La traccia della seconda lectio di don davide rota 'generare alla vita e alla fede' di sabato 19 ott

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2° incontro: Generare alla vita e alla fede 1.a parte: il problema del male nella generazione Abbiamo visto come la Bibbia consideri il figlio la forma più alta di benedizione, anzi la fonte di tutte le benedizioni umane…eppure che non tutto ciò che è legato alla generazione sia sempre e comunque positivo, è ancora la Bibbia a ricordarcelo: Gen 3,16: “Alla donna (Dio) disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». “Il dolore del parto è visto come uno di quegli aspetti oscuri che fin dall’inizio introducono una nota di apprensione, addirittura di angoscia nell’esperienza della generazione; a motivo di tale ombra si fa più incerto –o addirittura inevitabilmente insicuro- l’apprezzamento della vita stessa come di un’avventura promettente” (G. Angelini: “Il figlio” V & P 2006). Infatti mai come nel parto cioè nel momento in cui viene alla luce e inizia la sua traiettoria, la vita del figlio appare fragile e minacciata…non a caso è il pianto del neonato a segnarne l’ingresso nel mondo. Nel parto anche la vita della madre è messa a rischio e il dono che è il figlio rappresenta per lei anche il più grande pericolo, la massima minaccia. Non solo: la donna in quel momento è sequestrata dal dolore e incapace di fare nulla né per sé né per il figlio…Ciò conferma una cosa: né madre né padre sono in grado di promettere e di assicurare al figlio che viene al mondo la vita promettente che è all’origine della scelta di far nascere un uomo. Col travaglio della nascita è come se i genitori dicessero al neonato: “Ti abbiamo messo al mondo perché tu sia felice e vogliamo con tutte le nostre forze che tu lo sia, ma non siamo in grado di garantirtelo”… Gen 4,1.8-9: Adamo si unì a Eva sua moglie che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore»….Caino alzò la mano contro il fratello e lo uccise. Allora Dio disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Il figlio che è il massimo della benedizione, può anche diventare il massimo della maledizione: Caino il figlio primogenito, uccide Abele, suo fratello: “Disse Dio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”. (Gen 4,10-11). E’ il primo figlio dell’ umanità che uccide il fratello: non c’è da aspettare molto, fin dagli inizi si scatena quel dramma che segnerà tutta la vicenda umana di ogni tempo e luogo. La generazione in altre parole porta nel mondo anche violenza, dolore, morte…tanto da far dubitare della bontà della vita e di conseguenza della convenienza di garantire la nascita di nuove vite… Gen 6,5-7: Dio vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Disse: «Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti». Il potere del male che i figli provocano è impressionante se arriva a “far pentire e addolorare Dio” di aver fatto l’uomo sulla terra. Nonostante l’evidente antropomorfismo, la verità che si esprime in queste parole è inquietante: se persino Dio “si pente”, cosa può fare l’uomo? Ma il versetto successivo ci

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2° incontro:

Generare alla

vita e alla fede

1.a parte:

il problema

del male

nella

generazione

Abbiamo visto come la Bibbia consideri il figlio la forma più alta di benedizione, anzi la fonte di tutte le benedizioni umane…eppure che non tutto ciò che è legato alla generazione sia sempre e comunque positivo, è ancora la Bibbia a ricordarcelo: Gen 3,16: “Alla donna (Dio) disse: «Moltiplicherò i tuoi dolori e le tue gravidanze, con dolore partorirai figli. Verso tuo marito sarà il tuo istinto, ma egli ti dominerà». “Il dolore del parto è visto come uno di quegli aspetti oscuri che fin dall’inizio introducono una nota di apprensione, addirittura di angoscia nell’esperienza della generazione; a motivo di tale ombra si fa più incerto –o addirittura inevitabilmente insicuro- l’apprezzamento della vita stessa come di un’avventura promettente” (G. Angelini: “Il figlio” V & P 2006). Infatti mai come nel parto cioè nel momento in cui viene alla luce e inizia la sua traiettoria, la vita del figlio appare fragile e minacciata…non a caso è il pianto del neonato a segnarne l’ingresso nel mondo. Nel parto anche la vita della madre è messa a rischio e il dono che è il figlio rappresenta per lei anche il più grande pericolo, la massima minaccia. Non solo: la donna in quel momento è sequestrata dal dolore e incapace di fare nulla né per sé né per il figlio…Ciò conferma una cosa: né madre né padre sono in grado di promettere e di assicurare al figlio che viene al mondo la vita promettente che è all’origine della scelta di far nascere un uomo. Col travaglio della nascita è come se i genitori dicessero al neonato: “Ti abbiamo messo al mondo perché tu sia felice e vogliamo con tutte le nostre forze che tu lo sia, ma non siamo in grado di garantirtelo”… Gen 4,1.8-9: Adamo si unì a Eva sua moglie che concepì e partorì Caino e disse: «Ho acquistato un uomo dal Signore»….Caino alzò la mano contro il fratello e lo uccise. Allora Dio disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Il figlio che è il massimo della benedizione, può anche diventare il massimo della maledizione: Caino il figlio primogenito, uccide Abele, suo fratello: “Disse Dio: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dal suolo! Ora sii maledetto lungi da quel suolo che per opera della tua mano ha bevuto il sangue di tuo fratello”. (Gen 4,10-11). E’ il primo figlio dell’ umanità che uccide il fratello: non c’è da aspettare molto, fin dagli inizi si scatena quel dramma che segnerà tutta la vicenda umana di ogni tempo e luogo. La generazione in altre parole porta nel mondo anche violenza, dolore, morte…tanto da far dubitare della bontà della vita e di conseguenza della convenienza di garantire la nascita di nuove vite… Gen 6,5-7: Dio vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l'uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo. Disse: «Sterminerò dalla terra l'uomo che ho creato: con l'uomo anche il bestiame e i rettili e gli uccelli del cielo, perché sono pentito d'averli fatti». Il potere del male che i figli provocano è impressionante se arriva a “far pentire e addolorare Dio” di aver fatto l’uomo sulla terra. Nonostante l’evidente antropomorfismo, la verità che si esprime in queste parole è inquietante: se persino Dio “si pente”, cosa può fare l’uomo? Ma il versetto successivo ci

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avvisa che Noè trovò grazia agli occhi di Dio che attraverso di lui vuole garantire la generazione della vita e non solo quella umana, ma anche quella animale… Gen 15,1-2: La parola del Signore fu rivolta ad Abram in visione: «Non temere, Abram. Io sono il tuo scudo; la tua ricompensa sarà molto grande». Rispose Abram: «Mio Signore Dio, che mi darai? Io me ne vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco». Se la fecondità è benedizione, la sterilità è vissuta inevitabilmente come colpa personale e segno della maledizione divina: significative in proposito le vicende di 7 donne sterili (6 nell'Antico e 1 nel Nuovo Testamento: Sara, Gen 16-18; 21; Rebecca, Gen 25,21; moglie di Manoach -futura madre di Sansone- Gdc 13; Anna, 1Sam 1; Mikal, 2Sam 6; la Shunammita, 2Re 4; Elisabetta, Lc 1). Anche in questo caso come nei precedenti e nei seguenti, la infecondità potrebbe essere però letta come il venir meno di Dio alle promesse, cosa che la Bibbia categoricamente si rifiuta di prendere anche solo in considerazione…E non è un caso che Dio stesso, provocato su questo punto risponda in tutti e sette i casi col dono inatteso del figlio tanto desiderato, a conferma che egli è il Dio misericordioso e fedele… Gen 22: Dio mise a prova Abramo e disse: «Abramo, Abramo!» Rispose: «Eccomi!» Riprese: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su di un monte che io ti indicherò…». Il racconto del sacrificio di Isacco (che G. von Rad definisce: “la più perfetta nella forma e la più abissale di tutte le storie dei patriarchi”) mette in luce uno dei drammi più dolorosi fra quelli che riguardano la generazione: come è possibile che Dio che ti ha donato il figlio tanto atteso lo rivoglia indietro? Che il padre sia costretto a sacrificare il figlio, rinunciando all’unica, concreta garanzia del patto divino? E’ probabile che lo scopo non dichiarato del racconto sia la denuncia dell’usanza “barbara” di sacrifici umani in occasioni importanti e la sottolineatura del rifiuto divino di tali pratiche…ma per come è raccontato, il fatto evidenza un coinvolgimento diretto di Dio nella vicenda, il che mette in dubbio sia la sua fedeltà, sia la sua misericordia. Ma Abramo riavrà il figlio una seconda volta: Isacco rinasce sul monte. Gen 15,6 così spiega il fatto (vedi Paolo ai Romani) “Abramo credette al Signore e ciò gli fu accreditato a giustizia”. Es 20,12: "Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dà il Signore, tuo Dio". Sir 3,16: “Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore”. Se il figlio è segno di benedizione, la paternità/maternità è rivelatrice del volto, dell’identità di Dio: la ragione infatti per cui in quasi tutte le religioni Dio è qualificato come «padre» va cercata nella dimensione simbolica dell'esperienza della paternità umana. Per P. Ricœur simbolo è «ogni struttura di significato in cui un senso diretto, primario, letterale, designa per sovrappiù un altro senso indiretto, secondario, figurato, che non può essere appreso che attraverso il primo». Se questo è vero si comprende perché l’unico comandamento sulla famiglia ordini di “Onorare padre e madre” e la fedele osservanza di questo comandamento sia la condizione che Dio impone all’uomo per la realizzazione del suo patto. Onorare significa vedere l’immagine della paternità divina nel padre umano: generare è infatti generare la vita e chi è Dio se non Amore che dà Vita creando e salvando? Ma se il comando divino viene disatteso cosa avviene? Se il figlio non onora Dio nel padre…? La cultura d’oggi ha rovesciato il quarto comandamento: non è più la figura del genitore, ma quella del figlio a essere centrale nelle relazioni familiari e nei progetti educativi …ma funziona? Qoeleth 5,14-16: L’uomo come è uscito nudo dal grembo di sua madre, così se ne andrà come era venuto e dalle sue fatiche non ricaverà nulla da portar con sé. Qual vantaggio ricava dall'aver gettato le sue fatiche al vento? Inoltre avrà passato tutti i suoi giorni nell'oscurità e nel pianto fra molti guai, malanni e crucci”.: Giob 3,1 ss: Allora Giobbe aprì la bocca e maledisse il giorno della sua nascita. E prese a dire così: "Perisca il giorno ch’io nacqui e la notte che disse: "E’ concepito un maschio!" La decisione previa a ogni altra, che precede e fonda anche quella del generare, è decidere della bontà e perciò della convenienza della vita: della mia e di conseguenza della vita che nasce da me. Ma sulla bontà della vita e sulla convenienza di vivere e far vivere l’uomo oggi sembra nutrire molti più dubbi che non in passato (Cfr G. Angelini: Le ragioni della scelta. Ed Qiqayon).

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2°Incontro: Generare

alla vita e alla

fede

2.a parte:

GENERARE

ESIGE FEDE

E APRE ALLA

FEDE

“…E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo

travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia”. (Eugenio Montale: Meriggiare pallido e assorto)

“Spesso siamo indecisi su quello che conviene fare nelle singole situazioni, perché in realtà non abbiamo ancora deciso se convenga vivere e per che cosa convenga vivere” (Giuseppe Angelini)

Abbiamo visto come persino quella che la Bibbia considera la benedizione per eccellenza e cioè la generazione, racchiuda in sé anche la possibilità del fallimento, del male, della maledizione addirittura. In questo, l’atto del generare non fa eccezione rispetto alla legge generale della vita che non permette di sapere in anticipo se una qualsiasi scelta andrà bene o male…è la legge della libertà alla quale nessuno può rinunciare a meno che rinunci a vivere e a far vivere. Perciò il vivere come il far vivere comporta un rischio, il rischio della libertà e prima ancora della fiducia che la realtà sia buona e di conseguenza valga la pena vivere e avere figli: afferma Rom 4,3, riprendendo il noto testo di Gen 15,6: “Abramo credette a Dio che glielo accreditò come giustizia” e in Rom 1,17: “il giusto mediante la fede vivrà”. E’ questo lo snodo: “Abramo credette” e “il giusto per la fede vivrà” e potremmo aggiungere “farà vivere”… LA FEDE è allora la condizione primaria, fondamentale perché l’uomo possa vivere e far vivere: 1. fede come fiducia: nel fatto che la realtà (cioè se stessi, la vita, gli altri, il mondo, la natura, la

storia) siano fondamentalmente “buoni” nonostante l’apparenza contraria: ciò perché la creazione uscita dalle mani di Dio è buona: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona”. Gen 1,31. Nel catechismo era detto che “Dio è in cielo, in terra e in ogni luogo: egli è l’immenso”: se questo è vero, non c’è realtà che di suo non appartenga a Dio e che risulti estranea alla possibilità di bene…Il rischio del male (Caino, Babele, Diluvio) esiste sempre e fa parte del gioco della libertà; ma la possibilità di bene è più forte anche del male perché il Bene è Dio. Vivere bene è possibile solo nella fiducia e generare è atto e insieme testimonianza di fiducia: mi fido di te! E’ questo l’atto che rende possibile la generazione e il grande dono che il genitore fa al proprio figlio e all’umanità.

2. fede come certezza in Dio che non può fare nulla di male né contraddire se stesso: “Dio è fedele” perché non muta e la Sua bontà non viene meno: "Il SIGNORE! il SIGNORE! il Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira, ricco in bontà e fedeltà" (Es. 34:6). Le promesse di Dio non vengono meno: “Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse”. Ebrei 10:23. Generare rende possibile a Dio di compiere le sue promesse: Abramo alla sua morte era padrone solo della grotta di Macpela, ma mai dubitò del fatto che Dio fosse fedele e quell’unico figlio era la garanzia che Dio avrebbe compiuto la sua parola. Attenzione però: la generatività di cui l’uomo non può fare a meno non significa necessariamente generazione di figli…Gesù non ebbe figli, eppure “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini..” (Gv 1,2ss). E’ sbagliato, perverso l’accanimento attuale a volere a tutti i costi un figlio per realizzare se stessi….

3. La fede come speranza: ”La fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”(Eb 11,1).Ebr. motiva la speranza: “Non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura”. Il credente rispetta la vita e si impegna a creare le condizioni perché possa svolgersi al meglio, combattendo la miseria, l’ignoranza, il limite, la malattia, l’ingiustizia e ciò che minaccia la qualità della vita…ma guarda anche al di là della vita terrena…sa infatti di aver ricevuto in dono la vita eterna e verso quella cammina cfr. 2 Mac 7,1ss.