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UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA DIPARTIMENTO DI SOCIOLOGIA E DI SCIENZA POLITICA 3/2011 on-line

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UNIVERSITÀ DELLA CALABRIA

DIPARTIMENTO DI SOCIOLOGIA E

DI SCIENZA POLITICA

3/2011

on-line

DAEDALUS Quaderni di Storia e Scienze Sociali Direzione scientifica

Vittorio Cappelli, Ercole Giap Parini, Osvaldo Pieroni, Al-berto Ventura

Redattori e collaboratori Luca Addante, Olimpia Affuso, Rosa Maria Cappelli, Rena-ta Ciaccio, Bernardino Cozza (†), Barbara Curli, Francesco Di Vasto, Loredana Donnici, Aurelio Garofalo (†), Teresa Grande, Salvatore Inglese, Donatella Loprieno, Francesco Mainieri, Matteo Marini, Patrizia Nardi, Saverio Napolitano, Tiziana Noce, Giuseppina Pellegrino, Maria Perri, Luigi Piccioni, Antonella Salomoni, Manuela Stranges, Pia Tucci

Direzione e redazione e amministrazione Dipartimento di Sociologia e di Scienza Politica dell'Uni-versità della Calabria 87036 Arcavacata di Rende (Cosenza).

Tel. 0984 492568-67-65-32 E-mail: [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]

Direttore Responsabile Pia Tucci

Numero 3/2011 on-line Numero 22/2011 seguendo la numerazione della precedente edizione cartacea

Pubblicato on line nel Marzo 2011

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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VINCENZA PELLEGRINO

LA MODERNITÀ TRANS-LOCALE E L‟IMMAGINARIO

DEI TRANS-MIGRANTI E DEI PRE-MIGRANTI: L‟IDEA DI

„GENERE‟, „SECOLARIZZAZIONE‟ E „FUTURO‟ NEGLI

SCENARI MIGRATORI MAROCCHINI

I MIGRANTI TRANSNAZIONALI E L‟IDEA DI MODERNITÀ1

Negli ultimi anni si sono moltiplicati gli studi su quelle esperienze

migratorie caratterizzate dall‟elevata mobilità costante nel tempo, da

un investimento materiale e simbolico che rimane su entrambe le aree,

di origine e di immigrazione. Una crescente bibliografia mostra come

numerose reti migratorie si caratterizzino per una vita spesa „tra‟ di-

versi luoghi grazie alle nuove possibilità di comunicazione e di spo-

stamento, ma anche a causa di esperienze migratorie incerte, legate ai

nuovi mercati del lavoro e più in generale a fattori costitutivi delle so-

cietà di immigrazione (precarietà amministrativa e lavorativa, separa-

zioni familiari prolungate legate al restringimento delle possibilità di

ricongiungimento, ecc.). In tal modo, crescono nuovi „campi sociali‟

in cui le relazioni affettive, gli scambi economici e persino le forme

della partecipazione politica realizzano la „doppia presenza‟, anche se

intermittente e frammentaria, senza indurre in maniera lineare alla

scelta e all‟adesione univoca ad un contesto locale, ai suoi usi, costu-

mi, norme, in una parola alla „cultura‟ in esso dominante (come invece

si tende a rappresentare per quanto riguarda le grandi migrazioni dei

secoli appena trascorsi).

Molto sinteticamente, la dimensione di cui parliamo è divenuta

l‟oggetto del filone di studi sul trans-nazionalismo, centrati appunti

sulla collocazione degli individui e dei gruppi migranti „tra‟- e sempre

1Questo saggio, pur sviluppando questioni nuove e inedite, si basa sullo stesso materiale di ricer-

ca utilizzato per altre pubblicazioni - ed in particolare al centro del libro „L‟occidente e il medi-

terraneo agli occhi dei migranti‟, ed. UNICOPLI, Milano 2009 - delle quali quindi contiene di-versi elementi e alle quali rimanda (si veda bibliografia).

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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più spesso „oltre‟ (pensiamo alle migrazioni irregolari) - le strutture

proprie dello stato-nazione, sino a considerare le migrazioni quali con-

seguenze (quali risposte attive dei singoli) ai limiti di efficacia delle

forme di „governance nazionale‟ rispetto alla realtà, fattasi globale2.

Tale dimensione di vita spesa tra luoghi è certamente connessa

a forme di identità culturalmente ibride, sincretiche: forme di consu-

mo, di produzione, di procreazione dinamiche (velocemente divergen-

ti da una generazione all‟altra, da un membro all‟altro del gruppo),

connesse ad un permanente confronto tra i diversi contesti di riferi-

mento e ad una attività costante di auto-ri-collocazione tanto simboli-

ca quanto materiale, identitaria quanto economica, culturale quanto

politica (Bhabha 2001; Pollini, Venturelli Christensen 2002).

All‟interno di queste comunità delocalizzate (o meglio, gruppi

in cui la maggior parte delle persone „prossime‟ vivono quotidiana-

mente nei campi sociali e relazionali che stanno tra luoghi „distanti‟)

diventa così fondamentale la categoria della immaginazione. Come ha

proposto Appadurai, seguito poi da numerosi autori, la „località‟ ri-

spetto al „globo‟ (o meglio la propria capacità di „localizzarsi‟), intesa

come esperienza vissuta e interiorizzata e come pratica dialettica, può

essere l‟opportuno obbiettivo delle pratiche etnografiche, che devono

cercare di fare luce sul “potere che le vite potenziali, immaginate su

larga scala, esercitano sugli specifici percorsi di vita” (Appadurai

2001, p. 80) e sulla quotidiana produzione culturale localizzata.

Questa dimensione di „attività di confronto permanente‟ con al-

tri luoghi e altre possibilità, di collocazione nelle possibilità, è eviden-

te e determinante per coloro che vivono „effettivamente‟ l‟esperienza

migratoria translocale, ma è in realtà un elemento di trasformazione

sociale sempre più rilevante anche nei contesti pre-migratori nei quali

l‟opzione del viaggio è pressoché universale (Gardner 1995; Higuchi

2Tali approcci comportano, almeno in parte, un certo livello di „ambiguità‟ sul modo di caratte-

rizzare la dimensione „tra‟: come ricorda Gallo (2008) spesso utilizzando il suffisso „trans‟ (na-zionale) vengono mescolate realtà ed esperienze di inter-nazionalità (realtà possibili poiché

comprese e modellate da stati e società nazionali di emigrazione ed immigrazione); esperienze

migratorie più propriamente trans-nazionali (che sfuggono e vanno al di là del controllo delle stesse entità politico-territoriali) o analisi della dimensione translocale (che lega diversi specifici

luoghi senza comportare direttamente o indirettamente alcuna messa in discussione delle forme

di sovranità o appartenenza nazionale) e dei suoi risvolti socio-culturali, come sarà nel caso di questo saggio.

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2009): la vita del pre-migrante, come quella dell‟effettivo e-migrante,

si compie ponendosi (innanzi tutto simbolicamente e mentalmente)

altrove; misurandosi con l‟altrove egli diserta ed allo stesso tempo ri-

crea il presente locale.

In particolare, molti studi documentano l‟importanza di questo

fenomeno in quelle aree geo-politiche dove la relativa vicinanza geo-

grafica tra aree di partenza ed aree di arrivo si dà congiuntamente ad

una rappresentazione diffusa di una grande distanza culturale. Queste

aree, come è per il Mediterraneo o per l‟America Centrale, divengono

in tal senso vere e proprie faglie culturali, intese come confronto co-

stante e ineludibile tra mondi prossimi che si auto-definiscono forte-

mente prendendo ad oggetto di confronto il „confinante‟, che colloca-

no appunto ai confini (alle frontiere) della propria comunità la fine del

proprio mondo, ma che al tempo stesso vivono intensissimi scambi tra

confinanti (commerci, consumi comuni, pervasivi orizzonti migratori,

costanti dialettiche mediaticamente agite con l‟alterità, soprattutto tra i

giovani, ecc.).

Il Marocco, ed in particolare le regioni fortemente esposte agli

esodi significativi degli ultimi decenni - le zone costiere metropolitane

del Grand Casablanca e le zone rurali dell‟entroterra agricolo circo-

stante l‟area di Khourigba coinvolte dalle crisi idriche ed agricole so-

no un caso davvero significativo di comunità delocalizzate, esposte

alla comparazione costante e al miraggio migratorio come „cultura

popolare‟ (Capello 2003; Pellegrino 2009a). Per citare un elemento di

centrale importanza rispetto agli scambi di cui stiamo parlando, il Ma-

rocco è il secondo paese africano per diffusione di tv satellitari e di

connessioni internet (tecnologie molto più diffuse rispetto all‟Italia), e

ciò sta trasformando ad una velocità impressionante gli equilibri tra

culture giovanili e „tradizioni‟ (Mernissi 2004).

Infine, vivere la migrazione attraversando il Mediterraneo non è

come viverla altrove. Si tratta di un‟esperienza migratoria particolare,

perché particolare è la relazione – di lunga data – tra le sponde vici-

nissime.

Questo elemento spiega la diffusione e il particolare interesse

per i „discorsi sull‟Occidente‟ prodotti in Marocco nei diversi contesti

di cui il presente saggio renderà conto, definibili appunto nei termini

di „occidentalismi‟ (Pasquinelli 2005): discorsi sull‟occidente che si

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producono da un „auto-posizionamento‟ all‟esterno, e che si nutrono

del confronto tra diversi attori culturali che calcano la medesima scena

globale.

Tali prassi „comparative‟ tra occidente3 europeo e società ma-

ghrebine operate dai trans-migranti (da coloro che vivono effettiva-

mente nella dimensione di andirivieni tra Marocco e Italia)4 e dai pre-

migranti (coloro che vivono nella dimensione prolungata di organiz-

zazione del possibile viaggio, nella condizione sempiterna del pre-

viaggio) sono al centro di questa analisi, focalizzata appunto sugli oc-

cidentalismi mediterranei, dispositivi narrativi, performance dialetti-

che circa la differenza culturale che si producono in questi gruppi e

alla presenza di una ricercatrice italiana. Le mie riflessioni sono il ri-

sultato di un lungo percorso di ricerca multi-situata a cavallo tra Italia

e Marocco, di una osservazione etnografica dei viaggi di rientro estivo

in vacanza di marocchini\e che mi hanno permesso di accompagnarli e

restare loro ospite un lungo periodo.

In particolare, l‟interesse specifico di questo paper è legato alla

contrapposizione tra ciò che si attribuisce alla dimensione del passato,

ciò che si attribuisce alla dimensione del contemporaneo e del futuro.

Infine, le interviste individuali, i dialoghi, i focus group sulla

comparazione tra società europee e società islamiche all‟interno di

queste reti migratorie sono occasioni di analisi delle ricadute effettive

del continuo contatto tra luoghi in termini di processi di significazione

3Scrivo la parola „occidente‟ utilizzando l‟iniziale minuscola per sottolineare la differenza tra

un‟area geopolitica (l‟Occidente, appunto, per fare riferimento al quale dovrei fissare precisi e

complessi riferimenti di tipo storico-politico) e „l‟oggetto‟ al quale si riferiscono le conversazioni tra e con i migranti, rappresentazioni soggettive e contemporaneamente termine - discorso la cui

„definizione‟ era la posta in gioco del dialogo tra me e i miei interlocutori. 4 Le migrazioni marocchine in Europa sono a mio avviso un buon esempio di migrazioni trans-

nazionali: i\le marocchini\e che negli ultimi decenni si sono stabiliti in Europa continuano a

muoversi su e giù per il Mediterraneo; si sono fatti soggetti attivi della regolazione delle catene migratorie; hanno inviato ingenti rimesse ai propri parenti; hanno costituito un numero elevato di

imprese import-export; hanno contribuito alla vita politica del proprio paese di origine. Il fatto

che questi migranti vivano in costante attraversamento del Mediterraneo rende la loro esperienza particolarmente interessante poiché questo mare si pone oggi come piccola distanza fisica tra

mondi „messi‟ a grande distanza, tra l‟Europa cristiana e il Maghreb musulmano: insomma, esso

è uno dei fronti dove oggi viene collocata e operata attivamente (mediaticamente) la differenzia-zione geo-politico-culturale.

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della modernità, di capacità potenziali di spostamento simbolico degli

individui e dei gruppi.

Come vedremo, i discorsi degli altrove sugli occidenti, e più in

particolare i discorsi che levano dal Maghreb verso l‟Europa, sono in

qualche modo nuovi e inaspettati, non più fortemente idealizzati (né in

positivo né in negativo), maggiormente legati alla conoscenza diretta.

Questi discorsi contengono riflessioni sul colonialismo storico, sul

drenaggio delle risorse naturali (la pesca, ad esempio, è un contenzio-

so – simbolicamente molto determinante – che continua tra Spagna e

Marocco) e sulla dominanza economica contemporanea

dell‟occidente, insomma contengono istanze che potremmo chiamare

di „ri-distribuzione‟. Tali riflessioni, tuttavia, sono spesso l‟incipit dal

quale dispiegano e del quale si nutrono più imponenti discorsi rispetto

alle appartenenze e ai modelli cultuali, discorsi identitari che si pon-

gono come istanze di „ri-conoscimento‟ e che mi sono apparse domi-

nanti. Considerare queste due componenti e osservarne la relazione tra

loro è parte fondamentale degli studi interessati agli occidentalismi.

MATERIALI E METODI

Le riflessioni condotte nel saggio si basano sul materiale ricavato da

un‟inchiesta multi-situata svolta in parte in Marocco ed in parte in Ita-

lia, centrata sugli spostamenti di alcune famiglie di migranti maroc-

chini residenti nelle province di Parma e Reggio Emilia. Gli studiosi

che fanno riferimento alle metodologie multi-sited definiscono i propri

oggetti di studio attraverso differenti modi o tecniche finalizzati a se-

guire le persone per ricostruire le storie di vita raccogliendo i signifi-

cati conflittuali che emergono nel venire a confronto con le loro diver-

se realtà (follow the thing, follow the metaphor, dice Marcus).

L‟oggetto di tali studi è pertanto mobile e situato in modo molteplice,

e la dimensione „comparativa‟ diviene parte integrante della ricerca,

sotto forma di giustapposizione di dati e processi che convenzional-

mente vengono trattati dalla ricerca come mondi separati. Ciò permet-

te non solo di raccogliere informazioni su entrambi i contesti ma an-

che di indagare come l‟uno influenzi e produca effetti sull‟altro in

maniera dialettica e bi-direzionale (Marcus 1995). In tal senso, proprio

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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grazie alla sperimentazione metodologica multi-sited, gli studi sulle

migrazioni cominciano ad occuparsi in modo nuovo anche in termini

teorici di costruzione di identità nei global-local frames.

In realtà, in questo saggio mi concentrerò in particolare sul ma-

teriale raccolto al momento del rientro estivo delle famiglie prove-

nienti dall‟area occidentale atlantica del Marocco (nei quartieri perife-

rici del vasto agglomerato urbano di Casablanca5), utilizzando come

materiale di confronto i risultati dell‟osservazione condotta in Italia in

seno delle stesse famiglie e già presentati in recenti pubblicazioni

(Pellegrino 2008; Pellegrino 2009a). I miei accompagnatori mi parla-

no sapendo di avere in comune l‟esperienza italiana e di aver condivi-

so con me l‟attraversamento del Mediterraneo, e in tal senso l‟analisi

dei discorsi formulati in Marocco resta per noi “materiale prodotto tra

le due sponde”, come ebbe a dirmi uno di loro.

Infine, un‟osservazione partecipante prolungata a periodi inter-

mittenti su due anni e le numerose interviste individuali e di gruppo

5Casablanca è un buon esempio di grande città “duale” di cui parlano i sociologi, vale a dire città

nelle quali vi è la concentrazione degli estremi (intesi anche come ricchezza e povertà) che costi-tuisce oggi le città di grandi dimensioni, in cui si raccolgono i professionisti del jet set interna-

zionale insieme ai disoccupati di cui nessuna attività produttiva avrà mai bisogno. Un insieme

frammentario, dove la compresenza di visioni diverse del mondo è forte ed evidente, e dove le identità crescono ibride senza mai essere state pure. Proprio la grande vocazione migratoria di

questa città (che è meta di impressionanti flussi migratori interni al paese, che hanno ridotto la

popolazione rurale dal 90% al 50% in meno di mezzo secolo, e che contemporaneamente è tappa intermedia di chi vuole emigrare verso l‟Europa) permette ai pre-migranti di estraniarsi conti-

nuamente da Casablanca, e di vederla. L‟area a cui facciamo riferimento in particolare è quella

del quartiere di Sbāta, cresciuto a partire dagli anni „60 con sistemi di edilizia popolare in buona parte abusiva: le cifre erano accessibili per chi arrivava dalle campagne e i proprietari facevano

affari. Questi quartieri hanno vissuto a lungo di economia prettamente urbana e informale: com-

mercio e artigianato. In realtà, l‟arrivo continuo di nuova popolazione, la mancanza di sistemi fognari adeguati, la mancanza di elettricità per le numerose abitazioni abusive, la densità di po-

polazione resero questi quartieri delle „città nella città‟: molte famiglie (circa un quarto dell‟intera popolazione attribuita all‟intera metropoli) vivono senza essere registrate, come mo-

strano le recenti ricerche condotte da Cicsene (2007), senza sostegno da parte delle istituzioni e

senza accesso ai servizi. Per questo, i nuovi quartieri popolari sono restati a cavallo tra due mon-di: alcuni bisogni elementari, come la scolarizzazione, restano insoddisfatti come negli ambienti

rurali, ma con meccanismi di protezione sociale molto più debole. Infine, le fortissime crisi agri-

cole degli anni „70-‟80 hanno portato nuovi flussi migratori verso la città. Infine, sebbene sia pressoché l‟unica città marocchina ad avere un bacino migratorio nazionale (i migranti proven-

gono da tutte le aree), la maggior parte di persone sono originarie delle aree limitrofe (Chaouia e

Doukkala) e ricostruiscono nella città diversi reticolati e mercati (economico ma anche matrimo-niale, ad esempio) relativamente impermeabili tra loro.

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centrate sulla lettura dei cambiamenti in atto nelle società di partenza

e di arrivo (per un totale di circa 75 testimoni6), mi hanno permesso di

cumulare una quantità importante di narrazioni sugli argomenti di no-

stro interesse. Le sbobinature sono state analizzate grazie al supporto

del software Nud*ist (versione 4 dell‟attuale Nvivo) che ha permesso

un‟analisi del contenuto focalizzata sulle ricorrenze e sulle co-

occorrenze (i testi delle interviste individuali e dei focus group sono

stati analizzati per catalogare i concetti ripetutamente emergenti e le

forme diverse di associazione tra loro). L‟analisi ha previsto una pri-

ma fase di conteggio e contestualizzazione di alcune parole-chiave

all‟interno delle frasi (noi, voi, Europa, Occidente, Marocco, cambia-

mento, identità, Islam, religione, futuro, mondo, vita, donna…); poi ho

proceduto ad una seconda fase di codifica dei concetti e di struttura-

zione del ‟albero‟ delle tematiche, vale a dire all‟analisi

dell‟articolazione tra argomentazioni ricorrenti.

MIGRANTI E PRE-MIGRANTI A CONFRONTO: LA VARIABILITÀ

“ESPLODE” NELLE FAMIGLIE

La presenza di e-migranti in vacanza è l‟occasione per mettere in sce-

na elementi di conflitto già presenti in seno alle famiglia, per compa-

rare e riordinare simbolicamente la crescente molteplicità di stili di vi-

ta esistenti in seno alle società contemporanee maghrebine, ed in par-

ticolare nei contesti urbani marocchini7. Come dice l‟anziano Samir

(Casablanca 2001) “vi sono aspetti della vita che prima accomunava-

no i membri di una famiglia e la caratterizzavano” citando il „luogo‟ di

6Per una descrizione più dettagliata del profilo socio-demografico dell‟insieme selezionato tra-

mite una strategia di campionamento snow-ball, e composto in numero comparabile da uomini e

donne, si rinvia a Pellegrino (2009a). 7Il Marocco è una società molto dinamica, all‟interno della quale si è assistito a grandi cambia-

menti di tipo socio-demografico negli ultimi 50 anni. Se nel 1955 la speranza di vita alla nascita

era di 42 anni, nel 2007 è di oltre 72 anni, e a partire dagli anni „70, è calata velocemente anche

la fecondità. Ciò che si è prodotto altrove nel corso di diversi secoli, è avvenuto qui con una straordinaria velocità: se negli anni „60 del secolo scorso il numero di figli per donna era uguale

a 7, nel 2000 è di 2.9 e nel 2010 è previsto uguale a 2; se l‟età al primo matrimonio nel 1960 era

17 anni per le donne e 24 anni per gli uomini, nel 2004 diviene rispettivamente di 27 e 31 anni (Fonti: Bilancio Demografico UN 2000; Direction de la Statistique du Royaume 2005).

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scelta della moglie (facendo riferimento al piccolo villaggio dove lui

si è recato per sposarsi) e che oggi invece paiono essere i campi emer-

genti di diverse scelte, palesando così una “esplosione di persone di-

verse presenti nella stessa famiglia” (sempre Samir).

Tratterò qui più specificamente quattro questioni attinenti a tale

processo di collocazione dell‟individuo nel dominio della scelta - pro-

cesso di individualizzazione che si realizza sebbene con caratteristiche

differenti rispetto a quanto visto in Europa - poiché esse emergono ri-

petutamente nel confronto tra pre-migranti e trans-migranti operato

all‟interno di questi micro-sistemi trans-locali: le province

dell‟occidente; la questione di genere; l‟alleanza matrimoniale; il pro-

selitismo religioso.

Mi pare utile tuttavia soffermarmi brevemente su un aspetto più

generale al quale ho già fatto brevemente riferimento.

I discorsi di migranti e pre-migranti sull‟occidente contengono

numerose riflessioni sulle componenti strutturali dello sfruttamento

economico e della dominanza politica che l‟Europa (e più in generale

l‟occidente) opera sul resto del mondo. Sono molti, ad esempio, i rac-

conti sull‟aumento costante delle guardie costiere marocchine che in

accordo con quelle europee si oppongono in maniera brutale e violenta

alle emigrazioni irregolari: “a Ceuta e Mellilla i marocchini arriveran-

no a sparare sui marocchini, ti rendi conto?” dice Amir intervistato nel

2001 a Rabat. Sono ricorrenti anche i discorsi sui legami tra i governi

europei e la classe politica locale, legami che agli occhi dei testimoni

contribuirebbero agli alti livelli di corruzione interna, e diffonderebbe-

ro tra la gente la convinzione che la parteci-pazione sia inutile, che la

democrazia sia “nei fatti irrealizzabile”.

Tuttavia, nella maggior parte dei casi, i discorsi che alludono ai

„conflitti redistributivi‟, vale a dire agli interessi nella loro dimensione

materiale, sono qui presenti pressoché sempre congiuntamente ai di-

scorsi che alludono alla „lotta per il riconosci-mento‟, vale a dire ai

discorsi circa le identità e le culture (Fraser e Honneth citati in Mar-

ramao 2005). In alcuni casi, la crescente consapevolezza circa i con-

flitti redistributivi è posta alla base del nuovo desiderio di affrontare le

lotte per il riconoscimento. Ma soprattutto pare avvenire il contrario:

oggi, mettere in discussione lo stile di vita occidentale (affrancarsi

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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dalla subalternità culturale) pare il primo passo per pensare, per narra-

re, per presentare istanze di re-distribuzione.

Ciò rafforza l‟ipotesi che, per comprendere la natura dei conflit-

ti contemporanei, è inutile contrapporre i due aspetti come se esistes-

sero quali fenomeni isolati: essi si presentano nell‟immaginario degli

attori sociali come elementi complementari; la centralità del discorso

„culturalista‟ e la continua ricollocazione identitaria paiono oggi tra gli

elementi discorsivi più importanti per farsi „sfruttatori‟ o „sfruttati‟,

pur in modi sempre nuovi. Se le appartenenze culturali non sono oggi

forme di radicamento nelle realtà locali, né sono l‟eredità di una con-

dizione sociale e di un sapere precedente (di un mestiere familiare, ad

esempio), se ciascuno è diventato uno dei tanti uguali nel grande spa-

zio urbano e si ritrova „avvicinato‟ a gente che percepisce il medesimo

sentimento di sradicamento, allora ciò che ci attende, come dice Hall

(2006), è questo immenso lavoro di riposizionamento gli uni rispetto

agli altri che ho raccolto in Marocco. Questo autore ha ben argomenta-

to, infatti, come nell‟età globale la partita tra integrazione e marginali-

tà, tra inclusione ed esclusione si giochi anche e soprattutto sul terreno

della appartenenza culturale, della capacità di dire e pensare la propria

cultura ormai priva di ogni essenzialismo (priva di ogni ancoraggio

fisso alle dimensioni del passato e del luogo) e divenuta „performati-

va‟. In tal senso, l‟identità si costruisce nell‟intreccio continuo tra ap-

partenenza culturale e appartenenza di classe, in un gioco per

l‟egemonia tra diverse rappresentazioni che poi avviano le egemonie

politico-economiche (come nel caso del thatcherismo e della genesi

del suo consenso esposto dall‟autore).

PROVINCIALIZZARE L‟OCCIDENTE. IL MEDITERRANEO E

L‟ATLANTICO AGLI OCCHI DEI MAROCCHINI

“L‟Italia non è il Canada. Voglio dire che sino a pochissimo tempo fa c‟erano

gli animali in casa e si lavorava alla terra e si emigrava […] Anche oggi c‟è

quell‟aria di inshallah che mi ricorda tanto i marocchini […] che stanno ad

aspettare dal re e si divertono quando le cose vanno male così possono dare le

colpe” (Nadia, Casablanca 2002).

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Nei discorsi formulati dai migranti marocchini, l‟occidente viene

spesso „provincializzato‟, suddiviso in diverse aree e in diversi occi-

denti proprio grazie ad una conoscenza diretta, ad una appartenenza

multipla a diversi contesti occidentali (si tratta di “famiglie sparpaglia-

te”, come le ha definite uno dei testimoni).

Nelle testimonianze di coloro che sono coinvolti dalle migra-

zioni, quindi, l‟occidente non appare come „oggetto‟ unico e definito;

non esiste un occidente, ma ne esistono almeno tre: quello dell‟area

mediterranea (dell‟Europa del sud, o sarebbe meglio dire dell‟Italia e

della Spagna), quello dell‟area nord europea (Francia compresa), e

quello dell‟area atlantica (intesa come USA e Canada).

Gli strumenti di mappatura dell‟occidente derivano essenzial-

mente da due canali, i racconti dei migranti e le telecomunicazioni (in

particolare le televisioni satellitari e internet), elementi che caratteriz-

zano in maniera del tutto particolare questo paese, e spingono sovente

i migranti (tanto gli e-migranti quanto i pre-migranti) a sostenere che

“l‟Europa non è l‟America e l‟Italia non è proprio davvero Europa”,

come ha detto Habib, conosciuto a Rabat l‟estate del 2001 poiché cu-

gino di uno dei miei testimoni, che vive vicino a Washington ed ha un

fratello in Francia.

L‟Italia occupa quindi un posto particolare nell‟immaginario dei

migranti marocchini e del loro entourage. Da un lato, “la Sicilia è pie-

na di arabità”, dice Mariam, vissuta a Niscemi 3 anni, ora residente a

Modena, intervistata a Casablanca nel 2002, e il Marocco “è pieno di

Roma”: “sai vedere Volubilis? (sito archeologico del III sec. a.c., ndr)

Bè, Roma sta qui da sempre […] anche prima che noi pensavamo il

resto del mondo” (Safi, guida turistica, Volubilis 2001). Per quanto

oggi venga rimossa o superficializzata, la lunga liaison tra Maghreb e

sud Europa è qui molto più visibile rispetto a quanto accade nei di-

scorsi degli europei: il Marocco è la culla dell‟impero musulmano

d‟Europa, durato in relativa pace per molti secoli, dell‟Alambra e della

Andalusia, le cui città ricordano quelle marocchine. Qui è la storia

delle migrazioni dalla costa nord a quella sud, per lunghi secoli più

importanti di quelle da sud a nord, delle convivenze, delle contamina-

zioni e delle parentele che pochi si sentono di sottolineare nelle opera-

zioni di ingegneria dell‟Europa (Cassano, Zolo 2007). Ma nella testa

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dei trasmigranti marocchini e dei loro entourage, invece, questa storia

c‟è.

Il risultato complessivo dei discorsi sui diversi occidenti è di

fatto una particolare forma di „provincializzazione‟ dell‟Europa fun-

zionale a distanziarla dall‟Altro Ovest, dagli USA. Ciò che più mi in-

teressa è sottolineare che tale divisione non viene fatta semplicemente

in base ad una misurazione quantitativa e lineare di „sviluppo‟ socio-

economico (di possibilità di accesso ai consumi, ad esempio), come si

potrebbe ipotizzare, con l‟Europa mediterranea in coda e gli USA in

testa. Si tratta piuttosto di una „ricostruzione indiziaria‟ di queste so-

cietà operata in base al modo di “trattare lo straniero”, o al grado di

patriottismo o alla coesione sociale o ancora ai ritmi di vita, tutte que-

stioni ricorrenti nelle narrazioni. I migranti paiono fare distinguo

sull‟occidente che l‟occidente non opera comunemente: valutano le

province dell‟occidente non tanto in base al „progresso economico‟ –

non solo – ma in base alle fatiche esistenziali degli occidentali e

all‟insicurezza che i migranti provano nel viverci (in alcuni luoghi

sentono di poter essere “spazzati via in due minuti”, come dice Kha-

lid, in altri meno). Essi evidenziano così una maggiore vicinanza cul-

turale con l‟Europa mediterranea (il senso auto-critico, le relazioni

familiari, la scarsa partecipazione politica …), e in tal senso la „medi-

terraneità‟ pare un concetto debole ma vivo:

“Mio cugino mi raccontava di come ancora gli americani pian-

gono nelle sfilate davanti alla bandiera […] In Italia quelli della Lega

la bruciano […] questo non fa perdere voti, anzi” (Abdel, Casablanca

2001); (parlando dei programmi in TV) “La differenza grossa è che

gli americani ci tengono a dire sempre che nascere lì è il meglio pos-

sibile, mentre in Italia non c‟è questo aspetto […] Gli americani si

sentono meglio di tutti, gli italiani solo di qualche… ad esempio sicu-

ro meglio dei marocchini” (Adam, Parma 1999); “È abbastanza incre-

dibile per me ascoltare i discorsi dei politici americani guarda, citano

Dio più di Mohamed VI!” (Khadil, Casablanca 2002).

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LE RAPPRESENTAZIONI CIRCA LA RELAZIONE TRA GENERI.

DIVERSI MODI DI INTENDERE LA PARTECIPAZIONE FEMMINI-

LE E L‟EMANCIPAZIONE DALLA SUBALTERNITÀ

Nel parlare della condizione femminile, le donne incontrate all‟interno

di entourage migratori nei quartieri periferici di Sbata (Casablanca)

sposano la dimensione religiosa al futuro: pare aprirsi un terreno attra-

verso cui le donne musulmane aspirano a costruire una nuova dimen-

sione sociale senza produrre fratture tra sé e quello che è considerato

un patrimonio di senso, culturale e religioso.

Questo discorso al femminile assume particolari forme argo-

mentative. Il desiderio di un nuovo ancoramento alle Scritture, che a-

limenta i movimenti più colti, è presente (diverse volte mi viene citata

l‟interpretazione impropria degli scritti sacri sulla poligamia, ad e-

sempio, o sul sostentamento alla donna da intendere come aiuto e non

come possesso, ecc.). Si tratta di discorsi sulla uguaglianza di genere e

sulla giustizia sociale che ancorano nel Corano la propria visione e

che ricercano in questo modo le pratiche di giustizia per tutti gli esseri

umani in nome della “pienezza” spirituale, sia nella sfera pubblica che

nella sfera privata (Badran 2005).

Nelle conversazioni emerge poi un secondo tipo di argomenta-

zione, più diffuso: un desiderio generale di affermazione della propria

storia particolare e differente (“non ha senso importare un‟altra cultu-

ra, la nostra è questa” dice Amina), il desiderio di una strada che parta

dalla ri-appropriazione di ciò che è „struttura‟: “la moschea e il Cora-

no appartengono alle donne quanto i corpi celesti, abbiamo diritto a

tutto questo, a tutte le sue ricchezze per costruire la nostra identità

moderna” (Mernissi 2002 citata in Campanini 2005).

Le argomentazioni più ricorrenti tuttavia parlano della “via da

perseguire per vivere bene” (Farida 42 anni, casalinga): è in base alla

realizzazione di sé che avviene il confronto con il modello occidenta-

le, per come le donne marocchine lo valutano. Queste donne non mi

dicono solo di volere coltivare la parola di Dio poiché essa è il perno

del proprio sistema culturale – e in tal senso, la “via possibile” per una

messa in discussione che non comporti auto-distruzione -, ma dicono

soprattutto di voler seguire quella Parola poiché convinte che essa por-

ti ad una “femminilità felice” (Karima 21 anni, studentessa) che “la

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donna europea non ha trovato” (Jamila 31 anni, segretaria), di fatto

coinvolta in processi di maschilizzazione della società e di dis-

umanizzazione: molti sono i riferimenti sulla „perdita di senso‟ legata

alla ”perdita di tempo per la Parola”, ecc.

Cercando di trarre conclusioni più generali da questi discorsi,

mi pare utile sottolineare come appaia la crescita di spazi dell‟attività

intellettuale condivisa (pubblica) permeabili, aperti alle donne, e anco-

ra più chiaramente di una aspirazione femminile ad essi. Seguendo lo

sguardo di queste donne, potremmo dire che il processo di „individua-

lizzazione‟ le riguardi nei termini di „aspirazione alla razionalità‟ (il

desiderio di una esegesi del Corano maggiormente indipendente, ad

esempio), diffusa soprattutto tra le giovani donne. In questi segmenti

della società marocchina, quindi, si potrebbe parlare di processi di

„democratizzazione del pensiero‟ a base „razionalista‟. Eppure, ciò che

pare differenziare fortemente il percorso di queste donne rispetto alle

donne occidentali è il tentativo di accedere al pensiero individuale e

allo spazio pubblico in cui collocare il pensiero senza espellere la dif-

ferenza sessuale da tale spazio, senza cioè compiere quel percorso di

de-gendering, di astrazione simbolica dell‟individuo razionale che ha

caratterizzato l‟Occidente, senza assumere come propria la visione im-

personale (nel senso di „priva di genere‟) dei ruoli sociali che ha inve-

ce caratterizzato il processo di modernizzazione occidentale (Bontem-

pi 2008).

Tali posizioni non nascono da una disincarnata saggezza rispet-

to alla natura umana femminile, ma sono appunto formulazioni da au-

to-posizionamento che nascono dall‟incontro con l‟occidente, e ancora

più precisamente dalle particolari condizioni della mia indagine, in

questo contesto migratorio e trans-culturale nel quale dei\delle mi-

granti introducevano una osservatrice occidentale. Davanti ad un‟altra

(la donna occidentale) che viene ritratta come spaesata, stressata, di

fatto maschilizzata, sfinita dalla propria “ricetta di vita”, si opera la

resistenza possibile e questo modello „alternativo‟ di aspirazione ad

una diversa condizione femminile appare nella sua vitalità.

Eppure, se sono molte le allusioni all‟insuccesso della donna

occidentale, al suo fallimento nella combinazione tra procreazione e

produzione (che di fatto si sarebbe ridotta alla centralità del produrre),

anche le donne marocchine presenti negli entourage migratori paiono

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dolorosamente sospese rispetto ai “compiti impossibili”. Sono molte

le narrazioni che argomentano la incapacità di „buona sintesi‟ tra di-

mensioni del femminile: le donne migranti e premigranti paiono criti-

che sia nei confronti dell‟Italia che nei confronti del Marocco (e ciò

maggiormente tra le donne marocchine originarie di Casablanca). La

produzione (il lavoro), per la natura stessa del sistema produttivo capi-

talista oggi aggravata dal diffondersi delle condizioni di atipicità con-

trattuale, discontinuità, self-employment (attività di autocollocazione

permanente), non pare letteralmente “compatibile con un‟esistenza

giusta per la madre” (Souad, Casablanca 2001): la produzione appare

possibile solo se sottrae “praticamente tutto lo spazio”. Per questo una

divisione dei ruoli „implicita‟ in seno alla famiglia resta per molte

donne la via concretamente agita e narrata, anche se diffusamente de-

finita come “imperfetta”, “faticosa”, “improvvisata”, “tirata” sia dagli

uomini che dalle donne migranti.

In tal senso, queste donne migranti, rispetto a quanto accade tanto in

Italia quanto in Marocco, paiono tornare spesso alla narrazione di „pa-

radossi‟. Da un lato, vi sarebbe la spinta europea alla rimozione della

concretezza del corpo sessuato dalla sfera pubblica e la sua rielabora-

zione metaforica nell‟idea di individuo (razionale, maschilizzato e poi

perciò produttivo); dall‟altro lato, vi è la considerazione diffusa

dell‟inefficacia e della crudeltà di tale spinta alla „individualizzazione‟

operata da istituzioni che non sono più in grado di collocare il siffatto

individuo nel mondo (sono molti i riferimenti alla scomparsa del lavo-

ro, all‟inutilità della formazione scolastica, e ecc.). Di fatto, ad esem-

pio, viene citata la paradossale situazione per cui il lavoro di cura è

lasciato comunque e sempre alle donne italiane, e contemporaneamen-

te vi è una mancanza di riconoscimento sociale per tale lavoro proprio

in quanto „mantenutosi fuori‟ dai processi moderni di accreditamento

sociale delle professioni ai quali abbiamo fatto riferimento.

Infine, dall‟inefficacia di alcuni paradigmi (nei termini di „non

governo della realtà‟) e soprattutto dalla infelicità delle donne occi-

dentali, pare prendere forza un diverso modo di impostare la questione

della „emancipazione femminile‟ dai contesti patriarcali. L‟incontro

con queste donne e il loro atteggiamento nei miei confronti testimo-

niano forme di resistenza al modello dominante che potrei definire „i-

slamo-esistenzialiste‟: si tratta di donne “che ci guardano mentre le

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osserviamo”, dice Young (2005), e formulano così “contro-proposte di

cui, a nostra insaputa, il pianeta post-coloniale è disseminato”.

LA QUESTIONE DEL MATRIMONIO. SIGNIFICATI E FORME DI-

VERGENTI DEL LEGAME DI COPPIA

Mentre in Marocco cala fortemente l‟endogamia tra gruppi chiusi (ad

esempio all‟interno dei singoli villaggi) ed aumenta il numero di colo-

ro che scelgono la propria compagna\o senza l‟intermediazione delle

famiglie, i migranti marocchini che si sposano dopo essere migrati in

Italia paiono ri-valorizzare il matrimonio con una persona del proprio

entourage, soprattutto se il matrimonio sopraggiunge dopo un numero

relativamente alto di anni dalla partenza (Pellegrino 2001; Pellegrino

2009a). Gli immigrati 40enni incontrati in Emilia Romagna - indotti al

continuo rinvio delle nozze per “prepararsi meglio, trovare i soldi, la

casa adatta” - considerano importante in numerosi casi il ruolo della

madre come „mediatrice nuziale‟, e parlano sovente di legame matri-

moniale nei termini di alleanza difensiva:

“Non voglio lottare anche in casa, voglio qualcuno che si realizza a

stare bene, non come vedo nelle coppie italiane […] A casa dei miei

amici italiani è sempre la lotta a chi comanda, ma lui ha un buon lavo-

ro e i soldi e la casa, gli restano le energie (ride)” (Samir, Casablanca

2002).

D‟altro canto, i pre-migranti che vivono nel miraggio

dell‟Europa e nei grandi contesti urbani in trasformazione parlano del

matrimonio come nuova occasione di realizzazione personale e affet-

tiva, di legame all‟interno del quale “trovare una compagna che dav-

vero abbia voglia di seguire i miei sogni, che sia una donna da viag-

gio” (Habib, Casablanca 2001), creando forti tensioni tra generazioni

all‟interno della famiglia.

Questi diversi modi di intendere la coppia e di comporla non

paiono ricondurre sovente a motivazioni di tipo normativo o religioso,

quanto piuttosto alla dimensione „adattiva‟ del piccolo gruppo rispetto

al progetto migratorio o ancora più in generale al progetto di riuscita

individuale del primo-migrante (del primo ad essere partito).

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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Parallelamente, i diversi modi di intendere la coppia e di com-

porla non paiono scalzarsi o sostituirsi rapidamente gli uni agli altri

all‟interno di una famiglia o di un gruppo trans-locale, quanto piutto-

sto tendono a coesistere, a stabilizzare la divergenza culturale tra pros-

simi.

Queste coppie infatti vivono in un Marocco migratorio (in cui

tutti sono migranti o parenti di migranti) multiforme e dinamico, dove

vi sono persone che conducono vite sempre più differenziate. Per que-

sto, i testimoni paiono aver adottato alcuni comportamenti all‟interno

delle opzioni fornite dal variegato contesto sociale nel quale vivono,

per scelta (attribuendo significato positivo a questi comportamenti più

che ad altri, con un effetto motivante), per appartenenza e dipendenza

dal contesto immediatamente circostante (quando le famiglie sono os-

servanti e relativamente conservatrici resta più forte la modalità del

fidanzamento per „presentazione‟), e perché “non ci siamo innamorati

prima”, come dice una delle mie testimoni. È la nuova combinazione

dinamica di tutti questi elementi – del livello individuale, gruppale e

sociale - che dà forma ad una singola alleanza matrimoniale, che non

pare perciò narrabile (né comprensibile) da uno solo di questi punti di

vista.

LA QUESTIONE DEL PROSELITISMO RELIGIOSO. I DIVERSI

MODI DI INTENDERE L‟APPARTENENZA E L‟ATTIVITÀ RELI-

GIOSA

Un elemento di conflitto tra uomini pre-migranti e trans-migranti che

invece non appariva pressoché per nulla nelle stesse famiglie incontra-

te nel contesto immigratorio, in Italia, è quella del proselitismo reli-

gioso, dell‟opera di presentazione della Parola al di fuori della comu-

nità dei credenti.

La questione si pone spesso in termini generazionali e soprattut-

to nell‟ambito maschile: i giovani di seconda generazione, cresciuti e

scolarizzati in Italia, vengono stimolati dagli zii e dai nonni circa la

propria appartenenza religiosa:

“Quanto conosci una ragazza gli dici subito che sei musulmano vero?”

(Omar, Casablanca 2001); “devi presentare alla tua amica studiosa

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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(ndr., parlando di me) le cose in cui crediamo, parlargli del Corano,

altrimenti lei non capirà e tu non fai il tuo dovere” (Jalil, Casablanca

2002), ecc.

Il timore, esplicitato più volte, è quello che le nuove generazio-

ni “perdano la via”, che vengano “assimilate dal punto di vista spiritu-

ale”: in questo confronto con l‟occidente, attraverso la questione reli-

giosa, emerge una strategia del „colonizzare per non essere colonizza-

ti‟ e si aprono scorci che possono essere letti in chiave post-coloniale

(a partire dall‟esperienza delle passate generazioni che hanno vissuto

direttamente gli esiti del colonialismo).

Ancora più diffusamente, il timore è quello di una privatizza-

zione della propria pratica religiosa, di un asservimento al modello

occidentale che ha promosso la dimensione secolare di tipo sociale (la

minore pregnanza di attività comuni di preghiera e riflessione sul sa-

cro) e non riesce ad immaginare un‟altra forma di compatibilità tra

laicità (separazione tra „religioso e politico‟) e democrazia che non sia

questa espulsione del religioso dalla sfera pubblica, mentre faticosa-

mente l‟Islam globale cerca altro e preme per una compatibilità con lo

spazio aperto e visibile (Ferrara 2008).

La questione del proselitismo, il dibattito tra giovani migranti e

il loro entourage migratorio, quindi, non si pone tanto nei termini di

necessario incremento della comunità credente quanto come pratica di

espressione pubblica della propria appartenenza religiosa, che viene

percepita - soprattutto dai pre-migranti più maturi - come inibita, in-

terdetta, barattata in cambio della possibilità di integrarsi.

Ciò che appare interessante sono le risposte dei giovani trans-

migranti: “Abbiamo molte cose in comune, e conviene puntare prima

sugli insegnamenti che avvicinano le religioni”; “Perché dovrei con-

vincere gli altri a diventare musulmano? E‟ già una grande sfida quel-

la di avere cura del mio spirito”, ecc.

Come visto in altre ricerche, queste posizioni segnano i percorsi

identitari in atto nelle nuove generazioni migranti, convinte che sia

necessario separare ciò che è culturalmente specifico da ciò che invece

è universale dell‟Islam, in un processo che consiste nel rivestire

quest‟ultimo con un “nuovo abito culturale orientato verso l‟ambiente

europeo e nel sostituire, quantomeno interpretare, l‟abito culturale

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proveniente dai genitori” (Maréchal et al. 2003, citato in Massari

2006, pag. 53).

E tuttavia, quanto visto in Marocco è particolarmente interes-

sante se confrontato a quanto raccolto in Italia: numerosi testimoni –

soprattutto tra i giovani – soffrono del modo in cui crescenti fasce del-

la società alto-borghese marocchina sposino il binomio „secolarizza-

zione = crescita culturale della società civile‟. Da un lato, questi e-

migrati si sentono culturalmente relegati ad „tradizionalismo‟ rinnega-

to dalle elite marocchine, soli in “una lotta che ritenevamo comune,

quella di un Islam meno maltrattato e discriminato” (Oudajfa 2001).

Dall‟altro lato, si sentono doppiamente marginalizzati dalle élites, “sia

qui che lì”:

“I ragazzi che fanno i colti di Anfa (quartiere elegante di Casa-

blanca ndr) hanno detto a me che esagero con questa cosa della reli-

gione, del diritto ad essere musulmani perché c‟eri tu, ma per tutti qui

è importante la questione […] Certo che insistiamo su quello, ma an-

che perché è su quello che ci attaccano, e se quei ragazzi non lo capi-

scono, allora non conoscono questo conflitto” (Khalid, Parma 2001).

Questo vissuto circa la propria dimensione religiosa, in colloca-

bile tanto lì che qui, espone un problema reale, che particolarmente in

Italia sta assumendo proporzioni significative: una particolare con-

trapposizione ai migranti musulmani, una nuova stigmatizzazione del-

lo straniero che passa dalla sua confessione. Guolo (2005) sostiene

che questa islamizzazione immaginaria dell‟immigrato sia - per inten-

sità - un percorso particolarmente italiano. In tal senso, tali riformula-

zioni circa l‟appartenenza religiosa non paiono trovare riconoscimenti

e sbocchi in nessuno dei contesti: in Marocco si viene rimproverati per

„lassismo culturale‟ e in Italia si viene additati per la „rigidità‟, e

l‟appartenenza religiosa diviene esperienza di conflitto e di svaloriz-

zazione in entrambi i contesti.

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PER CONCLUDERE: LE MODERNITÀ PARALLELE E LA “DOLO-

ROSA SINTESI”

“Guardare di qua e di là all‟inizio è senza dubbio imparare a vedere i limiti

della cose più che a scegliere. Poi magari col tempo. Adesso mi pare che inizio

a vedere come fare sintesi anche se è doloroso”

(Khalid, Parma 2002)

I\le trans-migranti sono testimoni significativi dei processi che caratte-

rizzano la nostra contemporaneità: i loro discorsi di natura „compara-

tiva‟ appaiono come conseguenza diretta di una esistenza delocalizza-

ta, multi-situata, innanzi tutto culturalmente, continuamente stimolata

dalle diverse opzioni presenti sulla scena globale che diventano ele-

menti preganti nelle scelte quotidiane, pur restando spesso opzioni ir-

raggiungibili materialmente. Data l‟irreversibilità di alcuni processi

attivati, la contrazione dei tempi e degli spazi dovuta alla tecnologie

che tutti siamo destinati\e a vivere in misura sempre crescente, questa

dimensione dialogica e comparativa della connotazione identitaria ri-

guarderà probabilmente il futuro di un numero sempre maggiore di

persone, anche quelle sedentarie ma non per queste meno delocalizza-

te, come oggi già avviene per i pre-migranti, che pure non partiranno

mai.

La rete migratoria trans-locale quindi può essere intesa come

una comunità nella quale si realizza una modernità multipla e compo-

sita, basata sull‟attività di immaginazione costante, di comparazione

tra le esistenze dei prossimi appartenenti alla stessa rete, che si fanno

ai loro occhi sempre più divergenti. Potremmo dire che aumenta il vis-

suto di una „differenziazione culturale‟ crescente al proprio „interno‟,

e di una reversibilità delle posizioni: la stessa ricerca multisituata

permette di cogliere il fiorire di posizione differenti a seconda dei con-

testi quotidiani in cui l‟attore migrante muove i propri passi, tutti ele-

menti che caratterizzano la tarda modernità di cui siamo spettatori e di

cui il trans-migrante sembra soggetto emblematico e precursore.

Infine, i discorsi di questi migranti mostrano chiaramente che

“il dibattito non è più tra la modernità e chi vi si oppone, ma piuttosto

tra diverse interpretazioni della modernità, alcune delle quali offrono

esse stesse alternative a ciò che viene spesso considerato, a volte in

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modi approssimativi, come il modello occidentale” (Young 2005, p.

13).

Rispetto ai risultati ottenuti dall‟analisi delle interviste e dei fo-

cus group realizzati in Marocco sulla scena dei rientri estivi degli\delle

emigranti, mi pare utile riprendere alcuni elementi.

In primo luogo, anche nella casa culturale delocalizzata e aperta, il to-

no del „noi-voi‟ resta scontroso, la pretesa sul mondo resta una neces-

sità per non essere prevalsi. Come dice Chambers (2003) il “senso

dell‟appartenenza rimane prepotentemente al suo posto”: animato allo

stesso tempo dal desiderio e dalla ripulsa del divenire come l‟altro, “la

domus diviene dominus”, o meglio si ritrova casa ancora nel tentativo

di dominio simbolico. Infine, il desiderio espresso nella dialettica nar-

rativa è quello di “case non precarie”: la narrazione è rifugio ideale

quando ci pone sopra al caos del mondo e non nel caos del mondo. In

tal senso, conoscere direttamente diversi mondi non significa trovare

nuovi modi di pensare al confronto tra mondi ibridi che sia fuori da

schemi gerarchici o normativi (ancora Chambers 2003). Potremmo di-

re pertanto che l‟attività dialogica trova uno spazio ridotto, e – come

raccontano gli\le stesse migranti – si sviluppa la connotazione „deco-

struttiva‟ dei diversi sistemi culturali, senza trovare vie o linguaggi

collettivi per una riconciliazione simbolica (riconciliazione che invece

nei fatti viene quotidianamente agita, vissuta, esperita come pratica di

vicinanza e di autocollocazione positiva).

Come dice Zhora, le società di immigrazione non si presentano

come “strada buona da seguire perché hanno già sbagliato ma non pa-

re che le società islamiche riescano a provarne una buona” (Zhora,

Casablanca 2002). Questo elemento è interessante poiché mostra co-

me la cittadinanza globale „simbolica‟ non sia affatto elemento che si

compia conseguentemente ad esperienze di cittadinanza globale „ma-

teriale‟ (economica, di doppia cittadinanza formale, di amicizie inter-

nazionali, ecc.).

In secondo luogo, è importante sottolineare come la maggiore

conflittualità tra le posizioni interne ai singoli entourage familiari, ed

in particolare tra pre-migranti e migranti, viene spesso assunta rispetto

ad elementi giudicati (discussi, interpretati) come più o meno „adatti-

vi‟ rispetto alla riuscita del progetto migratorio, come nel caso delle

modalità di scelta del proprio o della propria coniuge. Dinnanzi a tale

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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questione, la difficoltà di scelta (o se si vuole la difficoltà di significa-

zione della propria scelta) è grande perché i modelli che si possono

adoperare paiono moltiplicarsi e impegnare i singoli in una attività di

ri-motivazione costante.

I discorsi raccolti infine insistono sulla „crisi di progettualità‟ di

entrambi i sistemi culturali, che viene attribuita dai\dalle migranti ma-

rocchini in particolare a:

-la ricerca di una relazione tra i due generi che non comporti neces-

sariamente processi di maschilizzazione dell‟esistenza (o di „astrazio-

ne‟ dell‟individuo pubblico dal proprio genere), che le migranti ma-

rocchine imputano all‟occidente. E pur tuttavia, queste donne alla ri-

cerca di uno spazio pubblico per il corpo e la identità sessuata, scelgo-

no spesso la via della „riappropriazione razionale‟ delle scritture sacre

da parte delle donne, la scolarizzazione, la partecipazione alla produ-

zione discendete dalla propria capacità razionale e così via, dispositivi

simbolici e argomentativi che paiono mettere al centro la ragione, che

paiono trovare anche qui, anche per loro, la forma „paradigmatica‟ che

pure è stata alla base di quel processo europeo di creazione

dell‟individuo che esse stesse paiono rigettare. In tal senso, molto

spesso ho raccolto narrazioni centrate sullo sconforto, sulla mancanza

di una via, sull‟impossibile conciliazione tra forme di vita “gratuite,

non votate a niente se non alla cura di chi si ama e di sé, improntate al

necessario” (Khalida, Rabat 2001) e modelli consolidati di progresso

economico e sociale: “Alla fine possiamo spremerci quanto vogliamo

ma non saremo certo capaci di cambiare il fatto che il denaro muove

le persone: questo è sempre di più e non sempre di meno, anche e so-

prattutto tra immigrati e immigrate, anche e soprattutto tra infelici, che

mica sono padroni di sé” (Khalida, Rabat 2001).

-La ricerca di una forma di alleanza matrimoniale che sia strumen-

to di valorizzazione dei patrimoni individuali (materiali e immateria-

li), che sia centrata sull‟intesa e su una relazione maggiormente „pura‟

(su una nuova capacità negoziale) che dia soddisfazione al singolo, e

tuttavia che sia decodificabile e partecipata dall‟esterno, con un appor-

to in sostegno esterno alla contrattazione tra i coniugi, con un carico di

„garanzia‟ da parte dei prossimi. In tal senso, anche questa ricerca di

una terza via nasce tra i giovani trans-migranti e pre-migranti dalla

constatazione di un doppio „rischio di fallimento‟: la solitudine e il la-

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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voro insostenibile di una continua ricerca di senso all‟interno delle

coppie italiane, destinate ad una danza diadica (polarizzata) spesso in-

fertile; la solitudine e la conflittualità crescente nelle forme tradiziona-

li di matrimonio (all‟interno delle quali infatti aumentano i divorzi)

laddove i coniugi non inseriscano in una nuova forma di „contratto

implicito‟ la necessità di conoscersi, scavarsi, parlarsi, insomma di ac-

compagnare l‟attività di ridefinizione identitaria a cui il\la proprio\a

compagno pare destinato.

-La ricerca di forme di appartenenza religiosa che siano laiche ma

che non inducano la perdita di peso della „credenza‟ sulla società, che

non comportino la „opzionalità residuale del trascendente‟ di cui parla

Taylor (2007). La ricerca di una modernità diversamente secolare ca-

ratterizza l‟esperienza di alcuni trans-migranti marocchini, che sono

spesso caratterizzati da un vissuto di „doppia esclusione‟: in Marocco

sono considerati “timorosi e poco combattivi rispetto alle infamie che

si dicono in televisione sull‟Islam” (Tariq, zio di un giovane immigra-

to in Italia, Khemisset 2001) e all‟opposto sono considerati “troppo

fissati con questa storia della religione quando l‟umanità ha cause co-

muni come la pace e l‟ambiente” (Mohammed, giovane ambientalista

marocchino, pre-migrante in Francia, Rabat 2002); in Italia sono con-

siderati cittadini potenzialmente pericolosi, elementi di instabilità so-

ciale.

-In terzo luogo, nei discorsi sul „noi-voi‟ compiuti da migranti e

pre-migranti sulla scena dei ritorni c‟è una fortissima sovrapposizione

tra passato e presente. Il Marocco è un contesto la cui storia coloniale

all‟inizio ho faticato a comprendere nell‟analisi (probabilmente in

quanto „europea italiana‟), ma che mi si è mostrata con forza:

l‟allusione costante all‟esperienza migratoria delle generazioni prece-

denti; l‟autodifesa dialettica dalla supremazia potenzialmente manife-

sta nella mia stessa presenza (“Mi sembra che tu quando chiedi in re-

altà vuoi sempre dire: perché non fai come me?” dice H.) sono ele-

menti ricorrenti negli incontri. Come dice ancora Chambers (op. cit.),

“la catena del dislocamento globale inaugurata dall‟imperialismo mo-

derno è complessa e ha prodotto subalternità collegate eppure spesso

incommensurabili […] Oggi queste storie represse ritornano per dislo-

care nuovamente la pretesa di possedere la storia”, per collocare me

occidentale nelle coordinate di quella storia coloniale violenta che io

Daedalus 2011 Sguardi incrociati sul Mediterraneo

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(ricercatrice sul campo) non riconosco ma che ha la necessità di essere

raccontata proprio a me, ancora e nuovamente, da chi l‟ha subita.

Infine, i discorsi sull‟occidente rappresentano il cuore di attività

comparative tra culture che si caratterizzano non tanto come attività di

definizione di una appartenenza stabile e leggibile, quanto piuttosto

come riferimento a „ciò che non si è più‟ e a „ciò che non si vuole di-

ventare‟: se si vuole, vi è una definizione al negativo, nata dalle soffe-

renze intellegibili delle civiltà più che dai risultati ad esse attribuiti.

La valorizzazione del genere nello spazio pubblico e il rifiuto

dell‟astrazione del corpo, il tipo di alleanza sottesa al matrimonio, la

legittimazione pubblica della appartenenza religiosa paiono tre nodi

fondamentali agli occhi di chi compie la particolare esperienza di una

modernità trans-mediterranea. Frutto della costante attività di compa-

razione tra mondi, il crescente desiderio di consumo e di affermazione

personale (la legittimazione dell‟individuo in chiave razionale e pro-

duttiva) paiono riguardare un nuovo soggetto culturalmente delocaliz-

zato che pure è molto diverso dal soggetto europeo nato dai processi

della prima modernizzazione: anch‟esso vuole „possedere e pensare‟,

ma mostra istanze crescenti di benessere immateriale e spirituale, mo-

stra una capacità di critica ai consumi (soprattutto mediatici) inedita, e

indica la via di esistenze dubbiose, visioni frammentarie che convivo-

no senza trovare sintesi.

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