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La storia All’indomani della conquista del Regno delle Due Sicilie e a conclusione della prima fase del processo di unificazione, il nuovo Stato Italiano, sotto la guida della monarchia sabauda, si trova di fronte a uno dei principali problemi: la riorganizzazione dell’amministrazione periferica. La legge istitutiva della nuova configurazione amministrativa del Regno è attuata nel 1859 anno in cui Cavour si dimette dalla carica di Presidente del Consiglio (19 luglio 1859) a seguito della firma dei preliminari di pace tra Napoleone III e gli austriaci. Alla presidenza del Consiglio succede il Ministro dell’Interno Urbano Rattazzi che, grazie ai poteri straordinari conferitegli, provvede a varare una nuova legge comunale e provinciale (meglio conosciuta come Legge Rattazzi), quale coronamento conclusivo dei lavori preparatori per l’ordinamento locale del futuro Stato Italiano. La predetta legge prevedeva la soppressione delle Divisioni e la ripartizione del territorio in Comuni e Province. Al Consiglio Provinciale venivano demandate le attribuzioni delle Divisioni mentre i componenti del Consiglio erano eletti in base a dei mandati. Sul piano dell’amministrazione politica, al fianco del Consiglio Provinciale, veniva istituito un Governatore con funzioni politiche e amministrative, prevalentemente di controllo sull’attività del Consiglio Provinciale e del Comune e un Vice Governatore con funzioni solo amministrative. La legge del 23 ottobre 1859 (Legge Rattazzi) stabilisce nel suo primo articolo che il Regno “si divide in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni” e che in ogni Provincia vi è un Governatore, un Vice Governatore, e un Consiglio di Governo (art.2). Se il Governatore rappresenta direttamente il potere esecutivo in tutta la provincia, provvedendo alla pubblicazione e alla esecuzione delle leggi, il Vice Governatore (art.4) lo rappresenta nei casi di assenza o impedimento nelle sue medesime funzioni. Il Consiglio di Governo invece, è chiamato a dare pareri nei casi prescritti dalle leggi e dai regolamenti, e quando sia richiesto dal Governatore.

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La storia

All’indomani della conquista del Regno delle Due Sicilie e a conclusione della prima fase del processo di unificazione, il nuovo Stato

Italiano, sotto la guida della monarchia sabauda, si trova di fronte a uno dei principali problemi: la riorganizzazione dell’amministrazione periferica. La legge istitutiva della nuova configurazione amministrativa del Regno è attuata nel 1859 anno in cui Cavour si dimette dalla carica di Presidente del Consiglio (19 luglio 1859) a seguito della firma dei preliminari di pace tra Napoleone III e gli austriaci. Alla presidenza del Consiglio succede il Ministro dell’Interno

Urbano Rattazzi che, grazie ai poteri straordinari conferitegli, provvede a varare una nuova legge comunale e provinciale (meglio conosciuta come Legge Rattazzi), quale coronamento conclusivo dei lavori preparatori per l’ordinamento locale del futuro Stato Italiano. La predetta legge prevedeva la soppressione delle Divisioni e la ripartizione del territorio in Comuni e Province. Al Consiglio Provinciale venivano demandate le attribuzioni delle Divisioni mentre i componenti del Consiglio erano eletti in base a dei mandati. Sul piano dell’amministrazione politica, al fianco del Consiglio Provinciale, veniva istituito un Governatore con funzioni politiche e amministrative, prevalentemente di controllo sull’attività del Consiglio Provinciale e del Comune e un Vice Governatore con funzioni solo amministrative. La legge del 23 ottobre 1859 (Legge Rattazzi) stabilisce nel suo primo articolo che il Regno “si divide in Province, Circondari, Mandamenti e Comuni” e che in ogni Provincia vi è un Governatore, un Vice Governatore, e un Consiglio di Governo (art.2). Se il Governatore rappresenta direttamente il potere esecutivo in tutta la provincia, provvedendo alla pubblicazione e alla esecuzione delle leggi, il Vice Governatore (art.4) lo rappresenta nei casi di assenza o impedimento nelle sue medesime funzioni. Il Consiglio di Governo invece, è chiamato a dare pareri nei casi prescritti dalle leggi e dai regolamenti, e quando sia richiesto dal Governatore.

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L’art. 7 stabilisce, inoltre, che “In ogni Circondario vi è un Intendente che compie sotto la direzione del Governatore le incombenze che gli sono commesse dalle leggi, esegue gli ordini del Governatore, e provvede nei casi d’urgenza riferendone immediatamente al medesimo”.

Il Consiglio Provinciale di Basilicata trae le sue origini dalla sconfitta dei Borboni nell’Italia meridionale e dalla conseguente nomina, da parte di Garibaldi, con ampi poteri, di Giacinto Albini e Giacomo Racioppi, rispettivamente Governatore e Segretario generale della Provincia di Basilicata. Fissata nel frattempo, la data del plebiscito per l’annessione del nuovo Regno, il Governatore Albini è sostituito dal prodittatore Pallavicini. In questa fase la riorganizzazione dei poteri a livello periferico, gli avvicendamenti all’interno delle Province si susseguono con molta rapidità e risentono del corso degli avvenimenti. Le prime elezioni del Consiglio Provinciale di Basilicata avvengono il 10 gennaio 1861, la proclamazione degli eletti il 13 giugno e la prima seduta del Consiglio, il 30 giugno 1861. I cinquanta Consiglieri che secondo la legge del 1859 spettavano alla Provincia di Basilicata (avendo una popolazione superiore ai 400 mila abitanti) erano eletti in quattro Circondari (Potenza, Lagonegro, Melfi, Matera) suddivisi in 45 Mandamenti, alcuni dei quali avevano la possibilità di eleggere due Consiglieri (Potenza, Chiaromonte, Pisticci, Montescaglioso, Avigliano).

La Provincia di Basilicata con una estensione quasi corrispondente a quella dell’attuale regione, era grande 10.675 kmq con una popolazione di 429.959 abitanti. Dopo la conclusione della prima fase del processo di unificazione la legge del 20 marzo 1865 n. 2248, concede alle Province una maggiore competenza

deliberativa mediante la distinzione fra spese obbligatorie (istruzione, opere pubbliche, sanità) e facoltative. La suddetta legge intervenendo all’indomani dell’unificazione, se pur a distanza di quattro anni, costituisce il tentativo di riunire il Regno anche sotto il profilo amministrativo, cercando di assorbire e di coordinare le leggi precedenti. L’ulteriore legge 30 dicembre 1888 n. 5865 confluita, unitamente ad altre disposizioni legislative, nel Testo unico 10 febbraio 1889, n. 5921, introduce l’elezione dei Sindaci nei Comuni maggiori e dei Presidenti delle Deputazioni Provinciali. All’interno della precitata legge, la Provincia è considerata ancora come organismo di controllo dei Comuni e degli altri Enti locali minori, pur continuando ad esistere la Deputazione come organo decentrato sull’amministrazione governativa. Con il Testo unico del 1889 la Provincia è allineata al Comune come Ente pubblico

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territoriale attraverso la creazione della Giunta provinciale amministrativa e le elettività delle cariche.

Inizia così a definirsi concretamente un ruolo della Provincia come organo intermedio fra Comune e Stato. Con la fine della Iª guerra mondiale si assiste ad una restrizione dell’autonomia delle Province che si accentua con l’avvento del fascismo. Infatti, con la legge 27 dicembre 1928 n. 2962, si stabilisce la nomina regia di un Preside, avente i poteri della Deputazione e di un Rettore con l’eliminazione dei sistemi di rappresentanza elettiva. Il successivo Testo Unico della legge comunale e provinciale, approvato con R.D. 3/03/1934 n. 383, che coordina e modifica le precedenti disposizioni in materia, in particolare attribuisce al Ministro dell’Interno anziché al Re la nomina dei Rettori. Con la caduta del fascismo viene emanato il Regio Decreto 04/04/1944 n. 111 che in attesa delle elezioni amministrative per la ricostituzione

degli organi consiliari detta norme transitorie per l’amministrazione delle Province e abroga le disposizioni limitative stabilite dal Testo unico del 1934. Il governo della Provincia è affidato provvisoriamente ad un Presidente e l’amministrazione ad una Deputazione provinciale entrambi nominati dal Prefetto. La

Costituzione della Repubblica, entrata in vigore il I° gennaio 1948, riconosce, in via innovativa, alla Provincia funzioni sue proprie. La Provincia, dunque, si conferma Ente fondamentale nella vita pubblica del Paese quale collegamento indispensabile tra la dimensione nazionale e la dimensione locale. Con il Testo unico emanato con il decreto 5 aprile 1951, n. 203, il legislatore approva le norme per la composizione ed elezione dei Consigli Provinciali, ripristinando con denominazioni differenti gli organi – Consiglio Provinciale, Giunta Provinciale e Presidente della Giunta – presenti prima del 1928. Il 27 maggio si svolgono le prime elezioni provinciali mediante un sistema elettorale misto, proporzionale e maggioritario. Inoltre con le leggi 18 maggio 1951, n. 328 e 16 ottobre 1951, n. 1168, si emanano norme sulle attribuzioni e il funzionamento degli organi dell’Amministrazione Provinciale (ripristinandosi le norme del Testo unico del 1915, n. 148, modificato con R.D. del 1923, n. 2839). Con la L. 10 settembre 1960, n. 962, il legislatore opta per un sistema elettorale di tipo proporzionale puro.

Dal 1970 al 1975, con la nascita delle Regioni, avviene un graduale trasferimento di funzioni e risorse dallo Stato alle stesse, attuato, oltre

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che con i decreti delegati del 1972, con la successiva e ben più importante legge delega n. 382 del 22/07/1975. Con la predetta legge, in particolare, si è provveduto, inoltre, a una sistemazione del rapporto tra lo Stato e le Regioni e tra queste e le altre Autonomie Locali, Comuni e Province. Quest’ultima legge ha consentito, infatti, di affidare al governo il compito di emanare le norme necessarie per attribuire a Province, Comunità Montane e Comuni, ai sensi dell’art. 118 della Costituzione, le funzioni amministrative di interesse esclusivamente locale nelle materie indicate dall’art. 117 della Costituzione. In realtà, la legge suddetta e i precitati decreti delegati consentono alla Provincia di determinare programmi e piani regionali nel quadro di indirizzo della programmazione economica e territoriale della regione. Con il D.P.R. 616/77, la Regione assorbe funzioni che la configurano come “Ente di governo” di tutta l’amministrazione locale, mentre i Comuni e le Province sono chiamati ad operare secondo gli indirizzi e le direttive dell’Ente maggiore. Con il nuovo ordinamento delle autonomie locali, delineato dalla legge 8 giugno 1990, n. 142, la caratteristica fondamentale della Provincia è diventata quella programmatoria. Con la legge 25 marzo del 1993 n. 81, si è provveduto, inoltre, a modificare i criteri di elezione degli organi, soprattutto per quanto riguarda l’elezione diretta del Presidente della Giunta, la cui figura non coincide più con quella del Presidente del Consiglio Provinciale, che rimane da eleggere all’interno del Consiglio. Più di recente il Testo unico n. 267 del 18 agosto 2000, come successivamente modificato ed integrato, ha ridefinito ruoli e compiti dell’amministrazione provinciale alla luce del processo di riforma della pubblica amministrazione iniziato agli inizi degli anni novanta.

Con la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, da una parte si è data valenza costituzionale a quei principi che erano già stati introdotti nell’ordinamento con le leggi 142/90 e 59/97, impedendo che potessero essere rimessi agevolmente in discussione dal legislatore ordinario, e dall’altra, si sono poste le basi per condurre il processo di federalismo amministrativo a traguardi ulteriori. La riforma Costituzionale, infatti, ridisegna completamente il sistema delle autonomie e dei rapporti fra gli Enti territoriali che compongono la Repubblica. Essa, costituzionalizza il principio di sussidiarietà, consacra la competenza generale e residuale degli Enti locali e delle Regioni, a fronte della limitazione dell’intervento centrale in ambiti predefiniti,

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disciplina i meccanismi di finanziamento degli Enti territoriali, ricostruisce dalle basi la rete di relazioni fra privati, Enti locali e Stato. Nell’art. 114 Cost., vera e propria carta di identità del nuovo sistema costituzionale delle autonomie territoriali, troviamo una formulazione che sottolinea la pari dignità costituzionale dei vari soggetti istituzionali che formano la Repubblica, stabilendo un sistema “policentrico” che supera il tradizionale rapporto gerarchico tra livelli di governo e disegna una nuova architettura istituzionale che sovverte il tradizionale rapporto fra centro e periferia. In primo luogo, alla luce del I° comma dell’ art. 1 14 della Costituzione, la Repubblica risulta costituita da Comuni, Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, laddove la normativa previgente prevedeva la semplice e decisamente più riduttiva “ripartizione” della Repubblica in Regioni, Province e Comuni. Nel II° comma del precitato art. 114 è specificato, altresì, il principio di pari dignità consistente nell’attribuzione, agli Enti territoriali costitutivi della Repubblica, di una posizione direttamente disciplinata da norme costituzionali di principio e l’espressa menzione dello statuto di Comuni, Province, Città metropolitane quale fonte dell’autonomia dei rispettivi Enti. Inoltre, ai sensi dell’art. 117 Cost., comma 2 lett. p), (novellato) la legge ordinaria è chiamata a dettare esclusivamente la disciplina della legislazione elettorale, degli organi di governo e quella concernente le funzioni fondamentali (o “proprie”) di Comuni, Province, Città metropolitane. L’art. 118 costituzionalizza, altresì, il principio di sussidiarietà verticale, e stabilisce che le funzioni amministrative siano in via generale esercitate dai Comuni. Le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato svolgono dette funzioni quando ciò sia richiesto da esigenze di unitarietà, sulla base dei già noti principi di sussidiarietà ed adeguatezza. Gli Enti Locali hanno, inoltre, potestà regolamentare sulla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. La legge Costituzionale n° 3/2001 di riforma del ti tolo V della Costituzione: • Riconosce una vera e propria potestà impositiva alle Regioni e agli

Enti locali in armonia con la Costituzione e nei principi di finanza pubblica (art. 119 Cost.);

• elimina i controlli esterni; • inserisce gli Enti locali nel sistema regionale (art. 123 Cost).

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Il Palazzo

La storia del Palazzo della Provincia, più impropriamente detto del “Governo” per l’ospitalità offerta alla Prefettura, è la storia del vecchio Convento dei Francescani che ha ridato alla luce la sua più viva testimonianza di collegamento con l’antica Chiesa di San Francesco, allorquando liberati gli uffici dell’ex Tribunale per i lavori di restauro, sono venuti alla luce archi e sottopassi di collegamento diretto. La storia del Palazzo, è dunque, la storia dell’ampliamento del vecchio Convento, disposta a seguito della individuazione di Potenza come capitale della provincia di Basilicata, enunciata per decreto di Giuseppe Bonaparte l’8 agosto 1806.

L’esigenza di dare corpo e dignitosa ospitalità al Tribunale ed all’Intendenza, dopo un interregno di ospitalità a Matera e poi a Potenza, “nell’angusto Palazzo Loffredo”, nasce nel 1808 e dopo un avvio travagliato dell’iter progettuale e di impegno spesa, figlio dei tempi e di una burocrazia che già allora produceva i suoi effetti, solo nell’autunno del 1811 prendono il via i lavori di trasformazione del braccio nuovo del Convento in Palazzo dell’Intendenza, per una spesa prevista di 6413.62 ducati che non bastano - spiega l’ing. Olivieri all’Intendente Giuseppe Santangelo – per portare a termine l’opera. E così il costo sale a 7598.58 ducati, in sede di previsione, mentre quello finale non è dato certo. Nell’ottobre del 1817, il Palazzo è completato e l’Intendenza può

insediarsi in uno degli edifici più rappresentativi fra i poteri dell’ordinamento locale del regno delle Due Sicilie con Ferdinando I, riportato sul trono dal Congresso di Vienna.

Ma la storia del Palazzo, è anche la storia dei terremoti che hanno colpito la città di Potenza. Il 1 febbraio del 1826, una scossa provoca notevoli danni al complesso, restaurato immediatamente già a partire dal

1827 e poi nell’inverno del 1833, uno scoscendimento del pendio retrostante il complesso appalesa l’esigenza di lavori di contenimento del terreno. La facciata viene rifatta dopo una segnalazione del 24

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Maggio 1843 dell’intendente duca Benzo della Verdura e i lavori di ripristino eseguiti tra il 1847 e il 1859. Poi, ancora un violento terremoto nella notte tra il 16 ed il 17 dicembre del 1857 provoca gravi danni al Palazzo puntellato e sgomberato.

L’ennesima ricostruzione s’avvia tra il 1860 e il 1863 con i lavori mai interrotti anche nel periodo degli avvenimenti rivoluzionari e del brigantaggio. Poi, il Palazzo diventa “Palazzo della Prefettura” ed il contenzioso tra la Deputazione Provinciale e la Prefettura andrà avanti per anni, sino al 1980, con il passaggio di Palazzo Loffredo al Comune e dell’ala ex Tribunale alla Provincia. Negli anni, interventi di sostanza per ristrutturare il Palazzo sono venuti nel 1929 e poi ancora dopo il terremoto del 1980. Il Palazzo recuperato viene inaugurato il 23 novembre 1983, dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Il Ricordato decreto napoleonico che determina la scelta di Potenza “capitale” della Provincia di Basilicata, come per tutti gli altri capoluoghi individuati, è una decisione gravida di conseguenze anche sotto il profilo

urbanistico. Infatti, la sola presenza delle regie Udienze provinciali, peraltro sempre fortemente contrastata e intesa come limite e controllo dei poteri feudali e comunali, aveva influenzato in misura molto modesta, nell’Antico Regime, la struttura urbana e l’andamento demografico dei

centri di insediamento. Altri fattori – la presenza della Chiesa, la forza del patriziato urbano, l’accumulazione della rendita agraria e il suo investimento in edilizia, le funzioni commerciali – determinano l’evoluzione urbana in misura ben più consistente. Nei primi decenni seguenti l’elezione di Potenza a capoluogo si percepiscono interventi molto limitati: la città, che da circa 9.000 abitanti nel 1806 passa a 11.000 nel 1840, conserva il volto di un grosso borgo rurale, caratterizzato da un tessuto edilizio elementare, su quale si stagliano le emergenze ecclesiastiche e le poche case palazziate, per lo più concentrate nell’area orientale, tra la cattedrale di San Gerardo e l’antico castello, come icasticamente annota nel 1882 Raffaele Riviello: “ Spiccava, anche da lungi, una tale fisionomia, vedendo a cavaliere dell’erta collina distendersi lunga, sottile, uniforme, bassa e grigiastra la striscia del caseggiato, sulla quale si innalzavano senza contrasto i bruni

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e vecchi campanili delle chiese e l’altissima e merlata torre dell’antico castello, posta come sentinella avanzata sull’estrema punta orientale della città”.

La trasformazione del soppresso convento di San Francesco in palazzi di tribunali e dell’Intendenza e la demolizione della Porta Salsa nel 1818 anticipano gli interventi più consistenti che la struttura urbana subisce negli ultimi decenni preunitari. Già negli anni trenta si alternavano varie proposte tese a migliorare il contesto urbano in cui si iscrive il complesso conventuale. Nel 1836 l’ingegnere Nicola Prade elabora il progetto, non eseguiti, dell’Archivio di Stato (all’epoca Archivio Provinciale) in sostituzione degli isolati di casupole antistanti il Palazzo dell’Intendenza; nel 1839 l’intendete Eduardo Winspeare riscopre l’antica proposta del Corpo di Ponti e Strade di realizzare una vasta piazza, che trova attuazione agli inizi degli anni Quaranta, quando l’intendente Francesco Benzo, duca della Verdura, esaurite le pratiche di esproprio e reperiti i necessari fondi, può disporre la demolizione di “casupole basse ed edifici, attraversate da tre violetti che sboccavano perpendicolarmente sulla Pretoria, dei quali uno era nel mezzo, e gli altri due su fianchi della piazza attuale”, come scrive Riviello. Il grande spazio pubblico viene denominato piazza del Mercato, dell’Intendenza, della Prefettura ed infine, dal 1899, intitolato a Mario Pagano, a ricordo del centenario della Repubblica partenopea e del “martire lucano vittima della reazione borbonica”.

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Le funzioni

La Provincia esercita funzioni proprie e/o delegate dalla Regione. Spettano, in particolare, alla Provincia tutte le funzioni amministrative che interessano vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale nei seguenti settori:

• tutela ambientale, difesa del suolo e protezione civile; • tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche; • valorizzazione dei beni culturali; • viabilità e trasporti; • protezione della flora e della fauna e gestione di parchi e riserve

naturali; • caccia e pesca nelle acque interne; • smaltimento dei rifiuti e controllo sugli scarichi delle acque e sulle

emissioni atmosferiche; • compiti attribuiti dalla legislazione statale e regionale relativi

all’istruzione scolastica superiore, compresa l’edilizia scolastica, ed alla formazione professionale;

• raccolta ed elaborazione dati, assistenza tecnico-amministrativa agli Enti Locali.

Inoltre la Provincia, predispone programmi di collaborazione con i Comuni per la promozione e il coordinamento di attività di interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo. La gestione di tale attività ed opere avviene attraverso le forme previste dal Testo unico n. 267/2000 e successive modifiche ed integrazioni.

La Provincia svolge anche importanti compiti di ausilio all’attività di programmazione della Regione, sia raccogliendo e coordinando le proposte dei singoli Comuni sia formulando propri programmi pluriennali. In quest’ambito, risulta di particolare importanza e significato l’elaborazione del piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), che determina gli indirizzi generali di assetto del territorio con riguardo alle destinazione delle varie zone del territorio della provincia (insediamenti abitativi, unità produttive, attività commerciali, verde pubblico, ecc.), alla localizzazione delle maggiori infrastrutture e delle principali linee di comunicazione, all’assetto idrogeologico del territorio ed alla dislocazione delle riserve naturali e dei parchi.

La Provincia di Potenza è dotata, per il perseguimento delle suddette finalità, di autonomia statutaria, normativa, organizzativa, politica ed amministrativa nell'ambito dell'unità ed indivisibilità della Repubblica, secondo la Costituzione ed i principi fondamentali stabiliti dalle leggi e

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dallo Statuto, nonché di autonomia finanziaria di entrata e di spesa nell'ambito delle leggi di coordinamento della finanza pubblica, delle norme statutarie, dei propri regolamenti.

Gli organi di governo della Provincia sono: Presidente, Giunta e Consiglio Provinciale.

i 100 Comuni della provincia:

Abriola, Acerenza, Albano di Lucania, Anzi, Armento, Atella, Avigliano, Balvano, Banzi, Baragiano, Barile, Bella, Brienza, Brindisi di Montagna, Calvello, Calvera, Campomaggiore, Cancellara, Carbone, Castelgrande, Castelluccio Inferiore Castelluccio Superiore, Castelmezzano, Castelsaraceno, Castronuovo Sant’Andrea, Cersosimo, Chiaromonte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Filiano, Forenza, Francavilla sul Sinni, Gallicchio, Genzano di Lucania, Ginestra, Grumento Nova, Guardia Perticara, Lagonegro, Latronico, Laurenzana, Lauria, Lavello, Maratea, Marsiconuovo, Marsicovetere, Maschito, Melfi, Missanello, Moliterno, Montemilone, Montemurro, Muro Lucano, Nemoli, Noepoli, Oppido Lucano, Palazzo San Gervasio, Paterno, Pescopagano, Picerno, Pietragalla, Pietrapertosa, Pignola, Potenza, Rapolla, Rapone, Rionero in Vulture, Ripacandida, Rivello, Roccanova, Rotonda, Ruoti, Ruvo del Monte, San Chirico Nuovo, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San Fele, San Martino D’Agri, San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant’Angelo le Fratte, Sant’Arcangelo, Sarconi, Sasso di Castalda, Satriano di Lucania, Savoia di Lucania, Senise, Spinoso, Teana, Terranova del Pollino, Tito, Tolve, Tramutola, Trecchina, Trivigno, Vaglio di Basilicata, Venosa, Vietri di Potenza, Viggianello, Viggiano.