La teoria del nefrone intatto di Bricker ha aperto la via...

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La teoria del nefrone intatto di Bricker ha aperto la via alla comprensione del meccanismo di progressione del danno renale. La base strutturale della natura progressiva del danno renale poggia sul riscontro che a una diminuzione del numero dei nefroni funzionanti consegue un aumentato carico di lavoro per quelli residui. Tali nefroni, intatti, vanno incontro a ipertrofia il cui grado è correlato all’entità del carico di lavoro per ogni nefrone residuo.

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L’aumentato carico di lavoro per singolo nefrone residuo può essere svolto solo in presenza di aumentato flusso ematico che comporta di conseguenza aumento della pressione idrostatica capillare intraglomerulare. L’ipertensione intraglomerulare determina aumento della filtrazione per le ragioni descritte nel modulo precedente. L’iperfiltrazione glomerulare è peraltro uno stress per il singolo nefrone, quindi tanto maggiore è il numero di nefroni persi a causa della malattia primitiva tanto maggiore sarà lo stress per quelli residui tanto più rapida sarà l’evoluzione verso l’insufficienza renale cronica terminale.

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Un eccessivo riassorbimento di proteine nel tubulo prossimale stimola il rilascio nell’interstizio di citochine e fattori di crescita che attraggono e attivano i fibroblasti con conseguente aumentata sintesi di matrice extracellulare e sviluppo di fibrosi interstiziale. Le molecole maggiormente coinvolte sono l’interleuchina 1 (IL-1), il transforming growth factor-beta (TGF-beta), il fattore di crescita di derivazione piastrinica (PDGF) e l’interferon-gamma (IFN-gamma). Il quadro fisiopatologico si conclude con la sintesi di fibronectina e collagene I e III, che comporta la sclerosi glomerulare e la fibrosi interstiziale con perdita irreversibile di tessuto renale funzionante.

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In un giovane adulto sano solo una porzione del parenchima renale, ovvero solo una parte del milione di nefroni che mediamente sono presenti nel rene, funziona attivamente. Una larga parte (30-50%) è invece a “riposo” e costituisce la cosiddetta “riserva funzionale renale”. In questa fase sia la velocità di filtrazione glomerulare (GFR), calcolata e stimata, sia il quadro macrostrutturale sono del tutto normali.

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Con il progredire dell’età (già dai 20-30 anni) un certo numero dei nefroni in attività vanno incontro a fisiologica involuzione e vengono sostituiti da quelli “quiescenti”. Lo stesso fenomeno accade, in giovane età, nelle fasi iniziali di una nefropatia, primitiva o secondaria, che si determini quali che siano la natura e la causa della stessa. In questa situazione il valore di GFR calcolato o stimato risulta assolutamente normale; tuttavia, la struttura renale si è modificata e all’osservazione microscopica un numero più o meno elevato di glomeruli appaiono come “dischi jalini” ovvero sclerotici e perduti in modo irreversibile. In questa fase il trattamento degli eventuali fattori di rischio di progressione della malattia renale (proteinuria, ipertensione, dislipidemia, farmaci nefrotossici ecc.) può arrestare o almeno rallentare la altrimenti inevitabile evoluzione verso le 2 fasi successive.

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Come già descritto nelle prime diapositive e nel testo, la nefropatia tende ad automantenersi e il danno a progredire. Quando tutti i nefroni residui sono in funzione ovvero quando la riserva funzionale si è esaurita, parti del parenchima renale vengono sostituite da tessuto cicatriziale, il numero di nefroni “intatti” si riduce progressivamente e anche la GFR scende al di sotto dei valori di normalità ovvero si ha un’insufficienza renale cronica clinicamente evidente. In queste fasi la terapia medica e il controllo dei fattori di aggravamento possono ancora rallentare, anche se non arrestare, l’evoluzione della malattia renale cronica.

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Quando la progressione ha raggiunto livelli tali per cui il numero di nefroni “intatti” e funzionanti è estremamente ridotto ovvero quando la GFR scende al di sotto dei 15 ml/min si instaura il quadro di insufficienza renale cronica (IRC) allo stadio terminale ovvero uremia. In questa fase qualunque terapia medica è del tutto inefficace se non per controllare i sintomi dell’uremia. È necessaria una terapia sostitutiva della funzione renale: artificiale (dialisi) o naturale (trapianto di rene).

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La velocità di progressione dell’insufficienza renale a seconda dell’entità della funzione viene ben interpretata con il concetto matematico di “slope” o gradiente di una linea. Lo slope ne definisce infatti la pendenza o inclinazione. Quanto più è elevato il suo valore tanto più ripida sarà la sua inclinazione. In uno studio di Sijpkens et al. (Graft 2002;5:108-13) vengono analizzati i fattori di rischio di sviluppare nefropatia cronica dopo trapianto di rene in 654 pazienti con almeno 6 mesi di trapianto. L’intercetta è il punto nel quale il grafico che descrive il livello di funzione nel tempo interseca l’ordinata ed è valutata, in questo studio, dalla clearance della creatinina endogena definita alta o bassa a seconda che sia <50 o >50 ml/min. Lo slope è il punto nel quale il grafico che descrive il livello di funzione nel tempo interseca l’ascissa ed è valutato dal reciproco della creatinina plasmatica. Circa il 60% dei pazienti con un’intercetta alta (>50 ml/min) mantiene una funzione dell’organo stabile nel tempo (1) mentre sono meno della metà nel gruppo con intercetta bassa (3). Gli altri pazienti in entrambi i gruppi hanno invece un progressivo deterioramento della funzione (2, 4). Inoltre, vi è una correlazione significativa tra bassa intercetta e slope e, soprattutto, il valore di slope è più alto, ovvero la pendenza della curva è significativamente più ripida, nel gruppo con intercetta bassa (4). Ne risulta che i pazienti che all’inizio dell’osservazione hanno una funzione renale più compromessa peggiorano in percentuale più elevata e più rapidamente di quelli con una funzione migliore (2).

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L’aumento della pressione idrostatica capillare intraglomerulare e la conseguente iperfiltrazione determinano aumento della permeabilità glomerulare a quelle macromolecole che normalmente non vengono filtrate a livello renale. Tra le varie molecole le più rilevanti sono sostanze di natura proteica. Il traffico transmembrana di proteine risulta in comparsa di proteinuria oltre i valori “fisiologici”, aumento del riassorbimento tubulare e danneggiamento delle cellule mesangiali: fenomeni che portano a produzione di fattori di crescita. Il risultato è la sclerosi glomerulare e la fibrosi interstiziale per proliferazione di fibroblasti, aumentata produzione di matrice extracellulare e nefrite tubulo-interstiziale.

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L’ipertensione arteriosa determina aumento della pressione intracapillare glomerulare e della velocità dl flusso. A livello molecolare, l’attivazione delle cellule endoteliali (shear stress) innesca la produzione di fattori di crescita, come il TGF-beta e il PDGF, e stimola la produzione di angiotensina II. Contemporaneamente si verificano riduzione della sintesi di ossido nitrico, aumento di trombossano (attivazione coagulazione) e sintesi di endotelina-1. Come risultato finale si hanno proliferazione di cellule muscolari lisce e sintesi di matrice extracellulare con conseguente glomerulosclerosi.

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Come già detto nel commento alle diapositive 6 e 7, vi è comunque la possibilità di intervenire con misure che possano almeno rallentare, se non arrestare, la progressione dell’insufficienza renale cronica verso lo stadio terminale di uremia. Lo studio di Couchoud et al. (Kidney Int 1999;55:1878-84) dimostra peraltro chiaramente che tali misure devono essere istituite precocemente pena la loro inefficacia, e pone come cut-off per i livelli di GFR i 60 ml/min o per una creatininemia di 137 µmol/l (pari a circa 1,6 mg/dl). Alle misure di ordine generale studiate da Couchoud viene qui aggiunto l’intervento specifico su eventuali tossicità farmacologiche, in particolare quella esercitata dagli inibitori della calcineurina (CNI).

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Come già descritto nel modulo precedente gli inibitori della calcineurina (CNI), farmaci base per la prevenzione del rigetto dei trapianti d’organo, possono provocare una nefropatia acuta su base ischemica, ma di natura funzionale ovvero potenzialmente completamente reversibile. Se però l’esposizione ai farmaci si protrae, almeno un mese, e con concentrazioni ematiche elevate si determina una nefropatia organica irreversibile e progressiva. Il meccanismo è ancora soprattutto su base ischemica. L’ischemia cronica induce l’attivazione di TGF-beta, VEGF (vascular endothelium growth factor) e altre sostanze vasoattive, in particolare endoteline e angiotensina II. Si determinano in primis una arteriolopatia obliterativa e apoptosi delle cellule tubulari che evolvono in atrofia tubulare, fibrosi interstiziale, vasculopatia e glomerulosclerosi. Istologicamente si osservano delle lesioni tipiche, se non patognomoniche, della nefropatia da CNI come la vacuolizzazione isometrica delle cellule tubulari e la cosiddetta fibrosi interstiziale “a strisce”. Le altre lesioni istologiche a carico dei glomeruli, dei tubuli e dei vasi sono invece assolutamente aspecifiche. (MAT-SEU= microangiopatia trombotica-sindrome emolitico uremica)

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Gli inibitori della calcineurina (CNI) hanno una serie di effetti non immunologici che rendono ragione della loro nefrotossicità. In particolare riducono il flusso ematico a livello renale per vasocostrizione dell’arteriola afferente in una fase iniziale e lo sviluppo di arteriolopatia organica nel medio-lungo termine e inducono l’attivazione di transforming growth factor (TGF) e la sintesi del vascular endothelium growth factor (VEGF). Altri farmaci immunosoppressori, come gli inibitori del segnale di proliferazione (PSI) noti anche come inibitori dell’mTOR (mammalian target of rapamycin) everolimus e sirolimus, hanno invece un effetto opposto sia sul flusso ematico sia sui fattori di crescita. I PSI possono peraltro provocare una iperlipemia di entità anche superiore a quella causata dai CNI ma di natura transitoria e in ogni caso ben controllata con l’assunzione delle statine.

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La conversione da CNI a PSI è già da anni praticata nel trapianto di rene. È evidente come in questa situazione il rischio di sviluppare malattia renale terminale sia insito nell’intervento stesso. Da subito, anche nelle migliori circostanze, vi è una riduzione del numero dei nefroni funzionanti (di norma viene trapiantato un unico rene), l’organo trapiantato subisce inevitabilmente un danno da ischemia/riperfusione ed è oggetto dell’insulto immunologico. La nefrotossicità da CNI trova quindi un terreno già indebolito e l’evoluzione sfavorevole è molto più probabile che in altre situazioni. Per queste ragioni l’eventuale cambio di terapia immunosoppressiva deve essere quanto più precoce possibile.

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Va peraltro ricordato che i CNI ovvero la vasocostrizione dell’arteriola afferente e la conseguente riduzione di flusso e di filtrazione hanno anche un effetto “protettivo” in caso di alterazioni strutturali della membrana basale glomerulare che determinino proteinuria come una malattia primitiva o, nel caso di trapianto di rene, un rigetto. La sospensione dei CNI e il contemporaneo impiego di PSI determineranno di conseguenza condizioni favorenti la proteinuria, come il già più volte ricordato aumento di flusso e capacità filtrante del glomerulo. L’effetto benefico della sospensione dei CNI può essere seguito da un peggioramento per aumento della proteinuria. Vi è inoltre l’effetto diretto di down-regulation dei geni che codificano per le proteine componenti gli “slit” diaframmi e del citoscheletro dei podociti; tuttavia nessuno studio clinico ha mai dimostrato una proteinuria clinica indotta dai PSI ovvero questi farmaci possono fare aumentare una proteinuria già presente ma non la provocano direttamente. Va infine ricordato come gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori) possano efficacemente controllare e contrastare l’effetto proteinurico dei PSI (Aliabadi et al. Am J Transplant 2008;8:854-61).

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I risultati degli studi clinici di conversione da CNI a sirolimus hanno concluso che una proteinuria al di sotto degli 800 mg al giorno ha un valore predittivo del 90% per una prognosi favorevole, ovvero la proteinuria alla conversione inferiore a quel livello è l’unico fattore predittivo indipendente. Un recente lavoro indica che una proteinuria al di sotto dei 550 mg al giorno permette un miglioramento della funzione renale quando i pazienti portatori di trapianto renale in terapia con CNI vengono convertiti a everolimus. Oltre questi livelli di proteinuria, ovvero quando la funzione renale è già compromessa, la conversione è inutile, se non dannosa.

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