabile o se, fedeli al testo letterale della norma, si possa accogliere in ogni caso il valore risultante dalla media dei prezzi di Borsa43.

Fonte di incertezza è poi la stessa nozione di media, il testo di legge non chiarendo se si debba ricorrere a una media semplice o ponderata, e in quest’ultimo caso a quale criterio di ponderazione si debba fare ricorso (ad esempio: volumi trattati, numero di contratti,e così via).

Resta infine dibattuto il criterio adottabile in ipotesi di valutazione di azioni quotate palesemente “sottili” e a ridotto flottante. Il rispetto del dettato legislativo richiederebbe anche in questo caso l’impiego della media dei valori registrati negli ultimi sei mesi; tuttavia in prospettiva meramente valutativa ci si interroga sul fatto se, in questa eventualità, possa essere corretto qualificare i titoli come non quotati e ricorrere pertanto ai criteri richiamati dal legislatore per le società ordinarie44.

2.3 Il valore di liquidazione delle quote di S.r.l. Dando per note anche con riferimento a questa tipologia di società le

vicende legislative o statutarie dalle quali può trarre origine il diritto di

42 Così P. ONIDA, Le dimensioni del capitale d’impresa. Concentrazioni, trasformazioni,

variazioni di capitale, Milano, 1951, pp. 236-237. L’Autore ricorda inoltre (p. 237) che in termini generali i prezzi di Borsa “si formano col concorso di molteplici, mutevoli e contingenti condizioni di mercato, estranee alla situazione economico-finanziaria e alla situazione patrimoniale – in qualunque senso intesa – della società cui le azioni si riferiscono. In momenti di generale depressione del mercato finanziario, ad esempio, potrebbero essere negoziate al di sotto della pari, anche azioni di società solide, dotate di vaste riserve e prosperose”.

43 A favore di tale limite si è espresso T. ONESTI, Problemi valutativi nella liquidazione della quota del socio uscente nelle società di persone e nelle società di capitali, Torino, 1991, p. 43.

44 È nota, ad esempio, la posizione assunta da P. ONIDA su tale problematica sin dagli anni ’50. In particolare l’Autore, in Le dimensioni del capitale d’impresa. Concentrazioni, trasformazioni, variazioni di capitale, Milano, 1951, p. 237, dopo aver criticato la valorizzazione del prezzo di liquidazione fondata sulle quotazioni di Borsa, così si esprime: “affinché non risultassero lesi i legittimi interessi del socio che recede in seguito a deliberazioni prese dalla maggioranza, il rimborso delle azioni dovrebbe essere effettuato – ci sembra – secondo il valore ad esse attribuibile, in funzione della loro presunta redditività”.

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recesso, si procede all’analisi critica dei parametri statuiti ex lege per la determinazione del valore della quota del socio uscente (che il legislatore, senza apparente ragione, ha diversificato rispetto alle azioni di società non quotate). Ai sensi dell’art. 2473 c.c. il socio uscente ex recesso ha diritto di ottenere il rimborso (non già la liquidazione come detta la corrispondente disciplina delle S.p.A.) della propria partecipazione “in proporzione del patrimonio sociale... determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso”.

Viene pertanto richiesta una valutazione a valori correnti, in virtù sia del momento temporale di riferimento (la dichiarazione di recesso) sia dell’espresso riferimento al mercato (che sottintende necessariamente valori attuali). Diversamente, come già osservato per le S.p.A. non quotate, il legislatore del 1942 aveva previsto un criterio di valorizzazione unicamente vincolato ai dati contabili dell’ultimo bilancio di esercizio45, criterio nel quale numerosa dottrina vi aveva intravisto il favor legis per la conservazione dell’equilibrio finanziario e del patrimonio della società a scapito delle pretese individualistiche del socio uscente (che in virtù di tale criterio avrebbe solitamente – ma solo “solitamente” come si avrà modo di osservare nel prosieguo – conseguito un valore di rimborso inferiore al “reale” valore della partecipazione)46.

La nuova formulazione tuttavia, sebbene abbia posto rimedio a talune critiche sollevate in passato a tutela dei soci di minoranza, pare caratterizzata da opacità e dal conseguente ampio spettro di chiavi interpretative. Transeat per il concetto di “patrimonio sociale”, relativamente al quale si possono richiamare tutte le osservazioni già supra evidenziate in tema di “capitale economico” e le conclusioni che indirizzano verso un riconoscimento dell’effettivo – e non meramente contabile – valore patrimoniale della partecipazione47; a generare il maggior numero di letture dottrinali – talora antitetiche – è tuttavia il secondo parametro, rectius il “valore di mercato”: a) della partecipazione? b) del patrimonio sociale? Di certo, nell’uno e nell’altro caso, si tratta di espressione priva di alcun portato

45 La normativa pre riforma richiedeva infatti, al pari della disciplina dettata per le

S.p.A. alla quale rinviava, che la partecipazione del socio recedente fosse valutata “in proporzione del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio”.

46 Cfr. per tutti L. ENRIQUES, S. SCIOLLA e A. VAUDANO, Il recesso del socio di s.r.l.: una mina vagante nella riforma, in Giur. Comm., 2004, p. 746.

47 Cfr. Trib. Lecco, Sez. II, 4 marzo 2010: “Il nuovo art. 2473 c.c. stabilisce che il rimborso della partecipazione al socio receduto avviene in proporzione del patrimonio sociale, che è a tal fine determinato tenendo conto del suo valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso. Pertanto la nuova disciplina delle s.r.l., nell’ipotesi che nulla lo statuto preveda per la liquidazione della quota al socio receduto, fa riferimento, alla <consistenza patrimoniale>, volendo così indicare che non si è vincolati al risultato dei dati contabili”.

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empirico, non essendovi – come noto, e come prevedibile trattandosi il più delle volte di piccole e medie imprese – alcun mercato né delle partecipazioni di S.r.l. né dei patrimoni di tali società (certo si possono rinvenire nella prassi non poche operazioni straordinarie che comportano, anche solo incidentalmente, il trasferimento oneroso di partecipazioni societarie di S.r.l., tuttavia la loro numerosità – e soprattutto pubblicità esterna – non è sufficiente per poter inferire l’esistenza di un mercato di tali partecipazioni o patrimoni in grado di generare prezzi che a loro volta possano configurarsi quali parametri di riferimento). Al riguardo, ci si potrebbe infatti chiedere se il <valore di mercato>, sia esso del patrimonio o della partecipazione, trovi manifestazione solamente ove in un arco temporale relativamente recente vi siano state operazioni straordinarie per le quali si sia dovuto valutare un effettivo prezzo di mercato di una o più quote (che per molteplici e non certo inusuali circostanze soggettive e oggettive ben potrà discostarsi dall’effettivo valore pro quota del patrimonio o dell’intero complesso aziendale), ovvero tale prezzo possa essere determinato anche in via teorica adottando, ad esempio, un criterio comparativo con altre imprese simili nello stesso settore, o in alternativa ricorrendo ad una valutazione soggettiva che tenga conto delle condizioni di ambiente (legislazione, particolari tutele delle minoranze previste dallo statuto, andamento del settore di riferimento, etc.). Vi è tuttavia il rischio che così operando la valutazione si tramuti in simulazione fondata su ipotesi altamente soggettive di negoziazione della partecipazione e su stime di scambio di volta in volta reputate adeguate alla fattispecie48.

Rileva poi osservare che al parametro del “patrimonio sociale” il legislatore non affianca alcun espresso riferimento al “bilancio dell’ultimo esercizio” quale primaria base di calcolo, rendendo dunque giustificabile a priori (e forse doverosamente opportuno) la stesura di un bilancio ad hoc, tipicamente infrannuale, sulle risultanze del quale fondare la determinazione del valore della quota. È indubbio che il concorrente riferimento al “valore di mercato” chiarisce sin da subito che il patrimonio sociale debba intendersi a valori patrimoniali effettivi (valore economico) e non limitato ai valori derivanti dalle risultanze contabili della società (valore contabile). Nondimeno una situazione contabile è necessario punto di partenza per ogni altra valutazione di carattere sostanziale. Nella prassi si ricorrerà pertanto, di norma, alla redazione di un bilancio straordinario che, diversamente dal bilancio d’esercizio destinato a pubblicazione, adotterà metodologie di valutazione e classificazione atte a far emergere il capitale economico

48 Emblematica al riguardo la critica di P.M. IOVENITTI che bolla come “inesistente nella

tecnica valutativa” e “inconsistente” il concetto di <valore di mercato del patrimonio sociale>: così in Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 485.

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dell’impresa: tali metodologie saranno, verisimilmente e con i dovuti aggiustamenti che la fattispecie del recesso esige, le stesse impiegate per i bilanci straordinari predisposti a seguito della determinazione del prezzo e del sovrapprezzo negli aumenti di capitale sociale a pagamento49 o nel caso di determinazione del rapporto di concambio in occasione di fusioni societarie. Le risultanze di tali bilanci consentiranno di determinare gli elementi base dai quali prendere le mosse per ottenere il valore di rimborso della quota oggetto di recesso, in particolare a seguito di opportuni ricalcoli volti in primis a far emergere eventuali plusvalenze latenti, ripulendo a tal fine il suddetto bilancio straordinario dalle inevitabili discrepanze contabili dovute inter alia: (i) alla mancata rivalutazione dei cespiti50; (ii) all’applicazione – in parte ancora attuale – del principio di prudenza e alla conseguente valorizzazione dell’attivo sulla base di valori minimi51; (iii) al continuato processo di mobilizzazione dei cespiti fissi e di reinvestimento delle disponibilità rivenienti.

A suggerire la necessità di un bilancio straordinario è poi lo stesso dettato legislativo, ove si precisa che la valutazione deve essere “effettuata al momento della dichiarazione di recesso”, ossia in un qualsiasi momento – tuttavia ben determinabile – nel corso dell’esercizio sociale solitamente non coincidente con la data di chiusura di quest’ultimo52.

Riprendendo a trattare la metodologia dettata ex lege per la determinazione del valore della partecipazione da rimborsare, si osserva che rilevanti dubbi dottrinali paiono altresì collegati alla locuzione “tenendo conto”, infelicemente impiegata dal legislatore non solo per le S.p.A. ma anche per le S.r.l. Al riguardo ci si interroga ancora una volta sull’eventualità che tale espressione (contrapposta ad esempio alla locuzione fare esclusivo riferimento prevista per le azioni di società quotate) possa consentire al valutatore di disattendere il parametro del “valore di mercato”

49 Cfr. M. CONFALONIERI, Aumenti e riduzioni del capitale sociale: versamenti dei soci,

aspetti civilistici, contabili e fiscali, le disposizioni del testo unico bancario, Milano, 1994, pp. 10-12. Si rimanda inoltre a M. PAOLONI e F.M. CESARONI, I bilanci straordinari, Padova, 1999 e L. POTITO, Bilanci straordinari, Torino, 1993, passim.

50 Cfr. C. MASINI, La dinamica economica nei sistemi dei valori d’azienda: valutazioni e rivalutazioni, Milano, 1955, passim.

51 Cfr. E. ARDEMANI, Il valore di presunto realizzo come parametro di riferimento, in AA.VV., Bilancio di esercizio e amministrazione delle imprese. Studi in onore di Pietro Onida, Milano, 1981, passim e R. PEROTTA, Il conferimento d’azienda, Milano, 2005, p. 72.

52 Parte della dottrina ammette la deroga statutaria di tale parametro temporale, suggerendo in alternativa il momento nel quale si è verificata la causa legittimante il recesso. Si eviterebbe così il rischio che un evento societario rilevante verificatosi tra due dichiarazioni di recesso, giustificate dalla medesima causa, possa alterare sensibilmente il valore di rimborso delle relative quote.

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e/o avvalersi di criteri differenti di determinazione del valore di rimborso della partecipazione. Ma anche se così fosse, resterebbe pur sempre il dubbio in merito a quali altri criteri valutativi potrebbero a tal fine utilizzarsi.

Relativamente all’oggetto della valutazione (ossia la frazione di patrimonio sociale), parte degli interpreti hanno voluto – si ritiene qui a ragione – dare una lettura restrittiva di tale grandezza (dovendosi dunque considerare unicamente gli elementi attivi e passivi del patrimonio o addirittura, a detta di taluni Autori, i soli elementi attivi53), negando ingresso ad ulteriori elementi oggetto di valutazione; altra parte della dottrina54, diversamente, vi ha letto la facoltà di poter interpretare estensivamente – con il rischio tuttavia che ciò possa essere operato arbitrariamente e a dismisura – il macro-parametro di riferimento (il patrimonio), potendosi così ricomprendere ad esempio le prospettive reddituali e le altre grandezze in grado di esprimere valori prospettici (il tutto in pro della determinazione non di un risultato che tenga conto unicamente dei valori correnti delle componenti attive e passive del patrimonio, bensì di un più ampio valore effettivo e/o equo della quota, interrogandosi poi, solo in un secondo momento, se di quest’ultima debba essere accertato il valore di funzionamento ovvero di liquidazione). Parrebbe qui – ma anche questa rimane pur sempre una delle molteplici letture – che l’assenza di un qualsivoglia riferimento alle prospettive reddituali (presente invece nella normativa concernete le S.p.A.) sia elemento sufficiente per escludere le stesse dalle variabili di analisi55.

Di non limpida interpretazione risulta poi anche la perifrasi “in proporzione”, che potrebbe alludere (i) sia ad una rigida applicazione matematica di tale regola, con esclusione pertanto di possibili sconti56, (ii) sia ad una più blanda lettura di chi voglia leggervi unicamente un parametro orientativo volto a richiamare concetti generali di ragionevolezza e ponderatezza. Nella prima ipotesi risulterebbe corretto, ai fini della determinazione del valore della partecipazione del socio uscente, modificare

53 Così M. MONTI, La liquidazione della quota di recesso del socio: aspettative di

valore e controversie, in Le società, 2007, n. 11, pp. 1342 ss. 54 Si veda per tutti M. VENTORUZZO, Recesso da società a responsabilità limitata e

valutazione della partecipazione del socio recedente, in Nuova Giurisprudenza Civile e Commerciale, 2005, pp. 434 ss.

55 In pro di tale valutazione si consulti L. ENRIQUES, S. SCIOLLA e A. VAUDANO, Il recesso del socio di s.r.l.: una mina vagante nella riforma, in Giur. Comm., 2004, pp. 745 ss. Contra V. CALANDRA BUONAURA, Il recesso del socio di società di capitali, in Giur. Comm., 2005, n. 3, pp. 291 ss.

56 Così P.M. IOVENITTI, Il nuovo diritto di recesso: aspetti valutativi, in Riv. Soc., 2005, p. 485 e M. TANZI, Commento art. 2473, in Niccolini-Stagno d’Alcontres (a cura di), Società di capitali. Commentario, 3, Jovene, 2004, n. 74, p. 1542.

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il valore neutro della quota, calcolato con il criterio ex lege di cui al menzionato art. 2473 c.c., mediante l’applicazione, come già visto per le S.p.A., di sconti a) di minoranza per ridotti poteri o b) di liquidità per mancanza di mercato e conseguente difficile smobilizzo della quota stessa, fissando così un valore minore del corrispondente patrimonio pro quota: operando in tal guisa ne conseguirebbe inevitabilmente un diverso valore di rimborso per le minoranze semplici e per le minoranze qualificate, differenza non così irragionevole qualora la finalità, come evidenziato supra, sia stimare un valore di mercato – almeno teorico – della relativa frazione del patrimonio sociale.

Riconosciuta in via interpretativa l’opportunità di determinare anche in ipotesi di S.r.l. il valore economico – effettivo e corrente – della partecipazione, resta poi da stabilire se sia preferibile un metodo che prediliga la valutazione della partecipazione intesa quale frazione di un complesso aziendale in funzionamento destinato a perdurare (come l’espresso riferimento al mercato parrebbe fare intendere), ovvero quale frazione del solo patrimonio (la norma non chiarisce se di riproduzione o di liquidazione) che non tenga conto delle prospettive reddituali dell’impresa (e conseguentemente di tutti gli elementi patrimoniali, come taluni intangibles non trasferibili, il cui valore sia strettamente riconducibile ad attese di redditi aziendali prospettici). Ai metodi patrimoniali puri utilizzabili per quest’ultima fattispecie, nella prima ipotesi (organismo in funzionamento) potranno affiancarsi anche i metodi reddituali, misti e finanziari.

Parimenti la norma non chiarisce se la valutazione della quota del socio recedente, in ipotesi di rimborso da parte della società con conseguente riduzione di capitale e/o riserve, debba tener conto del nocumento arrecato all’organismo aziendale a seguito della distrazione di tali risorse per finalità extra-aziendali. Se tale fosse l’orientamento interpretativo accolto dal valutatore, a contrariis dovrebbe riconoscersi in capo al socio uscente il diritto di vedere incrementato il valore della propria partecipazione qualora il recesso consegua alla delibera di approvazione di operazioni straordinarie comunque idonee ad accrescere il valore aziendale tout court.

Occorre infine rilevare che, sebbene non espressamente statuito dal testo di legge ma in ogni caso in linea con quanto previsto per le S.p.A., il criterio ex lege di definizione del valore di mercato del patrimonio sociale parrebbe integrabile da altri parametri statutariamente previsti. Alcuni Autori tuttavia, in virtù di asseriti motivi ispiratori dell’ultima riforma del diritto societario che vorrebbero vedere favorita – nella contrapposizione di interessi tra società e socio di minoranza – le ragioni di quest’ultimo, richiedono che tali ulteriori criteri debbano necessariamente introdurre metodologie di calcolo

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La valutazione della partecipazione del socio recedente da società di capitali: incertezze, arbitrarietà, patologie

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più favorevoli per il socio uscente57. Si osserverà tuttavia nel prosieguo come sia alquanto arduo fissare criteri di valorizzazione di una partecipazione societaria idonei ad essere <in ogni circostanza> della vita dell’impresa favorevoli per il socio uscente, sempre che non si voglia, per aggirare tale problematica ma con soluzione alquanto improbabile nella prassi, prevedere l’astratta utilizzabilità di più criteri con l’unica regola di rimborsare al recedente il valore risultante dal criterio comunque a lui più favorevole.

2.4 La discrezionalità tecnica del valutatore tra arbitrarietà eterodiretta e patologie secundum legem

Da quanto analizzato sopra, e tralasciando in questa sede le disposizioni di dettaglio apprestate per le società quotate, emerge che – diversamente dai criteri contabili e pressoché <neutri> che hanno caratterizzato la normativa pre riforma in merito all’oggetto del presente lavoro – la quantificazione del valore della partecipazione relativamente alla quale sia stato esercitato il diritto di recesso è oggi demandata ad articolati procedimenti di valutazione, indubbiamente ragionati e parzialmente guidati, ma pur sempre ultimamente soggettivi.

In particolare, ai valori meccanicamente estraibili dall’ultimo bilancio di esercizio al fine di determinare il quantum di liquidazione (o di rimborso), il legislatore ha sostituito specifici macro-criteri di valutazione, tanto generali nella loro piana formulazione quanto vaghi e incerti in sede applicativa, e nondimeno difformi nella loro consistenza (sinteticamente, il valore del capitale economico per le S.p.A., il prezzo di mercato per le società quotate, il valore del patrimonio sociale per le S.r.l.). Da tale generica indeterminatezza discendono poi, fatalmente, interpretazioni di dottrina se non massimamente contraddittorie, quantomeno eterogenee e composite (pertanto astrattamente idonee, ove opportunisticamente selezionate, a giustificare aspettative di valore da parte del socio che abbia esercitato il diritto di recesso quasi sempre disallineate rispetto ai valori “offerti” dagli amministratori)58.

Necessariamente poi l’astrattezza delle innovate e vigenti disposizioni di legge contribuirà in maniera rilevante a favorire ipotesi di contenzioso societario, in un ambito già di per sé alquanto sensibile stante la natura marcatamente monetaria e patrimoniale che caratterizza i conflitti di interesse connessi alla fattispecie in esame (la quantificazione del credito spettante al socio uscente). Verranno così avviati procedimenti giudiziari

57 Cfr. P. PISCITELLO, Riflessioni sulla nuova disciplina del recesso nelle società di

capitali, in Riv. Soc., 2005, p. 531. 58 Cfr. M. MONTI, La liquidazione della quota di recesso del socio: aspettative di valore

e controversie, in Le società, 2007, n. 11, p. 1340.

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caratterizzati tra l’altro, oltre che da particolareggiati tecnicismi, da una elevata onerosità, in considerazione della prevedibile frequenza con la quale il giudice incaricato di dirimere la controversia procederà, conformemente al disposto normativo cui si accennerà a breve, a nominare un consulente tecnico d’ufficio per le definitive valutazioni (con costi di causa talora considerevoli se comparati ai valori oggetto di contestazione, che potranno poi essere ulteriormente incrementati degli onorari per i valutatori di parte). Senza poi escludere l’ipotesi che, ancora prima di analizzare e applicare i criteri prefissati ex lege, i consulenti tecnici siano invitati a – o necessariamente debbano – valutare la fondatezza e la correttezza del bilancio straordinario infrannuale all’uopo predisposto dagli amministratori della società.

Come accennato, in ipotesi di conflittualità e ove non si pervenga ad un accordo transattivo stragiudiziale, la soluzione della controversia è demandata all’intervento di un valutatore terzo, intervento quest’ultimo finalizzato tra l’altro a dissuadere le parti litigiose e temerarie dall’esacerbare soluzioni eccessivamente lontane da ragionevoli pretese. In particolare, il disposto normativo prevede che la composizione del contrasto tra le parti in causa sia assicurata – o quantomeno facilitata – dal coinvolgimento di un esperto nominato dal Tribunale il quale se “non risulta che le parti vollero rimettersi al suo mero arbitrio... deve procedere con equo apprezzamento”, prevedendosi poi, quale ultimo rimedio, che se la valutazione operata dall’esperto “è manifestamente iniqua o erronea, la determinazione è fatta dal giudice” (art. 1349, comma 1, c.c.)59.

E proprio per dare soluzione univoca all’indeterminatezza dei testi di legge in materia, e così ridurre il rischio di arbitrarie e opportunistiche quantificazioni, il valutatore è chiamato in primis ad interrogarsi sulle finalità ultime di tali disposizioni normative indagando se le stesse siano in qualche modo orientate a favorire uno o altro interesse coinvolto (alias del socio uscente interessato a massimizzare il proprio credito di liquidazione della partecipazione, degli altri soci che potrebbero essere intenzionati ad acquistare tale partecipazione per non alterare gli equilibri di governance societaria con l’ingresso di nuovi soci, della società che potrebbe vedersi costretta, in mancanza di acquirenti, a liquidare il credito spettante al socio uscente tramite riduzione delle proprie risorse e conseguente distrazione di

59 Cfr. G. FAUCEGLIA, Arbitraggio e determinazione del valore della quota nella

disciplina del recesso nella società a responsabilità limitata, in Giur. It., 2007, p. 2787: “l’esperto deve procedere con equo apprezzamento alla determinazione della prestazione, ma non potrà adottare un criterio ispirato alla mera equità contrattuale, che svolge una funzione di ricerca in via preventiva dell’equilibrio mercantile tra prestazioni contrapposte e di perequazione degli interessi economici in gioco”.

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fondi non più destinati al conseguimento dell’oggetto sociale): certo, ove diversamente il valutare non si convinca di poter operare scevro da condizionamenti di ragionevolezza, equità e politica societaria, impiegando stime e assunzioni asseritamente imparziali, giungendo infine a determinare il valore (l’unico?) congruo della partecipazione oggetto di recesso.

Tuttavia, non v’è chi non veda l’impossibilità – in primis soggettiva – di poter procedere a valutazioni imparziali e neutre di valori, almeno in parte, stimati e prospettici. Si tratta infatti, sempre e comunque, di scelte – sebbene ponderate – necessariamente discrezionali60, e pertanto talora distorsive di delicati equilibri gestionali e patrimoniali, se non addirittura tecnicamente inefficaci nel pervenire ad una soluzione equa, mediata e difficilmente opinabile.

Proprio a questo riguardo, la dottrina economico-aziendale ha contribuito a chiarire che non può stabilirsi a priori una metodologia di stima del valore aziendale ottimale e corretto in ogni circostanza e per qualsivoglia finalità di indagine. Per tale ragione, sempre con il fine di evitare valutazioni fuorvianti e foriere di contenzioni legali, occorre anzitutto che sia ricercata e mantenuta nel corso dell’intero processo valutativo la coerenza tra scopi e metodologie.

Potrebbe nondimeno verificarsi l’ipotesi che il procedimento di valutazione, proprio in quanto configurabile variamente sebbene secundum legem, si tramuti in una mera contrattazione dialettica condotta badando bene a limitare il rischio di sfociare nel contenzioso giudiziario, con tutte le conseguenti incertezze che quest’ultimo comporterebbe in merito a tempi, costi e possibilità di alterare il valore ab initio fissato dagli amministratori: ne seguirebbe un consenso mediato che le parti raggiungerebbero – sostanzialmente – a seguito di un esercizio sommario di valorizzazione, senza il coinvolgimento delle minuziose tecniche aziendali, il cui impiego servirebbe al più a giustificare ex post l’importo già concordato a seguito di tale procedimento di negoziazione massimamente a-tecnico. In tale evenienza i rapporti di forza delle parti verranno reciprocamente soppesati nel corso di un procedimento che, verisimilmente, replicherà le tipiche logiche osservabili in occasione di operazioni di cessione di partecipazioni societarie.

Si ritiene qui che, almeno in favore del fine ultimo della certezza del diritto, il legislatore avrebbe dovuto evitare formulazioni dai confini labili e variabili, come la predetta analisi dei criteri di cui agli artt. 2437 ter e 2473 c.c. ha chiaramente evidenziato, e optare diversamente per canoni esegetici il più possibili lineari, neutrali, razionali e dimostrabili, eventualmente in

60 Si pensi alle tipiche assunzioni – talora scarsamente giustificate – in tema di saggi di

sconto, di crescita o di attualizzazione, redditi medi, durata dell’azienda, e così via.

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danno dell’<effettività> e in pro di valori <convenzionali> – ma in ogni caso univoci – quali di fatto si presentavano i valori di bilancio <storici> e <prudenziali> previsti dal precedente sistema normativo.

Né pare corretto addurre a difesa e giustificazione dei nuovi criteri la tutela del socio di minoranza contro l’egemonia, talora imposta senza contradditorio, del gruppo di controllo. È infatti unanimemente riconosciuto che i nuovi dettati legislativi in materia di recesso da società di capitali abbiano inteso favorire la valorizzazione della quota del socio recedente, a tutela di una posizione soggettiva ritenuta in passato decisamente penalizzata dall’utilizzo di criteri vincolati a parametri bilancistici necessariamente prudenziali. Mutatis mutandis ad essere indebolita è ora la concorrente esigenza di stabilità finanziaria della società, in danno dei creditori sociali e a decremento delle risorse societarie primariamente finalizzate a garantire la continuità aziendale nel rispetto del dinamico principio di economicità61.

Ma se la preferenza accordata all’interesse del socio uscente è oggi l’assunto implicito del diritto societario – presupposto questo che in ogni caso non può sconfinare nel riconoscimento di disinvolte e arbitrarie sopravvalutazioni della partecipazione oggetto di recesso –, merita osservare che il tramutarsi di tale preferenza in effettivo vantaggio economico è unicamente l’id quod plerumque accidit. Al verificarsi di particolari ipotesi, infatti, il socio uscente potrebbe subire un decremento del valore della propria partecipazione proprio a seguito dell’applicazione dei nuovi criteri di legge, in pro dei concorrenti interessi vuoi degli altri soci vuoi della società e dei suoi creditori. Per limitarsi ad un esempio, e proprio come il caso delineato al successivo paragrafo avrà modo di evidenziare, qualora tra i criteri di calcolo siano ricomprese le prospettive reddituali e in presenza di perdite attese, le valutazioni condotte con il metodo misto (interpretativamente ritenuto il più opportuno per le partecipazioni di S.p.A.) potrebbero comportare un valore inferiore a quello determinabile con l’impiego di un metodo puramente storico-contabile o comunque di un metodo che “tenga conto” principalmente della consistenza patrimoniale (come parrebbe sia normativamente previsto per le quote di S.r.l.): al verificarsi di tali presupposti i valori patrimoniali sarebbero infatti

61 L’estensione del fenomeno del recesso, conseguente al rilevante incremento delle

cause che giustificano l’esercizio di tale diritto, genera inevitabilmente in capo all’impresa la necessità di operare una accorta pianificazione finanziaria onde anticipare la disponibilità di fondi per rispondere agli egressi dalla società, con l’inevitabile manifestarsi di ulteriori oneri amministrativi non direttamente finalizzati al conseguimento dell’oggetto sociale; sempre che non si decida di ricorrere allo jus poenitendi legislativamente previsto, ossia la possibilità di revocare la delibera che ha legittimato il recesso.

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ridimensionati negativamente in misura corrispondente al badwill prospettico62.

Ecco allora emergere rilevanti – e ci si potrebbe chiedere quanto giustificate – differenze di valutazione a seconda della tipologia di società cui la partecipazione si riferisce e della fase in cui si collochi l’impresa nel proprio ciclo di vita. Ad esempio, in ipotesi di crisi d’impresa, e pertanto di prospettive reddituali negative, ad essere favorito dal processo di valutazione del valore di rimborso della propria partecipazione sarebbe il socio uscente di una S.r.l., non di una S.p.A.; circostanza questa che non stupisce se si considera il rilevante carattere personalistico attribuito dalle recenti disposizioni normative alla prima tipologia societaria e il conseguente favor legis per l’eventuale uscita dei soci di minoranza in disaccordo con il gruppo di comando che tale stato di crisi possono aver contribuito a creare.

In sintesi, l’adozione di una o altra metodologia di valutazione della partecipazione del socio recedente – comunque legislativamente fondata – non è certo neutrale. Nel contesto di un quadro normativo incerto come quello attuale, soggetto a differenziate interpretazioni spesso non peregrine bensì, per le più varie ragioni – storiche, comparative, di equità, di sistema normativo tout court, e così via –, ragionate e fondate e dunque prima facie proponibili e difendibili in sede sia giudiziale sia extra-giudiziale, il socio recedente sarà sempre propenso a lamentare nelle opportune sedi una indebita decurtazione del valore della propria partecipazione63; viceversa gli altri soci e la società avranno ragioni per supportare l’opposta pretesa. Le nuove disposizioni legislative, proprio in conseguenza del loro essere tecnicamente complesse, finiscono così per favorire indesiderati fenomeni di opportunismo interpretativo che risentono dell’inevitabile disallineamento tra interessi contrapposti: disallineamento questo che, come osservato, trova de facto più spesso soluzione nel dinamico equilibrio dei rapporti di forza

62 Valore questo già a propria volta soggetto a rilevante arbitrarietà in ambito valutativo.

Cfr. P.E. CASSANDRO, L’avviamento e la sua valutazione, 1955 in Scritti vari 1929-1990, Bari, 1991, p. 303 e E. ARDEMANI, L’avviamento dell’impresa, Milano, 1958, passim.

63 Si può al riguardo presumere che, in ipotesi di S.r.l., la predilezione dell’organo amministrativo per la minore quantificazione del valore di rimborso della quota del socio uscente – sempre nel rispetto ed entro gli elastici confini del disposto normativo – sia ancor più accentuata se si tiene conto che, nella frequente ipotesi di realtà sottocapitalizzate, tale liquidazione potrebbe comportare lo scioglimento della società ove le riserve e il capitale siano insufficienti per garantire l’esborso dovuto al socio. E tale evenienza risulta ancora più probabile ove gli altri soci non dispongano delle risorse sufficienti per acquistare la quota del socio che ha esercitato il diritto di recesso, essendo evidenti le difficoltà di rinvenire sul mercato acquirenti terzi di partecipazioni minoritarie di tale tipologia societaria.

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che non all’esito di litigiose logomachie interpretative eventualmente in sede giudiziale.

3. Il caso Beta S.r.l.

3.1 Introduzione I profili sopra delineati – inter alia la variabile interpretazione dei testi di

legge, la soggettività nell’adozione di uno o altro parametro valutativo, la discrezionalità tecnica nell’impiego delle metodologie economico-aziendali di misurazione del valore aziendale, la rilevanza dei rapporti di forza sebbene nel contesto di un procedimento regolato ex lege – possono venire osservati attraverso l’analisi di un caso aziendale, soprattutto significativo per la complessità del processo valutativo che ha condotto alla determinazione del corrispettivo di liquidazione della partecipazione, nel caso di specie la quota di una S.r.l.

La medesima complessità è emersa non solo in relazione alla varietà delle procedure utilizzate per la definizione del quantum di rimborso, ma anche rispetto all’articolato processo di <negoziazione> attraverso il quale le parti hanno raggiunto l’accordo sul prezzo finale.

La società in esame è holding di un gruppo operante nel settore della lavorazione dell’acciaio, nato con il primo stabilimento nazionale agli inizi degli anni ’50 del ‘900.

Nel corso degli anni ’70, gli sviluppi del gruppo si sono realizzati soprattutto attraverso la costituzione di nuove società, sia per l’esecuzione specializzata di singole fasi del processo di produzione, sia per lo sviluppo di nuove tecnologie e per l’attivazione di impianti di crescenti dimensioni.

Gli anni ’80 sono stati connotati da una progressiva razionalizzazione degli apparati produttivi e dal consolidamento dell’azienda sui mercati esteri – europei ed extra-europei – sia mediante esportazione, sia attraverso la costituzione di società in loco.

Nel corso degli anni ’90 l’espansione dell’azienda si è realizzata soprattutto attraverso l’innovazione di prodotto, l’ampliamento della gamma produttiva e l’apertura di nuovi stabilimenti nel mercato nazionale.

Gli ultimi decenni sono stati caratterizzati sia dal rafforzamento della presenza sui mercati esteri, con la costituzione di ulteriori società partecipate, sia dall’innovazione di processo per il miglioramento della qualità e il contenimento dei tempi di produzione, che per taluni prodotti sono stati ridotti da un anno a un mese.

La maggior parte degli stabilimenti opera a ciclo continuo lungo un processo produttivo che si articola principalmente nelle seguenti fasi:

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• fusione; • realizzazione del prodotto finito; • confezionamento;

La struttura del gruppo si è dunque progressivamente ampliata, sino ad assumere dimensione internazionale, ed è attualmente articolata come segue.

Struttura del gruppo

La compagine societaria della società Beta S.r.l. è a ristretta base

familiare. Nell’anno x la società ha manifestato l’intendimento di porre in essere

un’operazione di scissione parziale proporzionale, principalmente finalizzata alla separazione del patrimonio immobiliare dalle attività industriali .

A fronte di tale previsione il socio Tizio, persona fisica titolare di una quota di minoranza pari al 16% del capitale sociale, ha palesato la propria intenzione di recedere dalla società in caso di perfezionamento dell’operazione.

È in tal modo emersa la necessità per la società di stimare il valore di liquidazione della partecipazione del socio dissenziente al fine di valutare ex ante: a) la sostenibilità del rimborso; b) la convenienza effettiva della scissione, tenuto conto dell’onere aggiuntivo determinato dal recesso; c) l’opportunità di non dare corso all’operazione o di rinviarla.

Analoga necessità si è posta per il socio uscente, specialmente al fine di proporre una propria valutazione, alternativa a quella della società, e di

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verificare la convenienza del recesso, una volta noti i valori peritali e i possibili accordi raggiungibili.

È stato quindi attivato un complesso processo di valutazione volto alla determinazione del capitale economico della società e all’apprezzamento del <valore fondamentale> della quota di minoranza.

A questo processo si è altresì associata un altrettanto laboriosa contrattazione del valore di liquidazione della partecipazione mirata da un lato a individuare un corrispettivo di rimborso accettabile per il recedente e nel contempo sostenibile dalla società o dai soci; dall’altro ad appurare, in funzione del quantum negoziato, la concreta fattibilità dell’operazione di scissione da parte della società, e l’opportunità di esercitare o meno il diritto da parte del socio uscente.

Le fasi principali nelle quali si è articolato il procedimento valutativo sono così sintetizzabili:

• la determinazione preventiva del valore della quota da parte della società;

• la determinazione preventiva del valore della quota da parte del recedente;

• la <negoziazione> del valore della quota.

Si delineano nel seguito le fasi supra.

3.2 La determinazione preventiva del valore della quota da parte della società

a) Il valore economico della società Beta S.r.l.

Come osservato, a seguito dell’intenzione di recedere manifestata dal socio, si è posta per la società la necessità di una nuova valutazione della convenienza economica della scissione, in particolare finalizzata a raffrontare il beneficio da essa ritraibile, con i costi complessivi dell’operazione, ora comprensivi, oltre che degli oneri già stimati, anche dell’esborso derivante dalla liquidazione della quota.

La medesima valutazione è risultata nel contempo necessaria per le determinazioni di convenienza dei soci <superstiti>, specialmente al fine di appurare, sulla base del prezzo stimato della quota, la convenienza dell’acquisto e l’entità dell’impegno finanziario riveniente.

In questa duplice valutazione si è quindi concretamente compiuto l’iter di liquidazione ideato dalla norma: da un lato il corrispettivo di acquisto ha costituito condizione essenziale per le valutazioni di convenienza economica dei soci restanti, in particolare incentrate sull’utilità dell’acquisto e sulla sostenibilità dell’esborso; dall’altro il valore di liquidazione ha

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assunto rilievo essenziale per la società recessa, il cui coinvolgimento patrimoniale sarebbe risultato necessario nell’ipotesi in cui i soci <superstiti> non si fossero resi cessionari della quota del recedente.

Tutte le stime composte in questo stadio del procedimento, così come le negoziazioni che ne sono conseguite, sono quindi state effettuate in via preventiva rispetto all’esercizio del diritto, soprattutto al fine di pervenire a una più snella soluzione del procedimento che consentisse di adottare la delibera di scissione una volta noti i termini economici del problema, e in particolare il costo del recesso e i soggetti (i soci oppure la società) che del medesimo avrebbero dovuto farsi carico.

Dalle risultanze di dette stime sarebbe infatti potuta derivare anche l’eventuale rinuncia all’operazione, ad esempio laddove i soci restanti non fossero stati disponibili all’acquisto o in grado di rinvenire un terzo acquirente, e nel contempo il rimborso fosse risultato finanziariamente e contabilmente insostenibile per la società recessa.

A tal fine la società ha assegnato l’incarico di valutazione a un perito indipendente, scelto con il consenso dei soci restanti.

Il metodo adottato per la determinazione del valore della quota di minoranza è risultato peraltro condizionato da almeno due circostanze: a) le disposizioni dell’atto costitutivo; b) la complessità della valutazione.

Con riguardo al profilo sub a), lo statuto della società, in deroga alla regola legale prevista per le società a responsabilità limitata, ha stabilito che in ipotesi di recesso per la valutazione della quota si adottasse il medesimo criterio applicabile alle società per azioni, ossia il congiunto apprezzamento della consistenza patrimoniale, delle prospettive reddituali e dell’eventuale valore di mercato delle quote.

È stato dunque introdotto pattiziamente un criterio che, a meno di perdite, risulta tendenzialmente migliorativo per il recedente, includendo, in aggiunta alla valorizzazione del patrimonio societario, anche l’apprezzamento delle capacità di reddito dell’impresa.

Più problematico risulta invece il riferimento al valore di mercato, atteso che per le quote di società a responsabilità limitata tale mercato generalmente non sussiste, potendosi tutt’al più fare riferimento ai prezzi di transazioni similari e recenti, ove disponibili.

In relazione al profilo sub b), la complessità della stima è stata determinata, oltre che dal più elaborato criterio di liquidazione stabilito in via convenzionale, anche dalla tipologia della società da valutare che in quanto holding di partecipazioni ha reso necessaria l’estensione della perizia a tutte le partecipate.

Il procedimento di valutazione adottato è stato articolato nei tre seguenti stadi principali:

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1. la determinazione del <Net Asset Value> (NAV), computato come differenza tra il <Gross Asset Value> – dato dal valore delle partecipazioni e degli altri elementi dell’attivo – e l’indebitamento netto;

2. l’applicazione di sconti di minoranza; 3. l’applicazione di sconti di illiquidità della quota.

In relazione alla fase sub 1), la determinazione del NAV è stata

sviluppata come segue.

a) Stima analitica del valore delle società controllate e collegate con utilizzo di metodi sia <reddituali>, sia <patrimoniali>.

b) Stima del valore delle partecipazioni detenute in società quotate mediante applicazione dei prezzi di Borsa.

c) Per tutti i beni diversi dalle partecipazioni assunzione del valore contabile risultante da apposita situazione patrimoniale redatta alla data di riferimento della perizia. Questa scelta ha trovato soprattutto giustificazione nella rivalutazione dei cespiti operata dalla società in prossimità della stima.

d) Computo del carico tributario gravante sulle plusvalenze relative alle partecipazioni immobilizzate, con applicazione del regime <Pex> in presenza dei relativi requisiti.

e) Sottrazione del debito finanziario netto dalla somma dei valori di cui sopra.

In relazione alle fasi sub 2) e 3), l’applicazione dello sconto di minoranza è stata determinata in ragione dell’entità della quota detenuta dal recedente, mentre lo sconto di illiquidità ha trovato ragion d’essere nella mancanza di agevole negoziabilità della partecipazione per assenza di quotazione.

Le componenti fondamentali determinanti del valore economico (Equity Value) della società sono sintetizzabili come segue.

Composizione dell’Equity Value della Società Beta S.R.L.

Partecipazioni Partecipazione in A ITALIA Partecipazione in B ITALIA Partecipazione in C FRANCIA Partecipazione in D ITALIA Partecipazione in E ITALIA Partecipazione in F SPAGNA Partecipazione in G USA Partecipazione in H POLONIA Altre attività finanziarie Altre attività

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La valutazione della partecipazione del socio recedente da società di capitali: incertezze, arbitrarietà, patologie

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TOTALE - GROSS ASSET VALUE - Debito finanziario netto TOTALE - NET ASSET VALUE - Sconto di minoranza - Sconto di illiquidità TOTALE EQUITY VALUE

Nello specifico i valori sono stati determinati come segue.

Equity Value Beta S.r.l. (valori in euro)

Voce Importo Partecipazioni Partecipazione in A ITALIA 236.116.342 Partecipazione in B ITALIA 990.540 Partecipazione in C FRANCIA 10.046.902 Partecipazione in D ITALIA 13.697.748 Partecipazione in E ITALIA 56.602 Partecipazione in F SPAGNA 21.622.065 Partecipazione in G USA 169.806 Partecipazione in H POLONIA 311.312 Totale Partecipazioni 283.011.317 Altre attività finanziarie Crediti finanziari 65.800.000 Altri titoli 4.102.968 Totale altre attività finanziarie 69.902.968 Totale immobilizzazioni finanziarie 352.914.285 Altre attività Immobilizzazioni materiali nette 55.278.338 Attività commerciali nette 3.080.407 Totale altre attività 58.358.745

TOTALE - GROSS ASSET VALUE 411.273.030

- Debito finanziario lordo - 18.362.162 + Crediti finanziari a breve e liquidità 2.886.115 - Debito finanziario netto - 15.476.047 - Fondi per rischi e oneri - 14.395.223 - Totale indebitamento netto - 29.871.270

TOTALE - NET ASSET VALUE 381.401.760

- SCONTO DI MINORANZA - 55.384.000 - SCONTO DI ILLIQUIDITA’ - 48.566.000

TOTALE EQUITY VALUE 277.451.760

Si delineano nel seguito i criteri di valutazione utilizzati per la

determinazione dell’Equity Value di cui sopra.

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Criteri di valutazione - Equity Value Beta S.r.l.

Voce Criterio di valutazione Partecipazione in A ITALIA Metodo reddituale analitico Partecipazione in B ITALIA Net Asset Value Partecipazione in C FRANCIA Net Asset Value Partecipazione in D ITALIA Metodo reddituale analitico Partecipazione in E ITALIA Prezzo medio di Borsa Partecipazione in F SPAGNA Prezzo medio di Borsa Partecipazione in G USA Prezzo medio di Borsa Partecipazione in H POLONIA Patrimonio netto contabile Crediti finanziari Valore contabile Altri titoli Valore contabile Immobilizzazioni materiali nette Valore contabile Attività commerciali nette Valore contabile Debito finanziario lordo Valore contabile Crediti finanziari a breve e liquidità Valore contabile Fondi per rischi e oneri Valore contabile Sconto di minoranza Indici holding quotate Sconto di illiquidità Metodo analitico

In particolare, per tutti gli elementi attivi e passivi del capitale diversi

dalle partecipazioni è stato mantenuto il valore contabile posto che la ri-espressione a valori correnti non avrebbe condotto a differenze di rilievo. b) La valutazione delle società partecipate

Con riguardo alle partecipazioni, si osserva che il medesimo criterio utilizzato per la società Beta S.r.l. è stato altresì applicato alla controllata B ITALIA, in quanto anch’essa società di partecipazioni.

In particolare, il relativo valore è stato determinato mediante somma algebrica del patrimonio netto alla data di riferimento, delle minusvalenze e delle plusvalenze latenti sulle partecipazioni detenute da B ITALIA, come segue.

Equity Value B ITALIA (valori in euro)

Voce Importo Patrimonio netto 4.751.276 Minusvalenze nette d’imposta su partecipazioni - 4.502.201 Plusvalenze nette d’imposta su partecipazioni + 741.465 Equity Value 990.540

Le minusvalenze e le plusvalenze di cui sopra sono derivate dalla

differenza tra il valore corrente delle partecipazioni detenute da B ITALIA in I ITALIA e L ITALIA e il relativo valore di carico.

Per quanto attiene a I ITALIA, la plusvalenza è stata così computata.

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Plusvalenza su partecipazione in I ITALIA (valori in euro)

Voce Importo Valore di carico della partecipazione 1.270.815 Equity Value pro-quota (5.618.275 x 40%) 2.247.310 Sconto di illiquidità - 224.731 Equity Value pro-quota al netto sconto 2.022.579 Plusvalenza lorda 751.764 Imposte (Pex) - 10.299 Plusvalenza netta 741.465

La valutazione della società I ITALIA per la determinazione dell’ Equity

Value pro-quota è stata effettuata con applicazione del metodo reddituale, mediante capitalizzazione del Reddito Medio Normale, computato sulla base del budget redatto alla data di riferimento, opportunamente rettificato e integrato.

È stata in particolare adottata la seguente formula:

Equity Value = (NOPAT/C.M.P.C.) – PFN + AA

ove

NOPAT = reddito operativo al netto di imposta (Net Operating Profit After Taxes); C.M.P.C. = costo medio ponderato del capitale; PFN = posizione finanziaria netta; AA = attività accessorie.

La valorizzazione della società I ITALIA è quindi risultata così

determinata.

Equity Value I ITALIA (valori in euro)

Voce Importo Ebit Budget (in linea con mediana ultimi 5 anni) 1.500.000 Ammortamenti (in linea con mediana ultimi 5 anni) - 318.920 Altre rettifiche 110.500 Ebit Budget rettificato 1.291.580 Imposta IRES - 355.130 Imposta IRAP - 86.700 NOPAT 849.750 C.M.P.C. 11% Valore lordo 7.725.000 Debito netto - 2.208.045 Attività accessorie 101.320 Equity Value 5.618.275

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In relazione alla partecipata L ITALIA, la minusvalenza è stata determinata previa valutazione della società con il metodo patrimoniale, ossia tramite ri-espressione a valori correnti degli elementi dell’attivo e del passivo, come segue.

Minusvalenza su partecipazione in L ITALIA (valori in euro)

Voce Importo Cassa e disponibilità liquide 1.177 Crediti 59.888.634 Altre attività 135.656 Totale attivo 60.025.467 Debiti 51.076.556 Altre passività 773.487 Fondi per rischi e oneri 0 Equity Value 8.175.424 Equity Value pro-quota (10%) 817.542 Valore di carico 5.382.280 Minusvalenza 4.564.738 - Imposte (Pex) - 62.537 Minusvalenza netta 4.502.201

Il medesimo criterio reddituale utilizzato per la valutazione della società

I ITALIA è stato impiegato altresì per le società A ITALIA e D ITALIA, con le seguenti risultanze.

Equity Value A ITALIA (valori in euro)

Voce Importo Ricavi 898.500.000 Costi - 817.068.000 Margine 81.432.000 Costi generali - 12.528.000 Ebitda 68.904.000 Ammortamenti - 12.006.000 Ebit 56.898.000 Imposte -18.583.200 NOPAT 38.314.800 C.M.P.C. 9% Valore lordo 425.720.000 Attività accessorie 60.121.142 Debito netto - 249.724.800 Equity Value 236.116.342 Equity Value pro-quota (100%) 236.116.342

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Per la valutazione di D ITALIA è stato applicato il criterio <reddituale analitico asset-side>, mediante attualizzazione dei flussi di reddito operativo netto d’imposta (NOPAT), a un saggio espressivo del costo del capitale, mediante utilizzo della seguente formula.

Equity Value = [NOPAT/(coc – g)] + Net Cash + SA,

ove

NOPAT = reddito operativo al netto d’imposta; coc = costo opportunità del capitale; g = saggio di crescita oltre il periodo di previsione; Net Cash = cassa al netto dei debiti e degli investimenti; SA = attività accessorie. Su queste basi il valore di D ITALIA è stato determinato come segue. NOPAT medio (previsione a cinque anni) = 2.165.640 Somma NOPAT a cinque anni attualizzati = 3.056.880 coc = 9,57% g = 0%.

Equity Value D ITALIA (valori in euro)

Voce Importo NOPAT medio 2.165.640 Valore totale [NOPAT medio/(coc-g)] 22.629.467 Valore totale attualizzato (a 0,605) 13.690.828 Equity Value Core (incluso NOPAT medio) 15.856.468 Attività accessorie 1.736.303 Net Cash 1.975.440 Equity Value 19.568.211 Equity Value pro-quota (70%) 13.697.748

La partecipata C FRANCIA è stata valutata con applicazione del metodo patrimoniale, mediante ri-espressione a valori correnti delle partecipazioni, come segue.

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Equity Value C FRANCIA (valori in euro)

Voce Importo Partecipazioni 8.200.000 Disponibilità liquide 2.840.806 Crediti 7.630.281 Altre attività 3.570.680 Totale attivo 22.241.767 Debiti 3.080.230 Altre passività 1.496.700 Fondi per rischi e oneri 920.000 Equity Value 16.744.837 Equity Value pro-quota (60%) 10.046.902

Per la determinazione dell’Equity Value della società M GERMANIA,

partecipata al 100% da C FRANCIA, è stato utilizzato il metodo patrimoniale come segue.

Equity Value M GERMANIA (valori in euro)

Voce Importo Partecipazioni 2.760.000 Disponibilità liquide 1.862.000 Crediti 4.268.000 Altre attività 2.863.000 Totale attivo 11.753.000 Debiti 3.000.000 Altre passività 553.000 Fondi per rischi e oneri 0 Equity Value 8.200.000 Equity Value pro-quota (100%) 8.200.000

In relazione alle partecipazioni detenute da M GERMANIA in N

SLOVENIA e O ROMANIA, atteso che le due società partecipate sono di recente costituzione, la mancanza di serie storiche e la conseguente incertezza delle previsioni hanno indotto a utilizzare, in via prudenziale, il valore del patrimonio netto contabile risultante alla data di riferimento della stima, come segue.

Equity Value N SLOVENIA (valori in euro)

Voce Importo Patrimonio netto contabile alla data di riferimento 3.000.000 Equity Value 3.000.000 Equity Value pro-quota (80%) 2.400.000

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Equity Value O ROMANIA (valori in euro)

Voce Importo Patrimonio netto contabile alla data di riferimento 2.000.000 Equity Value 2.000.000 Equity Value pro-quota (18%) 360.000

Le partecipazioni nelle società quotate E ITALIA, F SPAGNA e G USA

sono state valorizzate al prezzo medio di Borsa. Per quanto attiene alla partecipazione in H POLONIA, tenuto conto che

la società è di recente costituzione e in considerazione altresì della ridotta quota percentuale detenuta da Beta, la valutazione è stata effettuata sulla base del patrimonio netto contabile come segue.

Equity Value H POLONIA (valori in euro)

Voce Importo Patrimonio netto contabile alla data di riferimento 7.782.800 Equity Value 7.782.800 Equity Value pro-quota (4%) 311.312

c) Gli sconti di minoranza e di illiquidità

Così delineati i procedimenti di valutazione delle partecipazioni, rileva

altresì considerare l’applicazione degli sconti di minoranza e di illiquidità. In relazione allo sconto di minoranza, l’indice è stato determinato sulla

base dello sconto medio sul NAV stimato per holding europee, e in particolare per titoli <monoholding>, ossia relativi a holding non diversificate, quali la società Beta S.r.l.

Per quanto attiene allo sconto di illiquidità, la sua applicazione trova soprattutto giustificazione nei maggiori oneri che l’investitore deve sostenere per la cessione della partecipazione, data l’assenza di un mercato di negoziazione. Tali oneri possono venire ricondotti ai superiori costi di transazione rispetto alla cessione su mercati regolamentati; al <costo-opportunità> connesso ai tempi di individuazione dell’acquirente; al rischio che nel corso della ricerca della controparte gli andamenti aziendali mutino sfavorevolmente, riducendo il valore di scambio della partecipazione.

Per la stima dello sconto di illiquidità è stata utilizzata la metodologia analitica, mediante analisi di regressione effettuata su un campione di società quotate nazionali, delle quali sono stati presi in considerazione la redditività, il settore di appartenenza e il turnover dei titoli.

Su queste basi, il valore della quota del socio recedente, pari al 16%, è stato così determinato.

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Valore della quota del socio recedente (valori in euro)

Voce Importo Equity Value Beta S.r.l. 277.451.760 Equity Value pro-quota (16%) 44.392.282

In sede di perizia il valore della quota è stato arrotondato a euro

44.400.000. Per una verifica dell’attendibilità del valore di liquidazione della

partecipazione così determinato, la stima di cui sopra è stata sottoposta a <sanity check>, sulla base dell’aggiornamento del prezzo dell’ultima transazione avvenuta in tempi non remoti, anch’essa relativa a una quota di minoranza.

Dal raffronto è emerso un sostanziale allineamento dei valori, con scostamento contenuto entro l’1%.

La complessità della stima qui descritta trova ragion d’essere sia nell’articolata struttura del gruppo, sia nelle diverse connotazioni delle società da valutare, dalle quali è in particolare derivata l’opportunità di utilizzare metodi di valutazione differenziati.

Viceversa, nella disciplina ante-riforma, il procedimento valutativo sarebbe stato sommamente più semplice, risultando sufficiente per la stima del valore della quota l’applicazione al patrimonio netto contabile risultante dall’ultimo bilancio della percentuale di partecipazione del socio recedente.

Così determinato il valore della quota, il consiglio di amministrazione ha deliberato di proporre al socio uscente il corrispettivo emergente dalla stima peritale, previa informazione dell’assemblea dei soci.

3.3 La determinazione preventiva del valore della quota da parte del socio recedente

A fronte della perizia presentata dalla società, il socio uscente ha proceduto a nominare un proprio perito per la determinazione di un eventuale diverso valore.

Ai fini della valutazione, il perito del recedente ha applicato il <metodo misto, con stima autonoma dell’avviamento>, ritenendo che nel medesimo potessero convenientemente conciliarsi gli obbiettivi di verificabilità (insiti nella componente patrimoniale), con le esigenze di razionalità (connaturate alla componente reddituale).

La scelta metodologica di cui sopra ha dunque trovato giustificazione nella necessità di pervenire a un valore aziendale determinato in funzione sia del patrimonio, sia del reddito, mediante apprezzamento del contributo apportato dai beni d’impresa alla produzione dei risultati di periodo.

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Il valore del capitale economico determinato con il metodo misto è stato pertanto giudicato idoneo a rappresentare congiuntamente il valore delle risorse impiegate e il valore attuale del flussi di reddito che le medesime risorse possono generare per effetto della gestione.

Nel caso di specie, si è ritenuto che l’applicazione del citato metodo dovesse fondarsi sulla somma del patrimonio della società Beta espresso a valori contabili con l’avviamento delle partecipate, sia nazionali, sia estere, calcolato tramite attualizzazione limitata del reddito differenziale medio.

È stata pertanto applicata la seguente formula:

W = K’ + A,

ove

K’ = capitale netto rettificato; A = avviamento.

Ai fini dell’adozione del suddetto metodo è stato peraltro ritenuto che la valutazione della partecipazione del recedente dovesse venire orientata non già a un ipotetico valore di cessione, quanto piuttosto a un valore patrimoniale avente natura propriamente <liquidatoria>, in quanto realizzativo del rimborso al socio del capitale conferito (e autoprodotto dall’impresa) per scioglimento definitivo del vincolo societario.

Sarebbe infatti risultato incoerente, secondo l’opinione peritale, valutare la quota al valore di possibile vendita, non sussistendo per essa un mercato attivo di scambio, data la natura <chiusa> della partecipata non-quotata.

Rileva inoltre considerare ai fini della stima, il profondo dissidio subentrato nella compagine societaria e dunque la natura non solo <liquidatoria>, ma anche <transattiva> che ha assunto la determinazione della somma da erogare al recedente.

Atteso che l’inasprimento dei rapporti fra i soci aveva irrimediabilmente infranto l’affectio societatis, il recesso ha rappresentato una possibile soluzione conciliativa che si è posta da un lato come strumento di svincolo del socio non più coeso con la base associativa; dall’altro come mezzo per i soci rimasti di ripristinare la condivisione e la consonanza endo-societaria per una più libera prosecuzione della gestione e per un più fluido perseguimento delle strategie aziendali.

Ciò premesso, e appurata la validità del metodo misto, le stime del profilo reddituale e della componente patrimoniale sono state elaborate secondo le seguenti logiche.

Con riguardo alla valutazione delle prospettive di reddito, il perito ha ritenuto sufficiente a escluderne l’abbattimento la natura solo congiunturale e transitoria della crisi attraversata dal gruppo alla data di perizia, specialmente sostenuto in questa posizione dalle osservazioni formulate

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dall’organo amministrativo nella relazione all’ultimo bilancio consolidato, ove sono stati rilevati il carattere non strutturale della crisi, la possibilità di normale prosecuzione dell’attività aziendale e l’ordinaria attuabilità, secondo i piani preventivati, dei programmi di investimento in corso.

Anche i criteri di valutazione adottati nel citato bilancio consolidato, in particolare confermativi dei valori contabili per assenza di fondati motivi di svalutazione, hanno rafforzato la prospettazione di futuri andamenti economici positivi.

Tuttavia, pur sussistendo ragionevoli aspettative di superamento della crisi temporanea, in sede di perizia si è ritenuto di non assegnare alcun valore all’avviamento, non già per assenza di prospettive di reddito, bensì a titolo di compensazione <transattiva> e <forfetaria> dei negativi effetti della congiuntura economica in atto.

In relazione al profilo patrimoniale, peculiare rilievo ha assunto la scelta della conservazione dei valori contabili, in luogo della ri-espressione a prezzi correnti del valore dei beni aziendali.

Atteso infatti che molti cespiti appartenenti alle società del gruppo risultavano aver fruito, alla data di perizia, delle diverse opzioni di rivalutazione offerte dalle leggi in materia, il valore di bilancio dell’attivo patrimoniale si è ritenuto sostanzialmente allineato ai prezzi di mercato e così comprensivo delle plusvalenze latenti stratificatesi nel tempo sui beni d’impresa.

Su queste basi si è dunque reputato che le risultanze contabili potessero ben rappresentare, in quanto allineate ai prezzi sostituitivi del costo storico, il valore effettivo delle dotazioni patrimoniali d’impresa e fossero quindi adatte a fornire una misura attendibile per la stima del capitale economico.

In questo senso, come giudicato dal perito, i valori rivalutati non potevano che rappresentare – anche per obbligo di legge – il <costo di sostituzione> dei beni, ossia l’onere che sarebbe stato necessario sostenere in ipotesi di riacquisto alla data di rivalutazione.

Sulla base di queste premesse, i valori rivenienti dalle situazioni patrimoniali delle società del gruppo sono stati ritenuti congrui e direttamente utilizzabili ai fini della stima.

Pertanto, in sede di determinazione del valore economico della società Beta S.r.l., il valore di carico delle partecipazioni da essa detenute è stato sostituito con il valore del patrimonio netto contabile delle partecipate alla data di riferimento della perizia, tenuto conto della percentuale di possesso.

La valorizzazione della partecipazione del socio uscente nella società Beta S.r.l. è stata quindi effettuata sulla base del patrimonio netto contabile consolidato come risultante dall’ultimo bilancio, ritenendosi peraltro il valore riveniente potenzialmente sottostimato rispetto al valore <effettivo> della quota.

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Non sono stati pertanto applicati sconti, né di minoranza, né di illiquidità, intendendosi i medesimi già inglobati e impliciti nel valore risultante dell’adozione del criterio del patrimonio netto contabile: in quanto di per sé sottovalutato, il medesimo valore sarebbe infatti risultato, a giudizio del perito, eccessivamente decurtato.

Si rappresenta di seguito la risultanza della perizia.

Valore della quota del socio recedente (valori in euro)

Voce Importo Patrimonio netto contabile consolidato 416.567.513 Quota del socio (16%) 66.650.802

Il valore ottenuto con l’applicazione del metodo del patrimonio netto

contabile risulta, nonostante l’assenza di valorizzazione dell’avviamento, ampiamente superiore alla stima emergente dall’utilizzo dei valori correnti delle partecipazioni detenute dalla società Beta S.r.l.

Le due perizie di parte sono state pertanto sottoposte ad analisi degli scostamenti per l’individuazione e la riconciliazione delle relative divergenze.

Dal raffronto dei disallineamenti valutativi sono emerse in particolare le seguenti cause di difformità .

Analisi degli scostamenti tra le perizie di parte

Voce Perizia società Perizia socio Partecipazioni quotate Valorizzate ai prezzi di

Borsa con rilevazione delle minusvalenze

Valorizzate al patrimonio netto contabile; minusvalenze non considerate

Sconto di minoranza Valorizzato Non valorizzato in quanto implicito nella sottostima della quota.

Sconto di illiquidità Valorizzato Non valorizzato in quanto implicito nella sottostima della quota

Prospettive di perdita o correzioni al ribasso dei risultati reddituali prevedibili

Valorizzate Non valorizzate per adozione del metodo patrimoniale puro a valori contabili

Dalla comparazione dei valori di liquidazione rivenienti dalle due perizie

è emersa per il socio recedente una rilevante penalizzazione nel caso di stima a valori correnti, rispetto alla valutazione a valori contabili.

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Nel caso di specie non si è quindi realizzato l’obiettivo della riforma, in particolare volto al potenziamento dell’istituto, oltre che attraverso l’ampliamento delle fattispecie di legittimazione, anche tramite la previsione di un corrispettivo più <equo> per il recedente, reputandosi tale, secondo il legislatore, quello più prossimo ai valori di mercato.

La fattispecie di recesso qui considerata mostra come in situazioni complesse, quali quella descritta, il nuovo criterio di valutazione non conduca necessariamente a una soddisfazione economica del recedente migliore di quella ottenibile mediante il criterio contabile previsto ante-riforma.

Non pare pertanto possibile stabilire ex-ante quale principio di valutazione economica possa effettivamente risultare migliorativo per il socio uscente, potendo nel concreto influire sulla stima condizioni molteplici (le prospettive reddituali, le quotazioni di Borsa, gli sconti di minoranza et. al.), ampiamente variabili secondo le connotazioni dell’azienda oggetto di valutazione.

Anzi, sembra che in questo particolare caso l’ampliamento del criterio valutativo oltre il dato legale, per l’inclusione di variabili più adatte a rappresentare il valore <effettivo> della quota, abbia condotto a risultati nel concreto peggiorativi per il recedente.

V’è d’altro canto da considerare la contrapposizione, se non il conflitto, di interessi che può aver condizionato la scelta dei criteri di valutazione ritenuti più adeguati: da un lato si sono verisimilmente poste le esigenze di contenimento dell’esborso finanziario, specialmente avvertite dalla società e dai soci restanti, quali potenziali acquirenti della quota; dall’altro ha presumibilmente operato l’aspirazione del socio uscente verso un corrispettivo di liquidazione il più possibile soddisfacente.

In questo senso si rivela un ulteriore profilo critico della nuova disposizione che in particolare non fornisce indicazioni sul metodo di valutazione, ma si limita a un generico riferimento al <valore di mercato> del patrimonio sociale, rispetto al quale le applicazioni empiriche non possono che risultare massimamente soggettive, tanto nella scelta dei procedimenti di valutazione, quanto nella determinazione dei valori conseguenti.

In sintesi si conclude come da un lato a) il nuovo criterio di valutazione introdotto dalla riforma a tutela del recedente non assicuri necessariamente un corrispettivo di liquidazione economicamente più vantaggioso rispetto al pre-vigente criterio contabile; dall’altro b) anche le deroghe introdotte pattiziamente al metodo del <valore di mercato del patrimonio sociale>, –quand’anche in astratto o negli intendimenti volte a garantire un rimborso più conveniente – possono nelle situazioni concrete risultare non effettivamente migliorative per il recedente.

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Le divergenze di valore emergenti dai diversi criteri di cui sopra possono peraltro ascriversi a circostanze molteplici, fra le quali può ricordarsi, per le situazioni sub a), la sopravvalutazione del patrimonio insita nei valori contabili che ricorre ogniqualvolta non vengano iscritte in bilancio le necessarie svalutazioni dell’attivo (quali i ribassi delle quotazioni di Borsa), vuoi per omissione, vuoi perché ritenute non durevoli.

Le situazioni sub b) tendono invece a verificarsi nelle ipotesi di avviamenti negativi che deprimono il valore di mercato del patrimonio sociale, così come nei casi in cui il valore patrimoniale determinato pro-quota venga corretto al ribasso per l’applicazione di sconti di minoranza o di illiquidità.

Queste problematiche sono fra l’altro da ascrivere, come si osservava, alla sostanziale sinteticità della norma, rispetto alla quale possono infatti sostenersi argomentazioni interpretative plurime ad esempio riguardanti, come nei casi sub a) e b), l’eventuale possibilità di <ritorno> al criterio abrogato laddove la valutazione ottenuta con il principio riformato conduca a risultanze svantaggiose per il recedente; e ancora l’ammissibilità di deroghe statutarie al nuovo criterio legale, nei casi in cui le medesime risultino in teoria migliorative per il recedente ma nei fatti invece penalizzanti, sebbene maggiormente rappresentative del valore <effettivo> della quota.

3.4 La <negoziazione> del valore della quota Sulle divergenze valutative emergenti dalle due perizie si è innescato il

laborioso e non breve processo di <negoziazione> del valore della quota in particolare volto alla ricerca di un corrispettivo di liquidazione reciprocamente conveniente o accettabile.

A fronte dei due quantum oggetto di transazione, pari a euro 44.400.000 per quanto offerto dalla società, e a euro 66.650.802 per quanto richiesto dal socio uscente, la soluzione si è collocata in posizione pressoché intermedia mediante la definizione di un corrispettivo finale di euro 50.000.000.

In particolare, ai fini della transazione, la società ha sottolineato come, a fronte delle innovazioni introdotte dalla riforma del diritto societario risultasse inammissibile l’utilizzo del criterio contabile e dovesse pertanto prevalere la valutazione del patrimonio societario a valori di mercato.

Dal canto proprio il socio uscente ha eccepito come, in stretta aderenza al dato testuale della disposizione, anche l’applicazione di sconti di minoranza e di illiquidità esulasse dal dato normativo. Inoltre, richiamando lo spirito e la ratio della riforma, in particolare finalizzata ad agevolare l’egresso del socio a condizioni economiche non penalizzanti, anche la deroga al criterio

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legale introdotta statutariamente dalla società sarebbe risultata inammissibile in quanto peggiorativa per il recedente.

Su queste basi si sono fondate le mutue rinunce della società e dell’uscente per la definizione di un prezzo di compromesso reciprocamente adeguato.

In relazione alle specifiche valutazioni di convenienza economica delle parti rileva osservare come per il socio uscente, la prospettata operazione di scissione abbia rappresentato non tanto o non solo un atto di gestione effettivamente dissentito e riprovato, quanto piuttosto l’occasione per sciogliere, a un prezzo accettabile, un vincolo societario divenuto oramai insostenibile per l’insanabile dissidio emerso nella compagine societaria.

Rispetto alla società recessa è risultata in particolare rilevante l’opportunità, oltre che di dare corso all’operazione di scissione, anche di ottenere l’egresso di un socio non gradito in quanto profondamente avverso alla conduzione aziendale e fortemente oppositore degli indirizzi societari, anche a prescindere dalla loro intrinseca validità economica.

Così raggiunto l’accordo sul quantum, i soci hanno formalmente rappresentato la loro volontà di acquistare la quota del recedente.

Inoltre, le parti hanno concordato un pagamento rateizzato del prezzo, senza corresponsione di interessi, se non in caso di ritardo rispetto alle scadenza pattuite, con dilazione convenuta sino al quinto anno successivo alla data di esecuzione del contratto.

Così disposte le condizioni economiche necessarie all’esercizio pacifico e scorrevole del diritto di recesso, la società ha adottato la delibera di scissione, rispetto alla quale il socio uscente ha manifestato il proprio dissenso, riservandosi di recedere. La relativa comunicazione è stata poi regolarmente effettuata all’organo amministrativo.

A seguito dell’esercizio del diritto di recesso, i soci <superstiti> hanno provveduto all’acquisto della quota dell’uscente, proporzionalmente alle loro partecipazioni.

Si è dunque realizzata nel caso in esame una fattispecie di recesso <atipico>, con rimborso del recedente mediante trasferimento della partecipazione ai soci restanti.

Nessun coinvolgimento economico ha dunque riguardato la società, posto che dell’erogazione del quantum di liquidazione si sono fatti carico esclusivamente i soci <superstiti>.

4. Conclusioni

Nel presente lavoro si sono volute evidenziare le principali antinomie e lacune dei dettati legislativi volti a regolamentare le procedure e i criteri di

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valutazione della partecipazione del socio recedente da società di capitali, nonché le conseguenti ragioni di un accentuato rischio di contenzioso legale, in particolare ove la partecipazione da liquidare rappresenti la porzione di un complesso aziendale variamente strutturato.

In tale contesto, il caso esaminato al precedente paragrafo risulta peculiare soprattutto in relazione al procedimento di determinazione del corrispettivo, sia per la complessità della stima del valore del capitale economico, sia per la laboriosità delle trattative condotte per addivenire alla definizione di un prezzo reciprocamente accettabile.

Sebbene il caso abbia ad oggetto una quota di S.r.l., risulta evidente che le conclusioni che dallo stesso si traggono sono pienamente valide e traslabili all’ipotesi di partecipazione rappresentata da azioni non quotate.

Nel caso di specie, in particolare, la complessità della stima è da ascrivere non solo all’oggettiva articolazione strutturale del complesso da valutare ma anche, come si osservava più sopra, alla molteplicità dei procedimenti che la dottrina economico-aziendale offre in materia valutativa, rispetto ai quali, in assenza di precise indicazioni normative, non pare possibile stabilire a priori quale possa essere la metodologia più adeguata a rappresentare il valore <effettivo> della quota.

A comprova della pluralità delle procedure di stima utilizzabili, si pone proprio la numerosità dei metodi adottati per le diverse società del gruppo, in taluni casi prevalendo la versione <pura> dei metodi patrimoniali e reddituali, in altri il riferimento ai prezzi di Borsa, in altri ancora il metodo misto reddituale-patrimoniale e talora il rinvio al patrimonio netto contabile.

Indubbiamente meno soggettivo e opinabile – quantomeno nei valori rivenienti – risulta il metodo applicato dal perito della parte recedente, in particolare basato sui valori contabili, così come era previsto dalla disciplina abrogata sia per le S.p.A. non quotate sia per le S.r.l. Metodo tuttavia criticato dalla società in quanto non corrispondente al dato testuale della norma riformata.

In relazione alla laboriosità delle trattative pare qui che in situazioni di conflitto societario – quali sono frequentemente quelle nelle quali si producono i recessi – il nuovo criterio di valutazione della quota tenda ad acuire, piuttosto che a dirimere i dissidi, introducendo elementi ulteriori di discordia e di contesa; e medesime conclusioni si potrebbero nondimeno trarre con riferimento ai criteri previsti ex lege per le partecipazioni societarie.

Si rileva inoltre che la transazione e la ricerca di un valore mutuamente congruo non possono che risultare più complesse in condizioni nelle quali – data l’assenza di criteri normativamente individuati – la valutazione possa legittimamente venire condotta secondo procedimenti molteplici, posto che

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parimenti ampio risulta l’intervallo dei possibili valori entro i quali ritrovare un accordo.

A ciò si aggiungano, sempre nell’esempio prima proposto, quali fattori ostativi al rapido raggiungimento di un’intesa sia la rilevante entità dei valori in considerazione, sia l’ampio divario sussistente fra i risultati emergenti dalle due perizie.

Da qui le lungaggini della negoziazione del quantum che hanno operato in danno sia del recedente per la postergazione della sistemazione patrimoniale ricercata con il recesso; sia della società, per l’intralcio al perfezionamento dell’operazione di scissione e più in generale all’ordinaria conduzione aziendale.

Per concludere e generalizzando i risultati evidenziati dal caso precedentemente proposto, si ritiene che i nuovi criteri di valutazione legislativamente previsti per i titoli non quotati (consistenza patrimoniale, prospettive reddituali ed eventuale valore di mercato delle azioni per le S.p.A.; valore di mercato del patrimonio sociale per le S.r.l.) risultino, rispetto all’abrogato (patrimonio sociale risultante dal bilancio dell’ultimo esercizio), da un lato i) di più complessa e incerta applicazione pratica; dall’altro ii) solo in astratto più favorevole al recedente.

Con riguardo al profilo sub i), si reputa qui che la complessità debba imputarsi non solo alle connotazioni proprie degli attuali procedimenti di valutazione del capitale economico, evidentemente più elaborati del criterio del patrimonio netto contabile vigente ante-riforma, ma anche e soprattutto all’assenza di precisazioni normative sull’oggetto da valutare e sul metodo da adottare.

In particolare, relativamente alle azioni di S.p.A. non quotate e a livello esemplificativo si osserva che, per quanto concerne il metodo non pare possibile determinare una gerarchia tra i criteri legali più sopra richiamati, ovvero tra questi e quelli eventualmente indicati in sede statutaria; e qualora tutti vengano utilizzati congiuntamente, allo stesso modo non viene chiarito quale media sia più idonea ad essere applicata: aritmetica o geometrica, semplice o ponderata. Relativamente all’oggetto rimane invece dubbio quale sia la corretta interpretazione dell’espressione “patrimonio sociale”: quella restrittiva che limita il campo di indagine alle sole attività e passività iscritte in bilancio, ovvero quella più estensiva che ammette, come qui si condivide, la stima anche dei componenti non contabilizzati (in particolare di alcune categorie di intangibles)? Allo stesso modo è ad esempio incerto se nella valutazione delle “prospettive reddituali” per le S.p.A. si debba tener conto delle sole capacità reddituali già raggiunte o ragionevolmente conseguibili a breve, oppure (o anche) degli obiettivi programmatici e delle conseguenti aspettative di lungo periodo del soggetto economico.

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Parimenti, con riferimento alla S.r.l., e sempre quale esempio chiarificatore, si rileva che per quanto attiene all’oggetto, il rinvio al valore di mercato del patrimonio sociale tende a escludere la valorizzazione delle prospettive reddituali, diversamente dalle Società per Azioni, per le quali tale valorizzazione è espressamente richiamata. A ciò si aggiunga che – come nel caso di specie – le medesime prospettive possono deprimere anziché migliorare il corrispettivo di liquidazione.

E similmente, in relazione al metodo, rimane oscura l’ammissibilità dell’applicazione di eventuali sconti di minoranza o di illiquidità, come pure restano imprecisate le tipologie e le versioni – semplici o complesse – dei procedimenti utilizzabili per la più adeguata rappresentazione del valore corrente del patrimonio.

In relazione al profilo sub ii), occorre considerare che – sia per le S.p.A. sia per le S.r.l. – sebbene negli intenti la riforma risultasse soprattutto finalizzata a superare lo storico disfavore legislativo verso l’istituto, pare necessario ricordare che solo in astratto i valori correnti risultano migliorativi per l’uscente, mentre nel concreto, come conferma il caso in esame, le applicazioni effettive dei prezzi di mercato possono condurre a valori inferiori a quelli contabili.

Tutto ciò considerato, si ribadisce nondimeno che la soluzione delle problematiche sopra descritte potrebbe risiedere in una più puntuale indicazione normativa – o quantomeno statutaria – dei criteri valutativi da adottare, affinché dalla valutazione possa emergere non già una pluralità di valori da <negoziare>, bensì un prezzo determinabile sulla base di parametri non soggettivi, così da appianare, anziché acuire, i dissidi inter-societari che non di rado si accompagnano ai recessi.

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DIPARTIMENTO DI ECONOMIA AZIENDALE PAPERS PUBBLICATI DAL 2009 AL 2011∗:

87- Sante MAIOLICA, Il mezzanine finance: evoluzione strutturale alla luce delle nuove dinamiche di mercato, febbraio 2009.

88- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Brand extension, counterextension, cobranding, febbraio 2009.

89- Luisa BOSETTI, Corporate Governance and Internal Control: Evidence from Local Public Utilities, febbraio 2009.

90- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Il rischio di liquidità nelle banche: aspetti economici e profili regolamentari, febbraio 2009.

91- Richard BAKER, Yuri BIONDI, Qiusheng ZHANG, Should Merger Accounting be Reconsidered?: A Discussion Based on the Chinese Approach to Accounting for Business Combinations, maggio 2009.

92- Giuseppe PROVENZANO, Crisi finanziaria o crisi dell’economia reale?, maggio 2009.

93- Arnaldo CANZIANI, Le rivoluzioni zappiane— reddito, economia aziendale — agli inizî del secolo XXI, giugno 2009.

94- Annalisa BALDISSERA, Profili critici relativi al recesso nelle società a responsabilità limitata dopo la riforma del 2003, luglio 2009.

95- Marco BERGAMASCHI, Analisi ambientale della Cina e strategie di localizzazione delle imprese italiane, novembre 2009.

96- Alberto FALINI, Stefania PRIMAVERA, Processi di risanamento e finalità d’impresa nelle procedure di amministrazione straordinaria, dicembre 2009.

97- Riccardo ASTORI, Luisa BOSETTI, Crisi economica e modelli di corporate governance, dicembre 2009.

98- Marco BERGAMASCHI, Imitazione e concorrenza nell’abbigliamento di moda: un’interpretazione economico-aziendale della normativa vigente, dicembre 2009.

99- Claudio TEODORI, Monica VENEZIANI, Intangibile assets in annual reports: a disclosure index, gennaio 2010.

100- Arnaldo CANZIANI, Renato CAMODECA, Il Bilancio dello Stato nel pensiero degli aziendalisti italiani 1880-1970, febbraio 2010.

101- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Roberto GRAZIANO, La determinazione del “Royalty Rate” negli accordi di licesing, marzo 2010.

102- Antonio PORTERI, La crisi, le banche e i mercati finanziari, aprile 2010. 103- Elisabetta CORVI, Emozioniamoci! L’imperativo del terzo millennio?, maggio 2010. 104- Sergio ALBERTINI, Caterina MUZZI, Innovation networking and SMEs: Open

communities and absorptive capacity. Two case studies along a continuum in the innovative process, ottobre 2010.

105- Guido ABATE, Lo sviluppo e le prospettive delle SGR immobiliari italiane, ottobre 2010.

106- Ilaria GREZZINI, Il bilancio d’esercizio e la fiscalità asincrona: norme civilistiche, eterointegrazione, Ias, ottobre 2010.

107- Ilaria GREZZINI, Finanziamento dell’economia e <partite incagliate>: la Comit 1933-1935 nella perizia di Gino Zappa, ottobre 2010.

108- Mario MAZZOLENI, Elisa CHIAF, Davide GIACOMINI, Le cooperative mutualistiche tra eccellenza economica e sociale, novembre 2010.

109- Annalisa ZANOLA, The Annual Report: an Interdisciplinary Approach to a ‘Contaminated’ New Genre, novembre 2010.

∗ Serie depositata a norma di legge. L’elenco completo dei paper è disponibile al

seguente indirizzo internet http://www.unibs.it/dipartimenti/economia-aziendale

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110- Elisa CHIAF, Le imprese sociali di inserimento lavorativo e la creazione di valore: uno studio di casi, dicembre 2010.

111- Francesca GENNARI, Luisa BOSETTI, La governance delle agenzie di rating: prime considerazioni alla luce delle riforme, dicembre 2010.

112- Roberto RUOZI, Pierpaolo FERRARI, Verso la “deglobalizzazione” del sistema bancario internazionale?, dicembre 2010.

113- Paolo BOGARELLI, L’apprezzamento dell’economicità nelle cooperative sociali: il caso della cooperativa di Bessimo, dicembre 2010.

114- Annalisa BALDISSERA, Continuità d’impresa e soci recedenti nella S.r.l.: convenienze antitetiche delle aziende di produzione e familiari, dicembre 2010.

115- Sonia Rachele PIOTTI, On the Trail of the Vocabulary of Mathematical Science in Early Modern English, giugno 2011.

116- Alberto MAZZOLENI, Elisa GIACOSA, Il progetto di risanamento dell’impresa in crisi: la recente esperienza italiana, giugno 2011.

117- Isabel COSTANZI, Paul Karl Feyerabend (1924- 1994) filosofo della scienza, settembre 2011.

118- Valentina COSTA, Carlo GOBEO, Introduzione a Paul K. Feyerabend, settembre 2011

119- Giuseppina GANDINI, Luisa BOSETTI, Orientamento al mercato e sostenibilità futura nelle aziende di pubblica utilità, dicembre 2011.

120- Giuseppe BERTOLI, Bruno BUSACCA, Celebrity endorsement, brand extension, brand loyalty, dicembre 2011.

121- Anna CODINI, Strategie di servitization e valore per il cliente: una proposta metodologica, dicembre 2011.

122- Arnaldo CANZIANI, I Consigli di Amministrazione delle Società per Azioni fra mitologie romantiche e patologie sempiterne, dicembre 2011.

123- Arnaldo CANZIANI, What after the Tsunami of 2007-2008: recovery, inflation, stagflation?, dicembre 2011.

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Università degli Studi Dipartimento didi Brescia Economia Aziendale

Dicembre 2011

Paper numero 124

Annalisa BALDISSERA - Federico MANFRIN

LA VALUTAZIONE DELLA PARTECIPAZIONEDEL SOCIO RECEDENTE DA SOCIETÀ DI CAPITALI:

INCERTEZZE, ARBITRARIETÀ, PATOLOGIE

Università degli Studi di BresciaDipartimento di Economia AziendaleContrada Santa Chiara, 50 - 25122 Bresciatel. 030.2988.551-552-553-554 - fax 030.295814e-mail: [email protected]

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