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La terapia strategica L’approccio strategico alla psicoterapia può essere definito come “L’arte di risolvere complicati problemi umani mediante soluzioni apparentemente semplici”. Nonostante i problemi e le sofferenze umane possano apparire complessi e persistere da anni, infatti, non per questo richiedono sempre soluzioni altrettanto lunghe e complicate. La terapia strategica costituisce un metodo per risolvere in tempi brevi problemi complessi, con una media di 15 sedute per intervento. L'enorme riduzione in termini di tempo tra la durata delle psicoterapia classiche e la terapia breve strategica è dovuto al diverso modo di leggere e quindi di affrontare i problemi psicologici. In questa sintesi ci basterà chiarire che l'interesse del terapeuta è posto non sulle presunte cause traumatiche infantili che sono ritenute alla base del problema per il quale il cliente si rivolge alla terapia, ma sulla ricerca dei meccanismi attuali che mantengono in vita il problema stesso. L’attenzione è posta sul modo nel quale la persona che chiede aiuto vede la sua sofferenza, ed in quale maniera reagisce ad essa, quali soluzioni adotta o ha attuato in passato per cercare di risolvere il problema stesso; quali persone sono coinvolte e cosa fanno per aiutare la persona a loro cara. La fotografia di quello che noi chiamiamo il "sistema “percettivo-reattivo”, costituisce un modo utile per bloccare le tentate soluzioni sostituendole con altre sperimentate essere efficaci, cioè permettere non solo di superare la situazione, ma di acquisire insieme ad una maggiore fiducia nelle proprie capacità, anche gli strumenti che impediranno di ricadere in altri problemi psicologici. Non si deve pensare ad un intervento esclusivamente sintomatico; certamente questo è un effetto che si produce già dalle prime sedute, ma si tratta di un fenomeno che accompagna il modificarsi del modo di leggere la propria realtà, intendendo con questa sia la natura del problema che la propria disponibilità di risorse. In altri termini la causa del problema è costituita proprio da questo tipo di lettura disfunzionale; e in questo senso la terapia interviene sull’essenza della sofferenza e quindi produce effetti duraturi nel tempo. L'atteggiamento del terapeuta è di massimo rispetto della persona, che è ritenuta efficiente in altri contesti, e quindi non pretende che questi rivoluzioni il proprio modo di comportarsi, per adottare quello della scuola di appartenenza dello psicologo; avviene esattamente il contrario, è cioè il terapeuta che si adatta al "mondo”del cliente. È intuitivo come questo abbrevia in termini significativi il processo di cambiamento. Un ulteriore aspetto differenziale ci sembra utile segnalare è che la terapia breve strategica inverte la logica secondo la quale per cambiare le cose bisogna prima comprenderle. Il sistema "percettivo-reattivo" del cliente è costituito da una struttura stabile di spiegazioni, autoreferenziale, e perciò difficilmente abbandonatile. Un intervento in tal senso rischia di

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mettere in atto una serie di protezioni, "resistenze" che espongono al pericolo se non di far fallire l'intervento, quanto meno renderlo lungo e tortuoso. Si comprende meglio e più rapidamente se si arriva da soli a mettere in crisi il proprio sistema di riferimento. Ciò è possibile attraverso la prescrizione di veri e propri compiti che, proposti in modo da “ingannare” la parte critica, consentono l'attuarsi di esperienze nuove, improbabili nel sistema "percettivo-reattivo" della persona; queste che noi chiamiamo “esperienze emozionali correttive” producono l’informazione che sarà elaborata dalla persona autonomamente, e quindi, immediatamente accettata, entrerà a far parte delle sue risorse. Naturalmente la procedura, pur facendo parte di un repertorio acquisito e sperimentato dal modello, sarà adattata alle specifiche della persona, valutandone puntualmente gli effetti pronti eventualmente a correggere il tiro, in un continuum definito “diagnosi-intervento”. Senza entrare nello specifico dei compiti che sono prescritti nelle varie tipologie problematiche, per rendere l'idea accenniamo alla prescrizione del sintomo; questo modo paradossale di intervento produce in molti casi effetti sorprendenti per i non addetti ai lavori. Ad una persona che ad esempio passa la giornata a lamentarsi con se stesso della sua incapacità ad affrontare la realtà, e così facendo non interviene sulle cose che accadono aumentando così la sua depressione ed i motivi per quali si lamenterà nei giorni successivi creando così un vero e proprio circolo vizioso, si prescriveva di lamentarsi volontariamente per mezz'ora in un preciso momento della giornata, prendendo nota nel resto del tempo di qualsiasi spunto possa essergli utile per la mezz'ora in questione. Questo compito, per essere accettato ed eseguito, è prescritto in un contesto psicoterapeutico caratterizzato da una comunicazione ipnotica senza trance, per la cui attuazione occorre una preparazione specifica da parte dello psicoterapeuta. Gli effetti di questa manovra sono quelli di cambiare atteggiamento nei confronti del problema. L'attenzione durante la giornata non sarà più sulla propria incapacità, ma sullo sforzo di ricordarsi di prendere appunti per la mezz'ora di autocommiserazione e in questa mezz'ora il dover volontariamente pensare alla propria incompetenza, renderà emotivamente diverso il modo di leggere la stessa. Lo sforzo di riprodursi volontariamente un malessere, amplificando nei pensieri la propria incapacità, produce un effetto paradosso noto agli antichi orientali come “spegnere il fuoco aggiungendo legna”, o se vogliamo ragionare in termini occidentali, usando la retorica con se stessi portando il ragionamento alle conseguenze estreme per rendersi conto della fallacia di suoi presupposti.Sta di fatto che nella maggioranza dei casi dopo qualche giorno di “esercizio” il cliente comincia a sentire un certo distacco emotivo dai problemi e si predispone a cercare le soluzioni operative. Non vogliamo banalizzare un procedimento che è frutto di ricerche e di verifiche sistematiche, pertanto rimandiamo ai seguenti cenni storici che meglio si faranno comprendere come tutto ciò sia frutto dell'evoluzione del pensiero scientifico, ma soprattutto confidiamo in un approfondimento suggerito dalla bibliografia. L'intervento è caratterizzato da uno stile molto pragmatico:

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• Si inizia con il definire il problema entrando nella logica del cliente, quindi al suo

punto di vista.

• Si definisce un obiettivo concreto che caratterizzerà la riuscita dell'intervento.

• Si analizzano le soluzioni messe in atto dalla persona portatrice del problema e da quelle che fanno parte del suo contesto.

• Si definisce un piano di intervento calibrato sul modello specifico percettivo reattivo

della persona.

• Si evita l'insorgenza di atteggiamenti resistenti iniziando col produrre cambiamenti minimali, tali da non mettere in crisi il sistema percettivo reattivo del cliente.

• Si valuta puntualmente la direzione dei cambiamenti ottenuti e si confronta con la

direzione dell'obiettivo concordato. Se le cose procedono nel modo giusto, si valuta la situazione di quel momento che si prende come base per introdurre nuovi cambiamenti che avvicinano all'obiettivo; se le cose non si sono modificate come previsto, si prende atto dell'inefficacia della manovra e si sostituisce con una che ha maggiori probabilità di funzionare. Così di seguito fino a quando la situazione attuale non coincide con quella prevista come terminale. Nel frattempo, man mano che si aggiungono i cambiamenti desiderati, si aiuta il cliente a cambiare la propria prospettiva di osservazione e quindi di spiegazione di quanto gli stava succedendo, per concludere con l'ultima seduta rivisitando tutto il percorso, accertandosi che il cliente abbia compreso che ciò che costituiva il problema non era la cosa in sé, ma quello che lui faceva per risolverla partendo da una prospettiva disfunzionale. Le sedute di verifica a tre mesi, 6 mesi, 1 anno, ci confermeranno che risultato raggiunto è stabile e che quindi la persona ha fatto propria la nuova modalità di approccio ai problemi, e che quindi è immunizzata da difficoltà non solo della stessa tipologia, ma anche da ipotetici problemi similari. Dal punto di vista della struttura del intervento, ricordiamo che la media delle sedute è quantificabile in 15. Queste hanno cadenza settimanale nella fase iniziale e successivamente, una volta raggiunti i primi risultati positivi, sono diradate nel tempo per evitare qualsiasi rischio di dipendenza psicologica dal terapeuta.

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Cenni storici Il modello strategico costituisce l'evoluzione di quello conosciuto come ”terapia sistemico relazionale". Questo modo di vedere la psicologia, nasce in America intorno alla metà del secolo scorso. Un gruppo di ricercatori provenienti da svariate discipline, sotto la guida di un antropologo, Gregory Bateson, ebbero l'intuizione di applicare le conoscenza della cibernetica alla psicologia. Sono anni di grandi innovazioni in campo scientifico: Milton Ericson sperimentava la sua tecnica di psicoterapia breve basata sull'uso del linguaggio ipnotico e sull'uso di stratagemmi terapeutici, mentre epistemologi come Heinz von Foester e Ernst von Glasersfeld mettevano a punto la teoria del costruttivismo radicale. Nel campo della fisica Hisemberg dimostrava l'infondatezza dell'oggettività dell'osservazione scientifica e con il suo “Principio di Indeterminazione” poneva le basi della messa in discussione di tutta la fisica Newtoniana. Nello stesso periodo Einstein assimilando la variabile tempo alle tre variabili spaziali, formulava la teoria della relatività. Ludwing Von Bertalanffy, biologo teorico e matematico, all’università di Chicago, introduceva nel 1949 la “Teoria Generale dei Sistemi” come una metodologia valida per tutti i domini della scienza. In quel clima culturale così "effervescente " Gregory Bateson, ed il suo gruppo composto da Jay Haley, John Weakland, Don D. Jackson e William Fry, rifacendosi alla teoria dei tipi logici di B. Russel e A.N. Whitehead, focalizzava l'attenzione sulla natura dei processi comunicativi, il contesto e i paradossi impliciti. Lo studio della videoregistrazione di sedute con centinaia di famiglie, fece emergere la modalità di comunicazione come qualità essenziale, relegando in secondo piano il vissuto intrapsichico del paziente. Lo stesso sintomo è visto come forma di comunicazione. Si trattò di una rivoluzione concettuale, sovrapponibile a quella che in matematica si ebbe nel 1951, quando Vieta introdusse la numerazione attraverso le lettere dell’alfabeto. “Fu un’idea che relegò in secondo piano i numeri come grandezze astratte: era sorto un concetto potente, quello di variabile che per il matematico dell’antica Grecia sarebbe stato irreale” (Watzlawick, 1971). Le famiglie che presentavano problemi psicotici erano caratterizzate da una comunicazione contraddittoria. Ciò portò alla formulazione della teoria del "doppio legame". Un membro della famiglia sembrava essere più soggetto di altri a richieste di comportamento che erano contemporaneamente contraddette. Questa contraddizione poteva consistere in una richiesta della madre che, se attuata, contraddiceva una

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contemporanea richiesta del padre; oppure la contraddizione poteva essere colta nei differenti livelli di comunicazione del genitore. Una madre ad esempio, si lamentava con il figlio perché questi non era affettuoso con lei, salvo poi mostrarsi infastidita, quando lui le si avvicinava (C.E.Sluzki, D.C.Ransom, 1979). Una caratteristica importante notata in queste famiglie era la presenza di una regola non detta che impediva qualsiasi commento su questo tipo di richieste; il commento sarebbe stato interpretato come mancanza d’affetto e quindi sanzionato. Le caratteristiche di questo rapporto sono:

1. La presenza di un’intensa relazione, vitale per il soggetto; 2. l’invio di richieste contraddittorie 3. l’individuo è incapace di commentare i messaggi

C.E.Sluzki, D.C.Ransom, 1979).

La risposta del soggetto sottoposto a questa duplice richiesta, essendo impedita la fuga dalla situazione, è coerente:∗

1. Ignorare la richiesta, equivalente ad un comportamento autistico 2. Ignorare la contraddizione e rispondere in maniera “letterale”alle richieste,

equivalente ad un comportamento ebefrenico 3. Cercare di capire qual è “la vera richiesta” che si cela dietro la contraddizione,

assumendo un comportamento paranoide Bateson, 1976).

La risposta del figlio produce una conseguenza importante. La madre si troverà a dover rispondere ad un comportamento a sua volta contraddittorio. Il figlio contemporaneamente risponde e non risponde. Ciò obbligherà la madre, non potendo commentare la situazione, ad una forma di comunicazione coerente: contraddicendosi. Si innesca così un "gioco senza fine" nel quale ogni mossa limita la possibilità di scelta delle mosse successive, bloccando i due o più soggetti a comportamenti stereotipati (Watzlawick, 1971). Lo studio del problema si sposta quindi dal vissuto della persona alla comunicazione della famiglia. Anziché di paziente schizofrenico si parla di famiglia schizofrenica. L’interesse non è più per le dinamiche interne, per la ricerca delle cause, ma per le relazioni che intercorrono tra le persone. Non ci si chiede "perché" il problema è nato, ma "come" funziona. Si passa, in altri termini, dà una spiegazione basata sulla causalità lineare, a quella circolare.

∗ Paul Watzlawick fa comprendere questo meccanismo raccontando in modo spiritoso come si può far "impazzire" il proprio marito: basta regalargli due cravatte di colore diverso, ad esempio una blu e una gialla; se la mattina successiva si mette quella blu, alla donna basterà dirgli con tono offeso: ”Vedo che quella gialla non ti è piaciuta", o viceversa. Il povero marito si trova di fronte a due possibilità, non potendo commentare: metterle entrambe, ma ciò sarebbe un comportamento bizzarro, o non metterne nessuna, l'equivalente dell'autismo.

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Non più:

causa Effetto (problema)

Ma:

Effetto causa

Effetto causa(problema

L'importanza di questo nuovo modo di leggere i problemi scaturisce dal suo valore pragmatico. Interventi finalizzati a cambiare la modalità di comunicazione, erano in grado di produrre cambiamenti nei sintomi. Per ottenere questi si doveva, però, tener conto di quella che gli psicoanalisti chiamavano "resistenza". Si era notato, infatti, la tendenza da parte dei membri della famiglia a costringere il portatore di sintomo nel suo stato. Si parlò in questo senso di "vittima designata", come se ci fosse un accordo, non esplicitato ma vincolante per tutti a mantenere le cose nel loro stato. Il ruolo di resistente poteva essere giocato anche da persone diverse nei diversi momenti. Quasi che la situazione attuale, per quanto penosa, fosse da preferire ad un cambiamento ignoto. L'applicazione della cibernetica alla psicologia, ed in particolare alla psicologia della famiglia, permise di spiegare questa "resistenza" come tentativo del "sistema" di mantenere l'equilibrio, l’omeostasi" ( Fiorenza, 1995). Ogni sistema familiare tende a mantenere l'omeostasi. Ci sono, però, situazioni nelle quali è richiesto l'adattamento ad un nuovo equilibrio. In questi casi una famiglia bilanciata ristruttura le proprie relazioni all’interno di essa in modo d'essere funzionale. Per le famiglie problematiche questa duttilità è preclusa.

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L'intervento terapeutico tiene conto di questa tendenza. Proporre cambiamenti importanti comporta il rischio del loro rigetto da parte del sistema. La strategia usata in questi casi è mediata dall’"effetto butterfly" della teoria delle catastrofi: una farfalla che batte le ali in India può causare un uragano in Australia, in quanto può innescare un effetto a cascata. Una piccola variazione prodotta dal battito delle ali produce un effetto dirompente. Così in terapia si preferisce fare piccoli interventi, possibilmente non avvertiti dai membri della famiglia come interventi diretti sul problema (Fiorenza, 1995). Milton Erickson costituisce, pur non avendo fatto parte del gruppo di Palo Alto, una delle menti cui più si deve quest'approccio. I suoi interventi erano caratterizzati da compiti assegnati ai pazienti, capaci, pur essendo essenziali, di produrre cambiamenti significativi in tempi rapidi. Pur non essendo stato un teorico, a parte qualche relazione tenuta in congressi, non ha lasciato nulla di scritto, Erickson si muoveva all'interno di una costruzione teorica conforme a quella della M.R.I.. L'inconscio è per lui una riserva di risorse. Schematicamente possiamo ubicare l'attività della parte cosciente nell’emisfero sinistro; in quello destro la parte inconscia. Per dirla con Paul Watzlawick, noi depositiamo nell'emisfero destro tutto ciò che abbiamo imparato a fare bene con il sinistro. Comportamenti reattivi che ci hanno permesso di superare situazioni problematiche, sono ripetuti in situazioni analoghe e quindi diventano abitudini, attuate senza bisogno del controllo da parte della coscienza. Alla percezione di un certo tipo di realtà si reagirà in modo automatico (Watzlawick, 1977). I problemi nascono quando adoperiamo comportamenti che in precedenza hanno funzionato in situazioni che appaiono analoghe, ma che non producono l’effetto desiderato; la tendenza è in questi casi quella di reiterare le soluzioni precedentemente funzionanti. La logica dei due emisferi è diversa. Nel destro abbiamo un deposito d’esperienze, tra loro concatenate, quindi immagini, suoni, odori sapori, sensazioni tattili, associati ad emozioni. Nell’ emisfero sinistro lo strumento è quello della logica razionale. La parola, il discorso sono i mezzi attraverso i quali svolge la sua funzione. I problemi vengono dall’emisfero destro il quale, in certe circostanze, anziché essere d’aiuto, impone in automatismo comportamenti inadatti. Spesso la persona sa, consapevolmente, di fare la cosa sbagliata, ma “non riesce a farne a meno”, come se una forza incontrollata la spingesse, come se un “demone” si fosse impossessato di lui. Da un punto di vista relazionale questo comportamento può essere considerato una forma di comportamento omeostatico: coscienza e inconscio, lottano tra loro spinti da pulsioni opposte, ma, di fatto, il sistema rimane immutato. Erickson inducendo una trance ipnotica, de-potenziava l'attività dell'emisfero sinistro avendo così la possibilità di un contatto più diretto con l'emisfero destro. Ovviamente per entrare in contatto con questo si serviva della parola ma usata in una modalità particolare. La metafora gli consentiva di operare un processo in qualche modo inverso a quello dell'esperienza del sogno; quando sogniamo l'inconscio vive esperienze che da svegli

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ricordiamo con l’emisfero sinistro, che ci raccontiamo attraverso una parola e al quale tendiamo a dare una spiegazione razionale, proprio perché questa è una caratteristica dell'emisfero che utilizziamo da svegli. Nella trance l'emisfero sinistro ascolta la storia, mentre il destro ne coglie il senso. In altri termini quello che Erickson faceva era un'operazione di modifica della gestalt delle esperienze memorizzate nell’inconscio (Watzlawick, 1997). Ciò è alla base della rapidità dei suoi interventi terapeutici. Spesso assegnava compiti apparentemente illogici. Lo scopo anche in questo caso è quello di produrre variazioni nell’emisfero destro partendo da comportamenti guidati dal sinistro. L’illogicità della prescrizione è riferita alla logica con la quale il paziente percepiva il problema e dava una conseguente soluzione a questo. Il meccanismo dell’intervento è sostanzialmente analogo nella trance ipnotica e nella prescrizione di comportamenti: ingannare la logica di riferimento del cliente in modo da fargli vivere un'esperienza che produca un nuovo apprendimento. A questo punto il cliente avrà a disposizione una nuova risorsa utile. Gli interventi di Erickson erano assolutamente personalizzati. Eleganti nella loro formulazione. Nulla era dato per scontato. Interessante a riguardo, è l'intervento fatto su un soggetto che gli viene presentato da suoi eminenti colleghi, dopo una conferenza, perché gli desse una mano ad abbandonare comportamenti asociali che regolarmente caratterizzavano le sue serate. Tutti gli interventi fin allora attuati erano risultati inutili. Erickson sussurrò qualcosa all'orecchio di questa persona e la congedò. Dopo parecchi mesi, ritornando nella località dove aveva tenuto la conferenza, si vide ringraziare pubblicamente da questa persona perché finalmente aveva messo la testa a posto. Alla richiesta da parte dei suoi colleghi di quale geniale stratagemma avesse utilizzato rispose: "Gli ho semplicemente chiesto perchè non la smetteva di fare lo stupido”. Ciò a dire che i colleghi di Erickson, offuscati dalle loro teorie, non avevano pensato all’intervento più semplice: chiedergli di non farlo più. L'approccio strategico basa il suo intervento su un modello mediato da quello di Erickson. Si deve all’italiano Giorgio Nardone, allievo e collaboratore di Pawl Watzlawick, il modello evoluto di terapia breve strategica. Numerose sono le innovazioni introdotte negli anni al M.R.I. Brief Therapy. Dall'integrazione del Solution Focused Therapy di Steve de Shaker al modello di problem-solving caratterizzante il lavoro dei terapeuti del M.R.I. all'individuazione e classificazione di ricorrenti sistemi percettivo-reattivi caratterizzanti le varie tipologie di problemi psicologici, alla messa a punto di protocolli terapeutici specifici per ogni tipo di problema contraddistinti da manovre terapeutiche studiate in una sequenza che accompagna il percorso terapeutico dalla prima all'ultima seduta, all'introduzione del dialogo strategico come forma di comunicazione in grado di produrre effetti di sblocco dei sintomi fin dalla prima seduta. Da oltre 15 anni ad Arezzo, Giorgio Nardone, conformemente agli insegnamenti di Popper circa l'applicazione in campo scientifico del metodo ipotetico-deduttivo, si occupa della messa a punto e della continua revisione di protocolli di intervento per specifici problemi psicologici.

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Si tratta di una rigorosa procedura di ricerca nota come "ricerca-intervento". Questa metodologia è la stessa adottata nelle scienze avanzate, come la fisica e la biologia, tiene conto delle difficoltà segnalate dalla cibernetica del 2° ordine, relativamente al fatto che il ricercatore è egli stesso incluso nell'oggetto di studio. Non essendo possibile un’osservazione oggettiva che permette una diagnosi affidabile, si interviene sulla situazione e si osservano i cambiamenti; saranno questi i a dirci come il sistema precedentemente funzionava. Il procedimento si articolo in tre fasi:

1. studiare ciò che caratterizza un problema o una classe di problemi 2. osservare le soluzioni tentate per risolverlo 3. sostituire le tentate soluzioni che non funzionano e paradossalmente alimentano il

problema, con altre che si è visto essere più adatte a produrre l'effetto desiderato. La fase successiva è quella di un’attenta verifica dell'efficacia della manovra; solo nel caso questa abbia funzionato, si procede con manovre di stabilizzazione dei risultati raggiunti e eventualmente con altre manovre di aggiustamento. Nel caso la manovra non abbia ottenuto gli effetti desiderati, si riparte dal punto 1. Questo procedimento ha permesso di costruire nell'arco di oltre 15 anni, degli specifici protocolli di intervento, una serie di linee guida, formalizzate e autocorrettive, con procedure e tecniche di intervento adatte alle diverse tipologie di problema. La verifica del protocollo è effettuata su almeno 100 casi con la stessa tipologia di problema; soltanto nel caso in cui almeno il 70% dei questi casi trattati risulta aver risolto il problema per effetto dell'intervento, il protocollo è ritenuto valido in termini di efficacia. Si verifica la tenuta nel tempo del risultato ottenuto attraverso controlli a distanza di 3,6 mesi ed un anno dalla fine della terapia. In migliaia di casi trattati negli ultimi 15 anni da Giorgio Nardone e dei terapeuti affiliati, si è dimostrata sia l'efficacia (la risoluzione del problema) in una percentuale che oscilla dall80% al 95% dei casi risolti, in funzione del tipo di problema, sia l'efficienza (di soluzione in tempi brevi) con una media di 15 sedute, oltre che una stabilità dei risultati raggiunti. I numerosi testi scritti da Giorgio Nardone, tradotti nelle maggiori lingue, documentano quanto sopra esposto. L'obiettivo è quello di individuare protocolli di intervento sempre più efficienti ed efficaci. L'applicazione del modello strategico si è estesa recentemente in contesti non clinici, quali la scuola e le organizzazioni aziendali.

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