Landi - Istituzioni Di Diritto Pubblico Del Regno Delle Due Sicilie - Parte1

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.--- __ p UBBLICAZION 1 __ ------, DELL'ISTITUTO DI SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI DELLA UNIVERSITÀ DI MESSINA N. 106 1 GUIDO LANDI ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLIUO DEL REGNO DELLE DUE SIUILIE (1815-1861) Tomo I MILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE - 1977

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PUBBLICAZIONE DELL'ISTITUTO DI SCIENZE GI URIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI DELLA UNIVERSITÀ DI MESSINAGUIDO LANDI, ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICO DEL REGNO DELLE DUE SIUILIE (1815-1861) Tomo IMILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE - 1977

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.--- __ p U B B L I C A Z I O N 1 __ ------,

DELL'ISTITUTO DI SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI

DELLA UNIVERSITÀ DI MESSINA

N. 1061

GUIDO LANDI

ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLIUODEL REGNO DELLE DUE SIUILIE

(1815-1861)

Tomo I

MILANO - DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE - 1977

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PUBBLICAZIONIDELL'ISTITUTO DI SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOC'IALI

DELL'UNIVERSITÀ DI MESSINA

l.2.

3.

4.5.

6.

7.S.9.

lO.11.12.13.14.15.

MONACCIANI LUIGI, La tutela del credito navale, So, p. 32.PELLICANO PAOLO, Gli organi di collegamento nell'ordinamento corporativo italiano,So, p. 112.BODDA PIETRO, Lo Stato di diritto (a proposito di alcune recenti opinioni), SP, p. 416(esaurito).ARENA ANDREA, La cessione della c.d. provvista cambiaria, So, p. 135 (esaurito}.ALBERTI ALBERTO, Ricerche su alcune gl08se alle «Istituzioni» e sulla « Summa Inati-tutionum» pseudoirneriana, SO, p. 152 (esaurito}.VOCI PASQUALE, Risarcimento del danno e processo formulare nel diritto romano,SP, p. VI-lOl.LANDI GUIDO, La requisizione civile, So, p. IX-139.SCISCA Rocco, I contratti per persona da dichiarare, So, p. 59 (esaurito).PENSO GIROLAMO, La difesa legittima, 8°, p. 261 (esaurito).FALZEA ANGELO, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, So, p. 204 (esaurito).BACCARI RENATO, L'efj!cacia civile nel matrimonio canonico, So, p. XII-1S7 (esaurito).TRIMARCHI V. MICHELE, Atto giuridico e negozio giuridico, So, p. 141 (esaurito).FALZEA ANGELO, Le condizioni e gli elementi dell'atto giuridico, 8°, p. 3.33 (esaurito).SILVESTRI ENZO, Le gestioni coattive, So, p. 149.LANDI GUIDO, La concessione amministrativa con clausola di esclusiva, 8°, p. 172(esaurito ).BACCARI RENATO, La volontà dei sacramenti, SP, p. lS8 (esaurito).D'EUFEMIA GIUSEPPE, L'autonomia privata e i suoi li1"iti nel diritto corporativo,So, p. VII-S5.

FALZEA ANGELO, La separazione personale, 8°, p. VII-217 (esaurito}.N ATOLI UGO, Il diritto soggettivo, So, p. 138 (esaurito).LANDI GUIDO, Ooncessioni di terre incolte ai contadini, So, p. 96.FALZEA ANGELO, L'offerta reale e la liberazione coattiva del credito re, 8p, p. XII-408(esaurito).DE .sTEFANO GIUSEPPE, Il notorio nel proce880 civile, So, p. BS (esaurito l.NATOLI UGO. Il confiitto dei diritti e l'art. 1380 del cod. civ., SP, p. 192.SILVESTRI ENZO, L'attività interna della pubblica amministrazione, SO, p. 274(esaurito).DD STEFANO GIUSEPPE, Oollisione di prove civili, So, p. IS2.MONACCIANI LUIGI. Azione e legittimazione, SO, p. X-408.LANDI GUIDO, Profili e problemi della giustizia amministrativa in Sicilia, So, p. 156.DE STEFANO RODOLFO, Per un'etica sociale della cultura. VoI. I. Le basi fil080fichedell'umanesimo moderno, So. p. IV-349.ID., VoI. n, La cultura e l'uomo, 8°, p. IV-516.ID., Legge etica e legge giuridica. SO, p. IV-124.TRIMARCHI V. MICHELD, La clausola penale, So, p. IV-16B.FDRRARI GIUSEPPE. Gli organi ausiliari, 8°, p. XXIV-4'54.TRIMARCHI V. MICHET~E, L'eredità giacente, Bo, p. 96.GRAZIANI ERMANNO. Volontà attuale e volontà p1'ecettiva del negozio matrimonialecanonico, So, p. IV-20S.TRTMARCHI V. MICHELE, La legittimazione dei figli naturali, So, p. 12S,.NATOLI UGO, Limiti costituzionali dell'autonomia privata nel rapporto di lavoro,SO, p. 1&2.SILVESTRI ENZO, Il riscatto delle concessioni amministrative, SO, p. IV-31'G.PANUCCIO VINCENZO, La ces8ione volontaria dei crediti nella teoria del trasferimento,So, p. IV-230.DD STEFANO RODOLFO, Il problema del Diritto non naturale, So, p. IV-272.GAZZARA GIACOMO, Oontributo ad una teoria generale dell'accrescimento. SP. p. 234.MONACCIANI LUIGI, Il problema del processo in frode alla legge (in preparazione).DD STEFANO GIUSEPPD, La revocazione, SP, p. 269.MARTINES TEMISTOCLE, Oontributo ad una 'teoria giuridica delle forze politiche, So,p. IV-336.GAZZARA GIACOMO, La vendita Obbligatoria, So, p. IV-244.VILLARI SALVATORE, Il proce8SO costituzionale - Nozioni preliminari, SP, p. 160.BUCCISANO ORAZIO, La surrogazione per pagamento, 1, So, p. IV-H6.BDNTIVOGLIO M. LUDOVICO, La funzione interpretativa nell'ordinamento internazio-nale, So, p. IV-152.TRIMARCHI V. MICHDLE!, Appunti in tema di responsabilità precontrattuale (In pre-parazione ).CAMPAGNA LORENZO, I «negozi di attuazione» e la manifestazione dell'intento nego-ziale, So, p. VIII-264.DD STEFANO GIUSEPPD, Studi sugli accordi proces8uali, So, p. IV-I68.DD STEFANO GIUSEPPE, Oontributo alla dottrina del componimento proceBBuale, So,p. IV-212.Russo ENNIO, Evizione e garanzia (in preparazione).PANUCCIO VINCENZO, L e dichiarazioni non negoziali di volontà, So, p. VII-3S4.PANUCCIO VINCDNZO, La confessione stragiudiziale, So, p. IV-1212.DD STEFANO RODOLFO. Il problema del potere, SP, p. IV-ISO.NIGRO MARIO, L'appello nel processo ammini8trativo, I, So, p. XXII-56S.Non pubblicato.

1'6.17.

is.19.20.211'.

22.23.24.

25.26.27.28.

29.30.3l.3,2.33.34.

35.36.

37.3S.

39.40.41'.42>.43.

44.45.46.47.

48.

49.

50.51.

&2.5~.54.55.56.57.

(Segue a pag. 3 dI oopertina)

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r--- PUBBLICAZIONI ~

DELL"ISTITUTO DI SCIENZE GIURIDICHE, ECONOMICHE, POLITICHE E SOCIALI

DELLA UNIVERSITÀ DI MESSINA

N. 1061

GUIDO LANDI

ISTITUZIONI DI DIRITTO PUBBLICODEL REGNO DELLE DUE SICILIE

(1815-1861)

Tomo I

MILANO· DOTT. A. GIUFFRÈ EDITORE· 1977

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Aff.ASN.

Casso

C.contr.cfp.

circo

CN

Comm.Conco

Costo

CP

CPGCC

CR

CSG

CSi

CStN

d.

d.P.R.

GCCN

GCCP

istr.

l., 11.

ll.cc.

ll.comm.

Il.p.c.

ll.pp.

ll.p.p.

ABBREVIAZIONI(Non sono indicate le abbreviazioni d'uso comune o intuitive)

Affari.

= Archivio di Stato di Napoli.

= Corte suprema di cassazione (italiana).

= Consiglio delle contribuzioni.

conforme parere. (

= circolare.

Consulta de' reali domini di qua del Faro (di Napoli).

= Commessione (commissione).= Concordato.

= Costituzione.Consiglio provinciale.

= Commessione de' presidenti della Gran Corte de' conti.

Consulta generale del Regno.

Corte suprema di giustizia.

= Consulta de' reali domini di là del Faro (di Sicilia).

= Consiglio di Stato di Napoli (denominazione della Consulta de'reali domini di qua del Faro, tra il 17 febbraio 1848 ed il 9 di-cembre 1852, e dopo il 13 luglio 1860).

= ducato, ducati (moneta).

= decreto del presidente della repubblica italiana.

Gran Corte de' conti di Napoli.

= Gran Corte de' conti di Palermo.

= istruzioni.

legge, leggi.

= leggi civili.

)Codice

= leggi di eccezione per gli affari di commercio per lo

= leggi della procedura ne' giudizi civili. Regnodelle

= leggi penali. Due Si.

= leggi della procedura ne' giudizi penali. J cilie

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IV Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

Luog.gen. = Luogotenente generale ne' reali domini di là del Faro.

min. ministeriale (atto normativo o interpretativo).

r. rescritto.

r.d. real decreto (regno delle Due Sicilte) ; regio decreto (regno d'I-talia).

reg. regolamento.

SCC Supremo Consiglio di cancelleria.

st.a.m. = Statuto penale per l'armata di mare (1. 30 giugno 1819 e r.d. 2luglio 1819).

st.f.c. Statuto penale pe' reati commessi da' forzati e loro custodi (1. 30giugno 1819 e r.d. 2 luglio 1819).

st.p.mil. Statuto penale militare per lo regno delle Due Sicilie (l. 30 gen-naio 1819 e r.d. 5 marzo 1819).

st.pr.c. = Statuto penale pe' reati de' presidiari e loro custodi (1. 29 maggio1826).

st.p.san. Statuto penale per le infrazioni delle leggi e de' regolamenti sa-nitari (1. 13 marzo 1820).

t.u, = testo unico.

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PRESENTAZIONE

Questo libro espone le linee fondamentali del diritto pub-blico vigente nel Regno delle Due Sicilie, dal 20 maggio 1815al 14 febbraio 1861. La prima data è quella dell'atto sovra-no di Messina, con cui, essendo venuto a fine il governo diGioacchino Murat, il re Ferdinando IV riassumeva l'effet-tiva sovranità sui domini continentali. La seconda, è quelladell' ordine del giorno indirizzato dal re Francesco II all'Ar-mata di Gaeta, nel momento in cui egli lasciava definitivamen-te il territorio del regno. È vero che, nella tradizione giuridi-ca del regno d'Italia, gli atti del governo borbonico di Napolifurono riconosciuti efficaci soltanto fino al 7 settembre 1860,cioè fino al dì della partenza da Napoli del re e del governo,per raggiungere l'esercito operante tra Gaeta e il Volturno.Ma non ci pare che l'estinzione per debellatio dell'antico rea-me possa considerarsi consumata, finchè l'autorità sovranacontinuava ad esercitarsi, riconosciuta dalle straniere potenze,su un lembo pur minimo di territorio, ciò che, del resto, im-plicitamente riconoscevano le stesse autorità del regno di Sar-degna, che mai rifiutarono ai combattenti di Gaeta e di Messi-na la qualifica di legittimi belligeranti. Il che significa, mal-grado i plebisciti dell'ottobre 1860, essere molto dubbio se,fino alla proclamazione del regno d'Italia (legge 17 marzo1861, n. 4671), le autorità «garibaldine» o «piemontesi»operanti nel regno possano qualificarsi « legittime », o non deb-bano considerarsi piuttosto autorità di fatto insurrezionali,

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VI I stituzioni del Regno delle Due Sicilie

oppure organi d'occupazione militare i cui atti furono conva-lidati ex post dallo Stato unitario, pur con non poche ri-serve e limitazioni.

Definiti così i limiti cronologici della trattazione, è op-portuno considerare che di nessun ordinamento giuridico sipotrebbe dire, come si esprime l'Apostolo a proposito di Mel-chisedec re di Salem, « sine patre, sine matre, sine genealogia,neque initium dierum neque finem vitae habens ». Ogni ordi-namento, al contrario, affonda le sue radici nel passato, e con-tiene la premonizione d'un avvenire. Si comprende, quindi,che più volte vengano ricordate norme ed istituzioni anteriorial 1815 - particolarmente, dei governi di Giuseppe Bonapar-te e di Gioacchino Murat, tanto benemeriti del rinnovamentoamministrativo del regno - oppure si proietti innanzi losguardo, verso l'ordinamento unitario italiano.

Chi scrive queste pagine ritiene opera di giustizia rimet-tere in luce quel monumento di sapienza giuridica - qualche sia poi l'apprezzamento politico - che fu l'ordinamentodel regno delle Due Sicilie, obliato e dispregiato per faziositàd'indigeni e boria di forestieri.

Tuttavia, in questo tempo ove son di moda le « dissacra-zioni », l'aurore non si è proposto di scrivere un libro «dis-sacrante »: del resto, altri lo hanno fatto, ed è discutibile sene abbiano tratto vantaggio la verità e la giustizia. Unità na-zionale e libertà costituzionali erano, alla metà del secolo XIX,ineluttabili necessità storiche; e se esse si realizzarono nellaforma della monarchia unitaria di Savoia, e non nella strut-tura federalista neo-guelfo, o in quella repubblicana unitariamazziniana, o in quella federalista repubblicana propugnatada Carlo Cattaneo, dipese dalla circostanza che solo la primaera in grado di coagulare attorno a sè la maggioranza dei con-sensi, ed era quindi la sola veramente democratica. Chi si

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Prefazione VII

duole della mancata interpellanza delle masse popolah, igno-ra che, nel 1860, interpellate le medesime, la maggioranza sa-rebbe andata (se scorrette manovre non avessero, come fuper i plebisciti unitari; alterata la sincerità de,l voto) alla San-ta Fede. Ed in conclusione, i più « sinistri» dei nostri odierni« sinistri» debbono rallegrarsi che la monarchia di Savoia ab-bia schiuso la via per raggiungere, attraverso il suo «placido»(tranne che per pochi popolani di Napoli) «tramonto », la viaad altre concezioni politico-sociali. Questo significa, inoltre,che l'autore deve, per parte sua, dare atto dello stato di neces-sità in cui il governo unitario agì per la repressione d'un bri-gantaggio, degenerato da moto «partigiano» legittimista inanarchia delinquenziale, e rendere incondizionato omaggio alvalore delle forze militari (in parte rilevante, tratte dallo stes-so Meridione) che gli furono opposte, anche se devesi deplo-rare (dopo più d'un secolo) che il problema del mezzogiornosia tuttora non risolto, nemmeno sotto il profilo della cre-scente delinquenza.

Questo libro, perciò, non è «dissacrante », bensì «ricon-sacrante ». Non è mio proposito velare errori e colpe del gover-no borbonico (ma qual governo può esserne immune?); o ri-prendere gli scontati temi della polemica municipalista ed an-ti-piemontese; o negare che accanto ai faziosi ed ai profittatori,delle cui opere nefaste abbiamo tuttora tanto vive e rinnovateesperienze, vi fossero, tra i nemici della Real Casa di Borbo-ne ed i fautori d'unità e libertà, uomini di gran cuore e d'altoingegno, degni d'incondizionato rispetto. Vuolsi invece dimo-strare che, se il regno doveva perire, ciò accadeva perchè essorappresentava un elemento storicamente e politicamente su-perato; e non perchè fosse un congregato barbaro, degno d'es-sere assorbito e colonizzato da quei beoti d'Italia, che, come i

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VIII Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

beoti dell'antica Tebe, erano però portatori d'alte virtù civi-li e militari.

Il libro è costituito soltanto su fonti stampate, cioè sulleleggi e decreti pubblicati in raccolte ufficiali, sui reali rescrittie gli altri atti di governo contenuti nelle compilazioni del tem-po, esui testi giuridici prodotti da giureconsulti, il cui nome,immeritatamente, fu oscurato dal tempo, ma che dimostranoil grado di civiltà (europea, non municipale) del paese in cuinacquero, studiarono, scrissero, ed operarono. L'autore nonha potuto, soprattutto perchè impegnato da doveri pubblici,integrare le fonti con ricerche d'archivio; ma si augura chetali ricerche, sui documenti fin oggi sfuggiti ai cataclismi tel-lurici ed alle vicende dell' ultima guerra, possano essere da al-tri intraprese: il che consentirebbe di trasformare molti para-grafi in monografie.

Devesi infine chiedere venia delle lacune e delle disugua-glianze inevitabili in così vasto e complesso disegno, e, soprat-tutto, di quelle che sono effetto di preferenze soggettive del-l'autore per l'uno piuttosto che per l'altro argomento. L'auto-re, d'altra parte, ha curato di collegare la storia giuridica conla storia politica, come si avvertirà soprattutto dalle note, inmodo da rendere (gli sia perdonata la presunzione) un utileservizio ai cultori dell'una come a quelli dell' altra.

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INDICE-SOMMARIO

Abbreviazioni.pago

III

Presentazione . v

INTRODUZIONE

FORMAZIONE E DISGREGAZIONEDEL REGNO DELLE DUE SICILIE

L Il territorio.

1. Origine e formazione del Regno delle Due Sicilie2. Le frontiere3. L'estensione, e le caratteristiche geofisiche

148

II. La popolazione.

4. Consistenza, sviluppo e distribuzione della popolazione del regno 125. I caratteri regionali 146. La nobiltà . 187. li clero . 248. li ceto medio 289. Il proletariato 31

II!. Il governo.

lO. Dal regime vicereale al congresso di Vienna del 181511. La forma istituzionale dello Stato .

3642

IV. La disgregazione.

12. I fattori della disgregazione del regno13l L'assorbimento del regno delle Due Sicilie nel regno d'Italia

48'- 57

CAPITOLOI

IL POTERE SUPREMO DI GOVERNO

I. Premessa.

14. Le norme fondamentali nelle monarchie assolute 65

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x Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

pago15. Norme fondamentali dell'ordinamento del regno delle Due Si.

cilie . 7l

II. Le fonti del diritto.

16. Il Codice per lo regno delle Due Sicilie . 8017. L'unificazione della legislazione amministrativa dopo il 1815 9218. La gerarchia delle fonti . 9819. L'efficacia delle norme. 1()320. I regolamenti delle autorità amministrative 10821. La consuetudine 11022. L'interpretazione 112

111. Il re.

23. La persona del re .24. La successione al trono25. I poteri del re come capo dello Stato26. La nohiltà e gli ordini equestri .

116125130142

IV. Il Consiglio di Stato ordinario ed il Consiglio de' ministri.

27. Consiglio di Stato ordinario e Consiglio de' ministri28. Ordinamento e funzioni del Consiglio di Stato .29. Ordinamento e funzioni del Consiglio de' ministri .

151159170

V. La cittadinanza e i diritti fondamentali.

30. La cittadinanza31. Persone fisiche e persone giuridiche32. Le rimostranze de' Corpi giudiziari ed amministrativi33. La lihertà personale e la circolazione delle persone34. La religione35. La stampa e gli spettacoli .36. L'espropriazione per pubhlica utilità37. Le contribuzioni generali di beni e di servizi

173176182186192195204226

CAPITOLO II

L'AMMINISTRAZIONE CENTRALEE GLI UFFICI DIPENDENTI

I. Principi e norme generali dell'organizzazione amministrativa.

38. L'organizzazione amministrativa 22939. I ministeri e la consulenza giuridico-amministrativa del Go·

verno 23~

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Indice-Sommario XI

40. Il personale amministrativo41. Il rapporto d'impiego statale42. Il trattamento di ritiro

pago237243257

II. l Ministeri e gli uffici dipendenti.

43. La Cancelleria generale del regno ti la Presidenza del Consi-glio de' ministri 263

44. Il Ministero degli affari esteri 26745. Il Ministero di grazia e giustizia 27046. Il Ministero degli affari ecclesiastici e della pubblica istruzione:

a) gli affari ecclesiastici 27247. Segue: b) la pubblica istruzione 28148. Segue: c) il protomedicato 28949. Il Ministero delle finanze: a) l'ordinamento 29750. Segue: b) l'Amministrazione delle contribuzioni dirette. 30051. Segue: c) l'Amministrazione del registro e bollo 31852. Segue: d) l'Amministrazione de' dazi indiretti 33053. Segue: e) la Tesoreria generale 34054. Segue: f) il Banco delle Due Sicilie ed il Banco de' reali do-

mini oltre il Faro . 34755. Segue: g) l'Amministrazione delle monete 35356. Segue: h} il Gran libro del debito pubblico e la Cassa d'am-

mortizzazione 35757. Segue: i) il Tavoliere di Puglia 36458. Segue: j} altre dipendenze del Ministero delle finanze 37259. Il Ministero degli affari interni: a) Ordinamento ed attribuzioni 37660. Segue: b) l'Amministrazione sanitaria 38161. Il Ministero della polizia generale 38762. Il Ministero della guerra e marina 39663. Il Ministero della Real Casa, e l'Amministrazione della Real

~~ ~64. Il Ministero de' lavori pubblici 41465. Il Ministero presso la luogotenenza generale di là del Faro, ed

il Ministero per gli affari di Sicilia. • 429

IIL Il Supremo Consiglio di cancelleria, e le Consulte.

66. Gli organi consultivi dell'antico regime e dell'occupazione mi-litare 435

67. Il Supremo Consiglio di cancelleria: a) Ordinamento e funzio-namento 439

68. Segue: b) AUribuzioni . 44469. La Consulta generale del regno, e le Consulte de' reali domini

di qua e di là del Faro: a) istituzione 44870. Segue: b) ordinamento e personale 453

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XII Isti'tuzioni del Regno delle Due Sicilie

71. Segue: c) le riforme del 1848·184972. Segue: d) funzionamento ed attribuzioni

pago458462

CAPITOLO III

IL REALE ESERCITO E LA REAL MARINA

I. L'ordinamento.

73. Dalla conquista di Carlo di Borbone all'invasione francese del1799.

74. Dal ritorno di Ferdinando IV all'invasione francese del 180675. L'esercito regio di Sicilia dal 1806 al 181576. L'esercito e la marina di Giuseppe Bonaparte e di Gioachino

Murat77. Esercito e marina dal 1815 al 182078. Lo scioglimento dell'esercito e della marina nel 1821, e la ri-

strutturazione fino al 1827 .79. Il comando generale del duca di Calabria, e l'ordinamento del-

l'esercito sotto Ferdinando Il .80. Altri provvedimenti del regno di Ferdinando II: le compagnie

d'armi in Sicilia, le guardie d'onore, la riserva del real eser-cito

81. Provvedimenti del regno di Francesco II82. La real marina sotto Ferdinando II e Francesco II

.469477485

488494

503

510

520527533

Il. Stato ed avanzamento degli ufficiali e de' souufficioli,

83. Dalla conquista di Carlo di Borhone alla restaurazione borbo-nica del 1815 535

84. La fusione degli ufficiali di Sicilia e di Napoli, e lo scrutiniodel 1821 538

85. Ristrutturazione dei ruoli e delle carriere dal 1823 54386. Trattamento economico d'attività 55087. Trattamento di ritiro 553

III. Il reclutamento de' Corpi nazionali dell'annata di terra, e l'ascri·zione marittima.

88. Dalla conquista di Carlo di Borbone allo scioglimento dell'eser-cito e della marina nel 1821 . 558

89. L'ordinamento del 1823 56290. L'ordinamento del 1834: a) organi del servizio di reclutamen-

to, ferme, soggetti obbligati 56891. Segue: b) operazioni di leva . 57~

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Indice-Sommario XIII

92. Segue: c) eccezioni dal marciare93. Segue: d) cambio .94. L'ascrizione marittima: a) ordinamento95. Segue: b) operazioni, eccezioni, cambi

pago578586594597

CAPITOLO IV

L'AMMINISTRAZIONE CIVILE E LA BENEFICENZA

I. L'Amministrazione provinciale.

96. Oggetto e metodo del capitolo 60397. Le circoscrizioni provinciali 60698. Le intendenze e gli archivi provinciali 61399. Intendente, segretario generale, Consiglio d'intendenza 617100. I rapporti d'impiego del personale d'intendenza 623101. Il Consiglio provinciale . 632102. Attribuzioni de' Consigli provinciali 638103. Le spese provinciali . 640104. Le opere pubbliche regie e provinciali: a) organi amministra-

tivi e tecnici . 654105. Segue: b) progettazione ed esecuzione delle opere pubbliche 659106. La Guardia urbana 669

Il. L'Amministrazione distrettuale.

107. Le circoscrizioni distrettuali108. Le sottintendenze ed i sottintendenti109. Il Consiglio distrettuale

684686691

III. L'Amministrazione comunale.

110. Il Comune 693111. Le liste degli eleggibili 699112. Gli organi dell'amministrazione comunale 706113. Il sindaco e gli eletti . 718114. Il cancelliere archivario e i dipendenti del Comune 726115. Il cassiere . 732116. Il decurionato 734117. Disposizioni particolari per i comuni di Napoli, Palermo, Mes-

sina e Catania 742118. Le rendite del Comune: a) rendite patrimoniali 745119. Segue: b) proventi giurisdizionali 750120. Segue: c) dazi comunali . 753121. Segue: d) sovraimposizioni; e) privative 761122. Spese comunali 766

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XIV lstùueioni del Regno delle Due Sicilie

123. Opere pubblicbe comunali124. Contratti comunali125. Riscossione delle rendite ed erogazione delle spese126. Lo stato discusso .127. La polizia urbana e rurale128. I Consigli edilizi .

pago770779785787788797

IV!. Gli stabilimenti di beneficenza e luoghi pii laicali.

129. La beneficenza pubblica dall'antico regime alla restaurazioneborbonica . 804

130. Stabilimenti di beneficenza e luoghi pii laicali . 813131. I Consigli degli ospizi 819132. Le Commessioni amministrative comunali 826133. I monti frumentari 834

CAPITOLO V

LA GIUSTIZIA

I. La giurisdizione ordinaria.

134. Le leggi organiche dell'Ordine giudiziario 841135. Le Corti supreme di giustizia 844136. Le Gran Corti civili . 850137. Le Gran Corti criminali 852138. Le Gran Corti speciali 855139. I giudici d'istruzione . 861140. I Tribunali civili . 862141. I Tribunali di commercio 865142. I giudici di circondario 868143. I conciliatori 874144. I regi procuratori ed i regi procuratori generali 876145. Lo stato giuridico dei magistrati 878146. Doveri e garentìe dei magistrati . 888147. L'esercizio della funzione giurisdizionale 890148. Lo stato giuridico de' cancellieri 895149. Gli uscieri . 897150. Patrocinatori, avvocati e notai . 899151. La giustizia nel regno delle Due Sicilie, in raffronto con l'or-

ganizzazione attuale 902

II. La giustizia militare.

152. La competenza de' tribunali milìtarì153. I Consigli di guerra .

905909

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Indice-Sommario xv

154. L'Alta Corte militare .155. Il procedimento innanzi a' Consigli di guerra156. Il procedimento innanzi all'Alta Corte militare157. La Corte marziale marittima.158. Commessioni militari straordinarie

111. Il contenzioso amministrativo.

159'. La tutela de' diritti ne' confronti della pubblica amministra-zione

160. La tutela ne' confronti degli atti amministrativi discrezionali161. I reclami amministrativi .162. Le leggi sul contenzioso amministrativo .163. I giudici del contenzioso amministrativo164. La Gran Corte de' conti nel sistema del contenzioso ammi-

nistrativo165. La Gran Corte de' conti di Napoli166. La Gran Corte de' Conti di Palermo167. Le attribuzioni de' giudici del contenzioso amministrativo168. Oggetti di pubblica amministrazione: a) strade, acque e pro-

prietà del demanio pubblico .169. Segue: b) i beni dello Stato e degli enti pubblici, ed i contrat-

ti della pubblica amministrazione170. Segue: c) opere e lavori pubblici. pubbliche contribuzioni, con-

tenzioso militare, prede marittime, contabilità pubblica, diritticivici

171. Segue: d) Le autorizzazioni per stare in giudizio172. Segue: e) tentativo di conciliazione tra privati ed amministra-

zioni pubbliche173. Il contensioso di repressione174. Il procedimento dinanzi a' Consigli d'intendenza ed alle Gran

Corti de' conti175. Il ricorso al Supremo Consiglio di cancelleria, o alle Consulte176. Revisione d'ufficio di decisioni delle Gran Corti de' conti.177. Esecuzione delle decisioni de' giudici del contenzioso178. Ripartizione de' demani comunali: a) ne' domini di qua del

Faro179. Segue: b) ne' domini di là del Faro .180. Il contenzioso del Tavoliere di Puglia181. Il contenzioso della Sila .182. Procedimento ne' ricorsi in tema di contribuzioni dirette.183. I giudizi contabili: a) i conti morali184. Segue: b) conti materiali de' comuni, province e pubblici sta-

bilimenti

pago915917923925928

938945947955961

967971979984

988

997

10131019

10241027

1033104310471052

105910661070107410761084

1089

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Isticuxioni del Regno delle Due SicilieXVI

pago185. Segue: c) conti materiali dello Stato 1095186. L'agente del contenzioso e la difesa delle Amministrazioni 1100

IV. I conflitti tra autorità giudiziarie ed amministrative.

187. Principi in tema di conflitti d'attribuzioni188. Legislazione sui conflitti .189. Procedimento per la soluzione de' conflitti

110411071113

V. La garentìa de' funzionari.

190. Legislazione sulla garentìa191. I funzionari garentiti, ed i reati in officio192. TI procedimento d'autorizzazione a procedere

111711201126

CAPITOLO VI

GLI ESPERIMENTI COSTITUZIONALI

I. Influssi francesi e britannici agli inizi del secolo XIX.

193. Premessa 1129194. Il progetto di costituzione della Repubblica napoletana 1130195. Lo statuto di Baiona e la costituzione di Gioachino Murat 1134196. La costituzione siciliana del 1812 1137

Il. La costituzione del 1820.

197. Costituzione di Spagna e costituzione di Napoli.198. Caratteri della costituzione del 1820199. n parlamento ed il potere legislativo200. Il re, ed il potere esecutivo e giurisdizionale

1142114411471150

In. Le carte costituzionali del 1848.

201. Caratteri della costituzione del regno del 1848 . 1153202. La Costituzione del regno del 1848: a) il parlamento ed il po-

tere legislativo 1156203.Segue: b) il re ed il potere esecutivo e giurisdizionale . 1161204. Lo statuto siciliano del 1848, e l'atto costituzionale di Gaeta

tdel 1849 1163

Cronologia dei Sovrani regnanti nelle Due Sicilie 1167

Indice alfabetico degli scritti citati . 1170

Indice analitico aljobetico 1195

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INTRODUZIONE

FORMAZIQNE E DISGREGAZIONEDEL REGNO DELLE DUE SICILIE

l. IL TERRITORIO

1. Origine e formazione del Regno delle Due Sicilie. -La parte meridionale della penisola italiana, chiusa, tra il ma-re Tirreno ed il mare Adriatico, dalla selva di Terracina, dal-le PaludiPontine, dal fiume Liri, e dal robusto saliente mon-tano degli Abruzzi, fino al fiume Tronto che lo separa dalleMarche; le minori isole adiacenti; la Sicilia, non abbastanzaunita con la terra ferma, nè abbastanza da essa divisa dallostretto di Messina; avevano raggiunto l'unità politica nel se·colo XII, sotto la monarchia normanna, prime tra ogni regio-ne d'Italia, talchè il nome di «regno », senz'altro attribuito,designò a lungo, nell'uso comune, quel che ufficialmente sidenominava «regno di Sicilia, del ducato di Puglia e delprincipato di Capua », e, più brevemente, «regno di Sici-lia» (l). La troppo rapida estinzione della discendenza ma-schile nella casa d'Altavilla trasferì il regno ad un'altra fortestirpe di governanti, gli Svevi della. casa di Hohenstaufen(1194); ma quando, con I'assolutismo illuminato di Federi-

(1) Il titolo completo del re di Sicilia, al tempo di Carlo I d'Angiò, era«Dei :gratia rex Ierusalem, SiciIlae, ducatus Apuliae ac principatus Capuae»:AMARI, pp. 525, 561, 563, 564.

1. LANDI . 1.

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2 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 1

co II, il regno si poneva tra gli Stati più progrediti d'Europa,nasceva la radice delle sue sventure, coinvolto, come fu, nel-la lotta tra Chiesa ed Impero. Al re Manfredi, ultimo degliSvevi, la Santa Sede oppose Carlo d'Angiò: aveva inizio così(1266) la dinastia degli Angioini di Napoli.

Avrebbe potuto tuttavia il regno avviarsi verso nuovi de-stini, che l'ambizione di Carlo ravvisava in una vasta espan-sione verso l'Oriente, se errori psicologici, forse più che poli-tici, non avessero ravvivato, e poi fatto esplodere in sangui-nosa rivolta, l'opposizione filo-sveva, particolarmente forte inSicilia. La guerra del Vespro - iniziata per sostituire al-l'angioino l'erede aragonese degli Svevi - si concluse dopoventi anni (1282-1302) con la pace di Caltabellotta, che san-zionò la divisione politica della Sicilia dal continente. L'unoe l'altro Stato, dominati da dinastie irriducibilmente ostili,dovevano poi fronteggiarsi in lunghe guerre, e furono semi-nati i germi d'una discordia che ancora nel secolo XIX pro-duceva amari frutti, e che solo l'unità d'Italia potè elimi-nare (2).

I due regni di Sicilia - poichè identica era la denomina-zione ufficiale, una volta che la dinastia aragonese ripudiavail titolo regio di « Trinacria », e che la casa angioina non mu-tava il titolo glorioso dei re normanni con quello, consuetu-dinario, di «re di Napoli» (3) - imbarbariti ed impoveriti

(2) AMARI,p. 7, vuole appunto prefigurare nella guerra del Vespro ilconflitto tra Sicilia e monarchia horhonica, come risulta dalla sincera dichia-razione: «Il lihro che mi fo a ristampare, nacque dalle passioni che ferveanoin Sicilia innanzi il 1848s ,

(3) Il titolo di re di Sicilia, in luogo di quello di «re di Trinacria », ri-conosciutogli con la pace di Caltahellotta (1302) e con la conseguente costi-tuzione (12 maggio 1303) del papa Bonifacio VIII, fu riassunto da Federico IId'Aragona il 9 agosto 1314 (AMARI,p. 445), e perciò, nel medio evo, c rexSiciliae» viene detto tanto l'Aragonese di Palermo, quanto l'Angioino di Na·poli. Alfonso d'Aragona, allorchè riunÌ le due corone (1434) si disse c rex

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1 Introduzione 3

dalle guerre esterne e dalle discordie intestine, caddero infi-ne sotto dominio straniero. La Sicilia per prima, attratta nel-la sfera d'influenza aragonese, fu riunita alla corona iberica(1412); il reame di Napoli, conteso tra Francia e Spagna, ri-mase a sua volta in possesso della Spagna vincitrice (1504).Dell'antico regno di Ruggero e di Federico, si fecero due vi-cereami spagnuoli: l'isola ed il continente perdettero l'in-dipendenza, ma rimasero politicamente divisi.

Nè l'unità politica fu ristabilita quando la morte di Car-lo II (1700) aprì la crisi della successione di Spagna, e segnòil definitivo declino della potenza spagnuola. Dopo il breveregno di Vittorio Amedeo II di Savoia in Sicilia (1714-1718),l'unione dell'isola con Napoli, assegnata dal 1714 all'impera-tore Carlo VI, fu una semplice unione dinastica, che così ri-mase quando l'una e l'altro riebbero finalmente un re proprio,Carlo di Borbone (1734), il fondatore dell'ultima dinastiaregnante nelle Due Sicilie.

La crisi europea provocata dalla rivoluzione francese ac-centuò il distacco ed il conflitto. Nel 1799, Napoli si proclamòrepubblica (4), mentre la Sicilia fu rifugio di Ferdinando IV

utriusque Siciltae s, e così i sovrani di Spagna, allorchè, dopo la e dehellatio sdel ramo aragonese illegittimo di Napoli (1504), riunirono un'altra volta ledue corone. La singolare duplicazione di titoli nuovamente si verificò tra il1806 ed il 1815, allorchè Ferdinando IV di Borbone nell'isola, e Giuseppe Bo-naparte, e poi Gioacchino Murat, nel continente, si intitolarono parimenti«re delle Due Sicilie» (ma i re francesi omisero tanto il richiamo alla e gra-zia di Dio », quanto i titoli «di pretensione» borbonici). Le espressioni «redi Napoli» e «regno» (o e reame ») di Napoli, sono (CROCE, a), p. 92) denomi-nazione «spontanea e popolare, se anche non diplomaticamente giustificata s ,ma non estranea all'uso ufficiale, se, per esempio, nel decennio francese sipubblica il Bullettino delle leggi del regno di Napoli. Rimase a lungo (e forseancora rimane presso i ceti meno colti) nell'Italia settentrionale, la consue-tudine di chiamare «napoletani» tutti gli italiani del sud. Nell'uso delle can-cellerie diplomatiche, rimase invece, fino al 1861, l'espressione «Sua Maestàsiciliana ».

(4) n nome ufficiale, secondo i documenti del tempo ed il progetto di

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4 lstùuzioni del Regno delle Due Sicilie 2

e della Real Famiglia, e base della riconquista felicementeconclusa dal cardinale Fabrizio Ruffo. Magistrati siciliani, de-stinati a tribunali d'eccezione, fecero mostra di spietato rigo-re verso i ribelli. Il 23 gennaio 1806, Ferdinando IV riparòancora una volta in Sicilia, mentre il continente accoglieva ire francesi, Giuseppe Bonaparte (1806-1808), e poi Gioacchi-no Murat (1808-1815): i due «regni », attratti l'uno nellasfera britannica, l'altro in quella napoleonica, furono di nuo-vo in guerra tra loro. E questo secondo, decennale soggiornodei reali di Napoli in Sicilia, fu nefasto ai destini della mo-narchia meridionale, dando causa ad un groviglio d'incom-prensioni e d'errori, che, esasperati dalle inframmettenze in-glesi, e non certo addebitabili ad una sola delle parti, scava-rono tra la Sicilia e la dinastia, tra la Sicilia e Napoli, un abis-so in cui il regno finì per precipitare in rovina.

Perciò, la fusione dei due regni in uno solo, con il ricono-scimento, nel congresso di Vienna (1815), del titolo di « Fer-dinando I, re del Regno delle Due Sicilie» (1. 8 dicembre1816) non riuscì a porre fine alla secolare divisione. Unionecompleta non vi fu mai sul piano giuridico-amministrativo.Sul piano politico, vi furono poi ininterrotti, e spesso dram-matici, dissidi e contrasti, sicchè il regno apparve una forzataaggregazione di territori separati dal mare, e reciprocamenterimasti estranei ed ostili.

2. Le frontiere. - Nel 1815, la frontiera terrestre delRegno era sempre quella, antichissima, segnata, da occidentead oriente, dalla selva di Terracina, dalle Paludi Pontine, dalLiri, dall'Appennino, e dal Tronto. Unico Stato confinante,

costituzione (AQUARONE, D'ADDIO, IEGRI, pp. 270 88.) era «Repubblica napole-tana s, La denominazione «Repubblica partenopea s è letteraria (CORTESE, inCOLLETTA, a), II, 1957, p. 4).

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2 Introduzione 5

lo Stato pontificio. Era, questo, potenza non militare, con cuiil Regno, salvo episodici contrasti, manteneva tradizionali rap-porti di buon vicinato; per di più, le ripetute, contrarie espe-rienze, non avevano scosso la fiducia nell'improbabilità di unaaggressione minacciante Napoli attraverso i territori della San-ta Sede. La difesa di tale confine non soleva perciò destareapprensione. Ma, in verità, si trattava di linea tutt'altro cheinvulnerabile: si poteva penetrare nel Regno varcando ilTronto, oppure dalla strada di Rieti, o da quella di Ceprano;le invasioni tentate per quest'ultima via erano spesso riuscite,fin dal tempo di Carlo d'Angiò; da Rieti per il passo d'Antro-doco entrarono gli austriaci nel 1820; dal Tronto i piemonte-si nel 1860 (5).

La frontiera si appoggiava ad oriente alla fortezza, piut-tosto modesta (piazza di 2R classe, r.d. 21 giugno 1833), di Ci-vitella del Tronto; ad occidente a quella di Gaeta, ed a quel-la, più arretrata, di Capua; dell'una e dell'altra, tuttavia, mal-grado la fiducia che vi si riponeva (erano piazze di 1" classe)le esperienze del 1799, del 1806, del 1815, dimostravano co-me potessero essere sorpassate da una ardito invasore (6). Il

(5) COLLETTA,b) (in particolare, sulle dieci invasioni dal 1261 al 1806,pp. 453-454); ed in O'AYALA,pp. 60 ss., la « nota» del maresciallo di campo Fran-cesco Costanzo al re Ferdinando I (luglio 1815)_ I confini con lo Stato pon-tificio furono definiti con trattato ·26 settembre 1840 (pubblicato con r.d. 5aprile 1852), integrato da una «convenzione addizionale o regolamento le-gislativo> del 14 maggio 1852, resa esecutiva con legge l° luglio 1852. I con-seguenti scambi di territori furono resi esecutivi con r .d. 7 agosto 1852.

(6) Nel l ?99, la fortezza di Gaeta si arrese ai francesi. Invece, Capua,che opponeva una buona resistenza, fu aggirata dagli invasori, che poi sene impadronirono per patto d'armistizio (COLLETTA,a), I, pp. 379, 381 88., 395ss.). Ugual sorle ebbe Capua nel 1806, mentre Civitella del Tronto, sotto ilcomando del maggiore Matteo Wade, resistè tre mesi, e cedette per famequando i francesi erano però già padroni del regno; Gaeta, sotto il comandodel principe Luigi d'Assia Philipstahl resistette fino al 18 luglio 1806, quandoGiuseppe Bonaparte aveva già assunto la dignità regia, e si arrese con l'onorec1elfe armi (CQLtETTA,a), II, pp. 215 55., 239). Nel 1815, ~li auetrìaeì entra-

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6 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 2

maSSICCIOmontuoso dell'Abruzzo, offriva bensì numerosi edardui elementi di naturale difesa, ma rendeva difficili le comu-nicazioni tra i settori occidentale ed orientale di frontiera, epressochè impossibile, se il nemico lo avesse occupato, la dife-sa del settore occidentale, che ne veniva minacciato di fianco.Anche di ciò si era fatta esperienza nel 1799, quando le cin-que colonne parallele avviate dal gen. Mack ad invadere gliStati romani avevano perduto il collegamento, ed erano statebattute ad una ad una; e nel 1821, quando la sconfitta del gen.Guglielmo Pepe al passo d'Antrodoco aveva provocato la qua-si immediata caduta delle difese del Garigliano e del Liri, af-fidate al gen. Michele Carrascosa.

Dietro questa linea, erano state ricostituite, col trattatodi Vienna, le antichissime enclaves pontificie di Pontecorvoe Benevento (7). Con esso, invece, andarono definitivamenteperduti i «Presidi» della Toscana (Orbetello, Talamone,Monte Argentario, Porto S. Stefano, Port'Ercole, Porto Longo-ne), che avevano seguito le sorti del Regno dal 1557 (8), e

rono in Napoli il 23 maggio (COLLETTA,a), II, p. 479), mentre la fortezza diGaeta, sotto il comando del gen. Alessandro Begani, resistette ancora fino al-1'8 agosto, e capitolò con l'onore delle armi (COLLETTA,a) III, pp. 15 ss.).È evidente che, anche quando i difensori delle fortezze si comportarono daprodi, la loro azione fu priva di risultati decisivi per le sorti della guerra.Il che avvenne pure nel 1860·61,per le memorabili difese di Gaeta, Messinae Civitella del Tronto.

(7) Pontecorvo, dopo varie vicende feudali, era divenuta dominio pon-tificio nel 1463; nel 1806 l'imperatore Napoleone ne aveva fatto un feudoimperiale, dandone l'investitura, col titolo di principe, al maresciallo Berna-dotte. Benevento aveva riconosciuto la sovranità della Santa Sede dal 1501;anch'essa, nel 1806, era stata costituita in feudo, col titolo di principe, a Ia-vore del signor de Talleyrand. Nel territorio napoletano, l'imperatore Napo-leone aveva altresì infeudato Reggio, col titolo di duca, al maresciallo Oudì-not (1808), e, con lo stesso titolo, nel 1809, Taranto al maresciallo Mac Donald,Otranto al ministro della polizia Fouché, e Gaeta al ministro delle finanzeGaudin.

(8) I Presidi della Toscana erano stati ceduti alla Francia nel 1801, con

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2 Introduzione 7

ne erano basi avanzate, di non trascurabile interesse militare:se ne era avuta prova nel 1799, quando la colonna del gen.Roger de Damas, sfuggita arditamente all'accerchiamento fran-cese, aveva riparato in Orbetello, donde era rientrata permare nel Regno (9).

Tutte le altre frontiere erano marittime. Si trattava d'unaimmensa distesa di coste, la cui efficiente difesa navale avreb-be imposto un onere sproporzionato alle forze del Regno,pur se i pericoli di sbarchi ostili erano attenuati dal rilievoimpervio o dalla natura malarica in molti tratti, e dalle dif-ficili vie tra marina e retroterra. Porti di commercio interna-zionale erano Napoli e Messina; sotto i re francesi, aveva ac-quistato importanza anche Bari; gli altri porti erano piuttostomodesti, sebbene la difficoltà delle vie terrestri facesse spessoaccordare preferenza ai trasporti marittimi di persone e dicose, e desse quindi una certa vita a porti, o semplicemente adapprodi ed ancoraggi, che attualmente languono, o più non e-sistono.

La difesa della Sicilia, ed il suo collegamento con la ter-ra ferma, erano principalmente concentrati nella cittadella diMessina, e nel sistema di forti, marittimi e collinari, intornoalla città: opera potente, ma antiquata (risaliva al 1647), e pre-ordinata, più che a difesa esterna, a reprimere velleità insur-rezionali degli isolani.

Il trattato di Vienna privò inoltre il regno delle Due Si-cilie della sovranità nominale sull'isola di Malta, concessa infeudo, nel 1530, da Carlo V ai cavalieri gerosolimitani. Vi si

la pace di Firenze, ma erano stati restituiti dagli stessi abitanti al re Gioac·chino Murat, quando nel 1814 i francesi si erano ritirati, e quindi consegnatiagli austriaci per un colpevole errore del gen. Giuseppe Lechi, bresciano alservizio di Murat (PIGNATELLI DI STRONGOLI, pp. 149·150).

(9) COI,Lt:TI'A, a), I, pp. 371·372.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 38

costituiva la temibile base che assicurava alla Gran Bretagna lapreponderanza nel Mediterraneo centrale, e che fu spessorifugio e centro d'attività di esuli siciliani.

In conclusione, il Regno delle Due Sicilie, per quanto chiu-so, secondo una pittoresca espressione di Ferdinando II, tra«l'acqua santa e l'acqua salata », era, militarmente, unodegli Stati meno difendihili d'Europa.

3. L'estensione, e le caratteristiche geofisiche. - Que-sto territorio comprendeva, in terraferma, le attuali regionid'Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata e Calabria,salvo le rettifiche determinate dalla istituzione delle provinciedi Frosinone (1926), Rieti (1927) e Latina (1934), che dicentri, la cui storia è tutta legata al regno di Napoli, come Cas-sino (S. Germano, fino al 1871), Gaeta o Cittaducale, hannofatto comuni del Lazio (lO).

La superficie del Regno, ammontava a circa centomilachilometri quadrati, di cui 25.707 rappresentano la Sicilia.

Le comunicazioni terrestri erano, nella maggior parte delpaese, difficili, per il prevalere dei territori montuosi, e per lascarsezza e la mediocre manutenzione delle strade, donde ilpratico isolamento di centri, anche d'una certa importanza.Tipica (anche perchè ha più o meno persistito fino ai nostrigiorni) la situazione della Calabria, la cui configurazione geo-grafica rendeva quasi impossibile, nel senso della latitudine,il collegamento per terra tra versante tirrenico e versante io-

(lO) Le regioni erano entità storiche o geografiche, e non circoscrizioniod enti amministrativi, salvo il Molise e la Basilicata, che costituivano, ciaoscuna, una provincia. La Costituzione della Repubblica italiana (art. 131) in.dividuò le regioni dell'Italia meridionale, come del resto quelle d'ogni altraparte d'Italia, sulla base dei «compartimenti statistici », utilizzati per la clas-sificazione dei dati dei censimenti della popolazione (FERRARI, p. 5 e 48 ss.),dal che derivava anche una sola regione «Abruzzi e Molise s, che fu poi scissa.(I, eost, 27 dicembre 1963, D. 3).

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3 Introduzione

nico, ed interponeva, in senso longitudinale, distanze fino atempi a noi prossimi ingenti fra i tre capiluoghi di provincia.La- rete ferroviaria - che costituiva un «primato» italianodel Regno, poichè il primo tronco era stato aperto al trafficonel 1839 - era di circa 100 chilometri (11), ed univa la capi-tale con Capua, Castellammare, Nocera e Sarno (il prolunga-mento fino a S. Severino fu completato nel 1861; quello sino aS. Germano, o Cassino, nel 1862) (12). Perciò si preferivanospesso i trasporti marittimi, talora affidati a modeste unitàda cabotaggio, od li navi battenti bandiera estera, seb-bene, per un altro dei singolari «primati» del Regno, ilprimo piroscafo italiano fosse stato costruito a Napoli nel1818 (13). Di ciò soffriva ovviamente il servizio postale, ev'erano comuni dove la posta giungeva appena una volta persettimana. Migliori le comunicazioni telegrafiche: la rete elet-trica, iniziata nel 1852, collegava tutte le provincie, e nel1858 era stato inaugurato il cavo sottomarino tra Reggio e

(Ll) CANDELORO,V, p. 36. I dati non sono uniformi in tutti gli scrittori, pro-babilmente perchè riferiti ad anni diversi.

(2) DE CESARE,a), I, pp. 263 55., e 111, pp. 81 55., dà varie notizie sullaconcessione, accordata nel 1855 all'ing. Emanuele Melisurgo, per la costruzionedella ferrovia Napoli-Brìndisi, ma non attuata, e' pubblica anche il testo delcapitolato di concessione. Non diversa sorte ebbe la concessione della ferroviadell'Abruzzo, accordata lo stesso anno al barone Panfilo de Riseis. Un pro-gramma di nuove costruzioni ferroviarie nel continente ed in Sicilia, appro-cato con r.d, 28 aprile 1860, non fu attuato per la sopravvenuta unificazione(DE SIVO,a), II, pp. 50-51). Vedi anche inira, § 36.

(13) Specie dal 1823, la marina mercantile era stata oggetto di panico-lari misure di protezione da parte del Governo, con risultati positivi per l'in-cremento delle costruzioni navali, ed anche con l'accrescimento numerico dellagente di mare (nel 1834, v'erano 26.853 addetti alla pesca ed al cabotaggio, e9.414 addetti al commercio marittimo con l'estero), ma anche con qualche in-conveniente per gli esportatori, dato che I'ìndustrìa della navigazione facevacapo prevalentemente a Napoli, dove i produttori delle provincie dovevanosolitamente rivolgersi per ottenere I'ìmharco della merce sulle navi nazionali,Il godere le riduzioni dei dazi d'esportasìone (CINGARI,llf' 161 88.),_

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lO Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 3

Messina (14). Lo stato delle comunicazioni deve essere tenutopresente per comprendere perchè, se dovunque era sentitoil rapporto, per dir così verticale, con l'autorità centrale, assaimeno intensi erano i rapporti tra le provincie, e qualche vol-ta addirittura tra i centri d'una stessa provincia, con la con-seguente difficoltà di formazione d'una comune coscienza poli-tica, ma anche con la singolare persistenza di vere e proprieisole di cospirazione o d'agitazione antigovernativa, come nelleCalabrie o nel Cilento. Ma non bisogna nemmeno supporreche di tali deficienze fosse solo responsabile il cosiddetto mal-governo borbonico: anche se vi furono carenze d'azione am-ministrativa, si deve pure riconoscere che, tenuti inoltre neldebito conto i mezzi tecnici del tempo, ben altra cosa era apri-re strade e ferrovie nella pianura del Po, che condurle per glianfratti dell'Appennino; e non vi riuscì nemmeno presto efacilmente il governo italiano.

Le caratteristiche naturali erano, ancor più d'ora, moltovarie. Il forestiero, che, di solito, si recava a Napoli o a Pa-lermo, e di poco se ne allontanava, ammirava le campagne fe-raci della Terra di Lavoro e della Conca d'Oro, ed era facil-mente indotto ad attribuire la povertà d'altre zone, che peravventura visitava, all'incuria del governo (il che in parte eravero) ed alla neghittosità degli abitanti (il che era in granparte errato). È ben noto quanto il pregiudizio della ricchez-za inesplorata delle terre meridionali sia stato a lungo nefastodopo l'unificazione. Ma nella montagna, i tagli disordinatidi boschi (ingentissimi sotto Gioacchino Murat, per esigenzedella Marina militare francese) avevano sconvolto il regimeidrogeologico, in modo del quale non sono ancora eliminatele conseguenze (15). Qua<si dovunque, il difetto d'importanti

(14) DE CESARE, a), I, p. 271.(15) Tuttavia, lo stesso re Gioacchino, CQU l, ?Q ~en~i~ 1811, tentò d,\

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3 Introduzione 11

corsi d'acqua perenni, il regime torrentizio della maggiorparte degli altri, la difficoltà della ricerca d'acque sotterranee,che avrebbe richiesto, come tuttora richiede, impegni ingentidi capitali e d'attrezzature, impedivano lo sviluppo di un'a-gricoltura razionale e progredita. La vite, l'olivo, il grano, era-no le colture più diffuse. La Sicilia, tranne le provincie, o« valli », orientali, e la Conca d'Oro, era coperta dal latifondo,così come rimase fino al 1950. PIaghe malariche erano le Pa-ludi Pontine, la Piana di Sibari, parte della Piana di Catania.

Gli stabilimenti industriali - cantieri navali, la rinoma-ta fabbrica d'armi di Torre Annunziata, e pochi altri - eranoconcentrati quasi esclusivamente attorno a Napoli. Altre atti-vità, come le filande calabresi, erano a livello artigianale,Queste industrie, protette dal Governo, dovevano naturalmen-te, con l'unificazione, subire duramente gli effetti dellaconcor-renza settentrionale (16).

Le miniere siciliane furono a lungo in testa della produ-zione dello zolfo, ma, coltivate con tecniche arretrate, non re-sistettero più tardi alla concorrenza estera, ed il duro sfrutta-mento dei lavoratori le rendeva, nell'isola, causa di miseriapiù che di benessere. La ferriera della Mongiana, presso Stiloin Calabria, produceva prevalentemente per i bisogni delleForze armate (17).

mettere riparo allo scempio, ma non sembra con buoni risultati (COLLETTA,a),II, p. 364); e la materia fu riordinata dal re Ferdinando I con l. 19 ottobre1819, e quindi sotto il regno di Francesco I, con la legge forestale 21 agosto1826, estesa alla Sicilia col r.d. 24 marzo 1827 (in/ra, § 64).

(16) Sulla struttura industriale del Regno delle Due Sicilie, v. CARACCIOLO,pp. 572 55.; ed in particolare per l'economia della Sicilia, ROMEo,a), pp. 203 58.

(17) Sulle ferri ere della Mongiana, v. CALDORA,pp. 276 55., il quale ri-corda l'opera svoltavi, come direttore, dal ten. col. Niccolò Landi tra il 1814ed il 1816 (v. anche D'AYALA,p. 232), e ne cita le varie memorie sull'argomento,una delle quali pubblicata in Antologia militare, 1837, pp. 76 58. Più tardi(r.d, 6 dicembre 1852), il .re Ferdinando II, con altri provvedimenti intesi

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12 Istìtuzioni del Regno delle Due Sicilie 4

Il paese, che una superficiale retorica dipingeva come unparadiso abbandonato, era, per la maggior parte, una terraaspra, faticosa ed ingrata, in cui, più che porre rimedio ad unpassato abbandono, era necessario aggredire, con una qualitàed entità di mezzi che, del resto, il tempo scarsamente offriva,gli ostacoli d'una natura ostile e sconvolta.

II. LA POPOLAZIONE

4. Consistenza, sviluppo e distribuzione della popolazio-ne del regno. - La popolazione, negli ultimi due secoli, eracontinuamente aumentata. Le provincie continentali, nel 1669(sotto la dominazione spagnuola), contavano 2.718.330 abi-tanti. Nel 1734 (agli inizi del regno di Carlo di Borbone)ne avevano 3.044.562. Nel 1775, la popolazione era salitaa 4.300:000 abitanti; nel 1815, a 5.060.000; nel 1836, a6.081.933; ma diminuì per la strage del colera (18).

La Sicilia non consente dati altrettanto sicuri, per i criterivariabili ed irrazionali usati nei censimenti, e per il gran nu-mero di denuncie false provocate da preoccupazioni fiscali. Ilcensimento ordinato nel 1714 da Vittorio Amedeo II dava983.136 abitanti, ma era probabilmente errato, perchè nel1681 erano stati calcolati 1.011.072 abitanti, esclusi gli ec-clesiastici e la città di Palermo, e non basterebbero a spiega-

a dare in~ntivo allo stabilimento alquanto decaduto (DE CESARE, a) I, pp. 32 56.)

diede al villaggio di Mongiana, distaccato dal comune di Fabrizia, un singo-lare ordinamento di «colonia militare»: il direttore della ferri era (ufficialesuperiore, capo della S' direzione d'artiglieria) esercitava le funzioni di sin-daco, nonchè di supplente del giudice di circondario; l'ufficiale di dettaglio,le funzioni d'ufficiale dello stato eivile ; due ufficiali della direzione, quelledi l° e 2° eletto; il Consiglio d'amministrazione dello stabilimento, q.ueUQdel decurlonato ; ed il parroco ~i M~lwiana quelle di conciliatore ..

(la) PE SlV(l, (Il, I. p. 66, .

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4 Introduxione 13

re tale ingente diminuzione le 56.800 vittime del terremotodel 1693. Un altro censimento, ordinato nel 1748 e conclusonel 1770, dava 1.176.004 abitanti (19).

Infine, nel 1846 fu possibile numerare una popolazionedi 6.177.859 abitanti nel continente, e di 2.245.727 abitantinell'isola, col totale di 8.423.316, che nel 1856 era aumentatoa 9.177.050 (20). Oggi, sul medesimo territorio, alquantoridotto per le recenti aggregazioni di comuni a provincie delLazio, vivono, secondo il censimento 1971 (d.P.R. 5 marzo1973, n. 45), 16.398.765 abitanti, di cui 11.719.751 nelle, pro-vincie continentali, e 4.679.014 in Sicilia: .la popolazione,cioè, in poco più. di un secolo, è poco meno che raddoppiata,malgrado i vuoti provocati, tra la fine del secolo scorso e gliinizi del presente, dalla grande emigrazione transoceanica, edoggi, inoltre, dagli ingenti trasferimenti di mano d'opera ver-so le città industriali del settentrione (21).

La popolazione era ripartita in modo molto disuguale.Napoli, secondo un censimento del 1742, contava 305.000

abitanti nazionali, e circa 100.000 stranieri residenti, senzacontare le truppe del presidio (22). Nel 1860, numerava447.065 abitanti, ed era la più grande città d'Italia (23).' Neisuoi dintorni era la maggior densità di popolazione. Ma, nelcontinente, nessun capoluogo di provincia superava 50 mila

(l9) PONTIERI,a), pp. 35 ss.(20) DE SIVO,a), loe. cit.(21) Nel confronto con i dati del censimento 1961 (d.P.R. 31 gennaio

1963" 'n. 18) la popolazione delle provincie continentali segna un' lieve au-mento (da 11.535.638 a 11.719.751), mentre quella siciliana è in lieve diminu-zione (da 4.719.841 a 4.679.014). In Calabria, però, la popolazione segna un re-gresso di 57 mila abitanti.

(22) BOUVIERet LAFFARGUE,p. 33,(23) DORIA,p. 233. La, popolazione di Napoli al 24 ottobre 1971 ,'era, di

1.226.59'4 abitanti, e cioè la città prende il terzo posto, dopo Roma e Milano.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie-------14 5

abitanti, e qualcuno non raggiungeva i 20 mila (24). Alcu-ne zone erano addirittura spopolate. Eccezion fatta per laPuglia (25), naturalmente pianeggiante, e per alcuni centrimarittimi, come la stessa Napoli, Salerno e Reggio, la popola-zione, dai primi secoli del medioevo, per ragioni di sicurezza,o per sfuggire la malaria, aveva abbandonato le coste e le ter-re basse, e si era stabilita sulle alture. In Calabria, per esem-pio, specie lungo la riviera ionica, quasi tutti gli abitati ma-rittimi sono sorti dopo il 1860, e debbono la loro originealla ferrovia, che ha determinato anche il trasferimento dellesedi dei pubblici uffici verso la zona meglio collegata.

In Sicilia, Palermo, centro storico e politico, e come pre-tendeva di chiamarsi, «capitale» dell'isola, contava 194.463abitanti. Seguivano Messina - secondo centro marittimo ecommerciale del Regno, dopo Napoli - con 203.324 abitanti(ma la ricorrente calamità dei terremoti, fino a quello del1783, li aveva più volte falciati); e Catania, con 68.841 abitan-ti. Nessun altro centro raggiungeva 50 mila abitanti; sebbenenelle zone occidentali, dominate dal latifondo, la popolazionestabile si addensasse in grossi borghi rustici, di parecchie mi-gliaia d'abitanti (26).

5. 1 caratteri regionali. - Se dovessimo applicare allapopolazione del Regno delle due Sicilie il concetto di « nazio-nalità », di comunanza, cioè, d'origine, di lingua, di culturae di storia, ignorando che essa apparteneva tutta alla nazio-ne italiana, dovremmo affermare che quel popolo, per l'influs-so preponderante dei fattori storici su quelli etnici, linguisti-

(24) CANDELORO, V, pp. 52·53.(25) Dove anzi Bari aveva avuto il più intenso sviluppo demografico, da

18.000 abitanti nel 1800 a 41.000 nel 1861: CANDELORO, V, p. 53.(26) PONTIERI, a), pp. 44 S5.

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5 Introduzione 15

ci e culturali (questi ultimi, ben poco differenti nelle particontinentale e insulare, e semplici specificazioni della stirpe,della lingua e della cultura italica), andava distinto in due« nazioni»: la «nazione napoletana» (un certo nazionalismonapoletano appare negli ultimi atti ufficiali del governo bor-bonico, e negli scrittori della stessa parte, con intento polemi-co verso il movimento unitario) (27), e la «nazione siciliana »,cui si rifà il separatismo insulare, quello politico estintosi solodopo il 1860 (ed effimeramente rivissuto tra il 1943 ed il1950), e quello letterario, di cui fu esempio, nel secolo XVIII,lo sforzo dell'abate Meli per l'affermazione della « lingua» si-ciliana (28).

È certo, che la fusione di «napoletani» e siciliani nelloStato unitario, più rapida nelle classi colte, più lenta - comedi solito avviene - nelle altre, dimostrano che non di «na-zioni » si trattava, ma di settori etnici, in cui si erano esaspe-rate certe particolarità regionali. Ma, bene o male fondata chefosse la distinta «coscienza nazionale» della Sicilia - e noi

(27) Non era certo assente la coscienza nazionale italiana, nei limiti diquella tradizione culturale che risaliva al Petrarca; e se ne veda un esempionella circo Min. Affari interni, 6 dicembre 1838, cit., in/ra, capo IV, nota (357),dove testualmente si afferma l'italianità della Sicilia. Ma, dopo gli eventi del1848, queste manifestazioni venivano evitate, per l'equivoco politico cui po-tevano dare luogo. E così, nella gala per l'avvento al trono di Francesco II(26 luglio 1859) una tarantella del maestro Giaquinto fu presentata come«danza nazionale », eseguita nei costumi delle provincie del regno, dalle qualiera rappresentata «la nazione» (DE CESARE,a), II, p. 38). Si veda, ancora,nel proclama di Francesco II «ai popoli delle Due Sicilie» (Gaeta, 8 dicem-bre 1860: in QUANDEL,pp. 108 ss.) l'insistenza: « ... il mio cuore napolitanobatte indignato... lo sono napolitano... i vostri costumi sono i miei costumi,la vostra lingua è la mia lingua •..». Ad una «nazionalità» napoletana si rt-feriscono ancora gli scritti di DE SIVO,b); di CAVA;e vedi anche la profes-sione di fede antiunitaria dello stesso DE SIVO,a), I, pp. 26 8S., e più tardiquella federali sta di INSOGNA,pp. 315 S8.

(28) Il e regionaliemo s imposto dal governo repubblicano dopo il 1970non ha nessuna affinità con le aspirazioni ad una restaurazione borbonica, in

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16 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie : 5

riteniamo fosse in maggior parte male fondata, e retriva, edilliberale, anche se la storiografia del risorgimento ne ha fattospesso I'apologia, per ciò solo che si opponeva al governo hor-bonico·- essa fu un dato di fatto, politicamente d'estrema ci-levanza, e forse la causa principale della non vitalità -delRegno.

A ben vedere, anche il Regno di Sardegna, nel 1814, erastato ricomposto con tre parti eterogenee: gli antichi dominisabaudo-piemontesi (anch'essi tanto vari, dalla Savoia al No-varese), i territori dell'estinta repubblica di Genova, e la

forma separati sta o federali sta (neo-guelfa), rimaste in vita dopo il 1860 (TES-SITORE)per molti decenni, se, fin verso il 1925, un periodico dal titolo Il neo-guelfo, con testata intrecciata di gigli, pubblicava si in Napoli (la stampa me-ridionale è ignota a SPRIANO:vedi però CROCE,b) II, p. 400). Il legittimismoborbonico non potrebbe tendere che a ricostituire l'unità super-regionale del-l'Italia meridionale, al più distinguendo i due -«domini », peninsulare ed insula-re, come soggetti d'autonomia. Si può ricordare, a titolo di. semplice curiosità,l'opuscolo di MAZZIOTTA,che proponeva un movimento di «azione cattolica Ie-gittimista », per riorganizzare l'Italia in «impero federale» (sic), nel cui quadroi discendenti della reai Casa di Borbone (vivevano allora Alfonso conte di -Ca-serta e suo figlio Ferdinando duca di Calabria) avrebbero regnato _su Napoli eSicilia, l'una e l'altra reciprocamente autonome. Per contro, il regionalismo odìer-no nasce dalla disgregazione dello Stato unitario del 1861, e lo sgretola in mino-ri entità, che nell'Italia del sud o non hanno tradizione politico-amministrativa,oppure hanno soltanto una tradizione provinciale (Basilicata e Molise). In so-stanza, il regionalismo è un fenomeno di dissoluzione municipalistica, che siriporta a situazioni bene antertori al 1861. li regionalismo siciliano ha in-vece un'origine, tutta propria, nei movimenti -indipendentisti éd autonomisti svioluppatisi dalla fine del 1943, in concidenza con la occupazione angl.o-amerieanae con la fine del regime fascista, e nei primi tempi rassomigliò molto alseparatismo del secolo XIX (anche nel legame con elementi torbidi e retrivi),pur se, -dopo il 1950, fu riassorbito dal regime repubblicano italiano. -È docu-mentata nell'epigrafe marmorea apposta sulla facciata del palazzo reale di 'Pa-lermo, ribattezzato dalla bigotteria repubblicana «palazzo dei- Normanni s ,: lapretesa- dell'assemblea regionale; d'essere l'erede del parlamento del regno diSicilia, e gran parte della pubblicistica indipendenti sta e autonomista delle ori-gini si richiama allo «inganno» dell'annessione. Vedi, per esempio, RAFFAELE,pp. 395 5S.; i documenti pubblicati da COSENTINODIRONDÈ;nonchè- LA LOGGIA,p. 84, «antico autonornista s , ma, dichiaratamente, «antisèparatista» ed e an-tifederalista ».

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5 Introduzione 17

Sardegna, che, per quanto· unita alla monarchia sabauda dal1718, conservò fino al 1848 una propria individualità po-litica, e quasi nazionale. Ma le superstiti velleità repubblica-ne di Genova, ed il particolarismo sardo, rappresentavano benpoco, per. superficie e per popolazione, rispetto alla compattaorganizzazione aristocratica e militare del vecchio Piemonte.La Sicilia rappresentava, invece, un quarto del territorio, edun terzo della popolazione del Regno, chiusi dentro un confinenaturale, che dava una realtà fisica alle secolari contrapposi-zioni. Parte sì ingente dello Stato, rimasta esclusa dai rivol-gimenti politici e sociali provocati dalla rivoluzione francesee dall'impero napoleonico, era ancora, nel 1815, un relittodel secolo XVIII, con la conseguenza che spettò al governoborbonico scuotere interessi, privilegi, preconcetti, che nelcontinente erano già superati, attirandosi l'avversione deiconservatori per quel che in tale azione v'era di rivoluziona-rio, e quella dei progressisti per quel che aveva d'autoritario.E poichè il governo era in Napoli, e le nuove strutture poli-tico-amministrative erano quelle introdotte dai re francesinelle provincie continentali, i siciliani furono indotti a cre-dersi vittime d'una estranea dominazione.

La separazione era essenzialmente il risultato di fattoripsicologici, anche se non era perciò meno grave ed effettiva.Non v'era differenza di diritto politico tra i due gruppi, edanzi le leggi amministrative di Napoli furono il più delle volteestese alla Sicilia con adattamenti; si attuò un certo decentra-mento amministrativo; si tennero separati, tranne che in certiperiodi, gli impieghi civili; si conservarono all'isola veri e pro-pri privilegi, come l'esenzione dal servizio militare obbliga-torio (29), e dalla quasi totalità dei monopoli fiscali (inlra,

(29) Il r.d. 19 marzo 1834 (in/ra, §§ 90 ss.) stabiliva (art. 8) che «la levasi farà sulla popolazione dei due reali domini di qua e di là del Faro », ma

2. LANDI • I.

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18 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 6

§ 52). Nè si può dire che i benefici del governo si riversas-sero a preferenza sulle provincie continentali, o che vi fosseun disegno preordinato d'opprimere l'isola. Ci si aggirava,piuttosto, in un circolo vizioso, per cui i siciliani consideravanocon diffidenza e con insofferenza tutto quanto a Napoli sifacesse, mentre il governo, messo a sua volta in sospetto edm dispetto, reagiva spesso con maldestra durezza.

Mancava quindi, nel Regno, una comune coscienza di po-polo. Le forze che, dall'una e dall'altra parte, avrebbero potu-to cooperare in vista d'un bene comune, si isterilivano in per-petui conflitti; si riproponeva in coincidenza d'ogni crisi po-litica il pericolo d'una scissione; e poichè, in pieno secoloXIX, lo Stato peninsulare non poteva rinunciare alla Sicilia,nè la Sicilia poteva vivere avulsa dalla penisola, il contrastofinì soltanto con l'assorbimento di tutti i territori del Regnonell'unità italiana.

6. La nobiltà. - La struttura sociale presentava, nel con-tinente ed in Sicilia, certi caratteri differenziati.

Nel 1815, erano spariti, nelle provincie continentali, gliultimi residui politici della feudalità, ed aveva pieno vigore

nessun contingente di leva fu mai chiesto alla Sicilia, dove il tentativo di pro-cedere al reclutamento obbligatorio, negli anni 1818·1820, era stato causa nonminore dei moti di quest'ultimo anno (Relazione dell'Arcivescovo di Palermosui casi dal 15 al 22 settembre 1866, Firenze, 1866, p. 21, cito da NICOTRI,p. 131;DE STEFANOe ODDO,p. 231). Di questa disabitudine fu effetto l'insuccesso deldecreto 14 maggio 1860 del dittatore Carrbaldi (BRANCATO,pp. 139 ss.). Nè me-no deludente fu all'inizio, ed anzi fu non ultima causa della ricordata som-mossa palermitana del 1866, il d.lgt. 17 febbraio 1861, n. 31, che, secondo NI·COTRI,p. 127, «produsse una vera epidemia brigantesca. A Palermo si arrivòad avere in un anno 4.000 renitenti di leva ». Su tale fenomeno, vedi ancheDE STEFANOe ODDO,pp. 231.233, i quali ridimensionano le cifre, e rilevanogli errori, psicologici, politici ed amministrativi, del governo italiano.

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6 Introduzione 19

il principio d'eguaglianza civile, completamente affermatosinelle leggi del decennio napoleonico. Non era venuta meno,tuttavia, l'importanza sociale della nobiltà, che, tra l'altro, ap-pariva singolarmente numerosa.

Questa nobiltà, però, non era del tutto omogenea (30).V'erano, al vertice, gli eredi della grande feudalità del Regno,cui, per tradizione, erano riservati gli alti uffici di Corte (di-venuti privi di contenuto politico), della diplomazia, e che ave-vano base economica in proprietà fondiarie ancora consistenti,malgrado le leggi eversive dei feudi. I suoi titoli, peraltro,

..__ .__ ...•__._----------- -:----:--.erano della maggior parte dei casi relativamente recenti, per-chè concessi, dal secolo XVI in poi, dal governo spagnuolo,per il quale queste concessioni erano abituale strumento dip~Iiti~i:'~d ~-~~h;-dTfi;anza.-- Sotto- il governo borbonico,

erano state ancora acqusite alla maggiore nobiltà per meritiinsigni verso la dinastia, famiglie nuove, come gli Acton, in-

(30) Sulla nobiltà del regno al tempo di Carlo di Borbone, SCHIPA,II, pp.172 8S.; ed agli inizi del secolo XIX, BLANCH,a), pp. 31 ss, La nobiltà di cuisi parla nel testo è quella ereditaria, o di prima classe, secondo la 1. 25 gen-naio 1756 «dichiarativa dei vari gradi di nobiltà ». Essa consisteva C nellanobiltà che chiamano generosa; e si verifica allorquando nella continuata seriedei secoli una famiglia è giunta a possedere qualche feudo nobile, o che perlegittime pruove consti ritrovarsi la medesima ammessa tra le famiglie nobilidi una città regia, nella quale sia una vera separazione dalle civili, e moltopiù dalle famiglie popolari, o pure sempre che abbia l'origine da qualcheascendente, il quale per la gloriosa carriera delle armi, della toga, della chiesao della corte avesse ottenuto qualche distinto e superiore impiego, o dignità,e che li suoi discedenti per corso di lunghissimo tempo si fossero mantenutinobilmente facendo onorati parentadi senza mai discendere ad uffici civili, epopolari, nè di arti meccaniche ed ignobili». La stessa legge definiva la no-biltà di «privilegio », che era personale, e connessa all'esercizio di determinatiuffici o professioni, e quella di terza classe, ossia «civile». Secondo CALÀULLOA,p. 253, Ferdinando II ebbe poca cura per la nobiltà, povera e nu-merosa, che perciò «spoglia di speranze, inclinò a nuove forme di stato s ,

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 620

glesi d'origine (31), ed i Nunziante (32). Vi era poi una nu-merosa nobiltà minore, specie nelle provincie, con mezzi eco-nomici spesso modesti, e che quindi si indirizzava non di radoalla magistratura, o alla professione legale, tenute in gran con-to, o serviva nell'esercito, in cui aveva cercato d'attrarla Carlodi Borbone (33), o nelle carriere civili più distinte. Essa quin-di aveva una funzione di ceto medio, pur manifestando un'in-vincibile ripugnanza alle attività mercantili, e forniva in granparte i quadri dell'organizzazione civile e militare del Regno.

Tuttavia, la nobiltà meridionale non riuscì a creare, attor-no alla dinastia, una forza ed un sostegno, pari a quelli chediede alla casa di Savoia l'aristocrazia piemontese. Il chenon significa che la nobiltà non ne fosse capace, o che la di-nastia non lo meritasse. Non bisogna dimenticare che la casadi Borbone regnava solo dal 1734. Durante le guerre di suc-cessione, parte della nobiltà aveva riconosciuto legittime lepretese della causa d'Austria. Nel 1799, non pochi di essaavevano aderito alla repubblica, ed erano stati colpiti da unareazione improvvida e sanguinosa. Altri ancora, specie dellanobiltà minore che viveva d'uffici civili e militari, avevano ser-vito i re francesi, e nel 1820 si erano compromessi nel motocarbonaro, ed avevano soggiaciuto, a loro volta ad una repres-sione, se non sanguinosa, certo vessatoria. Si perpetuava insostanza nella nobiltà del regno di Napoli un'irrequietezza

(31) Sir John Edward Acton (nei documenti italiani, il cavaliere Oio-vanni Acton), dei baroni di Shropshire (ACTON,a), pp. 199 ss., ed in/ra, cap.III, nota 18). In questo caso, il re aveva dovuto superare la resistenza dei e se-dili» (DORIA, p. 230).

(32) Vito Nunziante, di Campagna, ammesso nell'esercito col grado dicolonnello di fanteria, dopo aver comandato il reggimento di fanteria e Mon-tefusco» nell'armata del cardinale Fabrizio Ruffo, fu tenente generale, mini-stro di Stato, e fu nominato marchese di San Ferdinando nel 1817 (o'AYALA.pp. 4.73 ss.).

(33) Sui reggimenti di fanteria nazionale, injra, § 73.

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6 Introduzione 21

caratteristica fin dal medioevo, che, del resto, era effetto deiripetuti mutamenti delle dinastie regnanti, determinati da for-ze esterne. Centoventisette anni di regno fortunoso, non pote-vano essere sufficienti per stabilire -una tanto solida rete dirapporti, come quella che, tra la monarchia e la nobiltà pie-montesi, affondava le sue radici in secoli remoti, specie in tem-pi nei quali andava svalutandosi l'importanza politica dellearistocrazie. E perciò, ancora una volta nel 1860, parte dellanobiltà aderì ben presto al regno d'Italia, e l'attaccamento,che altra parte continuò a dimostrare a lungo per la casa diBorbone, fu soprattutto sentimentale e cavalleresco, ma dirilievo politico quasi nullo (34).

Se il contributo della nobiltà continentale non valse mol-to per il consolidamento della dinastia, la nobiltà siciliana fu,piuttosto, fonte di non lievi difficoltà (35). Già nella secon-

(34) La caratterizzazione politica del legittimismo, a Napoli come inaltre parti d'Italia, fu del resto vietata dal /10/1 expedit, alla cui obbedienzai legittimisti, come cattolici osservanti, non erano in grado di sottrarsi. Nellastampa liberale, ed anche nei documenti ufficiali dei primi tempi dell'unità,sono il più delle volte nominati congiuntamente «clericali» e e borhonici >.Da ciò gli sforzi di movimenti clericali c integrali », come quello della e So-cietà cattolica italiana per la libertà della Chiesa in Italia» (1865·66) per di-stinguersi dal legittimismo, e specialmente in Napoli dal borbonismo (SPADO.!,INI, pp. 50 55.). Il movimento clericale andò poi democratizzandosi semprepiù (fino alla costituzione, nel 1919, del partito popolare italiano; e non èqui il caso di ricordare sviluppi più recenti), rompendo ogni legame col le-gittimismo, Vedi anche CROCE,b), II, pp. 309 55.; 393 55.

(35) DE SIVO,a), I, p. 99, dice che in Sicilia «la nobiltà ... scende quasitutta dai conquistatori normanni, ed è ricca e potente per sangue e territorio.V'han 117 principi, 61 duchi, 217 marchesi, più che mille baroni, ed innume-revoli nobili senza titolo». Secondo PONTIERI,b), pp. 92 55., alla lìne del se-colo XVIII si contavano 142 principi, 95 duchi, 788 marchesi, 95 conti, 1274baroni, oltre un numero imprecisato di persone che si fregiavano di titoliabusivamente : ma la maggior parte dei titoli più alti era stata accordata dalgoverno spagnolo, dimodocchè accadeva che titoli meno elevati (i re nor-manni non avevano conferito che quello di conte) fossero più pregiati, perchèpiù antichi. Tuttavia, ben poche famiglie potevano provare discendenza nor-

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da metà del secolo XVIII, il governo borbonico aveva dovutoimpegnarsi a raffrenare certe insofferenze medievali che l'ari-stocrazia feudale dell'isola manifestava verso la Corona (36).Quando, nel 1806, Ferdinando IV aveva dovuto ritirarsi perla seconda volta in Sicilia, i rapporti tra la dinastia e la no-biltà, che era ancora la classe incondizionatamente dominante,furono guastati da un groviglio d'incomprensioni. Mancò ditatto il governo, manifestando maggior fiducia, e largendopiù spesso benefici, ai fedelissimi che avevano seguito il reda Napoli, e dimostrando troppo palesemente di considerarela Sicilia non più d'una base per il recupero delle provinciecontinentali. Ma difettò di generosità e di senso politico l'ari-stocrazia siciliana, quando giudicò favori resi a stranieri ladoverosa protezione accordata dal re a chi con rischio e condanno l'aveva accompagnato (37), ed arbitraria distrazionedelle risorse dell'isola lo sforzo militare imposto dalla parte.cipazione alla coalizione antinapoleonica (38), ed i tentativiper mantenere viva l'agitazione legittimi sta nei domini di qua

manna; molte provenivano dalla Spagna o dall'Italia peninsulare; per di piùil governo spagnolo aveva più d'una volta nobilitato personaggi d'oscura ori-gine. I dati numerici, peraltro (come osserva ScHIPA, II, p. 172, a propositodella nobiltà continentale), sono scarsamente significativi, perchè v'erano no-bili insigniti di più titoli, e per contro feudi che appartenevano a città, op-pure ad enti laicali o ecclesiastici, o a famiglie residenti all'estero.

(36) PONTIERI, b), pp. 213 ss.; a), pp. 74 ss,(37) Il Parlamento siciliano nel 1812 considerava stranieri i napoletani

al servizio regio nell'isola; donde la nobile lettera, al comandante generalede Bourcard, dell'allora brigadiere Vito Nunziante: «E non avranno una pa-tria i miei figliuoli ..• ed avranno essi a maledire l'onestà, la fede e il nonpieghevole animo del padre loro? Napoletano io, tienmi siccome emigrato lapatria mia, e qual forestiero la Sicilia!» (D'AYALA,p. 484).

(38) Sull'ostruzionismo opposto dal parlamento alla votazione dei biolanci, e sulla disastrosa situazione delle forze armate, denunciata da RuggeroSettimo, ministro di guerra e marina nel 1812-13, v. AVARNADI GUALTIERI,pp.64-65, 68-69.

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6 Introduzione 23

del Faro. L'inserzione della politica inglese in un ambienteconsumato da suscettibilità e da malcontenti ebbe poi pereffetto l'umiliazione della casa regnante (39), e forzò il so-vrano a concedere l'effimera costituzione del 1812, la CUI

rivendicazione, dopo il 1816, consentì ad una parte della no-biltà siciliana d'atteggiarsi a tutrice della libertà dell'isola,mentre si era trattato piuttosto d'uno strumento per consolida-re, sotto un più o meno scoperto protettorato inglese, il predo-minio della classe privilegiata (40). La partecipazione che eb-bero, nel secolo XIX, al governo borbonico alcune notevolipersonalità dell'aristocrazia siciliana (41), non vale a contesta-re che, nel complesso, l'apporto che essa diede alla vita del re-gno fu prevalentemente negativo, in quanto si trasformò in unfocolaio d'opposizione separatista, alla fine assorbito dal mo-vimento unitario e democratico. Ciò non toglie, che in essanon mancò un certo patriottismo municipale, manifestantesiin opere di civile munificenza, molte delle quali rimangonoancora (42).

(39) Sulle ingerenze inglesi nell'introduzione del governo costituzionale,del resto notorie, e sul successivo abbandono della costituzione siciliana alsuo inglorioso destino, v. anche ACToN,a), pp. 649 55., 701 ss., 708 55.

(40) PONTIERI, b), p. 375, osserva che «nella costituzione siciliana del1812 i napoletani della restaurazione non vedevano ciò che di moderno e dibuono vi si conteneva e che derivava da fonti inglesi; la giudicavano, al con-trario, un prodotto feudale, avente lo scopo di perpetuare anacronistiche pre-rogative di caste, ed un particolarismo regionalistico di stampo affatto medie-vale, ma per nulla rispondente agli effettivi bisogni del paese ». Ma la veritàè che quanto vi era di «inglese» era il prodotto d'astrazioni dottrinarie (cfr.POINTIERI,b), pp. 372-373), di dubbia vitalità, se, come afferma lo stesso PON·TIERI,b), p. 373, la condotta dei fautori del regime costituzionale fu «inetta,faziosa, turbolenta, e spesso, costituzionalmente, anche illegale ».

(41) Per esempio, i due principi Statella del Cassero, Francesco, capi.tano generale e ministro di Stato sotto il regno di Ferdinando I, ed Anto·nio, ministro degli affari esteri dal 1830 al 1840, e presidente del Consigliodei ministri nel 1860; il marchese Giovanni Battista Fardella di Torrearsa,tenente generale, e ministro della guerra nel 1821, e di nuovo dal 1830 al 1837.

("42) PONTIERI,b), p. 99.

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7. --Il clero. - Il popolo delle Due Sicilie era tutto cat-tolico: gli ebrei, abbastanza numerosi un tempo in Sicilia, era-no stati espulsi da Ferdinando il Cattolico fin dal 1493; lariforma protestante si era arrestata di fronte all'invalicabilemuro oppostovi dal governo spagnuolo (43); dimodochè l noncattolici erano soltanto stranieri residenti nel regno, dove,beninteso, non era consentita nessuna attività di culto pub-blico o di proselitismo. Sopravviveva il rito greco, con il pro·prio clero, nelle colonie albanesi (44).

(43) Carlo di Borbone, con editto 3 febbraio 1740, autorizzò gli ebrei astabilirsi nel regno, ma l'ostilità del ceto dei negozianti, del basso popolo, edel clero, lo indussero poi (18 settembre 1746) a ristabilire il divieto (SCA.DUTO,I, p. 400; SCHIPA,II, pp. 104 ss.). Il tribunale del Santo Uffizio, cioè:l'inquisizione di Spagna, fu introdotto in Sicilia nel 1487 (DE STEFANO,p. 126;PITRÈ,p. 1), o comunque nei principi del secolo XVI (SCADUTO,I, p. 320). Ce.lebrò l'ultimo autodafè nel 1732 (PONTIERI,a), p. 123)' e non, come erronea-mente ritiene COLLETTA,a), I, pp. 83 ss., nel 1724; ma questa data ha avutomaggior risonanza per l'opera del MONGITORE.Fu soppresso con decreto del reFerdinando IV, 16 marzo 1782, essendo vicerè di Sicilia il marchese Carac-ciolo, che vi diede esecuzione con solennità, e ne informò l'amico d'Alembert,il quale vi dedicò un articolo entusiasta sul- Mercure de France (sulla sop-pressione del Santo Uffizio in Sicilia, PONTIERI,a), pp. 122 ss.), Invece, nelcontinente il tribunale del Santo Uffizio «al modo di Spagna» non fu maiintrodotto, per l'opposizione dei napoletani, che più volte esplose in tumultipopolari; funzionava bensÌ l'inquisizione ordinaria «sufficiente ai bisogni d'ÙDpaese in cui l'eresia non attecchì mai profondamente, e le cui sporadiche ma-nifestazioni venivano con eguale rapidità e severità represse» (DORIA,pp. 150e 152). Secondo SCADUTO,I, p. 309, i napoletani si opponevano «non tantoperchè si credesse un organo superfluo o perchè fosse dipendente da stranieri,da Roma o da Spagna; quanto principalmente perchè non adoperava la pro-cedura ordinaria canonica, ma un'altra sommaria che privava d'ogni guaren-tigia e mezzo di difesa il giudicabile s, L'ultimo di tali conati fu compiutoverso il 1740, tentando l'autorità ecclesiastica di far presa sull'educazione spa-gnola del re Carlo di Borbone, ma suscitò la reazione delle autorità civili,specialmente manifestatasi con una coraggiosa consulta della real Camera diS. Chiara (ScHIPA,II, pp_ 138 66.).

(44) La chiesa di rito greco era in parte un residuo della dominazionebizantina, sopravvissuto dopo la conquista mussulmana (sulla sua consistentepresenza in Messina, ancora nel secolo XVII, SAMPERI,pp. 181 88.), ed in

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Nel regno esistevano, 'verso il 1860, ventisei sedi arcrve-scovili, settantotto sedi vescovili, dieci prelature nullius dioe-ceseos (45). Molte sedi erano di remota antichità; ma alcuneerano state istituite sotto il regno di Ferdinando II, il qualefidava nel contributo dei vescovi per la conservazione dellamoralità pubblica (46). Nei confronti di questo numeroso epi-scopato, e del clero, parimenti numeroso, che ne dipendeva,la tradizione amministrativa del regno non aveva del tuttoab-bandonato i concetti giurisdizionalisti del tempo di BernardoTanucci, pur attenuati dal concordato del 1819; tuttavia, ne-gli ultimi tempi del regno di Ferdinando II furono accoltealcune istanze, per una diminuzione delle ingerenze dell'au-torità civile nelle materie ecclesiastiche (libertà di convocazio-ne dei sinodi provinciali, e di pubblicazione dei relativi atti:r.d. 18 maggio 1857) che, presentate in una conferenza epi-

parte (come - ancor oggi) raccoglieva le popolazioni albanesi, immigrate inSicilia, "in Calabria, ed in qualche altra parte del regno, nel 1448, ed anni se·guenti, Il culto di tali comunità non soffrì mai alcuna persecuzione, e -par-rebbe grottesco il decreto del «Dittatore dell'Italia meridionale) (GaribaldD,Napoli, 26 ottobre 1860, che dichiara nullo il regio exequatur alla bolla EtsiPastoralis 'di Benedetto XIV (concernente la disciplina della chiesa cattolicadi rito greco, la cui esistenza veniva garantita contro gli empiètements dell'epì-scopato latino), e proclama: «i greco-albanesi, i quali si sono distinti nel-l'isola in tutte le lotte contro la tirannide, godranno ogni libertà pel pienoesercizio del culto ortodosso-orientale s , Ma poichè il decreto è controfirmatoda Crispi, il quale, come siciliano, e per di più d'origine albanese, non ìgno-rava certo che i greco-albanesi di Sicilia erano «cattolici di rito greco) enon e greco-ortodoesì s (SCADUTO,I, pp. 700 ss.) è evidente il tentativo (fallii~)di attrarre le dette comunità allo scisma orientale il cui rito non poteva es·sere pubblicamente praticato (GILlBERTI, p. 1). Il DE SIVO, a), II, p. 213, sot-tolinea il' ridicolo di quel decreto, ma non ne ha compreso la perfidia: infatti,poichè la dittatura professava la libertà di coscienza, il culto greco-ortodossoera implicitamente autorizzato, e non era necessario un provvedimento ad hoe,spiega bile solo come istigazione allo scisma cioè come atto di politica anti-cattolica.

(45) COMERCI,p. 36, elenca le prelature allora esistenti.(46) Diocesi di Noto, Trapani e Siracusa (DE SIVO, a), I, p. 73).

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scopale del 1850, erano state respinte (47), e fu introdottal'autorizzazione degli ordinari diocesani per la stampa e pub-blicazione dei libri (r.d. 27 maggio 1857). Era questa unaconseguenza dell'isolamento politico del governo, il quale eraindotto, contemporaneamente, a rafforzare nella gerarchia ec-clesiastica del Regno sentimenti di gratitudine e di devozione,ed a prevenire cause d'attrito con la Santa Sede, con cui sitrovava sempre più legato da comuni interessi.

Il clero, secolare e regolare, era più numeroso di quantonon fosse necessario per l'assistenza spirituale della popolazio-ne. L'accesso agli ordini sacri determinava infatti un'eleva-zione sociale, che si estendeva, nella pubblica estimazione,alla famiglia dell'ecclesiastico; altre volte, i cadetti della no-biltà, o del ceto possidente, erano avviati a tale carriera persemplici considerazioni economiche (48). Abbondavano pu-re le religiose, poichè tale stato sembrava il più decorosoper le donne che non contraevano matrimonio. È perciò gene-ralmente notata la frequenza di ecclesiastici privi di vocazione,e di costumi non esemplari, i quali finivano per parteciparealle passioni ed ai disordini dell'ambiente in cui vivevano, e,talvolta, si macchiavano di reati (49). È pure rilievo comu-

(47) DE SIVO, a), I, pp. 368 s.; 440. Vedi anche in/ra, § 46.(48) Tale è per il periodo di cui ci occupiamo l'apprezzamento d'uno

storico contemporaneo non certo sospetto d'anticlericalismo: DE SIVO, a), I,p. 73. La situazione era stata ancor peggiore in passato: vedi, per il regno diCarlo di Borbone, ScHIPA, II~ p. 156 ss.; e per i primi anni del secolo XIX,BLANcH, a), I, pp. 36 55. Il Governo, peraltro, aveva curato, nei concordati,d'ottenere norme opportune per una riduzione numerica del clero; la cuiricchezza (calcolata al tempo del re Carlo un terzo di tutta quella del regno)fu colpita dalla legge eversiva (2 luglio 1806) di Giuseppe Bonaparte, e maipiù ricostituita nell'antica misura. SCADUTO,II, pp. 107, riporta alcuni dati sta-tistici, sottolineando tuttavia la difficoltà di reperirne di soddisfacenti, nonchè(pp. 114 58.) i dati relativi alla rendita dei vescovati ed arcivescovati d«:lledue parti del regno, espressi in lire italiane del 1865 (lire 4.25 = l ducato),

(49) La storia meridionale ci presenta non pochi campioni di tale gema

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ne il modesto livello d'istruzione, che, nel contatto con i laici,li portava ad essere piuttosto veicoli di superstizioni e di pre-giudizi, anzichè di vera religione e di rigore morale.

Il governo fidava nel supporto del clero, e non facilmenteresisteva alla tentazione di utilizzarlo come instrumentum re-gni (49 bis) ma non sempre tale fiducia era bene riposta. Intutti i moti che si erano succeduti, fin dal 1799, vi erano statisacerdoti compromessi col partito rivoluzionario. Il clero sici-liano (50) partecipava largamente dello spirito separatista del-l'isola, ed alcuni suoi membri, nel 1860, si schierarono cla-morosamente con Garibaldi (51). Alla fine del regno, fu in-

d'ecclesiastici. Si veda per esempio la non edificante vita d'uno dei protagonistidel moto del 1820', il sacerdote Luigi Minichini, narrata da MANFREDI,in par-ticolare p_ 27.

(49 bis) Vedi, per esempio, le disposizioni che facevano obbligo aglistudenti di frequentare le «congregazioni di spirito» (in/ra, § 33), e quelleche ponevano a carico del comune le spese per il predicatore quaresimale e lefeste religiose (in/ra, §§ 114 e 122).

: (50) Il clero siciliano dipendeva sostanzialmente dal Governo, attraversoil tri-bunale della monarchia (SCADUTO,I, pp. 156 ss.; ed in/ra, § 46) fondatosulla legazione apostolica conferita dal papa Urbano II al re Ruggero I (1098),ed interpretata estensivamente dai sovrani spagnuoli, talchè essi venivano aritrovarsi «in possesso di una superiorità, che non tiene alcun altro principecristiano cattolico» (DE STEFANO,p. 193). Il DE SIVO,a), I, p. 73, esprime un giu-dizio negativo sull'opera del detto tribunale. Il prodittatore Mordini (decreto19 ottobre 1860) ristabilì i poteri del tribunale della monarchia quali eranoprima del breve Peculiaribus di Pio IX (26 gennaio 1856) che ne aveva limi-tato alquanto i poteri; il papa Pio IX lo soppresse con lettere apostoliche 23luglio 1868 (]EMOLO,a), p. 262); ed infine il Governo italiano (art. 15 l. 13 magogio 1871, n. 214: cosiddetta legge «delle guarentigie s) dichiarò di fare rinun-cia al diritto di legazia apostolica in Sicilia, il che era puntuale adempimentodel proclamato principio di separazione tra Stato e Chiesa (MILANO).

(51) Di tali sacerdoti e garibaldlni », il più noto è fra Giovanni Panta-leo, il cosìdetto cappellano dei Mille (Castelvetrano 1832 - Roma 1879), poiapostata, ed esponente del cosidetto anticoncilio convocato a -Napoli nel 1869dalle sette anticristiane, morto fuori della Chiesa; il più illustre è il canonicoGregorio Ugdulena (Termini Imerese 1815 - Roma 1872), ministro del Go-verno dittatoriale, poi deputato al Parlamento italiano, cultore del greco edell'ebraico. Opportunista fu il comportamento dell'arcivescovo di Palermo,

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vece prevalentemente legittimista il clero delle provincie con-tinentali: ma il suo contributo fu di livello proporzionatoalla modesta qualità della maggior parte dei suoi componenti.Il clero rurale diede spesso appoggio al brigantaggio. Altri,più istruiti, parteciparono largamente a quella campagna dimaldicenze, di sospetti, di calunnie, in cui si disgregò la clas-se dirigente del regno, e che rese impossibile qualsiasi efficaceiniziativa diretta a salvarlo (52).

Con tutto ciò, non mancavano elementi d'alta dignità percultura e per costumi; nè bisogna dimenticare che il clero par-tecipava ampiamente sia al pubblico insegnamento, sia allabeneficienza pubblica. L'eversione della cosiddetta manomor-ta ecclesiastica, col trasferimento delle proprietà immobiliaridegli enti ecclesiastici alla borghesia, non generò, di solito,nè un- miglioramento dell'agricoltura, nè un'elevazione delle.condizioni di vita dei lavoratori (53).

8. Il ceto medio. - Condivideva con la nobiltà la fun-ZIOne di classe dirigente un ceto medio, o, come si diceva,« civile », .costituito da proprietari, e da professionisti tra iquali, per antica tradizione, erano numerosi, autorevoli, e spes-so ben preparati gli esercenti le professioni legali (54). Non

Giambattista Naselli, il quale, probahilmente, dati gli umori del clero (DESI"O, a), II, p. 134) non ritenne di potere assumere l'atteggiamento che sarebbecerto stato più conforme al suo alto ufficio; come opportuniste furono, cororelativamente, le ipocrisie religlose di Garibaldi (DE SIVO,a), II, pp. 135 ss.),

(52) Di questi ecclesiastici Iegittimisti, e della loro produzione Iettera-ria, l'opera più degna di menzione è quella del cappellano del 90 battaglionecacciatori, BUTTÀ,narrazione in gran parte autobiografica, non priva di spon-tanea vivacità.

(53) CANDELORO,V, p. 28.(54)· Sul ceto civile al tempo di Carlo di Borbone, SCHIPA,II, pp. 190

5S.; per i primi anni del secolo XIX, BLANcH,a), pp. 42 ss, (questi lo dene-mina, al modo di Francia, c:terzo stato ossia classe media >, e lo contrap-pone alle c:classi inferiori >, formate di piccoli industrianti, fiUaioli, coltiva-

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era, propriamente, una classe politica, perchè la struttura co-stituzionale del Regno (irrigidita si, per di più, tra il 1849 eil 1859, in una specie di dittatura personale di FerdinandoII) non consentiva l'aperta dialettica dei partiti: i novatori(« giacobini» del 1799; «carbonari» del 1820; «liberali»del 1848) erano stati ogni volta eliminati dalla vita pubblicadalle successive reazioni, o vi erano rientrati a patto di unaabiura, più o meno sincera. Si trattava, piuttosto, d'una clas-se di tecnici, che forniva alla magistratura, all'amministrazioneed alle forze armate elementi spesso pregevoli, ma la cui posi-zione verso il potere sovrano lasciava un ben ridotto margined'iniziativa. Non si può dire tuttavia che in questa classemancassero del tutto le idee politiche. Nel decennio francese,era stata profondamente permeata d'idee nuove, ed avevafornito, con la nobiltà minore, i quadri della nuova organiz-

tori a giornata, domestici ed operai). La l. 25 gennaio 1756 (supra, nota 30)diceva 4: terza classe di nobiltà» (dopo la nobiltà «generosa », e quella c diprivilegio») «quella chiamata legale, ossia civile, nel qual rango si reputanotutti quelli che facciano costare avere così quelli come il di loro padre .ed avovissuto sempre civilmente con decore e comodità, e che senza esercitare cari.che nè impieghi bassi e popolari sono stati stimati gli uni e gli altri nel-l'idea del pubblico per uomini onorati e da bene ». Chi, peraltro, aspiravaad un ufficio consentito ai «civili» (per esempio, cadetto in reggimenti di.versi dai 4: nazionali») doveva giustificare «che in una delle città deritanialie regie, escluse le baronali, sia vissuto così il pretendente, come il suo padreed avo, con mantenersi di rendite proprie ». I giuristi, che costituivano I'ele-mento più distinto del ceto civile (perchè le professioni legali erano eserci-tate anche da elementi di nobiltà generosa, e schiudevano l'accesso alla no-biltà di privilegio), diedero un apporto positivo all'opera di modernizzazionedella monarchia intrapresa da Carlo di Borbone (GHISALBERTI, a), pp. lO ss.),tolta, tuttavia, la maggior parte dei siciliani, magistrati ed avvocati, asserviti aibaroni (PONTIERI, b), pp. 37 ss.), Ma anche nel continente, si era infiltrata nelceto forense ogni sorta di canaglia: v. COLLETTA,a), I, pp. 218 ss., e rapo.strofe rivolta da SETTEMBRINI,a), p. 196, ai legulei inconcludenti che provoca.rono la sommossa del 15 maggio 1848: «O avvocati, anzi paglìeui, voi meritatela servitù ».

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zazrone dello Stato (55); passata al servizio borbonico conla restaurazione, aveva però dato un largo contributo al mo-vimento costituzionale del 1820; molti di coloro che eranostati allontanati dalla vita pubblica per tale motivo, furononuovamente utilizzati da Ferdinando II; e la loro formazioneinfluiva su certi atteggiamenti, che non erano, in realtà, senon espressioni, come oggi si direbbe, «moderate» rispettoall'estremismo ultraconservatore e clericale, ma che eranosufficienti a farli qualificare di « settarismo », e più tardi ad-dirittura di tradimento.

Un eccesso di rigidezza e diffidenza nell'azione di governo,determinò tuttavia da una parte I'invecchiamento di tale clas-se dirigente, i cui elementi erano mantenuti in ufficio fino atardissima età, e dall'altra il suo scadimento qualitativo, peril distacco dei giovani dalle massime politiche tradizionali. Laparte' più colta ed ambiziosa della classe media si aprì facil-mente alle idee liberali ed unitarie. Altra parte, che, nelle pro-vincie, costituiva i quadri delle amministrazioni locali, soste-neva il governo più per consuetudine e per interesse che perconsapevole fedeltà (in/ra, § 111).

Quella parte del ceto medio che non esercitava le profes-sioni intellettuali, o che non seguiva le carriere dello Stato,era quasi interamente una classe di proprietari fondiari, perlo più d'origine recente, poichè la formazione ne era stata age-volata, dopo il 1806, dall'abolizione dei feudi. Le attivitàcommerciali erano praticate soltanto nelle maggiori città marit-time: Napoli, Bari, Messina; ma, in generale, la borghesia delregno mancava d'iniziativa economica, e preferiva gli investi-menti immobiliari (senza tuttavia dimostrare un vero interes-

(55) CROCE, a), pp. 234 ss., e sulla parte di primo piano assunta dalla bor-ghesia, VILLANI, pp. 249 S6.

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samento al progresso dell'agricoltura) e la tesaurizzazione. Ilceto medio siciliano condivideva i generali sentimenti avver-si all'unione con Napoli, e da esso sorsero i più accesi soste-nitori dell'unità nazionale, nelle due tendenze, mazzinianacon Francesco Crispi, sabauda con Giuseppe La Farina. Essoera di regola più retrivo ed incolto di quello continentale, adeccezione di Messina, dove, per la pratica del commercio inter-nazionale, la vita locale assumeva un tono assai più vivace chenel rimanente dell'isola, e si stabilivano abbastanza spessoparentele con famiglie straniere (56).

9. Il proletariato. - Alla base dell'edificio sociale si tro-va un numeroso « proletariato », la cui partecipazione alla vitapubblica era pressocchè nulla, anche se in qualche momento- nella reazione del 1799, nei moti siciliani del 1848 e del1860 - le sue agitazioni ebbero gran peso. La sua presenzanella storia del regno si manifesta con esplosioni intermittenti,velleitarie ed irrazionali, e la plebe rurale, confluendo nelcosiddetto «brigantaggio» - movimento di guerriglia «par-tigiana» rapidamente degenerato in criminale anarchia - da-rà vita ad uno dei problemi più gravi del nuovo Stato italiano.

Un carattere particolare aveva la plebe urbana di Napoli,afflitta da uno stato di disoccupazione e di sottoccupazione en-demica, pronta all'osanna ed al crucifige, ieri manifestantela sua fede al re, oggi acclamante Garibaldi, sempre incapaced'esprimere null'altro che l'animo suo passionale e volubile,anche se generoso. Diverso era il carattere della plebe paler-mitana, che un residuo dell'antica organizzazione corporativaper «maestranze », e l'orgoglio di popolo della «capitale»

(56) Sulla vita sociale e politica della classe media nei domini di quae di là del Faro, conservano interesse, anche se non hanno il rigore delleodierne indagini sociologiche, le notizie di DE CESARE, a), Il, pp. 103 88.

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32 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

insulare, rendeva politicamente suscettibile, specie quandosembravano in giuoco i privilegi dell'isola, più compatto e co-sciente nelle determinazioni, ed in definitiva più temihile.:

Nelle città, il popolo minuto era costituito da modesti ar-tigiani, piccoli commercianti, operai giornalieri; poichè man-cavano i centri industriali, o erano di limitato sviluppo, nonesistevano aggregati rilevanti di proletariato operaio. È super-fluo aggiungere che l'istruzione scarsamente diffusa, e le rigo-rose limitazioni della libertà d'associazione, determinavanol'inesistenza d'organizzazioni sindacali; il socialismo era pra-ticamente ignoto (57); e quando in qualche scritto contempo-raneo si parla di «comunismo» si vuole di solito intenderel'anarchismo o il nihilismo, e non già il movimento lanciatodal Marx col manifesto del 1848 (58). Nelle città marittime e

(57) Circa il basso popolo della caj.Itale e delle province, sotto il regnodi Carlo di Borbone, SCHIPA, Il, pp. 197 85•• e per i primi anni del secoloXIX, BLANCH, a), pp. 46 ss. Tuttavia, i primi scioperi della storia d'Italia, perottenere «accrescimento di mercede e diminuzione di Iavoro s , furono in Na-poli: l'uno, nel febbraio 1848, dei muratori e dei sarti; l'altro, il 25 aprile1848, dei tipografi che protestavano anche contro l'introduzione delle mac-chine da stampa, e vennero in conflitto con la Guardia nazionale (CORTESE,I, pp. LXIII ss.), ed altri ancora degli operai delle fabbriche di tela a Sarnoed a Cava dei Tirreni, col grido «pane e lavoro! ~: con che, dice DE SIVO, a),

I, p. 177, «si suscitava il socialismo ». Il timore, peraltro, di moti e socia-listi» persistette più anni, e ne sono prova i toni trionfali con cui l'articoloeditoriale de L'Omnibus, Napoli, n. 1 del 5 gennaio 1852, proclama che «ilsocialismo è stato abbattuto per non risorgere forse mai più» (è impl icita,non espressa, l'allusione al colpo di Stato bonapartista del 2 dicembre 1851),e l'insistenza con cui lo stesso giornale (n. 42 del 26 maggio 1852), nellaconvinzione che «ormai la società è rassicurata », chiede: e Ove sono i sognimostruosi e le abbominevoli dottrine del socialismo?». Sulle agitazioni ope-raie del 1848, vedi anche LEPRE, pp. 219·220.

(58) DE SIVO, a), I, p. 176, dice «comunisti» i moti scoppiati nel 1848in vari comuni, per ottenere la ripartizione di terre demaniali; ed a «baglioridi comunismo» in tale anno accenna anche ROSSELLI, p. 171. Ma, come ososerva LEPRE, pp. 229 ss., non si trattava di «comunismo scientifico », bensìd'una «spinta dei contadini all'occupazione ed alla ripartizione delle terre s ,

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9 Introduzione 33

lungo le coste, buona parte della popolazione viveva della ma-rineria e della pesca, e, sebbene la marina mercantile, costi-tuita in prevalenza da legni modesti, praticasse sopratutto lanavigazione mediterranea, alcune attività, come la pesca delcoralli- e delle spugne, erano fonti d'un certo benessere.

Le plebi rurali - contadini, pastori, boscaioli - vivevanoil ,più delle volte in quasi completo isolamento, ed erano pri-ve d'istruzione. Il servizio militare obbligatorio incideva effet-tivamente su troppo poca parte della gioventù, e su questatroppo a lungo; dimodocchè, piuttosto che costituire, come av-venne poi sotto il regno d'Italia, un'occasione per fare acqui-sire ai giovani esperienza d'altri paesi e d'altre genti, da ri-p~rtare alla terra d'origine, determinava, per la frequenza del-le rafferme, la formazione di militari di mestiere, sradicatidall'ambiente civile. I siciliani, poi, erano esenti da obblighimilitari. In Sicilia, inoltre, i minatori delle zolfare ebbero,ancora per molti .anni dopo il 1860, condizioni di vita e di la-voro tra le. più dure e le più basse d'Europa (59).

Le condizioni economiche (indipendentemente da talipunte minime) erano generalmente modeste, o addirittura po-vere. Si può ritenere, tuttavia, che nei paesi donde, dopol'unificazione, si manifestò il vastissimo flusso migratorio versogli Stati d'oltremare, le condizioni fossero, prima del 1860,

Si tratta, cioè, d'una di quelle ricorrenti manifestazioni di «fame di terre»che esploderanno nel Mezzogiorno fino ai dì nostri, e che furono sempre stru-mentalizzate da agitatori di vario colore. Infatti, il BIANCHINI, b), pp. 12788., parla ampiamente delle dottrine del Blanc e d'altri socialisti francesi,ma del Marx non ricorda nemmeno il nome, pur accennando (p. 140) alla dif-fusione di «perverse dottrine» in alcuni luoghi della Germania. n socialismomarxista appare in Italia verso il 1870, e glì studi d'Antonio Labriola sonoposteriori al 1890.

(59) COLAJANNI, pp. 42 58.

3. LANDI - 1.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 934

migliori che sotto il nuovo regno. Un regime fiscale mite (60)ed il protezionismo economico, da una parte contenevano iprezzi, dall'altra rendevano lucrative certe attività travoltepiù tardi dalla concorrenza dell'Italia settentrionale, e da quel-la estera cui gli impegni politici del nuovo regime dischiuserole porte. Non sembra dubbio che, in certe provincie meri-dionali, l'unità nazionale ebbe l'effetto di ridurre in una squal-lida miseria un popolo che viveva in una sopportabile e digni-tosa povertà.

Sorprende, bensì, il gran numero di mendicanti. Una sta-tistica del 1832 ne indica, per le sole provincie continentali,237.825, di cui 109.374 maschi, e 128.451 femmine, in con-tinuo aumento dal 1824, sebbene circa 300.000 ducati (lire-oro 1.275.000 dell'epoca) fossero erogati per la pubblica be-neficienza (61). Ma contribuivano a tenerne alto il numerola difficoltà delle comunicazioni, che impediva i trasferimentidalle aree di maggior depressione verso quelle dove esistevanopiù ampie possibilità di lavoro, nonchè le mediocri condizionidella sicurezza pubblica, che consentivano ad individui dibassa moralità la scelta d'uno stato, dove era consentito al-ternare il parassitismo al delitto.

Il popolo minuto conosceva poco o nulla il maestro discuola, ed identificava la pubblica autorità nel giudice e nelgendarme. Per ogni altro bisogno, esso incontrava il diafram-ma dei possidenti, che esercitavano le cariche d'amministra-zione locale, e si interponevano tra popolo e Governo. È pe-rò da ascrivere all'abilità politica del Governo borbonico,avere rifiutato la propria identificazione col ceto dei possi-

(60) Sugli effetti della finanza del regno d'Italia sulle condizioni delleclassi rurali nel Mezzogiorno, CARANO DONVITO, pp. 145 S5.

(61) CARANO DONVITO, pp. 53 S8. el 1854, secondo l'Almanacco reale delRegno delle Due Sicilie (cit, da ALIANELLO, a), p. 122) v'erano 761 stabilimentidi beneficenza, e 1131 monti frumentari.

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9 Introduzione 35

denti (62), ed essere invece riuscito ad inculcare in mentisemplici il concetto del Sovrano come difensore del popolocontro gli abusi di costoro, e la configurazione d'ogni tentati-vo di ridurre l'autorità regia come attentato alla giustizia edai diritti del popolo. Da qui, le «reazioni» del 1799, ed il« brigantaggio» al tempo dei re francesi, e nei primi annidel governo unitario, cioè quando ne permaneva l'ispirazionelegittimista; ma anche il conflitto che oppose la borghesia« liberale », o così reputata, al basso popolo, con l'adesionedella prima al nuovo regime, e l'abbandono del secondo allarepressione (63)_ Diversa fu invece la vicenda della Sicilia,dove i proprietari terrieri, ex-feudatari o loro successori, ec-citarono la plebe contro il Governo borbonico, anche quandoquesto rappresentava il movimento novatore contro I'anchi-losi feudale. Perciò, i moti popolari, come quello di Brontenel 1860, non furono provocati dai reazionari, bensì da ele-

(62) ALuNELLO, a), p. 123, dice che, nell'opinione del popolo meridio-nale, il soprannome di «re galantuomo» attribuito al re Vittorio Emanuele II,lo identificava come re dei « galantuomini », cioè dei possidenti. Ma questasembra piuttosto una boutade del MONNIE!l,p. 87, il quale, dopo avere iden-tificato il brigantaggio come «una guerra dei poveri contro i ricchi », ag-giunge: «Tutti quelli che sono vestiti con un po' di decenza si chiamano inquelle provincie galantuomini: e da ciò risultava una confusione d'idee fa-vorevolissime ai ladri. Il galantuomo, Vittorio Emanuele, era il re delle classiben vestite: Francesco, il re de' proletari e degli indigenti. Dunque Viva Fran-cesco Il, e si rubava senza scrupolo s , La verità è che l'epiteto, secondo ogniprobabilità adottato dallo stesso re, come sincera espressione d'un program-ma di lealtà politica, era però infelice, in quanto poteva intendersi nel sensoche l'agire «da galantuomo» fosse per un re cosa eccezionale e quindi contri-buiva alla propaganda che rappresentava quel sovrano come uno strumentodella rivoluzione.

(63) Una reminiscenza del terrore fisico che il popolo incuteva ai libe-rali, è in SETTElIIBRINI,a), p. 195, il quale ricorda che il 15 maggio 1848 «ilprincipe di Montemiletto, per naturale gentilezza d'animo, o per altro, ci feceservire di rinfreschi: e mentre li sorbivamo, udimmo viv'o rre, terribile gridodella plebe che faceva il saccheggio, il grido del '99 ». Va pure sottolineatocome tale plebe non ne volesse al regio governo per certe paterne attenzioni,come- quella ricordata injra, cap. II, nota (244).

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36 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie lO

menti ultra democratici, e furono però egualmente repressinel sangue dalle forze garibaldine (64).

111. IL GOVERNO

lO. Dal regime uicereale al congresso di Vienna del 1815.Nel 1815, il Regno delle Due Sicilie, restituito alla dina-

stia borbonica dal congresso di Vienna, derivava, come ab-biamo visto, dalla fusione dei due regni, di Napoli e di Si-cilia (o di Sicilia « di qua del Faro », citra Pharum, e di Sicilia« di là del Faro », ultra Pharum: Regnum utriusque Siciliae),le cui corone, rimanendo però come da secoli divise,eransiconcentrate, nel 1734, in capo a Carlo di Borbone, ed ai suoisuccessori (65). La novità politica e giuridica, era consistita

(64) I moti di Bronte sono definiti «reazione borbonica e brigantesca ~da ORIANI,I1I, p. 159, presumihìlrnente derivando da GUERZONI,pp. 215 S8., equesti dalla viva voce dell'amico Bixio. Il che dimostra la superficiale cono-scenza che degli eventi del sud avevano i politici del settentrione. Si trattava,in realtà, d'un conflitto agrario tra parte della popolazione capeggiata da unanziano demagogo, l'avv. Niccolò Lombardo, e l'amministrazione dei beni ex-feudali del duca di Bronte (Nelson), che, nel momento in cui le truppe bor-boniche si erano ritirate verso Messina, e i liberatori non erano ancora giunti,esplose in un massacro atroce (descritto in una celebre novella del VERGA).Bixio, a sua volta, sopraggiunto con la sua brigata, diede prova della solitasmodata violenza (di questo solo vorrei fargli addebito: circa l'ingiustizia direcenti giudizi, ha ragione MIL.~NI,pp. 138·139). Della immediata repressionefu vittima anche il Lombardo, il quale pare avesse fatto il possibile per impe-dire gli eccessi provocati dalla sua propaganda scriteriata (RADICE).È certo cheil Lombardo era un liberale del 1848, ed apparteneva al Comitato che nei gior-ni di maggio 1860 aveva issato la bandiera tricolore sul c circolo dei civili»:borbonici erano, piuttosto, gli avversari, che furono trucidati nella sommossa,tra gli evviva a Garibaldi (ABBA,p. 205), e non esiste quindi analogia tra questoepisodio, e le «reazioni ~ borboniche del continente.

(65) Il titolo di rex utriusque Siciliae era stato adottato per la primavolta da Alfonso d'Aragona, in cui si erano concentrate (1442) la corona dellaSicilia di là del Faro (unita, dal 1412, a quella d'Aragona) e quella di Napoli,ossia Sicilia di qua del Faro, lasciata gli per testamento da Giovanna II d'Anogiò-Durazao, Le due corone furono nuovamente scisse alla morte d'Alfonso

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lO Introduzione 37

nella trasformazione m un solo Stato unitario di due Stati,collegati solo dal legame dinastico (L 8 dicembre 1816). Atorto quindi si disse che conteneva un pleonasma il nuovo ti-tolo di «re del Regno delle Due Sicilie» (e non, come finallora, di «re delle Due Sicilie») (66), che, del resto, t1"O-vava riscontro nel titolo ufficiale d'altri sovrani europei (peresempio, del re britannico, «king of United Kingdom ofGreat Britain and Ireland »), ed era giustificato, come aper-tura- d'una nuova serie di regnanti, il mutamento dell'attri-buto numerale che accompagnava il nome del sovrano: nonpiù Ferdinando III in Sicilia, e Ferdinando IV in Napoli,ma Ferdinando I nell'unico regno (67).

L'unione, stabilita col trattato di Vienna del 1738, traSicilia e Napoli, era una unione dinastica, del medesimo gene-re di quella realizzata, tra il secolo XV ed i primi anni delsecolo XVIII, tra le corone di Spagna, di Napoli e di Sicilia;col trattato di Rastadt del 1714, tra la corona imperiale equella regia di Napoli, e tra la corona ducale di Savoia e quel-la regia di Sicilia; col trattato di Londra del 1718 tra la coro-na imperiale e quelle regie di Napoli e di Sicilia. Nei limitiin cui gli schemi del diritto pubblico attuale possono essereutilizzati per chiarire rapporti d'anteriore origine, è oppor-o

(14-58),che lasciò il regno insulare al fratello, Giovanni Il, e Napoli al figlioillegittimo, Ferdinando (o Ferrante) I; finchè furon riunite nel 1504 in capoa Ferdinando II d'Aragona, ed ai suoi successori spagnoli fino al 1714.

(66) PALMIERI,p. XL (la citazione è tratta dalla Introduzione, anonima,che però risulta di Michele Amari: DE STEFANO,p. 375).

(67) I re che in Sicilia avevano portato il nome di Ferdinando eranoFerdinando I (1412·1416) e Ferdinando II (1479.1516), della casa d'Aragona.Lo stesso nome avevano portato, in Napoli, Ferdinando I, o Ferrante (1458·1494); Ferdinando II, detto Ferrandino (1495·1496), l'uno e l'altro del ramoaragonese di Napoli, e Ferdinando 111 d'Aragona, che è il medesimo regnantein Sicilia col nome di Ferdinando 11. Perciò, Ferdinando di Borbone assu-meva l'ordinale In in Sicilia, e IV nel continente,

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie lO38

tuno osservare, però, che, sebbene ancor dopo il 1738 esi-stessero per la Sicilia bandiera, armi araldiche, cittadinanza,distinte dalle napoletane, l'unione non era meramente «per-sonale », cioè fondata sulla accidentale identità fisica dellapersona del monarca (Inghilterra e Hannover dal 1714 al1837; Paesi Bassi e Lussemburgo dal 1815 al 1890) bensìdel tipo cosiddetto «reale» (Svezia e Norvegia dal 1814 al1905, Austria-Ungheria dal 1867 al 1908; Italia ed Albaniadal 1939 al 1943), che presuppone l'unità giuridica dellacorona, e l'esistenza di organi comuni (68).

Nel periodo spagnuolo ed in quello austriaco, Napoli ela Sicilia, pur decorate del titolo di regni, non erano nemmenomembri a parità di diritto d'una commomoealth; ma semplicidipendenze d'una corona lontana e straniera. Al sovrano, edai ministri presso di lui residenti, spettavano le supreme de-terminazioni, con l'assistenza del Consiglio d'Italia, costi-tuito da tre consiglieri, rispettivamente per Napoli, la Sicilia,ed il ducato di Milano (69). Il sovrano era rappresentato aNapoli ed a Palermo da un vicerè, alto funzionario nominatoe revocato discrezionalmente dal monarca, da cui dipendevagerarchicamente, e che fu quasi sempre straniero. Non esistevaquindi un governo napoletano o siciliano, e tanto meno unapolitica, o, semplicemente, una rappresentanza internazionalepropria di tali domini. Nè fu diversa la situazione durante il

(68) Nella letteratura politica del tempo, l'unione per cui Vittorio Ema-nuele 111aveva assunto il titolo di «re d'Italia e d'Albania, Imperatore d'Etio-pia» (L 16 aprile 1939, n. 580). è spesso detta «personale s, o per errore. opiuttosto per ménager la suscettibilità degli albanesi, assoggettati di fatto al-l'Italia: ma erano state fuse le Forze armate (1..13 luglio 1939, n. 115), ed ac-centrate le relazioni internazionali nel Ministero degli affari esteri del regnodiltalia (l. 16 maggio 1940, n. 636), ciò che è tipico di una unione reale.

(69) La Sardegna era invece rappresentata nel Supremo Consìglio d'AnI'gona (SOLMI,p. (166),

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lO Introduzione 39

breve regno di Vittorio Amedeo II, quando la Sicilia, illusasiper un momento di tornare ad avere un re proprio, si eraritrovata dipendenza non d'una potente monarchia, ma d'unpovero ducato.

L'individualità dei due regni persisteva tuttavia con lasopravvivenza d'antiche istituzioni, alcune delle quali, comeil Parlamento di Sicilia, pur profondamente esautorato, aveva-no natura costituzionale, nonchè di ordinamenti amministra-tivi e giurisdizionali propri. È poi da aggiungere che, malgra-do le non rare durezze o negligenze della lontana autoritàsovrana, e la tanto deplorata rapacità fiscale delle dominazio-ni straniere, sarebbe in errore chi supponesse che Napoli eSicilia fossero rispetto alla corona, in una situazione analogaa quella dei domini coloniali rispetto alle potenze dominantifino a giorni a noi vicini (70). Il personale giudiziario ed am-ministrativo era quasi tutto locale, ed un sistema in cui ilvincolo politico era dato dalla fedeltà al monarca, e non dallanazionalità, permetteva, almeno in linea giuridica, ai sudditiitaliani l'ascesa a qualunque ufficio anche fuori della regionenatale: del che, infatti, non mancano esempi.

Nel 1734, Napoli e Sicilia ebbero di nuovo un propriore, nella persona di Carlo di Borbone; ma, mentre il conti-nente così recuperava la propria sovrana indipendenza, siapriva, per la Sicilia, una pagina, in cui certi problemi diveni-vano anzi più acuti. Palermo era stata, sotto i re normannie svevi, capitale dell'unico regno «di Sicilia e di Puglia ».Carlo d'Angiò, nel breve periodo in cui regnò di qua e di

(70) Il giudizio durissimo espresso di solito dagli storici italiani sul go-verno spagnolo, è rettificato da CROCE, a), pp. 139 ss., il quale osserva che c laSpagna governava il regno di Napoli come governava sè stessa, con la mede-sima sapienza o la medesima insipienza », e col massimo riguardo verso gliitaliani.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie lO40

là del Faro, si stabilì in Napoli, città a lui ben più devota, emeglio adatta ai suoi disegni, perchè facilmente collegataper mare ai domini angioini di Provenza, e prossima a Ro-ma (71). Carlo di Borbone pose la sua sede in Napoli; di-venuta ormai la città più popolosa e ricca dell'Italia meridiona-le, e la Sicilia continuò ad avere un vicerè, nominato dal redi Napoli.

Si riproduceva così, più o meno, l'ordinamento che la Si-cilia aveva avuto prima del 1734. Il Governo (il «Consigliodi· Stato », come si diceva) risiedeva presso il. sovrano, edera comune all'uno ed all'altro regno. Il sovrano era rappre-sentato in Sicilia dal vicerè, residente in Palermo. La Siciliaconservava il parlamento, e le proprie istituzioni giudiziarieed amministrative; erano invece comuni la Corte, la rappre-sentanza diplomatica, l'esercito, la marina militare.

È da notare che giuridicamente si voleva salvaguardarela parità dei due regni, e perciò non esisteva un atto sovranoche attribuisse a Napoli la qualifica di capitale: il re potevarisiedere nell'uno o nell'altro regno, ed ivi dovevano accompa-gnarlo la Corte ed il Consiglio di Stato. Ma, in fatto, il re sitrasferì in Sicilia solo nei. tempi in cui vi fu, costretto (1799,e 1806-1815), e la dipendenza dell'isola da Napoli risultòpiù rigorosa di quella dalla Spagna o dall'Austria. Ad unmonarca lontano, e distratto da più vasti interessi politici,erasi sostituito un re vicino, con interessi esclusivamente italia-ni; un re, per di più, come Carlo di Borbone, che partecipavaattivamente alle aspirazioni riformatrici del suo tempo, ed in-tendeva realizzarle in entrambo i suoi regni.

Queste tendenze innovatrici, nelle provincie continentali,avevano trovato, in larga misura, favorevole apprezzamento:

(71) CROCE, a), p. 87.

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lO Introduzione 4-1

esse corrispondevano ad orientamenti abbastanza diffusi trala nobiltà ed il ceto medio, di cui una parte finì anzi per so-spingersi su posizioni tanto estreme, da restare trav.olta nellatragedia della repubblica partenopea. Ma in Sicilia era impos-sibile costruire uno Stato moderno, senza infrangere la prepo<-tente feudalità. L'attaccò energicamente il vicerè, marcheseDomenico Caracciolo (1781-1786), malgrado gli ostacoli chetentava di creargli presso il governo il marchese della Samo.buca, ministro per gli affari di Sicilia in Napoli, e porta-voce dei risentimenti delle famiglie siciliane. L'opera fu conti-nuata (1786-1795) dal principe di Caramanico, mentre il mar-chese Caracciolo subentrava nel ministero di Sicilia (72). L'a-zione riformatrice fu poi interrotta dalle sopravvenute preoc-cupazioni per gli eventi di Francia, rafforzate dalle congiu-re velleitarie di Emanuele de Deo (Napoli, 1794) e di Fran-cesco Paolo di Blasi (Palermo, 1795), in coincidenza con lamorte dello stesso Caramanico (1795). F!1 utile I'operavan-che se limitata: ma, probabilmente, la presunzione illumini-stica, di volere risolvere ogni problema «secondo ragione »,prescindendo dai fattori storici ed ambientali, rese .irritan-te il metodo dei riformatori. La nobiltà siciliana; sfruttandol'orgoglio ed il tradizionalismo insulare, riuscì a mascherare-interessi non sempre commendevoli con quella veste di pa-triottismo, o di rivendicazione delle libertà locali, che tuttorainganna certi superficiali narratori.

Le singolari speranze, accesesi in Sicilia quando, nel 1799e nel 1806, il re, la real famiglia, la corte ed il governo eranostati costretti a rifugiarvisi, non potevano essere condivise.dalla dinastia, da cui era ben temerario pretendere la rinuncia·ai due terzi dei propri domini, per consolidarsi nel regno in:

(7~) PONTIERI, a) e b),

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42 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 11

sulare. Mentre, nelle provincie continentali, guerra ed usur-pazione si accompagnavano tuttavia ad un vento fertile d'ideenuove, destinate a non più estinguersi, in Sicilia si esasperavail particolarismo, che trionfava nella Costituzione del 1812.Era frutto condannato alla sterilità, perchè non potevasi fon-dare un patto tra re e popolo (ed il popolo era ben poca cosadifronte agli interessi dei magnati) sull'umiliazione del so-vrano e sulle armi straniere. Nè meritano davvero compian-to i siciliani, abbandonati dalla Gran Bretagna, che, non aven-do più interesse, debellato Napoleone, ad ingerirsi negli affa-ri interni del regno delle Due Sicilie, si era data a professareuna politica di non intervento (73). Ma lo Stato unitario,fondato nel 1816, portava perciò in sè stesso il germe delladissoluzione.

11. La forma istituzionale dello Stato. - Il regno delleDue Sicilie fu costituito, con L 8 dicembre 1816, in Stato

(73) n Governo borbonico aveva avuto successo nell'ottenere mano li-bera dal governo britannico per rendere inoperante la Costituzione del 1812,pei soliti contrasti fra le parti orientale ed occidentale dell'isola, che erano do-cumentati da una petizione dei messinesi, contrari alla Costituzione, e perciòCOLLETTA,a), III, p. 75, chiama la Gran Bretagna «ingannata ed ingannatrice >.In verità, il governo inglese si era riservato d'intervenire nel caso «che quegliindividui, che agirono colle autorità britanniche nel corso degli ultimi diffi-cili tempi in Sicilia, fossero esposti a cattivo trattamento o persecuzione, o chesi facesse alcun tentativo per restringere i privilegi della nazione siciliana in .modo tale, da esporre il governo britannico al rimprovero d'avere contribuitoad un cangiamento di sistema in Sicilia>; ma il ministro plenipotenziario inNapoli, A' Court, non ritenne che nei provvedimenti del governo borbonicofosse da ravvisare tale ipotesi (PALMIERI,pp. 290 56.). È certo, comunque, chenel 1820 la Sicilia, tranne le provincie di Palermo e Girgenti (Agrigento), pre-feriva la costituzione di Spagna a quella siciliana, e che le due parti dell'isolafurono in conflitto armato e sanguinoso (per le stragi organizzate da Palermo.contro le città che non aderivano al moto, SPELLANZON,I, pp. 819 58.). Oggi(dopo il 1947) il fulcro del regionalismo eìeìlìano è localizzato, con una sen-sibile accentuazione di centralismo palermi\l\lI.Q, pella Sicilia occidentale..

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11 Introduzione 43

unitario, nella forma di monarchia assoluta, e tale carattereconservò fin quasi al giorno della sua estinzione.

Nessun influsso diretto ebbero, sullo svolgimento delle sueistituzioni, le due parentesi costituzionali, del 1820-21, e del -1848-49.

Il moto costituzionale del 1820 fu travolto dalle armi au-striache, e seguito da una rigorosa epurazione, che colpì so-prattutto gli elementi, militari e civili, che avevano servitosotto i due re francesi, e perciò ebbe a privare il regno d'uncospicuo apporto d'energie e d'esperienze (73-bis), solo inparte recuperato dieci anni dopo, cioè nei primi anni del re-gno di Ferdinando II.

Il moto del 1848 terminò, praticamente, con l'assurdagiornata del 15 maggio, anche se per breve tempo sopravvisseuna larva di regime costituzionale, presto estinto per desue-tudine, e sostituito, fino al 1860, da un regime assoluto, lacui legittimità era per lo meno opinabile, in presenza d'unaCostituzione mai formalmente revocata o sospesa, ma di fat-to disapplicata. I liberali del 1848 pagarono in prigione enell'esilio la loro impreparazione e la loro leggerezza (74);e quei pochi tra loro che avevano capacità e merito poteronodimostrare le loro attitudini sol dopo il 1860, al servizio delregno d'Italia.

Non vale la pena di ricordare il tardivo richiamo in vigo-re dello statuto costituzionale del 1848 (25 giugno 1860),

(73 bis) Le conseguenze di tale epurazione sull'organizzazione e sul fun-zionamento delle istituzioni del regno sono esaminate da CINGARI, pp. 103 ss,

(74) Questo. giudizio concerne complessivamente gli uomini che tenta-rono d'imprimere un nuovo corso alla vita politica del regno nel 1848, nongià le singole persone, tra cui furono taluni individui di grande cultura e diretto e generoso temperamento, sprecati nella massa di agitatori mediocri, ecostretti alla compagnia malvagia e scempia di non pochi loschi avventurieri.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie44

cui non seguì nemmeno la convocazione del parlamento, eche fu un semplice episodio della finale dissoluzione del regno.

La verità è che queste costituzioni rispondevano ai votidi minoranze: nel 1820, degli ufficiali e funzionari ex-murat-tiani, che avevano trovato nella setta carbonara l'ente espo-nenziale, come oggi qualcuno direbbe, del loro malcontentoper i favori che la dinastia borbonica restaurata sembrava rr-servare ai propri fedeli (75); nel 1848, degli intellettuali li-berali, neo-guelfì spostatisi poi su posizioni unitarie, mazzinia-ne o sabaude; nel 1860, degli esuli cui Ferdinando II, trop-po fiducioso, aveva consentito l'opportunità di riprendere inpiena sicurezza le loro attività eversive, e che erano rientratinel regno, tracotanti ed aggressivi, per consumare la loro ven-detta contro il buon Francesco II (76). Quelle costituzioni,formalmente octroyées dal monarca al popolo, erano stateimposte, nel 1820 dal pronunciamiento, nel 1848 da un ri-volgimento che sembrava inquadrarsi in un 'irriversibile motoeuropeo cui non sfuggiva nemmeno il Sommo Pontefice, nel1860 dal maturarsi del tempo dell'unità d'Italia.

Per di più, le fasi costituzionali si accompagnarono sem-pre a rivolgimenti separatisti della Scilia, nei quali i novatori

(75) Diciamo «sembrava), perchè un apprezzato scrittore militare, eglistesso ex-murattiano, ed allontanato dal servizio per i fatti del 1820, il BLANCH,

b), pp. 55 55., esprime in sostanza un giudizio favorevole, dal punto di vistatecnico, sui procedimenti e provvedimenti adottati per unificare l'esercito diSicilia con quello di Napoli, pur rilevando che si ebbe poca cura dei fattorimorali, di cui si ignorò l'importanza. Vedi injra, § 84.

(76) Come è noto, i liberali graziati da Ferdinando II il 27 dicembre1858 - tra cui Carlo Poerio, Luigi Settembrini, Silvio Spaventa, ed altri -avrebbero dovuto essere sbarcati nella Repubblica Argentina, ma, grazie al-l'abile dirottamento organizzato dal capitano Raffaele Settembrini, furono tra-sportati in Inghilterra, acclamati come martiri ed eroi, e presi sotto la pro-tezione del governo piemontese, della cui ospitalità godettero, finchè Fran-cesco II concesse loro, nella crisi finale del regno, il rimpatrio, di cui si a,~~valsero per accelerarne la rovina. Yç(H ç1,l.«!CIf m.). pp. 109 59.,

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11 Introduzione 45

delle due parti del regno si trovarono contrapposti, oppure,quelli delle provincie continentali dovettero subire, o condi-videre, indecorosamente le velleità separatiste degli isolani;nel qual contrasto, almeno per le prime due volte (nella ter-za, I'intervento esterno era divenuto prevalente) la volontàregia trovò agevolata la via per imporsi.

Monarchia assoluta fu dunque, dal 1815 al 1861, quelladelle Due Sicilie; e la maggior parte delle leggi, emanatenei primi anni della restaurazione, erano vigenti quarantacin-que anni dopo: per di più, dopo il 1848, sono quasi del tuttoassenti le nuove leggi, ridotte a qualche modesta integrazionedelle leggi civili, come la 1. 13 febbraio 1856 sulla succes-sione dei militari morti in servizio, ed alle leggi d'esecuzionedi trattati internazionali. La produzione normativa si svol-ge per decreti reali, il cui contenuto è quasi esclusivamentetecnico-amministrativo.

Nel re per grazia di Dio, ereditario nella dinastia di Bòr-bone, si accentravano tutti i poteri, al vertice dell'ordinamen-to dello Stato (infra, §§ 23 ss.). Il re esercitava personalmen-te il potere legislativo ed il potere esecutivo, con l'assistenzadi ministri da lui discrezionalmente nominati e revocabili, eresponsabili solo verso di lui, i quali per gli atti di maggiorrilievo, si riunivano nel «Consiglio di Stato ordinario» onel «Consiglio dei ministri» (infra, § 27). Il potere giuris-dizionale era normalmente esercitato nella forma di «giusti-zia delegata », cioè da giudici nominati dal re, e circondatida certe garanzie; ma, delle materie del contenzioso ammini-strativo, era in parte conservato il sistema di «giustizia rite-nuta », cioè le controversie erano decise dal re, previo parered'appositi corpi consultivi (infra, cap. V).

Il re era comandante in capo dell'esercito, e dell'armatadi mare (infra, cap. I1I).

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 1146

Dal re discendeva la gerarchia amministrativa civile, co-stituita al centro dai ministeri, ed in periferia da uffici (in/ra,cap. II), dei quali i più importanti, per attribuzioni politicheed amministrative, erano le intendenze delle provincie (delle« valli» in Sicilia). Spettavano agli intendenti poteri d'am-ministrazione diretta, di vigilanza sugli enti locali, di polizia,ed anche di giurisdizione amministrativa. Nell'amministrazio-ne locale, l'autonomia e l'autarchia degli enti erano gravementeinfrenate dal rigore dei controlli governativi, e gli uffici elet-tivi si possono dire inesistenti (in/ra, cap. IV).

In Sicilia, una specie di decentramento amministrativo,residuo dell'antica indipendenza dell'isola, si attuava con laesistenza in Palermo del luogotenente del re, che si frappo-neva fra le autorità periferiche ed il governo centrale; ma erafonte di complicazioni e di conflitti l'esistenza in Napoli d'unministero per gli affati di Sicilia, per due volte abolito, mainfine ricostituito nel 1849, e conservato fino al 1860 (in/ra,§ 65).

La legislazione era in parte comune (specialmente, il «co-dice per lo regno delle Due Sicilie », che conteneva le leggicivili, commerciali, penali e processuali), in parte (special-mente nelle materie amministrative) distinta per le due par-ti del regno (in/ra, § 16 ss.). Vi furono dal 1849 due Con-sulte (in/ra, § 71) per la consulenza giuridico-amministrati-va del Governo, l'una in Napoli, l'altra in Palermo (v'erastato dal 1816 al 1821 un solo Supremo Consiglio di cancel-leria, e dal 1824 al 1849 ambo le Consulte sedevano inNapoli, e riunivansi in Consulta generale del regno: in/ra;§§ 66 ss.), e due Gran Corti de' conti, in Napoli ed in Pa-lermo (in/ra, §§ 164 ss.). Questi consessi esercitavano al-tresì la giurisdizione amministrativa, rispettivamente per i do-mini di qua e di là del Faro.

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11 Introduzione 47

L'ordinamento giudiziario conservava parimenti tracciadell'antica divisione politica, con l'esistenza di due Corti su-preme di giustizia (di cassasione), in Napoli ed in Paler-mo (in/ra, § 135).

Si è detto qualche volta che la monarchia borbonica fosseuna proiezione settecentesca nel secolo XIX. In verità, i re-sidui settecenteschi stanno nell'ostinata ricusazione della dina-stia alla transazione costituzionale (77), nella pretesa che ilbene del popolo possa essere realizzato dal sovrano soltanto,governando «per il popolo, ma senza il popolo» (78), e neiriguardi che si continuarono, malgrado tutto, ad usare allesuscettibilità indipendentiste della Sicilia. Peraltro, dopo il1815, nelle provincie di qua del Faro, nulla, si può dire, ri-mane delle istituzioni e delle leggi anteriori al 1806, ed in Si-cilia il Governo dà opera alla progressiva eliminazione delleistituzioni e delle leggi anteriori al 1815. Istituzioni e leggi del-la monarchia borbonica, tra il 1815 ed il 1860, sono nient'altroche la rielaborazione di quelle introdotte da Giuseppe Bo-naparte e da Gioacchino Murat, in quel periodo (1805-1815)che gli storici meridionali chiamano « il decennio », e che neitesti ufficiali borbonici è detto «l'occupazione militare ». Sideve a quel periodo l'introduzione del codice Napoleone, prin-cipale fonte del codice per lo regno delle Due Sicilie, I'ever-sione della feudalità, l'organizzazione delle intendenze e delleamministrazioni locali, l'istituzione del contenzioso ammini-strativo, l'ordinamento giudiziario. È propria di quel sistemala rigorosa osservanza del principio della divisione dei poteri,

(77) «Transazione ~ è appunto la definizione del BLANCH,b), p. 356, aproposito del regime costituzionale del 1848.

(78) «Re Ferdinando dicea con frequenza, se vogliono il bene, il farò io.I Borboni avean sempre voluto il ben del popolo, ma egli nol volea permezzo del popolo ~ (C.~L'" ULLOA,a), p. 255).

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48 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 12

finchè non si riuniscano al vertice nel capo dello Stato. Ed hanon diversa origine una concezione dei rapporti tra I'indi-viduo e lo Stato, che si mantiene costantemente fedele alprincipio d'eguaglianza, ma cura ben poco il principio di li.bertà (79).

Il regno delle Due Sicilie dopo il 1815, potrebbe quindidefinirai, piuttosto, una proiezione della Francia napoleonica,che anzi l'assenza d'ogni istituzione elettiva rendeva forse piùprossima al modello, di quanto contemporaneamente lo fossela vera Francia.

IV. LA DISGREGAZIONE

12. I fattori della disgregazione del regno. - Il regnodelle Due Sicilie fu considerato, sino alla vigilia della sua rapi.da dissoluzione, una forte costruzione politica: pari, almeno,àl regno di Sardegna, superiore a tutti gli altri Stati italiani.

Il Governo, rigorosamente accentrato, era in grado ditrasmettere e d'imporre la sua volontà, attraverso la gerarchiadegli uffici, in tutte le parti del territorio, così come potevaessere" consentito dai collegamenti del tempo.

La legislazione, non sovrabbondante, e di solito tecnica-mente e formalmente accurata, si ispirava al modello dellaFrancia napoleonica, uno dei più progrediti del secolo, anchese poco o nulla vivificata da spiriti di libertà.

Il pareggio del bilancio era preoccupazione costante delGoverno, ed il disavanzo era di regola tenue; il debito pubbli-co lieve, il regime tributario non perfetto ma sopportabile,

(79) Il disegno d'abrogare tale legislazione, caldeggiato dal principe diCanosa nel "1821, non ebbe seguito; anche se il Governo tentò d'operare sul-l'interpretazione e l'applicazione delle leggi, attraverso" il mutamento del per.sonale giudiziario ed amministrativo: BUNCH. b); pp. "238 S8.; ClNGARI,pp. 3258.

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--1-2-- -- --- .... Introduzione 49come'apparve n.elconfronto con quello più tardi introdotto dalregno d'Italia' (80); la produzione agricola ed industriale pro-

(80) V'era però, nella politica finanziaria del regno, l'aspetto negativo,costituito dalle limitazioni, che la preoccupazione del disavanzo, e la volontàdi non aumentare, nè il' debito pubblico, nè la pressione fiscale, frapponevaalle iniziative del Governo. Le dimensioni dei preventivi di spesa, o «statidiscussi », sono perciò relativamente modeste (ducati 30 milioni, in media,negli anni dal 1857 al 1860), e le spese produttive, come quelle per le operepubbliche, sono abbastanza ridotte. Negli anni in questione, gli «stati discussi»pubblicati nella Collezione (r.d, 9 luglio 1857, 27 aprile 1858, 24 maggio 1859,22 giugno 1860) espongono i seguenti dati:

1857 1858 1859 1860

ENTRATA~ . ' . d. 31.822.463 32.138,877 32.333.041 30.135.432

SPESA:Preso Cons. min. 66.026 66.268 66.278 66.638Affari esteri 297.600 297.600 297.600 298.800Grazia e giusto 796.441 740.664 . 784.008 793.708Aff. eccl., p. istr. 356.005 371.710 368.320 385.993Finanze 14.310.593 14.312.738 14.850.557 14.642.500interno 1.383.873 1.384.383 1.384.083 1.426.424Lavori pubbI. 2.046.679 2.433.270 2.496.608 3.405.186Guerra 11.496.686 11.646.214 11.657.493 11.307.220Marina 2.000.000 2.315.000 2.303.721 3.000.000Polizia 216.249 207.369 209.841 209.941

DISAVANZO: -1.l47.690 -1.680.050 -2.085.496 - 5.400.969

Sul metodo di formazione degli stati discussi, CINGARI,p. 180, e bìblìo-grafia ivi citata. Il detto indirizzo di politica finanziaria era stato àdottatoda Luigi de' Medici, quando dopo il 1821 era necessario restaurare l'erariodevastato dai disordini del moto costituzionale e dalle spese dell'occupazioneaustriaca (CINGARI,pp. 149 S8.; ROMEO, pp. 77·78), ma divenne poi perma-nente Tvedine ancora una tarda apologia in INSOGNA,pp. 271ss.) e' fu argo-mento della celebre polemica tra SCIALOJAe MAGLIANI.È priva di fondamentol'affermazione di 'DORIA,p. 237, che gli stati discussi pubblicati fossero e arte-fatti secondo il buon costume dei governi assolutistici e tirannici ».

4, LANDI - L

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tetta contro la concorrenza esterna, e gli approvvigionamentidei generi di largo consumo curati sì da evitare gli eccessivirialzi dei prezzi (81).

L'organizzazione amministrativa era semplice e funziona-le; il personale impiegatizio numericamente adeguato ai com-piti da svolgere; i dirigenti, poco numerosi, avevano spessouna preparazione giuridica, amministrativa e tecnica di note-vole livello.

La magistratura aveva radice in una tradizione illustre digiureconsulti, era onorata dal pubblico e rispettata dal Go-verno.

L'esercito, costituito da personale di leva con lunga fer-ma, ed in parte con volontari nazionali ed esteri, aveva unarmamento buono, ed abbastanza moderno (82), ed una scuo-la militare che forniva ai « corpi facoltativi» (artiglieria e ge-nio) ufficiali con ottima preparazione professionale e tecnica.Ferdinando II vi aveva richiamato i veterani dell'esercito diMurat, rimettendo così in onore la tradizione napoleonica.

L'armata di mare era la prima d'Italia, per il numero e laqualità delle navi, e per il valore degli ufficiali e degli equi-paggi.

Malgrado ciò, furono sufficienti poco più di 15 mesi, chesi possono computare tra il dì della morte di Ferdinando II

(81) CANDELORO, IV, pp. 214.215, riferendo una dichiarazione di DiegoTajani, emigrato in Piemonte, del .1858, dice che esisteva un generico senotimento di paura, per i fenomeni che si temeva avrebbero potuto verificarsiquando tale equilibrio si fosse rotto, ma che non esisteva alcun programmapolitico per ovviarvi. In tale carenza dei liberali del 1860 sta la radice dellaquestione meridionale.

(82) Tuttavia l'esercito, nel 1860, era in ritardo nell'adozione dei cannonirigati (MANGONE, pp. 51.52) il che ebbe risultati negativi nella difesa di Gaeta(QUANDEL, pp. 324 ss.), malgrado l'iniziativa del colonnello Vincenzo Afande Rivera, il quale riuscì, con mezzi di fortuna, ad organizzare nella fortezzaun'officina per la rigatura dei pezzi (QUANDEL, p. 168).

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(22 maggio 1859) e quello della partenza da Napoli perGaeta di Francesco II (6 settembre 1860), perchè questo mas-siccio edificio si disgregasse. La storiografia politica e militarehanno tanto studiato il detto periodo, che sarebbe qui super-flua una narrazione, ed impossibile un giudizio approfondito.Ci sia però consentita qualche breve riflessione.

Dopo la disgraziata insurrezione del 15 maggio 1848, incui i rappresentanti del popolo avevano dato piena misura del-la loro irresponsabilità (83), Ferdinando II non aveva revocatola Costituzione, anche se, tra la fine del 1849 ed i primi mesidel 1850, una petizione popolare con tale oggetto aveva rac-colto migliaia di firme. Mutato il governo, fu sciolta, con r.d.17 maggio 1848, la Camera, che, dopo nuove elezioni, si riunìnuovamente il 10 luglio. Una breve e tumultuosa sessione fuprorogata dal 10 settembre al 30 novembre dell'anno stesso, esi svolsero frattanto le elezioni suppletive, che, avendo datoluogo ad altre stravaganze e disordini, determinarono una nuo-va proroga (r.d. 23 novembre 1848) sino al I" febbraio 1849.Riapertasi la sessione tra clamori ed intemperanze, che culmi-narono in un voto di sfiducia al Governo, questo propose loscioglimento della Camera, ed il re provvide con r.d. 12 mar-zo 1849, riservandosi la convocazione dei collegi elettorali, cheperò più non avvenne (84). Esattamente perciò, dopo il 25 giu-

(83) È questa l'impressione che si ricava leggendo gli scrittori di parteliberale, che narrano, molti anni dopo, quegli avvenimenti cui parteciparono:SETTEMBRINI,ai, pp. 195·196; Nrsco, pp. 155 S8.; L.•• CEClLlA, pp. 455 ss. (quellostesso che il Nrsco, p. 169, ricorda d'aver visto il 15 maggio 1848 tra le bar-ricate «giubilante di gioia satanica»); e si noti che tutti ignorano chi avessepreso l'iniziativa d'erigere quelle barricate, che, come dice PEPE, p. 122 « furentle premier appareil des funérailles de la liberté»: secondo DE SIVO, a), I,p. 187, uno degli animatori fu proprio il menzionato La Cecilia.

(84) DE SIVO,a), I, pp. 207, 252 8S.; 256; 281; 286.287; 289 S8. La menzionedello Statuto fu eliminata, nel 1850, dal giuramento dei pubblici funzionari:CALÀULLOA,a), p. 238.

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gno 1860, il presidente del Consiglio dei ministri AntonioSpinelli, che aveva avuto incarico dal re Francesco II di predi-sporre il testo della costituzione, poteva rispondere «non ah-bisognar nuovo statuto, dove quello del 1848 non mai abroga-.io stava nel pubblico diritto del regno» (85). Lo statuto dellOfebbraio 1848 non era stato « abolito », ma « abbandonato », epuò anche essere giustificato politicamente l'abbandono, in unmomento in cui i fautori del regime costituzionale avevano tra-scinato il regno nell'anarchia, e ne avevano messo in pericoloI'integrità. Sta di fatto, però, che l'art. 64 dello statuto davafacoltà al re di sciogliere la camera dei deputati «ma convo-candone un'altra per nuove elezioni fra lo spazio improrogahi-le di tre mesi ». Questa disposizione non fu osservata dal reFerdinando; dimodochè uno storico, che pur caldamente lo di-fende dall'accusa liberalesca di « spergiuro », deve ammettereche « fu grave fallo, chè tenne deste le speranze settarie, die'presa alle calunnie, mise faccia d'illegalità al governo, e tenneil regno in un provvisorio lungo, che mise capo al 1860 ». E,quando pure si respinga, con Benedetto Croce, il metodo di fa-re la storia col «se », non è davvero certo che la monarchiaborbonica «con la costituzione sarìa caduta prima », e cheinvece un'azione riformatrice, condotta con metodo cauto adun tempo e fermo, non l'avrebbe meglio conservata (86).

Il governo di Napoli fu dunque, dal 1848 al 1859, unaspecie di dittatura personale del re Ferdinando II, e non ebbeil tempo di trasformarsi quando all'esperto pilota subentrò unre di minore autorità ed esperienza, nel momento stesso incui si sviluppava la crisi determinante dell'unità italiana. Eco-

(85) fu SIVO, a), Il, pp. 103·104.(86) Le opinioni qui ricordate sono di DI': SIVO, a), I, pp. 366 55.

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SÌ, Ferdinando II fu una delle personalità più immeritatamentevituperate nella storia d'Italia (87).

V'era nel re Ferdinando un altissimo concetto dell'ufficioregio; senso del dovere sorretto da sincera e ferma fede cri-stiana; volontà e capacità di lavoro; costumi morali e fami-liari d'universalmente riconosciuta integrità; affetto e com-prensione - bene o male intesi - verso il proprio popolo,cui tanti sentimenti ed abitudini l'accomunavano. Egli fu forse,con l'imperatore Francesco Giuseppe, uno degli ultimi sovra-ni che amarono profondamente il «mestiere di re ». Edè penoso leggere della «ignoranza» di Ferdinando II (chenon aveva attrazione verso la cultura umanistìca, ma un sin-cero interesse per i progressi della tecnica), o dedurne la « tri-vialità» dall'uso del dialetto (in un tempo in cui l'italianoera soltanto lingua scritta ed aulica), specie nel raffronto conun sovrano, tanto esaltato quanto Vittorio Emanuele II, delquale non si ricorda un solo anedotto che dimostri un qual-siasi interesse di cultura, ed è certo che normalmente si espri-meva in dialetto piemontese o in lingua francese (88).

(87) Limiti e difetti dell'azione politica di Ferdinando II non sfuggonoagli storici pur devoti alla causa borbonica, quali il DE SIVO,a), I, pp. 474-475,e II, p. 4; CALÀULLOA,a), pp. 253 ss. e 312 ss., ai quali si rifà MOSCATI,a),pp. 129 ss. Il giudizio di CROCE,a), pp. 250 ss., riecheggia la polemica antibor '.bonica degli anni del risorgimento, ripresa, per di più, con goffa boria in-tellettuale (... crassa religiosità ... ossequiente al più rozzo pretume ...): tipico ilrilievo che Ferdinando avrebbe rappresentato «il paese ... nelle sue cattive ten-.denze» e specificamente «il peggior paese ». Qui, invece si manifesta il peg-gior Croce. Una rivalutazione della personalità di Ferdinando II in ambientenon borbonico ebbe inizio dopo la prima guerra mondiale: ricordiamo, peresempio, uno studio di AMANTE,recensito favorevolmente dal FILARETI.L'am-mirazione dei legittimisti francesi per la sua condotta nel 1848-49 risulta dalraro libro di n'HERVEY·SAINTDENIS e MONTELIETO.

(88) Non è una scoperta del MAcKSMITH,a), p. 23, che gli studi di questosovrano fossero stati e scarsissimi e quasi esclusivamente di carattere militare».Ma non aveva nemmeno seguito forti studi, una generazione più tardi, Um-

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La sventura di Ferdinando II, fu d'essere solo. MentreVittorio Emanuele II fu affiancato, o piuttosto dominato, dauna personalità eccezionale come quella del conte di Cavour,Ferdinando non trovò, nella sua età e nel suo regno, nessunnomo che avesse effettive qualità politiche (89). E non è a di-re che lo avrebbe potuto trovare tra i liberali: perchè gli Spa-venta, gli Scialoja, i Pisanelli, negativi nel 1848, nemme-no sotto il regno d'Italia (in cui la sola personalità fuor delcomune era Cavour) si dimostrarono altro che dignitosi erispettabili (90) personaggi di secondo piano. In questa soli-tudine, il suo temperamento si chiuse, si inasprì, si disposeal sospetto, specie dopo che, nel 1856, l'attentato d'Age-silao Milano gli diede la misura dell'odio cui era segno; edil suo temperamento autoritario ed accentratore l'indusse atrascurare la formazione d'una classe di collaboratori dotatid'iniziativa e di senso di responsabilità, che avrebbero dovutoessere da lui stesso ricercati, scoperti e valorizzati, ed asce-

berto I (ALFASSIO GRIMALDI,pp. 22 S5.; CASALEGNO,p. llO), e la stessa reginaMargherita, che tanta influenza ebbe sulla vita intellettuale del suo tempo, seri.veva con errori d'ortografia ed aveva «una preparazione affrettata e superfi-ciale) (CASALEGNO,pp. 106 ss.). li primo, tra i sovrani di casa Savoia, che fuuomo colto (e di vasta e varia cultura) fu Vittorio Emanuele III (VOLPE, pp. 33ss.), anche per merito della madre. Ma i giudizi su Ferdinando II sono, ingran parte, opera di pedanti e di legulei, per di più e piemontestzzati s e (. to-scaneggianti s , che Ferdinando, intelligente ma presuntuoso, non comprendevanè apprezzava (MOSCATI, a), p. 106), e dai quali veniva parimenti ricambiato.Sull'istruzione da lui ricevuta, MOSCATI,a), pp. 98 ss.

(89) MOSCATI,a), pp. 107 ss.(90) Purtroppo Conforti e Scialoja non avevano resistito alla tentazione

di percepire dal Tesoro napoletano gli arretrati dello stipendio di ministro,da 1848 al 1860, e così il primo si ebbe 72 mila ducati ed il secondo 65 miladucati; altri, come Carlo Poerio e Silvio Spaventa, rinunciarono a qualsiasirisarcimento (DE SIVO, a), II, pp. 308·309). Tuttavia, nel complesso, il giudiziosu questi personaggi della «destra storica s può essere, dal punto di vistadella correttezza, positivo, specie in confronto con lo spirito (. avventuroso)di taluni mazziniani rattachés alla monarchia di Savoia.

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12 Introduzione 55

gliere dei semplici esecutori d'ordini. Per di più, li mutava dirado, e la mancanza di un'opportuna rotazione determinò quel-la singolare gerontocrazia, costituita in gran parte di superstitidei tempi napoleonici, che ci appare caratteristica degli ultimianni del regno.

È perciò da sottolineare tra le cause della rovina la man-canza d'una classe politica, o, quanto meno, d'una classe diri-gente, abbastanza giovane per nutrire ambizioni e speranze,che contasse di realizzare nel regno e col regno, e che avessequindi uno specifico interesse a sostenere il regime e la dina-stia. Accadde invece che, anche dopo Ferdinando II, il regimecontinuasse ad isolarsi, ed ambizioni e speranze apparIsseroattuabili solo nel quadro unitario.

Così, l'impossibilità di un'opposizione costruttiva «co-stituzionale » continuò a sospingere i novatori verso le attivitàillegali, ed infine anche coloro che non avevano partecipatoalle cospirazioni mazziniane o sabaude, si ritrovarono unitarie liberali. Se qualcuno avrebbe forse potuto salvare il regnoe rinnovarlo, costui era ignoto, e, se noto, sarebbe stato agliuni ed agli altri sospetto (91).

(91) DE SIVO, a), II, pp. 4-5, definisce traditori i vecchi liberali del 1799,del 1820 e del 1848, che occupavano pubblici uffici, e «facevano alzare a tuttigli uffici, come lor veniva fatto, loro cagnotti », ma si può dubitare se almenoi migliori tra costoro fossero in mala fede, e se non avrebbero potuto megliocollaborare se fossero stati più liberi nel seguire ed attuare le proprie opi-nioni, MOSCATI, a), p. 107, osserva che «il personale dirigente che circondò reFerdinando meriterebbe tutto d'essere studiato, come mai si è fatto finora a,Se, d'altro canto, tale personale fosse stato tutto tanto scadente e malfido, nonsi spiegherebbe che Silvio Spaventa (fieramente antiborbonico, ma senza dub-bio uno dei migliori uomini dell'unità, che provenissero dal Iiheralismo napo-letano) considerasse c:un grave danno che non si fosse potuto recuperare perl'amministrazione delle provincie napoletane il meglio della classe tecnicaborbonica, e che egli ebbe sempre il rimpianto che a Napoli, come in altreparti d'Italia, gli elementi fedeli al ricordo degli antichi Stati fossero rimastiestranei alla vita pubblica, lasciando così scoperta una funzione conservatriceche era pesantemente ricaduta sui liberali» (CROCE E., pp. 158-159).

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Il Governo borbonico era, inoltre, tanto sospettoso della.stampa, che non volle. nemmeno utilizzarla per i propri fini;e poco. o nulla d'efficace seppe opporre alla durissima, oltrag-giosa polemica, che, contribuendovi ampiamente gli emigratipolitici del sud, presentava il regno, più ancora che comeroccaforte della reazione, come un relitto di medievale bar-barie. Del che dovettero poi ben dolersi gli esuli rientrati,quando si avvidero quanto la loro propaganda avesse con-tribuito a rafforzare alterigia e sprezzo nei piemontesij 92).

E v'era, infine, l'inguaribile avversione della Sicilia versoil Governo di Napoli, che rendeva inutile ogni privilegio obeneficio. conservato o concesso, dacchè il siciliano timebat

(92) Ferdinando II, a quanto pare, aveva la stampa in così scarsa consi-derazione che il Magliani non ottenne, per la sua risposta allo Scialoja (forsesollecitata dal re stesso) nemmeno l'onorificenza di cavaliere dell'Ordine diFrancesco I (DE CESARE,a), I, pp. 278 e 285\. È eccezionale ne L'Omnibus, n. 64;del 9 agosto 1856, un breve articolo, dove tra l'altro è detto: «La Gazzettapiemontese non può rassegnarsi a credere, che nel Regno di apoli v'è un reche regge le sorti del suo Reame, mentre nello Stato modello fa tutto sono iCavour, i Rattazzi e Socj; la Gazzetta non può credere che il Re delle DueSicilia ha saputo sottrarre il suo popolo agli artigli della rivoluzione, e sì cheil 15 maggio del 1848 è nolo a tutto il mondo, come è ben noto che i Napo-letani non sono iti a farsi forare in Crimea per la lusinga di papparsi ungiorno il Lombardo Veneto al cui dominio il Re di Napoli non ambisce. Fi-nalmente la Gazzetta non può credere alla prosperità dei popoli delle DueSicilie, eppure ne sembra che il benessere materiale colà vada di pari passocol credito pubblico. A Torino i fondi pubblici S% sono al 92, e a Napoli al108 per cento. La differenza non è poca l' .. Tale lacuna della politica Ierdì-nandea è rilevata anche da scrittori dell'epoca: per esempio, CALÀULLOA,a),p. 243, dice che «antica colpa de' Borboni fu lo sprezzo della stampa s , e .ri ..corda quanto furono infelici le risposte di scrittori borbonici alle famigerate ,lettere di Gladstone; DE SIVO,a), I, p. 375, dice: «V'era il giornale Il Tempo,propugnatore del trono, e 'l tolse, parendo gli miglior consiglio dissimulare leoffes~ che combatterle... Sdegnò di far difesa contro la guerra continua, im-placabile, malvagia, che da' giornali Sardi, Elvetici, Francesi e Inglesi gli ve-niva; oppose il silenzio, nè gran fatto permise si rispondesse s , Tale disabi:tudine rese la polemica filoborbonica, riaccesasi dopo la caduta della dinastia,e protratta si sino alla fine del secolo (per esempio, INSOGNA),monotona e pocoefficace nei temi, e priva di solide basi culturali.

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13 Introduzione 57

Danaos et dona [erentes ; di quella Sicilia che in ebollizionerivoluzionaria, nel 1860, fu il tallone d'Achille del regno (93),e che, tanto gelosa della sua indipendenza, preferì tuttaviaperderla fondendosi incondizionatamente nel regno d'Italia,anzichè continuare l'unione con Napoli (94).

Pochi colpi d'ariete, assestati su un edificio dietro la cuifronte imponente erasi ormai formato il vuoto, bastarono perdiroccarlo.

13. L'assorbimento del regno delle Due Sicilie nel re-gno d'Italia. - La scomparsa dell'antico regno, come indivi-dualità politica ed amministrativa, fu celere. Alla dittaturadi Garibaldi, subentrarono, dopo i plebisciti, le luogotenenzeper le provincie napoletane e per la Sicilia, ben presto abolite(quella di Napoli, con r.d. 9 ottobre 1861, quella di Sicilia,con r.d. 5 gennaio 1862 n. 91), con che fu cancellata ogniparvenza o .speranza d'autonomia. E nacque, e non ancora è.risolto, il «problema del Mezzogiorno ».

.Noi non amiamo quella storiografìa, come oggi si dice,« dissacrante », che, sia pure per giustificabile reazione al 'metodo agiografico ed alle antitesi manichee di certi storicisettari, riversa sul moto unitario livore pari a quello. con cuiun tempo gli scrittori cosiddetti patriottici infierivano sulle'memorie borboniche. Il bel risultato di simili trattazioni, in .cuila polemica reazionaria (spiegabile nel ribollire delle passioni-politiche, ma non accettabile oggi senza un'obiettiva e seria re-visione critica) si fonde con la moderna demagogia populista,è che nella generale ignonomia, tra borbonici .inetti, opportu-nisti e traditori, e « piemontesi» altezzosi, ignoranti e crudeli, -

(93) LANDI, a), pp. 186 86.

(94) Sulla rapida fine delle aspirazioni autonomistiche nel 1860. DE STE·FANO, pp. 387 65.; ROMF.O, a), pp. 364 S6.

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si salva soltanto, eroe e martire, il brigante. Ed in definitiva,con simile storia, non resterebbe che vergognarsi d'essere natiitaliani (95).

Ora, per quanto riguarda la parte borbonica, bisogna con-siderare che certe clamorose diffalte, individuali come quellad'Alessandro Nunziante (96), o collettive come quella dellamarina reale (97), non si spiegano con l'oro piemontese, chèper quanto bassa stima possa aversi della natura umana, nonè davvero facile che taluno abbia posto a repentaglio l'onore,la carriera, ed anche la vita, per un guadagno che sarebbestato comunque limitato e meschino (98). Il fatto è che certi

(95) Tra i prodotti più caratteristici di questa letteratura, ALIANELLO,a);GRECO.

(96) II maresciallo di campo Alessandro Nunziante, duca di Mignano,ispettore dei battaglioni cacciatori (poi tenente generale dell'esercito italiano,e senatore del regno d'Italia), prese contatto col governo piemontese, e tentòd'indurre l'esercito borbonico ad ammutinarsi. li BATTAGLlNI,a), I, pp. 26 ss.•esclude la venalità, e ritiene che il Nunziante sia stato mosso da ambizioneed opportunismo, e soprattutto dalla preoccupazione d'essere travolto in unacatastrofe inevitabile, portando seco una nomea di reazionario.

(97) L'adesione della marina alla causa della monarchia piemontese funegoziata, per incarico del conte di Cavour, dall'ammiraglio Carlo Pellion diPersano, largheggiando in promesse, solo parzialmente mantenute, che, seacquisirono alla regia marina italiana la quasi totalità degli ufficiali borbo-nici, ebbero effetti negativi sulla compagine della forza armata negli annisuccessivi, e specialmente durante la guerra del 1866 (IACHINO, pp. 58 ss.; 10255.; no 65.). Le sole navi da guerra che seguirono Francesco II a Gaeta fu.rono la fregata a vela e Partenope s (comandante, il capitano di fregata Ro-berto Pasca), e tre piroscafi armati, «Delfino), «Saetta) e «Messaggero),al comando del maggiore dei cannonieri marinar i Raffaele Criscuolo, con abordo una forza complessiva di 15 ufficiali e 398 uomini d'equipaggio (QUAN.DEL,pp. 2()·21). I comandanti furono promossi con r.d. Il settembre 1860.

(98) È certo, che gli ufficiali di marina napoletani erano convinti d'es-sere benemeriti dell'unità d'Italia. Si vedano certi estratti di lettere del con-trammiraglio Giovanni Vacca al capitano di vascello Enrico di Brocchetti(l'uno e l'altro provenienti dalla marina borbonica) alla vigilia della battagliadi Lissa: «Qui Persano la fa da desposta in tutto, ed è singolare che noi, cheabbiamo fatto una rivoluzione e compromessa la nostra testa per abbattere

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concetti, di «patria », di «unità nazionale », di «libertà »,di «costituzione », erano diventati, ad un certo livello, pa-trimonio comune di tutti (e male aveva fatto il governo borbo-nico a non rendersene ben conto), talchè da una parte chi pu-re era mosso da opportunismo poteva a sè stesso per primodare una giustificazione ideale, e, d'altra parte, chi servavafede al giuramento doveva imporsi la rinuncia a sentimentiche gli potevano essere cari. Tali idee e tali sentimenti valeva-no a rendere degno d'approvazione chi a rigore assai pocol'avrebbe dovuta meritare, ed oggetto di biasimo chi piuttostoavrebbe meritato onore (99).

Ma bisogna pure riconoscere che la psicosi del tradimentofu diffusa proprio da parte borbonica, in un maldestro e tardi-vo sforzo propagandistico, che avrebbe voluto rievocare la rea-zione del 1799: fenomeno non riprodotto si nemmeno nel1806 (100), e che, subito dopo il 1860, perdette rapidamen-

il despostismo d'un sovrano, ora dobbiamo tollerare quello d'un coglione!... >< •.. qui non è il caso del '60, quando nella Marina napoletana il Persano,in luogo di avere a combattere nemici, trovò adesioni e concorso a tutte lesue operazioni» (lACHINO, pp. 152-153).

(99) Non è < storica s , ma è storicamente fondata la conversazione im-maginata da ALIANELLo,b), pp. 76 55., tra alcuni ufficiali horbonici riuniti amensa alla vigilia dell'entrata di Garibaldi in Palermo, dove l'un d'essi, giàpermeato d'idee nuove, spiega: « ...e cosÌ faremo un gran paese, uno Statoforte, come l'Austria, la Francia, la Prussia ... e un esercito potente» (p_ 77).La componente nazionalista (tanto importante, più tardi, nell'azione d'un uomodella sinistra risorgimentale, come Francesco Crispi) è trascurata più del giustonello spiegare le adesioni alla causa unitaria (si pensi all'insoddisfazione deimilitari confinati in una situazione stagnante, mentre i loro colleghi dell'eser-cito sardo conquistavano allori), ed è forse sopravvalutata la componente de-mocratica-liberale, che spesso era di pura facciata.

(100) L'illusione borbonica di potere rinnovare il «miracolo» del 1799(non sorta proprio all'ultima ora, perchè c.u.À ULLOA,a), p. 253, asserisce che«in Corte lodavan la 601a fede delle plebì s ) fu eminentemente dannosa, per-chè quegli avvenimenti erano irriproducibili. Nel 1799, le «masse» del car-dinale Ruffo, appoggiate dalla squadra navale inglese (il contributo del con-tingente terrestre russo-turco, di circa 1000 uomini - COLLETIA,a), II, p. 76 -

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te ogni contenuto politico, per trasformarsi in un'esplosio-ne anarchica di criminalità collettiva, il cui risultato fu dispingere il nuovo governo al rigore, e di determinare l'adesio-ne al governo unitario dei possidenti minacciati nella vita enei beni, quando pure fossero animati tuttaltro che da simpa-tie novatrici (101).

Non negheremo certo alle popolazioni rurali, da cui fualimentato il brigantaggio, nella forma iniziale di guerrigliapartigiana, od in quella degenerata di banditismo, la compas-sione che meritano. Genti che per una lunga serie di genera-zioni erano vissute isolate, in un quadro di tradizioni maimutate a memoria d'uomo, videro crollare le antiche autorità,e sostituirsene delle nuove, nazionali o forestiere, troppo spes-so prive d'ogni essenziale riguardo per sentimenti profondi -per la loro fede religiosa, bene spesso - che venivano irrisie calpestati dalla stolta superficialità del settario, o dalla gros-solana sufficienza del forestiero. Un complesso stato d'animo,

si _può considerare non decisivo), combatterono il governo della Repubblicanapoletana, che era praticamente privo d'autorità nelle provincie, aveva forzemilitari insignificanti, e nessun appoggio dall'esercito francese. Nel 1806 Giu·seppe Bonaparte venne con un forte esercito, e cominciò subito ad organizzaretruppe nazionali (in/ra, § 76) mentre gli inglesi, malgrado qualche successo(Maida, l° luglio 1806) non diedero agli insorti tutto l'appoggio che sarebbestato necessario ad integrare quello, forzosamente modesto, del governo bor-bonico in Sicilia. Nel 1860, ed anni seguenti, infine, la dissoluzione delleforze regolari, ed il completo isolamento internazionale del governo borho-nico, determinò che le formazioni partigiane rimasero abbandonate a sè stesse,e si trasformar.ono in bande di -briganti. Rimane così confermata la massima(PIE!!I, p. 115) secondo cui l'azione insurrezionale ha successo quando è a so-stegno di forze regolari, o da esse sostenuta.

(101) Il brigantaggio politico si può considerare finito nel 1863, cioèdopo l'ultimo tentativo di guerriglia organizzata, affidato dal governo bor-bonico in esilio al generale spagnuolo Rafael Tristany. Il fenomeno crimi-nale si protrasse invece per più anni, fin verso il 1870, con regressi e recrude-scenze (e, dal 1865, collaborò alla repressione anche il governo pontificio),perdendo perfino il carattere di rivolta sociale, perchè in più casi le bandeinfierirono su contadini (MoLFKsE,pp. 207, 313, 386 ss.).

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in cui si fondevano misoneismo, xenofobia, ed infine un sen-timento di rivolta sociale verso i benestanti, sempre protettidall'antica o dalla nuova autorità, dall'antica o dalla nuovabandiera, condusse tanta parte della plebe agreste al delitto,alla morte, alle galere. Crollava ad un tempo la protezione do-ganale, sopravvenivano inusitati rigori fiscali, ed infine, fuggen-do un paese immiserito, queste genti presero a diecine di mi-gliaia la via dolorosa dell'emigrazione.

Pari sorte ebbe il basso popolo della Sicilia, spinto dailatifondisti a combattere il governo borbonico; sanguinosa-mente represso dagli stessi garihaldini, quando credette in unasopraggiunta èra di giustizia sociale (102); ed avvedutosi, in-fine, d'avere perduto fino i pochi, anacronistici privilegi (qua-le l'esenzione dal servizio militare) che tuttavia l'antico-regi-me gli conservava.

Ma neanche i « piemontesi» meritano incondizionata con-danna.

Non è qui il caso di ricordare come la loro entrata nelregno fu il risultato d'una tumultuosa successione d'eventinon previsti, che determinarono il conte di Cavour ad improv-visare quasi giorno per giorno un'azione, non ancor compiutaquando la sua fine immatura ne rimise la -continuazione ai

(l (2) MACK SMITH, bl, p. 593, trova che «Garibaldi in pratica non presemai nei confronti dei latifondi ex-baronali, una posizione così precisa comeera stata quella dei Borboni », con che attrasse alla causa unitaria certi pro-prietari, prima neutrali od ostili, del cui appoggio aveva bisogno. In realtà(per seguire l'illustre autore: Britannia docet), Garibaldi, non «anarchico »,era un «riformatore sociale» a parole; ignorava la realtà siciliana, e poco sicurava di comprenderla, anche se demagogicamente accarrezzava certi senti-menti popolari, con i blasfemi suoi omaggi alla fede cattolica; e, avendo men-talità di piccolo borghese settentrionale, non aveva compreso, nei moti diBronte ed altri, se -non l'attacco criminoso al diritto di proprietà, che glistava molto a cuore (vedi anche supra, nota 64). E questo fu ancora per moltidecenni l'atteggiamento del governo italiano,

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suoi modesti epigoni. I piemontesi varcarono il Tronto, senzasapere nulla del paese dove si introducevano. Peggio, eranostati informati dalla propaganda di fuorusciti astiosi, chedipingevano il regno come un abisso di feroce barbarie. Re-stavano sorpresi dalla diffidenza e dall'ostilità di popolazioniche vedevano in loro degli invasori stranieri, e non dei libera-tori, e quando il contegno della popolazione si volse, o parvevolgersi, ad atti di effettiva inimicizia, si comportarono come,cinquanta e più anni prima, gli uomini di Giuseppe Bona-parte. Niun soccorso ebbe il popolo dagli esuli rientrati, chetroppo dovevano allo straniero per avere innanzi ad esso au-torità e prestigio. Più, come le memorie del 1799 avevanoinfluito sulle speranze dei reazionari, così queste medesimesciagurate memorie svegliarono nei liberali paura ed odio ver-so il basso popolo, sostegno del trono e dell'altare, e li spin-sero ad eccitare la più rigorosa repressione. Il regno fu de-bitore dei suoi mali ben più agli unitari indigeni, troppo spes-so vili e faziosi, che non ai cosiddetti conquistatori piemontesi.

Al Governo italiano si può addebitare d'avere, all'inizio,identificato il problema del Mezzogiorno con quello del hri-gantaggio, cioè con un affare di grande polizia, e d'essersi di-sinteressato di molte altre e gravi questioni -- in parte tutto-ra insolute - quando il brigantaggio fu estinto. Ma non pos-siamo rimproverare agli uomini di quel tempo la mancanza disensibilità verso certi problemi sociali, che erano allora o ine-sistenti o malnoti, e non soltanto in Italia: il torto ricadesu generazioni più recenti, e certamente va diviso in partieguali tra le classi politiche del Mezzogiorno e del Settentrio-ne, niuna delle quali fu inferiore all'altra nel profittantismo.Nè possiamo giudicare con la mollezza «permissiva» dei no-stri giorni l'azione in cui il Governo italiano si impiegò perstroncare il flagello del brigantaggio, senza di che non vi

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sarebbe stata ne unità nè restaurazione, ma semplicemente ilprecipizio d'un terzo della penisola in un vortice d'anarchiacriminale (103).

Al punto in cui si era, nel 1860, non v'era altra via dapercorrere sino in fondo, se non quella della unificazione. V'èsolo da rimpiangere che quel regno, il quale solo in Italiaaveva, fin dal remoto medioevo, saputo superare il munici-palismo dovunque imperante (104) non abbia saputo poi svi-luppare da sè stesso l'energia unificatrice; e che, in defini-tiva, la classe politica dominante nell'Italia unita non sia statanemmeno quella del Piemonte aristocratico, militare e buro-cratico, ma sia stata fornita da quelle province del nord, incui frazionamento comunale e dominazione straniera aveva-no reso impossibile la formazione del sentimento dello Sta-to (105).

Ora, che il trascorrere d'oltre un secolo, e la scomparsa ditutti gli attori del dramma, ha raffreddato gli odi e gli amo-ri; ora, che più pacate ricerche hanno consentito di respinge-

(103) Le perplessità del Governo di Torino, e della luogotenenza che neera la longa manus in Napoli, risultano chiaramente dal libro del gen. Ge·nova Thaon di REVEL: l'A., che aveva esercitato le funzioni di direttore delMinistero della guerra in Napoli (fino al suo scioglimento, in agosto 1861)sembra animato da una sincera volontà di comprensione dell'elemento meri-dionale, e specie di quello ex-borbonico, di cui mostra più volte d'apprezzarela collaborazione. Gli stessi lodevoli intenti è giocoforza riconoscere a BIANCODI SAINT.JOROZ: il quale è però l'esponente d'una certa mentalità colonialista,alla cui base è una totale, sprezzante ignoranza d'uomini e cose dell'Italiameridionale, e perciò giustifica certe recenti «contestazioni» dell'Unità, comequelle d'ALIANELLo, a), e di GUECO.Vale tuttavia la pena di ricordare che lalegge repressiva, 15 agosto 1863, prende il nome dal deputato abruzzese Giu.seppe Piea, già condannato per i fatti del 1848, e graziato nel 1859 da Fer-dinando II; e ricalca puntualmente provvedimenti adottati, in analoghe cir-costanze, dal governo del decennio francese, e dal Governo borbonico (MOL-FESE, pp. 314 ss., ed in particolare pp. 323-324).

(104) CROCE,a), pp. 44 ss.(105) LANDI, b), pp. 556·557; c), p. 159.

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·64 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie ·13

re In soffitta i volumi, dove parole come «tirannide », « per-fidia », «ferocia », «rivolta », «eroismo », «martirio », ritor-nano ad ogni pagina, il Regno delle Due Sicilie può' essereconsiderato, non come una «forza reazionaria », ma comeuna componente dialettica dell'unità nazionale. Un grandepopolo non deve rinnegare nulla della sua storia, ma deve tut-to conoscere e meditare, per trarre insegnamento da quantodi bene è accaduto, ed evitare di ricadere in già commessi er-rori. Oggi, il popolo francese (da cui tanto, in un certo tem-po, apprendemmo: e non sempre di quanto eravi di migliore)tributa pari riverenza ai suoi re che costruirono anno per annola grandezza della Francia; agli uomini della Rivoluzione cheposero le basi d'un nuovo Stato e d'una nuova società; al-I'imperatore Napoleone che quei principi rese comuni all'Eu-ropa. In questa continuità della storia, è il cemento .dellanaZIOne.

. Perciò, l'esposizione, che abbiamo intrapreso, delle isti-tuzioni del Regno delle Due Sicilie tra il 1815 ed il 1861, nonvorrebbe essere un'arida rassegna di antiquitates, oppure unsussidio di notizie che' di solito non sono sviluppate nellastoria generale, bensì un contributo alla migliore conoscenzadei molteplici fattori, dalla cui fusione è sorta l'Italia d'oggi.

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CAPITOLO I

IL POTERE SUPREMO DI GOVERNO

I. PREMESSA

14. Le norme fondamentali nelle monarchie as~Qlute.In questo capitolo, vengono esaminate le norme concernentil'organizzazione ed il funzionamento degli organi supremidello Stato, la ripartizione e i modi d'esercizio dei poteri del-lo Stato stesso, ed i diritti fondamentali dei cittadini.

Se non temessimo, perciò, l'equivoco derivante da una tra-dizione politica e giuridica hisecolare, questo capitolo dovreb-be essere intitolato al diritto costituzionale del regno delle DueSicilie, perchè non altro è l'oggetto della disciplina che oggivien detta «diritto costituzionale» (l).

Tuttavia, se per « costituzione» si intende la legge fonda-mentale scritta in cui le dette norme sono contenute (2); perStato costituzionale quello fondato sulla divisione dei poteri,intesa come strumento di garanzia delle libertà individuali (3);

(1) ROMANO, a), p. 9.(2) Le costituzioni scritte si iniziano solo alla fine del secolo XVIII

(Stati Uniti d'America, 1787; Francia, 1791). Vedi GHISALBERTI, b), pp. 137 ss.(3) Déclaration des droits de l'homme et du citoyen, 26 agosto 1789, art.

16: e Toute société dans laquelle la garantie des droits n'est pas assurée, nila séparation des pouvoirs déterminée, n'a point de constitution ». È questa,come è noto,' la codificazione d'un celebre passo del MONTESQUIEU, I, p. 164:e Tout serait perdu si le meme homme, on le mème corps des principaux, oudes nobles, ou du peuble, exerçaient ces trois pouvoirs: celui de faire deslois, celui d'exécuter les résolutions publiques, et celui de juger les crimesou les différends des particuliers ».

5. LANDI • I.

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66 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 14

per «diritto costituzionale» la SCIenza giuridica della costi-tuzione come sopra intesa (4), è pacifico che il Regno del-le Due Sicilie, salvo nelle brevi parentesi del 1820-21 e del1848-49, e nei suoi ultimi giorni (dal 25 giugno 1860), non fuuna monarchia costituzionale, bensì una «monarchia assolu-ta» (5). E perciò, sebbene la dottrina odierna ben ci autoriz-zerebbe a trattare d'un diritto «costituzionale» della monar-chia « assoluta» di Napoli, preferiamo evitare l'anacronismo,ed intitolare questo capitolo così come l'avrebbe intitolato un

(4) E quindi, con la variabile estensione che deriva dall'ampiezza dellamateria compresa nell'una o nell'altra costituzione: BALLADOREPALLIERI,p. 134.

(5) Si ha la monarchia assoluta quando il supremo governo statale èconcentrato nel monarca (ROMANO,b), p. 146). Fu usata l'espressione c:mo-narchia amministrativa» (per primo dal BUNCH, b), p. 22) per indicare ilmetodo di governo di Luigi de' Medici (in particolare, tra il 1815 ed il 1820,ma anche tra il 1821 ed il 1830), fautore di un'autorità rigorosamente accen-trata, che perseguisse il bene pubblico osservando una perfetta imparzialitànei confronti dei partiti politici (c:il difetto del sistema », osserva il BUNCH,«sta nell'isolamento in cui lascia il governo, privo di ogni appoggio mo-rale :1». Dopo la repressione del moto costituzionale del 1820.1821, il Metter-nich tentò di orientare la politica del regno verso una forma di c:monarchiaconsultiva s, in cui certi corpi consultivi avrebbero dovuto parzialmente sod-disfare l'istanza diffusa verso la creazione di istituzioni rappresentative, ma- come si vedrà a proposito della Consulta (in/ra, § 69) - questo programmarimase sostanzialmente inattuato (LANDI,d), p. 299; GHISALBERTI,c), pp. 145 ss.).Negli autori del tempo è precisa la distinzione tra monarchia assoluta e monar-chia costituzionale; così Rocco, I, pp. 38-39: «La diversa distribuzione dei po-teri dello Stato determina la forma politica del Governo. Nella monarchiaassoluta tutti i poteri sono collocati nella persona del re, e però il potere le-gislativo e il potere esecutivo in lui sono riuniti. Nelle monarchie costituzio-nali, il potere legislativo siede nel re e nel parlamento nazionale, e l'ese-cutivo nel solo Consiglio di Stato» (cioè, nel Governo). Tuttavia, il Drxs, a),

II, p. 94, dice che la forma del Governo «si è conservata quale il fondatoredella monarchia Ruggieri la stabilì colla celebre costituzione scire volumus,pubblicata nel 1140; vale a dire monarchia moderata ereditaria ». Qui, mo-narchia moderata (o come altri dice, temperata) non equivale a c:monarchiacostituzionale» (come in ROMACNOSI,a), pp. 188 ss.), bensì «temperata da tra-dizioni o da consigli» (cfr. MAcAREL,pp. 57 8S.; PALMA,I, p. 317), o comun-que e autolìmìtata », in contrapposto al principato dispotico.

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14 Il potere supremo di Governo 67

cultore di diritto pubblico della prima metà del secolo scorso,al «potere supremo di governo» (6).

Resta fermo, comunque, che, indipendentemente dalla for-ma di Governo, e dall'apprezzamento politico su di essa, nonpuò esistere uno Stato privo di costituzione, e che la costitu-zione non può non essere giuridica, perchè si identifica conl'ordinamento: uno Stato non costituito, non avrebbe nem-meno un principio d'esistenza (7). È dunque possibile, in qua-lunque formazione politica, identificare le strutture fondamen-tali ed essenziali, su cui poggiano tutte le altre, e qualificarlecome « costituzionali» in senso materiale o sostanziale. La dif-ferenza tra il diritto «costituzionale» d'uno Stato assoluto, equello d'uno Stato «costituzionale », non è di natura, ma d'e-stensione: quando pure si ipotizzasse una monarchia che pra-ticasse il più sfrenato dispotismo, e la cui unica norma fossequod principi placuit legis hobet vigorem, questa massima a-vrebbe natura costituzionale (8).

Ma le monarchie assolute dell'Europa occidentale, dal me-dio evo ai nostri giorni, sono ben lungi dall'avere tanta illi-mitata autorità, ed il sovrano è condizionato da una rete diprivilegi, civili ed ecclesiastici, di ceti, di corporazioni, di isti-tuzioni, tra i quali si sviluppa un sottile e complicato giuoco(sol di tanto in tanto punteggiato da colpi di forza), in cuil'autorità regia si accresce appoggiandosi all'uno o all'altrogruppo, e questi si pongono in concorrenza tra loro per con-tendersi la posizione preminente (9). La più complessa e com-

(6) DIAs, a), II, pp. 75 ss.: CDel potere supremo del Governo del Regnodelle Due Sicìlìe », Questa parte del diritto pubblico viene detta anche «di.ritto politico s : MACAREL,pp. 1·3.

(7) ROMANO,b), p. 3.(8) ROMANO,b), pp. 34.(9) GHISALBERTI,a), p. 15: C Lo Stato assoluto tendeva alla eliminazione

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pleta storia d'una monarchia assoluta, quella del regno diFrancia, dimostra appunto, da Filippo Angusto, a Luigi XI, aLuigi XIV, l'azione del potere regio volta a ridurre le esorbi-tanze dei ceti e corpi privilegiati, elevando nel contempo apropri collaboratori i roturiers, finchè Luigi XIV giunge adidentificare l'autorità sovrana con lo Stato, cioè con l'interessegenerale (rEtaI c'est nwi) (lO). Ma tale identificazione, lungidal rendere effettivamente illimitato il potere regio, lo gravadi altre obbligazioni: dimodocchè la monarchia francese cadeallorchè non è più in grado di proseguire secondo la sua lo-gica plurisecolare, che consisteva nell'abbassare od eliminarele pretese surannées dei ceti privilegiati, e nel legalizzare gra-dualmente le aspirazione del terzo stato all'ascesa sociale epolitica (Il).

La monarchia borhonica, nel 1734, aveva trovato nel regnole istituzioni più volte centenarie, tramandatesi attraverso lemolte dominazioni, ed anche una feudalità, priva di mordentepolitico, ma ancora ricca di beni e di privilegi. La monarchia,forestiera in quel momento, ma volenterosa di divenire nazio-

di tutte le infrastrutture che si frapponevano tra la volontà sovrana del mo-narca e la generalità dei sudditi ~...

(IO) È di Luigi XIV la dichiarazione: «Le roi représente la nation touteentìère.; l>, e di Leopoldo II d'Austria quella: «le crois que le souverain, mèmehéréditaire, n'est qu'un délégué et employé du peuple ... ~ (JELLINEK, pp. 218·219).

(Il) È ben noto che alla vigilia della rivoluzione Luigi XVI non riuscìa superare l'opposizione sollevata dai Parlamenti, in nome delle «costituzionidel regno l>, a riforme finanziarie reclamate dall'opinione pubblica; che nel1781, quando i privilegi della nobiltà erano ampiamente discussi, I'aristocra-zia ottenne il ristabilimento delle prove di nobiltà per l'ammissione nellescuole militari e per la nomina diretta a sottotenente (GoDECHOT, pp. 117 ss.);etc. Mancò nel momento critico alla monarchia francese la collaborazione delceti privilegiati (la famosa notte del 4 agosto 1789, in cui l'assemblea nazio-naIe, col voto unanime della nobiltà, abolì il regime feudale, sembra un mo-vimento irrazionale di folla, per quanto folla aristocratica e parlamentare), el'energia per pretenderla.

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nale, era portatrice della più moderna concezione politica,quella del riformiamo illuminato. Nacque, perciò, libera daprecostituiti legami con i baroni del regno, e protesa ad attua-re, nell'eguaglianza, l'interesse di tutti (12). Questo spiega al·tresì come nel 1815 la restaurazione borbonica abbia potutofacilmente assimilare la legislazione del decennio, in cui tantaparte della tradizione della Francia monarchica era stata uti-lizzata.

Le norme fondamentali dell'ordinamento del Regno delleDue Sicilie non realizzano, dunque, uno Stato fondato sullasovranità popolare e sulle garanzie di libertà, ma nemmenoconfigurano una forma di dispotismo orientale, o un rigurgitodi medio evo. Esse sono «moderne» rispetto al loro tempo,nel senso che esprimono uno degli indirizzi politici emersidal congresso di Vienna del 1815, quello rimasto prevalentein Europa fino al 1848, e non del tutto scomparso nel 1860(13).Esse hanno acquisito il principio della divisione dei poteri, e

(12) CROCE,a), p. 138, rileva che la parte della nobiltà più gelosa deiprivilegi feudali seguì, all'estinguersi del ramo spagnolo della casa d'Austria,il partito austriaco; e che nel 174·1!'imperatrice Maria Teresa tentò di pro-curarsi il favore dei baroni contro il re Carlo di Borbone, promettendo laconferma o l'estensione di privilegi feudali. Naturalmente, come rileva ancheSCHIPA,I (nella premessa), un'indagine approfondita sulle origini della mo-narchia borbonica porta a sfrondarne la storia da molti elementi, tradizionalie sentimentali, che vi aggiunsero i napoletani orgogliosi della restituita mdi-pendenza (CROCE,a), p. 188). Ma un tale «ridimensionamento» della storia apo-logetica non significa che Carlo di Borbone ed i suoi ministri non abbianoseguito, pur con ritorni ed esitazioni, e tra notevoli difficoltà, una via diprogresso. Vedi anche BLUCHE,pp. 212·221.

(13) Nel 1815, avevano un regime costituzionale la Gran Bretagna, la Fran-cia, i Paesi Bassi, la Svezia, la Norvegia e la Svizzera. Seguirono il Baden(1818), la Baviera (1818), il Wiirtemberg (1819), il Belgio (1830), la Spagna(1834), il Portogallo (1834), la Grecia (1844). Gli Stati italiani si diedero tuttiuna costituzione nel 1848, ma la conservò solo il regno di Sardegna, divenutoregno d'Italia nel 1861. La Danimarca adottò il regime costituzionale nel 1849.la Prussia nel 1850. I'Auetrta-Ungberia nel 1867. la Russia nel 19Q5.

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quello dell'eguaglianza dei cittadini davanti alla legge; nonsono aperte al concetto di libertà, ma tutelano la proprietàe certi diritti individuali; non prevedono organi politici odamministrativi elettivi, ma non oppongono privilegi di nasci-ta a chi sia chiamato a partecipare all'esercizio dei pubblicipoteri, e consentono entro certi limiti l'autogoverno degli entilocali (in/ra, cap. IV). Di questo ordinamento, e della sua at-tuazione per il bene del popolo, è custode ed artefice il re.

Occorre aggiungere che la classe colta, tanto nelle provinocie di qua del Faro, quanto in Sicilia, conosceva non soltantol'opera del Montesquieu, ma anche, attraverso le frequentis-sime traduzioni di opere giuridiche francesi, di pratico inte-resse data la derivazione napoleonica della legislazione vigen-te nel regno dopo il 1815, il diritto costituzionale francese,quale risultava dalla Carta del 4 giugno 1814, e da quella del14 agosto 1830 (14). Si formava quindi una dottrina, che, seb-bene non potesse chiamarsi di « diritto costituzionale », e seb-bene normalmente fosse svolta in opere di diritto amministra-

(14) Vedi in PONTIERI,a). p. 231, il rapporto, 25 aprile 1838, del procu-ratore generale di Trapani, Pietro Calà Ulloa, al Ministro di grazia e giusti.zia: «I giovani perciò si istruiscono con tutti i libri che loro cadono nellemani, e per lo più di pessime versioni francesi. Da ciò la mancanza di prin-cipi, ed i germi delle false e pericolose dottrine. Perciocchè V.E. vorrà consi-derare che le opere di diritto francese han per fondamento l'ordine politicodi quel regno, sicchè le prime pagine di tutte le opere che vengono di Franciainstillano principi non consentanei alla tranquillità di questa ìsola s. Superoficiale e velleitaria sembra invece essere stata, in Sicilia, la conoscenza dellacostituzione britannica, malgrado i ripetuti richiami stranamente inseriti nelle«basi della Costituzione» del 1812 (art. IV, art. X) e nello stesso testo costi.tuzionale (capo XVII, n. 6; atto d'abolizione de' fedecommessi, n. 15; atto peril giudizio de' giurì, n. 6). Praticamente ignorata nel 1820 la Costituzione diSpagna, la sola che prescriva (art. 355) che «in tutte le università e stabili.menti di pubblica istruzione, dove s'insegnano le scienze politiche ed eccle-siastiche, si darà il primo luogo allo spiegamento della costituzione polttica a,Vedi inira, §§ 196 e 197.

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tivo, accoglieva ed applicava principi veri e propri di dirittocostituzionale (15).

15. N orme fondamentali dell' ordinamento del regno delleDue Sicilie. - La mancanza d'una carta costituzionale rendeevidentemente difficile stabilire quali principi o quali normedovessero dirsi [ondamentoli (16), nel senso che esse adempi-vano la funzione stessa delle norme costituzionali negli Staticosì denominati, ed in altri termini erano elementi costitutivid'una « costituzione in senso materiale» (17).

Sarebbe erroneo il metodo di chi volesse ricercare, nellalegislazione del Regno, quali tra le norme positivamente sta-bilite, o tra i principi pacificamente ammessi, corrispondesse-ro a norme o principi propri delle contemporanee costituzionidi altri paesi (o, peggio, di costituzioni d'epoca più moderna),ed in tal modo pretendesse di ricostruire l'ordinamento fonda-

(15) La sola opera post-unitaria che contenga un'esposizione generaleabbastanza completa ed obiettiva, anche se breve e meramente descrittiva, deldiritto pubblico del regno tra il 1815 ed il 1860, è quella di SCHUPFER.

(16) Per COMERCI,p. 122, sono leggi fondamentali quelle che e han peroggetto la distribuzione de' diversi poteri politici nella società da cui nasceil suo ordinamento civile>; per Rocco, I, p. 34, quelle che «determinano laforma del Governo e regolano ogni altra cosa riguardante lo stabilimento delloStato, come a dire la successione dei Principi al Regno>; per MANNA,p. 34«quelle norme generali che disegnano la forma politica d'uno Stato >, le qualiperò (p. 4041) «sono tardi e raramente formulate ed espresse, e per lungotempo rimangono come norme pratiche diretti ve dello Stato, e come presup-posto necessario e base di tutte le altre parti della legislazione> (il che, insostanza, significa che tali norme «fondamentali> possono essere non scritte).

(17) Sembra eccessivo dire, con GHISALBERTI,b), pp. 137.138, che il con-tenuto delle cosiddette norme fondamentali fosse «illusorio... non essendovialcuna procedura di natura costituzionale a garanzia della loro osservanza>.Certo, le norme fondamentali della monarchia assoluta potevano essere abro-gate o riformate dal re come qualsiasi altra legge. Ma i vincoli politici Iimi-tavano 'sovente il sovrano arbitrio: la leggerezza con cui Ferdinando VII rt-tenne, nel 1830, di potere modificare la legge di successione al trono, diedealla Spagna quarant'anni di guerre civili.

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mentale. n contenuto d'una carta costituzionale è sempre ilrisultato di scelte discrezionali d'un principe octroyant, o diun'assemblea costituente, dimodocchè, tolto un minimo di di-sposizioni, senza delle quali sarebbe impossibile parlare d'unordinamento politico, la normazione ivi contenuta è da tem-po a tempo e da luogo a luogo più o meno estesa, con unacorrelativa estensione o contrazione del settore dei rapportidisciplinati dal diritto costituzionale.

n metodo che ci si propone di seguire consiste piuttostonell'identificare i principi e le norme senza di cui il regnodelle Due Sicilie non sarebbe esistito, o sarebbe stato un entepolitico e giuridico del tutto diverso da quello che fu.

n regno delle Due Sicilie era, come dice il nome, unamonarchia, il cui capo aveva titolo di re.

Sarebbe però vano cercare una disposizione (quale si tro-va in tutte le costituzioni monarchiche del secolo scorso) chedichiari espressamente il re «capo dello Stato ». n re del re-gno delle Due Sicilie è sovrano «per grazia di Dio », cioè perun disegno provvidenziale, che il popolo deve accettare senzadiscutere. Poichè il fondamento del potere regio è di dirittodivino, e non si collega in modo alcuno alla volontà popolare,l'ordinamento giuridico del regno è esso stesso una derivazio-ne di quel potere, lo presuppone e non lo fonda, anche sene regola le singole manifestazioni. E poichè l'investitura re-gia discende direttamente da Dio, il re, teoricamente, riuniscein sè ogni potere, anche se, spontaneamente, possa dividerneo limitarne l'esercizio.

n re del regno delle Due. Sicilie era un re «legittimo»nel senso professato dal Congresso di Vienna del 1815, cioèun sovrano la cui potestà era sanzionata dal diritto pubblicoeuropeo, da tempo anteriore al 1792, anche se era stato tem-poraneamente spogliato dei suoi Stati dalla violenza della ri..

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voluzione e della guerra. Appunto, il preambolo della leggeorganica. del regno delle Due Sicilie, 8 dicembre 1816, ricor-da: «Il Congresso di Vienna, nell'atto solenne a cui dee l'Eu-ropa il ristabilimento della giustizia e della pace, conferman-do la legittimità de' dritti della nostra Corona, ha riconosciu-to noi ed i nostri eredi e successori Re del Regno delle DueSicilie», In questo modo, il regno si inserisce nel sistema con-tinentale europeo, congegnato dal principe di Metternich, evi si mantiene fedele, salvo i brevi intervalli costituzionali del1820 e del 1848, fino alla fine. Ma fu questa, in ultima anali-si, una causa d'immobilismo nella politica interna, e d'isola-mento nella politica estera, perchè il sistema del congresso diVienna entrò in crisi fin dal 1830, ed era praticamente finitonel 1859.

La monarchia napoletana era ereditaria nella real casa diBorbone, secondo la l. 6 ottobre 1759, confermata con l'art. 5l. .8 dicembre 1816, sostanzialmente ispirata alla cosiddetta«legge salica », considerata statuto di famiglia della detta ca-sa.ta legge del 1759 stabiliva, inoltre, la separazione perpetuadella monarchia di :Spagna dalla sovranità e domini italia-ni; .ed il re raggiungeva la maggiore età al compimento delsedicesimoanno (in/ra, § 24).

Nel re si riunivano i poteri dello Stato, cioè il potere le-gislativo, il potere .esecutivo,ed il potere giurisdizionale. V'erain dottrina qualche autorevole scrittore, che distingueva sol-tanto due poteri, il legislativo e l'esecutivo, e considerava ilpotere giudiziario una branca dell'esecutivo (18). Ma l'opinione

(18) Secondo il Rocco, I, pp. 30·31,«i poteri del Governo in due speciepossono andare partiti, in potere legislativo ed in potere esecutivo. li primocomprende la potestà di far nuove leggi, di correggere quelle già esistenti, edi abrogarle. Il secondo è diretto a porre in esecuzione le leggi già fatteapplicandole ai casi singolari. Or procedendo all'esame dell'indole vera del po-tere esecutivo, agevolmente si scorge andar esso div.is~ in tre branche div~r~e,

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parrebbe errata, anche rispetto all'ordinamento dell'epoca, per.chè il potere giudiziario era semplice applicazione della leggeal caso concreto, cioè esercizio d'attività vincolata, al contra-rio delle altre due «branche» dell'esecutivo (esecuzione dellenorme di diritto internazionale, e delle norme di diritto pub-blico interno) che implicavano l'esercizio di potestà discrezio-nale. Ed era tanto vivamente percepita la natura della discre-zionalità, che in essa ravvisavasi « quasi un esercizio di legisla-zione inferiore» cioè di legislazione del caso concreto (19).

La prima è quella concernente le cose regolate dal diritto delle genti, cheriguardano la sicurezza esterna dello Stato e le relazioni con gli altri Stati,e però questa parte del potere governativo si versa nell'esecuzione delle leggipubbliche internazionali. La seconda si fa a porre in atto e ad applicare ildiritto pubblico interno in uno Stato, quel diritto cioè detto anche ammini-strativo che tende a regolare i rapporti tra il Governo e i governati. L'nll-tima poi è limitata a provvedere all'esecuzione di quell'ordine di leggi chehanno in mira le relazioni che intercedono tra le singole persone, le qualicostituiscono il diritto privato ». Aggiunge il Rocco (I, p. 33): «Non è già chein ogni Stato esistano tre poteri distinti, ma invece questi poteri si distinguononel Governo unicamente per gli obbiettivi su dei quali si manifesta •.. La pote-stà inoltre di giudicare non può reputarsi come distinta dall'esecutiva, essendonella semplice applicazione delle leggi dirette a regolare le relazioni tra iprivati. Nè può dirsi che essendo il potere giudiziario presso le nazioni ìnci-vilite indipendente nei suoi giudizi allorchè esercita il suo ufficio, costituiscaun potere speciale, avvegnacchè questa sua indipendenza non può far che lanatura vera delle cose abbia ad essere alterata ». Secondo il COMERCI, p. 132,«la formula del comandiamo ed ordiniamo, che accompagna la promulgazione,è l'origine delle funzioni dell'ordine giudiziario e dell'ordine amministrativo;ivi è il punto onde emanano i rispettivi poteri d'esecuzione. L'autorità reale,prescrivendo l'esecuzione della legge, si dirige nel tempo stesso al giudiziarioed all'ordine amministrativo s , La bipartizione dei poteri è tesi accolta dalDIAS, a), I, p. 124, e II, p. 212, ed ancor più esplicitamente b), p. 349 (e ... nelloStato non vi sono tre poteri come falsamente ha voluto sostenere Montesquieu ...vi sono però tre istituzioni ben distinte, il Governo, cioè, l'amministrazione ela giustizia»). MANNA, p. 32, parla invece di tre poteri, distinguendo la so-vranità giudicatrice da quella esecutrice. Si noti che nel diritto francese I'esi-stenza del «terzo potere» è contestata non solo da scrittori antichi, comeMACAREL,pp. 32·37, ma anche da moderni: vedi, per esempio, BENOIT, pp. 285ss., che ritiene errata la corrente interpretazione del Montesquieu.

(19) Drxs, a), I, p .. 367: « ... quello che dicesi potere esecutivo non ìm-porta una esecuzione puramente e strettamente ll.V:lt«<t:i.ale,ma fiuttosto un~

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Del resto, come tra breve si vedrà, differiva profondamentel'esercizio dei poteri classificati nelle prime due «branche»dell'esecutivo, da quello del potere giudiziario.

Il re esercitava personalmente, direttamente e responsabil-mente, il potere legislativo ed il potere esecutivo, con l'ausiliodi corpi consultivi, cioè del Consiglio di Stato ordinario e delConsiglio dei ministri, organi politici (in/ra, §§ 27-29), non-chè del Supremo Consiglio di cancelleria (in/ra, §§ 66.68), epoi delle Consulte (in/ra, §§ 69.72), organi giuridico-ammini-strativi, e per mezzo dei ministri segretari di Stato negli af-fari di competenza dei rispettivi dicasteri. I ministri eranoscelti e revocati discrezionalmente dal sovrano, esercitavanole loro funzioni quali membri del Consiglio di Stato ordina-rio, e del Consiglio dei ministri, oppure individualmente qualicapi delle singole amministrazioni; dipendevano dal re ed era-no responsabili verso di lui (art. 15 reg. 4 giugno 1822). Èfacile comprendere quanto fosse delicata e difficile la posisio-ne d'un capo di Stato, che era contemporaneamente capo delproprio Governo, e che, lungi dall'essere protetto dalla respon-sabilità ministeriale, copriva, con la propria, la responsabilitàdei ministri (20).

Il potere giurisdizionale, nei giudizi civili e punitivi (21),era esercitato dal re, per mezzo di giudici da lui nominati;

serie d'interpretazioni ... Or chi dice interpretazione dice lavoro d'intelligenza ...per modo che l'amministratore assuma talvolta un tal quale esercizio di Iegi-slatura inferiore ... ~.

(20) Gli artt, 120 ss. Il.pp, prevedevano i reati di lesa Maestà, dei qualiil più grave era l'attentato contro la sacra persona del re. La sacertà della re-gia persona era, come è noto, un riflesso del diritto divino, espresso nellaformula «re ... per grazia di Dio» (PUMA, Il, pp. 374 58.). L'art. 63 Costo lOfebbraio 1848, definiva la persona del re «sacra ed inviolabile », secondo laformula derivata dai testi francesi, e riprodotta in tutte le costituzioni di quel.l'anno.

(21) L'art. 1 l. organica dell'ordine giudiziario, 29 maggio 1817, chia-mava la giustizia penale «giu.tizill punitiva» (idem, l'art. 1 l. 7 giugno 1819).

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cui ritenevasi conferita una delegazione perpetua ed irrevoca-bile (« giustizia delegata ») (22). I giudici collegiali, dopo treanni di lodevole esercizio, acquistavano l'inamovibilità dallefunzioni, ma non anche dalla sede (in/m, § 145). Purtroppo,la torbida siutazione dell'ordine pubblico, trovata dalla restau-razione borbonica nel 1815 (23), e poi gli avvenimenti politi-ci del 1820-1821, indussero il governo ad avvalersi, per lunghiperiodi, di Commessioni militari investite d'una competenzapenale d'eccezione; e se Ferdinando II restituì la giurisdizio-ne ai giudici ordinari (l. I" luglio 1846), talchè i processi po-litici peri tumulti del 1848-1849furono celebrati innanzi alleGran Corti speciali, questo stesso re, con r.d. 27 dicembre1858, ristabilì la competenza dei Consigli di guerra per i reaticontro la sicurezza dello Stato, abrogata solo col r.d. 30 giu-gno 1860 (in/ra, §§ 138 e 158).

Il «contenzioso amministrativo », cioè la giurisdizione su-gli «oggetti dell'amministrazione pubblica» (artt. 3 e 4 l. 21marzo 1817), era affidato ad organi suoi propri (in/ra, §§ 163ss.],' ed in esso permaneva parzialmente il sistema di «giusti-zia ritenuta» (24).

Il regno delle Due Sicilie era uno Stato unitario. La di-stinzione tra i reali domini di qua e di là del Faro (art. l l. 8dicembre 1816) era puramente amministrativa, nel senso cheunico era il governo, e che il suo potere supremo parimenti siesercitava su ambo le parti del regno. La l. 11 dicembre 1816

(22) MANNA, p. 39, il quale ulteriormente precisa (p. 344), che, al con-trario della delegazione amministrativa, che è per sua natura precaria e revo-cabile dal monarca, «la delegazione giudiziale, a considerarla da vicino, è im-propriamente chiamata con questo nome, e rappresenta piuttosto l,lP.I!. 4.~~\i~zione fondamentale di uffici nascente ~,a,l'indole della sovranità s-,

(23) Per tale periodo, CHURCH.

(24) MANNi\, p, 344. '

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non stabiliva un ordinamento speciale per la 'Sicilia, ma det-tava norme teoricamente applicabili tanto-nel continente quan-to .nell'isola, allorchè prevedeva che, residendo il re in unadelle due parti del regno, di qua o di là del Faro, fosse il go-verno locale dell'altra parte affidato ad un luogotenente gene-rale. In fatto, il re, dal 1815 al 1860, ebbe sempre la propriaresidenza in Napoli, e quindi la luogotenenza fu sempre in Pa-lermo, con che fu attuato, per i reali domini di là del Faro,un certo decentramento. Ma non esistevano in materia prin-cipi inderogabili, dimodocchè l'ordinamento della luogotenen-za, come pur quello del Ministero e real segreteria di Statoper gli affari di Sicilia, furono più volte mutati (in/ra, § 65);ed anche il principio di separazione degli impieghi (1. 11 .di-cembre 1816) non ebbe sempre vigore (in/ra, § 40). Dipende-vano parimenti da valutazioni discrezionali le differenze trala legislazione delle due parti del regno, specie nelle materieamministrative (25).

La legislazione del regno si svolse entro il quadro orga-

(25) .La diversità delle leggi trovava una certa radice nell'art. 12 l. 11 di.cembre 1816, il quale stabiliva che c finchè il sistema generale delltamminì-strazione civile e giudiziaria del nostro regno delle Due Sicilie non sarà pro·mulgato, continueranno in Sicilia tutti gli affari giudiziari ed amministrativiad avere quello stesso corso ed andamento che hanno avuto finora s , In seguito,il governo borbonico cercò progressivamente d'assimilare le istituzioni, talchèil PALMIERI,p. 306, protestava: «Non si è lasciato in Sicilia neppure il vestì-gio delle antiche istituzioni s , SCHUPFER,pp. 1129·1130,considera: c Raro fuil caso di una legge o di un decreto o di un rescritto emanati contemporanea-mente per ambedue i domini; più di frequente avveniva che leggi e decretie rescritti, limitati dapprima ai domini continentali, fossero dopo una provapiù o meno lunga estesi alla Sicilia; meno frequente l'ipotesi contraria. E dòdipendeva, a nostro avviso, dal fatto che per quanto si riferiva all'isola .leriforme trovavano per lo più un ostacolo nelle forme tradizionali radicatefortemente nelle abitudini e nella natura degli abitanti, ed abbisognavano quindidi uno studio più ponderato e di un lavoro più lungo, che frattanto le facevaprecorrere da altre riforme' nel continente ». Perciò, esattamente Cass., 30 Ciu.gno 1934, n. 2384, in Mass. giuro it., 1934, col. 525, voce c Usi civici », afferma

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nizzativo che abbiamo ora delineato, e che può considerarsiperciò una normativa «costituzionale» in senso materiale.

Più difficile è individuare situazioni giuridiche soggettive,la cui tutela fosse considerata necessaria, in modo da poterleassimilare ai diritti fondamentali riconosciuti dalle carte co-stituzionali.

È ovvio che un regime nel quale si riteneva che solo il re(o il suo governo) fosse giudice dell'interesse generale, nonpotesse riconoscere quelli che noi chiamiamo « diritti di liber-tà », cioè l'esistenza di settori incondizionatamente attribuitiall'autonomia dell'individuo, e cinti da barriere invalicabilida qualsiasi pubblico potere. Vale in sostanza il COncetto cheuna «libertà» non sottoposta a vigilanza o ingerenza gover-nativa, sia «licenza », biasimevole, corruttrice e dannosa (26).

La cosiddetta libertà di coscienza, la libertà di culto, la li-bertà d'insegnamento nelle materie che hanno attinenza allareligione, erano escluse dal carattere rigorosamente confessio-nale dello Stato, positivamente riaffermato dal concordato trail regno e la Santa Sede, reso esecutivo con 1. 21 marzo 1818,i cui artt. l e 2 stabilivano che unica religione dello Stato erala cattolica, e che l'insegnamento doveva essere impartito Inarmoma con essa.

Tale orientamento, del resto, era tanto radicato nella co-scienza comune, da venire riprodotto in tutte le effimere cartecostituzionali, che ebbero vigore nell'una o nell'altra partedel regno (27).

che reali rescriui contenenti disposizioni di massima non possono presumersiapplicabili in Sicilia, se non risulti da specifici elementi.

(26) Dus, a), II, p. 289, ha però cura di precisare che l'azione della po-lizia < si ferma e cessa, laddove pretenderebbe di giudicare delle segrete opi.nioni >.

(27) Art. 1 < basi Costo Sicilia >, 1812 (AQU.\RONE,D'ADDIO,NEGRI,p. 403);art. 12 Costo 1820; art. 3 Cost., 1848.

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Tutte le altre « libertà », come quelle atttinenti alla stam-pa ed alla diffusione di libri, periodici, disegni, fogli volanti,etc.; agli spettacoli teatrali; alla circolazione delle persone,etc., erano subordinate alla vigilanza del governo, secondoleggi e regolamenti, e quindi «libertà» assolutamente nonerano.

Non è però da credere che nell'ordinamento del regno siriconoscesse al re, o al governo, un potere tanto illimitato, daridurre i cittadini al livello di schiavi governabili per meroarbitrio delle autorità. Il regno si era sviluppato nel quadrodella civiltà romana e cristiana, aveva una grande tradizionedi studi giuridici, e si era ampiamente aperto alle idee d'e-guaglianza civile e politica provenienti dalla Francia. Perciò,può dirsi certo che la tutela di taluni interessi individuali fos-se considerato dovere dell'ordinamento, anche se non eranorigorosamente stabiliti l'estensione ed i limiti della tutela stes-sa. Nell'atto sovrano promulgato dal re Ferdinando IV il 20maggio 1815, da Messina, viene assicurata «la libertà indivi-duale e civile », si dichiarano le proprietà «inviolabili e sa-cre »; si dice che «le imposizioni saranno decretate secondole forme che saranno prescritte dalle leggi », che «il debitopubblico sarà garantito », e che «ogni napoletano sarà am-missibile agli impieghi civili e militari» (28). In sostanza, par-

(28) La 1. 24 marzo 1817, da cui (come si dirà in/ra, § 18) si desume lagerarchia delle fonti, non fa menzione degli «atti sovrani », dei quali, oltrequello citato nel testo, ed altri della stessa data, molti altri si possono ricor-dare: 18 gennaio 1848, che estende le attribuzioni della Consulta e dei Con-sigli provinciali; altro del 18 gennaio 1848, che ristabilisce la divisione degliimpieghi tra i domini di qua e di là del Faro; 29 gennaio 1848, che prean-nuncia la concessione della Costituzione; 28 febbraio 1849, che preannuncia lostatuto speciale per la Sicilia; 25 giugno 1860, che preannuncia il ristabili-mento del regime costituzionale. Il nome di «atto sovrano» era attribuito amanifestazioni solenni di volontà regia, pubblicate nella Collezione, qualchevolta di contenuto programmatico, e qualche volta (come i due atti del 18

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rebbe che siano assunte, come a quel tempo si diceva, quali« basi» o « massime» di governo, la tutela della libertà perso-nale (la specificazione «individuale e civile» tende certamen-te ad escludere le libertà collettive, come quella di riunione edassociazione, e le libertà politiche); della proprietà ed in gene-re dei diritti patrimoniali anche nei rapporto con lo Stato, (ilche si desume dal riferimento al debito pubblico e dalla riser-va di legge per le « imposizioni », cioè per le contribuzioni); edinfine dell'eguaglianza nell'ammissione ai pubblici uffici d'ognigenere. E, sebbene il detto atto sovrano non sia certo una 00-

stituzione, si può riconoscere che la legislazione successiva,se ebbe sempre un concetto piuttosto restrittivo di ogni speciedi libertà, non derogò mai dai principi d'eguaglianza civile epolitica, e fu sempre profondamente rispettosa della proprietàe degli interessi patrimoniali dei cittadini.

II. LE FONTI DEL DIRITTO

16. Il codice per lo regno delle Due Sicilie. - Le di-verse dominazioni, lungo i secoli .succedutesi nell'Italia meri-dionale ed in Sicilia, avevano determinato la sedimentazioned'un immenso ed eterogeneo materiale legislativo: leggi roma-ne, costituzioni, capitoli, prammatiche, reali dispacci, consue-tudini generali e locali, ed in Sicilia inoltre « sicule sanzioni»e « lettere circolari », secondo le enumerazioni contenute negliartt. 1 e 3 L 21 maggio 1819,che tolgono loro forza di legge

gennaio 1848) di contenuto precettivo, in materie che investivano, come allorasi diceva, le basi del governo, cioè gli indirizzi fondamentali polirico-legisla-tivi. L'atto sovrano 20 maggio 1815, citato nel testo, è il primo documento in-serito nell'unico volume della Collezione, concernente l'anno 1815. Esso diedeluogo, nel 1820, all'equivoco di chi ritenne, più o meno in buona fede, cheFerdinando IV, nel 1815, avesse promesso una Costituzione:' CORTESE,in' COL·

LETTA, a), III, p. 9 e p. 220.

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m coincidenza con l'entrata in vigore del «codice per lo re-gno delle Due Sicilie» (29).

In questa selva di norme, spesso viete ed oscure tantoda rendere talora discutibile se l'una o l'altra fosse in vigore,e la cui applicazione era resa ancor più ardua dal fenomeno,comune nei secoli di mezzo, della molteplicità delle giurisdi-zioni, si erano destreggiate generazioni di giureconsulti, i qua-li, malgrado l'irrazionalità d'un sistema che era la negazionedella certezza del diritto, avevano saputo mantenere, speciein Napoli, una fiorente tradizione giuridica (30).

(29) Secondo il Dtas, a), II, pp. 478 S8., le «leggi romane» che avevanoavuto vigore nel regno erano quelle comprese nella eompflazione di Giusti·niano, cioè il codice, il di gesto, le istituzioni, è le 98 novelle dell'Authenticum(SOLMI, p. 455), nonchè i libri [eudorum, c Costituzioni» erano le leggi deire normanni e svevi; «capitoli» le leggi dei re angioini. c: Prammatiche »erano le leggi c: più solenni» (DIAs, a), II, p. 482) dei re aragonesi, dei redella casa d'Austria, e dei re borbonici, fino al 1806. I «dispacci» erano attiemanati dai sovrani borbonici, fino all'anno 1806, i quali però contenevano sianorme giuridiche, sia decisioni speciali (nel qual caso, corrispondevano agliatti detti più tardi reali rescritti) dimodocchè era necessario indagare, voltaper volta, quale ne fosse l'efficacia (Rocco, I, p. 56). Il DIAs, a), II, p. 482, ri-corda inoltre, come parti dell'antico diritto nazionale, i riti della Gran Cortedella Vicaria, i riti e gli arresti della regia Camera della Sommaria, i capitoli,privilegi e grazie Iargiti al Regno, o alla città di Napoli, dai sovrani arago-nesi e da quelli di casa d'Austria. Aggiunge il DIAs, come «quasi che tuttele città, e fino i villaggi del regno, avevano le loro particolari consuetudini,non scritte ma tradizionarie»: tra queste, le più note erano quelle della cittàdi Napoli, e poi quelle di Bari; erano state pure pubblicate a stampa le con-suetudini di Monopoli, Aversa, Caiazzo, Capua, Gaeta, Amalfi, Catanzaro. InSicilia, dicevansi «sanzioni» gli alti con cui il re confermava i deliberati delParlamento, e «lettere circolari» i reali dispacci. Una codificazone privata(<< Codice Filippino », dal nome del re Filippo 111) era stata opera del reg-gente Carlo Tappia, ed altre ne erano state tentate senza successo sotto il re-gno di Filippo Vedi Carlo d'Austria (SCHIPA, I, pp. 49 ss.). Una imponentecompilazione, affidata nel 1742 da Carlo di Borbone ad una Giunta di giure-consulti (c: Codice Carolino s ), non ebbe mai la regia sanzione (SCHIPA,I1,pp. 131 ss.),

(30) Vedi, per esempio, in CENNI, l'appendice: Sulla importanza delle al-legazioni degli avvocati napoletani massime del secolo XVIII.

6. LANDI • I.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 1682

Fino agli ultimi anni del secolo XVIII, il problema centra-le del diritto pubblico interno concerneva i rapporti tra po-tere regio e feudalità. Diverso era stato però, rispetto ad esso,l'atteggiamento del pensiero giuridico napoletano e siciliano.In Napoli, l'orientamento dei giuristi era stato decisamenteantifeudale; non si dubitava che i diritti feudali fosseroderivazione dell'autorità sovrana, nè che essi incontrasseroun limite in certi diritti delle comunità; dimodocchè la Coro-na aveva trovato efficaci sussidi nella dottrina giuridica tuttele volte che aveva intrapreso la riduzione o soppressione diantichi privilegi, e l'azione riformatrice di Carlo di Borbone,continuata da Ferdinando IV agli inizi del suo regno, ne ave-va ottenuto l'autorevole plauso (31). Si tratta d'un pensieroche ravvisa nello Stato il motore del progresso civile, e chesi distaccherà dalla monarchia borbonica quando gli appariràtroppo timida e legata al passato: sosterrà così dapprima l'a-zione dei re francesi del decennio, ne continuerà gli sviluppisotto la restaurazione, inclinerà poi alle riforme costituzionali,e convergerà infine nello Stato liberale unitario, la cui piùalta espressione dottrinale sarà manifestata dall'abruzzese Sil-vio Spaventa.

Il foro di Sicilia propugnava, invece, le ragioni dei fenda-tari contro il governo, ed aveva escogitato la teoria della ori-ginarietà dei feudi siciliani, frutto, secondo tale dottrina, nondi concessione sovrana, ma d'una divisione inter pares traRuggero d'Altavilla ed i signori normanni, suoi soci nellaconquista dell'isola (32). In una tal posizione, peraltro, ladifesa del privilegio finisce per confondersi con il particolari-smo insulare, e sarà una, e non l'ultima, delle componenti

(31) ROMEO, b), pp. 40 88.

(32) PONTIERI, a), p. 19 e pp. 42 88.

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del costituzionalismo del 1812. Perciò, il pensiero giuridicosiciliano persisterà in una posizione antigovernativa, indipen-dentista od autonomista, ma più o meno retriva, finchè prevar-rà il filone democratico, appena manifesto nel 1812 e nel 1820,confuso e mal definito nel 1848.49, rapidamente trionfantenel 1860·61, convogliandolo, quasi senza residui, nel liberali-smo unitario.

Gli avvenimenti nel 1806, che avevano determinato ladivisione politica del regno di Napoli dalla Sicilia, impresseroall'uno ed all'altra una diversa evoluzione giuridica.

Nel continente, Giuseppe Bonaparte aboliva la feudalità(L 2 agosto 1806), introduceva il codice Napoleone (r.d. 21maggio 1808), e, sul modello della Francia napoleonica, sta-biliva l'organizzazione giudiziaria del regno (1. 20 maggio1808), istituiva il Consiglio di Stato (r.d. 15 maggio 1806)e la Corte de' Conti (r.d. 19 dicembre 1807), ordinava l'amoministrazione civile (1. 8 agosto 1806), con un fervore chetrovava consenziente la parte più colta ed evoluta della popo-lazione del regno.

In Sicilia, la feudalità fu abolita con l'art. XI delle «ba-si della Costituzione» del 1812 ( confermato dall'art. 9 1.11 dicembre 1816) ma il governo costituzionale, asservitoalle autorità inglesi d'occupazione, non fe' che aggravare, conabusi, arbitri e disordini, la situazione preesistente,

Pertanto, nel momento in cui la Sicilia di qua e di là delFaro si riuniva nell'unico regno delle Due Sicilie, la partecontinentale aveva istituzioni ispirate a schemi tanto modernied efficienti quanto quelli della Francia napoleonica, mentrele istituzioni insulari erano più o meno cristallizzate neglischemi del secolo XVIII. E non mancavano certo i «nostal-gici», che, come accadeva nel medesimo tempo negli Statisardi, avrebbero ben volentieri fatto tobula rasa delle novi-

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tà (33). Ma prevalse il consiglio di ministri illuminati, qualiLuigi de' Medici e Donato Tommasi, e perciò «allorchènel 1815 l'immortale Ferdinando riacquistò il suo regno, co-noscendo che le rivoluzioni e le guerre apportatrici d'indici-bili mali spesso sono causa di qualche utile istituzione, sideterminò di ritenere quelle che per l'esperienza di dieci annieransi riconosciute utili ai suoi popoli. S'indusse anche ilSovrano a ciò persuaso che la maggior parte delle istituzionimedesime traevano origine dall'ordinanza di uno dei suoipiù illustri antenati, Luigi il grande, o erano il risultamentodi quei progetti ch'egli medesimo avea ordinati ed accolti,e che avrebbe realizzato, se non sopravvenivano i disor-dini che afflissero l'Europa pel corso di venticinque anni epiù» (34). Con ciò, tuttavia, nasceva un altro ed opposto pro-blema. Non si trattava di risospingere i domini di qua del Faro« a ritroso degli anni e dei fati », ma, al contrario, di scrolla-re il sonno feudale della Sicilia, mal travestita in panni britan-nici dall'infelice costituzione del 1812, facendole seguire ilcammino medesimo tanto rapidamente percorso dai dominidi qua del Faro sotto il governo dei re francesi: ed in altritermini, doveva il Governo borbonico assumersi il compitoriformatore, divenendo esso stesso veicolo di quelle idee, dacui la Sicilia era rimasta quasi integralmente preservata.

Rimase quindi provvisoriamente in vigore, nei dominidi qua del Faro, il codice Napoleone, pur con alcune parziali

(33) ROMEO, b) pp. 59 ss.(34) Dtxs, a), I, p. 6. Queste espressioni rispecchiano l'opinione c colta ~

consolidatasi dopo quasi quarant'anni (1854) dalla restaurazione; ma non r'i-spondevano ad unanime convincimento nel 1815: tanto sono astiose le dispo-sizioni del 9 giugno 1815 (CORTESE N., in COLLETTA, a), In, p. 11) con cui si sta-biliva che c i tempi disgraziatissimi dell'invasione francese si designasserocon il termine: durante l'occupazione militare dei generali Giuseppe Bona-parte e Gioacchino Murat s.

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modificazioni, prima delle quali fu l'abolizione del divorzio(r.d. 13 giugno 1815), istituto particolarmente ripugnanteal costume nazionale (35), e -del matrimonio civile, al qualefu sostituito il matrimonio secondo i canoni del concilio diTrento, ferma la precedenza degli atti legali davanti all'uffi-ciale dello stato civile (r.d. 16 giugno 1815). E però, contutta sollecitudine (r.d. 2 agosto 1815) fu costituita la Com-missione per la redazione dei nuovi codici (36), e poco dopo(settembre 1815) quella per la redazione del codice penalemilitare (37). Il mandato conferito ai .commissari concernevala compilazione di «un completo corpo di diritto patrio, chefosse adattato all'indole dei nostri popoli, all'odierno statodella civilizzazione e che racchiudesse il grande oggetto dellasicurezza delle persone e della proprietà, prima base del si-stema sociale », perchè «l'ultima occupazione militare avevasottoposto i nostri popoli a leggi straniere non sempre corri-spondenti alle abitudini, alle idee religiose, alle passioni, aibisogni della nazione» (38). In fatto, l'ambizioso proposito dicreare un corpus iuris originale non ebbe seguito, ed i commis-sari seguirono abbastanza da presso il modello napoleonico,il quale, del resto, aveva formato oggetto d'una esperienza

(35) ASTUTI, p. 192.(36) La I sezione (leggi civili e di procedura civile) era composta da

Tommaso Caravita principe di Sirignano, Giacinto Troyse, Francesco Magliano,Domenico Criteni e Domenico Sarno; la Il sezione (leggi penali e di proce-dura penale} da Raffaele de Giorgio, Giuseppe Raffaeli, Niccola Nicolini, GianVittorio Englen; la 111 sezione (leggi commerciali) dal marchese Nicola Vi.venzio e da G. B. Vecchione, Vincenzo Lotti e Raffaele Tramaglia. CORTESEN., inCOLLETTA,III, p. 30, rileva che si tratta per la maggior parte di magistratidel tempo dell'occupazione militare. Su G. V. Englen, LOBSTEIN, a), pp. 217·223.

(37) La relazione sul Progetto di un Codice penale militare a S.A.R. ilPrincipe D. Leopoldo, presidente del Supremo Consiglio di guerra, 18 agosto1816, è opera del COLLETTA,b), I, pp. 367 ss,

(38) Così il preambolo del r.d. 2 agosto 1815.

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decennale, che consentiva di farne, con modesti adattamenti,un vero «corpo di diritto patrio ».

Il «Codice per lo Regno delle Due Sicilie» è, comunque,il più insigne monumento della legislazione borbonica e delpensiero giuridico meridionale. La Commissione espletò illavoro in circa due anni; il progetto fu quindi sottoposto al pa-rere della prima camera del Supremo Consiglio di Cancelle-ria (39); la 1. 26 marzo 1819 dispose l'abrogazione delleleggi della «occupazione militare », provvisoriamente in vi-gore, a decorrere dal l o settembre dello stesso anno, ed incoincidenza con l'entrata in vigore del Codice; infine la l. 21maggio 1819 dispose che dalla medesima data cessassero d'a-vere vigore tutte le norme anteriori al Codice, nelle mate-rie da esso regolate, con che era si perfezionata la fondamenta-le unificazione legislativa del regno.

Il Codice era diviso in cinque parti, ciascuna con una nu-merazione separata degli articoli in essa contenuti: leggi ci-vili, leggi penali, leggi della procedura nei giudizi civili, leggidella procedura nei giudizi penali, leggi d'eccezione negli affa-ri di commercio.

Le leggi civili comprendevano 2187 articoli, divisi in «di-sposizioni preliminari» (della pubblicazione, degli effetti edell'applicazione delle leggi in generale) ed in tre libri (dellepersone; de' beni e delle differenti modificazioni della pro-prietà; de' differenti modi co' quali si acquista la proprietà).È effetto delle tendenze reazionarie, prevalse dopo la re-pressione del moto costituzionale del 1820-21, la successiva1. 17 ottobre 1822, intesa ad agevolare l'istituzione dei maio-raschi, regolati dagli artt. 946 ss. Delle successive, non nu-merose norme modificative e integrative, si può ricordare la

(39) ASTUTI, p. 194.

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l. 31 gennaio 1843, che, integrando gli artt. 2075 ss., stabilìl'ordine di precedenza tra più compratori del medesimo bene,secondo la data della trascrizione; e la l. 13 febbraio 1856,riguardane la successione de' militari morti in serVIZIOsen-za eredi legittimi.

Le leggi penali comprendevano 470 articoli, divisi in trelibri: delle pene e delle regole generali per la loro applica-zione ed esecuzione; de' misfatti e de' delitti, e della loropunizione; delle contravvenzioni e della loro punizione. Fu-rono modificate ed integrate dalle Il. 4 giugno 1828, che mo-difica l'art. 412 dichiarando aggravati i furti commessi fuoridell'abitato e nelle case in campagna; 9 marzo 1835, perreati commessi negli ergastoli; 6 dicembre 1835, che, modi.ficando l'art. 407, aggrava le pene per talune ipotesi di furtoqualificato; 21 luglio 1838, sui duelli, che, non previsti co-me specifica ipotesi di reato nelle leggi penali, erano primaperseguibili soltanto se davan luogo a lesioni od omicidio;17 agosto 1838, e 14 ottobre 1839, per l'abolizione e la re-pressione della tratta dei negri.

Le leggi della procedura ne' giudizi civili comprendevano1117 articoli, divisi in nove libri: de' conciliatori, de' giudicidi circondario, de' tribunali civili, de' tribunali d'appello edelle Gran Corti civili, de' modi straordinari d'impugnarei giudicati e del ricorso per annullamento alla Suprema Cortedi giustizia, dell'esecuzione delle sentenze, diversi modi diprocedere, procedure relative all'apertura d'una successione,de' compromessi; ai quali seguivano alcune «disposizioni gene-rali ». I titoli XII, XIII, e XIV del libro VI furono poi so-stituiti dalla l. 29 dicembre 1828, sull'espropriazione forza-ta; l'art. 215, sulle forme delle testimonianze e dei giu-ramenti, fu modificato dalla 1. 20 agosto 1829; e l'art. 177dalla 1. r dicembre 1859, che prescrisse la comunicazione al

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pubblico ministero delle cause della dote, ancorchè fosseroautorizzate, ed il matrimonio fosse contratto in regime dotale.

Le leggi della procedura ne' giudizi penali comprendeva-no 645 articoli, divisi in «disposizione preliminari », ed intre libri: della istruzione delle pruove ne' processi penali;de' giudizi ordinari; di alcune procedure particolari, e deglioggetti comuni a tutti i giudizi penali. Le norme (artt. 553-554) sui giuramenti e le testimonianze furono modificate dàl-la citata L 20 agosto 1829; alcuni altri articoli furono modifi-cati con r.d. 21 giugno 1838; ed altri ancora relativi ai giu-dizi innanzi le Gran Corti criminali e speciali furono modifica-ti ed integrati con r.d. 12 dicembre 1850.

Le leggi d'eccezione per gli affari di commercio compren-devano 711 articoli, divisi in quattro libri: del commercio ingenerale, del commercio marittimo, de' fallimenti e delle han-cherotte, della giurisdizione commerciale. Erano integrate dadisposizioni d'eccezione per la città di Messina (1. 17 giugno1819, in relazione all'art. 656, comma 2), dove le senten-ze della Gran Corte civile in materia commerciale erano incerti casi non suscettibili di ricorso alla Corte suprema digiustizia. Le disposizioni sulle società furono modificate conr.d. 26 ottobre 1827, e 12 novembre 1831 (in/ra, § 141).

Lo Statuto penale militare (per l'esercito) fuappro-vato con l. 30 gennaio 1819, ed entrò in vigore dal JO giu-gno dello stesso anno (r.d. 5 marzo 1819). Comprendeva 515articoli, divisi in tre libri: della giurisdizione militare, dellaprocedura militare, de' reati militari e delle loro punizioni.Fu modificato col r.d. 25 febbraio 1836, che sostituì alla pe-na dei lavori forzati a vita (art. 367) quella dei lavori for-zati a tempo da 26 a 30 anni; e dal r.d. 25 gennaio 1842, che,nel caso di vie di fatto contro il superiore seguite da morte

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(art. 399), comminava la pena di morte da eseguire col lacciosulle forche, o' con fucilazione alle spalle come «infame».

Il corpus del diritto penale militare fu completato conl'approvazione (L 30 giugno 1819) dello Statuto penale perl'armata di mare (di 97 articoli) e dello Statuto penale pe'reati commessi da' forzati e loro custodi (di 59 articoli), in vi-gore dal I" settembre 1819 (r.d. 2 luglio 1819); più tardi, conL 29 maggio 1826, fu approvato lo Statuto penale pe' reati de'presidiari e loro custodi.

Infine, un'importante legge penale speciale è lo Statutopenale per le infrazioni delle ieggi e de' regolamenti sanitari,.approvato con L 13 marzo 1820, ed entrato in vigore dal I"maggio dello' stesso anno.

Naturalmente, un'opera di tali dimensioni, e tanto rapi-damente condotta a termine, non va esente' da mende. Ma,nel criticarla, occorre considerare il tempo e l'ambiente ovefu realizzata, e non pretendere di trovarvi concetti ed orien-tamentiche .maturarono solo ben più tardi nella coscienzacomune. Maggiore interesse può avere un veloce sguardoalle critiche dei contemporanei, di cui troviamo reco nelleopere del Blanch (40) e del Colletta (41).

Il Blanch, ammiratore della politica del Medici, muovesolo blandi e marginali rilievi: per cui, ovviamente, ogni difet-to rimane superato ed assorbito dal giudizio di sintesi, che

(40) BLANCH,b), pp. 47 ss.(41) COLLETTA,a), I1I, pp. 102 ss. Con r. 18 novembre 1837 fu costituita

una Commissione per la riforma del codice e della procedura penale militare,presieduta dal presidente dell'Alta Corte militare, ten. gen. Ferdinando Macry,e composta dall'avvocato generale della Corte suprema di giustizia, NicolaNicolini; del cav. Michele Agresti ; dei marescialli di campo Giovanni Statellac Roberto de Sauget; del brigadiere Giuseppe Ruffo; del colonnello La Spina,'e del cav. Ravell'i (D'AYALA,a), pp. 382·383). Questa riforma non ebbe .mai at-tuazione.

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«l'adottare come base il codice Napoleone, salvo parzialimodifiche, era riconoscere lo stato della società, rinunciareall'antico regime, rendere indispensabile ed inevitabile lo svi-luppo ed il movimento sociale nella nuova direzione, cambia-re il diritto pubblico già fondato sulle classificazioni sociali,stabilire il trono sulla base più larga e più solida dell'interessesociale, sostituire un re nazionale, rappresentante gl'interessigenerali, a un re feudale ».

La mentalità illuministica del Colletta lo induce, invece,a formulare varie critiche: la ristabilita indissolubilità del ma-trimonio, che « apporta nelle famiglie disonesti costumi e di-sperazione »; l'eccessivo accrescimento della paterna potestà;la conservazione dell'arresto personale per debiti; le asprepene per i reati di sacrilegio; la pena di morte distinta in quat-tro gradi di pubblico esempio; la mancata istituzione del « giu-rì », e le ridotte garanzie del procedimento penale; la man-cata distinzione tra il diritto penale militare di pace e di guer-ra, e la conservazione delle pene militari delle bacchette edel prolungamento del servizio. Ma, di tali rilievi, alcuni, co-me quelli relativi all'abolizione del divorzio ed al rafforza-mento della patria potestà, esprimono una opinione certamen-te non conforme al sentimento prevalente (42); l'arresto perdebiti sopravvisse, sia pure teoricamente, nella legislazioneunitaria, sino all'entrata in vigore dell'odierno codice civi-le (43); le norme penali sui delitti contro la religione espri-

(42) Si trattava, come è notorio, d'un sentimento non specificamente me-ridionale, bensì diffuso in ogni parte d'Italia; e ne sono prova gli insuccessidei progetti di legge sul divorzio, presentati dopo il 1848 nel regno di Sar-degna, e dopo il 1861 nel regno d'Italia, in regime di separazione tra Stato eChiesa (MARONGIU, pp. 499 ss.; JEMOLO, b), pp. 507 ss.), nonchè le vicende dellal. I" dicembre 1970, n. 898, «sulla disciplina dei csai di scioglimento del ma-trimonio ).

(43) L'arresto per debiti, contemplato dagli artt. 2093·2104 c.c. (r.d. 25giugno 1865, n. 2358), fu conservato, dalla l. 6 dicembre 1877, n. 4166, Iimita-

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mevano un certo stato d'animo ultra cattolico che si mani-festerà ancora clamorosamente, nella Francia tanto più in-cisa dal razionalismo, con la l. 15 aprile 1825 sul sacrilegio;la concezione dell'esemplarità della pena era largamente am-messa, e, ripugnando ormai la coscienza popolare ai raffina-menti di crudeltà, il supplizio circondava si di lugubri pompe;la giuria popolare sarebbe stata presumibilmente inattuabilein situazioni sociali quali si presentavano nella maggior partedel regno, fu introdotta col codice di procedura penale ita-liano del 1865, diede prova infelice, e soppressa col r.d. 23marzo 1931, n. 31, non è stata mai più ristabilita; la distin-zione tra i codici penali militari di pace e di guerra è stataintrodotta solo nel 1941; la pena delle battiure si trovava ingran parte degli eserciti europei, e fu conservata nell'eser-cito britannico sino alla fine del secolo XIX.

In sostanza, i rilievi del Colletta esprimono concetti pro-gressivi, ma è difficile considerarli attuabili, quando, comesi vede, precorrevano talora il proprio tempo d'un secolo epiù, e poco tenevano conto della realtà sociale. Del resto eglistesso riconosce che il codice civile fu peggiorato, ma che tut-tavia « quasi basta alla felicità sociale », e che il codice penaleera « di gran lunga migliore dell'antico »,

Il regno delle Due Sicilie fu, in conclusione, il primoin Italia che siasi dato una codificazione completa e moderna.Il Codice per lo regno delle Due Sicilie rimase in vigore finoal 1865; salvo le leggi penali, che, con talune modificazioni,furono sostituite dal codice penale sardo nel 1861 (r.d. 17

tamente ai debiti per risarcimento di danni e riparazioni derivanti da fattipuniti dalla legge penale, ed ebbe una singolare reviviscenza, proprio allavigilia dell'entrata in vigore del nuovo c.c. (r.d, 16 marzo 1942, n. 262) peropera della giurisprudenza in tema di danni da circolazione automobilistica.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 1792

febbraio 1861 per le provincie napoletane; r.d. 30 giugno1861· per ·la Sicilia).

17. L'unificazione della legislazione amministrativa dopoil 1815. - Parallela all'opera di codificazione, ma in granparte cronologicamente in anticipo su di essa, si svolse l'ope-ra unificatrice delle altre parti della legislazione. In partico-lare, le basi dell'ordinamento dello Stato furono poste tra il1815 ed il 1820, e le modifiche introdotte dopo il fallimentodel moto costituzionale di quell'anno, non vi apportaronoche secondarie variazioni.

La «legge organica del regno delle Due Sicilie », 8 di-cembre 1816, sanzionava l'avvenuta unificazione del regno, ela l. 11 dicembre 1816 dettava, correlativamente, le dispo-sizioni sulla luogotenenza da istituire nella parte del regnoove il re con risiedesse, e sulla separazione degli impieghi ci-vili.

Il r.d. 17 luglio 1815 sopprimeva il Consiglio di Stato,i~tituito d~ GiuseI!pe Bonaparte ad instar di quello francese,e la l. 6 gennaio 1817 ricostituiva il vecchio Consiglio di Statoborbonico, «prima dignità del regno », con funzioni di con-sulenza politica del Sovrano. La l. 20 dicembre 1816 stabilivale attrihuzioni del ministro cancelliere del regno delle DueSiéilie, e la 1. tO gennaio 1817 istituiva otto segreterie eministeri di Stato, ivi compresa la real segreteria e ministerodi Stato della Cancelleria generale del regno. Le attrihusìo-ni consultive giuridico-amministrative del soppresso Consi-glio di Stato erano trasferite, con l. 22 dicembre 1816, al Su-premo Consiglio di cancelleria. La l. 24 marzo 1817 stabilì la«regola uniforme nello andamento degli affari appartenentialle reali segreterie e ministeri di Stato ».

Il solo: effetto duraturo, nell'ordinamento giuridico, del-la parentesi costituzionale del 1820-1821, fu l'abolizione del-

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la Cancelleria generale del regno, e del Supremo. Consigliodi cancelleria [r.d. 22 luglio. 1820): tale abolizione fu reite-rata dal re Ferdinando. I con r.d. 29 marzo. 1821, dimodocchèessa non fu coinvolta nell'annullamento. di quanto. si era«fatto. Q stabilito. dal 5 luglio. 1820 al 23 marzo. 1821 », cioèdi tutti gli atti del go.verno. costituzionale (r.d. 6 aprile 1821).Più rilevanti furono invece gli effetti della reazione assoluti-stica. Quelli propriamente repressivi, che non erano. ancorvenuti meno. del tutto. dieci anni dopo, cioè quando. asceseal trono Ferdinando. II, e che continuarono a gravare negati-vamente sulla vita politica del regno. anche ben più tardi,qui non interessano. Va invece ricordato che le potenze riu-nite a congresso in Lubiana pretesero. dal re Ferdinando. II'adosione di provvedimenti, che dando. ragionevole soddisfa-zione a talune civili esigenze, servissero. a prevenire nuovi di-sordini. Volevasi, cioè, orientare il regno. verso. quel tipo. di«mo.narchia consultiva » che, nel pensiero. del principe diMetternich, avrebbe dovuto rappresentare l'equo. compromessotra I'assolutismo tradizionale, e le aspirazioni ad un regimerappresentativo. Torneremo in seguito. su questo. argomento(infra § 69). Diciamo. qui soltanto che dalla detta azione inter-nazionale trae origine il r.d. 26 maggio. 1821, «co.n cui ven-gono stabilite le nuove basi del Go.verno. ». In verità, coméabbiamo. avvertito. so.pra, queste « novità » erano. abbastanzamodeste ; ed il citato. decreto, per di più, non consisteva chein alcune disposizioni, come oggi si dice, « programmatiche »,la cui attuazione non fu nemmeno. completa, Il re, «coneul-tando i veri e permanenti interessi de' popoli dalla divinaProvvidenza affidatigli, e volendo dar loro uno. stabile governoatto. a garantire per sempre il riposo e la prosperità del [nostro]regno ; inteso. il parere di probi, saggi ed Illuminati- soggettiper dottrina e per esperienza », stabilì che gli affari sui quali

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 1794

dovevasi pronunciare il sovrano fossero riferiti in Consigliodi Stato ordinario, dai segretari di Stato, con l'interventodi non meno di sei consiglieri ministri di Stato senza dipar-timento (art. l r.d. cit.); che il Consiglio di Stato fossepresieduto da lui stesso, ed in sua assenza dal duca di Calabria,o da un ministro a ciò designato (art. 2); confermò la separa-zione della Sicilia, con l'istituzione d'un ministro segretariodi Stato per gli affari dell'isola, residente in Napoli (art. 3);previde la formazione di due Consulte di Stato, l'una in Na-poli, l'altra in Palermo (artt. 4-14); e promise l'emanazio-ne d'un regolamento per le nomine dei membri dei Consigliprovinciali e comunali (artt. 14-16).

Dal r.d. 26 maggio 1821 traggono quindi orrgme il reg.4 giugno 1822, che ordinò il Consiglio di Stato ordinarioed il Consiglio de' ministri, ed istituì (art. 14) la carica dipresidente del Consiglio de' ministri con le attribuzioni del-l'abolito ministro cancelliere, ed il r.d. 15 ottobre 1822,istitutivo della real segreteria e ministero di Stato della Pre-sidenza del Consiglio de' ministri. Peraltro, come si vedràa suo luogo (infra § 69), le Consulte istituite con 1. 14 giu-gno 1824, residenti in Napoli, più che dar vita alle Consul-te previste dal r.d. 26 maggio 1821, furono una replica del sop-presso Supremo Consiglio di cancelleria, e solo col r.d. 27 set-tembre 1849 furono divise nelle Consulte di Napoli e di Paler-mo. Con l'art. 29 1. cito fu soppresso il Ministero per gliaffari di Sicilia, delle cui alterne vicende diremo altrove (in-fra, § 65). Nessuna innovazione, infine, fu realizzata per lenomine dei consiglieri provinciali e comunali.

In questo quadro si collocano le principali leggi costituti-ve del diritto pubblico del regno, in parte anteriori, in parteposteriori all'anno 1821. E tra le prime, sopravvissero finoal 1860, con modeste integrazioni e modificazioni (il che, pe-

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raltro, finì per dare alla vita amministrativa un eccesso d'im-mobilismo) la l. 12 dicembre 1816, sull'amministrazione ci-vile; la l. 21 marzo 1817 sul contenzioso amministrativo, conla relativa legge di procedura, 25 marzo 1817; le Il. 29 mag-gio 1817 e 7 gennaio 1818, istitutive delle Gran Corti de'conti di Napoli e di Palermo; le leggi organiche dell'ordinegiudiziario, 29 maggio 1817, per i domini di qua del Faro, e7 giugno 1819, per la Sicilia; la legge sulla contribuzionefondiaria (r.d. lO giugno 1817); la l. 30 gennaio 1817 sullatassa di bollo; la l. 21 giugno 1819, sulla tassa del registro;ed altre ancora. La produzione legislativa riprende abbastanzafluente qualche anno dopo il 1821; ma tende ad inaridirsidopo la nuova crisi del 1848-1849 (supra, § Il).

Deve essere, infine, riconosciuta come benemerenza delgoverno borbonico - malgrado l'impopolarità che ne otten-ne in Sicilia, e la rozza incomprensione dell'opinione pubbli-ca liberale - essersi accinto a costruire un moderno Stato uni-tario, con la fusione d'un territorio che alle riforme era statotrascinato dalla conquista militare straniera, e d'un altro, cheappariva diffidente e refrattario ad ogni novità. In Sicilia,si incontravano ostacoli in ogni sorta d'interessi e di privile-gi. Per quanto, contro ogni logica, si fossero istituite due Cortisupreme di giustizia, l'una in Napoli, l'altra in Palermo (44),

(44) Osservava giustamente il BLANCH,b), p. 52, che c:l'avere stabilitouna Cassazione anche in Sicilia prova cbe non si capÌ la forza dell'istituzione >.Infatti, scopo istituzionale di tale organo è l'unità della giurisprudenza (SUTA,p. 801) e la pluralità si afferma solo per considerazioni politiche: così, conl'unità d'Italia furono mantenute le Corti di Torino, Firenze, Napoli e Paler-mo, ed aggiunte le sezioni di Roma, fino al r.d. 24 marzo 1923, n. 601, cheattuò l'unificazione; ma la tendenza pluralistica era riapparsa, tra il 1945 edil 1947, durante i lavori dell'assemblea costituente (GUNNATI'ASIO,p. 195), efu accolta (anche se rimase inattuata) nell'art. 23 dello Statuto della Regionesiciliana (r.d.Lvo 15 maggio 1946, n .455). Vedi anche in/m, §§ 134 e 135.

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Lstitusioni del Regno delle Due, Sicilie 1796

la capitale' insulare mal' tollerava la perdita del monopoliodei tribunali, per cui veniva equiparata agli altri capiluoghidi valle (45). In particolare, l'estensione delle leggi ammini-strative avvenne con molte cautele. La legge sull'amministra-zionecivile 12 dicembre 1816, e quelle sul contenzioso ammi-nistrativo del 21 e 25 marzo 1817, furono estese integral-mente alla Sicilia soltanto col r.d. 7 maggio 1838, con cui veni-vano abrogate le disposizioni transitorie del r.d. Il ottobre1817, ed altre leggi speciali anteriori .. In altri casi, venneroadottate leggi diverse per i domini di qua e di là del- Faro(anche se sostanzialmente analoghe, come quelle ricordate,sulle due Grandi Corti de' conti e sull'ordine giudiziario). Ilfenomeno più singolare è quello verificato si per la leva mili-tare (in/ra, §§ 88 ss.): il tentativo fatto nel 1819, di darvi at-tuazione secondo il r.d. 6 maggio 1818, creò un'ondata dipericoloso malcontento (46); la leva fu abolita nelle due par-ti del regno col r.d. 26 maggio 1821; ristabilita col r.d. 28febbraio 1823, nè queste disposizioni, nè quelle del r.d. 19marzo 1834, ebbero mai applicazione in Sicilia, la cui popola-zione rimase sottratta al servizio militare obbligatorio (47).

Di conseguenza, nelle materie di legislazione amministra-tiva, occorre avere presente che non vi fu completa unifor-mità tra le due parti del regno, e bisogna accertare, caso percaso, se e quando una determinata legge sia stata estesa allaSicilia, o se non vi fossero disposizioni speciali per i realidomini di là del Faro: fenomeno che si è riprodotto ai nostrigiorni, con l'introduzione dell'ordinamento regionale.

(45) ROMEO, a), p. 162.(46) ROMEO, a), p. 12; supra, Introduzione .nota (29).(47) COMERCI, p. 96. Dopo l'unificazione, il fenomeno della renitenza rìma-

se per molti anni diffuso (COLAJANNI, p. 119).

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Questa particolarità, insieme con la frammentarietà e va-riabilità propria di tutte le legislazioni amministrative, rendemeno agevole la consultazione delle leggi del regno. E già siponeva a quel tempo il problema della codifìcazione del dirittoamministrativo, ma lo si risolveva in senso negativo, con un'ar-gomentazione che tuttora si suole ripetere: « ... poichè i bi-sogni della società sono assai .molto svariati e mutabili, cosìspesse volte debbonsi modificare le disposizioni delle leggiamministrative destinate a regolarli; e perciò mal si potrebbeil diritto amministrativo d'uno Stato recare a tale unità damanifestarlo sotto forma di codice» (48).

.Trattavasi, comunque, d'un corpus insigne di Iegislazio-ne,' che andò' arricchendosi negli anni successivi, con buonatecnica, anche se 'con eccessive cautele e diffidenze. Ed il go-verno borbonico, oltre le intenzioni e contro le intenzioni'(sic vos non vobis...), recò un efficace contributo alla futuraunificazione italiana. Il popolo di qua e di là del Faro cono-sceva ed applicava un medesimo sistema di diritto, cioè queldiritto amministrativo di radice franco-napoleonica, che rap-presentava il sistema più evoluto del continente europeo, e cheera noto e diffuso in tutta la penisola (49). La legislazioneunitaria del 1865 non era che la variante piemontese delmedesimo sistema, liberalizzata dopo il 1848, ed era perfetta-mente comprensibile dai giuristi meridionali. L'unità del pen-siero giuridico era si formata, ben prima dell'unità politica.Vero è però che, concorrendo la presunzione dei piemontesicon la faziosità e l'astrattismo illuministico dei liberali del'Meridione, la legislazione amministrativa delle Due Sicilie

(48) Rocco, I, p. 38. La difficoltà di ridurre ad ordine logico le diverseparti della legislazione amministrativa è rilevata anche dal MANNA, p. 55.

(49) GHISALBERTI. a), pp. 41 S8.; LANDI, b), p. 564. .

7. LANDI • I.

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fu solo in minima parte utilizzata dal legislatore italiano, ecadde rapidamente in oblio.

18. La gerarchia delle fonti. - La gerarchia delle fontidel diritto risulta sostanzialmente dalla 1. 24 marzo 1817,«che prescrive una regola uniforme nello andamento degliaffari appartenenti alle reali segreterie e ministeri di Stato »,sebbene tale legge (integrata da un regolamento della stessadata, «portante disposizioni a regolare le forme de' realirescritti, degli ordini del luogotenente generale e delle letteredi officio de' ministri »), sia direttamente intesa a disciplina-re l'uso delle «forme », già stabilite per le leggi e decretidalla 1. 20 dicembre 1816 «relativa alle attribuzioni del mi-nistro cancelliere », e ad integrare la normativa per gliatti da tale legge non previsti.

La forma della legge era prescritta « in tutti quei casi, ne'quali le disposizioni che noi emaneremo, riguarderanno unoggetto qualunque generale» (art. l, 1. 24 marzo 1817).Ma, poichè l'art. 2 stabiliva la forma del decreto «in tutti queicasi, ne' quali determineranno il modo di esecuzione delleleggi, l'applicazione e lo sviluppo de' principi fissati nellemedesime », pare evidente che la forma di legge era neces-saria nel concorso di due presupposti: la generalità e la no-vità della disposizione. Le leggi costituiscono il massimo gradonella gerarchia delle fonti, in quanto «stabiliscono le regolefondamentali su ciascuna materia, e determinano le forme es-senziali » (50).

La dottrina distingueva le leggi organiche amministrati-ve «costitutive dell'autorità », dalle leggi la cui esecuzioneera affidata all'amministrazione; contrapponeva alle leggi Ion-

(SO) DlAs, b), p. 418.

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Il potere supremo di Governo 9918

damentali, cioè «invariabili ed il cui potere è di tutti i tem-pi », quali i codici, da una parte le leggi «regolamentarie »,cioè di esecuzione, variabili secondo i tempi e le circostanze, edall'altra le leggi locali, e quelle temporanee, valide per uncerto luogo o per un certo tempo. Si distinguevano ancora,secondo l'oggetto; le «leggi politiche », regolanti il Governoe l'esercizio dei diritti politici; le «leggi amministrative », chene sono lo sviluppo e la necessaria conseguenza; le leggi civili,le leggi penali; e poi le leggi rurali, finanziere, militari, ma-rittime (51). Beninteso, si tratta di classificazioni didattiche,non implicanti alcun rapporto di gerarchia tra una classee l'altra di leggi, il cui solo interesse sta oggi nella constata-zione della ricchezza della produzione normativa.

La forma del decreto (art. 8 1. 20 dicembre 1816) eraprescritta (art. 2, comma 1, l. 24 marzo 1817) per gli attisovrani che determinano «il modo d'esecuzione delle leggi,l'applicazione e lo sviluppo dei principi fissati nelle medesi-me »; e fu in seguito utilizzata per i «regolamenti generali»approvati dal re nel Consiglio di Stato, secondo l'art. 3 reg. 4giugno 1822, relativo all'istituzione del Consiglio ordinario diStato e del Consiglio dé' minisri (52).

A ben vedere, la forma del decreto copriva due categoriedi fonti: l'una, legislativa; l'altra, regolamentare, che teori-camente era bene individuata.

I decreti previsti dall'art. 2, comma 1, erano certamenteatti legislativi, ed anzi ben poche sono, dal 1815 in poi, leleggi, e la massima parte della legislazione del regno è contenu-ta in reali decreti. A rigore, la formula dell'art. 2, comma 1,configura tali decreti come fonti subordinate, anche se certa-

(51) Dus, b), pp. 417 ss.(52) Dus, a), II, p. 489.

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me~te la possibilità che esse contengano «lo sviluppo dei prin-cipi fissati» nelle leggi non consente di circoscriverne il con-sentito contenuto a mere norme d'esecuzione e d'attuazione.Ma in un ordinamento nel quale si diceva non esservi « altrasuprema autorità legislativa che quella del Monarca; essa è as·soluta, ed in qualunque modo faccia egli conoscere la suavolontà debbono i sudditi obbedirvi» (53) non poteva esi-stere un controllo sulla legittimità delle forme adibite. Infatto, i decreti contengono spesso disposizioni che non facil-mente si possono ricondurre a semplici sviluppi di principistabiliti in leggi formali, e regolano la materia in modo quasiinteramente autonomo, dimodocchè si deve concludere che ladiscriminazione tra le norme che dovevansi introdurre nellalegge, e quelle che potevano formare oggetto di successivi de-creti, non rispondeva a criteri rigorosi, bensì semplicementeindicativi.

I regolamenti invece, pur promananti dal re, erano mani-festazioni del· potere esecutivo, e non del potere legislativo. IlGoverno, si diceva (54), non deve togliersi «la facoltà di ri-mediare ai bisogni impreveduti, e di facilitare l'esecuzionedelle leggi, senza rischio di compromettere l'ordine e la sicu-rezza pubblica; quindi i decreti sono atti d'autorità, e le leggisono l'espressione della volontà pubblica». Ed ulteriormenteveniva precisato che «i regolamenti di amministrazione pub-blica in generale non sono atti del potere legislativo, non po·tendo stabilire norme nuove e diverse da quelle contenutenelle leggi, ma sono atti del potere esecutivo, e solo applica.no ai singoli casi le disposizioni generali e le intenzioni sover-chiamente oscure delle leggi» (55).

(53) Dus, a), II, p. 489.(54) Dus, b), p. 418.(55) Rocco, I, p. 299.

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Era dunque affermato in dottrina che la legge era fonteprimaria di diritto, ed il regolamento fonte secondaria, ad essasubordinata (56). Ma non è ben chiara la distinzione tra i de-creti legislativi ed i regolamenti generali, in cui talora si trova-no frammiste norme che potrebbero riferirsi all'una ed all'al-tra fonte, E, d'altra parte, per le stesse ragioni sopra rilevate,l'affermazione sembra permanere teorica, ed è certamenteriflesso del diritto costituzionale ed amministrativo francese,tanto ben noto ai giuristi napoletani, perchè non risulta chemai, dinanzi alle autorità giudiziarie o a quelle del contenziosoamministrativo, sìasi fatta questione della legittimità di nor-me regolamentari approvate con real decreto, e lo stesso con-cetto di «disapplicazione» della norma regolamentare èignoto.

La citata 1. 24 marzo 1817 regola anche le forme di altriatti del sovrano, che non hanno contenuto normativo.

L'art. 2, comma 2, prescrive la forma del decreto per l'ele-zione '(nomina) dei funzionari pubblici scelti dal re, per ledispense di legge, per la concessione di grazie qualunque siala di loro specie e natura, per le autorizzazioni di pagamentida farsi per oggetti non espressi nei rispettivi stati discussi(bilanci preventivi) delle reali segreterie e ministeri di Sta-to, o per inversione di fondi degli stessi stati discussi a tenoredegli stabilimenti della real tesoreria. Si tratta di atti di go-verno, riservati alla competenza esclusiva del sovrano (57).

L'art. 3 disponeva ancora che «tutte le altre nostre sovra-ne decisioni, che non apparterranno alla classe delle leggi ede' decreti, saranno annunziate nel nostro real nome da'

(56) In tema d'usi civici, la Cass., 11 novembre 1954, n. 4213, in Mass.giuro it., 1954, col. 951, ha rilevato che la legge non poteva essere modificata daun regolamento, tanto durante il decennio francese, quanto durante la restau-razione borbonica.

(57) Per le dispense, injra, § 29 e nota (92).

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nostri segretari di Stato, ed assumeranno il nome di reali re-scritti ». Questi rescritti, la cui forma è minuziosamente re-golata, fin nell'uso d'un certo tipo di carta, dal regolamento24 marzo 1817, erano in sostanza dei messaggi, indirizzatiad un'autorità del regno, cui la volontà sovrana veniva comu-nicata «nel real nome» dal ministro competente (58). Essi,adottati previa discussione in Consiglio di Stato, e spesso pre-ceduti dal parere dei supremi organi consultivi, avevano ilpiù vario contenuto come atti di governo o atti amministrati-vi; o anche di atti di giurisdizione in sede di giustizia ritenuta,cioè di contenzioso amministrativo. Non di rado avevano in-teresse generale, in quanto contenevano istruzioni e chiarimen-ti circa l'applicazione e l'esecuzione di leggi e decreti, rispostea quesiti, risoluzione di conflitti di attribuzioni o di giu-risdizione etc. Perciò, venivano spesso pubblicati a stampa,e costituivano una vera e propria giurisprudenza amministra-tiva (59).

Va infine ricordato che il diritto canonico era legge delregno nei casi In cui vi facesse rinvio il concordato reso ese-cutivo con l. 21 marzo 1818, oppure altra legge dello Stato(per esempio, l'art. 67 Il. cc., secondo cui «il matrimonionel regno delle Due Sicilie non si può legittimamente cele-brare, che in faccia della Chiesa, secondo le forme prescrittedal Concilio di Trento») (60), e che pacificamente il regno,

(58) La formula conclusiva non -è uniforme. La pru comune pare: «Nelreal nome partecipo a V.E. (o «le partecipo ») questa Sovrana risoluzioneperchè si serva farne l'uso conveniente », ma ve ne sono che contengono pre-scrizioni varie (per esempio, di restituire gli atti a chi di dovere, etc.),

(59) Moltissimi rescritti sono pubblicati da PETITII e da DIAs, a) e cl,nonchè da altri autori. In COMEReI,pp. 413·689, è inserito un Florilegio, cheè in sostanza un repertorio alfabetico di materie amministrative, contenentenumerose massime di resczitti. Vedi anche SABINI;e GHISALBERTI,c), p, 112.

(60) Il DIAs, a), Il, p. 487, avverte che vi sono leggi canoniche, «le qualiDon han mai potuto essere in uso nel nostro regno ».

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come elemento della comunità internazionale, SI consideravaobbligato dai principi del diritto delle genti (vedi, per esem-pio, gli artt. 9 ss, n.cc.) (61).

19. L'efficacia delle norme. - La forma delle leggi edei decreti era stabilita dalla citata l. 20 dicembre 1816, rela-tiva alle attribuzioni del ministro cancelliere.

Tanto alle leggi, quanto ai decreti reali, era premesso ilnome ed il titolo del re, così come stabilito dall'art. 2 l. 8dicembre 1816.

Nelle leggi (artt. 1-4 1. 20 dicembre 1816) al titolo re-gio seguivano le indicazioni: «udito il nostro Consiglio diStato », ed eventualmente, quando il progetto era propostoda un ministro: «sulla proposizione del nostro segretario diStato ministro di...»; quindi la formula della sanzione (« ab-biamo risoluto di sanzionare e sanzioniamo la seguente leg-ge »); il testo della legge, spesso preceduto da un brevepreambolo per chiarire le intenzioni del legislatore (62), sud-diviso in articoli contrassegnati con numeri arabi, e, nelleleggi più complesse, anche in libri, titoli, capi e sezioni, conl'indicazione del relativo argomento; infine si apponeva laformula della promulgazione: «Vogliamo e comandiamo, chequesta nostra legge, riconosciuta dal nostro segretario di Statoministro di grazia e giustizia, munita del nostro gran sigillo

(61) Dns, a), II, pp. 100 88.

(62) Tali preamboli (premessi anche a decreti) sono, qualche volta, dimera forma (per esempio, nella l. lO gennaio 1817, sull'ordinamento dei mini.steri, «considerando quanto interessi al pubblico bene l'ordine e la giustadistribuzione degli affari e delle incombenze delle nostre reali segreterie eministeri di Stato s}; ma altre volte suppliscono all'assenza di pubblicità dei la.vori preparatori. Si veda per esempio il diffuso preambolo del r.d, 11 gennaio1831 «portante una nuova ritenuta sui soldi, e sulle pensioni, e la diminuzionedi metà del dazio sul macino» (in/Ta, § 41).

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104 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 19e contrassegnata dal nostro segretario di Stato ministroean-celliere e registrata e depositata nella cancelleria generale delregno delle Due Sicilie si pubblichi con le ordinarie solennitàper tutto il regno per mezzo delle corrispondenti autorità, lequali dovranno prenderne particolare registro ed assicurar-ne I'adempimento.: Il nostro ministro cancelliere del regnodelle Due Sicilie è particolarmente incaricato di vegliare allasua pubblicazione ». Dopo l'entrata in vigore del r.d.)5 ot-tobre 1822, la menzione del ministro cancelliere e della can-celleria generale del regno è sostituita da «nostro Consiglie-gliere Ministro di Stato presidente del Consiglio de' Ministri »,e da «real segreteria e ministero di Stato della Presidenza delConsiglio de' ministri ».

La sanzione rappresentava la manifestazione della volontàsovrana, ed il re poteva discrezionalmente accordarla o ricu-sarla ai progetti di legge sottopostigli nel Consiglio di Statoordinario. La promulgazione era necessaria perchè la legge di-venisse obbligatoria, le attribuiva la forma esteriore, e le .con-feriva autenticità (63).

Alla formula della promulgazione, seguivano .la firma delsovrano, quella del ministro di grazia e giustizia, che« rico-nosceva» la legge e quella del ministro cancelliere (poi, delpresidente del Consiglio de' ministri), che vi apponeva .il·gran sigillo (portante lo stemma dello Stato, circondato dalnome e dal titolo del sovrano regnante), e conservava nelproprio ufficio l'originale (artt. 7-8, 1. 8 dicembre 1816;

(63) COMERCI, p. 129: « ....la sanzione è. un atto sovrano libero dell'auto-rità reale, che ben può rifiutarla o accordarla come lo crede ... Non è lo .stessodella promulgazione, la quale è necessaria perchè divenga obbligatoria. La.promulgazione è la forma esteriore della legge. Non la crea, nè le aggiungecosa alcuna, .ma le dà il suggello dell'autenticità. La promulgazione è allalegge quel che è il segno alla cosa, la parola al pensiero).

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artt. 4-7, 1. 20 dicembre 1816). Le firme ministeriali nonerano le «controfirme» con cui i ministri dei regimi costitu-,zionali assumono la responsabilità degli atti sottoposti alla fir-ma del capo dello Stato irresponsabile (64), bensì semplicicertificazioni, con cui il ministro di grazia e giustizia acquisivala legge nell'ordinamento giuridico dello Stato, ed il presiden-te del Consiglio de' ministri, esercitando le funzioni del no-stro guarda sigilli (65), attestava l'avvenuta manifestazionedella volontà sovrana, e l'autenticità del testo. La responsa-bilità della legge era interamente del sovrano, tanto vero chela proposta ministeriale non era considerata necessaria (art. 2

, ,

l. 20 dicembre 1816).L'art. 8 1. 20 dicembre 1816 prescriveva, per i decreti,

dopo il nome ed il titolo del re, la formula «sulla proposi-zione del nostro segretario di Stato ministro di - abbiamorisoluto di decretare e decretiamo quanto segue: »'. premessaal testo del decreto, seguito a sua volta, dalla clausola: «Ilnostro segretario di Stato ministro di... è incaricato della ese-cuzione .del presente decreto ». In realtà, i decreti con con-tenuto normativo hanno una forma un po' più complessa,perchè, prima della proposta ministeri ale, vengono. taloracitate norme legislative, come oggi si dice, di «giustificazio-ne» (66) oppure viene menzionata l'audizione del parere del-la Consulta quando inteso; alla proposta si fa seguire «udi-

(64) La sottoscrizione del presidente del Consiglio dei ministri sugli attisovrani è detta dal COMERCIc:controfirma» (p. 4) e c:contrassegno» (p. 129).

(65) Beninteso, la controfirma del presidente del Consiglio dei minist~iverifica, anche quando l'atto sovrano non abbia contenuto legislativo (COMERCI,p. 4), la mera forma esteriore, e non si estende mai al c:tenore », ci.o.èal con-tenuto dell'atto, come invece è previsto, per i decreti, nel nostro attuale or-dinamento (art. 6 r.d. 24 settembre 1931, n. 1256: v. FERRARI,p. 800)...

(66) Terminologia di GIANNINI,I, p. 566, il quale contrappone alla C: mo-tivazione », che è esternazione dei motivi, la c:giustificazione », come esteronaaione dei presupposti e (lei fatti di ·legittimazione. -. .

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to il nostro Consiglio di Stato », quando l'esame In Consiglioè prescritto dall'art. 3 reg. 4 giugno 1822. I testi dei decretinormativi sono anch'essi preceduti da preamboli, come quellidelle leggi (67).

Anche nei decreti di seguito all'ordine d'esecuzione ve-nivano apposte la firma del re, e poi quelle del ministro propo-nente, e del ministro cancelliere, o presidente del Consigliodei ministri, che vi apponeva il gran sigillo, e conservaval'originale.

La pubblicazione regolare delle leggi aveva avuto inizio,nel 1806, nel Bullettino delle leggi del regno di Napoli, editodalla Stamperia Reale (68), continuato, fino al 1860, sottoil titolo di Collezione delle leggi e de' decreti reali del regnodelle Due Sicilie, a cura prima della Cancelleria generale delRegno, e dal 1822 della Presidenza del Consiglio dei mini-stri. I «numeri» della collezione venivano spediti immedia-tamente dopo la pubblicazione ai ministri, agli intendenti, alleCorti, ai tribunali, ed a tutte le altre autorità costituite (artt.Il.ss. L 20 dicembre 1816). Leggi e decreti venivano pubbli-cati, inoltre, nella «parte officiale» del Giornale delle DueSicilie, e spesso con affissia stampa, o con fogli volanti (69).

La «vacatio legis» (art. l, ll.cc.) era regolata, come nelcodice Napoleone, col sistema cosiddetto successivo. La leg-ge obbligava in forza della promulgazione, dal momento incui questa era «legalmente a conoscenza di ciasohedun co-mune », e cioè:

(67) Supra, nota (62).(68) La Stamperia reale, secondo il r.d. 7 aprile 1833, provvedeva a1 la-

vori tipografici occorrenti per le accademie e la Società reale borbonica, non-chè per i ministeri, la Consulta e le amministrazioni regie, salvo il ministerodi guerra e marina (CoMERel,p. 5). Vedi anche in/ra, § 43.

'( 69) Du s, a), II, p. 491, rileva la mancanza d'una regola generale sullamaniera d'eseguire la pubblicazione delle leggi. Alcune volte, si pra1i.cava lapubblicazione per mezzo del banditore (çQ~~1.l.çl.p. 4).

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Il potere supremo di Governo 10719

- del comune lD CUI è stata fatta la promulgazione,il dì seguente;

- dei comuni della stessa provincia, altrettanti gior-ni, dopo il dì seguente alla promulgazione, quante sono le20 miglia (70) di distanza dal comune della promulgazione;

-.- de' capiluoghi delle provincie al di qua, e delle vallial di là del Faro, il dì seguente alla promulgazione, colla giun-ta di altrettanti giorni, per quante 20 miglia sono distanti dalcomune della promulgazione;

- e finalmente degli altri comuni delle provincie e del-le valli, colla giunta di altrettanti giorni, per quante ventimiglia sono distanti da' capiluoghi.

Questo complicato sistema tendeva a fare coincidere laconoscenza legale con la conoscenza reale, ma è molto dubbioche vi riuscisse (71): certo è che esso non ha sopravvissutoin Francia (decreto 5 novembre 1870) (72), ed ancor menoin Italia (art. l c.c. 1865; art. lO disp. prel. c.c. 1942) (73).Esso aveva l'in discutibile inconveniente di complicare i pro-blemi di diritto transitorio, perchè per più giorni (e si ten-gano presenti le grandi distanze tra comune e comune, deter-minate dalla configurazione geografica del regno) la legge,efficace in alcuni comuni, non lo era in altri.

L'art. 2 Il.cc. stabiliva: «La legge non dispone che perl'avvenire: essa non può avere effetto retroattivo ». È ovvio

(70) Miglia da 7.000 palmi (l palmo = m. 0,26455), cioè da m. 1851,85(art. 2 r.d, 6 aprile 1840).

(71) DIAs, b), p. 369.(72) e Les lois et les décrets seront obligatoires, à Paris, un jour frane

après la promulgation, et partout ailleurs, dans l'étendue de chaque arron-dissement, un jour franc après que le Journal ofJiciel qui les contient sera par-venu au chef lieu de cet arrondissement ».

(73) Il sistema del codice delle Due Sicilie è detto «successivo»; quellovigente in Italia, e sincronìstìco s o C istantaneo» (DE RUGGIEROR., I, p. 85).

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108 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 20

che tale disposizione non vietava che una legge fosse dichiarataespressamente retroattiva. Peraltro, l'art. 60, primo comma,Il. pp. stabiliva ancora: «Niun reato può essere punito conpene che non erano pronunciate dalla legge prima che fossecommesso» (74).

Le disposizioni preliminari delle leggi civili stabilivanoancora, in tema d'efficacia della legge, che esse obbligavano.tutti coloro che dimoravano nel regno, «siano cittadini,sieno stranieri domiciliati o di passaggio» (art. 5); e che inazionali del regno, ancorchè residenti in paese straniero, era-no soggetti alle leggi riguardanti lo stato e la capacità dellepersone (art. 6).

20. l regolamenti delle autorità amministrative. - Era-no elementi costitutivi dell'ordinamento giuridico del regnoanche norme emanate da autorità amministrative dipendentidall'autorità sovrana (ministri, intendenti, decurionati, per-so~e morali), il cui fondamento si ravvisava «in una dele-gazione di legge» (75).

Alcuni regolamenti ministeriali risalivano ai tempi del-l'occupazione militare, come quelli del ministro delle finanze,25 febbraio 1810 e 5 giugno 1811, «sull'ordine delle per-cezioni delle contribuzioni dirette» (76); altri erano succes-sivi, come quello del Ministero degli affari interni, l o marzo1833, «per le prescrizioni medicinali alla classe indigen-te» (77), o del Ministero della polizia generale, 20 novembre1825, per i prestiti sopra pegni (78). Erano anch'essi, sostan-

(74) Drss, b), pp. 367 55., considera la «non retroattività s (insieme con.l'equità ed il diritto naturale) un «elemento delle leggi amministrative »,

(7S) Dus, a), I, p. 30.(76) PETITII, II, pp. 250 e 277.

. (77) PETITTI, I, p. 269.(78) PETITII, 111, p. 250.

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20 Il potere supremo di Governo 109

zialmente, regolamenti i testi che prendevano il nome di «i-struzioni ministeri ali », tra cui si possono ricordare quelle, im-portantissime, del Ministero degli affari interni, 20 maggio1820, per l'amministrazione degli stabilimenti di beneficenzae dei luoghi pii laicali del regno (in/ra, §§ 128 ss.); altre; an-ch'esse importanti, del Ministero delle finanze, 27 ottobre1818, per la rettifica dei catasti (79) e 22 luglio 1846, sul me-todo pratico come eseguirsi le mutazioni di quota (in/ra, §50); del Ministero della polizia generale, 2 febbraio 1828«per reprimere gli oziosi e i vagabondi nella città di Napo-li» (80), e 12 febbraio 1836, sulle carte di soggiorno e di pas-saggio (in/ra, § 33), etc.

V'erano anche regolamenti emanati dagli intendenti, spe-cie in materie di polizia, quali il riposo festivo e gli spettacoliteatrali; e poteri regolamentari, nelle materie stesse, esercitavail prefetto di polizia di Napoli (81).

I Comuni potevano emanare regolamenti di polizia urba-na e rurale, deliberati in decurionato, ed approvati dall'inten-dente (artt. 277 ss. L 12 dicembre 1816: injra; § 126). Al-tri atti normativi dei comuni concernevano i rapporti d'im-piego dei dipendenti (art. 147 L 12 dicembre 1816), le ta-

(79) Injra, cap. II, nota (102).(80) Pl:TITTl, 111,p. 262.(81) PETITII, III, pp. 251 e 266, riproduce un'ordinanza dell'intendente del·

la provincia di Molise, l° aprile 1826, sulla c:osservanza delle sante feste >,che è un vero e proprio atto normativo, contenente prescrizioni per la chiu-sura festiva degli esercizi commerciali, e per il riposo dei lavoratori; nonchèun regolamento dello stesso intendente (autorizzato dal Ministro della poliziagenerale il 7 gennaio 1832), col titolo c:regolamento di polizia pe' teatri >. Unr. Il novembre 1852 (PETITTI, V, p. 227), su voto della congregazione de' ve-scovi della Sicilia, prescrive agli intendenti di regolare con ordinanza la chiu-sura delle botteghe, nei comuni dell'isola, nei giorni festivi, e di stabilire lemulte per i trasgressori, però c:miti, e che s'impieghino a vantaggio delle be-neficenze comunali >.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 21HO

riffe de' dazi di consumo (art. 197 L cit.), le privative (art.207 L cit.: injra, §§ 114 e 118 ss.).

Regolamenti propri avevano, infine, per il proprio per-sonale ed il proprio funzionamento, i corpi morali (vediper gli stahilimenti di heneficenza e luoghi pii laicali, injra,§§ 128 ss.),

21. La consuetudine. - Non v'era nelle leggi civiliuna disposizione generale che qualificasse la consuetudine co-me fonte di diritto (82); nè, del resto, ve ne fu poi una nelcodice civile italiano del 1865. Poichè, peraltro, l'art. 2 l. 21maggio 1819 toglieva valore alle consuetudini generali e loca-li «nelle materie che formano oggetto delle disposizioni con-tenute ne' codici », è pacifico che essa conservava, sia pu-re marginalmente, un valore normativo, nelle materie che ilcodice non regolava. Ed infatti viene richiamata in -alcunedisposizioni delle leggi civili, come l'art. 533 concernente leohhligazioni dell'usufruttuario; l'art. 1494 relativo all'azioneredihitoria nella compravendita; gli artt. 1582, 1591, 1600,1604, 1605, in tema di locazione di cose.

Il prohlema dell'ammissihilità della consuetudine abrogati-va si trova risolto negativamente sotto il profilo che «nelledue Sicilie risiedendo il potere legislativo nella persona del Re,la consuetudine non potrehhe alterar le leggi senza usurparei dritti del sovrano, scuotere il trono, e produr l'anarchia.Oltre a ciò, essendo la legge ohhligatoria per tutti mediantela promulgazione, la consuetudine non essendo nè potendo

(82) In dottrina, Drxs, a), II, p. 468, definisce consuetudini «le regoledel diritto naturale umano... i patti comuni e taciti, gli usi e le abitudini,le opinioni, tradizioni ed affezioni morali, la cui violazione è reputata osti.lità o ingiuria, attentato allo stato di pace e di concordia », talchè «tutte le:regole pratiche del diritto sono nelle consuetudini o usanze, e nelle leggi ostatuti ». Fonte di diritto la considera anche MANNA, pp. 42 ss.

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Il potere supremo di Governo III21

essere promulgata, non potrebbe tollerarsi se non da pochi,cui il resto dei cittadini si opporrebbe chiamando in vigorela legge erroneamente creduta in disuso» (83).

È da supporre, tuttavia, che tali considerazioni concer-nessero l'ipotesi parallela a quella di abrogazione tacita dellalegge «per effetto di nuova legge che contiene disposizionicontrarie all'antica », cioè della formazione d'una consuetudinecontra legem, per effetto della quale si sostenesse la avvenutaabrogazione d'una norma scritta. Vi sono, per contro, testipositivi dai quali risulta, implicitamente, che si riteneva am-missibile la desuetudine, cioè la formazione d'una consuetudi-ne per effetto della quale una certa norma scritta non venivapiù applicata, pur senza venire sostituita da altra norma, scrit-ta o consuetudinaria. Infatti, l'art. 4, n. 2, l. 24 marzo 1817,prescriveva che dovevano essere necessariamente sottopostialla sovrana decisione gli atti dei ministri, «allorchè ordine-ranno l'osservanza delle leggi cadute in desuetudine », e l'art. 6l. 12 dicembre 1816 stabiliva che quando «si trattasse dirichiamare in osservanza una disposizione legislativa, o un re-golamento caduto in desuetudine, l'intendente richiederà lasuperiore autorizzazione per mezzo del ministro competente ».Veniva a tal proposito spiegato che « una legge caduta in de-suetudine ha perduto l'autorità di legge, ed il richiamarla invigore pertiene unicamente al potere legislativo» (84).

La qualificazione legislativa dell'atto di richiamo in vi-gore della legge desueta, implicava che la sovrana decisionefosse presa in Consiglio di Stato ordinario, ma non anche laforma solenne della legge o del decreto. Ad esempio, il rescrit-to 18 dicembre 1840 diretto al Luogotenente generale ne' do-mini oltre il Faro, richiamava in vigore le disposizioni della

(83) COMERCI, p. 131.(84) Rocco, J, p. 112.

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112 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 22-

l. 7 gennaio 1818, circa l'intervento di tutti i componenti del-la Gran Corte de' conti di Palermo all'estrazione del lotto (85).Ma è dubbio se si tratti del richiamo di norma desueta, o disemplice rettifica d'interpretazione, e non è agevole trovareun esempio pacifico dell'esercizio del potere di richiamare invita una norma abrogata per desuetudine. Per esempio, l'attosovrano 18 gennaio 1848, che richiama «nel loro pieno vi-gore» le 11. 8 dicembre 1816 ed 11 dicembre 1816, è esso stes-so una vera e propria legge, con cui si dispone, non la revivi-scenza di norme desuete, bensì di norme che erano state abro-gate o modificate da leggi successive, e principalmente dallal. 31 ottobre 1837 per la promiscuità degli impieghi nelle due.parti.del regno, che infatti l'atto sovrano medesimo espressa-mente abroga.

22. L'interpretazione. -L'art. 3 ll.ec. stabiliva che «èproibito ai giudici di pronunziare in via di disposizione ge-

(85) PETITTI, I, p. 447. L'art. 33 1. 7 gennaio 1818, istitutiva della GranCorte de" conti per i reali domini di là del Faro, attribuiva al presidente,al vice presidente, ai consiglieri, al procuratore generale ed al cancelliere,una gratificazione, oltre al soldo previsto dall'art. 32, c:per l'assistenza perso-:nale in ciascuna estrazione della lotteria ordinaria », ridotta alla metà perle estrazioni della lotteria straordinaria. Il r. 18 agosto 1831 prescrisse cheintervenissero a ciascuna estrazione non più di quattro magistrati a turno.Il r.d. 20 marzo 1832, istituendo in Palermo una seconda camera della GranC~rte de' conti (in/ra, § 166) operò una notevole riduzione dei soldi (art. lO),e confermò le gratificazioni secondo il· detto turno (art. 12). Il presidente e ilprocuratore generale osservarono che nel fissare i soldi erasi tenuto contodelle gratificazioni, e proposero perciò il .rtchiamo in osservanza della leggeche;. a loro avviso, prescriveva I'intervento di tutti i componenti la Gran Cortealle estrazioni. Il re dispose c:che sia richiamata in osservanza l'anzidetta leggedel 1818 per l'intervento di tutti i magistrati del suddetto collegio nell'estra-zione del Lotto, nel modo come si pratica in questa parte dei reali domini-i.In verità, la legge citata non conteneva nessuna disposizione che prescrivessela presenza di tutti i magistrati, ed il r. 18 dicembre 1840 sembra, propria.mente, la revoca del r. 18 agosto 1831, che aveva introdotto il turno.

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22 ... . .

Il potere supremo di' Cooerno 113

nerale ò • diregolamerito nelle cause di loro competenza »,Parimenti gli artt. 197 e 230 Il. 29 maggio 1817 e7giugno 1819, disponevano che «i giudici non potranno pro-nunziare per via di disposizioni generali, o di regolamento ».Inoltre, l'art. 4 ll.cc. statuiva che «se un giudice ricuseràdi giudicare sotto pretesto di silenzio, oscurità o difetto dellalegge, si potrà agire contro di lui come colpevole di denegatagiustizia»; e gli artt. 200 e 231 rispettivamente delle' leggidell'ordine giudiziario confermavano che «i giudici non po-tranno ricusarsi di giudicare nelle materie civili sotto prete-sto" di silenzio, di oscurità o insufficienza della legge »,Per denegatagiustizìa poteva si esperire contro i giudici laazione civile, ossia «presa a parte» (artt. 569 ss. Il.p.c.).

Queste disposizioni, derivate dal codice Napoleone, di-rettamente vietavano ai giudici di legiferare, e, nel contem-po,: imponevano loro di colmare le lacune della legge pervia d'interpretazione. Se ne desumeva, però, ulteriormente,che era al giudice vietata l'interpretazione «legislativa », o«(autentica », riservata soltanto al legislatore (del che, nelco-dice, mancava un'espressa menzione), ed avente essa stessacarattere di legge (86), con efficacia retro attiva (87). L'in-terpretazione consentita al giudice era soltanto quella dot-trinale.

Si è già osservato che molte volte l'interpretazione dinorme giuridiche era contenuta nei reali re scritti. Questiatti obbligavano in virtù dell'autorità sovrana i soggetticui erano destinati, ma non erano vera' e propria interpreta-ZIOne autentica, non essendo atti legislativi: restavano neilimiti dell'interpretazione giurisprudenziale, sia pure partico-

(86) COMERCI, pp. 768 ss.(87) COMERCI, pp. 772 S5.

8. LANDI • J.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 22114

larmente autorevole, perchè promanante direttamente dalsovrano.

Sempre in tema d'interpretazione, l'art. 8 Il.cc. prescrive-va: «Le leggi che restringono il libero esercizio de' dirittidel cittadino, e che formano eccezione alle regole generali oad altre leggi, non si estendono al di là de' casi e de' tempiin esse espressi ».

Nella dottrina giuridica del tempo, si rinvengono ampietrattazioni dedicate al metodo d'interpretazione delle leggi,nelle quali vengono largamente utilizzati il diritto romano,la dottrina del diritto naturale, ed i moderni scrittori france-si (88). Meritano peraltro una speciale menzione, perchè trat-tano delle leggi amministrative, alcune pagine del Dias (89).

Questo scrittore precisa che nello studio delle leggi am-ministrative non vanno confuse le due categorie di rapportiche esse concernono: cioè, i rapporti pubblici amministra-tivi, ed i rapporti civili amministrativi. I primi sono quelli,pei quali le persone appartengono allo Stato per effetto dellaloro situazione sociale cioè «come contribuenti, militari,guardie sedentarie, votanti nei consigli diversi, e magistra-ti ». I secondi sono quelli che «constituiscono l'amministratosotto l'impero dell'amministrazione come individuo, cioèallorchè le leggi e l'azione amministrativa regolano ciò chepersonalmente lo riguardano, astrazion fatta dalle sue rela-zioni sociali ». Possono inoltre le leggi amministrative riguar-dare rapporti derivanti dai beni dell'amministrato; ma «intal caso i beni non sono riguardati come possessioni, ma co-me interessanti l'ordine e la ricchezza pubblica, per l'uso chepuò farsene ».

(88, COMERCl, pp. 710 88.

(89) DlAs, b), pp. 361 88.

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Il potere supremo di Governo 11522

Studiare la legge, vuoI dire approfondirne I motrvr: peril che, il mezzo più idoneo è l'esposizione dei motivi fattadal Governo. «D'altronde, i decreti, i pareri del Consigliodi Stato, le istruzioni e le decisioni ministeriali sono per l'amministrazione una spiegazione naturale della legge, e seguen-temente un mezzo certo per facilitarne l'esecuzione. Questaspiegazione ha inoltre carattere pubblico ed ufficiale, che,senza aggiunger nulla alle leggi, le rischiara, ne dà la praticaconoscenza del pari che il loro testo ne fa conoscere lo spirito,conoscenza che diviene più facile mediante questa spiega-zione » (90).

Quel che è davvero singolare è come il Dias - giuristatuttaltro che privo di pregi - consigli all'interprete di risali-re direttamente alla spiegazione ufficiale, rigettando i com-menti dottrinali. E vale la pena di riportare integralmenteil testo:

« Ma chi dirigerà tutti questi studi? La persona propria. Que-sto precetto è di tanta importanza che, una volta mancato, nullavi è più di sicuro. Fuori commentari: essi sono sempre o superfi-ciali o minuziosi, poichè i loro autori, incapaci di approfondirequalunque cosa con la forza del raziocinio, o col metodo e l'analisi,ed altronde non avendo mai in veduta i progressi della ragione, siaggirano sempre nel circolo molto limitato delle piccole sottigliezzee delle piccole definizioni; emettono quasi d'ordinario falsi giudizi,e struggonsi a rintracciare l'immenso numero di casi particolari erari che possono presentarsi in tale o tale altra specie. I commentariproducono il grave inconveniente di comunicare lo spirito de' loroautori, e non già quello delle leggi.

« Che mai potrehhesi apprendere nella folla di scritti e com-mentari, che sono comparsi alla luce su la nostra legislazione? Piùatti a stancar lo spirito e ad opprimerlo coi duhhi, anzi che ari-schiararlo e guidarlo, rendono più tosto oscure quelle leggi che non

(90) DlAs, b), p. 423.

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116 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

possono spiegare. La loro sterile ed indigesta abbondanza ammaz-za il giudizio, distrugge lo spirito naturale, snerva le sue forze, nel-lo stesso modo che una tavola soverchiamente imbandita di vivan-de toglie all'appetito il suo stimolo, e sopraccarica lo stomaco dialimenti nuocevoli. Se è una stimabile qualità la temperanza delcorpo e necessaria alla salute, quella dello spirito è anche una qua-lità utile alla conservazione della sua forza e della sua sagacità. Ilbuon senso, il discernimento, lo spirito naturale è sempre preferihi-le ad ogni altro sapere improntato, ed a tutti quei mezzi superficia-li, che non altro producono se non la presunzione, il falso sapere,e l'errore ».

In conclusione, il Dias riteneva che due sole opere potes-sero essere realmente utili allo studio delle leggi: un codicede' principi generali del diritto naturale e dell'equità, ed undizionario di legislazione, cioè della lingua delle leggi

Gelosia d'autore? Avversione di funzionario (91) per l

giureconsulti teorici? Diffidenza politica? Certo è che il' Diasnon rinunciò ad esporre e commentare le leggi del suo paesee del suo tempo, in opere che ebbero non poca fortuna, e chetuttora si possono consultare con interesse e con profitto.

III. IL RE

23. La persona del re. - Con l'art. 2 1. 8 dicembre~816, Ferdinando di Borbone, IV in Napoli e III in Sicilia,aveva assunto il titolo, riconosciutogli dal congresso di Vien-na, di « Ferdinando I, per la grazia di Dio Re del Regno delleDue Sicilie, di Gerusalemme ec. Infante di Spagna, duca diParma, Piacenza, Castro eco eco gran Principe ereditario diToscana eco ecoeco». Sarebbe vano cercare cosa si nascondesse

(91) Il Dias era nel 1840«uffiziale nel Ministero e real segreteria di Statodelle Finanze»; nel 1854 «uffiziale di carico» nello stesso ministero.

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23 Il potere supremo di Governo

sotto la singolare progressione degli eccetera, perchè l'unicatitolatura usata dal sovrano è quella surriferita, e non èin uso (diversamente dal regno di Sardegna) un titolo solen-ne, dove gli eccetera siano colmati (92). Probabilmente, essihanno il senso d'un richiamo ad ogni altro titolo o possesso,che sia derivante da quelli menzionati, o connesso con i me-desimi.

Il titolo era il medesimo assunto da Carlo di Borbone (93)

(92) Il re di Sardegna si qualificava, ordinariamente «re di Sardegna,di Cipro e di Gerusalemme, ecc. ecc. ecc. ». II titolo completo, quale risulta intaluni atti di maggiore solennità, era: «re di Sardegna, di Cipro e di Geru-salemme; duca di Savoia, di Genova, di Monferrato, d'Aosta, del Chiahlese,del Genevese e di Piacenza; principe di Piemonte e di Oneglia; marchesed'Italia, di Saluzzo, d'Ivrea, di Susa, di Ceva, del Maro, di Oristano e diCesana; conte di Moriana, di Ginevra, di Nizza, di Tenda, di Asti, di Ales-sandria, di Goceano, di Romont, di Novara, di Tortona, di Vigevano e di Bob-bio; barone di Vaud e di Faucigny; signore di Vercelli, di Pinerolo, di Ta-rantasia, della Lomellina e della Valsesia; principe e vicario perpetuo delSacro Romano Impero in Italia ». Questi titoli rispecchiano il processo sto-rico di formazione della monarchia sabauda come graduale aggregato di si-gnorie feudali, e cioè una base politica completamente diversa da quella dellamonarchia borbonica.

(93) Carlo di Borbone non usò mai il numerale. Il suo predecessore,Carlo d'Austria, fu chiamato Carlo VI in Napoli, con lo stesso numerale usatocome imperatore; ed era VI come re di Napoli, se si numeravano i tre re diquesto nome della casa d'Angiò, ed i due di casa d'Austria, ma sarebbe statoil VII se fosse stato considerato legittimo Carlo VIII di Francia, che avevaassunto il titolo di re di Napoli nel 1495. In Sicilia, Carlo d'Austria è detto III,perchè preceduto da Carlo I (Carlo V imperatore) e Carlo II di casa d'Au-stria spagnola; in Spagna si intitolò Carlo 111. Di conseguenza, Carlo di Bor-bone sarebbe stato VII in Napoli (e così fu detto nella bolla di investituradel pontefice Clemente XII, 12 maggio 1738), o forse VIII computando Carlodi Francia (CORTESEN., in COLLETTA,a), I, p. 80, nota 63, e p. 130, nota 231),e.IV in Sicilia. Non è chiaro se non usasse il numero «per politica o vaghezza»(COLLETTA,a), I, p. 130), ma ci parrebbe plausibile che non abbia voluto ri-conoscere la legittimità del predecessore austriaco, cosÌ come, asceso al tronodi Spagna, usò anch'egli il nome di Carlo 111, con cui è, per lo più, erronea-mente menzionato nella storia d'Italia, dalla quale per contro egli esce nelmomento stesso in cui lo assume.

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118 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 23

col regio dispaccio 21 settembre 1734, salvo la sostituzionedi «re delle Due Sicilie » con «re del Regno delle Due Sici-lie », e la conseguente variazione del numerale.

Il titolo di «re di Gerusalemme» era stato portato daire di Sicilia, a partire da Carlo I d'Angiò, cui era stato cedu-to, nel 1277, da Maria d'Antiochia, pretendente al regno diGerusalemme (94).

Il titolo di «infante di Spagna », proprio di tutti i figlilegittimi dei sovrani spagnoli, spettava al sovrano di Napolicome discendente, attraverso Carlo di Borbone, del re diSpagna Filippo V (95).

I titoli ducali di Parma, Piacenza e Castro, derivavanodalla famiglia Farnese, di cui Elisabetta Farnese, sposa di Fi-lippo V, e madre di Carlo, era stata l'ultima erede. In partico-lare, il ducato di Parma e Piacenza, creato dal papa Paolo IIInel 1545 a favore del proprio figlio Pier Luigi Farnese, erapervenuto a Carlo di Borbone nel 1731, alla morte dell'ultimodiscendente dei Farnese, il duca Antonio; ma aveva dovutorinunciarvi (trattato di Vienna, 1738) in cambio del riconosci-mento della corona delle Due Sicilie, alla quale era assurto nel1734 (96). Il ducato di Castro, nel Lazio, era stato costituitonel 1537 da Paolo III a favore di Pier Luigi Farnese, ma, do-

(94) LEONARD,p. 129. Maria era nipote ex filia del re Amalrico I di Ce-rusalemme, ma i baroni d'oltremare le preferirono il re di Cipro, Ugo 111 diLusignano. La figlia dell'ultimo re di Cipro e di Gerusalemme, Janus, cioè laprincipessa Anna, sposò nel 1433 il duca Ludovico di Savoia, donde il titoloregio, tramandato si nella casa di Savoia (HAYWARD,pp. 181.182).

(95) Nel tempo stesso, il Granduca di Toscana si intitolava «Principe im-periale d'Austria, Principe reale d'Ungheria e di Boemia, Arciduca d'Austria~.Ma il legame dinastico, che pesò tanto sulla politica di Leopoldo II, si sciolseben presto tra i sovrani napoletani e spagnoli, e si può considerare finito nelmomento stesso in cui Bernardo Tanucci fu, da Ferdinando IV, dispensatodall'ufficio di ministro (I776).

(96) Il ducato di Parma, Piacenza e Guastalla fu assegnato all'infante D.Filippo, fratello minore di Carlo, capostipite dei Borboni di Parma.

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po una lunga guerra mossa dalla Santa Sede al duca di Par-ma (1641-1649), era stato incamerato nello Stato pontificio, ela piccola città era stata rasa al suolo (97).

Il titolo di gran principe ereditario di Toscana era an-ch'esso pervenuto a Carlo di Borhone attraverso la casa Far-nese, e precisamente per il matrimonio di Margherita de' Me-dici, figlia del granduca Cosimo II, con Odoardo Farnese,duca di Parma e Piacenza. Ma alla morte dell'ultimo grandu-ca mediceo, Gian Gastone (1737), l'Austria aveva ottenutola rinuncia a favore di Francesco di Lorena (trattato di Vien-na, 1738).

Lo stemma era quello adottato da Carlo di Borhone nel1734, il quale aveva disegnato «le armi, annestando alle na-zionali delle due Sicilie tre gigli d'oro per la casa di Spagna,sei di azzurro per la Farnese, e sei palle rosse per quella de'Medici» (98). In verità, non erano armi «nazionali », ma di-

(97) Il titolo di duca di Castro è stato usato dal prmcipe Ranieri Maria(l883.1973), ed ora dal di lui figlio, principe Ferdinando Maria (1926, viv.),capi della real casa di Borbone-Due Sicilie.

(98) COLLETTA,a), I, p. 107. La descrizione araldica dell'arma della realcasa di Borhone-Due Sicilie, quale risulta da una stampa del Sacro militareOrdine costantiniano di S. Giorgio (Napoli, 1973, f.c.), è la seguente: «Par.tito di quattro linee. Nel l": partito nel l" e 4" di oro a 6 gigli d'azzurro posti1-2-2·1 (Farnese), nel 2° e 3° di rosso alla fascia d'argento (Asburgo), partitodi Borgogna antica che è: bandato di oro e di azzurro, con la bordatura dirosso. Su tutto il 1": lo scudetto di Portogallo, che è: di argento con cinquescudetti d'azzurro caricati ciascuno da un hisante d'argento segnati da un puntonero, nel centro, posti in croce di S. Andrea, con la bordura di rosso caricatadi sette castelli di oro, posti: tre nel capo, due ai lati, e due inclinati ade·stra ed a sinistra della punta. Nel 2°: spaccato di due: nel l° e 4° di rossoal castello di oro torricellato di tre pezzi dello stesso, finestrato, aperto ed agogiornato di azzurro (Castiglia); nel 2° e 3° di argento, al leone di rosso, co-ronato, lampassato ed armato di oro; innestato in punta di argento alla gra-nata di rosso stellata e fogliata di verde (Granata). Nel secondo, di rosso allafascia di argento (Asburgo). Nel terzo spaccato: a) trinciato in grembo, nel l°centrato al triangolo bandato di oro e di azzurro bordate di rosso iBorgognaantica); nel 2° di oro al leone di nero armato, Iampassato e coronato dello

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nastiche, i nove gigli d'oro d'Angiò che rappresentavano nelloscudo la Sicilia citra Farum, e le sbarre d'Aragona inquartatein croce di S. Andrea con l'aquila sveva, che rappresentava-no la Sicilia ultra Farum. I simboli del « cavallo ercolanese»per Napoli, e della «Trinacria » per la Sicilia, non furono maiufficialmente adottati nell'araldica borhonica (99).

La bandiera, bianca, era caricata al centro dallo stemmadello Stato (100). La coccarda era rossa.

stesso (Fiandra); b) di azzurro a nove gigli d'oro posti 3·3·3,al capo un Iam-bello di rosso di cinque pezzi (Angiò). Nel 3°: spaccato in due nel l?: partito,a destra di oro a quattro pali di rosso (Aragona); a sinistra, inquartato in pila,nel capo e in punta di oro a quattro pali di rosso, ~i lati di argento all'aquilaner.a, spiegata, in volo, coronata delle stesso (Aragona·Sicilia). Nel secondo diazzurro a otto fiordalisi di oro posti 3·2·3alla bordura spaccata di argento e dirosso' (Borgogna moderno). Nel terzo spaccato: sopra tagliato in grembo, nelI" di nero al leone passante di oro (Brabante); nel secondo di argento all'aquiladi.' rosso, coronata' in rosso, spiegata in volo (Anversa); sotto di argento, allacroce di oro scorciata e potenziata, accantonata da quattro crocette semplicidello stesso (Gerusalemme). Nel 40

: di oro, a sei palle, poste 1·2.2.1,la primaazzurra caricata di tre gigli di oro posti 2.1, le altre di rosso (Medici). Sultutto: di 'azzurro a tre gigli di oro, posti 2.1, alla bordura di rosso tBorbone-Due SiciIie)~. Dopo il 1815, lo scudo era di solito di forma ovale e -circon-dato dai collari del Toson d'oro e degli ordini equestri del regno. Ma si tro-vano, nelle monete e negli atti ufficiali, raffigurazioni semplificate, nelle qualiIo scudo è' di solito quadrato. L'inno ufficiale, adottato nel 1787, era di GiovanniPaisiello ; ve n'è un disco (f.c.) a cura dell'Ordine Costantinìano.

(99) È perciò in errore lo SCAMACCIALuvARÀ,quando nell'Introduzioneall'INsOGNA,p. XXVIII, identifica nel «cavallo ~ e nella e Trinacria s le, c:arminazionali' delle 'Due Sicifie s menzionate dal COLLETTA,loc. ult, cito Il cavalloe la Trinacria furono posti, con gli stemmi delle provincie del regno e l'aquilaimperiale 'di Francia, nello stemma usato dai re francesi (1. 1" dicembre 1806:vedine la riproduzione in SPELLANZON,I, p. 409), ed entrarono a comporre,con i tre gigli borbonici, la vignetta centrale dei francòbolli della posta na-poletana emessi nel 1858 che però non rappresenta stemma dello Stato (in/ra,cap. II, nota 235).

(100) Era una bella bandiera. Victor RUGo, Cànaris, così' la descrive:«Le pavillon de Naples. est éclatant dans l'air, / et quand il se deploie /on croit voir ondoyer de la poupe à la mer / un flot d'or et de soie s , Labandiera mercantile era identica a quella militare (r.d, 15 maggio 1816, concui furono unificate le bandiere di Napoli e di Sicilia, in .conseguenza. dei

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Il re era capo della famiglia reale, ed esercitava la vrgi-lanzasugli atti concernenti i rapporti familiari e patrimo-niali delle persone che vi appartenevano. Il r.d. 7 aprile1829 subordinava al regio assenso i matrimoni dei principidella famiglia reale, anche se avessero raggiunto la maggioreetà, e sanciva che in difetto il matrimonio non avesse effetticivili (lO l) ; prescriveva altresÌ la sovrana autorizzazioneper la vendita e la sottoposizione ad ipoteca dei loro beniimmobili. L'atto sovrano 4 gennaio 1817 aveva stabilito che alprimogenito del re, erede immediato della Corona, spettasseil titolo di duca di Calabria, ed al primogenito di quest'ultimoil titolo di duca di Noto. Il secondogenito del re aveva avu-to talora titolo di principe (102), e gli altri principi dellafamiglia reale titolo di conte, l'uno e gli altri col predicatod'una· città del regno.

Al re si dava l'appellativo di «maestà », ai principi quellodi «altezza reale ».

La Corte, dopo il 1815, era sempre diminuita d'importan-za politica, e l'aveva completamente perduta sotto il regno

trattati con le reggenze barbaresche) .. Per un breve periodo, dopo il 3 aprile1848, la bandiera bianca fu circondata d'una bordura verde e rossa, per cuisembrava a LA CECILIA,p. 472, «una bandiera cinese o indiana). Con l'attosovrano 25 giugno 1860 fu adottato il tricolore italiano, caricato al centrodallo stemma borbonico, usato dai presìdi di Gaeta e di Messina, fino allafine del regno.

(lOl) In forza di tale regia prerogativa, Ferdinando II rifiutò l'assensoal matrimonio del fratello, d. Carlo di Borbone, principe di Capua, con Pe-nelope Smyth (AcToN,b), pp. 115 55.). Vedi, tra gli ultimi provvedimenti delre Francesco Il, due r.d. 7 aprile 1860, autorizzativi del matrimonio del prin-cipe d. Luigi Maria conte di Trani con S.A.R. la principessa d. Matilde Lu-dovica di Baviera, figlia di S.A.R. il serenissimo principe Mas5imiliano,· ducadi Baviera, con dispensa dagli adempimenti previsti dagli artt. 68 e 176 Il.cc.

(102) È il caso di d. Leopoido, principe di Saler~o (secondogenite diFerdinando I) e di d, Carlo, principe di Capua (secondogenito di Francesco I).Il secondogenito di Ferdinando II, d. Luigi, ebbe però il titolo di conte diTrani. Per il titolo del conte d'Aquila, inira, cap. III, nota (194).

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di Ferdinando II, ma era brillante e fastosa, e composta dellamigliore aristocrazia del regno: era diretta da un maggiordomomaggiore, un cavallerizzo maggiore, un somigliere del corpo,ed un cappellano maggiore, che erano i quattro « capi di Cor-te », e ne facevano parte cavalieri di compagnia, gentiluo-mini di camera e di entrata, maggiordomi di settimana (103).

La Casa militare del Re era composta di aiutanti generalie di aiutanti di campo, scelti tra gli ufficiali dell'esercitoe della marina; essa era assai vicina a Ferdinando II, che, al-meno nei migliori anni, nutriva un particolare e personaleinteresse per i problemi delle forze armate.

Il Ministero della real casa, che, istituito al tempo diCarlo di Borbone, e riordinato (r.d. 20 giugno 1821) colnome di «Ministero e real segreteria di Stato della real casaed Ordini cavallereschi », presentava una singolare ed anacro-nistica commistione di attribuzioni relative alla amministra-zione della casa e famiglia reale con altre propriamente poli-tico-amministrative, vide attenuarsi progressivamente le se-conde (in/ra, § 63); ed infine (r.d. 9 settembre 1832) fusoppresso (104), e sostituito dall'Amministrazione della realcasa. Ne era capo, col titolo di soprintendente, il maggiordomomaggiore, era ordinata in tre ripartimenti, ed aveva un ar-chivio centrale, una vedorìa e contadorìa, una tesoreria, unatappezzeria ed una biblioteca privata (105). Veniva così «in-teramente segregata» l'amministrazione della real casa daquella dello Stato, e per confermare la separazione veniva vie-

(03) DE CESARE, a), I, pp. 248 ss,(04) Il provvedimento si inquadra nelle rigorose economie disposte da

Ferdinando II appena assurto al trono (CALÀ ULLOA, a), pp. 33 58.; DE SIVO,

a), I, pp. 53 58.; NISCO, pp. 14 S5.), per mettere fine agli sprechi ed ai disor-dini nell'amministrazione della casa reale, troppo bonariamente tollerati da Fran-cesco I.

(05) DE CESARE, a), I, p. 250.

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tato il passaggio dagli impieghi di casa reale a quelli di Stato eviceversa, nonchè il cumulo dei detti impieghi, tranne che peri militari, ed il cumulo di pensione e stipendio dell'una e del.l'altra amministrazione, salvo il diritto al cumulo delle anziani-tà per nuova liquidazione della pensione (r.d. 8 novembre1832). In seguito fu stabilita, con 1. 3 ottobre 1836, ladisciplina delle reali riserve di caccia e pesca; ed infine(r.d. 17 gennaio 1852) furono restituiti alla Soprintendenzadella real casa il Museo borbonico, la reale biblioteca hor-bonica, l'officina dei papiri, e gli scavi archeologici (106).

Era invece un vero e proprio ufficio dello Stato (r.d. 11gennaio 1831) la «real segreteria particolare », costituitada un segretario particolare con soldo, onori e prerogativedi direttore di ministero, e da alcuni « ufficiali », nel numerostabilito dal re secondo il bisogno, scelti tra i funzionari deidiversi ministeri, alle cui rispettive carriere continuavano adappartenere. Il segretario particolare esercitava le funzionidi .segretario del Consiglio di Stato, prendeva gli ordini dalre, ed era in corrispondenza con i ministri segretari di Stato.Le spese relative gravavano sullo «stato discusso », o bi-lancio, della Presidenza del Consiglio dei ministri. In sostan-za, il segretario particolare del re aveva funzioni che si posso-no paragonare a quelle dei « capi di gabinetto» delle autorità

(l06) Il diritto del regno distingueva il «demanio della corona », cheera parte del demanio dello Stato, ed i beni della real casa, che costituivanoil patrimonio privato del re, o «patrimonio borbonico» (DIAs, a), I, pp. 64!\S.; injra, capo V, nota 257}. Gli uni e gli altri furono dichiarati «beni nazio-nali» con decreto 12 settembre 1860 del dittatore Garibaldi; il quale, conaltro decreto, 23 ottobre 1860, prelevò, sui medesimi, d. 6 milioni, da rt-partire tra «martiri », a risarcimento di danni sofferti per ragioni politichedal 15 maggio 1848 in poi (DE SIVO,a), II, pp. 308·309; supra, Introduzione,nota 90). Parimenti confiscato, dopo il 20 settembre 1870, fu il palazzo Far-nese .in Roma, appartenente al re Francesco II, che vi' soggiornò dal novem-bre 1862 al 25 maggio 1870 (DE CESARE,b), Il, pp. 197 e 393). Sui vani ten-tativi della casa di Borbone per recuperare i beni privati, INSOGNA,pp. 228 68.

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12,4 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 23

politiche, e l'istituzione della carica era giustificata dalla CIr-

costanza che il re era effettivamente il capo del proprio go-verno (107).

Sebbene -la base della monarchia si ravvisasse nel dirittodivino, l'assunzione del re al trono non era celebrata con lacerimonia religiosa dell'incoronazione. Carlo di Borbone avevaricevuto bensì la corona di Sicilia il 3 giugno 1735 nella cat-tedrale di Palermo (108), ma quando era entrato in Napoli,i110 maggio 1734, si era limitato a partecipare ad un ritoreligioso nel Duomo, dove aveva ricevuto la benedizione del-l'arcivescovo (109). La cerimonia religiosa per l'assunzioneal trono di Ferdinando IV (18 ottobre 1759) non avevaavuto il carattere d'incoronazione (110), e nessuna cerimoniasolenne accompagnò la sua uscita di minorità (1767) (111).Nè diversamente accadde per tutti i sovrani succedutisi dopo lamorte, di Ferdinando I (112). Probabilmente, influirono i

(107) La carica di segretario particolare del re fu affidata dapprima al-l'abate, Giuseppe Caprioli, dispensato dal servizio nel 1841, e nominato poivice presidente della Consulta, carica che tenne fino al 1848 (CALÀULLOA,a),

p. 89; DE CESARE,a}, I, p. Bl), Gli successe Leopoldo Corsi, che rimase in ser-vizio fino al 1852, fu poi nominato consultore, e collocato a riposo nel luglio1860 (DE CESARE,~), I, p. 81 e II, p. 299}. Con la dispensa dal servizio delCorsi, nel 1852, le cariche di segretario del Consiglio di Stato e di segretarioparticolare del re furono divise, ed affidate la prima al colonnello d'artiglieria(nel 1855 brigadiere; nel 1860 maresciallo di campo) Francesco d'Agostino, ela seconda al maggiore d'artiglieria (nel 1857 tenente colonnello) Agostino Seve-rino (DE, CESARE,a), I, p. 81). Segretario particolare del re Francesco II fu. ilcav. Ruiz de Ballesteros, che seguì il re a Gaeta (QUANDEL,p. 16).

.o08} LA SPINA.(109) COLLETTA,a}, I, p. 106.(HO) COLLETTA,a}, I, pp. 177·178. Fu cantato un solenne Te Deum in

Duomo.um COLLETTA,a), I, p. 191.(1l2) Per le pompe che accompagnarono l'assunzione al trono di France-

sco I, CALÀULLOA,b}, pp. 15·16. Ferdinando II accentuò il carattere militaredelle cerimonie (NISCO,p. lO). Per Francesco II si celebrò un Te Deum (DECESARE,a), II, pp. 35 55.}.

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Il potere supremo di Governo ~25

dissensi con la Santa Sede circa il preteso vassallaggio delregno (113), l'opportunità di non rinfocolare con una ceri.monia, che avrebbe sottolineato l'importanza di capitale dellacittà dove si sarebbe celebrata, il contrasto tra i domini diqua e di là del Faro, ed infine lo spirito dei tempi, che potevaconsentire la continuità del mistico rito dove ne fosse mm-terrotta tradizione, ma non era favorevole a crearlo dovetale tradizione non esistesse o si fosse perduta (1l4).

24. .La successione al trono. - La legge sulla successio-ne al trono, 6 ottobre 1759, era stata emanata da Carlo diBorbone nel momento in cui lasciava il trono di Napoli perquello di Spagna, e fu confermata da Ferdinando I nella l. 8dicembre 1816 (art. 5) con cui assumeva il titolo di re delRegno delle Due Sicilie per sè e per i propri eredi e successori.

La legge - non divisa in articoli - spiega nel preamboloche, in vista dell'esigenza derivante dai trattati di tenereseparate la potenza spagnola ed italiana, il re Carlo III chiama-to ad assumere la corona delle Spagne e delle Indie per mortedel re cattolico Ferdinando VI, era costretto, a causa della « no-toria imbecillità di mente» del figlio primogenito (principeFilippo) a decidere «qual dei (suoi) figli (fosse) prestamentequel secondogenito atto al governo de' popoli nel quale ri-cadano gli Stati italiani senza l'unione della Spagna e delleIndie» (i diritti del primogenito si trasferivano, ovviamente,

(113) Vedi, circa la cautela adottata da Ferdinando II affinchè il nunzioapostolico non inserisse, nell'allocuzione per il ricevimento del corpo dìplo-matico. alcun accenno alla pretesa pontificia d'abolizione della Legazia apo-stolica di Sicilia (come era accaduto al tempo dell'avvento di Francesco I),NISCO, p. 12. .

(114) Si ricordino le polemiche suscitate in Francia, e nella stampa Ii-berale europea, dalla determinazione di Carlo X, di ristabilire la solennitàdel sacre du roi (Reims, 29 maggio 1825).

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126 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 24

al secondogenito, principe Carlo Antonio, il quale regneràinfatti in Spagna col nome di Carlo IV).

La legge disponeva quindi:

- l'interdizione perpetua, per infermità di mente,del primogenito; come era stato giudicato da una commissio-ne, presieduta dallo stesso re, e composta dei consiglieridi Stato, d'un camerista di Castiglia, della Camera di SantaChiara, del luogotenente della Sommaria, e di tutta la Giuntadi Sicilia, ed assistita da sei medici;

- il trasferimento del diritto e della capacità di se-condogenito all'infante D. Ferdinando, terzogenito per natura;

- l'emancipazione dello stesso D. Ferdinando, ai finidi ricevere dal re Carlo III la cessione degli Stati italiani;

- la costituzione del Consiglio di reggenza, per am-ministrare la sovranità ed il dominio durante la minore etàdel re, secondo una «ordinazione» dello stesso giorno, chedoveva intendersi richiamata nella legge, ed avente la medesi-ma forza;

- la determinazione della età maggiore dei sovranie padroni degli Stati e beni italiani, fissata al decimosestoanno compiuto.

Seguivano le norme sulla successione al trono, che si sa-rebbe dovuta svolgere nell'ordine seguente:

- nella linea dell'infante D. Ferdinando, «a formadi primogenitura col diritto di rappresentazione nella discen-denza mascolina di maschio in maschio, ed in mancanza alparente maschio più prossimo della stessa linea; o di quellapiù vicina alla discendenza di Ferdinando, o dell'ultimo re-gnante;

- nel caso d'estinzione della detta linea maschile, lasuccessione si sarebbe trasferita con la stessa regola alla li-

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nea del quartogenito, D. Gabriele; estinta anche questa allalinea del quintogenito, D. Antonio; e in mancanza anche diquesto alla linea del sestogenito, D. Saverio; ed infine nellostesso ordine alle linee degli eventuali nasci turi;

- estinta tutta la discendenza maschile di Carlo 111,la corona doveva passare a «quella femmina del sangue edell'agnazione che al tempo della mancanza sia vivente, o siadi altro principe maschio di maschio della mia (cioè, di Car-lo 111) discendenza, la quale sia più prossima all'ultimo re, eall'ultimo maschio dell'agnazione che manca o di altro prin-cipe che sia prima mancato », sempre con diritto di rappre-sentazione;

- in mancanza di questa, avrebbe dovuto subentrarela linea di D. Filippo, duca di Parma e Piacenza, fratello diCarlo I1I, nella primogenitura maschile, ed in difetto nella di-scendenza femminile; ed in ulteriore difetto la linea del terzofratello, D. Luigi, sempre con le medesime regole.

L'ordine di successione non doveva portare mai all'unio-ne della monarchia di Spagna con la sovranità ed i dominiitaliani; e perciò non potevano succedere nei domini italianii principi che fossero o stessero per essere re di Spagna o prin-cipi della Asturie (cioè eredi al trono di Spagna), quando vifosse altro maschio che potesse succedere secondo il dettoordine nei domini italiani, e «non essendovi dovrà il re diSpagna, subito che Dio lo provvegga di un altro maschiofiglio o nipote o pronipote, a questo trasferire gli Stati e beniitaliani ».

Queste prescrizioni, la cui minuziosità si doveva proba-bilmente ai ricordi della guerra per la successione di Spagna,e forse anche a quelli remoti dei disordini che avevano segui-to la morte di Giovanna II d'Angiò, si può dire che non la-sciassero nulla d'imprevisto per molti secoli a venire; ed in-

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Istituzioni del 'Regno delle Due Sicilie

fatti il regno" finì prima che si estinguesse "la «linea dell'in-fante D: Ferdinando », che anzi è tuttora ben lungi dall'esse-re estinta (115).

Non esisteva, invece, nessuna disposizione che regolassela reggenza durante la minore età, o l'incapacità del sovrano.Il solo caso, verificato si nella storia della monarchia borbo-riica, era quello del Consiglio di reggenza, costituito da Carlo111nel 1759, con alcune eminenti personalità del regno (116).Ma questo provvedimento sarebbe stato difficilmente utilizza-bile" come precedente, perché" era stato adottato in una situa-zione del tutto peculiare, in cui non v'era un principe dellareal. casa che potesse assumere la reggenza (117).

(115) Da Ferdinando di Borbone discesero in linea retta Francesco I,Ferdinando II, Francesco II. Morto quest'ultimo senza discendenti. la dignitàdi capo della real casa di Borbone-Due Sicilie passò al secondogenito di Fer-dinando II, Alfonso Maria conte di Caserta, e quindi in linea retta a Ferdi-nando "Pio duca di Calabria (lNSOGNA,pp. 345 ss.), a Ranieri Maria duca diCastro, a Ferdinando Maria duca di Castro (vivente), del quale vive parimentiil' figlio Carlo, d~ca di Calabria (n. 1963). "

(1l6) Facevan parte del Consiglio di reggenza Domenico Cattaneo prin-cipe di San Nicandro, Giuseppe Pappacoda principe di Céntola, Pietro Bo-logna principe di Camporeale, il marchese Giovanni Fogliani d'Aragona, ilbalì dell'Ordine di Malta Michele Reggio, Giacomo Francesco Milano principed'Ardore e marchese di S. Giorgio, il capitano generale Domenico di Sangro,Stefano Reggio principe di Campofiorito, ed il marchese Bernardo Tanucci('CORTESEN., in COLLETTA,a), I, p. 176).

(1I7) Il precedente meno remoto, nella casa di Borbone, risaliva allamorte di Luigi XIV (1715), allorchè Filippo d'Orléans, quale parente maschiolegittimo più prossimo del re minore, Luigi XV, aveva assunto la reggenza.In tale occasione, erano state respinte le pretese del duca del Maine, fondatesul testamento di Luigi XIV, e quelle del re di Spagna, Filippo V, che eranoparenti più prossimi; però il primo era figlio bensÌ del re defunto, ma c le-gittimato ~ perchè nato dalla relazione adulterina con la marchesa de Mon·tespan, ed il secondo aveva rinunziato ai diritti al trono di Francia, ascen-dendo a quello di Spagna. All'epoca del passaggio di Carlo III al trono diSpagna, erano viventi due suoi fratelli: ma di questi, l'uno, Filippo, era ducaregnante di Parma e Piacenza; l'altro, Luigi, allora trentenne, pare fosse com-

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24 Il potere supremo di Governo 129

In contingenze eccezionali, durante il lungo e fortunosoregno del primo Ferdinando, si era invece per due volteverificata la delega dei poteri regi ad un «vicario », che fuin. ambo i casi Francesco duca di Calabria (poi Francesco I):dal 16 gennaio 1812 al 5 luglio 1814, durante il secondo sog-giorno del re in Sicilia; e con r.d. 6 luglio 1820, durante il re-gime costituzionale, fino al 15 marzo 1821. Nel primo caso,il vicariato era stato un espediente per salvare la coronad.elre Ferdinando, cui lord Bentinck aveva brutalmente posto ildilemma dell'accettazione di talune pretese o della deposizio-ne (118), e perdurò fin quando la politica di lord Bentincknon fu sconfessata dal governo britannico (119). Ancheil secondo vicariato, i cui motivi ufficiali furono le non buonecondizioni di salute del re, fu un espediente politico, nontroppo chiaro negli intenti, ma che fu interpretato (speciealla luce delle successive vicende) come rivolto ad assicurare alsovrano maggiore libertà d'azione rispetto all'impostogli regi-me costituzionale. Il vicario era investito dei pieni poteri regi,ossia, come diceva si, dell'alter ego; I'investitura era revoca-bile ad nutum del sovrano (120); ed anzi, durante il secondovicariato, il re non fu del tutto escluso dall'esercizio dei suoi

pletamente alieno da ogni interesse politico (CONIGLIO,pp. 231·232), e non sitentò nemmeno di distoglierlo dai suoi ozi spagnoli. Gli altri Borboni viventierano principi francesi. Donde la soluzione del Consiglio di reggenza, che avevaanche il vantaggio, per il regno, d'essere «nazionale ». La mancanza di pre-cedenti utilizzabili determinò certamente la sommaria normativa dell'istitutodella reggenza nell'art. 69 della Costituzione del 1848 (in/ra, § 203); mentrele infelici esperienze del secolo XVII stanno a base della minuta regolamen-tazione contenuta negli artt. 12·17 del coevo statuto del regno di Sardegna.

(H8) PALMIERI, pp. 110·111.(119) PALMIERI, pp .. 234·235.(120) Ferdinando revocò il vicariato con r.d. 9 marzo 1813, ma di fronte

all'opposizione di lord Bentinck lo rinnovò il 29 marzo 1813: PALMIERI, pp.144 e 157.

9. LANDI • 1.

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130 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 25

poteri (121). Questi vicariati sono più o meno analoghi alle« luogotenenze» più volte verificate si nella prassi costituzio-nale del regno d'Italia (122).

Avevano invece i poteri di commissari straordinari, su ter-ritori che per vicende di guerra restavano sottratti alla nor-male autorità di governo, i vicari nominati rispettivamenteil 21 dicembre 1799 (capitano generale Francesco Pigna-telli di Strongoli) ed il 23 gennaio 1806 (Francesco, duca diCalabria), quando le invasioni francesi avevano costretto il read abbandonare Napoli per ritirarsi in Sicilia (123).

25. I poteri del re come capo dello Stato. - Nel re, co-me si è detto, si riunivano tutti i poteri dello Stato, ma poichèla dottrina del Montesquieu era sostanzialmente recepita daigiuristi del tempo, era possibile identificare volta per voltala natura del potere esercitato, e classificarla nelle ben notepartizioni.

I. Potere legislativo. - Il potere legislativo spettavaesclusivamente al re. Non è dato ritrovare una norma che

(121) Si pretese per esempio dal re un'espressa conferma della Costitu-zione largita dal vicario e che personalmente la giurasse (COLLETrA,a), IlI,pp. 144·145 e 158·159); il re inaugurò personalmente la sessione parlamentare(COLLETTA,a), 111, pp. 194 ss.); e lui stesso si recò, su invito delle potenzedella Santa Alleanza, al congresso di Lubiana (COLLETrA,al, 111, pp. 215 88.).

(122) Si:tratta ovviamente delle luogotenenze affidate, durante le guerre del1848, del 1859 e del 1866, da Carlo Alberto e da Vittorio Emanuele II al prin-cipe Eugenio di Savoia Carignano, e durante la guerra del 1915·18 da Vitto·rio Emanuele III al principe Tomaso di Savoia duca di Genova, implicanti,cioè, una temporanea delega o divisione di poteri regi (ROMANO,a), p. 183). Le«luogotenenze» temporanemente istituite in Toscana e nelle provincie napo-letane e siciliane (1860·61) nonchè in Roma (1870) erano organi di decentra.mento territoriale. La e luogotenensa del regno» assunta da Umberto di Sa.voia, principe di Piemonte (r.d, 5 giugno 1944, n. 150) era invece preordinataad un'eventuale trasformazione del regime costituzionale dello Stato.

(123) COLLETTA,a), I, p. 387 e II, p. 202.

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Il potere supremo di Governo 13125

espressamente lo affermi, ma si tratta d'un principio pacificonell'ordinamento del regno. Le leggi (in particolare, quella del20 dicembre 1816 sulle attribuzioni del ministro cancelliere,ed il reg. 4 giugno 1822) disciplinano soltanto i modi e le so-lennità che accompagnano la formazione della legge, cioè l'e-sercizio del potere (124).

Il potere legislativo era esercitato dal re nel Consigliodi Stato ordinario (art. 3 reg. 4 giugno 1822), di solito suproposta del ministro competente (125), e previo esame nelConsiglio dei ministri; spettava parimenti al re chiedere il pa-rere delle Consulte. Beninteso, era esclusa ogni compartecipa-zione del Consiglio di Stato nella titolarità del potere legisla-tivo: il Consiglio esprimeva pareri (art. 6 reg. cit.), ed era inarbitrio del sovrano la decisione (artt. 3 e 6 reg. cit.). Il Con-siglio di Stato, come organo collaterale del sovrano, esprimevaun parere politico, anche se mai vincolante, mentre le Consulte(fino al 1821, il Supremo Consiglio di cancelleria) esprimeva-no un parere giuridico-amministrativo.

II. Potere esecutivo. - Era considerata manifestazionedi potere ese.cutivo, come abbiamo già ricordato, la potestàregolamentare, esercitata dal re in Consiglio di Stato ai sensidell'art. 3 reg. cit., con forme che poco differivano da quelleproprie dell'esercizio del potere legislativo (art. 8 1. 20 dicem-bre 1816; art. 2 l. 24 marzo 1817).

La definizione del «potere esecutivo », piuttosto vaganella originaria formulazione del Montesquieu (126), veniva

(124) Drxs, a), II, p. 489.(125) Art. 2 l. 20 dicembre 1816: «Allorchè il progetto della legge ci

sarà presentato da alcuno de' nostri segretari di stato ministri, si aggiungeràdopo l'enunciazione de' nostri titoli: Sulla proposizione del nostro segretariodi Stato ministro di ... s , Vi sono infatti alcune leggi dove detta formula nonfigura, e che perciò dovrebbero intendersi emanate di motu proprio del re.

(126) MONTESQUIEU, livre XI, ch. VI: «n y a dans chaque Etat trois

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precisata, distinguendosi la « autorità di governo» dalla « au-torità amministrativa ». Si insegnava, perciò, che «l'auto-rità del governo è distinta dall'amministrazione civile. Laprima riguarda ad un tempo l'amministrazione civile e tut-te le altre giurisdizioni o tutti i poteri che concorrono al-la esecuzione delle leggi; esercita la sua podestà nella sferadella politica estera ed interna, e non bada che agli interessigenerali su la sicurezza dello Stato e sul mantenimento delleistituzioni fondamentali della società; comprende inoltre e lerelazioni dello Stato con gli altri Stati, e le relazioni de' prin-cipali ordini tra loro. L'amministrazione poi propriamente det-ta, nell'atto che è una parte del Governo, è non per tanto da es-so distinta e vi rimane sottoposta, essendo deputata a servirealle sue vedute, a prestargli il suo ministero» (127). Al rein Consiglio di Stato è riservata la «alta amministrazione »,che, per mezzo dei ministri, viene a collegarsi all'amministra-zione «delegata », commessa ad ufficiali sottoposti (128); ma

sortes de pouvoirs: la puissance législative, la puissance exécutrice des chosesqui dépendent du droit des gens, et la puissance exécutrice de celles qui dé-pendent du droit civil. Par la première, le prince ou le magistrat fait des loispour un temps ou pour toujours, et corr ige ou abroge celles qui sont faites.Par la seconde, il fait la paix ou la guerre, envoie ou reçoit des ambassades,établit la sùreté, prévient Ies invasions. Par la troisième, il punit les crimesou juge les différends des particuliers. On appelera cette dernière la puissaneede juger, et I'autre simplement la puissance exécutrice de I'Etat s-, Pare chiaroche, quando si parla di potestà esecutiva c: des choses qui dépendent du droitdes gens >, il riferimento sembra concernere i rapporti che si svolgono nellacomunità delle genti, e la supposizione è rafforzata dalla successiva esemplifi.cazione, talchè può ben dubitarsi di dove vadano collocate le attività di go-verno e d'amministrazione interne. Identificare, poi, il potere giudiziario colpotere d'eseguire le cose «qui dépendent du droit civil >, mentre in Montes·quieu mantiene ferma la diversa natura dei due poteri, provoca la riduzionedei poteri esecutivo e giudiziario ad un solo, come negli scrittori citati supra,nota (18).

(127) Dus, a), II, p. 151.(128) Rocco, l, p. 46.

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Il potere supremo di Governo 13325

bisogna anche avvertire che vi sono affari sottoposti diretta-mente al re dai ministri «in conferenza », cioè fuori del Con-siglio di Stato, o per il loro carattere riservato (art. lO reg.4 giugno 1822) o per la loro minore importanza (art. 3, com-ma 3, reg. lO maggio 1826), ed altri che i ministri erano au-torizzati a risolvere direttamente «nel real nome ».

Sembra che, secondo il concetto del tempo, debbano con-siderarsi attribuzioni di governo del re:

a) il comando supremo delle forze di terra e di ma-re per la sicurezza interna ed esterna dello Stato (129);

b) la nomina dei consiglieri di Stato, del presidentedel Consiglio dei ministri, dei ministri, del luogotenente gene-rale dei reali domini di là del Faro, e dei presidenti delleConsulte: queste nomine erano riservate al « sovrano arbitrio,senza precedente discussione nel Consiglio di Stato », che neveniva semplicemente «informato per la dovuta intelligen-za» (reg. lO maggio 1826, tab. «Ministero e real segreteriadi Stato della Presidenza del Consiglio de' ministri »);

c) gli affari concernenti la politica e la corrispondenzadiplomatica, nonchè la negoziazionc, stipulazione ed osservan-za dei trattati e le nomine degli agenti diplomatici e consolari(art. lO reg. 4 giugno 1822, e reg. lO maggio 1826, tab. «Mi-nistero e real segreteria di Stato degli affari esteri », per iquali il ministro riferiva al re «in conferenza» (130).

li) le materie, di competenza del ministro di polizia,che per la loro qualità riservata e meritevole d'alto segretodovevano essere riferite al sovrano particolarmente (reg. lOmaggio 1826, tab. «Ministero e real segreteria di Stato della

(l29) DlAS, a), II, loc. cito(}30) Dus, a), II, loc, cit,

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 25134

polizia generale »), cioè quelli per i quali era necessario con-servare il segreto con gli stessi ministri, salvo la prescrizioneche il detto ministro dovesse avere « dirette relazioni col presi-dente del Consiglio de' ministri segretari di Stato per tuttociò che riguarda il ramo dell'alta polizia» (art. lO reg. 4 giu-gno 1822);

e) la risoluzione dei conflitti d'attribuzioni tra le au-torità del contenzioso giudiziario ed amministrativo (r.d. 6settembre 1810), previo parere del Supremo Consiglio dicancelleria (art. 21 1. 22 dicembre 1816), e poi della Con-sulta (art. 15, n. 3, 1. 14 giugno 1824; art. 2, n. 3, atto so-vrano 27 settembre 1849), espressamente definita come attodi governo che deve rendersi dal re fonte di tutte le giurisdi-zioni (131); probabilmente la medesima natura devesi ri-conoscere alla risoluzione dei conflitti di competenza tra leautorità giudiziarie dei domini di qua e di là del Faro (in/ra,§ 134);

f) infine, sebbene niun testo legislativo il dicesse, alre soltanto spettava definire l'indirizzo generale, politico edamministrativo, del Governo (132): il Consiglio di Stato nonaveva che voto consultivo, ed il presidente del Consiglio de'ministri, ed i ministri, non erano che collaboratori subordinati,responsabili verso il re per la gestione ed amministrazione de'rispettivi loro dipartimenti (art. 15 reg. 4 giugno 1822).

Le attribuzioni amministrative del sovrano erano tantonumerose, da renderne praticamente impossibile I'enumerasio-ne. Il fenomeno, del resto, è comunque a tutte le monarchie

(131) Rocco, I, p. 90; COMERCI, p. 341.(132) DIAs, a), II, pp. 97·98: «n re intesa la discussione dell'affare pon-

dererà nella sua saviezza tutte le addotte ragioni, e con la pienezza del &UO

potere, regolato solo dalla sua prudenza e dalla sua giustizia e religione, ri·solve, sia confermando sia rigettando il parere del Consiglio di Stato s ,

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Il potere supremo di Governo 1352S

del tempo, e persistette nelle monarchie costituzionali, come inquella sarda, divenuta italiana, in cui le attribuzioni ammini-strative del capo dello Stato, pur divenute meramente forma-li, furono sfoltite solo dal 1954, cioè quando da più di unlustro era stata proclamata la repubblica (133).

Quasi tutti i provvedimenti concernenti il personale delloStato - nomine, promozioni, trasferimenti di sede, atti discioglimento dei rapporti d'impiego o di servizio - fino alivelli abbastanza modesti, erano riservati alla risoluzionesovrana. I ministri, in materia di pubblico impiego, poteva-no provvedere nel real nome soltanto in casi di minima im-portanza, per esempio per le nomine dei portieri ed uscieri,eccezion fatta per i portieri ed uscieri maggiori, nominati dalre su proposta del ministro competente «in conferenza»; oper la «assoluzione di abusi di congedo agli impiegati di qua-lunque grado» (del Ministero delle finanze e di quello dellapolizia) «quando non eccedono i quindici giorni» (reg. lOmaggio 1826). Erano di nomina regia gli intendenti, i sottin-tendenti, i segretari generali d'intendenza, i consiglieri d'inten-denza (art. 89, comma l, l. 12 dicembre 1816); i presidentied i consiglieri dei Consigli provinciali e distrettuali (art. 89,commi 2 e 3, l. cit.); i sindaci, eletti, aggiunti e decurioni deicomuni di prima classe, e di quelli di seconda classe (134) chefossero residenza del sottintendente o d'un tribunale (art. 90l. cit.}; ed erano sottoposte all'approvazione regia le nomi-ne del cancelliere e del cassiere dei comum di Napoli, Pa-lermo, Messina e Catania (art. 86 l. cit.; r.d. 7 maggio1838).

(133) D.P.R. emanati in base alle Il. di delega Il marzo 1953, n. 130,e 18 giugno 1954, n. 343.

(134) Per la classificazione dei comuni, in/m, § HO.

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Erano «necessariamente sottoposti alla sovrana decisio-ne » gli atti dei ministri, che prescrivevano i dettagli necessa-ri, sia per l'esecuzione delle leggi e decreti, sia per regolareil servizio interno delle amministrazioni dipendenti; che or-dinavano l'osservanza di leggi cadute in desuetudine (supra,§ 21); che approvavano od annullavano atti di Corpi ammini-strativi nei casi e modi prescritti dalla legge; che spiegavanoi principi, i motivi ed il vero spirito delle sovrane risoluzioni;che contenevano la decisione di quei dubbi che potevano pre-sentarsi nel disbrigo degli affari particolari appartenenti allapubblica amministrazione, i quali, quantunque non prevedutiletteralmente dalle leggi, pure rientrassero ne' principi e nelleteorie dalle medesime fissate (art. 4, l. 24 marzo 1817).

Il re provvedeva sulle rimostranze (infra, § 32) dei Corpigiudiziari ed amministrativi avverso i reali re scritti (artt. 7-8l. cit.), nonchè sulle rimostranze dei Corpi stessi avverso ledecisioni definitive dei ministri, quando gli stessi, non inten-dendo accoglierle, ne riferivano in Consiglio di Stato (artt. 9-lO l. cit.).

L'espropriazione di beni per causa d'utilità pubblica (in-fra, § 36) era ordinata di solito per decreto reale, su propostadel ministro competente.

Erano del pari riservati al sovrano vari provvedimenti,che oggi si dicono d'amministrazione pubblica degli interessiprivati: legittimazione di figli naturali (art. 256 Il.cc.}; dispen-sa dagli impedimenti civili matrimoniali (art. 161 ll.cc.); auto-rizzazione per la costituzione di società anonime ed approva-zioni dei relativi atti costitutivi (art. 52 ll.comm.). Per de-creto reale veniva concessa la naturalizzazione degli stranieri(1. 17 dicembre 1817; r.d. 18 maggio 1818), e l'autorizza-zione ai corpi morali per l'acquisto di beni (art. 826 ll.cc.).

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25 Il potere supremo di Governo 137

Erano infine numerosi gli affar, ecclesiastici, in cui, mal-grado la relativa larghezza verso le pretese della Santa Sedeche si credette di notare nel concordato reso esecutivo con l.21 marzoLdl.S, la tradizione giurisdizionalista del regno con-servava ingerenze regie frequenti e perfin minuziose, comei -« permessi di vestizioni ne' monasteri mendicanti» (135)che dovevano essere accordati dal re in Consiglio di Statoprevia discussione in Consiglio dei ministri (reg. lO maggio1826, tab, «Ministero e real segreteria di Stato degli affariecclesiastici »),

II!. Potere giurisdizionale. - Abbiamo avvertito che,sebbene la prevalente dottrina dal tempo qualificasse il P.o-tere giudiziario come branca dell'esecutivo, dalla stessa dottri-na si desume la differente natura dei poteri. E, comunque,se non si vogliono distinguere i poteri, tanto bene vengonodistinte, soggettivamente, le due «autorità », che ben possia-mo, in questa sintesi dei poteri regi, adottare la tripartizioneoggi prevalente (136).

Le Il. sull'ordine giudiziario, 29 maggio 1817 (art. 217)e 7 giugno 1819, (art. 241) disponevano che la giustiziacivile e la giustizia punitiva sarebbero state amministrate nelreal nome, da giudici nominati tutti dal re su proposta (1;1Ministro di grazia e giustizia. È questa la «giurisdizione de-legata» in cui il giudice è investito d'una potestà perpetuaed irrevocabile, che esclude, nell'esercizio della funzione giu-risdizionale, non soltanto l'ingerenza delle autorità ammi-nistrative, ma financo quella del sovrano (137).

(135) Injra, nota (188).(136) COMERCI, p. 132; Das, a), I, pp. 151.152.(37) COMERel, p. 512; MANNA, pp. 343 SS.

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138 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 25

Si insegnava però che la giurisdizione delegata ritornavaal sovrano (138):

a) quando la sentenza fosse stata annullata, o disap-provata nei motivi, con decisione della Corte suprema di giu-stizia, in accoglimento del ricorso proposto dal procuratore ge-nerale nell'interesse della legge, di propria iniziativa o a ri-chiesta del ministro di grazia e giustizia (artt. 125 e 126 l.29 maggio 1817);

b) quando il re provvedeva in Consiglio di Stato sulleosservazioni che la Corte suprema di giustizia aveva fattonel corso dell'anno pel miglioramento della legislazione; osser-vazioni che dovevano essere rimesse nel mese di gennaio diciascun anno al ministro di grazia e giustizia (art. 141 l. cit.);

c) quando si dava luogo ad interpretazione di legge(art. 131 l. cit.).

Questa terza ipotesi merita qualche chiarimento. La l. citosull' ordine giudiziario (artt. 108 ss.), e la correlativa 1. 7giugno 1819 per i domini di là del Faro, nonchè gli artt. 581ss.ll.p.c., da cui era congiuntamente regolato il ricorso per an-nullamento alla Corte suprema di giustizia, cioè il ricorso percassazione, non contenevano una disposizione (come quelladel vigente art. 384 c.p.c.) che imponesse al giudice di rin-vio d'uniformarsi al principio di diritto enunciato dalla Cor-te suprema (139). Poteva quindi accadere che il giudicedi rinvio «si ribellasse» (come si disse poi vigente il c.p.c.

(138) La teoria dell'assolutezza ed irrevocabilità della delega regia digiurisdizione si era affermata in Francia durante il regno di Luigi XVIII (PAL.MA, II, p. 594).

(139) Il c.p.c. 1865 aveva risolto il problema attribuendo il ricorso avoverso la sentenza del giudice di primo rinvio alle sezioni riunite della Cortedi cassazione, e vincolando il giudice del secondo rinvio alla decisione dellesezioni riunite sul punto di diritto esaminato (art, ~~7). La legge borbonic.~.attribuiva la massima autonomia di giudisio ~ giudice ~i x.nerito.,

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Il potere supremo di Governo 13925

italiano del 1865) alla decisione d'annullamento, e che lanuova sentenza, conforme a quella annullata, fosse impugnatadinanzi alla Corte suprema, per i medesimi motivi già accolti.In tal caso, era facoltà della Corte suprema, prima di emetterela nuova decisione, di domandare, con un deliberato a came-re riunite, l'interpretazione sovrana; altrimenti, doveva pro-cedere, sempre a camere riunite, alla decisione: nel qual casoera facoltà del ministro di grazia e giustizia di assumere lapresidenza del collegio. Ma neanche questa volta la decisioneera vincolante per il giudice di rinvio. «Se ciò non ostanteuna terza decisione, o sentenza in ultima istanza uniformealle due annullate fosse impugnata con ricorso presso la Cortesuprema, l'interpretazione della legge sarà di pieno diritto.La Corte suprema a camere riunite dichiarerà esservi luogoad interpretazione, e ne farà un l'apporto ragionato al nostrosegretario di Stato ministro di grazia e giustizia ». Su tale rap-porto veniva inteso il parere del Supremo Consiglio di can-celleria (art. 12, L 22 dicembre 1816) sostituito poi da quellodella Consulta (art. 15, n. 2, L .14 giugno 1824), e la decisio-ne veniva adottata dal re nella forma prescritta dall'art. 2.1.24 marzo 1817 (art. 131, comma 2, L 29 maggio 1817). cioècon regio decreto, previa discussione nel Consiglio dei mi-nistri e quindi in Consiglio di Stato (art. 3 reg. 4 giugno1822; reg. lO maggio 1826, tab. «Ministero e real Segreteriadi Stato. di grazia e giustizia»). In Sicilia, dove la Corte su-prema aveva una sola Camera, se, dopo due sentenze annulla-te per gli stessi motivi, ne sopravveniva una terza, la Cortepromoveva l'interpretazione, previa sospensione del giudizio(art. 131 L 7 giugno 1819).

Di tali soluzioni di «dubbi di legge» se ne trovano variepubblicate nella Collezione. Per esempio, col r.d. lO mag-gio 1849, il re dichiara «che l'istanza privata voluta dal-

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l'art. 38 Il.p.p. per isperimentare l'azione penale ne' delittinon sia necessaria per la punizione dei colpevoli di que' reatiche contengono di loro natura un misfatto, ma che, per cir-costanzo minoranti o scusanti, o per l'età o per lo stato delcolpevole, deggiono o possono essere puniti con pena corre-zionale o minore»; col r.d. 8 agosto 1859, il re interpretandol'art. 145 l. 21 agosto 1826 dichiara che in materia di reatiforestaJi l'Amministrazione delle acque e delle foreste puòricorrere avverso le sentenze d'assoluzione, indipendentementedall'nione del pubblico ministero, ma solo per gli interessicivili e patrimoniali. In questi casi, sollevati dalla Corte su-prema di giustizia di Palermo, ma che riguardavano leggi vi-genti in tutto il regno, era stato chiesto l'avviso d'ambo leConsulte.

In sostanza, il cosidetto ritorno della delega giurisdìzio-nale, al sovrano non consisteva nella sostituzione del re al giu-dice per la decisione della singola vertenza; ma piuttosto nelloesercizio del potere legislativo, che influiva sulla decisionedella vertenza solo in quanto interpretazione autentica, e quin-di retro attiva. È difficile però intendere perchè si ravvisasseun'ipotesi di ritorno della delega nell'annullamento di senten-ze «nell'interesse della legge », che non aveva nessun effettotra le parti (art. 127 1. 29 maggio 1817), e che, pronunciato.lalla Corte suprema nell'esercizio della sua ordinaria potestà,aveva formalmente efficacia di mero precedente giurispru-denziale (140).

(140) La sentenza civile, se annullata su ricorso «nell'interesse dellalegge », era considerata, nei rapporti tra le parti, c:una tacita transazione ~(art. 127 l. cit.). L'annullamento della sentenza penale, invece, giovava al con-dannato se erasi erroneamente applicata una pena maggiore, e non gli nuo-ceva nel caso inverso (art. 128 l. cit.). Se la sentenza era annullata per viola-zione di forme essenziali di rito, era facoltà del condannato scegliere tra larinnovazione del giudizio, e l'esecuzione di qu H~ tI.llDullato(art. 129 l. cit.)

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Il potere supremo di Governo 14125

La regia clemenza si manifestava:a) con le amnistie complessive di più reati, o indulti

generali (artt. 635-637 ll.p.p.), con cui in sostanza si indi-cavano sia l'amnistia che noi diciamo propria (art. 637: «leamnistie non comprendono le condanne passate in giudica-to »...), sia i condoni di pene (141). Le amnistie e gli indultierano accordati con regio decreto (art. 635 cit.), da adottar-si in Consiglio di Stato previa discussione in Consiglio deiministri (reg. lO maggio 1826, tab. Ministero e real Segrete-ria di Stato di grazia e giustizia);

b) con rescritti particolari di abolizione (artt. 638-639ll.p.p.), consistenti in una grazia accordata dal re a domandadell'incolpato e col consenso dell'offeso, pe' soli delitti e con-travvenzioni, esclusi i misfatti: la grazia impediva l'azione pe-nale, ma poteva essere subordinata a condizioni la cui inos-servanza la ravvivava, e lasciava in vita l'azione per il recu-pero delle spese di giustizia, nonchè l'azione civile nascentedal reato abolito;

c) con decreti di grazia (artt. 640-645 11.p.p.), riguar-danti le condanne passate in giudicato (142). La grazia era ac-cordata a domanda del condannato, o del difensore; poteva es-sere piena, condonando interamente la pena, o di minorazio-ne del grado o della durata della pena, o dell'uno e dell'altraassieme; e poteva essere subordinata a condizioni, per la tra-sgressione delle quali potevasi stabilire una pena, non maggioredi quella graziata. Il decreto era adottato in Consiglio diStato, su proposta del ministro di grazia e giustizia (reg, e

(141) COMERCI, pp. 420, 520. Amnistie e condoni venivano concessi di re-gola in occasione di fausti eventi nella real famiglia: così, con r.d. 16 gennaio1836, in occasione della nascita del principe Francesco, duca di Calabria; conr.d. 15 settembre 1852, in occasione della nascita del principe Pasquale, contedi Bari, etc.

(142) COMERCI, p. 516.

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tab. cit.), e poteva essere preceduto dal parere delle Com-messioni speciali della Consulta, istituite in Napoli con r.d.23 agosto 1824 ed in Palermo con r.d. 25 gennaio 1850. Era-no anche considerati, in sostanza, provvedimenti di grazia[artt. 623 ss.Il.p.p.) i decreti di riabilitazione dei condannatia pene criminali, che il re adottava su proposta del detto mini-stro, dopo che la Gran corte criminale del domicilio del c'onodannato aveva espresso parere favorevole sull'ammissibilitàdell'istanza.

Parzialmente «ritenuta» era la giustizia amministrativa.Erano, infatti, esecutive le decisioni dei giudici di primo gra-do, cioè dei Consigli d'intendenza. Le decisioni, invece, dellaGran Corte de' conti potevano eseguirsi soltanto previa ap-provazione del re (art. 17 1. 29 maggio 1817), ed in Siciliadel Luogotenente generale (art. 13 1. 7 gennaio 1818), e colparere della Consulta quando sorgessero dubbi circa l'appro-vazione (art. 15, n. 4, 1. 14 giugno 1824; r.d. 13 marzo1820); ed i relativi affari, su proposta del ministro compe-tente secondo l'oggetto della vertenza, erano esaminati inConsiglio de' ministri, e poi in Consiglio di Stato (art. 9, n. 5,reg. lO maggio 1826).

Le numerose attribuzioni concernenti l'organizzazionedegli uffici giudiziari, lo stato giuridico, la carriera e ladisciplina del personale della magistratura e degli ausiliaridell'ordine giudiziario, e quelle riguardanti lo stato civile, leprofessioni legali, etc., erano considerate di natura ammini-strativa (art. 3 r.d, 2 maggio 1817).

26. La nobiltà e gli ordini equestri. - Nel diritto pub-blico delle monarchie costituzionali, sono sovente qualificaticome manifestazioni di «regia prerogativa» i poteri dal so-vrano esercitati (specie se di motu proprio) in materia di

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Il potere supremo di Governo 14326

stato della nobiltà e di ordini equestri, cioè, come pur si suoldire, nella qualità di [ons honorum.

In verità, il concetto di «regia prerogativa» non è uni-voco (143); ed altri (144) ha qualificato l'esercizio di dettipoteri come una manifestazione di autarchia, in un dei sensiin cui a sua volta tal vocabolo dal controverso significatosi adopera, cioè come poteri esercitati nell'interesse personaledel sovrano, pur non essendo ad essi estraneo l'interesse delloStato. La tesi potrebbe essere forse sostenuta per i provvedi-menti «di grazia », nei quali l'interesse del re, di legare asè stesso ed alla dinastia determinate persone attraverso ma-nifestazioni d'augusta benevolenza, poteva concorrere conl'interesse dello Stato, cui tali provvedimenti contribuivanosia rafforzando le basi del regime, sia dando incentivo aisudditi (o ad altri) per bene operare a pro' del regno (145).

(143) Vedi, per esempio, PALMA,II, p. 525 ss., che passa in rassegna varieopinioni prospettate nella dottrina italiana e straniera del secolo scorso (sitratterebbe di poteri propriamente conferiti al re come «vero diritto maestà-tico personale s , di cui i ministri non sono responsabili); ma per ROMANO,a),

pp. 174 ss. e per CROSA,pp. 241 ss., le «prerogative ~ non sono altro che leguarentigie, donde è specificamente protetta la persona del re. Per PALMA,Il,p. 405, conferire titoli di nobiltà ed ordini cavallereschi è «diritto esclusivo ~del re.

(144) ROMANO,a), p. 177, nel momento in cui scriveva era d'avviso chesolo in passato potessero dirsi manifestazioni d'autarchia le attività esercitatedal re quale [ons honorum, Ma ancora alcuni anni dopo, il Consiglio di StatoCIV sez., 2 febbraio 1937, n. 62, in CONSIGLIODI STATO,II, pp. 603-(04) dì-chiarava inammissibile il ricorso giurisdizionale contro il decreto di revocadi un'onorificenza dell'Ordine della Corona d'Italia, perchè adottato dal rec:non come organo dello Stato, ma in nome proprio per prerogativa della Co-rona, come avviene in materia di titoli nobiliari... e per la quale è fuori di.seussione che i relativi provvedimenti, non costituendo atti amministrativi,sfuggano al sindacato giurisdisionele s.

(145) È certo, per contro, che nell'attuale regime repubblicano le ono-rificenze sono della Repubblica, ed il presidente le conferisce come capo dellamedesimo, il che ben risulta dall'art. 87, ult. comma, Cost., anche se gli èconsentito d'accordarne di motu proprio, cioè senza proposta ministeriale. Tal-

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144 Istituzioni del Regno delle Due Sicilia 26

Ma diviene molto opinabile a proposito dei provvedimenti« di giustizia », meramente ricognitivi di qualità o di diritti, inapplicazione di norme obiettive.

Forse, lo status nobiliare e gli ordini equestri potrebberoconsiderarsi minori ordinamenti istituzionali, di cui era capoil re, più o meno strettamente collegati all'ordinamento ge-nerale dello Stato da rapporti di rinvio. Ma non si vuole. quiricostruire il sistema vigente nel regno utilizzando teorie for-mulate molto tempo dopo la sua scomparsa, il che non dareb-be che risultati fittizi (146). Questo discorso serve soltantoa spiegare perchè dei poteri regi in materia di stato della no-biltà e di ordini equestri si tratti separatamente dagli altripoteri sovrani, anche se, come si vedrà in seguito, la dottrinadel tempo non sembra ne individuasse una particolare e distin-ta natura, e le stesse forme d'esercizio coincidessero con quelleconcernenti le altre materie di legislazione, di governo e d'am-ministrazione (147).

La nobiltà (supra, § 6), esisteva nell'una e nell'altra partedel regno per antichissima ed ininterrotta tradizione, che ri-saliva quanto meno ai primordi della monarchia normanna.Carlo di Borhone, ristabilita l'indipendenza del regno, le ave-va dato un ordinamento, sia pure parziale, con la 1;25 gennaio1756, « dichiarativa dei vari gradi di nobiltà ». Dopo l'occupa-zione militare del 1806, la nobiltà aveva cessato, prima in con-tinente, poi in Sicilia, d'essere ceto politicamente privilegiato,

ehè Il! relativa funzione è da classificare, sic et simpliciter, eome amministra.tiva (LANDIe POTENZA,p. 332),

(146) È evidente che qui intendiamo riferirei. alla teoria istituzionalistica,come formulata dal ROMANO,c) e come se ne fa applicazione, per esempio, inLANDI,e).

(147) COMEReI,pp. 99 S8., tratta della Real Commessione de' titoli di )10·

biltà, e degli Ordini cavallereschi, nei §§ 130 S8. della pt. I, intitolata alla. c tes-situra delDoverno. delle Sieilie ».

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Il potere supremo di Governo 14526

ma era stata mantenuta, come condizione sociale onorifica,giuridicamente riconosciuta, in forza di vari atti legislativi:

a) l'art. 3 1. 2 agosto 1806 (di Giuseppe Bonaparte), sul-l'abolizione della feudalità, disponeva: «La nobiltà eredi-taria è conservata. I titoli di principe, di duca, di conte, e dimarchese legittimamente conceduti rimangono agli attualipossessori, trasmissibili a' discendenti in perpetuo, con ordi-ne di -primogenitura, e nella linea collaterale sino al quartogrado» (148);

b) il capitolo I, n. 7, delle disposizioni parlamentarisiciliane del 1812 sull'abolizione dei diritti e pesi feudali, di-sponeva: «Conserverà ognuno i titoli, ed onori, che sinorasono stati connessi agli in avanti feudi, e de' quali ha goduto,trasferibili questi ai suoi successori» (149);

c) l'atto sovrano di Messina, 20 maggio 1815, dispo-neva la conservazione della «antica e nuova nobiltà»: era-no cioè confermati i titoli conferiti da Giuseppe Bonapartee Gioacchino Murat;

li) l'art. 9 1. Il dicembre 1816 confermò le leggi aholi-tive della feudalità, intervenute nei domini di qua e di làdel Faro;

e) l'art. 948 Il.cc. (vedi anche 1. 17 ottobre 1822) con-sentì l'istituzione di majoraschi a domanda di «quegli in-

(148) Vedi anche l'art. 4, tit. XI, dello statuto costituzionale di Bajona(in/ra, § 195): «Le leggi del 2 agosto 1806, che portano la soppressione dellafeudalità, e che non conservano altro delle antiche istituzioni di nobiltà salvoi titoli che rammentano i servi gi resi allo Stato, e che sono altrettante ono-revoli ricordanze per le famiglie, avranno la loro intera esecuzione».

(149) Si noti, però, che la costituzione siciliana del 1812 prevedeva, se-condo il modello inglese, una Camera de' Pari, ossia de' Signori, in cui en-travano per titolo ereditario «tutti quei baroni, e loro successori... che attual-mente hanno diritto di votare in parlamento s, con facoltà per il re di crearnealtri in numero illimitato; dimodocchè l'aristocrazia siciliana conservava lacaratteristica di ceto politico, come tale trasferendosi dal regime feudale aquello parlamentare (in/ra, § 196).

IO. LANDI - J.

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Istituzioni del Regno' delle Due Sicilie 26146

dividui, i di cui nomi trovansi iscritti, sia nel libro d'oro, sianegli altri registri di nobiltà; da tutti coloro che sono nell'at-tuale legittimo possesso di titoli per concessione in qualun-que tempo avvenuta, e finalmente da quelle persone che appar-tengono a famiglie di conosciuta nobiltà del regno delle DueSicilie; salve tutte le altre disposizioni che potranno in seguitoesser date relativamente alla nobiltà ».

La costituzione di majorasco (150) era probabilmente l'uni-co caso in cui lo status nobiliare fosse rilevante per le leggicivili. Essa doveva essere approvata dal re, su proposta delministro di grazia e giustizia, sentito il parere della Con-sulta (art. 15, n. 9, 1. 14 giugno 1824).

'L'appartenenza alla nobiltà era richiesta (come, fino adepoca recente, in tutte le monarchie) per la nomina a cari-che 'di Corte; nonchè per l'ammissione nella carriera diploma-tica (r.d. 31 maggio 1819, 14 febbraio 1820, 26 luglio 1820, 7settembre 1820, etc.: injra; § 44) e nella compagnia delle rea-li guardie del corpo a cavallo (r.d. P agosto 1815: in/ra,§ 77).

Presso il Ministero della Real Casa ed Ordini cavallereschiesisteva la Real Commessione de' titoli di nobiltà, che, conla soppressione del detto Ministero (r.d. 9 settembre 1832),passò alle dipendenze del Ministero di grazia e giustizia, epoi (r.d. 26 aprile 1848) della Presidenza del Consigliode' ministri (in/ra, §§ 43 e 63). Era organo comune per idomini di qua e di là del Faro, ordinato col r.d. 23 marzo1833, modificato con r.d. 26 agosto 1833, e con regolamento21 maggio 1833. La Commessione aveva sostituito gli or-gani preesistenti, e, in particolare, era competente in materiadi passaggio, trasmissione e legittimo uso dei titoli (151). Era

(150) TRIFONE, pp. 52 88.

(151) Con r. 24 settembre 1827 (in PETITTI, IV, p. 181) il re aveva vie.

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Il potere supremo di Governo 14726

composta di un presidente, un vice presidente, 7 consiglie-ri effettivi e quattro supplenti, dei quali il meno anziano inordine di nomina esercitava le funzioni di segretario; il procu-ratore generale della Corte suprema di giustizia di Napoliesercitava le funzioni del pubblico ministero; e quello dellaCorte suprema di Palermo quando il re risiedesse oltre il Faro.Le deliberazioni erano esecutive solo con la sovrana appro-vazione (152).

I diplomi originali di nobiltà erano conservati dapprimapresso la Cancelleria del Regno (art. 211. 20 dicembre 1816),e poi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri (art. 14reg. ·4 giugno 1822).

Gli ordini equestri della monarchia, dei quali il re eragran maestro, erano dapprima amministrati dal Ministerodalla Casa reale e degli Ordini cavallereschi, e dopo la sua

tato che, senza sovrana approvazione, potessero più titoli cumulati del capod'una famiglia intestarsi ad individui della medesima, o distrarsi a collaterali,quando non fosse consuetudine che il capo famiglia consentisse l'uso d'unodei suoi titoli al primogenito o a chi ne teneva luogo; e che gli acquirenti,prima o dopo l'abolizione della feudalità, di fondi cui fossero annessi titoli,potessero senza il sovrano assenso appropriarsene; ed aveva dichiarato arbi-trario ed abusivo l'uso di titoli assunti o appropriatisi negli indicati modi.

(152) Con r. 29 settembre 1834 (PETITTI,I, p. 557) fu chiarito che laCommessione doveva dar parere sull'interpretazione del diploma di conces-sione del titolo, quando vi fosse contrasto, tra più membri della stessa fami-glia concessionaria, sulla spettanza d'esso, e ciò in quanto l'interpretazione de'.benefici del principe appartiensi di regola alla suprema potestà che li con-cesse. Quando, per contrario, trattava si degli effetti civili d'un atto civile,da cui taluno presumesse d'avere acquistato diritto a dimandare l'intestazionedel titolo, la Commessione doveva lasciare alle parti lo sperimento delle lororagioni innanzi al giudice competente. Sugli abusi di titoli nobiliari dovevanovigilare gli intendenti, informando ne gli organi di polizia ed il pubblico ~i.nistero (r. 8 febbraio 1828, in PE1'ITTI,IV, p. 188). Un riassunto delle dispo-sizioni riguardanti la nobiltà di Napoli e Sicilia, dai tempi di Federico n al1855, e l'elenco dei titoli nobiliari concessi o riconosciuti nel regno di Napolidal I" gennaio 1811 al 21 aprile 1860, sono in CANDIDAGONZAGA,IV, pp. 5 88.,

.e V, pp. 9 ss, La Commessione fu abolita con d. 19t. 17 febbraio 1861, e gliatti versati all'ASN.

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148 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 26

soppressione dal Ministero della Presidenza del Consiglio deiministri (r.d. 9 settembre 1832), senza distinzione tra ordini« dinastici» ed ordini «di corona» o di Stato (153).

Gli ordini che venivano conferiti dal re del regno delleDue Sicilie erano:

a) l'Insigne (154) Reale Ordine di San Gennaro, isti-tuito da Carlo di Borbone con r.d. 7 luglio 1738, modificatocon due r.d. 28 luglio 1827 (155). Era costituito da una solaclasse di cavalieri, in numero di 60 (art. IV del decreto istitu-tivo), per i quali era prescritta la prova dei quattro quartidi nobiltà (art. V r.d. cit.). Nei rapporti internazionali, l'Or-dine si considerava pari agli ordini «di collana », come quellidel Toson d'oro, o della Santissima Annunziata (156). Nefacevano parte i capi delle maggiori famiglie del Regno, e ta-lune personalità del patriziato, illustri per benemerenze versolo Stato; ed alcuni sovrani stranieri (157).

b) il reale Ordine di S. Ferdinando e del merito, isti-tuito con r.d. I" aprile 1800, per ricompensare coloro cheavessero reso qualche importantissimo servizio, e data qualche

(153) Sulla distinzione tra ordini dinastici e statuali, PEZZANA,a); BASCA·PÈ, pp. 8 ss. Carlo di Borbone aveva istituito, con dispaccio 22 ottobre 1738 (inGlLIBERTl,p. 178) il Reale Ordine militare di S. Carlo c per decorare li sog-getti li quali servono con fedeltà, valore e zelo negli eserciti così di terracome di mare s , ma tale istituzione non ebbe alcun seguito, nè se ne conces-sero mai onorificenze (COLLETTA,al, J, p. 126; LANDI,f).

(154) Il titolo di c Insigne >, premesso a C Reale >, si trova per la primavolta nei r.d. 28 luglio 1827, ma era in uso da prima.

(155) COLLETTA,a), I, pp. 125·126; SCHIPA,I, pp. 286 ss.; BASCAPÈ,pp.481 S8. Gli statuti e gli elenchi dei cavalieri sono pubblicati nel volume: L'In·signe Real Ordine di San Gennaro.

(156) L'Insigne Real Ordine di S. Gennaro, p. 6.(157) La Real Casa di Borbone considera l'Ordine di S. Gennaro un Or-

dine dinastico (L'Insigne Real Ordine di S. Gennaro, p. lO), ed ha continuatoa conferirlo fino ai nostri giorni, senza tuttavia venire meno all'originaria par.simonia. Gran maestro se ne intitola attualmente il principe Ferdinando Ma·ria, duca di Castro. L'uso pubblico dell'onorificenza, nella Repubblica italiana,non è autorizzato.

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26 Il potere supremo di Governo 149

straordinaria prova di fedeltà alla regal Persona ed alla monar-chia: in sostanza, per solennizzare la riconquista del regno, epremiare coloro che avevano avuto parte più meritoria nell'im-presa (158). Comprendeva 24 cavalieri gran-croci, ed un nu-mero illimitato (ma, in fatto, sempre assai ridotto) di ca-valieri-commendatori, e di cavalieri della piccola croce (classeaggiunta con real dispaccio 25 luglio 1810). Vi erano, inoltre,medaglie d'oro, con cui si ricompensavano i distinti servizi de-gli aiutanti, portabandiere e portastendardi dell'esercito, edei piloti graduati e primi nocchieri di marina (più o menocorrispondenti ai nostri sottufficiali marescialli dell'esercito, ecapi della marina militare), e medaglie d'argento per i bassiuffiziali e comuni. Era questo l'Ordine più pregiato, e più ra-ramente concesso (159);

c) il Sacro Reale militare Ordine costantiniano di SanGiorgio (160). Quest'ordine si diceva derivare dalla compa-gnia di guardie cui l'imperatore Costantino il grande avevaconfidato la custodia del Labaro; riordinato nel 1190 dall'im-peratore Isacco IV Comneno, il gran magistero era rimastoereditario nella sua famiglia, finchè l'ultimo Comneno, Gio-vanni Andrea Angelo Flavio, nel 1697, ne aveva ceduto la tito-larità al duca di Parma e Piacenza, Francesco Farnese. Taledignità si era quindi trasmessa per eredità a Carlo di Borbo-ne, che l'esercitò anche dopo essere pervenuto alla coronadelle due Sicilie (161), e che, nel trasferirsi al trono di Spagna,trasmise i suoi diritti al re Ferdinando IV. I gradi dell'Ordi-ne erano quelli di cavaliere gran croce di giustizia, e cavaliere

(158) COLLETTA,a), II, p. 146; COMERCI,p. 100.(159) DE CESARE,a), I, p. 287; SCHWARZENBERG.(160) Gli statuti e gli elenchi dei cavalieri sono pubblicati nei volumi Il

Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio. Storia e bibliografia inBASCAPÈ,pp. 459 85.; PEZZo\NA,b), c).

(161) Sulle ulteriori vicende dell'Ordine in Parma (dove tuttora esistecome ente benefico), VENTURA;PEZZANA,b), pp. 304 88.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 26150

di giustizia, per cui dovevasi dare la prova dei quattro quartidi nobiltà; di cavaliere donatore, che nel tempo dell'ammissio-ne donava all'Ordine una parte dei propri beni; cavaliere digrazia, pel quale la prova di nobiltà era supplita dal merito;cavaliere cappellano onorario, e cavaliere scudiere (162);

li) il Reale Ordine militare di San Giorgio della Riunio-ne istituito con r.d. I" gennaio 1819, modificato dal r.d. lOmaggio 1850, era particolarmente destinato a premiare il va-lore, il merito ed i servizi militari, ed a celebrare la riunionedei reali domini di qua e di là del Faro in un solo regno. Per-ciò fu accordato ai militari provenienti dall'esercito del reGioacchino, in commutazione dell'Ordine delle Due Sicilie,creato da Giuseppe Bonaparte col r.d. 24 febbraio 1808 (~fra, § 84). Comprendeva cavalieri di gran croce (la classesuprema, dei «gran bandierati» o «gran collane », fu abolitacon r.d. 28 settembre 1829), grandi ufficiali, commendatori,ufficiali e cavalieri di diritto (gradi considerati distintivi divalore), e cavalieri di grazia (distintivo di merito, che si otte-neva per fatti di guerra, o per 40 anni di servizio, dei qualidue- di campagna). I sottufficiali e soldati potevano ottenerela medaglia d'oro (distintivo di valore) o la medaglia d'ar-gento (distintivo di merito).

(162) L'Ordine costantiniano, come ordine dinastico della Real Casa diBorbone-Due Sicilie, viene tuttora conferito dal Gran Maestro (oggi, il ricor-dato principe Ferdinando Maria, duca di Castro), L'uso pubblico delle deco-razioni dell'Ordine, nella Repubblica italiana, fu autorizzato, nel 1963, ai sensidell'art. 7 L 3 marzo 1951, n. 178, cioè come di Ordine «non naaionale s-. Cond.P.R. 30 marzo 1973, n. 337, è stata conferita la personalità giuridica allaAssociazione nazionale italiana dei cavalieri del Sacro militare Ordine co-stantiniano di S. Giorgio, con sede in Napoli. Lo statuto dell'Ordine è statoriformato il 17 giugno 1965, e comprende, oltre i balì gran croce, i cavalieridi gran croce, commendatori e cavalieri, divisi in tre classi: di giustizia (çhedebbono provare i quattro quarti di nobiltà), di grazia (che debbono appar-tenere alla nobiltà generosa) e di merito. Vedi anche PEZZANA,c). Per le com-mende costantiniane, in/ra, § 46.

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27 Il potere supremo di Governo 151

e) il Reale Ordine di Francesco I (r.d. 28 settembre1829) era destinato a compensare il merito civile, sia nel di-stinto esercizio delle civili cariche d'ogni ramo, sia nella se-gnata coltura delle scienze, delle arti e del commercio, e potevaanche essere conferito ai militari, nei quali concorressero me-riti civili dell'indicata specie. L'istituzione era apparsa oppor-tuna, dacchè, con la soppressione dell'Ordine delle Due Si-cilie, non v'erano più onorificienze destinate a compensarele benemerenze civili. Comprendeva i gradi di gran croce,commendatore, cavaliere, medaglia d'oro, e medaglia d'argen-to, e fu conferito con maggior larghezza di tutti gli altri ordini,ma in prevalenza a pubblici funzionari (163). Dopo l'istitu-zione dell'Ordine di Francesco I, non risulta che siano statepiù conferite le medaglie per i servizi d'utilità pubblica, ed almerito civile, istituite col r.d. 22 dicembre 1825, e col r.d.17 dicembre 1827.

IV. IL CONSIGLIO DI STATÒ ORDINARIO

ED IL CONSIGLIO DE' MINISTRI

27. Consiglio di Stato ordinario e Consiglio de' muu-stri. - Nella tradizione della monarchia borbonica, fin daitempi del re Carlo (164), il Consiglio di Stato era un organoben diverso da quello che, sul modello napoleonico, era statointrodotto nel regno da Giuseppe Bonaparte (r.d. 15 mag-gio 1806) (165). Il Consiglio di Stato borbonico era un su-

(163) CALÀ ULLOA,b), p. 67; COMERCI,p. 103; DE CESARE,a), I, pp. 288 55.

(164) COLLETTA,a), I, p. 120; SCHIPA, I, pp. 314 ss.(165) ARMANNI, p. 764, rileva che «nessun altro istituto di diritto pub-

blico presenta nella sua storia sì profonda varietà di caratteri come il Con-siglio di Stato... I due caratteri precipui valevoli però a stabilirne la naturaessenziale consistono nel carattere collegiale dell'ente e nell'indole consultiva

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152 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie _27

premo corpo politico, che assisteva il sovrano nell'eserciziodelle attribuzioni legislative e di governo, e che perciò po-trebbe piuttosto configurarsi come un Consiglio dei ministri«allargato» (per la presenza di ministri «senza portafogli »)e presieduto dal re, se tale identificazione non trovasse osta-colo nella circostanza che la volontà formata e manifestata inConsiglio era riferita esclusivamente al re (166), mentre ilConsiglio esprimeva soltanto un voto consultivo, non vinco-lante (167). Il Consiglio di Stato del tipo franco-napoleoni-co (cioè come organo di consulenza giuridico-amministrativa,e del contenzioso amministrativo) si continuò nel SupremoConsiglio di cancelleria (l. 22 dicembre 1816), e poi nelleConsulte (L 14 giugno 1824), nonchè, quanto alle attribu-zioni contenziose, nelle Grandi Corti de' conti (L 29 maggio1817, L 7 gennaio 1818: injra, §§ 162 ss.).

Il Consiglio di Stato della « occupazione militare» fu sop-presso, al momento della restaurazione borbonica, con r.d.17 luglio 1815 .. Vari motivi sono stati addotti, a propositodi tal provvedimento, che era in evidente contrasto con l'in-dirizzo politico, di conservare le istituzioni del decennio fran-

delle attribuzioni che sono affidate all'ente medesimo s , Sul Consiglio di Statoistituito da Giuseppe Bonaparte, in/ra, § 66.

(166) DIAS, a), Il, pp. 97-98.(167) Nel regno di Sardegna, era stato parimenti istituito con r.d. Il mar-

zo 1817 il «Consiglio di conferenza s , in cui si riunivano, con i ministri,alcuni alti funzionari, ed eccezionalmente i cavalieri della 55. Annunziata oaltre personalità, e che veniva spesso presieduto dal re (SALATA).Quest'organosi estinse con l'avvento del regime costituzionale (4 marzo 1848). Il nome diConsiglio di Stato fu dato, ai tempi di Emanuele Filiberto (1559), ad un or-gano collegiale, di consulenza politico-amministrativa, che ebbe vita stentata,e sparve nel 1749 (ARMANNI,pp. 786 ss.), e poi fu definitivamente attribuito,col regio editto 18 agosto 1831, al consesso di consulenza giuridico-ammini-strativa, voluto dal re Carlo Alberto, che è oggi -il Consiglio di Stato _dellaRepubblica italiana.

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27 Il potere supremo di Governo 153

cese (168). Forse si diffidava d'un consesso In CUIerano rIU-nite le personalità più distinte del decennio, e che poteva co-stituire un centro d'opposizione liberale (169); forse i mini-stri erano gelosi d'un organo che sollevava «opposizioni con-tro i ministri, e non contro il sovrano» (170). Ma poichè piùtardi altri consessi, pur diversamente denominati, ne conti-nuarono in gran parte le funzioni, non sembra secondario, e fuanzi forse assorbente, che «il nome gli fu cagione di mor-te» (171). Il Consiglio dì Stato borbonico aveva seguito ilre in Sicilia nel 1806, aveva continuato ad esercitarvi le pro-prie funzioni (172), col re era ritornato in Napoli nel 1815,nè quindi era possibile conservare due organi col medesimonome, e con diverse attribuzioni. Quando nelle prime leggi

(168) Il r.d, 17 luglio 1815 non ha preambolo, e non v'è dunque una di-chiarazione ufficiale dei motivi.

(169) GHISALBERTI?c), p. 153.(17(}) BLANCH, b), pp. 67·68.(171) COLLETT.4,a), 111, pp. 28·29. Si noti che la monarchia borbonica era

la sola, in Italia, in cui, nel 1815, si conservava un organo, denominato Con-siglio di Stato, con attribuzioni diverse da quelle del consesso così denomi-nato che l'espansione napoleonica aveva reso noto. Il Consiglio di Stato sa-baudo, come si .è detto (supm, nota 167), era venuto meno dal 1749; quellodel Granducato di Toscana, che in realtà aveva le funzioni d'un ministero pergli affari interni, era stato abolito nel 1789 (SCHUPFER, p. 1165); nel ducatodi Modena e- Reggio i ministri avevano titolo di consigliere di Stato, ma nonesisteva organicamente il Consiglio di Stato (SCHUPFER, p. 1243). Perciò, altempo della restaurazione, il nome di «Consiglio di Stato s (Dueato di Par-ma e Piacenza, 6 agosto 1814; Regno di Sardegna, 18 agosto 1831; Granducatodi Toscana, 5 marzo 1848; Stato Pontificio, lO settembre 1850) designò semprein Italia un istituto di modello francese (LANDI, c), pp. 161 55.).' Sul ritornodel nome «Consiglio di Stato» per designare la «Consulta », nel 1848 e nel1860, in/m, §§ 33 e 203.

(172) La Costituzione siciliana del 1812, tit. II, capo I, §§ 3·6 (in AQuA-RONE, D'ADDIO,NEGRI, p. 435), prevedeva un consesso, detto con uno dei solitianglicismi c:privato Coneiglìo s Iprivy Council), composto di segretari di Statoe di consiglieri, che il re era tenuto c:di consultare in tutti gli affari più gravi s-,e che corrispondeva quindi al tradizionale Consiglio di Stato borbonico, salvoche i consiglieri assumevano la responsabilità del governo (in/m, § 196).

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 27154

della restaurazione (art. 9 1. 8 dicembre 1816; art. 2, l. 11dicembre 1816; artt. l e 3, 1. 20 dicembre 1816) viene men-zionato incidentalmente il Consiglio di Stato, il riferimentoconcerne sempre il consesso del tipo borbonico, e non quellodel decennio francese.

L'ordinamento del Consiglio di Stato «ordinario» (173)era collegato, come meglio si vedrà, a quello del Consigliodei ministri, e delle reali segreterie e ministeri di Stato. Leggefondamentale del Consiglio di Stato è quella del 6 gennaio1817. Le reali segreterie e ministeri di Stato furono istitui-ti, in numero di otto, con 1. lO gennaio 1817, che stabiliva an-che le norme comuni d'ordinamento (in/ra, § 39).

Il sistema fu perfezionato col r.d. 26 maggio 1821 «concui vengono stabilite le nuove basi di Governo» (supra, § 17),col quale era prevista la partecipazione, nel Consiglio diStato ordinario, di non meno di sei consiglieri ministri di Statosenza dipartimento (art. l), con la presidenza del re, o insua vece del duca di Calabria, ed in mancanza d'entrambed'un ministro a ciò designato (art. 2). I rapporti tra tale con-sesso, ed il .Consiglio dei ministri, e le rispettive compe-tenze, furono definiti dal reg. 4 giugno 1822, più volte danoi ricordato, e dal reg. lO maggio 1826, «da osservarsi datutti i ministri segretari di Stato nel prendere le risoluzionisovrane sopra gli affari de' rispettivi ministeri », integrato

(173) Nessuna disposizione prevedeva il Consiglio di Stato c straordina-rio a, ma era consentito al re, consuetudinaria mente, d'integrare il Consigliodi Stato con principi reali, o altre eminenti personalità. Per esempio, il 21giugno 1860, il Consiglio di Stato convocato dal re in Portici, dove fu de-liberato il ritorno al regime costituzionale, era integrato dagli zii del re, Fran-cesco conte di Trapani e Luigi conte d'Aquila, e dal fratello Luigi conte diTrani (DE SIVO,a), II, p. 96\. Il DE CESARE,a), II, pp. 275 ss., 287 88., ricordapiù adunanze, con l'intervento dei medesimi personaggi, tra il 30 maggio edil 21 .:iugno 1860, e li denomina c Consigli straordinari di Stato e di fami-glia >.

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da tante tabelle di classificazioni degli affari, a seconda delprocedimento prescritto per la risoluzione, quanti erano iministeri a tal epoca esistenti. Queste ultime, minuziose pre-scrizioni, non creavano problemi nel caso d'istituzione dinuovi ministeri, con correlativo trasferimento di competenze,o di creazione di nuove attribuzioni, poichè, come risulta danote apposte a ciascuna tabella, per gli affari in esse nonprevisti si procedeva per analogia, ed, in caso di dubbio, ilministro, previo avviso del Consiglio dei ministri.: sottoponevala questione al re «in conferenza ».

Il concetto informatore si deduce principalmente dai ci-tati reg. 4 giugno 1822, e lO maggio 1826 (174).

Esso si fondava su due alti consessi comunicanti: il Con-siglio ordinario di Stato, presieduto normalmente dal re, ecomposto dai consiglieri di Stato ministri di Stato, e dai mi-nistri segretari di Stato, che potevano essere anche consiglie-ri di Stato, ed il Consiglio de' ministri segretari di Stato, com-posto solo da questi ultimi, fossero o non anche consiglieridi Stato. Il Consiglio dei ministri aveva funzioni meramen-te preparatorie degli affari bisognevoli della sovrana risolu-zione (art. 9 reg. 4 giugno 1822), che secondo gli artt .. l,comma 2, e 9 reg. lO maggio 1826, erano assegnati alla « pri-ma classe », cioè a quella degli affari «che debbono essereproposti nel... Consiglio di Stato ordinario, precedente esa-me ed avviso del Consiglio de' ministri ». Peraltro, non tutti

(174) CINGARI,p. 90, rileva che, restando salva l'esistenza del Consigliodei ministri, e l'unità dell'amministrazione, l'aumentato numero dei consì-glieri di Stato era freno all'eventualedispotismo del Consiglio dei ministri.Si .distinguevano, inoltre, i grandi temi dell'amministrazione, da discutere sem-pre in Consiglio di Stato, dagli affari correnti da decidere tra il sovrano ed iministri nelle previste periodiche udienze, e si concentrava il potere in c unorgano collegiale, privo di volontà politica dinanzi al sovrano, ma di fattodotato di forza e prestigio di fronte al paese >.

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. gli affari bisognevoli di sovrana risoluzione erano sottopostial successivo esame del Consiglio dei ministri e del Consigliodi Stato. V'erano infatti affari che venivano proposti in Con-siglio di Stato col solo parere del Ministro (art. l, comma 3,ed art. lO reg. lO maggio 1826), ed affari che venivano solto-posti al sovrano «in conferenza », cioè in udienza particolare«fuori consiglio» (art. l, comma 4 ed art. 11, reg. lO mag-gio 1826); ed infine affari per i quali era accordata al mini-stro la facoltà di risolverli «nel real nome », cioè come dele-gato permanente del re (art. l, ultimo comma, reg. lO mag-gio 1826). Comunque, nè il Consiglio di Stato, nè il Consigliodei ministri, adottavano decisioni o provvedimenti. Il primo,esprimeva al re un parere non vincolante. Il secondo, espri-meva, come oggi si direbbe, un preavviso (175), da solto-porre all'esame del Consiglio di Stato (art. 2 reg. lO maggio1826). Il potere decisorio era del re soltanto; il ministro, purenei casi in cui aveva, sostanzialmente, proprie attribuzionid'amministrazione attiva, era censito provvedere «nel realnome », cioè per sovrana delegazione.

Il fulcro del sistema avrebbe dovuto risiedere, teorica-mente, nel Consiglio di Stato. Questo altissimo consesso do-veva garantire al re, nell'esercizio delle sovrane funzionidi legislazione e di governo, la continua assistenza dei piùfidi ed eminenti suoi sudditi. Inoltre, il Consiglio di Statodoveva essere freno al potere dei ministri, o, come spesso di-cevasi, al « dispotismo ministeriale» (176), perchè gli affa-

(175) È il termine oggi usato dagli artt, 47 e 48 r.d, 21 aprile 1942,n. 444 (regolamento per l'esecuzione della legge sul Consiglio di Stato) perindicare le proposte di pareri, sottoposte dalle sezioni, o dalle commissionispeciali, all'adunanza generale del Consiglio di Stato.

(176) PIGNATELLIDI STRONGOLI,p. 68; a proposito del Consiglio di Statodi Giuseppe Bonaparte, dice che c tendeva esso... non meno ad illuminare il

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ri più importanti, che i ministri segretari di Stato sottopone-vano alla sovrana risoluzione, dovean essere discussi in un'as-semblea più numerosa del Consiglio de' ministri, col con-tributo di più varie opinioni ed esperienze. È vero che i con-siglieri di Stato, non meno dei ministri, erano chiamati alloro ufficio dal re, nella sua piena discrezionalità (salva laproporzione tra i sudditi delle due parti del regno, abolitacol r.d. 19 gennaio 1833, e ristabilita con l'atto sovrano 18gennaio 1848). Ma poichè il numero dei consiglieri era inde-finito (art. 3, 1. 6 gennaio 1817, ed art. l r.d. 26 maggio1821) il sovrano avrebbe potuto realizzare, nell'ambito delConsiglio, non solo una selezione di competenze politico-amministrative, ma anche una certa rappresentanza di ceti ed'interessi. L'istituto poteva avere talune prospettive di svi-luppo, non certo in senso liberale, ma quanto meno sulla lineadella «monarchia consultiva» auspicata dal Metternich, e co-me struttura di raccordo tra la nazione ed il governo del re.

La realtà fu diversa. I consiglieri di Stato ministri di Statofurono sempre poco numerosi. La scelta cadde di regola supersonalità dell'alta aristocrazia, che avevano bensì esercitatoin precedenza uffici importanti, ma che si distinguevanopiuttosto per fedeltà al trono che per superiori attitudini, edil cui spirito conservatore, onesto il più delle volte, ma limita-to e routinier, dava ben poco sussidio nella soluzione dei sem-pre più complessi problemi del regno. Ed eran poi i consiglie-ri di solito in tanto avanzata età, che quel Consiglio parea unsenato di vegliardi. Ne era poi ulteriormente affievolita I'autori-tà per la consuetudine invalsa di lasciare talora per più annivacanti i posti di ministro segretario di Stato, affidando la

principe, che a frenare il dispotismo ministeriale ». L'espressione confermacome in una monarchia assoluta l'autorità regia poteva essere freno insuffì-ciente ai ministri, che potevano divenire i veri detentori del potere.

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reggenza dei ministeri a direttori, come si solea dire, «conreferenda e firma », cioè ad alti funzionari che, pUT eserci-tando tutte le funzioni del ministro, compresa la partecipa-zione, per gli affari del proprio dipartimento, al Consigliodei ministri ed al Consiglio di Stato, non ne avevano il rango,nè il trattamento economico (177). Per di più, non tutti gliaffari politici e d'alta amministrazione passavano per il Con-siglio di Stato, chè anzi le questioni di maggior rilievo, dicompetenza dei ministeri degli affari esteri e della polizia ge-nerale, erano sottratte tanto al Consiglio di Stato, quanto alConsiglio dei ministri, e riferite direttamente dal capo deldicastero « in conferenza particolare» al sovrano (art. lO reg.4 giugno ·1822, e tab, «Ministero e real segreteria di Statodegli affari esteri» e «Ministero e real segreteria di Statodella polizia generale », allegate al reg. lO maggio 1826).

La conseguenza è che un conse's'so,il quale avrebbe dovutoessere, come altri disse del Consiglio di Stato dell'imperatoreNapoleone, la ruota principale nel meccanismo della monar-chia (178), fu, come centro di vita politica, una istituzionesbiadita, tanto che, con ben poche eccezioni, i nomi dei suoicomponenti sono, per la maggior parte, noti appena agli spe-'cialisti (179). Quando poi, al tempo di Ferdinando II, il trono'r-""~~~~~-!:~.~;.~~"_:;:.,.;'--;:': z: .-::~-~_.--~. -'~4-~-:;Y"-~~~~

(177) Ciò si verificò più spesso durante il regno di Ferdinando Il (DECESARE,a), I, p. 83).

(178) ~DEL[N, p. 147.(179) Tra i consiglieri di Stato più noti, dopo il 1815, possiamo ricor-

dare Luigi de' Medici d'Ouaiano, che ebbe una parte preminente nella po-litica napoletana, tra il 1815 ed il 1830; il marchese Donato Tommasi, cuisi deve la codificazione del 1819; Antonio Capece Minutolo principe di Ca-nosa, che rappresenta la tendenza ultra-reazionarta, e che rivestì tale dignitàper pochi mesi, fino. alla sua defiuitiva eliminazione dalla vita politica nel·1822; Carlo Filangieri, principe di Satriano, luogotenente del re in Sicilia; Ni-cola Maresca Donnorso, duca di Serracapriola, che fu presidente del Consi-glio dei ministri nel 1848, e poi presidente della Consulta.

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Il potere supremo di Governo 15928

fu occupato da una forte personalità, il ruolo del Consigliodi Stato si scolorì ancor di più, fino al livello d'un gruppo dicollaboratori subordinati, il che, accrescendo oltre misura laresponsabilità personale del sovrano di fronte all'opinionepubblica, non giovò certo alla monarchia borhonica (180).

28. Ordinamento e funzioni del Consiglio di Stato. -Il Consiglio di Stato ordinario (supra, § 27) era formato daiconsiglieri di Stato ministri di Stato, nonchè dai ministrisegretari di Stato (artt. l l. 6 gennaio 1817; art. l reg. 4giugno 1822), Più tardi (atto sovrano 16 agosto 1841) il resi attribuì la facoltà di fare intervenire nel Consiglio or-dinario consiglieri che non fossero ministri. I ministri pote-vano essere insigniti della dignità di consigliere di Stato; edallora precedevano in rango gli altri ministri; altrimenti pren-devano rango secondo la rispettiva anzianità (art .. 3 l. 20 di-cembre 1816; art. 4 l. lO gennaio 1817). Potevano parteci-pare ai lavori del Consiglioanche i direttori delle reali segrete-rie (funzionari dipendenti direttamente dai ministri, i qualipotevano loro conferire la delega di firma: artt. 5 e 6 l. lOgennaio 1817), quando con decreto reale fossero investiti del-la reggenza d'un ministero, e cioè della «referenda e fir-ma» (181).

(180) Dice CALÀULLOA,a), p. 89, a proposito del voto contrario espressodal ministro per gli affari esteri, principe Antonio Statella di Cassero, nellaquestione degli zolfi di Sicilia, che era il primo esempio di ministro che alre si opponesse, e ne derivò infatti la disgrazia ed il confino a Foggia delloStatella, nonchè la rimozione del segretario del Consiglio di Stato, Caprioli(supra, nota 107), che gli si era dimostrato solidale.

(181) Sotto Ferdinando II, i direttori erano in maggior numero dei mi-nistri, ed erano loro affidati anche ministeri di grande rilievo politico, comequelli degli interni e della polizia (Ludovico Bianchini) e quello degli affariesteri (Luigi Cara fa di Traetto), Il che praticamente significava che 11 veroministro era lo stesso re (vedi anche in/ra, nota 190).

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La dignità di consigliere di Stato era la prima dignità ci-vile del regno (art. 2 1. 6 gennaio 1817). Ai consiglieri diStato, ed ai ministri segretari di Stato, era dovuto il tratta-mento di eccellenza (art. 9 reg. 24 marzo 1817).

La nomina dei membri del Consiglio di Stato era riser-vata al «sovrano arbitrio », ed il Consiglio ne era sempli-cemente «informato per la dovuta intelligenza» (reg. lO mag-gio 1826, tab. «Ministero e real segreteria di Stato della Pre-sidenza del Consiglio dei ministri »). L'art. 2 l. 11 dicembre1816, confermato espressamente dall'art. l l. 6 gennaio 1817,aveva però stabilito che il Consiglio fosse composto «peruna quarta parte di siciliani, e per le altre tre parti di sudditidegli altri nostri reali domini », e la l. lO gennaio 1817 riser-vava ai siciliani due delle otto reali segreterie e ministeri diStato (art. 2). Queste disposizioni (vedi anche injro; § § 39e 40) furono abrogate da Ferdinando II (art. l r.d. 19 gen-naio 1833, ed art. 2 1. 31 ottobre 1837) (182); ma eglistesso, con l'atto sovrano 18 gennaio 1848, richiamò «nelpieno vigore» la 1. 11 dicembre 1816, ed abrogò quelladel 31 ottobre 1837 (183), con che il criterio proporzionaledella scelta fu ristabilito, sino alla crisi finale del Regno (in-Ira, § 40).

Soltanto dodici consiglieri di Stato, cioè nove continentalie tre siciliani, godevano «loro vita durante, il soldo di annui

(182) Nel preambolo del r.d. 19 gennaio 1833, Ferdinando II dichiaravadi volersi lasciare «tutta la latitudine nella difficile scelta de' migliori per-sonaggi per covrire convenientemente le principali cariche governative s-, Peril preamholo della l. 31 ottobre 1337, in/ra, cap. II, nota (16).

(183) Il preambolo dell'atto sovrano 18 gennaio 1848 richiama la l. 11dicembre 1816, con cui dopo la riunione delle Due Sicilie in un sol regno,confermata e riconosciuta da tutte le potenze nel congresso di Vienna, 4: i pri-vilegi· anticamente conceduti ai siciliani furono messi di accordo con laverità delle istituzioni politiche che in forza dei trattati di Vienna costituirdovevano il diritto politico del regno delle Due Sicilre ».

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ducati tremila annesso a tale dignità », e potevano «ritenerlounitamente a' soldi di altre cariche che indossino» (art. 3 leg-ge 6 gennaio 1817). Dal che può desumersi che l'ufficio diconsigliere di Stato non era un impiego, ma una «dignità »,e che il detto « soldo» non era uno stipendio (nel qual sensol'espressione è di solito usata nelle leggi napoletane del tempo)ma piuttosto un'indennità di carica, cumulabile con altriassegni corrisposti dall'erario (184).

I consiglieri di Stato erano esenti dagli uffici tutelari, sal-vo che sui propri figli e discendenti (art. 364 Il.cc.). Se dove-vano prestare giuramento o rendere testimonianza in giudizicivili o penali, godevano di particolari riguardi, stabiliti dal-l'art. 215 Il.p.c., e dagli artt. 553-554 ll.p.p., l'uno e gli altrimodificati dalla l. 20 agosto 1829. Dinanzi ai Consigli di guer-ra, i consiglieri di Stato erano tenuti a rispondere solo a que-siti scritti del commessario del re (art. 172 st.p.m.),

S'è detto che presiedeva il Consiglio di Stato il re, suppli-to, nell'ordine, del duca di Calabria, e dal consigliere di Statopresidente del Consiglio dei ministri (art. l l. 6 gennaio 1817;art...2 r.d. 26 maggio 1821; artt. 7 e 9 reg. 4 giugno 1822).

Per comprendere il metodo di funzionamento del Consi-glio di Stato, quale è stabilito dal reg. 4 giugno 1822, bisognatenere presente che non si trattava d'un collegio omogeneo,nel quale il presidente, primus inter pares, pur dirigendol'adunanza, dispone infine d'un voto, alla stessa stregua deglialtri componenti, e la deliberazione del collegio risponde al

(184) n soldo dei ministri era stato fissato, col r.d. I" agosto 1815, in anonui d. 10.000, più d. 7.200 d'indennità di tavola, per il Ministro degli affariesteri; in d. 9.000 per i ministri delle finanze e di grazia e giustizia, ed ind. 8.000 per tutti gli altri. n che renderebbe plausibile l'affermazione di DECESARE, a), I, p. 83, secondo cui il frequente affidamento delle reggenze deiministeri ai direttori (con soldo di d. 160 mensili) era anche determinato daragioni d'economia.

11. LANDI - I.

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voto della maggioranza; hensì d'un consesso in cui il presiden-te, nella normalità dei casi, cioè quando la funzione era eser-citata personalmente dal re (come avvenne quasi ininterrotta-mente durante il lungo regno di Ferdinando II) riuniva laduplice qualità, di capo del collegio, e d'autorità cui il pa-rere dei consiglieri si rivolgeva, e cui spettava esclusivamenteprovvedere, senza essere vincolato dai voti manifestati inConsiglio. Perciò il re convocava l'adunanza, proponeva i que-siti, dirigeva la discussione, raccoglieva i voti; ma era intera-mente lihero d'esprimere immediatamente la risoluzione, cheveniva inserita in verhale (art. 6 reg. cit.), o di ordinare chegli atti fossero mandati per il parere alla Consulta (art. 3reg. cit.) o che, previo rinvio della discussione, gli atti, perun più approfondito studio, fossero sottoposti all'esame ditutti i memhri del Consiglio (art. 5 reg. cit.), o di riservarsi larisoluzione (185). E poichè doveva il sovrano valutare di.screzionalmente quanto era stato considerato e suggerito inConsiglio, si spiega che ai voti dei singoli consiglieri si at-trihuisse tanto rilievo, quanto a quello della maggioranza delConsiglio. «Ogni componente il Consiglio di Stato ordinario- diceva l'art. 4 reg. cito - manifesterà liheramente la suaopinione, e nel caso di diversità di pareri sarà ohhligato difare inserire il suo nel protocollo del Consiglio di Stato, e difirmarlo ». Era ciò prescritto anche quando la difformità deipareri persistesse pur dopo il rinvio «a nuova e più maturadiscussione» previo diretto esame degli atti da parte di tut-

(185) Dai verhali del Consiglio di Stato del regno di Sardegna, presìe-duto dal re secondo il regio editto 18 agosto 1831, risulta che, nei pochi casiin cui il re Carlo Alberto intervenne di persona, non esprimeva voto, ma siriservava la decisione. È impossibile attrihuire credito a quanto, del funsìo-namento del Consiglio di Stato al tempo di Ferdinando Il, si dice dal Su-TEMBRINI, b), p. 40.

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ti i consiglieri (art. 5 cit.). È questo un caso, abbastanza raro,in cui il regolamento d'un organo collegiale consultivo pre-scrive come obbligatoria la documentazione del parere, o deipareri, di minoranza, che di solito è meramente facoltati-va (186). Il motivo ne va ricercato nel rapporto tra i voti delConsiglio e la volontà sovrana, nonchè nel contenuto politicodei voti e delle sovrane risoluzioni.

Quando il Consiglio non era stato presieduto personal-mente dal re, questi doveva essere subito informato di quantosi era discusso e concluso, ed il· consigliere di Stato incaricatodella direzione del protocollo (cioè il presidente del Consigliodei ministri: art. 7 reg. cit.) sottoponeva al sovrano il proto-collo dell'adunanza. Il re comunicava al Consiglio le proprierisoluzioni per mezzo del detto presidente, che doveva farleimmediatamente registrare nel protocollo perchè fossero ese-guite (art. 8 reg. cit.).

Gli affari, che il re disponeva fossero discussi nel Consi-glio di Stato, vi pervenivano o previo esame del Consigliodei ministri, oppure direttamente col parere. del ministrocompetente. L'art. 9 reg. lO maggio 1826 stabiliva alcunecategorie d'affari, che dovevano in tutti i casi essere preven-tivamente esaminati nel Consiglio dei ministri; altri risultava-no dalle tabelle che elencavano anche «gli affari che dovran-no proporsi nel Consiglio ordinario di Stato col solo voto

(186) Nell'attuale ordinamento italiano, la manifestazione del parere diminoranza è prescritta per il Consiglio superiore delle Forze armate (art. 15,comma 6, I. 9 gennaio 1951, n. 167) e per il comitato dei capi di Stato magogiore (art. 5 d.P.R. 13 ottobre 1972, n. 781\. Nel regolamento del Consigliodi Stato (art. 43 r.d. 21 aprile 1942, n. 444, derivante dall'art. 19 r.d. 26 giu-gno 1924, n. 1(}55, e da testi ancor più antichi). è stabilito che quando la se-zione consultiva si sia divisa a parità di voti, e quindi debba prevalere. ilvoto del presidente, «si esprime anche l'opinione della minoranza» (LANDI, g),p. 208).

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164 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 28

del ministro rispettivo ... non potendosi pei medesimi stabilireregola generale» (art. l O reg. cit.). Era poi nella discrezionalefacoltà del re disporre che qualsiasi affare, proposto dal mi-nistro competente «in conferenza », fosse deferito al Consi-glio di Stato (art. 9, n. 12, reg. cit.).

Erano affari che secondo l'art. 9 cito dovevano sempreproporsi nel Consiglio di Stato, previo esame nel Consiglio deiministri:

l) le nuove leggi, e le modificazioni di quelle esistenti;2) le abrogazioni di antiche leggi;3) i nuovi regolamenti generali, o le modificazioni di

quelli esistenti, quando contenessero nuove disposizioni legi-slative, e non già mera esecuzione delle leggi esistenti;

4) i nuovi sistemi, o la riforma di quelli in vigore;5) gli avvisi della Gran Corte de' conti, quando vi

fosse ricorso delle parti, ed il ministro (del ramo cui l'affareapparteneva: art. l reg. 13 marzo 1820) credesse potesse ac-cordarsi il gravame straordinario, ne' termini del r.d. 13 mar-zo 1820 (in/ra, § 175);

6) l'aumento e la comulazione de' crediti oltre il dodice-simo mensuale; .

7) l'inversione de' fondi da un capitolo all'altro dellastessa classe;

8) il ravvivamento dei fondi ammortizzati per non es-sere stati pagati gli ordinativi nel corso de' due esercizi;

9) le transazioni in generale riguardanti l'erario delloStato, allorchè oltrepassassero i ducati tremila;

lO) le gratificazioni straordinarie per una sola volta,allorchè oltrepassassero i ducati cinquecento;

11) la nomina degli ufficiali di ripartimento de' mini-steri, la destituzione de' medesimi, e la loro reintegrazione nel-l'impiego.

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28 Il potere supremo di Governo 165

Gli affari di cui ai numeri 6, 7 ed 8, concernenti la gestio-ne del bilancio, erano sottoposti al Consigliodi Stato soloquan-do in Consiglio dei ministri fossero stati difformi i pareri delministro delle finanze, e del ministro competente per materia;altrimenti, venivano da quest'ultimo sottoposti direttamenteal re in conferenza (art. 9, comma 3, reg. cit.).

Tra gli affari dei diversi ministeri (esistenti all'epoca: in-fra, § 39) che, secondo le tab. alI. al reg. lO maggio 1826, do-vevano essere discussi in Consiglio di Stato previo esame inConsiglio de' ministri, si possono a mo' d'esempio ricordare:

a) Presidenza del Consiglio dei ministri: la nomina deiVIcepresidenti, dei consultori, del segretario generale e deisegretari delle Consulte;

b) Ministero degli affari esteri: la negoziazione, la sti-pulazione e l'osservanza de' trattati di commercio e di navi-gazione (187);

c) Ministero di grazia e giustizia: le nomine, destitu-zrom e reintegre dei magistrati delle supreme Corti di giusti-zia (compresi i cancellieri) e delle Grandi Corti civili; le con-cessioni d'amnistie e di indulti generali;

d) Ministero degli affari ecclesiastici: la nomma agliarcivescovati, vescovati ed abhadie vacanti; le controversiegiurisdizionali dietro ricorso per abuso; i permessi di vesti-zione ne' monasteri mendicanti (188);

(187) Erano oggetto di «conferenza particolare ~ del ministro col so-vrano le nomine del personale diplomatico, dagli ambasciatori agli aggiuntidi legazione, e quelle dei consoli. Era inoltre materia di conferenza la nego-ziazione dei trattati di pace e d'alleanza, nonchè «la corrispondenza cogli an-zidetti nostri rappresentanti ed impiegati nell'estero, e con quelli de' go-verni esteri, che riseggono presso di noi, quando si tratterà di affari di altapolitica ~: il che significa che il Consiglio di Stato non aveva voce in materiadi politica estera, se non nei limiti in cui piacesse al sovrano di consultarlo.

(188) Il« voto di povertà s , professato dai religiosi degli ordini mendi-

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 28166

e) Ministero delle finanze: i contratti per regìe in ge-nerale o per affitti in massa de' dazi di conto regio; la nomi-na, destituzione e reintegra dei componenti delle Gran Cortide' conti; nonchè dei direttori generali, amministratori ge-nerali, ispettori generali delle diverse amministrazioni finan-ziarie; del reggente del Banco delle Due Sicilie; dei capid'uffizio, ispettori generali e segretari generali delle tesoreriegenerali di qua e di là del Faro; l'approvazione degli stati di-SCUSSI (stati di previsione dell' entrata e della spesa) dei mini-steri;

f) Ministero degli affari interni: nomine, destituzioni,reintegrazioni e traslocazioni degli intendenti, segretari gene-rali e sottintendenti; nomine del sindaco di Napoli, del pre-tore di Palermo, del presidente del magistrato di salute pe'domini tanto di qua che di là del faro, del presidente dellapubblica istruzione parimenti per gli uni e gli altri; del soprin-tendente dell'archivio generale, del presidente della Giuntadei teatri, dei presidenti dei Consigli provinciali; l'affitto o laregìa del teatro di S. Carlo;

g) Ministero della guerra e marina: le piante organichedei corpi militari e civili, le proposte d'impieghi al di là dellepiante organiche per misure straordinarie, le destinazioni degliufficiali superiori e generali e de' civili equiparati, la determi-nazione del contingente di leva, i progetti di strade militari,la costruzione di nuove fortezze o l'abolizione delle esistenti;

h) Ministero della polizia generale: nomine, destituzionie reintegrazioni del prefetto di polizia, del direttore di polizia

canti, aveva effetti civili, determinando (secondo la giurisprudenza citata daCOMERe!,p. 665) l'incapacità di succedere, in conformità del diritto canonico(efr. ora il can. 582 c.i.c.), considerato obbligatorio nel regno quando concer-nesse ~ il temporale delle Chiese e de' chierici» (DIAs, a), II, pp. 486487),

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in Sicilia, del suo segretario generale, de' commissari di poliziadi qua e di là del faro; misure economiche (cioè amministra-tive) per vedute d'alta polizia, per esiliati dal regno, o per ri-legazioni o carcerazioni nelle isole.

Ancor più numerosi erano gli affari da proporsi in Consi-glio di Stato col solo parere del ministro: ricordiamo le nomi-ne dei «direttori» (art. 6 1. lO gennaio 1817) e le spiega-zioni dei dubbi di legge la cui soluzione richiedesse un attolegislativo, che il reg. lO maggio 1826 prescriveva per tutti iministeri; le traslocazioni dei giudici delle Grandi corti civili,e le nomine, destituzioni e reintegre degli altri magistrati; leconcessioni di grazie; i piani e progetti di opere pubblichee di bonifica; le nomine dei presidenti dei Consigli distrettualie dei consiglieri provinciali e distrettuali di Napoli e Paler-mo; le nomine dei professori universitari per effetto di con-corso; le nomine degli ufficiali dell'esercito e della marina (edimpiegati civili del ministero di guerra e marina equiparati),dal grado di maggiore inclusivamente in su; le nomine di fun-zionari di polizia; l'adozione di nuove ordinanze o l'abrogazio-ne di quelle esistenti, le risoluzioni concernenti gli esiliatie relegati per misure g&~-ernative o espatriati per causa d'opi-nione, «il risultamento d'istruzioni in materia d'alta polizia,per le quali occorresse di prendere gli oracoli sovrani ».

.È ovvio che, nel valutare queste elencazioni, non si puòprocedere con la mentalità odierna, e si deve tenere presenteil grado d'importanza che singole categorie d'affari avevanoin relazione al tempo, ed alle condizioni politiche, amministra-tive ed economiche del tempo, e per di più in uno Stato lecui dimensioni erano ben minori di quello in cui oggi vivia-mo. Bisogna pure riconoscere che in certi casi la prescrizione'che certi affari fossero deliberati in Consiglio di Stato costi-

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tuiva, in linea di principio, una garanzia, poichè il re in Con-sigliosi concepiva come suprema autorità imparziale: ciò si di-ca, per esempio, per i-provvedimenti concernenti la nominae lo stato giuridico del personale dell'Ordine giudiziario, delleConsulte e delle Gran Corti de' conti. Tuttavia, le enume-razioni di cui si è voluto dar saggio danno innegabilmentel'impressione che un consesso altissimo, dove avrebbe dovutoistituzionalmente concretarsi l'indirizzo politico del regno,si sprecasse in affari d'interesse modesto, mentre altri di granmomento, come quelli attinenti alla politica internazionale,potevano completamente sfuggirgli. Se poi si esaminano,nel-le tab. alI. al reg. lO maggio 1826, gli affari che i ministri do-vean sottoporre al re in conferenza, si scende a livelli cheanche in quel tempo parrebbero minimi, quali, ad esempio,i congedi degli impiegati (r.d. 22 gennaio 1832). Talchè bensi può ritenere che quando pure fosse il re animato da in-cessante volontà di lavoro, scrupolosità e diligenza estreme,rigida giustizia, il suo compito, qualora avesse voluto davve-ro risolvere tutto personalmente ex informata conscientia,come la legge supponeva, sarebbe stato superiore -alle umaneforze. Dovea dunque il re assumere una responsabilità perso-nale teorica, ben più vasta e profonda della sua effettiva azio-ne, anche rispetto ad affari che per la loro qualità non avreb-bero dovuto esigere un eccelso intervento; caricarsi spesso d'er-rori ed ingiustizie altrui, ed incorrere sovente in errori ed in-giustizie da lui non avvertiti e non voluti.

Il procedimento per la trattazione degli affari nel Consi-glio di Stato era stabilito dai citati reg. 4 giugno 1822 e lOmaggio 1826.

Gli affari che erano preceduti da discussione nel Consi-glio dei ministri, venivano proposti in Consiglio di Stato conl'avviso del Consiglio dei ministri. Per gli affari di maggiore

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complessità, si distribuivano preventivamente ai consiglieriministri di Stato senza portafoglio (che non partecipavanoal Consiglio de' ministri) memorie segrete (art. 2 reg. 10mag-gio 1826).

Le discussioni, i pareri manifestati, e le sovrane risolusio-m adottate nelle adunanze del Consiglio di Stato, vemvanoannotati nel «protocollo », ossia verbale, compilato dal segre-tario, o «protocollista », sotto la direzione del presidente delConsiglio dei ministri (artt. 6 e 7 reg. 4 giugno 1822), nellaforma stabilita dall'art. 3 reg. lO maggio 1826. Il protocolloveniva letto e firmato, nell'adunanza successiva, da tutti ìcomponenti del Consiglio (art. 6 cit.). Nella stessa adunanza,veniva presentato il «notamento» dei provvedimenti con cuii ministri avevano dato esecuzione alle risoluzioni adottatedal re nell'adunanza precedente (art. 4 reg. lO maggio1826) (189).

(189) NISCO, p. 29, riferisce che, in data 15 luglio 1833, Ferdinando Il«emanava il regolamento organico del Consiglio di Stato, che il duca diGualtieri comunicava, per l'esatta esecuzione, a tutti i ministr i s , Tale regola.mento vietava di proporre affari c fuori Consiglio e fuori di protocollo ~ seil ministro non avesse prima ottenuto, esponendo i motivi della richiesta, lareale autorizzazione; disponeva il modo di proporre in Consiglio i provve-dimenti concernenti persone; prescriveva che le suppliche pervenute ai mi-nistri <: dalle sacre mani ~ (cioè trasmesse dal re al ministro competente perl'istruttoria e le conseguenti proposte) dovessero essere esaminate in Consiglioentro quindici giorni dalla rimessione, restando vietato ai ministri di pro-porne altre «salvo che il contenuto non meritasse qualche sovrano provve-dimento ~; vietava l'intervento di consiglieri e ministri di Stato senza por-tafogli nel Consiglio de' ministri; stabiliva la responsabilità del segretarioper la collazione dei documenti da sottoporre alla firma sovrana. Un'altra or-dinanza del re, in data 18 luglio 1833, sempre secondo il citato autore, c di-sponeva che il bilancio annuale fosse formato da una Commissione de' mi-nistri da lui nominata, alla quale ciascun ministro isolatamente uno per voltadoveva riferire lo stato discusso del proprio dicastero, e doveano essere co-municati a lei gli avvisi della Consulta e dei ministri di Stato senza portafo-gli~. I qui riferiti provvedimenti, peraltro, non sono inseriti, come decreti

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29. Ordinamento è funzioni del Consiglio de' ministri.Il Consiglio de' ministri segretari di Stato era costituito

aflinchè in esso si « conferissero e preparassero» tutti gli affa-ri che avevano bisogno della sovrana risoluzione (art. 9 reg.4 giugno 1822). In realtà, passavano dal Consiglio de' mi-nistri, obbligatoriamente, solo gli affari che dovevano presen-tarsi in Consiglio di Stato, e, facoltativamente, quegli altri,da riferire in Consiglio di Stato col solo parere del ministro,o direttamente al re in conferenza, che il ministro competenteriteneva opportuno discutere preventivamente con i colleghi.Malgrado la natura meramente preparatoria delle attribuzionidel detto consesso, era si configurato in tal modo un abbozzo,per dir così, di responsabilità collegiale. Essa però era grave-mente limitata dall'art. lO reg. cit., il quale letteralmente di-sponeva:

« Esentiamo dal dovere di conferire nel mentovato Consiglio de'ministri segretari di Stato il ministro segretario di Stato degli affa-ri esteri per quanto riguarda la politica e la corrispondenza diplo-matica, ed il ministro segretario di Stato della polizia per que' solicasi ne' quali è necessario conservarsi il segreto cogli stessi mini-stri segretari di Stato; ma ordiniamo, che questo ministro debbaavere dirette relazioni col presidente del Consiglio de' ministri se-gretari di Stato per tutto ciò che riguarda il ramo dell'alta polizia ».

La conseguenza era che venivano trattate «in conferen-za particolare del ministro» col re, «tutte le materie riguar-

reali, nella Collezione, e non se ne dà notrzra in alcuno dei testi di dirittopuhhlico del regno, puhhlicati dopo il 1833, fino al 1860. Non v'è, comunque,motivo alcuno di duhitare dell'esattezza dell'informazione che, probabilmente,l'autore desumeva dai «protocolli dei diversi -ministert che si conservano nelgrande archivio di Napoli », citati a p. 30. In sostanza, i detti provvedimentidovevano essere, come noi diremmo, regolamenti interni o istruzioni, emanatidal re piuttosto nella sua qualità di presidente cJd Coneiglio dt ~~,to~ checome sovrano legislatore, e perciò di carattere {\~e.t;V~~,O., .

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danti la negoziazione, stipulazione ed osservanza dei trattatidi pace e di alleanza colle potenze estere; la nomina degli am-basciatori, degli inviati straordinari e ministri plenipotenziari,de' residenti, degli incaricati di affari, de' segretari di amba-sciata e di legazione, e de' consoli all'estero; la corrisponden-za cogli anzidetti ... rappresentanti ed impiegati nell'estero, econ quelli de' governi esteri, che risieggono presso di noi(del re) quando si tratterà di affari di alta politica »... etc.Parimenti, venivano trattati in conferenza dal ministro di po-lizia «tutti quegli affari... che. per la loro qualità riservata emeritevole di alto segreto, debbono essere riferiti a noi (alre) particolarmente» (reg. lO maggio 1826, tab. «Ministeroe real segreteria di Stato degli affari esteri », e «Ministeroe real segreteria di Stato della polizia generale »). Questi af-fari, cioè tutto ciò che concerneva la politica estera, e le piùimportanti materie di politica interna, erano esposti a sfug-gire, come già si è avvertito, tanto al Consiglio di Stato, quan-to al Consiglio de' ministri; i primi, erano, per dir così, og-getto d'un segreto a due tra il re ed il ministro degli affariesteri (190); gli altri d'un segreto a tre, tra il re, il ministrodella polizia generale, ed il presidente del Consiglio de' mi-nistri.

Il Consiglio dei ministri era presieduto dal Consiglieredi Stato, ministro di Stato, presidente del Consiglio dei mi-nistri, la cui carica era stata istituita col reg. 4 giugno 1822(art. 9). Il detto presidente, inoltre, aveva assunto le attri-

(190) li Ministero degli affari esteri fu affidato, con r.d, 15 febbraio 1852,al direttore Luigi Carafa di Traetto, «uomo retto, non privo di tatto, senzal'ombra d'iniziativa: esecutore puro e semplice della volontà sovrana» (DECESARE,a), I, p. 79), il quale vi rimase durante tutto il regno di Ferdinando II,ed anche oltre; dimodocchè l'intera responsabilità della politica estera d'iso-lamento, tanto nefasta per le sorti del regno, deve essere attribuita a Fer-dinando II.

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huzioni del ministro cancelliere (art. 14 reg. cit.), previstedalla l. 8 dicembre 1816, dopo la soppressione di tale ufficio(r.d. 22 luglio 1820 e 29 marzo 1821), ed era preposto al«ministero e real segreteria di Stato della Presidenza del Con-siglio de' ministri» (r.d. 15 ottobre 1822). Il presidente rego-lava' le discussioni del Consiglio dei ministri, determinava segli affari discussi avessero bisogno di maggiori schiarimentiprima di riferirsi nel Consiglio di Stato, e domandava le so-vrane risoluzioni su qualsivoglia dubbio che potesse impedirela discussione degli affari nel Consiglio dei ministri (art. 13reg. cit.). Egli era «l'organo », cioè il canale di trasmissione,di tutti gli ordini che il re giudicasse di dare così al Consiglio,come a' ministri componenti (art. 14 reg. cit.).

Componenti del Consiglio dei ministri erano i ministrisegretari di Stato, fossero o non consiglieri di Stato, nonchèi direttori «con referenda e firma », cioè reggenti di mini-steri (191).

Il Consiglio dei ministri esprimeva, sugli affari che do-vevano essere trasmessi al Consiglio di Stato, pareri motivati.Stabiliva appunto l'art. 3 reg. lO maggio 1826 che «il pareredel Consiglio de' ministri, o del ministro, dovrà essere chiaroed esplicitamente diretto alla stretta esecuzione delle vigentileggi e regolamenti, colle ragioni che forse vi potrebbero esse-re per dispensarvi, o per doversi altrimenti determinar l'affa-re che si propone; restando al nostro (del re) arbitrio diuniformarci a tal parere, di accordare quelle grazie che cre-deremo, o risolvere diversamente, quando sarà necessario »,Il parere doveva dunque contenere un avviso, sia di legittimi-tà (stretta esecuzione delle vigenti leggi e regolamenti), siadi merito. Che poi si dica che il Consigliopuò segnalare le ra-

(191) Il numero e la competenza dei ministerì pi~ volte ~urono I.!l.od.iq.cati: inira, §§ 38-39 e 43-65.

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Il potere supremo di Governo 17330

gioni «per dispensarvi. ..», etc., non deve essere inteso nelsenso che il Consiglio potesse suggerire al sovrano la viola-zione delle leggi e dei regolamenti, nell'atto stesso in cui nefaceva richiamo. In rapporto alla fattispecie concreta, i mini-stri potevano provocare dal sovrano, fonte di tutti i poteri,ed unico titolare del potere legislativo, l'esercizio della pote-stas dispensandi, cioè del potere di derogare alla legge, conun atto che nel diritto della monarchia assoluta, come neldiritto canonico, si classifica di legislazione, e quindi con laosservanza delle forme stabilite dalle Il. 20 dicembre 1816,e 24 marzo 1817. Ma non sembra che casi del genere siansiverificati con frequenza (192).

v. LA CITTADINANZA E I DIRITTI FONDAMENTALI

30. La cittadinanza. - La persona fisica, appartenen-te. secondo legge, al popolo del regno delle Due Sicilie, eperciò titolare di capacità di diritto secondo l'ordinamento giu-ridico del regno, è detta (artt. 9 ss. Il.cc.) nazionale, e adessa compete il godimento dei diritti civili e politici. Il terminecittadino si trova usato in dottrina con un significato piùristretto, cioè per indicare i soggetti che godevano i diritti

(92) COMERCI,p. 479, definisce la dispensa come una concessione con laquale si deroga alla legge, fatta da colui che ne ha il potere legittimo, e noncita altri esempi, fuor di quelli, ben noti, in materia di matrimonio (artt.160 ss, Il.cc.), Per ius singulare fu, con r.d. 24 ottobre 1815 e r.d. 14 febbraio1816, accordata la legittimazione di figli adulterini di personalità benemeritedella dinastia (COLLETTA,a), 111, p. 32, e nota di CORTESE),del che non si ri-cordano altri esempi. Altri casi che il COLLETTA,a), 111, pp. 33 ss., cita comeesempi di deroga alla legge, sono rettificati nelle note del CORTESEN. Circa lanatura giuridica dell'atto, esso è tuttora considerato legislativo nel diritto ca-nonico, che costituisce l'unico superstite ordinamento di monarchia assoluta(FEDELE),mentre per il diritto vigente in Italia è atto amministrativo, che puòessere emanato sol quando la legge lo consente (LANDIe POTENZA,p. 223).

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politici in un determinato comune, e perciò potevano essereiscritti nella lista comunale degli eleggibili (193).

Erano nazionali del regno i figli di padre nazionale, anchese nati all'estero (art. 12 Il.cc.) (194), e le donne stranieremaritate con un nazionale (art. 14 ll.cc.).

Avevano diritto ad acquistare la nazionalità gli individuinati nel regno da uno straniero, purchè la reclamassero entrol'anno susseguente al compimento della maggiore età (arti-colo Il, n.cc.), nonchè, sempre, i figli nati in paese stranieroda un nazionale, che l'avessero perduta (art. 13 ll.cc.). Gliuni e gli altri, se residenti nel regno dovevano dichiarare laintenzione di fissarvi il loro domicilio, e, se abitanti all'estero,dovevano promettere formalmente di stabilire il domicilio nelregno, e stabilirvelo dentro un anno dalla promessa.

Potevano acquistare la nazionalità per naturalizzazione(L 17 dicembre 1817 e r.d. 18 maggio 1818), purchè fos-sero domiciliati nel regno da un anno almeno, ininterrotto:

a) gli stranieri che avessero reso o potessero rendereimportanti servigi allo Stato;

b) quelli dotati di talenti distinti, o che avessero por-tato invenzioni o industrie utili;

c) quelli che avessero acquistato nel regno beni stabili,gravati da un'imposta fondiaria non minore di ducati 100per anno.

Potevano inoltre ottenerla gli stranieri che avessero avutola residenza nel regno per dieci anni consecutivi, e provasserod'avere onesti mezzi di sussistenza, o che, avendovi avutaresidenza per cinque anni consecutivi, avessero sposato unanazionale, semprecchè avessero raggiunto la maggiore età, edichiarato di volere fissare il domicilio nel regno.

(193) Dus, a), I, p. 18; ed in/ra, § 111.(194) Min. Affari interni, 25 settembre 1846, in PETIITI, 111, p. 145.

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30 Il potere supremo di Governo 175

Le domande di naturalizzazione dovean presentarsi, coni documenti, al sindaco del comune di residenza, che le inviavaall'intendente, e questi, col proprio parere, le trasmettevaal ministro di grazia e giustizia. La legge non faceva cennodella religione dell'istante; ma con r. 11 setto 1824 (195)fu stabilito che, essendo la religione cattolica la sola profes-sata nel regno, gli stranieri, che dimandavano essere natura-lizzati, dovessero essere cattolici. Veniva inteso il parere delSupremo Consiglio di cancelleria (art. 13 1. 22 dicembre1816), sostituito poi da quello della Consulta (art. 15, n. 6,1. 14 giugno 1824). La naturalizzazione era accordata con realdecreto, su proposta del ministro di grazia e giustizia (196),ed il naturalizzato doveva prestare giuramento di fedeltà di-nanzi all'intendente della provincia o valle di residenza. Laconcessione era strettamente personale, e non si estendevaai figli, qualunque fosse il loro stato civile, cioè d'età minore,d'emancipati, o d'età maggiore (197).

La nazionalità si perdeva:a) per naturalizzazione acquistata m paese straniero

(art. 20, n. l, ll.cc.};b) per l'accettazione, non autorizzata dal Governo, di

pubblici impieghi conferiti da un Governo straniero (art. 20cit., n. 2);

c) per qualunque stabilimento eretto in paese stranierocon animo di non più ritornare: gli stabilimenti di commercio,però, non potevano giammai considerarsi come formati senzaanimo di ritornare (art. 20, cit., n. 3 ed ultimo comma);

(195) PETITII, IV, p. 116.(196) La spedizione del decreto di naturalizzazione nel regno era su.'

bordi nata ad un «diritto s, cioè tassa, di d. 50 (Tariffa de' diritti sulle spe-dizioni del Supremo Consiglio di cancelleria, l° aprile 1820, e r. 15 febbraio1845, in PETITII, IV, pp. 118 e 486).

(197) R. 3 settembre 1842, in PETITII, III, p. 128.

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cl) per matrimonio Lontratto dalla donna nazionale conuno straniero (art. 22, ll.cc.);

e) per l'assunzione, non autorizzata dal Governo, diservizio militare presso una potenza straniera, o per aggrega-zione ad una corporazione militare straniera (art. 25, commal, Il.cc.) (198).

La nazionalità poteva essere riacquistata:a) nei casi previsti dall'art. 20 cit., quando il nazionale,

che l'avesse perduta, rientrasse nel regno con l'approvazionedel Governo, e dichiarasse di volervisi rrstahilire, e di rinun-ziare a qualsiasi distinzione contraria alla legge del regno (art.21 ll.cc.);

b) nel caso previsto dall'art. 22 cit., quando la donna,rimasta vedova, abitasse nel regno, o vi rientrasse con laapprovazione del Governo, e dichiarasse di volervi fissare ildomicilio (art. 23 Il.cc.);

c) nei casi previsti dall'art. 25, comma l, cit.: l'ex-nazionale non poteva rientrare nel regno senza la permissionedel Governo, e non poteva riacquistare la qualità di nazionalese non dopo avere adempiuto le condizioni prescritte allostraniero, restando però in vigore le pene stabilite dalle leggicriminali contro i nazionali i quali avessero portato le armicontro la patria (art. 25, comma 2, Il.cc.).

31. Persone fisiche e persone giuridiche. - Erano sog-getti di diritto, secondo l'ordinamento del regno, le personefisiche, e le persone giuridiche, o morali.

Alle persone fisiche, quando fossero nazionali del regno,era attribuita, in via generale, la capacità di diritto civile e

{l98} L'aggregazione ad una corporazione militare straniera si verificavanell'ipotesi di servizio in forze insurrezionali, o in forze armate di Stati. nonriconosciuti dal Regno delle Due Sicilie.

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· Il potere supremo di Governo 17731

politico (art. 911.cc.). Il principio d'uguaglianza era acquisito,sia nella legislazione napoletana del decennio, sia in quellasiciliana con la costituzione del 1812, ma comunque trovavasostanziale conferma nell'atto sovrano 20 maggio 1815, doveil re assicurava la libertà individuale e civile, e dichiaravache « ogni napoletano sarà ammessibile agli impieghi civili emilitari ». Spariti i privilegi di nascita, la nobiltà permanevasoltanto come condizione onorifica, e come requisito per lanomina a taluni uffici più vicini alla persona. del sovrano(supra, § 26).

In dottrina, si intendevano per diritti civili i «diritti erapporti degli individui tra loro considerati come personeprivate, ed astrazion fatta dalla relazione tra i governanti edi governati ». Si dicevano diritti politici, ed anche diritti ci-vici, «quelli che nascono dalle leggi fondamentali dello Sta-to », e nell'ordinamento del regno «quelli che il re ha con-cesso ai sudditi nella politica associazione della quale egliè il solo capo e moderatore. Tali sono quelli di votare, elegge-re ed essere eletto, concorrere alle distinzioni, ed agli onoriche da tale politica associazione derivano» (199). È benericordare, però, che il diritto elettorale, così affermato, avevamodestissimo sviluppo per la pratica assenza di cariche elet-tive, salvo nelle parentesi costituzionali, e che le «liste dielegibili alle cariche civiche, ed a' consigli comunali, distret-tuali e provinciali », erano elenchi di persone in possesso dei

(199) Drxs, a), I, p. 18. La bipartizione dei diritti in c:civili '1> e c:politi-ci '1> si trova ancora nell'art. 2 della vigente l. 20 marzo 1865, n. 2248, alI. E. Sisa quanto faticosamente la giurisprudenza giudiziaria del regno d'Italia siagiunta ad ammettere nella categoria dei diritti politici rapporti di diritto pub-blico diversi da quelli regolati dalle leggi elettorali. Ancora RANELLETTI, p. 181,dice che è diritto politico c:propriamente, il diritto del cittadino di parteci-pare al governo dello Stato mediante l'elettorato o, sul fondamento di unaelezione, in uffici pubblici elettìvì »,

12. LANDI - I.

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requism di legge, tra le quali le nomine avvenivano per de-creti delle competenti autorità dello Stato, preceduti al massi-mo da proposte per terna dei decurionati (in/ra, § 111).

Agli stranieri competeva l'esercizio dei diritti civili a con-dizione di reciprocità, e in conformità di «transazioni di-plomatiche », cioè accordi internazionali, ed inoltre per tut-ta la durata della loro residenza nel regno, quando fosserodal Governo autorizzati a stabilirvi il domicilio (art. 9 ll.cc.).Essi erano incapaci del godimento di benefizi ecclesiastici ed'impieghi civili nel regno (art. 19 Il.cc.). Non vigeva ugualdivieto per gli impieghi militari, e vi furono infatti repartiesteri nell'esercito regio, fino alla sua estinzione (in/ra, ca-pitolo 111).

La maggiore età si raggiungeva al compimento degli anniventuno (art. 311 Il.cc.); tuttavia, il figlio restava soggettoalla patria potestà fino al compimento degli anni venticinque(salvo non fosse emancipato, o avesse contratto matrimonio,e vivesse «con casa ed economia separata »), per gli effettideterminati dalla legge (art. 288 Il.cc.). In particolare, nonpoteva abbandonare senza consenso paterno, o senza sentenzadel giudice di circondario, la casa paterna (art. 290 Il.cc.);e doveva essere autorizzato dal genitore per la conclusionedi certi negozi (art. 295 Il.cc.).

La capacità d'agire, cioè l'esercizio dei diritti civili, siperdeva, o veniva limitata, oltre che nei casi d'interdizione ed'in abilitazione (200) previsti dalle leggi civili (artt. 412 ss.)e dalle leggi commerciali (art. 434), per effetto di condannepenali (art. 26 ss. 1I.cc.). Il caso più grave, era quello conse-guente ipso iure alla condanna all'ergastolo (art. 1611.pp.), che

(200) La inabilitazione, cioè il divieto di compiere determinati atti senzal'assistenza d'un consulente nominato dal tribunale, poteva essere dispostaquando non vi fossero gli estremi per l'interdizione (art. 422 Il.cc.), nonchè ne'

confronti del prodigo (artt, 436 88. Il.cc.),

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viene detto tradizionalmente <. morte civile ». Il condannatoperdeva la proprietà di tutti i suoi beni, che si trasmettevaagli eredi, come per successione ab intestato; nè poteva di-sporne per atto tra vivi o per testamento; non poteva acqui-stare per atti tra vivi, o mortis causa; non poteva essere at-tore o convenuto in giudizio civile, se non a mezzo di cu-ratore nominato dal tribunale. L'incapacità da cui il condan-nato era colpito non vietava, tuttavia, ai discendenti di su-bentrare nei suoi diritti successori, e di beneficiare di con-dizioni verificatesi a suo favore. Il tribunale civile potevaobbligare gli eredi a somministrargli «qualche sovvenzione atitolo di alimenti, i quali debbono limitarsi ad un picciolosollievo », Beninteso, la morte civile non era causa di scio-glimento del matrimonio. Effetti minori aveva l'interdizionepatrimoniale, che portava il divieto d'amministrare il propriopatrimonio, nel qual caso l'amministrazione veniva regolatasecondo le norme delle leggi civili per le persone interdette(art. 15 Il.pp.): essa colpiva i condannati ai ferri ed allareclusione, durante la pena (art. 17 Il.pp.) (201).

L'art. lO ll.cc. disponeva: «La Chiesa, i comuni, le cor-porazioni e tutte le società autorizzate dal Governo, si conside-rano moralmente come altrettante persone. Godono dell'eser-cizio de' diritti civili, secondo le leggi veglianti ». Da ciòdesumevasi che per potere un corpo morale divenire persona,cioè soggetto di diritto, era necessaria l'autorizzazione ed ap-provazione regia (202). Le leggi commerciali (art. 52) prevede-

(201) IJ sequestro dei beni degli esuli politici, considerati individui c:pe-ricolosi per la società s , fu praticato come misura cautelare. L'amministrazioneera affidata alle autorità di polizia, che l'esercitavano con criteri alquantovessatori verso le famiglie rimaste nel regno, e non sfuggivano a sospetti dimalversazione (DE CESARE,a), I, p. 37; TRIPODI,pp. 86 ss.). A detti individuifurono poi concessi gli indennizzi di cui supra, nota (106).

(202) Così testualmente COMERCI,p. 426; il quale precisa, inoltre, che

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vano per le società anonime (art. 48) l'autorizzazione delGoverno, e l'approvazione dell'atto costitutivo, nella formastabilita per i regolamenti di pubblica amministrazione, cioècon decreto reale, udito il Consiglio di Stato, previo esamem Consiglio dei ministri (art. 3 reg. 4 giugno 1822; art. 9,n. 3, reg. lO maggio 1826). Il r. d. 26 ottobre 1827 prescris-se temporaneamente la stessa procedura per le società in no-me collettivo (art. 29 Il. comm.) e per le società «in comman-dita », cioè in accomandita (art. 38 Il.comm.) quando aves-sero più di cinque soci, e la misura fu prorogata a tempoindeterminato con r. d. 12 novembre 1831. I provvedimenticoncernenti il regio beneplacito nello stabilimento de' corpie società religiose e civili, qualunque fosse l'oggetto della loroistituzione, e l'approvazione delle regole costitutive ed ammi-nistrative degli stabilimenti novelli come di quelli legittima-mente esistenti, erano sottoposti al parere della Consulta (art.15, n. 15, 1. 14 giugno 1824) che aveva sostituito quello del-l'abolito Supremo Consiglio di cancelleria (art. 15 1. 22 dicem-bre 1816). Le società anonime straniere potevano istituireagenzie nel regno, purchè risultasse il deposito del quartodel capitale sociale, come prescritto per le società nazionalidall'art. 53, comma 2, Il.comm., producessero i loro statuti,e, quando intendessero assicurare i propri edifici contro gli

l'assenso regio «non si può supplire nè presumere; la sua mancanza non èsanata da qualunque scorrer di tempo, giacchè non vi è prescrizione bastantea poter frodare i dritti della sovranità s , Questi principi trovansi affermatidi qua del Faro dagli inizi del regno di Carlo di Borbone, ed in Sicilia daltempo (1781) del vicerè marchese Domenico Caraccìolo (SCADUTO,I, pp. 190S8.). Per le confraternite, fu stabilito, nel 1776, che dovessero, entro un certotermine, chiedere il regio assenso se ne fossero sprovviste, ed altrimenti eranochiuse (ScADUTO,I, p. 196). Le contestazioni relative alla legittima esistenzadei Comuni ed altre corporazioni potevano formare oggetto soltanto di rì-corso all'autorità suprema del Governo (Rocco, II, p. 27, ed inira, cap. V,nota 20).

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incendi, prestassero le garanzie previste dall'art. 60 r. d. 13novembre 1833, sulla compagnia dei pompieri (203).

Conseguenza della riconosciuta soggettività giuridica erala capacità delle persone morali d'essere proprietarie di benimobili e immobili. Disponeva infatti l'art. 439 Il.cc. che «tuttele cose che possono essere l'oggetto di proprietà pubblica oprivata sono mobili o immobili. Esse appartengono o alloStato, o alla Chiesa, o a' comuni, o agli stabilimenti pubblici,o a' particolari ». V'erano però disposizioni che sottoponevanoalla vigilanza del Governo l'accrescimento dei patrimoni del-le persone morali (204). L'art. 826 ll.cc. prescriveva: «Ledisposizioni tra vivi e per testamento in vantaggio degli spe-dali, de' poveri di un comune, degli stabilimenti di puhhli-

(203) Per le società anonime straniere, r. 18 febbraio 1850, in PETITII,V, p. 99. Nel diritto italiano, l'autorizzazione per decreto reale della costi-tuzione di società anonime (c per azioni ~) persistette fino all'entrata in vigore0° gennaio 1883) del nuovo codice di commercio (r.d. 31 ottobre 1882, n. 1062),come fondamentale garanzia di c serietà dell'impresa ~ (Relazione cil Re sulcodice di commercio del 1865, del guardasigilli VACCA,in AQUARONE,p. 427).Giuseppe Vacca (Napoli, 1808·1876)aveva iniziato la carriera, prima del 1848,nella magistratura napoletana.

(204) La vigilanza si giustificava come una forma di protezione accor-data dal Governo ai Comuni ed ai pubblici stabilimenti, assimiglrati a minorisottoposti a tutela perpetua (Drxs, al, I, pp. 304, e 349·350), più che con lapreoccupazione dell'accrescimento della manomorta, che si riconosceva tutta-via dannosa c:ove la proprietà di siffatte corporazioni divenisse sÌ grande danuocere alla libera circolazione ~ (BIANCHINI,b) p. 81). Non occorreva autorts-zazione ai corpi morali ecclesiastici per acquistare immobili a titolo oneroso,anche concorrendo all'asta pubblica, purchè l'operazione fosse stata deliberatadal corpo capitolare dell'ente, ed assentita dal vescovo (r. 2 marzo 1849 sucfp, CStN in PETITTI,IV, p. 54ll. Gli effetti della domanda d'autorizzazioneper accettare donazioni o disposizioni testamentarie retroagivano alla datadella presentazione della domanda notificata ai donanti o agli eredi del te·statore, ed in pendenza del sovrano beneplacito gli amministratori potevanoagire presso i giudici competenti per gli atti conservativi (r. 14 maggio 1851,su cfp. CN e CSi, in PETITII,V, p. 156). Sui doveri dei notai, d'informare lepuhbliche autorità delle disposizioni, per atti tra vivi o di ultima volontà,aventi fine di pubblica beneficenza, vedi DIAs, a), I, p. 309.

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ca utilità o di altri corpi morali autorizzati dal Governonon avranno effetto se non in quanto saranno autorizzate daun decreto reale ». L'art. 861 Il.cc. aggiungeva: «Le dona-zioni fatte a favore degli spedali, de' poveri di un comune,o degli stabilimenti d'utilità pubblica, o di qualunque altrocorpo morale, saranno accettate dagli amministratori rispettividopo che ne siano stati debitamente autorizzati ». Altre dispo-sizioni invece riguardavano speciali categorie di enti: così,l'art. 298 L 12 dicembre 1816 vietava ai Comuni l'acquistodi beni immobili senza sovrana autorizzazione, in mancanzadella quale l'atto era affetto di nullità insanabile (art. 301I.cit.); gli stabilimenti di beneficenza ed i luoghi pii laicalidovevano essere parimenti autorizzati per gli acquisti d'annuerendite, o fondi rustici, e per le iscrizioni sul Gran libro deldebito pubblico (art. 62 istr, 20 maggio 1820), nonchè perl'accettazione d'eredità e legati (art. 68 istr. cit.). Sulle do-mande d'autorizzazione per accettazioni di donazioni, ereditàe legati a favore dei corpi morali ecclesiastici era sentito ilparere della Consulta (art. 15, n. 7, l. 14 giugno 1824; giàdel Supremo Consiglio di cancelleria, art. 20, n. lO, l. 22dicembre 1816). Le autorizzazioni erano accordate dal ministrodegli affari interni, per i comuni e gli stabilimenti di bene-ficenza, e dal ministro di grazia e giustizia per gli altri entiecclesiastici o laicali, «nel real nome»; ma se la domandadoveva respingersi, il ministro doveva riferirne al re «inconferenza» (reg. lO maggio 1826, tab. «Ministero e realsegreteria di Stato di grazia e giustizia» e «Ministero e realsegreteria di Stato degli affari interni»).

32. Le rimostranze de' corpi giudiziari ed ammuustra-tivi. I rapporti giuridici tra i singoli soggetti di dirittoe lo Stato erano ben lungi dall'atteggiarsi nel modo che più

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tardi si disse tipico dello «Stato di diritto ». Vedremo, trat-tando del contenzioso amministrativo (in/ra, §§ 159 ss.), comela tutela giurisdizionale, innanzi all'autorità giudiziaria, o aquelle del contenzioso, si svolgesse solo in rapporti discipli-nati da norme del tipo che oggi parte della dottrina chiama«di relazione» (205); intese, del resto, in modo abbastanzarestrittivo, talchè non v'era nemmeno un diritto soggettivo,tutelato in sede contenziosa, all'iscrizione nella «lista deglieleggibili» che costituiva tuttavia il presupposto per la parte-cipazione attiva alla vita pubblica, sia pure a livello locale(in/ra, § Il I). Partecipava alla vita pubblica solo chi erachiamato dalla fiducia dell'autorità (206).

Mancava quindi una rappresentanza nazionale, che il Go-

verno borbonico fu ostile perfino ad introdurre nella formaattenuata della «monarchia consultiva» (in/ra, § 69), e larappresentativìtà, mantenuta in linea di principio nelle ammi-

nistrazioni locali, era fortemente attenuata dalla discrezionali-tà della scelta dall'alto. Anche i «voti» dei Consigli pro-vinciali, che costituivano la forma più immediata e frequen-te di collegamento tra la periferia e l'autorità centrale, era-

(205) Norme che disciplinano i rapporti tra l'amministrazione pubblicae gli altri soggetti, intese a dirimere conflitti d'interesse stabilendo i limitidelle rispettive pretese e dei rispettivi doveri (e dalle quali possono dunquederivare rapporti di diritto soggettivo); in contrapposto alle «norme d'azione s,che regolano l'attività dell'amministrazione imponendo a quest'ultima daticomportamenti per assicurare la conformità dell'azione all'interesse pubblicoobiettivamente considerato (GUICCIARDI, pp. 33 ss.).

(206) « ...nelle questioni di elezioni e di nomine a qualsivoglia ufficio...siccome in ciò l'amministrazione si vale di quella cotale interpretazione largache è piuttosto una nuova espressione di volontà; cosÌ non può essere per-messo all'amministrato farne materia di giudizio, e potrà soltanto rimostrare,ossia richiedere all'amministratore medesimo, o a quello di grado superiore,che ritorni se è possibile sulla prima risoluzione per ritirarla o mutarla s(DIAs, a), I, p. 368).

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no VOCI di fiduciari del Governo, che si frapponevano tra ilsovrano e gli amministrati (in/ra, §§ 101 e 102).

Un'altra specie di collegamento tra la fonte del potere edi suoi destinatari si pensò di introdurre, non però costituendoappositi corpi rappresentativi, bensì concedendo 05 ad loquen-dum ai corpi giudiziari ed amministrativi, o altre autorità;e non nella forma positiva della deliberazione o della proposta,ma in quella, meramente critica, della «rimostranza ». L'art.7 1. 24 marzo 1817 disponeva: «Niuna cosa interessandopiù il nostro real animo, quanto l'esatta esecuzione delle leggi,e la felicità dei nostri dilettissimi sudditi, noi permettiamoa' corpi giudisiari ed amministrativi di poter esporre, permezzo di osservazioni, le di loro rimostranze sulle disposi-zioni contenute ne' reali rescritti, che si spediranno a' mede-simi, e sulle decisioni del nostro luogotenente generale perquella parte de' nostri reali domini nella quale sarà stabilito,e per quegli oggetti chesaran compresi nelle di lui attrihu-zioni ». L'art. 9 aggiungeva: «Permettiamo in oltre a tuttele autorità di poter esporre egualmente, per mezzo di osserva-zioni, le di loro rimostranze, sulle decisioni definitive dellelettere di ufficio de' ministri, o di altri ordini che emanerannodirettamente dagli anzi detti nostri segretari di Stato mi-nistri ».

Sulle rimostranze contro i re scritti reali riferiva in Con-siglio di Stato il ministro competente: se accolte, si provve-deva con altro rescritto; se respinte, la sovrana risoluzionecontenuta nel rescritto era convertita in decreto reale; il luo-gotenente nelle materie di sua competenza poteva accogliere orespingere le rimostranze, ma se le respingeva doveva infor-marne il re (art. 8 1. cit.). I ministri potevano accogliere lerimostranze; ma, se intendevano respingerle, dovevano rife-

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rime in Consiglio di Stato, e si provvedeva con reale re scritto .(art. lO l. cit.).

E'chiaro che queste rimostranze non erano .ricorsi, perchèmancava, nei corpi giudiziari ed amministrativi, e nelle altreautorità cui era consentito produrle, un interesse soggettivo,diverso da quello, obiettivo, della «esatta esecuzione delleleggi »e della «felicità dei sudditi»: in altri termini, sitrattava di rimostranze «nell'interesse del servizio ». Spiegaappunto uno scrittore del tempo (207): «Queste disposizio-nidel diritto pubblico del nostro regno eminentemente con-tribuiscono a regolare gli atti dell'amministrazione in mododa seguire il corso delle cose, modificandosi a seconda dellediverse esigenze pubbliche che si presentano, ed assicuranobenanche la migliore e più certa discussione degli affari, senzaalterare l'unità delle vedute e la necessaria gerarchia negliatti governativi »,

In conclusione, del potere di rimostranza dei corpi giudì-ziari ed amministrativi e delle autorità si è voluto qui parlare,perchè le relative norme furono inserite in una legge da con-siderarsi «fondamentale », in quanto concerne la forma diesercizio di poteri sovrani; dal che dovrebbe ulteriormentedesumersi che a tale istituto intendeva si dare un particolarerilievo strutturale. In linea di fatto, esso non ebbe nessunaimportanza politica, e la scarsa attenzione che gli dedica ladottrina del tempo parrebbe identificarlo con uno di quegliistituti, non rari nemmeno nell'attuale legislazione, che soprav-vivono quasi ignorati, ai margini dell'ordinamento (208).

(207) Ro.CCo., I, p. 58.(208) È significativo. che, nel minutissimo. e Florìlegìo s alfabetico. del

Co.MERCl, -pp. 413·689, che è un repertorio di legislazio.ne, do.ttrina e giuzispru-denza amministrativa, non esiste la voce erimostransa ». Praticamente, I'isti-tuto non aveva forse altro. rilievo. giuridico, che d'escludere I'ìnoppugnabìlìtàD l'irrevo.cahilità dei regi re scritti (cfr. GHISALBERTI, c), p. 123). In Francia

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33. La libertà personale e la circolazione delle persone.La libertà personale avrebbe dovuto trovare garanzia in alcunenorme delle leggi della procedura nei giudizi penali, attraversola supremazia attribuita alle autorità giudiziarie su quelle dipolizia. L'art. 12 Il.p.p. disponeva, appunto, che «il primoagente della polizia giudiziaria nella provincia o valle è il pro·curatore generale presso la Gran Corte criminale, qualunquesia la giurisdizione sotto la quale cada il reato»; e che lasua vigilanza «su tutti gli ufìziali di polizia giudiziaria saràsempre esercitata senza pregiudizio della subordinazione checiascun di essi deve ai propri superiori nelle rispettive ammi-nistrazioni ». Una norma analoga (art. 155 L 29 maggio 1817;art. 165 L 7 giugno 1819) era contenuta nelle leggi dell'ordinegiudiziario. Gli artt. 8 ss. Il.p.p. determinavano le categoriedegli uffiziali di polizia giudiziaria, e la loro competenza.

La polizia, secondo le istruzioni 22 gennaio 1817 (209)si distingueva in polizia giudiziaria (che faceva «parte dellagiustizia penale »); polizia ordinaria, o di vigilanza, che avevaper oggetto la prevenzione de' reati, ed era sotto questo aspet-to la coadiutrice della .giustizia penale, e prendeva il nomedi « alta polizia» quando si proponeva la prevenzione di reatiche turbavano la sicurezza interna o esterna dello Stato; epolizia amministrativa, che aveva per oggetto la prevenzionedelle calamità pubbliche, accorreva, quando fossero avvenute,per impedirne gli ulteriori progressi, e comprendeva altresÌ gli« oggetti» di polizia urbana e rurale, considerati nella leggesull'amministrazione civile, 12 dicembre 1816 (inlra § 126).La polizia ordinaria ed amministrativa non poteva procedere

sotto l'antico regime dicevansi remontrances le osservazioni che i Parlamentipotevano fare in sede di enregistrement delle regie ordinanze, senza tuttaviache il re avesse obbligo di provvedere. Un caso di rimostranza accolta è ci-tato inlra, cap. V, nota (103).

(209) PETITTI, III, p. 233.

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ad arresti, salvo nel caso di flagranza o quasi flagranza direato punibile con pena detentiva, ed in altri tassativamenteelencati (art. 7 istr. cit.); e non poteva, salvo eccezioni pari.menti tassative, ritenere gli arrestati a propria disposizioneper più di 24 ore, dovendo in questo termine rimetterli al-l'autorità giudiziaria (artt. 8 e 9 Istr. cit.), salvo non sitrattasse di casi d'alta polizia (artt. lO ss. istr. cit.).

Peraltro, in un regime nel quale la diffidenza dell'auto-rità verso i sudditi era andata sempre aggravandosi, la poliziadi vigilanza tendeva ad ingerirsi in ogni sorta d'affari: tipicoè il reg. 9 novembre 1849, «per gli studenti che dimoranonella capitale », che affidava l'incarico di «vegliare.... allacondotta e disciplina dei giovani studenti, sì pel lato scienti-fico, quanto religioso », ad una Commessione composta diquattro sacerdoti nominati dall'arcivescovo e dal presidentedel Consiglio generale di pubblica istruzione, uno dei qualicon funzioni di presidente, e da un commessario di polizianominato dal direttore della polizia generale; altre Commes-sioni, composte di sacerdoti nominati dal vescovo, e dal com-messario di polizia competente per territorio, potevano stabi-lirsi nelle città dove fossero studenti (210). E, d'altro lato, le

(210) Il r. 15 marzo 1822 (PETITTI, IV, p. 87) comminava la sospensionedel soldo ai maestri che non vigilassero la frequenza degli allievi alle c:con-gregazioni di spirito », l'indegnità d'ottenere qualunque carica pubblica c:a queitrascurati genitori i quali non manderanno i propri figliuoli alle congregazioniaccennate s , ed infine stabiliva «che que' fanciulli o adolescenti i quali nonporteranno documenti d'avere assistito alle congregazioni suddette non po-tranno aspirare a veruna piazza franca, nè a carica, nè a qualunque altra gra-zia ». Il reg. 9 novembre 1849 obbligava ogni studente ad iscriversi ad una con-gregazione di spirito, che doveva inviare mensilmente alla Commessione divigilanza il certificato di frequenza; nessuno poteva presentarsi agli esamiper gradi accademici se non avesse frequentato la congregazione per almenootto mesi. L'emanazione di consimili disposizioni per le province era previstada circo Consiglio generale di pubblica istruzione, lO novembre 1849 (PETITTI,

IV, p. 552). Tutte le dette prescrizioni furono integrate e parzialmente modi-ficate con r. 12 marzo 1856 (PETITTI, VI, p. 585). Un tocco finale di diffidenza

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istruzioni che venivano talvolta diramate dal Ministero dellapolizia generale erano tali, indubbiamente, da incoraggiarecerte esorbitanze, cui, del resto, erano allora più o meno pro-pense tutte le polizie del continente europeo (211). Dal chederivarono anche, in certi casi, attriti tra polizia e magistra-tura, che i rispettivi ministri dovevano intervenire a comporre,o con patetici appelli a «quell'armonia che deve regnare traautorità chiamate a reciprocamente coadiuvarsi» (212), o converi e propri richiami all'osservanza della legge, come nellacirco 31 luglio 1829, del Ministero della polizia generale, dovesi ricorda che i funzionari di polizia (ad eccezione di quellidi Napoli e provincia: art. 14 istr. 22 gennaio 1817) nonavevano facoltà di compiere istruttorie per reati comuni (213).

Non bisogna, naturalmente, prendere per buone tutte ledeclamazioni tragicomiche della pubblicistica liberale: certi

verso l'elemento studentesco è rappresentato dal r.d. 2 aprile 1857 (vedi anchein/ra, § 4.7),il quale consentiva solo ai naturali di Napoli e Terra di Lavorodi seguire gli studi in Napoli; gli altri dovevano conseguire la licenza neilicei delle rispettive provincie, e potevano recarsi a Napoli solo per gli esamiuniversitari. A queste disposizioni si faceva talora eccezioni per casi partico-lari: così per gli studenti di belle arti (circ. Min. affari ecclesiastici e pubbl.Istr., 11 maggio 1852), ed in altri casi considerati dal r. 19 maggio 1852 (PE-TlITI, VI, p. 358).

(211) Nelle istruzioni impartite dal Min. polizia gen. agli intendenti il18 giugno 1823 (PETITTI,III, pp. 243.244) si dice: « ...nelle materie di altaPolizia non soltanto il reato commesso, ma il conato, la semplice esternazione,il discorso intemperante, la riunione bastantemente sospetta, la imprudenzadolosa od abituale, meritano pronte misure di refrenazione, e di esempio. Laconflagrazione avvenuta una volta nei Regno, il veleno rivoluzionario rima-stovi, ed il proselitismo speculativo d'avventurieri, e banditori settari, impon-gono abbastanza la necessità di nulla trasandare, anzi di dare il più grande in-teresse a delle circostanze, che in altra epoca sarebbero state di poca atten-dìbìlìtà s. Senonchè, la circostanza che siffatte istruzioni siano ancora pubbli-cate nel 1856, dimostra che lungi dall'essere, come vorrebbero apparire, con-tingenti, non furono mai revocate. Circa le cosiddette «liste degli auendìbìlì s,vedi in/ra, capo IV, nota (205).

(212) Min. polizia gen., circo l° maggio 1829, in PETITTI,111,p. 264.(213) PETITTI,111, p. 265.

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eccessi polizieschi, nella loro rozzezza, erano ben Iungi dalraggiungere i vertici squisiti, cui sono pervenuti i servizi disicurezza di talune moderne democrazie (214).

Il carattere vessatorio di certi interventi aveva sempreradice nel sospetto politico (215), talchè le persone che nonsuscitavano tale diffidenza erano esenti da fastidi, e pote-vano anzi contare sulla protezione, tanto più efficiente quantopiù si trovassero in alto nella scala sociale, delle persone e deibeni (216). Ma è certo che le garanzie della libertà personaleerano sostanzialmente rimesse alla discrezione del Governo,il quale della discrezionalità fu quasi sempre propenso a farepiù largo uso quando si trattava d'imporre restrizioni, che nelcaso inverso.

Uno dei casi, in cui il potere del Governo si rivolse adattenuare i vincoli, è rappresentato dal regolamento 12 feb-braio 1836, sulle «carte di passaggio », adottato dopo che

(214) CINGARI,p. 115, riferisce una lettera di Ferdinando I al duca di Ca-labria (Vienna, 29 marzo 1823) in cui il re definisce la polizia c:mal compostae mal diretta s, In verità, la polizia del regno ei dimostrò, in varie occa-sioni, più fastidiosa che efficiente.

(215) I massacri e linciaggi d'agenti di pobzia, verificatisi in Sicilia nel1820 (COLLETTA,a), 111,p. 176), nel 1848 (nE SIVO,a), I, 119; e vedine la c:ce-lebrazione poetica s in UCCEI.LO,pp. 91 8S.), nel 1860 (DE SIVO,a), II, p. 77, etestimonianza oculare di ABBA, p. 125) furono esplosioni di criminalità, veri-ficatesi nel vuoto dei pubblici poteri, e sempre con larga partecipazione didelinquenti comuni evasi dai luoghi di pena; anche se la pubblicistica Iihe-rale non ebbe abbastanza coraggio di sconfessarli, e pietosamente cercò di giu-stificarli come manifestazioni dello sdegno d'un popolo oppresso. Peraltro, arobitri di polizia verso individui di bassa classe erano talora legalizzati comeespedienti per conservare l'ordine pubblico: inira, cap. Il, nota (244).

(216) Il risultato di tale metodo, fu che molti della classe dei cosiddettic:galantuomini », cioè dei possidenti di provincia, si disinteressarono di poli.tica, pretendendo, come implicita contropartita, la protezione delle autorità;il che permise loro, senza eccessive crisi di coscienza, d'abbandonare il regimeborbonico, quando non fu più in grado d'assicurare tale protezione, e d'accet-tare quello sabaudo, che l'offriva, nonchè di mutarsi in c:liberali> senzasmettere d'essere profondamente c:reazionari >.

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«S.M. il Re N.S. (Ferdinando II) ne' suoi viaggi per gliAbruzzi e Puglie, ebbe occasione di osservare che il regola-mento de' 30 novembre 1821 (217) intorno alle carte di si-curezza, e passaporti per girare nel regno, era troppo in-ceppante il traffico dei suoi sudditi, e ritardava le internecomunicazioni », e perciò «nell'ascolto del suo cuore »ordinòal Ministro della polizia generale di provvedervi.

Il reg. 12 febbraio 1836 era tuttavia anch'esso non pocovessatorio (218).

Gli stranieri (salvo le persone d'alto grado, note al Go-verno, e gli appartenenti al Corpo diplomatico, o al Corpoconsolare), ed .i regnicoli (salvo i funzionari ed impiegati dinomina regia) che giungevano in Napoli e provincia, dovevanoprovvedersi entro due giorni della carta di soggiorno, esibendo iprimi alla prefettura di polizia l'attestato di ricognizionedella sudditanza rilasciato dalla rispettiva legazione, e gli altrila carta di passaggio o il passaporto, giustificando il motivodella venuta, la durata della dimora, e dimostrando il possessodei mezzi di sussistenza. Le carte di soggiorno venivano rila-sciate in Napoli dai commessari di quartiere, col visto delprefetto di polizia, e negli altri comuni dall'autorità locale dipolizia, col visto dell'intendente, ed avevano la durata di duemesi (artt. 6-12 reg. cit.).

La carta di passaggio era necessaria per viaggiare fuoridella provincia di residenza (219). Veniva rilasciata a Napolidal prefetto di polizia; nei capiluoghi di provincia o distretto

(217) PETIITI, I1I, p. 237.(218) PETITTI, III, p. 270.(219) Questa misura, decisamente fastidiosa, era ben poco efficace. Il TRI'

PODI, pp. 5, 8, 9, parla dei frequenti viaggi compiuti dai fratelli Plutino, eda .altri liberali, con regolari autorizzazioni motivate per «affari di leva >,o per affari giudiziari, et similia, tra il 1844 ed il 1847, che servivano, vice-versa, per stabilire legami di cospirazione politica.

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dagli intendenti o sottointendenti ; negli altri comuni daisindaci, col visto del regio giudice (220), al quale poi fu pre-scritto aggiungere quello del capo urbano del comune di re-sidenza (~21). Il rilascio della carta era subordinato al paga-mento di un diritto, che per i nobili, proprietari, negoziantie persone di civile condizione era di grana 52 in Napoli eprovincia, e grana 40 (ridotto a grana 30 dal 23 aprile 1842)nelle altre provincie; per i contadini, vetturali, artigiani ed al-tri della bassa classe di grana 20; erano esenti i pastori, brac-ciali ed indigenti (222). La carta doveva farsi vistare dal-l'autorità di polizia nel giungere al luogo per cui era accor-data; nel ripartirne, indicando il comune dove il latore sidirigeva; e nel corso del viaggio, dimorando per più di24: ore in un comune intermedio. La durata della carta, fissataoriginariamente in tre mesi ( fu prorogata a quattro, e quindia sei mesi. Ma «l'esperienza avendo dimostrato che, valendotali carte per un lungo periodo, possono favorire colpevolimire, e sottrarre alla giustizia coloro che in tal frattempo in-corressero nei rigori della legge », la durata ne fu ridotta infi-ne a due mesi (artt. 13-17 reg. cit.) (223).

(220) D'intesa tra il Min. polizia gen. ed il Min. grazia e giustizia (cire.28 settemhre 1836, in PETITII, 111,p. 274) era prescritto che i procuratori ge-nerali presso le Gran Corti criminali, qualora un individuo fosse accusato direato commesso fuori del circondario di domicilio, ne rendessero subito con-sapevole il giudice del circondario stesso, e gli facessero noto essersi speditomandato d'arresto o di deposito.

(221) Circo Min. polizia gen., 22 settemhre 1838, in PETITII, 111, p. 275.n capo urhano interveniva per attestare lo stato e la professione dell'indi.viduo, essendosi riscontrati errori nelle carte concernenti individui residentiin comuni che non erano sede del giudice di circondario.

(222) Art. 16 reg. 12 fehhraio 1836, e circo Min. polizia gen., 23 aprile1842 e 23 giugno 1847, in PETITII, 111, pp. 272, 278, 280.

(223) Circo Min. PoI. gen., 25 marzo 1837 e 23 aprile 1842; circo Min. Int.,ramo PoI., io novembre 1849, in PETITTI,III, pp. 275, 278, 280. Altra circo Min.Int., ramo PoI., 30 marzo 1850, i11i, p. 280, precisava che anche le carte gratuite

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192. Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

Vi era infine l'obbligo, per chiunque desse alloggio ad unforestiero, di farne 'denuncia entro 24 ore all'autorità di po-lizia (art. 5 reg .. cit.).

I contravventori alle disposizioni del detto regolamentoerano puniti con la prigionia da uno a lO giorni, cui, in casodi recidiva, si aggiungeva l'ammenda da 5 a 15 carlini nelleprovincie, e da lO a 30 carlini in Napoli (art. 18 reg. cit.).

I passaporti per l'estero erano rilasciati dagli intendenti,previa autorizzazione del ministro della polizia generale, chepoteva essere omessa, salva comunicazione successiva' al mi-nistro, solo nei casi urgenti: il passaporto doveva indicarel'oggetto della partenza, ed il tempo dell'assenza. I braccialied i pastori di Terra di Lavoro e degli Abruzzi non avevanobisogno di passaporto per trasferirsi all'estero, cioè per recarsicome erano soliti per motivi di lavoro nello Stato Pontificio(artt. 9 ss, reg. 30 novembre 1821).

34. La religione. - Il regno delle Due Sicilie era, comesi è detto, uno Stato rigorosamente confessionale. Gli artt. le 2 del concordato reso esecutivo con l. 21 marzo 1818 sta-bilivano che la religione cattolica era la sola dello Stato, eche l'insegnamento doveva essere impartito in armonia conessa; il che conferiva agli ordinari diocesani una funzione divigilanza sull'istruzione di qualsiasi grado, dall'elementareall'universitaria (in/ra, § 47). Il Governo s'era anche impe-gnato (art. 24) a non permettere la divulgazione di libri,stampati o introdotti nel regno, quando gli ordinari avesserosegnalato esservi in essi alcunchè contrario alla dottrina dellaChiesa ed ai buoni costumi; ed in seguito consentì all'auto-

avevano la durata di due mesi, perchè < siffatta restrizione essendo stata pro-mossa da vedute di prevenzioni di polizia, non debba mancarne lo scopo pervariar di condizione nelle persone dei viaggiatori, sieno o no poveri >_

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34 Il potere supremo di Governo 193

rità ecclesiastica un'ingerenza permanente nella censurasulla stampa (in/ra, § 35).

Da tali premesse discendeva che non poteva si parlare dilibertà religiosa, se non nei limiti in cui i lumi del secolovietavano d'inquisire nel segreto delle coscienze (224); ed ècerto, perciò, che nella classe dirigente molti entrati nella vitapubblica al tempo dell'occupazione militare, e rimastivi conla restaurazione, erano abbondantemente intinti di pece mas-sonica, anche se nell'esteriorità comportavansi col conformi-smo che la loro situazione esigeva. Bisogna però rilevareche, oltre alle pene gravissime comminate per varie ipotesidi reati sacrileghi (artt. 92 ss. 11.pp.), ed a quelle concernentile adunanze illecite (artt. 303 ss. Il.pp.) e varie ipotesi direati di stampa (artt. 313 ss. Il.pp.), era prevista dall'art. 100Il.pp. una ipotesi, estremamente pericolosa, di reato d'opinio-ne religiosa: «Chiunque insegnando, predicando, o in qua-lunque modo aringando in luoghi pubblici, profferisca, senzaempio fine o dolo alcuno, proposizioni contrarie alla religio-ne cattolica, sarà punito della pubblica riprensione, e dellainterdizione temporanea di uno a due anni dalla carica o pro-fessione della quale ha abusato. - Se poi vi concorre l'em-pio fine di distruggere o alterare i dogmi della religione,sarà punito con l'esilio perpetuo dal regno ». In altri termini,non solo la religione cattolica era rigorosamente protetta con-tro ogni criminale aggressione; non solo le leggi penali im-

(224) Drss, a), II, p. 289: « ... tutto ciò che rimane chiuso nel segretodell'intimità, e fra l'uomo e la sua coscienza, come attenente al suo modo divedere ed alle sue opinioni, riguarda l'uomo in sè stesso, fintanto che non lomanifesta in modo nocevole o da poter disturbare l'ordine, giacchè nessuna au-torità ha il diritto di penetrare ne' suoi segreti, ed esigere da lui di fare as-sertive contrarie alla propria coscienza, forzandolo di comparire ciò che eglinon è ». Non era certo in armonia con tali principi la circo Comm. gen. polizia,13 aprile 1822 (CoMERe!, p. 516) che obbligava tutti gli impiegati giudiziari edamministrativi ad intervenire alla messa nei giorni festivi.

13. LANDI - I.

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194 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie------- 34

pedivano qualunque congregazione di non cattolici e qual.siasi propaganda con la stampa, gli scritti, ecc., per le confes-sioni non cattoliche; ma poteva perfino essere punito chi dallacattedra o dal pulpito enunciasse una proposizione anticattoli-ca, pur senza pravo fine, ma per semplice errore o ignoranza.In verità, non sembra che questa norma abbia mai avuto ap·plicazione: diversamente, ne avremmo avuto notizia, chè I'o-pinione liberale non avrebbe omesso di levarne fiera cagnara.

Altra conseguenza era che in pratica la pubblica istru-zione veniva riservata ai cattolici. I giovani che si recavano aNapoli per ragioni di studio dovevano produrre il certificatodi buona condotta dell'ordinario diocesano (225), e, come giàsi vide (supra, § 33), la frequenza delle «congregazioni dispirito» era requisito indispensabile per ottenere i gradi acca-demici. Gli studenti che non si uniformavano a tali disposi.zioni venivano rimpatriati dalla polizia, ed i direttori e maestridi istituti vigilati dal Consiglio generale di pubblica istruzioneincorrevano nella chiusura della scuola od istituto.

Il riposo festivo era prescritto e disciplinato con ordinanzedegli intendenti, e le trasgressioni erano represse con peneamministrative, quale la chiusura temporanea della botte-ga (226). Beninteso, tali disposizioni non avevano, come quelleodierne sul riposo settimanale (art. 36, comma 3, Cost.), unafinalità sociale, bensì esclusivamente religiosa (227), dimodoc-

(225) Min. polizia gen., 20 novembre 1843, in PETITII, 111, p. 279.(226) PETITII, 111, p. 251 (supra, nota 81); SCADUTO,I, pp. 380 ss.(227) Allo stesso modo, nel 1850, la legge del regno di Sardegna (una

delle tre «leggi Siccardi s , delle quali le altre erano quella per la soppres-sione del foro ecclesiastico, e quella, del 5 giugno 1850, n. 1037, tuttora vi-gente, per la disciplina degli acquisti dei corpi morali) che riduceva il nu-mero dei giorni di riposo festivo, non aveva alcuna finalità e produtrìvistica s ,e veniva invece presentata come una conquista degli spiriti laici cui si in-formava il regime costituzionale.

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Il potere supremo di Governo 19535

chè le deroghe venivano consentite in modo da non impedirel'assistenza dei lavoratori alle funzioni religiose.

Non si può omettere di ricordare certe lugubri « istruzionirelative a' suicidi ed a coloro che muoiono da pubblici impe-nitenti » (Min. polizia generale, l o giugno 1827), emanatein esecuzione del r. d. lO ottobre 1826. Il funzionario di po-lizia locale, ricevuto appena l'avviso del parroco, d'averenegato la sepoltura ecclesiastica ad un suicida o ad un pub-blico impenitente, doveva disporre perchè il sindaco collo-casse il cadavere in temporaneo deposito, con certe cautele,finchè fosse certo che non era stato proposto dai congiuntidel defunto, entro 15 giorni, alcun reclamo avverso le deter-minazioni del parroco, o finchè l'eventuale reclamo fosse deci-so dall'ordinario diocesano. Dopo di che, si provvedeva alla de-finitiva sepoltura, in chiesa se il reclamo era accolto, o in luogoprofano. Le spese erano anticipate dal Comune, con dirittodi regresso verso gli eredi (228). Più tardi (Min. affari interni,20 gennaio 1841) fu disposta la costruzione, fuori del recintodei campisanti, d'un apposito luogo per inumarvi i non catto-lici, gli impenitenti, ed i bambini non battezzati (229).

35. La stampa e gli spettacoli. - La stampa era noto-riamente considerata con diffidenza (230); rigorosamente obiet-tiva, del resto, perchè il Governo era tanto propenso a limi-tarla in pur minime manifestazioni di dissenso, quanto pocopropenso ad avvalersene come strumento, oggi si direbbe, dipropaganda. V'è tuttavia una curiosa circolare, 24 maggio

(228) PETITTI, 111, p. 257.(229) PETITTI, 111, p. 146.(230) DIAs, a), I, p. 336, precisa che nella legislazione sulla stampa ~ con-

siderazioni politiche si uniscono all'interesse dei buoni costumi ed a quellodei lumi ». Per i rapporti tra censura civile ed ecclesiastica, SCADUTO, I, pp.351 ss. Vedi anche supra, Introduzione, nota (92).

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196 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 35

1823, del Ministero della polizia generale (231) che racco-manda agli intendenti d'avvalersi del giornale ufficiale (art.7 l. 12 dicembre 1816) per la «rapida diffusione di tuttele notizie che possono interessare la gloria e la prosperitàdel regno, ed il miglior servizio di S.M.», e di dedicarsi aciò personalmente, come ad un ramo d'amministrazione ordi-naria, o delegarvi un consigliere d'intendenza, e riferirneal Ministero almeno ogni due settimane. Sull'efficacia diquesta specie di giornalismo ufficioso, praticato con foglidi ben modesta diffusione (anche se si trattava, in ciascunaprovincia, del solo giornale d'informazione), c'è da fare le piùampie riserve. Ed è certo che il governo borbonico si trovòsempre indifeso innanzi alle virulenze della stampa liberale,italiana ed europea (supra, § 12).

In materia d'autorizzazioni per la stampa di libri, opusco-li etc., un r.d. 8 novembre 1816, modificato da altro del4 dicembre 1821, prevedeva l'autorizzazione del Mini-stero della polizia generale per i fogli volanti e le brochures(opuscoli di non più di lO fogli di stampa); quella dei procu-ratori generali e regi delle rispettive Corti e tribunali perle allegazioni in giurisprudenza; e della Giunta di pubblicaistruzione per le opere maggiori di dieci fogli di stampa.L'esercizio della stamperia e della litografia era disciplinatoda un regolamento del Ministero di polizia generale, 11 giu-gno 1840. In seguito, un tentativo di liberalizzazione (1. 19gennaio 1848) fu travolto dal crollo del regime costituziona-le, ed infine la materia fu definitivamente riordinata con lalegge sulla stampa, 17 agosto 1850, e relativo regolamentod'esecuzione, 7 aprile 1851.

La legge, che aveva vigore tanto di qua che di là delFaro, prescriveva che, senza preventiva autorizzazione, era

(231) PETITTI, 111, p. 243.

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vietata la stampa e la pubblicazione delle opere, degli scritti,degli opuscoli, giornali, fogli volanti, effemeridi e simili, non-chè la formazione e diffusione di rami, incisioni, litografie,sculture, ed oggetti di plastica (art. l). In niun caso potevasiaccordare l'autorizzazione alle stampe, scritti, etc., offensiviper la religione cattolica ed i suoi ministri, la morale pubbli-ca, il re ed i prìncipi della real famiglia, il Governo «ed ilsuo andamento nei rapporti tanto interni quanto esteri », ipubblici funzionari, la dignità e le persone de' regnanti stra-nieri, le loro famiglie, i loro :rappresentanti, l'onore e lastima dei privati (art. 2). Queste norme non concernevanole produzioni teatrali (art. 8), per cui vigevano altre disposi-zioni, di cui diremo a proposito della disciplina degli spetta-coli.

Le autorizzazioni erano di regola di competenza del Con-siglio generale della pubblica istruzione, nei domini di quadel Faro, e della Commessione di pubblica istruzione neidomini di là del Faro (art. 3 l. cit.; injra; § 47); ed a talfine erano nominati, con decreto reale, 24 revisori presso ilConsiglio (su proposta del Ministro della: pubblica istruzione.previo avviso del Consiglio), aumentati a 30 col r.d, 8 giu-gno 1860; e 12 presso la Commessione (su proposta delMinistro per gli affari di Sicilia, previo avviso della Commes-sione, e rapporto del Ministro presso il luogotenente) sceltitra persone «riputate per lettere e per conosciuta probità»(art. 4 l. cit.; art. 11 reg. cit.). L'autorizzazione era accordatadal presidente, previo parere d'uno e più revisori delegati,che potevano anche proporre che fosse concessa previa emen-dazione di sentenze, frasi o parole censurabili. Se il pre-sidente riteneva che l'autorizzazione non potesse essere ac-cordata, riferiva al Consiglio o alla Commessione, che decidevaa pluralità di suffragi; contro la deliberazione era consentito

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reclamo al Ministro degli affari ecclesiastici e dell'istruzionepubblica, ed in Sicilia al ministro presso il luogotenente (art.5 l. cit.; artt. 12-13 reg. cit.).

L'art. 25 reg. cito prescriveva che i messali, rituali, bre-viari, ed altri libri liturgici dovessero essere approvati anchedall'ordinario diocesano. Più tardi (r.d. 27 maggio 1857) fustabilito che in tutti i casi occorresse l'autorizzazione anchedell'ordinario diocesano per la stampa e pubblicazione dilibri; in caso di divergenza tra l'autorità civile e quellaecclesiastica se ne doveva fare rapporto al re, per la decisionedefinitiva (vedi anche supra, § 34).

Si derogava alla competenza ordinaria del Consiglio e del-la Commessione:

- per la stampa e pubblicazione degli scritti, opuscoli,giornali, fogli volanti, effemeridi e simili che non oltrepassas-sero fogli lO di stampa (232), nonchè per la formazione ediffusione de' rami, incisioni, litografie, sculture ed oggettidi plastica: l'autorizzazione era accordata in Napoli dal diret-tore del ministero dell'interno, ramo polizia, ed in Palermodal ministro presso il luogotenente (alle dipendenze di

(232) In base a tali disposizioni, la polizia pretese d'essere competenteper censurare la rivista della Compagnia di Gesù, La Civiltà cattolica, il cuiprimo quaderno quindicinale fu pubblicato in Napoli il 6 aprile 1850. I padriopposero che, per essere tali quaderni destinati ad essere riuniti, anno peranno, in volume con pagine numerate progressivamente fino a 720, I'auto-rizzazione per la stampa doveva darsi dal Consiglio generale di pubblica istru-zione. Il ricorso fu respinto, per ·concorde avviso del presidente del Consi-glio dei ministri Giustino Fortunato, e del direttore di polizia Gaetano Pec-cheneda (contro il parere di monsignor d'Apuzzo, presidente del Consigliogenerale della pubblica istruzione). La Civiltà cattolica nel 1851 si trasferÌ aRoma. Infine, il Governo, nel 1854, proibì l'introduzione della rivista nel re-gno, a causa di articoli cbe non erano piaciuti, ed anche d'un groviglio, al-quanto grottesco, d'equivoci sorto a motivo della pretesa del Governo napo-letano, d'ottenere una dichiarazione della Compagnia di Gesù nel senso eheessa aveva «in pregio la sola monarchia assoluta» (DE SIVO, a), I, pp. 371-372e 399400; CALÀ ULLOA, a), pp. 266 e 268).

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35 Il potere supremo di Governo 199

ciascuno dei quali, e su cui proposta, venivano nominati perdecreto reale due revisori), e nelle provincie dall'intendente(art. 6 l. cit., art. 11 reg. cit.);

- per la stampa e pubblicazione di « allegazioni» cioèdi scritti giudiziari quando non concernessero cause già deci-se e non soggette a gravame e ricorso; nel qual caso, si appli-cavano le disposizioni comuni (233): l'autorizzazione era ac-cordata dal pubblico ministero presso il collegio giudizia-rio o amministrativo innanzi al quale pendeva la lite, e, perle vertenze in corso innanzi ai Consigli d'intendenza, o alleConsulte, rispettivamente dall'intendente o da un consiglie-re da lui delegato, o dal presidente o da un consultore dalui delegato (art. 7 l. cit.). La polizia, prima di permetterela stampa e pubblicazione di opere di pubblico insegnamentoo di devozione, che per numero dei fogli rientrassero nellasua competenza, poteva chiedere il parere degli organi dellapubblica istruzione (art. 24 reg. cit.). Le «lodi» in versi oin prosa non erano permesse che col consentimento di quelliche ne erano il soggetto (art. 12, comma 3. reg. cit.) (234).

L'autorizzazione non era richiesta per la stampa delleencicliche pastorali e istruzioni ecclesiastiche degli ordinaridiocesani (art. 9 l. cit.), e per la pubblicazione a stampa, ordi-nata dai medesimi, degli atti dei sino di provinciali e diocesani(r.d. 18 maggio 1857), nonchè per le pubblicazioni dellaStamperia reale (art. 21 reg. cit.). Gli atti e le circolari deiministeri, delle pubbliche amministrazioni, nonchè delle Cortie tribunali potevano stamparsi previo permesso scritto del

(233) Min. polizia generale, 25 agosto 1837, in PETlTTl, I1I, p. 275.(234) Min. polizia gen., 23 maggio 1827, in PETITTI, I1I, p. 257. La mo-

tivazione consisteva nell'opportunità di tutelare, come oggi si direbbe, la privacydella persona elogiata; ma non è escluso che si volesse esercitare una vigi-lanza sulle persone che, con l'assentire alla pubblicazione delle proprie lodi,si palesavano desiderose di popolarità.

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ministro, capo d'amministrazione, o pubblico ministero pres-so la Corte o il tribunale (art. 23 reg. cit.).

Compiuta la stampa, un esemplare dell'opera doveva essereesibito al revisore che aveva esaminato l'originale, il qualedoveva attestarne la conformità, e provocare, dall'autorità stes-sa che aveva permesso la stampa, la licenza di pubblicazione(artt. 16-17 reg. cit.) (235). Lo stampatore doveva consegnaregli esemplari d'obbligo alle biblioteche elencate nel r.d. 4maggio 1824.

Il citato reg. 7 aprile 1851 conteneva altresì le dispo-sizioni sull'esercizio dell'arte tipografica e litografica, e sulcommercio dei libri. Le tipografie e litografie dovevano essereautorizzate dal prefetto di polizia in Napoli e Palermo, e da-gli intendenti nelle provincie, previo accertamento delle condi-zioni di capacità e di moralità dei richiedenti, e prestazione diuna cauzione, progressiva secondo il numero dei torchi (236),in titoli di debito pubblico, surrogabile con ipoteca su beniimmobili o fideiussione (artt. 1·3 reg. cit.); dovevano essereugualmente denunciate le cessioni e vendite di tipografie olitografie, che non potevano essere esercitate, se i cessionariod acquirenti non avessero adempiuto alle dette condizioni

(235) Il permesso era stampato in fondo ad ogni volume, secondo unaformula costante. Ne trascriviamo uno, a titolo d'esempio: 4: CONSIGLIO GE.NERALEDI PUBBLICA ISTRUZIONE . Napoli, 7 maggio 1856 .. Vista la domandadel Tipografo Gaetano Sautto, con la quale ha chiesto di porre a stampa il 3°e 4° volume dell'opera del sig. Barone D. Pompilio Petitti, intitolata Reper-torio A mminislrativo del Regno delle Due Sicilie; Visto il parere del RegioRevisore signor D. Alessandro Gualtieri; Si permette che gl'indicati volumiterzo e quarto si stampino, però non si pubblichino, senza un secondo per-messo, che non si darà se prima lo stesso Regio Revisore non avrà attestatodi aver riconosciuto nel confronto essere la impressione uniforme all'origì-naIe approvato. • Il Consultore di Stato Presidente Provvisorio CAPOMAZZA•Il Segretario Generale GIUSEPPE PIETROCOLA~.

(236) Per ogni torchio a mano, d. l fino al numero di 5; d. 5 da 6 alO; d. lO per ogni torchio oltre i lO; il doppio per ogni torchio a vapore.

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Il potere supremo di Governo 20135

(art. 4 reg. cit.). Lo stabilimento doveva essere sito a pianoterreno, eccezion fatta per quelli che avessero utensili di va-lore superiore a seimila ducati, ed i lavori si dovevano farea porte aperte (art. 5 reg. cit.). I tipografi e litografi doveva-no tenere un registro con fogli numerati e vidimati da un com-missario di polizia, con la nota dei lavori e gli estremi delleautorizzazioni di stampa e pubblicazione (art. 7 reg. cit.).

Circa il commercio dei libri, occorreva il visto della poli-zia sul catalogo delle vendite giudiziarie di libri (art. 27reg. cit.); il permesso della polizia per l'affissione di qual-siasi stampa e lo spaccio di libri per mezzo di venditori ambu-lanti o a posti fissi (art. 28, comma l, reg. cit.); una specia-le autorizzazione del Ministero dell'interno, ramo polizia (poi,del ricostituito Ministero della polizia generale) o del ministropresso il luogotenente, per i commessi librai viaggianti nelleprovince per vendere libri o procurare associazioni (art. 28,comma 2, reg. cit.).

Questa disciplina, tanto tracassière che, se applicata (co-in realtà non fu) con inflessibile rigore, avrebbe potuto spe-gnere in breve tempo ogni lume di cultura, era integratada norme penali. Le leggi penali punivano con pene corre-zionali le violazioni di regolamenti relativi alla stampa edall'introduzione di scritti stampati fuori del regno (art. 313),aggravando la pena, ed estendendola agli stampatori, distribu-tori e venditori anche al minuto se trattavasi di scritti controla religione, la forma del governo, il governo nell'esercizio deisuoi poteri, o i buoni costumi (art. 314), nonchè le mostree distribuzioni di canzoni, libelli, figure o immagini contrariealla religione, al Governo o al costume (art. 315), e la pro-clamazione o affissione di scritti, disegni o immagini senzaautorizzazione di polizia (art. 316). Ma, più ancora, l'art. 9r.d. 7 maggio 1821 comminò pena criminale, di reclusione

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da l a lO anni e di multa da 50 a 2000 ducati, agli autori,venditori, compratori e detentori di tutti i libri che trattas-sero ex professo d'argomenti contro la religione, la moraleed i governi, dei fogli il cui oggetto fosse di promuovere lainsubordinazione e l'anarchia, di tutte le pitture oscene, edi «tutti gli altri oggetti che conducano all'immoralità », sal-vo «i capi d'opera dell'arte, quando intendessero alla per-fezione di essa, purchè fossero tenuti aperti con la dovutadecenza ».

Per la vigilanza SUl teatri, era rimasto in vigore il r.d.7 novembre 1811 (di Gioacchino Murat). Le opere teatralidovevano essere comprese in archivi o repertori di ciascunteatro, ed approvate dal Ministero della polizia generale, pres-so il quale era nominato, per decreto reale, un revisore (r.d.8 ottobre 1816). Le rappresentazioni non potevano andarein iscena se non dopo che l'autorità di vigilanza avesse as-sistito all'ultima prova, e rilasciato un permesso, che dovevaessere rinnovato per ogni rappresentazione. La vigilanza suiteatri di Napoli e di Palermo era affidata prima (r. 2 aprile1820) ad una «deputazione dei teatri e spettacoli », sostituitapoi (r.d. 5 aprile 1827) da una soprantendenza (sic), formatada un soprintendente, due deputati, ed un segretario. Nelleprovincie (reg. 7 gennaio 1818, richiamato in vigore con mi-nisteriale 7 gennaio 1832) la vigilanza spettava all'inten-dente, e potevano rappresentarsi solo le opere comprese nelrepertorio della compagnia approvato dall'intendenza, ma ovedovesse comparire per la prima volta qualche dramma dinuova composizione, doveva sottomettersi all'approvazione delMinistero di polizia generale (art. 9 reg. cit.). Per gli spetta-coli o altri trattenimenti che dovevano svolgersi in case pri-vate, quali le accademie di poesia estemporanea, quando l'ac-cesso era accordato con biglietti. IlQU çQ~~~I1.~mlil nome del-

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Il potere supremo di Governo 20335

l'invitato, occorreva sempre il permesso dei due ministeri,~ell'interno e della polizia generale (circ. min. 16 marzo1842) (237). Era vietato rappresentare tragedie in occasionedi gale di Corte (circ. min. 20 giugno 1844) (238).

I testi citati contenevano poi minute disposizioni di po-lizia di sicurezza e d'ordine pubblico, che giungevano fino acomminare pene pecuniarie agli attori e sonatori che commet-tessero difetti notabili d'esecuzione (art. 14 reg. 7 novem-bre 1811), o che si rifiutassero di comparire al proscenioper accettare gli applausi, salvo il previo assenso del funzio-nario di polizia d'ispezione (art. 17 reg. 7 gennaio 1818,etc.) (239).

I soprintendenti dei teatri di Napoli e Palermo decide-vano «economicamente », cioè in via amministrativa, tutte lecontroversie tra gli impresari e gli individui che avesserorapporto con i teatri (240). Inoltre, il r. 21 agosto 1829, in-terpretando gli artt. 7 e 8 r.d. 7 novembre 1811, stabilì chegli impresari dovessero ottenere anno per anno il consensodegli autori di opere drammatiche o musicali per poterne fareuso; e che, quando mancasse una convenzione tra autoreed impresario circa la proprietà della composizione, il premiodovuto .all'autore dovesse, in caso di disaccordo, essere deter-

(237) PETITTI, 111, p. 277.(238) PETITTI, III, p. 279.(239) Un'ordinanza del prefetto di polizia, 14 maggio 1855 (PETITII, VI,

p. 469) vietò di fumare ne' teatri di Napoli.(240) Con r. 26 agosto 1817, su conforme parere della CPGCC, fu stabì-

lito che la competenza (art. 22 reg. 7 novembre 1811) attribuita agli intendentidelle provincie per decidere le controversie tra gli impresari teatrali e gli at-tori non si estendeva alle vertenze relative all'appalto (fattispecie della do-manda di risoluzione del contratto d'appalto del teatro di Salerno, per avereI'impresario mutato alcune attrici) che rimanevano di competenza dei tribu-nali ordinari (PETITII, I, p. 464).

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minato m via amministrativa dall'intendente, salvo reclamoal ministro dell'interno, che decideva definitivamente (241).

36. L'espropriazione per pubblica utilità. - L'art. 2dell'atto sovrano 20 maggio 1815 dichiarava: «Le proprietàsaranno inviolabili e sacre ... » (242). L'art. 470 ll.cc., derivatopressocchè letteralmente dal codice Napoleone, stabiliva:«Nessuno può essere costretto a cedere una sua proprietà senon per causa di utilità pubblica, e mediante una giusta epreventiva indennità ». L'art. 11 1. 21 marzo 1817, sul con-tenzioso amministrativo, disponeva: «Quanto alle azioni de'privati per essere indennizzati del prezzo delle loro proprietàoccupate o danneggiate per motivi di pubblici lavori, vi saràda noi provveduto con altra legge particolare », Questa leg-ge non era stata emanata durante l'occupazione militare,e non fu mai emanata dal Governo borbonico. Il fatto nonè insolito, poichè una legge sull'espropriazione per pubblicautilità mancava del pari nel granducato di Toscana, che pureaveva una pregevole tradizione amministrativa (243). Qualesia il motivo di tale carenza, tanto più sorprendente in quantonon cessavasi di riaffermare in atti ufficiali che «la proprietàè sacra e deve essere rispettata» (244), è difficile dire. Certouna tale situazione consentiva l'espediente finanziario del ri-tardo nel pagamento delle indennità, cui l'amministrazione pa-re si fosse dimostrata sì propensa da provocare un severo ri-

(241) DIAs, a), I, pp. 341·342. Le disposizioni sulla proprietà letterariaerano contenute nei r.d. 5 febbraio 1828 e 20 marzo 1829.

(242) Cfr. Déclaration des droits de l'homme e du citoyen (26 aout 1789),art. 17: «La propriété étant un droit inviolable et sacré, nul ne peut en ètreprivé, si ce n'est lorsque la nécéssité publique, légalement constatée, l'exigeevidemment, et sous la condition d'une juste et préalable indemnité >.

(243) ScHUPFER, p. 1185.(244,) Rapporto dell'agente del contenzioso della Real Tesoreria generale

al Min. finanze, Napoli, 14 ottobre 1837, in Pt;T!TTI, III, p. 561.

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chiamo del re Ferdinando II(245). Forse fu ritenuta prefe-ribile una disciplina nella quale gli abusi potevano essere, co-munque, caso per caso repressi, alla promulgazione d'una leggeche sarebbe apparsa antipatica, come potenziale aggressionealla proprietà privata, a quelle classi possidenti cui il regimeevitava di offrire motivi di malcontento economico, onde farsiperdonare l'intransigente autoritarismo politico (246).

Ma provvedimenti normativi, pur limitati, istruzioni, re-scritti, etc., avevano formato una prassi che, negli ultimi annidel regno, avrebbe potuto essere tradotta in legge senzadifficoltà, e che qui appunto tenteremo di ricostruire seguen-do, più o meno, l'ordine della legge italiana 25 giugno 1865,n.2359.

Le norme di legge formale erano, come si è detto, duesole.

L'una (art. 470 Il.cc.) vincolava l'espropriazione al pre-supposto della «causa di pubblica utilità », e stabiliva laregola della «giusta e preventiva indennità» (247). Nessuno

(245) DE SlVO, a), II, p. IO: e Talora s'occupavano fondi privati, s!abat.tevano case, e di compensamenti si parlava poi. Quando tali cose il re co-nobbe, ordinò severamente non s'occupasse per pubblica utilità nulla se nonpagato prima s. Trattasi, a quanto pare, della circo Min. Interno, 16 dicembre1854 (PETIITl, V, p. 641) relativa alle opere pubbliche comunali Unlra, capoIV, nota 359). Il r. 6 novembre 1852 (PETITTl, V, p. 367) disponeva inoltre che,quando i fondi fossero insufficienti, avessero precedenza i più poveri tra iproprietari da indennizzare.

(246) Drss, al, I, p. 375: e Il legislatore, animato da utili e saggie ve-dute, si è riservato di provvedervi con una disposizione particolare; intantol'art. 470 delle leggi civili può servir di regola s , Le parole di COMERCl, p. 326(e nulla v'ha di più giusto, di più provvido e di più cautelato delle disposi-zioni delle nostre leggi civili, le quali contemperano con la maggior provvi-denza, e giustizia, tutto ciò che interessar può la pubblica amministrazione,coi riguardi dovuti alla proprietà e alla garanzia giudiziaria del cittadino»sono trascrizione letterale da ROMACNOSl, b), p. 110, che parla delle leggi delregno d'Italia (art. 545 cod. Napoleone, e r.d, 11 luglio 1813).

(247) Il carattere preventivo dell'indennità, affermato nell'art. 17, cit.,della dichiarazione dei diritti dell'uomo, risulta di solito negl! statuti costi-

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dubitava (anche se la norma, collocata tra le premesse altit. II del libro II, «della proprietà », espressamente non lodiceva) che si trattava soltanto d'espropriazione d'immobiliper l'esecuzione di lavori pubblici. Non risultano infattiespropriazioni di cose mobili o diritti mobiliari (248), nèespropriazioni a favore di privati, salvo che dei concessionaridi grandi opere pubbliche, come quelle ferroviarie.

L'altra norma legislativa era l'art. 11 L 21 marzo 1817,che, in quanto conteneva una riserva di legge futura, eradisposizione programmatica: ma vi si ravvisava altresì uncontenuto precettivo, nel senso che, non essendo pubblicatala legge, le questioni relative all'indennità d'espropriazione,quando fossero proponibili in sede giurisdizionale, si ritene-vano normalmente di competenza de' tribunali ordinari, enon de' giudici del contenzioso amministrativo, consideratigiudici d?eccezione, competenti solo per espresso disposto dilegge (249).

Numerosi decreti reali, la cui giustificazione, esplicita oimplicita, era data dall'art. 470 Il.cc., cit., regolavano espro-priazioni che, caso :per caso, eransi palesate necessarie. Talidecreti dovrebbero considerarsi di contenuto normativo (art.2, comma l, L 24 marzo 1817: supra, § 18), perchè, pur con-

tuzionali del secolo scorso (come nell'art. 26, Costo Due Sicilie, lO febbraio1848), ma non nell'art. 29 Statuto Sardegna, e nemmeno nell'art. 42 Costo Re-pubblica italiana.

(248) Si ritenevano però espropriabili i diritti reali: per esempio, il r.15 dicembre 1819 (PETlTII, I, p. 707) dichiara che al titolare del diritto d'usodi acqua, per muovere un mulino, cui l'acqua stessa veniva sottratta per ilrifornimento d'un comune, era applicabile «il disposto dell'art. 470 del co-dice civile, mercè il quale ogni privato per motivi di pubblica utilità puòsoffrir la perdita della sua proprietà ricevendone però un compensamento s ,e, respingendo l'opposizione del detto utente, disponeva gli si accordasse dalcomune «una corrispondente indennità, dimostrato prima da lui legittima.mente il diritto che ha al godimento» delle acque necessarie al suo -molino.

(249) R. 31 maggio 1826, in PETITTI, I, p. 531.

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cernendo talora un singolo rapporto, e mancando quindidel carattere di generalità, stabilivano, quasi sempre, le for-me del procedimento (250). Il loro contenuto, comunque, eravario: certe volte concernevano una singola opera di pub-blica utilità, specificando direttamente i beni da espropriareed i soggetti espropriandi ; altre volte concernevano una plura-lità di opere, ed allora regolavano il modo d'individuazionedei beni e dei soggetti.

Le istruzioni emanavano dai ministeri, e quindi concer-nevano materie di rispettiva competenza. Alcuni rescritti era-no utilizzati come disposizioni di massima, e vi si facevaanche espresso rinvio in fonti propriamente normative.

Se si vuoI considerare partitamente la disciplina dellaespropriazione nelle sue varie fasi, devesi anzitutto notarel'assenza d'una fase procedimentale, preordinata a quella chenoi oggi chiamiamo « dichiarazione di pubblica utilità» (artt.1-16 1. 25 giugno 1865, n. 2359). Risulta, però, che I'espro-priazione viene disposta per l'esecuzione di opere approva-te con determinazioni sovrane, quali appunto si esprimononel r.d. 7 marzo 1825 (per la conservazione de' tempi diPesto), 5 gennaio 1826 (per la conservazione dell'anfiteatrocampano), 25 maggio 1826 (ampliamento dei lavori di recin-zione della basilica e de' tempi di Pesto), 2 dicembre 1829(creazione di zona di rispetto attorno ai detti tempi), 29 set-tembre 1832 (fortificazioni di Gaeta) (251), 14 febbraio 1839

(250) Non contiene norme procedimentali il r.d. 30 luglio 1857, per laespropriazione dei mulini vecchi e nuovi in Torre Annunziata, il quale rin-via «alle leggi e regolamenti in vigore », ammettendo, in sostanza, che 'purmancando una legge generale, si era formato un sistema normativo pacifico.

(251) Il r.d. 29 settembre 1832 concerne la casamatta della batteria S.Antonio (che era propriamente una «cortina a denti di sega»: QUANDEL, pp.6 ss.) nel «fronte a mare» della piazza di Gaeta. Si tratta di quella polve-riera che il fuoco piemontese fece esplodere il 5 febbraio 1861, uccidendo

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(batteria Plateau in Capri), 6 maggio 1839 (batteria TorreCavallo inReggio), 6 novembre 1840 (ampliamento dell'Opi-ficio militare di Pietrarsa), 2 settembre 1851 (lavori del-l'acquedotto da Aci Catena ad Acireale) (252), 30 luglio1857 (espropriazione dei mulini vecchi e nuovi nel comunedi Torre Annunziata) (253) etc. Nel r.d. 28 febbraio 1856(regolamento per la valutazione ed il pagamento ai proprietaridei fondi che verranno occupati per la costruzione della ferro-via delle Puglie) la pubblica utilità dell'opera andava desuntadal r.d. 16 aprile 1855, che accordava la concessione dellaferrovia (254), e parimenti dal real decreto di concessioneavrebbe dovuto essere desunta per le procedure eventualmentepromosse secondo il r.d. 30 aprile 1856, che estendeva ilcitato r.d. 28 febbraio 1856 « a tutte le espropriazioni a farsidai concessionari di altre strade ferrate» (255). Ancora, ilr.d. 15 febbraio 1860 (regolamento per l'espropriazione a

oltre duecento militari tra cui il tenente generale Francesco Traversa, ed un cenotinaio di civili (QUANDEL, pp. 258 ss.).

(252) L'iniziativa dell'acquedotto di Acireale si deve alla luogotenenzadel tenente generale Carlo Filangieri. Con r. 2 settembre 1851 (richiamato nellepremesse del r.d. cit.) il re disponeva inoltre che venti penne dell'acqua sgor-gante in Aci Catena, e che si immetteva nell'acquedotto del detto comuneper uso dei mulini e delle terre irrrgue, fosse derivata per condotti sotter-ranei, fino ad Aci Reale.

(253) L'espropriazione dei molini di Torre Annunziata, promossa daiministri degli affari interni e della guerra, era preordinata ad un miglior usodell'acqua pubblica, per la produzione di forza motrice, utile agli stabilimentimilitari, e per l'irrigazione della zona agricola.

(254) Supra, Introduzione, nota (12).(255) n programma di nuove costruzioni ferroviarie, abbandonato da Fer-

dinando II nell'involuzione misoneista dei suoi ultimi anni di regno, fu ri-preso da Francesco II, che, con r.d. 28 aprile 1860, programmò la, costruzionedi tre linee ferroviarie nel continente (Napoli-Foggia-Brindisi-Lecce; Napoli-Basilicata-Reggio; Napoli-Abruzzi, fino al Tronto), e tre in Sicilia (Palermo-Catania; Palermo-Messina; Palermo-Girgenti-Terranova, che oggi si direbbePalermo-Agrigento-Gela), e provvide alla nomina delle Commissioni incaricatedell'esame delle domande di concessione.

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causa di pubblica utilità degli stabili che si hanno ad occupareper 1;1 nuova strada Maria Teresa nella città di Napoli e perla decenza dei suoli ed edifici adiacenti) si riferisce ad una«pianta sovranamente approvata e depositata nella segreteriadel Consiglio edilizio» (infra, § 127); ed è ovvio che un docu-mento analogo sarebbe occorso quando, in virtù del r.d. 26marzo 1860, il r.d. 15 febbraio 1860 fosse stato applicato, co-me previsto, «indistintamente a tutte le espropriazioni che sifaranno nella città di Napoli a causa di pubblica utilità, perl'esecuzione delle sue opere pubbliche comunali e per la decen-za de' suoli ed edifici adiacenti a tutte le sue pubbliche stra-de» (256).

La necessità d'una previa determinazione sovrana per pro-cedere all'espropriazione è implicita nell'art. 1 delle istruzioni15 novembre 1847 «da servire di norma alle dipendenzedella Guerra e Marina per lo apprezzo, e pel possesso de' fondirustici ed urbani de' privati spropriati per causa di utilitàpubblica », ove è detto: «Quando S.M. (D.G.) avrà ordinatola spropriazione a causa di pubblica utilità di alcun fondorustico o urbano, da aggiudicarsi all'amministrazione dellaguerra e della marina, si procederà alla estimazione degli in-dennizzamenti dovuti al proprietario per effetto della spropria-zione» (257). Infine, un r. lO dicembre 1859 aveva statuitoche l'espropriazione per pubblica utilità si dovesse sempreordinare per atto sovrano (258).

(256) La strada Maria Teresa (oggi corso Vittorio Emanuele) fu eseguita,per iniziativa di Ferdinando II, tra il 6 aprile 1852 ed il 28 maggio 1853 (Do.RIA, p. 235). I provvedimenti ricordati nel testo costituiscono una prima ini-ziativa di c rtsanamento », che, fiaccamente proseguita dal governo italianodopo il 1860, fu ripresa - sollecitandola la strage del colera del 1884 - con1. 15 gennaio 1885, n. 2892 (CAMERA DEI DEPUTATI, pp. 15 ss.), In passato,erano state di notevole rilievo le espropriazioni promosse in Napoli da Carlodi Borbone per la costruzione dell'Albergo dei poveri (GHIRELLI. p" 1231-

(257) PETITTI, I1I, p. 603.(258) Citato da DE SIVO, a), II, p. 30.

14. LANDI. J.

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La designazione dei beni da espropriare (cfr. artt. 16-23l. 25 giugno 1865, n. 2359) è qualche volta contenuta diret-tamente nel decreto reale, che li indica precisandone leestensioni ed i nomi dei proprietari, talora con riferimentoa perizie disposte dall'amministrazione interessata: così, neicitati r.d. 7 marzo 1825, 5 gennaio 1826, 25 maggio 1826,2 dicembre 1829, 29 settembre 1832, 14 febbraio 1839,6 maggio 1839, 6 novembre 1840, 30 luglio 1857. Per lecostruzioni di campisanti, potevano essere occupate (art. 4r.d. 11 marzo 1817) le aree prescelte con deliberazione deldecurionato approvata dall'intendente (art. 4 r.d. 12 dicem-bre 1828, e reg. 21 marzo 1817). Il r.d. 2 settembre 1851,per la costruzione dell'acquedotto Aci Catena-Acireale, dispo-ne invece (art. l) che «sarà luogo ad espropriazione forzataper causa di pubblica utilità di tutte le porzioni di terrenodei poderi, pe' quali è necessario che l'acqua anzidetta passiin sotterranei condotti per giungere al comune di Acireale»;e che (art. 2) «a questo effetto da due architetti eligendi daidue comuni interessati di Aci Catena ed Acireale e nel casodi divergenza da un terzo che sarà nominato dall'intendentedella provincia di Catania, sarà eseguito un piano d'arte perdeterminare le porzioni di terreno di ciscun podere, per il qua-le dovrà passare l'acqua anzidetta e stabilire lo indennizzamen-to dovuto a ciascun proprietario». Nelle espropriazioni ferro-viarie (r.d. 28 febbraio 1856 e 30 aprile 1856) l'elenco deibeni e dei proprietari espropriandi era formato dal conces-sionario, che lo trasmetteva all'intendente, il quale provve-deva alla notificazione individuale, nonchè alla pubblicazionedell'elenco nel Giornale ufficiale del Regno, ed all'affissionenei comuni dove i beni erano siti. Nelle espropriazioni per lacittà di Napoli (r.d. 15 febbraio 1860, e 26 marzo 1860) ibeni espropriandi erano quelli compresi nella pianta sovrana-

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36 Il potere supremo di Governo 211

mente approvata, e la città di Napoli poteva occupare le pro-prietà rustiche dieci giorni dopo la notificazione d'appositoavviso, e quelle urbane il 4 maggio successivo (259) alla no-tificazione dell'avviso, da farsi al proprietario ed all'inqui-lino separatamente quattro mesi prima. I contratti in corsoerano sciolti di pieno diritto.

L'indennità d'espropriazione, nei r.d. 14 febbraio 1839,6 maggio 1839, e 6 novembre 1840, è direttamente stabilitanei decreti stessi, salvo però il diritto dei possessori delle areedi proporre opposizione (senza effetto sospensivo) chiedendonela determinazione con perizia giudiziaria. Tali casi, però,sono singolari. Norma generale era l'art. 2 dell'istruzione perli ponti e strade, del 22 ottobre 1811, il quale disponeva:« L'apprezzo de' fondi privati da occuparsi per lavori di pon-ti e strade dovrà essere fatto da tre periti, cioè uno per partedel proprietario, il secondo sarà destinato dall'intendente, edIl terzo sarà l'ingegnere del dipartimento redattore del pro-getto» (260). Alcuni però dei decreti sopra ricordati (r.d. 7marzo 1825, 5 gennaio 1826, 25 maggio 1826, 2 dicembre1829, 29 settembre 1832) affidano l'apprezzo ad un sol peri-to, nominato dall'Amministrazione; ed il r.d. 2 settembre1851, come si è visto, prevede due periti di nomina dei comu-ni interessati, ed uno nominato dall'intendente, senza che intal collegio siavi rappresentante alcuno dell'espropriato. Più

(259) Detto termine, sopravvissuto consuetudinariamente alla codificazione(vedi anche l'art. 64 r.d, lO giugno 1817, sulla contribuzione fondiaria) era statointrodotto, alla fine del secolo XVI, dal vicerè conte di Miranda (GHIRELLI,

p. 35).(260) PETITTI, I, p. 66. Tali disposizioni furono estese, con r.d. 13 agosto

1839, alle opere di bonificamento delle terre paludose, per la cui esecuzione(Min. Aff. interni, 12 ottobre 1839, in PETITTI, 111, p. 567) «bisognava rìmuo-vere il grande ostacolo, che all'imprendimento di tali opere opponeva il dì-ritto di proprietà, non meno de' terreni bonìfìcabìlì, che di quelli circostanti >.

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tardi, però (30 aprile 1844) il Ministero delle finanze, da cuidipendevano allora le opere pubbliche di conto regio (in-fra, §§ 49 e 58) ritenne che lo spirito della disposizione del1811 fosse quello d'aversi un terzo perito al solo fine didirimere le divergenze che potessero insorgere fra gli altridue, e perciò dispose che le valutazioni far si dovessero colconcorso solo di due periti, risparmiandosi così le indennitàe le vacazioni che pagavansi al perito nominato dall'intenden-te, e che solo in caso di discrepanza fra questi due l'inten-dente della provincia nominar dovesse d'ufficio il terzo comearbitro fra i due primi (261). Il Ministero de' lavori pubblici,cui la competenza fu poi trasferita (infra, § 64) estese il siste-ma alle opere provinciali, ed infine la disposizione fu trasfusain un real re scritto del 24 ottobre 1849 (262). Ma in verità,nei diversi provvedimenti si continuano spesso ad adottareprocedure diverse. Nelle espropriazioni per opere dell'Ammi-nistrazione della guerra e marina, la stima era eseguita datre periti, uno dei quali era un ufficiale del Genio nomi-nato dal capo della Direzione del Genio, l'altro era nominatodal proprietario, il terzo dall'intendente; se il proprietarioricusava di nominare un perito, la nomina ne era fatta in suavece dall'intendente (art. 2 istr. 15 novembre 1847). Nelleespropriazioni ferroviarie, il concessionario indicava, nell'elen-co dei beni, il proprio perito (art. l r.d. 28 febbraio 1856);il proprietario, entro otto giorni dalla notificazione d'appositoinvito dell'intendente, poteva designarne uno proprio (artt.2 e 3 r.d. cit.), ma se non vi provvedeva, la stima veniva

(261) PETITTI, 111,p. 593.(262) PETITTI, 111, p. 605. In seguito, con circo Min. Lavori pubblici 18

ottobre 1856 (PETITTI, VI, p. 648) fu disposto che nei verbali d'apprezzo deidanni derivanti da opere di pubblica utilità non era richiesto l'intervento delledeputazioni provinciali e comunali (in!ra, §§ 104 e 123).

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ugualmente compiuta dal perito del concessionario (art. 3r.d. cit.). Se i periti non erano concordi, la stima veniva com-pilata da un terzo perito designato dall'intendente (art. 6 r.d.cit.), tra quelli iscritti in apposito elenco, formato da lui edapprovato dal ministro dei lavori pubblici (art. 2 r.d. cit.).

Nelle espropriazioni per la città di Napoli, la stima do-veva farsi da due periti, l'uno designato dall'espropriato, el'altro dalla Città, ed in caso di disaccordo da un terzo perito« dirimente» nominato dall'intendente (art. 7 r.d. 15 feb-braio 1860). È infine da ricordare un r. 24 aprile 1850, ilquale prescrive che, nelle espropriazioni di fondi enfìteutici,debba intervenire nella valutazione tanto il «padrone di-retto» quanto il «padrone utile », ciascuno nel rispettivoparticolare interesse: con che, SI accresceva il numero deiperiti di parte (263).

È pacifico che per «giusta indennità» (art. 470 Il.cc.)si intese sempre il pieno valore venale dell'immobile espropria-to: nè v'è traccia di quelle indennità differenziate, di cuiproprio in Napoli il regno d'Italia avrebbe fatt~ la primaesperienza con la legge « del risanamento» 15 gennaio 1885,n. 2892 (264). Ciò risulta particolarmente dall'art. 2, com-

(263) PETITII,III, p. 609.(264) DIAs,a), I, p. 67: «Se l'occupazione della proprietà per utile pub-

blico cader dovesse sul solo proprietario sarebbe somma ingiustizia, poichèegli concorrer deve al pubblico bene, dunque debb'essere ripartito sia tra isuoi comprovinciali, sia tra i cittadini distrettuali o comunali, secondo chel'utile riguarda o la provincia e valle o il distretto, o il Comune. Indennizzatoessendo il proprietario dall'erario pubblico, egli non viene a contribuire pelrinfranco del medesimo, se non quella parte che gli spetta a tenore della suapossìdenza s. Ed il MANNA,p. 276: «Lo Stato adunque si rivolgerà a costoronon mica spogliandoli del frutto del legittimo lavoro, ma comprandolo: sola-mente la vendita sarà forzata e non libera, perocchè il diritto del proprie-tario si restringe a non essere spogliato del valore, non a far posporre un veroe dimostrato interesse sociale al desiderio di possedere un fondo piuttostoche un altro. Ma si avverta che questi son contrasti in cui la più severa giu-

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ma 2 e 3, delle istr. 15 novembre 1847, ove si dice che i periti:

« ... procederanno ad estimare il prezzo del fondo da occuparsi,o desumendolo dal capitalizzare alla ragione corrente nel luogo ovequello è sito la rendita netta degli affitti attuali disaminati e rico-nosciuti veri, o desumendolo da contratti di compravendita del fon-do recenti e disaminati e riconosciuti veri; o simiglianti contrattid'affitto, e di compravendita de' fondi vicini della medesima naturae della medesima qualità. Allora soltanto che i periti non abbianopotuto aver presente alcuno de' suddetti elementi, procederannoessi alla estimazione del valore del fondo da occuparsi, mercè lavalutazione dell'annuo prodotto, e la deduzione delle annue spesenecessarie per la manutenzione, per la cultura, per la soddisfazionede' pesi reali (265).

strzra deve intervenire a pronunziare ». Si potrebbe citare da qualcuno, incontrario, I'art. 4, comma l, r .d. 11 marzo 1817: «I comuni potranno sta-bilire i campisanti in qualunque fondo di proprietà pubblica o privata, chesia riconosciuto atto a tale destinazione. Se il fondo apparterrà allo Stato, oa corporazioni e stabilimenti pubblici indistintamente, il Comune l'occuperàsenza accordare verun compenso; se poi sia di proprietà privata, il Comunene pagherà al proprietario un canone corrispondente ». Ma questa disposi-zione sembra piuttosto confermare la regola dell'art. 470 ll.cc., perchè le oc-cupazioni di cui alla prima parte, più che risolversi in espropriazioni senzaindennizzo, sembrano il risultato d'una scelta fra più destinazioni d'interessepubblico d'uno stesso bene; ed appunto più tardi (circ. Min. Aff. interni, 22settembre 1841, in PETITTI, 111, p. 448) si dissero indennizza bili le occupa-zioni di cappelle e luoghi pii laicali, perchè «patrimonio de' poveri ». Letesi restrittive, motivate forse più da ragioni finanziarie che da mutate con-cezioni polttico-sociali, cominciarono a farsi strada più tardi, e contro di esseè rivolta la vivace e dotta polemica di CENNI (è questo il libro che, secondoCR~CE, a), p. l, fu di prima guida a' lui stesso nel penetrare «le latebre dellastoria dell'Italia meridionale s).

(265) Fra tali «pesi reali» deducibili erano comprese l'imposta Iondìa-ria ed, in genere (art. 11 r.d. 15 febbraio 1860) le contribuzioni dirette rela-tive all'anno in cui aveva luogo la valutazione. Poichè (l. 8 novembre 1806)la contribuzione fondiaria non doveva eccedere il quinto della rendita nettadel fondo, era sorto il dubbio se si dovesse dedurre il quinto del valore stiomato, oppure la quota corrispondente all'attuale imponibile effettivo. Il r. lOmarzo 1847, su cfp. CR (PETITII, III, p. 602), stabilisce il secondo criterio«perchè -in tal modo si compensa con vera esattezza il danno loro recato ».

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« Estimeranno insieme le altre indennità dovute al proprietarioo a causa della diminuzione di valore della parte rimanente delfondo spropriato, se ne sia il caso; o a causa di altri danni patitidalla parte rimanente del fondo, i quali sieno una conseguenza di-retta o della occupazione della parte spropriata, o delle opere dacostruirsi ».

L'indennità, secondo l'art. 470 Il.cc., avrebbe dovuto es-sere «preventiva », cioè essere corrisposta prima dell'occu-pazione: in fatto, accadeva che «per l'impero delle circostan-ze» l'occupazione precedesse talvolta il pagamento; ed anzi leistr. 15 novembre 1847 per le espropriazioni dell'Ammi-nistrazione militare (art. 3) ed il r.d. 15 febbraio 1860 perquelle della città di Napoli (artt. 13 e 14) prevedevano laoccupazione subito dopo la perizia di stima (266). Perciò, ilr. 5 gennaio 1828 dispone che si liquidasse al proprietariol'interesse del 5% a contare dal dì dell'occupazione, ossiadal giorno in cui il proprietario aveva cessato di percepireil frutto fino a quello dell'effettivo pagamento (267), ed ilr. 18 febbraio 1821 precisava che tale prescrizione, nonconsistendo in altro che nella dichiarazione d'un diritto deiproprietari nascente dal citato art. 470 ll.cc., doveva essereapplicata anche ai danni ed alle occupazioni anteriori all'anno

(266) Mancavano disposizioni sulla «occupazione d'urgenza» (cfr. art.7l S8. l. 25 giugno 1865, n. 2359), e la giurisprudenza dei reali rescritti di.mostra come fossero abbastanza frequenti i danneggiamenti e le occupazionisenza titolo, tanto più che spesso i limiti delle espropriazioni consentite nonerano definiti da un atto formale, come le «dicbiarazioni di pubblica utilrtà spreviste dalla legge citata. Queste ipotesi corrispondevano a quelle che nel di-ritto amministrativo francese si dicono di emprise sur la proprieté (non divoie de [ait; perchè si trattava di operazioni amministrative irregolari, manon illecite, essendo l'espropriazione prevista dalle leggi civili), ed era am-messo, come si vedrà, che !'indennizzo fosse definito dal giudice civile, secondouna certa logica del regime di e doppia giurisdizione» che persiste nel dirittofrancese (BENOIT, p. 439).

(267) PETITTl, IlI, p. 521.

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1828 (268). Infine, il r. 4 febbraio 1837, su conforme pareredella Consulta de' reali domini di qua del Faro, estendevala prescrizione stessa alle opere pubbliche comunali, sotto laresponsabilità degli amministratori (269). Peraltro, il Ministe-ro delle finanze rilevò che ritardi pregiudizievoli alla Reale Te-soreria per il rilevante aggravio d'interessi venivano a verificar-si, tra il momento dell'occupazione e quello della valutazio-ne, per negligenza degli stessi proprietari, che indugiavano anominare il perito previsto dall'art. 2 istr. 22 ottobre 1811, onon curavano la compilazione del verbale, o frapponevanoin qualunque modo ostacoli alla sollecita liquidazione deidanni; ed in conseguenza dispose (18 febbraio 1844) che latesoreria non avrebbe corrisposto interessi per più di seimesi dal dì dell'occupazione o del danno, «salva ogni altraragione alle parti, ove il ritardo non sia dipeso da loro colpa,contro chi e come di diritto» (270). Tuttavia, l'art. 15 r.d.15 febbraio 1860 accordò gli interessi 5% dal giorno dellatradizione, cioè della trasmissione del possesso, a quello delpagamento, senza limite di tempo.

Non ebbe fortuna una tesi fiscale, proposta dall'agentedel contenzioso di Napoli (271), il quale sosteneva che, essendoogni espropriazione per pubblica utilità una compravenditaforzata, tutte le questioni dovevansi regolare co' medesimiprincipi del contratto di compravendita (272), e quindi gliinteressi dovevansi corrispondere nei soli casi in cui il com-pratore li doveva al venditore secondo l'art. 1497 ll.cc., cioè

(268) PETITTI, 111, p. 530.(269) PETITTI, 111, p. 560.(270) PETITTI, 111, p. 593.(271) PETITTI, 111, p. 597.(272) È la teoria tradizionale (nota 264), che trovò ancora sostenitori m

CAMMEO, p. 615 (dove l'espropriazione è detta «alienazione forzata >, e I'oe-cupazione e locazione Iorsata v) ; ORLANDO, p. 297; CHIOVENDA.

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se fosse convenuto nel contratto, o se la cosa venduta o con-segnata producesse frutti o altri proventi, o se il compratorefosse stato interpellato a pagare. Perciò, l'agente riteneva che,in una certa specie, non fossero dovuti interessi sull'indennitàper la perdita dei frutti, in quanto frutti non producono frut-ti, nè sul valore d'un muro di cinta, perchè anche quel mu-ro non produceva frutti. Saggiamente rispondeva il ministrodelle finanze (19 aprile 1845) che non può l'espropriato pat-tuire, come può il venditore nel contratto di compravendita,che gli si corrispondano gli interessi sul prezzo d'una cosainfruttifera, perchè nel rapporto d'espropriazione la sua vo-lontà è assente; nè può mettere in mora l'Amministrazione,dovendo attendere la determinazione amministrativa dell'in-dennizzo, talchè «non potrebbe senza offendersi la giustiziaimputarsi al proprietario medesimo la mancanza di una inter-pellazione che non è in grado di praticare» (273); e perciò ilministro pregava l'agente «perchè senza farsi luogo ad alcunadistinzione accordi diritto agli interessi de' quali si è fatta pa-rola ».

L'indennità era, come oggi si dice, «unica»: cioè venivaliquidata a favore del proprietario, salvi i diritti dei terzi,da farsi valere sull'indennità (274). Occorrevano perciò certecautele per i pagamenti, ed erano state disposte con r. 2 set-tembre 1826 (275), che era di generale applicazione, e trova siespressamente richiamato nell'art. 5 istr, 15 novembre 1847,nell'art. 2 r.d. 28 febbraio 1856, e nell'art. 15 r.d. 15 feh-

(273) L'interesse della risposta consiste nell'intuizione dell'artificiositàdell'equiparazione dottrinale tra espropriazione e vendita. Peraltro, la teoriapuhhIicistica delI'espropriazione non semhra enunciata formalmente prima del-lo studio del LABAND;ed in Italia hisogna giungere a Santi ROMANO,d), p. 536,e tra i civilisti a PUGLIATTI.

(274) Cfr. art. 52 1. 25 giugno 1865, n. 2359.(275) PETITTI,111, p. 520.

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braio 1860. A misura che venivano approvati i pagamentiper compensi di fondi occupati o danneggiati, l'Amministra-zione provvedeva ad inserire nel giornale del Regno delleDue Sicilie l'elenco dei proprietari, con l'indicazione dellasomma del compenso, del fondo cui si riferiva, e del comunedove il fondo era sito (276); parimenti l'intendente provvede-va all'affissione nel detto comune (art. l). Nel corso d'un mesedalla data del giornale, i creditori ipotecari, e tutti coloroche a qualunque altro titolo vantassero diritti sui fondi, do-vevano comparire innanzi all'intendente della provincia oveera sito il fondo (art. 2); e questi se non riusciva a conci-liare le parti, versava la somma nella Cassa d'ammortizzazione,perchè vi rimanesse in deposito fino alla decisione dei tribu-nali (art. 3). Trascorso il mese senza opposizione, l'indennitàera pagata al proprietario (art. 4). Nelle espropriazioni ferro-viarie (art. 8 r.d. 28 febbraio 1856) era facoltà dell'intendente,sentito il Consiglio d'intendenza, in contraddittorio tra il pro-prietario ed il concessionario, decidere, ove fossero proposteopposizioni, se l'importo doveva essere depositato nelle pub-bliche casse, o restare presso il concessionario con idoneagaranzia, od essere impiegato nell'acquisto di rendita iscrittanel Gran libro del debito pubblico, ed eseguita la determi-nazione, il concessionario entrava in possesso del fondo, senzaaltro procedimento. Nelle espropriazioni per l'acquedottoAci Catena-Acireale, era previsto che il comune d'Acirealedepositasse le indennità, prima di ciascun lavoro, presso unadelle due Casse di Corte del Banco regio di Sicilia istituite

(276) La circo dell'agente del contenzioso, 23 ottobre 1844 (in TOMMA·

SINI, II, p. 119) raccomanda alle pubbliche amministrazioni di seguire atten-tamente tali annunzi ed affissi, per potere tempestivamente proporre opposi.zioni a tutela d'eventuali diritti dell'amministrazione, ipotecari o altri, avverotendole dei «gravissimi inconvenienti» cui l'omissione avrebbe potuto darluogo.

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in Palermo e Messina, o nella Cassa provinciale di Catania:l'intendente provvedeva alla conciliazione delle parti, 'salva lasuccessiva azione innanzi ai tribunali ordinari, ed i reclaminon avevano effetto sospensivo dei lavori (artt. 3-6 r.d. 2 set-tembre 1851).

Si è visto che, per communis opinio, l'espropriazione perpubblica utilità aveva l'effetto di compravendita, cioè determi-nava il trasferimento coattivo della proprietà. In nessuno deiprovvedimenti normativi ricordati troviamo però direttamenteed espressamente individuato un atto amministrativo che fis-si il momento traslativo del diritto, così come nell'art. 50l. 25 giugno 1865, n. 2359, dove è detto che la proprietàpassa nell'espropriante dalla data del decreto del prefetto chepronuncia l'espropriazione (277). È da ritenere, tuttavia, chela proprietà dovesse intendersi trasferita con l'occupazione,comprovata dal verbale d'immissione in possesso (vedi, peresempio, art. I r.d. 5 gennaio 1826; art. 2 r.d. 25 maggio] 826; art. 2 r.d. 2 dicembre 1829; art. 2 r. d. 29 settem-bre 1832; art. 3, comma 2, istr. 15 novembre 1847; artt.13 e 14 r.d. 15 febbraio 1860) e, se l'indennità non era sta-ta preventivamente corrisposta, il trasferimento si perfezio-nava con la sua determinazione. Ciò non solo perchè, comesi è detto, dalla data dell'occupazione decorrevano gli inte-reSSI sull'indennità (il che potrebbe intendersi come effettodella semplice perdita del possesso, come oggi avviene nelleespropriazioni precedute da occupazione d'urgenza), ma so-prattutto perchè l'art. 3, comma 2, istr, cit., esonerava il pro-

(277) Dagli artt. 2075 S8. Il.cc. la trascrizione era prevista solo per i con-tratti traslativi della proprietà d'immobili, o di diritti reali considerati comeimmobili, cbe il terzo possessore volesse liberare da privilegi ed ipoteche.Più tardi (l. 31 gennaio 1843) fu stabilito che tra più compratori l'anterioritàdell'acquisto si desumesse dall'ordine delle trascrizioni.

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prietario dall'obbligo della contribuzion ~fondiaria dallo stessogiorno della presa di possesso,facendogli obbligo di presentareall'autorità competente la domanda di mutazione di quota,o voltura, a' termini dell'art. 124 r.d. lO giugno 1817, entroun mese, e precisando che il titolo legale della mutazioneera costituito dal processo verbale di possesso e dal processoverbale d'apprezzo.

Ricordiamo poi che anticipando il dettato dell'art. 23L 25 giugno 1865, n. 2359, il r.d. 15 febbraio 1860 facevaobbligo alla Città di Napoli d'occupare anche le parti di caseed edifici non più utilizzabili (art. 3), e dava facoltà al pro-prietario di chiedere l'espropriazione dell'intera proprietà,quando la metà ne fosse stata occupata (art. 6) (278).

Nel difetto d'una legge generale, i principi relativi allatutela delle ragioni degli espropriati nei confronti della pub-blica amministrazione venivano di solito dedotti dal r. 30 lu-glio 1823 (279), le cui massime furono confermate anchepei reali domini di là del Faro col successivo r. 21 luglio1834 (280). Tale sovrana risoluzione era intervenuta in sededi conflitto d'attribuzioni tra il tribunale civile ed il Con-siglio d'intendenza di Napoli, nella causa tra D. Nicola Scarpae la Direzione generale di ponti e strade: lo Scarpa avevaconvenuto in giudizio, davanti al tribunale di Napoli, la dettaDirezione, chiedendo la demolizione d'un muro di sostegnodella strada del Campo di Marte, costruito lungo un fondodi sua proprietà, nonchè il risarcimento dei danni. L'autorità

(278) Gli acquisti d'immobili fatti dai Comuni per espropriazione scausa di pubblica utilità dovevano, secondo il Rocco, I, pp. 309 S8., essere au-torizzati con decreto reale, ai sensi dell'art. 826 Il.cc., in quanto mancava unanorma (vedi oggi art. lO comma 2 l. 25 giugno 1865, n. 2359) che facesse ecocezione alla regola generale.

(279) Dus, a), I, p. 67; II, p. 262; PETITTI, I, p. 525.(280) PETITTI, I, p. 553.

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sovrana escluse che vi fosse conflitto, negando, contempora-neamente, tanto la giurisdizione del giudice ordinario, quantoquella del giudice amministrativo: «non possono i giudicidel contenzioso giudiziario, e quelli del contenzioso ammini-strativo, conoscere ad istanza dei privati e senza una preven-tiva autorizzazione superiore, della regolarità delle operazionidisposte dalle pubbliche amministrazioni, o dei danni per esseai medesimi cagionati ». Dovevano invece gli interessati «perla via del ricorso avanzare i loro richiami al real trono, ed aiministri segretari di Stato, e.v. dietro questi richiami, presacognizione dell'affare, (poteva) disporsi superiormente, qua-lora vi (fosse) luogo, la repressione dell'abuso, la rettifica-zione dell'eccesso, e in fine la liquidazione del danno ». Eperciò, si convertiva in ricorso al re la domanda giudiziale,e contestualmente si disponeva che il tribunale giudicassedella verità ed entità del danno.

In questo rescritto, è in qualche modo adombrata la di-stinzione tra l'interesse, concernente la «regolarità delle ope-razioni », a cui tutela potrà invocarsi dall'autorità regia oministeri aIe «la repressione dell'abuso o la rettifìcaeione del-l'eccesso », ed il diritto, concernente la liquidazione del dan-no, tutelabile dall'autorità giudiziaria. Ma bisogna guardar-si dal credere che si fosse con ciò stabilito un sistema ana-logo a quello poi vigente nel regno d'Italia tra l'entrata invigore della 1. 20 marzo 1865, n. 2248, alI. E, abolitiva delcontenzioso amministrativo, e l'entrata in vigore della l. 31marzo 1889, n. 5982, istitutiva della IV sezione del Consi-glio di Stato per la giustizia amministrativa; un sistema,cioè, nel quale l'interesse fosse sempre tutelabile col ricor-so al re od al ministro, ed il diritto sempre del pari tutela-bile con istanza al giudice civile. Vero è per contro che, do-ve non esisteva una norma che consentisse l'azione civile,

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la parte doveva sempre portare le proprie doglianze al mi-nistro competente od al real trono, e l'autorità adita dispo-neva discrezionalmente se dovevasi autorizzare il giudizio,o se dovevasi altrimenti provvedere (281). E perciò, l'azionefu accordata, per esempio, nel ricordato caso Scarpa, non-chè, su conforme avviso della Gran Corte de' conti, col re-scritto 31 maggio 1826, che autorizzava certe persone a chie-dere dinanzi al tribunale di Catanzaro e nei confronti delComune stesso l'indennità per l'espropriazione di tre botteghe,demolite per l'ampliamento d'una piazza (282). Ma che taleautorizzazione fosse discrezionale, risulta chiaramente dal-l'istruttiva vicenda del giudizio promosso dal principe di Ca-ramanico nei ~onfronti della Direzione generale de' ponti estrade, a proposito della canalizzazione delle sorgenti del Mo-fito in Terra di Lavoro. Sollevato anche qui, come nel casoScarpa, il conflitto d'attribuzioni fra il tribunale civile ed ilConsiglio d'intendenza, il sovrano, con r. Il giugno 1834, suconforme parere della Consulta, aveva convertito l'istanza delprincipe in ricorso al real trono, ed autorizzata l'azione ci-vile (283). Intervenne però il Ministro delle finanze, per se-gnalare l'opportunità che si procedesse alla stima col sistemadei tre periti, secondo l'art. 2 istr. 22 ottobre 181I, ed il re

(281) È secondo DIAs, a), I, p. 388, applicazione dell'art. 199 L organicadell'ordine giudiziario pe' domini di qua del Faro (29 maggio 1817), e del.l'art. 230 di quella pe' domini di là del Faro (7 giugno 1819). Tali disposi.zioni stabiliscono che i giudici «non potranno in alcun caso immischiarsinelle funzioni amministrative, nè citare direttamente ed avanti a loro gli amoministratori per oggetti relativi alle loro funzioni, nè conoscere i conflitti trale autorità giudiziarie e le amministrative ». Occorreva perciò una «specialedelegazione» sovrana di potere giudiziario (cfr. MANNA, pp. 343 ss.) perchèi giudici potessero conoscere di tali azioni. Sul r. 30 luglio 1823, vedi ancheGHISALBERTI, c), p. 123.

(282) Supra, nota (249).(283) PETIITI, I, p. 551.

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dispose (r. 20 agosto 1834) « che per ora non si faccia novitàalla regola fissata fin dall'anno 1811 » (284).

In conclusione, parrebbe che, quando si fosse procedutoall'apprezzo secondo le ricordate istruzioni, le quali, comesi è visto, consentivano l'intervento del perito designato dalproprietario, gli interessi di costui si considerassero sufficien-temente garantiti, tanto da evitare, di regola, l'intervento suc-cessivo dell'autorità giudiziaria. Ed infatti, i reali decreti checonsentono l'impugnativa giudiziaria della stima talora stabi-liscono direttamente l'ammontare dell'indennità (r.d. 14 feb-braio 1839, 6 maggio 1839, 6 novembre 1840); altre voltel'affidano ad un sol perito nominato dall'Amministrazione(r.d. 7 marzo 1825, 5 gennaio 1826, 25 maggio 1826, 2 di-cembre 1829, 29 settembre 1832); e comunque non consen-tono la partecipazione d'un perito dell'espropriato (r.d. 2settembre 1851).

Qualche volta sono previsti rimedi amministrativi. Nelleoccupazioni per la costruzione di campo santi, ogni questioneera definitivamente risolta dall'intendente in Consiglio d'in-tendenza (art. 4, comma 2, r.d. 11 marzo 1817). Nelle espro-priazioni ferroviarie, il proprietario poteva chiedere all'inten-dente la revisione della stima fatta dal perito, nominato daquest'ultimo perchè v'era disaccordo tra i due periti di parte(artt. 6 e 7 r.d. 28 febbraio 1856). Nelle espropriazioni del-l'Amministrazione della guerra e marina (art. 4 istr. 15 no-vembre 1847), tanto l'Amministrazione, quanto il proprie-tario, potevano, entro due mesi dalla consegna della periziaalle parti, chiederne la revisione alla Commissione de' presi-denti della Gran Corte de' conti (art. 50 1. 29 maggio 1817),e la revisione avea luogo di diritto se i periti non erano

(284) PETITTI, 111, p. 551.

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stati unanimi: la deliberazione definitiva della Commissioneaveva «forza di cosa giudicata» (285).

Sembra invece pacifico (vedi, soprattutto, art. 3 r. 2 set-tembre 1826) che non incontrasse limiti la competenza del-l'autorità giudiziaria nelle vertenze tra il proprietario e glialtri titolari di diritti sull'indennità. In questi casi infatti lapubblica amministrazione era estranea alla vertenza, e le fun-zioni di «conciliatore» che il citato rescritto, o altre dispo-sizioni (art. 4 r.d. 2 settembre 1851), affidano all'intenden-te non pare abbiano scopo diverso da quello d'una sollecitadefinizione della procedura amministrativa col pagamento im-mediato e diretto delle somme su cui si raggiungeva raccor-do, salvo le definitive pronuncie dei giudici competenti.

È infine da ricordare che per l'art. lO l. 21 marzo 1817(inlra, § 170) le autorità del contenzioso amministrativo giu-dicavano di tutti i danni commessi verso i privati dagli appal-tatori di opere e di lavori pubblici nell'eseguimento delleloro intraprese (286). Le relative azioni potevano perciò essereesperite senza necessità di sovrana autorizzazione. Ed anzi,quando il ministro delle finanze, evidentemente subornatoda appaltatori che si dolevano di pretesi ostacoli loro frap-posti dai proprietari, chiese il parere dell'agente del conten-

(285) Ci sembra ozioso discutere se «forza di cosa giudicata» implicassela natura di atti di giurisdizione speciale dei deliberati della Commissione(peraltro, investita di tale attribuzione per atto del ministro della guerra emarina l), o se questi fossero semplici pareri, come ritiene SEPE, p. 16. Certoè però che si volesse dichiararne l'inoppugnabilità.

(286) Dus, a), I, p. 66 e 387, precisa che spettano all'autorità giudiziariaordinaria, dato il carattere eccezionale della legge sul contenzioso, e la con-seguente necessità di seguire interpretazioni restrittive, le controversie perdanni recati dagli appaltatori alla pubblica amministrazione, e cita in confor-mità il r. 28 febbraio 1824, che conferma la decisione GCCN, 9 gennaio 1824(comune di Massalubrense c. de Majo).

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zioso di Napoli circa «provvedimenti da invocarsi dal di-rettor generale (dei ponti e strade) per allontanare gl'incon-venienti, qualora le leggi in vigore non siano a ciò sufficien-ti », l'agente del contenzioso rispose (14 ottobre 1837), sen-za accogliere la suggestione:

«Senza dubbio, qualora trattasi di disposizione amministrativain linea di governo, non è lecito ai privati di dolersene innanzi alleautorità giudiziarie, se non dopo il sovrano permesso, giusta il so-vrano rescritto dei 30 luglio 1823. Ma gli arbitri, gli abusi e i danniche a capriccio si rendono alla proprietà particolare da un appal-tatore o da un ingegnere ripartimentale, non possono allogarsi nel-la classe delle opere, che l'amministrazione pubblica ha giudicatoindispensabili nell'interesse generale dello Stato, e però sarebbecosa impropria trattare il caso proposto in tesi generale, e sarebbepenicoloso, e sovversivo dei principii di alta amministrazione adot-tare una nuova disposizione governativa, sembrandomi bastevolile, leggi, e le altre disposizioni esistenti» (287).

Quando poi non fosse questione d'indennità, e la parteprivata si dolesse delle operazioni amministrative, cioè, secon-do le espressioni del r. 30 luglio 1823, di « abusi» o di « ecces-si », non è dubbio che il ricorso al re o al ministro competen-te fosse consentito in ogni caso. Il r.d. 2 settembre 1851(artt. 4 e 5) attribuiva espressamente alle parti interessatela facoltà di reclamare all'intendente «intorno ai poderi percui l'acqua dovrà passare a giudizio degli architetti », cioè aproposito del tracciato dell'opera (288), e, qualora non accet-tassero la conciliazione da lui proposta, di reclamare « quantoalla designazione de' luoghi innanzi alle autorità amministra-

(287) PETITTI, 111,p. 561.(288) L'art. 6 r.d. cito dichiara che < i reclami avverso la designazione

e valutazione... non sospenderanno l'attuazione dei lavori necessari alla co-struaione dei condotti sotterranei, ed al passaggio dell'acqua >.

15. UNDI • 1.

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tive» (in/ra, § 161), cioè in via gerarchica al minstro pres-so il luogotenente generale ne' reali domini oltre il Faro.

37. Le contribuzioni generali di beni e di servizi. -Un cenno è finalmente dovuto al regime delle contribuzionigenerali di beni e di servizi.

L'art. 3 dell'atto sovrano 20 maggio 1815 stabiliva:« Le imposizioni saranno decretate secondo le forme che sa-ranno prescritte dalle leggi ». In sostanza, si dava ai contri-buenti la garanzia, che non vi sarebbero state contribuzioniimposte in forma diversa, da quella prevista per legge; peril resto, la discrezionalità sovrana non incontrava, teorica-mente, alcun limite. Tuttavia, malgrado le tragiche declama-zioni del Settembrini (289), il sistema tributario del regno,pur non essendo quel modello di saggezza che qualche scrit-tore di ferma fede borbonica volle dimostrare (290), pecca-va, come già si disse, piuttosto per difetto che per eccesso, ela preoccupazione di aggravare la pressione fiscale distolsespesso il Governo da interventi di sicura utilità.

Imposta diretta era la contribuzione fondiaria, che per1. 8 agosto 1806 in continente, e 1. 28 settembre 1810in Sicilia, avea sostituito tutti i tributi preesistenti (in/ra,§ 50), talchè gli unici ad essere gravati erano i proprietari.Imposte indirette erano le tasse di registro, di hollo, ed ipoteca-

(289) SETTEMBRINI, b), p. 60.(290) INSOGNA,p. 271. In verità, l'elogio del sistema tributario del regno

è quasi interamente accentrato sulla tenuità della contribuzione, indiscutibilein raffrònto ai pesi che gravarono le province meridionali dopo l'annessione.Si potrebbe aggiungere I'estrema semplicità della disciplina giuridica di certetasse: principalmente di quella di registro (in/ra, § 51). Ma l'imposizione di.retta era sperequata e manchevole, perchè la rontribuzione fondi aria colpivasolo la ricchezza immobiliare, mentre i redditi di ricchezza mobile erano pra-ticamente immuni, a meno che non si trattasse degli stipendi degli ìmpie-gati, sottoposti in certe occasioni ad un sistema spietato di ritenute (in/m, § 41).

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ne: la Sicilia non era stata assoggettata alla tassa di bollodal 1821 al 1849 (in/ra, § 51). Il regime doganale era co-mune alle due parti del regno, ed ispirato ad un criterioprotezionistico, che, se riduceva il tenore di vita medio, per-metteva tuttavia la conservazione di certe forme di produzioneagricola ed industriale (in/ra, § 52). Solo ne' domini di làdel Faro era imposta ordinaria il dazio fiscale sul màcino,che di qua del Faro fu temporaneo e straordinario (in/ra,§§ 52 e 120). Le privative concernevano il sale ed il tabacco(solo di qua del Faro), le carte da gioco, la neve (solo inNapoli e casali), la polvere da sparo, il gioco del lotto (in-[ra, § 52).

Le controversie in tema d'imposte dirette erano di compe-tenza dei giudici del contenzioso amministrativo (in/ra, § 182),quelle in tema d'imposte indirette dell'autorità giudiziaria,oppure dei giudici speciali, costituiti nella medesima, per lecause di contrabbando e contravvenzioni ai dazi indiretti(in/ra, § 142).

Il servizio militare obbligatorio era dovuto, in linea diprincipio dai cittadini d'ambo le parti del regno; ma dopoqualche tentativo poco felice d'introdurlo ne' reali dominidi là del Faro, i siciliani ne rimasero esenti. Era organizzatocon criteri contributivi, e perciò consentiva la surroga a pa-gamento, che, insieme alle moltissime eccezioni, finiva perfari o gravare soltanto sui meno abbienti (in/ra, §§ 88-95).I reclami contro le operazioni dei Consigli di leva eranodecisi dal re su proposta del ministro degli affari interni odel ministro per gli affari di Sicilia (in/ra, § § 91 e 95); ele liti tra reclute e cambi dai Consigli d'intendenza in viaarbitrale (in/ra, § § 93, 95, 170).

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CAPITOLO II

L'AMMINISTRAZIONE CENTRALEE GLI UFFICI DIPENDENTI

I. PRINCIPI E NQRME GENERALI

DELL'ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA

38. L'organizzazione amministrativa. - Abbiamo detto(supra, § 15) che tutti i poteri dello Stato si concentravano,al vertice dell'ordinamento del regno, nel re, assistito dal suoConsiglio di Stato, rispetto al quale un consesso con funzionimeramente preparatorie era il Consiglio de' ministri, compo-sto dai ministri segretari di Stato, e dai « direttori» che inte-rinalmente ne facean le veci. Tali ministri erano, ne' rap-porti col re, semplici consiglieri, senza facoltà d'esprimerepareri vincolanti per la real maestà, cui rimaneva il poteredi decisione, e la responsabilità correlativa. Ma il loro voto« politico» poteva essere assistito, «negli oggetti importantidi pubblica amministrazione », da un parere giuridico-ammi-nistrativo, espresso da organi ad Me, quali il Supremo Con-siglio di cancelleria (1. 22 dicembre 1816), e poi le Consulte(L 14 giugno 1824). Tali ministri, o i loro supplenti, erano,poi, capi gerarchici d'amministrazioni costituite d'uffici cen-trali, e dipendenti uffici periferici, ripartite, di regola, secon-do un criterio di competenza «per materia », e solo eccezio-nalmente (Ministero per gli affari di Sicilia, nei tempi in cuiesistette) secondo la competenza territoriale.

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Sono quindi perfettamente applicabili all'ordinamento delregno le nostre categorie, di «organi attivi» ed «organi con-sultivi » (l), salvo gli spostamenti che ora rileveremo. Il Con-siglio di Stato ordinario, ed il Consiglio de' ministri, vannoinfatti formalmente collocati tra gli organi consultivi, in quan-to assistevano il re col loro parere, mai vincolante. I ministri edirettori, quando agivano come capi delle rispettive ammini-strazioni (e parimenti i capi degli uffici centrali e perifericida loro dipendenti), erano, però, organi attivi, in quanto for-mavano e manifestavano la volontà dello Stato per competenzapropria, oppure, come sovente accadeva per i ministri, «nelreal nome ». Organi consultivi erano, inoltre, il Supremo Con-siglio di cancelleria e le Consulte, che davano il loro parere(a richiesta del re, o dei ministri « nel real nome») su affarid'amministrazione attiva, o di contenzioso amministrativo.

Non ha invece specifica rispondenza nell'ordinamento delregno la .nostra categoria degli « organi di controllo », di quelli,cioè, che, assistiti da speciali garanzie d'indipendenza dal po-tere politico, intervengono quando un atto amministrativo ègià formato, allo· scopo d'accertarne la regolarità, sia dalpunto di vista meramente giuridico (controllo di legittimità)sia dal punto di vista dell'opportunità e della tecnica (controllodi merito)(2). Non esistevano organi con esclusiva o prevalentefunzione di controllo interorganico od intersubiettivo (3). Le

(1) Sono organi «attivi» quelli che formano e manifestano la volontàdell'ente, o la portano ad esecuzione; organi «consultivi» quelli che pre-stano ai primi un'assistenza tecnica coi loro pareri (LANDI e POTENZA, p. 76).

(2) LANDI e POTENZA, p. 77.(3) Il coiItrollo interorganico è esercitato da un organo su un altro or-

gano della stessa persona giuridica: per esempio, nel nostro ordinamento,dalla Corte dei conti sugli atti del Governo; il controllo intersubiettivodaun organo d'una persona giuridica su un'altra persona giuridica: per esem-

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Gran Corti de' conti di Napoli e di Palermo erano auto-rità del contenzioso amministrativo, al pari dei Consigli diintendenza, ed esercitavano sussidiariamente alcune funzioniconsultive (in/ra, §§ 99 e 163 ss.). Funzioni di controlloerano bensì esercitate da uffici dipendenti dal Ministero dellefinanze (in/ra, § 53), ma senza godere di «indipendenza»rispetto all'autorità amministrativa. E questa era, in sostanza,un'eredità del sistema franco-napoleonico, ed una conseguenzadel regime di monarchia assoluta, in cui non poteva aver po-sto un consesso, come la nostra .Corte dei conti (1. 14 agosto1862, n. 800), che fosse Longa manus del Parlamento nelcontrollare la gestione della spesa pubblica da parte del Go-verno (4).

Di conseguenza, il quadro che nel presente capitolo vienetracciato concerne i ministeri e gli uffici dipendenti, e gli or-gani supremi di consulenza giuridico-amministrativa. Delleintendenze, però, che erano il principale ufficio dell'ammini-strazione governativa periferica, dipendente dal ministro del-l'interno, ma corrispondente con tutti i ministri, e delle sottin-tendenze che ne dipendevano gerarchicamente, tratteremonei §§ 98 e 108; e nei §§ 101-105, 109, 110 ss., anche diquelle amministrazioni in cui si attuavano certe forme d'au-tonomia locale, cioè delle amministrazioni provinciali, distret-tuali e comunali, nonchè degli stabilimenti di beneficenza,che una tradizione non interrotta fino ai dì nostri associaalle prime. La materia del contenzioso amministrativo è in-vece contenuta nei §§ 159-186. Pertanto, del Consiglio diintendenza, che riuniva funzioni consultive e contenziose, le

pio, dai Comitati regionali di controllo sugli atti dei comuni e delle pro-vincie (LANDIe POTENZA,p. 250).

(4) Nel sistema napoleonico, la Corte dei conti verificava i conti, manon anche la legalità delle spese, perchè si riteneva che, nell'affermativa, sisarebbe resa giudice del Governo (GODECHOT,pp. 642·643).

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prime saranno esposte nei §§ 99 ss., e le altre nei §§ 163ss.. Delle Gran Corti de' conti, consessi esclusivamente conten-ziosi, verrà detto nei §§ 164-166. Il Supremo Consiglio dicancelleria e le Consulte univano alla funzione consultiva ta-lune attribuzioni del contenzioso amministrativo: perciò delloro ordinamento e della funzione consultiva si dirà in questasede (infra, § § 66-72); delle attribuzioni contenziose infra,§§ 175-176.

39. I ministeri e la consulenza giuridico-amministrativadel Governo. - L'organizzazione centrale dei ministeri, o«reali segreterie di Stato », risaliva al regno di Carlo di Bor-bone. Dopo vari esperimenti, esse furono stabilite, con dispac-cio 30 luglio 1737, in numero di quattro: a) segreteria diStato, guerra, marina, casa reale ed affari esteri ; b) giusti-zia ; c) azienda e commercio; d) affari ecclesiastici (5). Questosistema basato più sul grado di fiducia ispirato dalle personepreposte alle singole segreterie, che su una razionale riparti-zione di competenze, generava la preminenza del «primo se-gretario di Stato» sui colleghi, e terminò quando con dispac-cio lO giugno 1755 la segreteria di Stato fu soppressa, e nefurono ripartite le competenze tra le altre tre, che furono:a) giustizia, affari esteri e casa reale; b) guerra, marina,commercio e finanze ; c) affari ecclesiastici e teatri (6).

Con l'avvento al trono del re Ferdinando IV, le segreterietornarono ad essere quattro· (dispaccio 6 ottobre 1759): a)

casa reale, affari esteri, siti reali e regie poste ; b) azienda ecommercio; c) guerra e marina; d) grazia, giustizia ed affariecclesiastici (7). Il titolare della segreteria di casa reale, affari

(5) SCHIPA, I, pp. 314 880; CORTESE No, in COLLETTA, a), I, p. 121.(6) ScHIPA, II, p. 58 880; CORTESE No, in COLLETTA, a), I, p. 134.(7) :CoRTESE N., in COLLETTA, a), I, p. 176.

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esteri, etc., ebbe, per real dispaccio 20 novemhre 1767, iltitolo di «primo segretario di Stato» (8).

Nei tempi dell'occupazione militare, le segreteriedi Stato,istituite da Giuseppe Bonaparte con r.d. 22 fehhraio 1806,salirono a sette: Grazia e giustizia, Finanze, Guerra, Marina,Affari ecclesiastici, Casa e siti reali, Polizia, e con r.d. 31marzo 1806 vi si aggiunse quella dell'interno (9). Il Ministerodella Casa reale fu poi soppresso, con r.d. 19 aprile 1807,ed in certi periodi furono riuniti i ministeri di guerra e ma-rina. Il Ministero degli affari esteri, «inutile finchè durano imoti della conquista »(10), fu istituito con r.d. 3, giugno1806. Questa organizzazione, la cui «modernità» è evidente(deriva, infatti, dal coevo ordinamento napoleonico) rimase invita, nei domini di qua del Faro, fino alla restaurazione.

Nella Sicilia, dove regnava il re Ferdinando, si perpetua-vano invece 'le segreterie di Stato esistenti nel 1806, anchequando ehhe vigore la Costituzione del 1812 (11).

Ritornato il re in Napoli, dopo un hreve periodo transi-torio in cui tre ministri soli furono preposti, come titolari ointerini, a tutti i dipartimenti (12), e la guerra e marina fuaffidata ad un Consiglio supremo di guerra (in/ra, § 62), lalegge lO gennaio 1817 stahiliva in otto le «segreterie e mi-steri di Stato» del regno delle due Sicilie, e cioè: a) affariesteri ; b) grazia e giustizia; c) affari ecclesiastici; cI) fìnanze.;e) affari interni; f) guerra e marina; .g) ministero presso illuogotenente de' reali domini di qua o di là del Faro dove ilre non risiedesse (artt. 5 e 6 1. 11 dicemhre .l81~); h) can-

(8) CORTESE N., in COLLETH, a), I, p. 191.(9) CORTESE N., in COLLETTA, a), II, pp. 220 e 230.(lO) COLLETTA, a), II, p. 230.(11) Cost., tit. II, cap. I, § 6, in AQUARONE, D'ADDIO, NEGRI, p. 435.(2) COLLETIA, a), III, p. lO,

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celleria generale del regno. Era «abolito» (art. 11) il Mini-stero della polizia generale: ma le vicende di tal dicasteromeglio si vedranno altrove (in/ra, § 61). Questa legge rimaseuno dei testi fondamentali del diritto pubblico del regno(supra, § 17), malgrado le modificazioni che col tempo vi siintrodussero. In particolare, la Cancelleria generale del re-gno divenne Ministero della Presidenza del Consiglio de' mi-nistri (r.d. 15 ottobre 1822: injra, § 43); il Ministero del-la real casa, già escluso dal novero dei ministeri di Stato dal-l'art. 3 l. lO gennaio 1817, fu abolito con r.d. 9 settem-bre 1832 (in/ra, § 63); alcuni ministeri furono scissi peristituirne altri, ed alcuni furono riuniti, come si vedrà in se-guito; infine le disposizioni dell'art. 2 l. 11 dicembre 1816,e dell'art. 2 l. lO gennaio 1817, secondo cui i ministri segre-tari di Stato dovevano essere scelti per tre quarti tra i sud-diti continentali, e per un quarto tra quelli della Sicilia ol-tre il Faro, furono abolite con l'art. l r.d. 19 gennaio 1833,confermato dall'art. 2 l. 31 ottobre 1837, ma furono ristabili-te con l'atto sovrano 18 gennaio 1848, «che richiama in vi-gore le leggi degli 8 ed 11 dicembre 1816, ed abroga quella del31 ottobre 1837» (supra, § 28).

I ministeri erano, come oggi si direbbe, «organi com-plessi », costituiti, cioè, da una pluralità di organi:, di solitomeramente interni, con proprie attribuzioni, ordinati gerarchi-camente fino al vertice rappresentato dal ministro (13). Sitrattava, però, di organismi abbastanza snelli, sia nelle strut-ture, sia nel numero del personale addettovi. Non v'era nul-la di simile al nostro «gabinetto del ministro ». Dove, per ilnumero e la qualità degli affari, fosse necessario, potevanoessere istituiti dal re uno o più «direttori di segreteria »,

(3) LANDI e POTENZA, p. 75.

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dipendenti direttamente dal ministro, che attendevano agliaffari da costui affidatigli, e che potevano firmare, nel casod'impedimento del ministro, gli atti per i quali avessero avu-to « speciale autorizzazione» (artt. 5 e 6 1. lO gennaio 1817).Nella prassi, tali «direttori» venivano talvolta investiti condecreto reale, per tempi più o meno lunghi, delle funzionidi ministro (« direttori con referenda e firma ») se non vo-levasi nominare il titolare. Ogni ministero era articolato inpiù «ripartimenti », e questi in più «carichi»: tali artico-lazioni avevano una competenza per materia, stabilita nor-malmente per decreto reale, ma non avevano niuna rilevanzaesterna. V'erano preposti funzionari che noi diremmo « diret-tivi », ordinati gerarchicamente nelle qualifiche di uffiziali diripartimento, uffiziali di carico, uffiziali di I", 2a e 3' classe,e soprannumerari (artt. 7 e lO 1. cit.). Qualche volta, i r ipar-timenti erano raggruppati in « rami»: così, in certi periodi vifurono nel ministero della guerra e .marina il «ramo guer-ra» ed il «ramo. marina »; in quello degli interni il «ramointerni» ed il «ramo polizia », etc. costituiti secondo le ma-terie. A ciascun ramo era di solito preposto un direttore.

Presso alcuni ministeri v'erano organi collegiali, con fun-zioni consultive, e qualche volta deliberative, denominati Con-sigli (esempio: Consiglio generale di pubblica istruzione, pres-so il Ministero della pubblica istruzione), Giunte (esempio:Giunta per i contratti generali, presso il Ministero dellaguerra) o Commessioni (esempio: real Commessione de' titolidi nobiltà, presso il Ministero di grazia e giustizia, poi pressol-;-Presidenza del Consiglio de' ministri).

Non tutti i minsteri disponevano di propri uffici periferici.

Quelli che non ne avevano, si avvalevano di regola delleintendenze.

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Presso alcuni ministeri erano costituiti organismi comples-si, spessocon rilevanza esterna nelle attribuzioni tecnico-ammi-nistrative loro confidate, detti «amministrazioni generali»o «direzioni generali» (per esempio, presso il Ministerodelle finanze, l'Amministrazione generale dei dazi indiretti,la Direzione generale del Gran libro del debito pubblico,etc.; presso lo stesso Ministero la Direzione generale di ponti,strade, acque, foreste e caccia, che poi fu trasferita al Ministe-ro dei lavori pubblici). A questi organismi era di solito prepostoun direttore generale, alla diretta dipendenza (« immediazio-ne ») del ministro. Dal direttore generale dipendevano uffici,centrali e periferici, variamente denominati, e presso la dire-zione erano talvolta costituiti appositi organi collegiali.

In più casi, la competenza dei ministeri sedenti in Napolitrovava limite nel decentramento territoriale attuato ne' realidomini di là del Faro, e cioè alla loro azione si sostituivanoil luogotenente generale, ed il Ministero presso il medesimo,residenti in Palermo, nonchè gli uffici dipendenti dal sud-detto Ministero. Vi furono però sempre in Napoli organi dicollegamento e coordinamento tra l'amministrazione continen-tale e quella insulare: in certi periodi, il Ministero per gli affa-ri di Sicilia, ed in altri apposite sezioni presso i diversi mini-steri interessati (in/ra, § 65).

Gli organi di consulenza giuridico-amministrativa, che ave-vano preso il posto del Consiglio di Stato dell'occupazionemilitare (Supremo Consiglio di cancelleria, Consulte), ne con-servavano la struttura collegiale, in conformità dell'assiomanapoleonico che «l'amministrare è il fatto di un solo, il giu-dicare è il fatto di molti» (14), e deliberavano con la presenzadi tutti i loro membri, oppure in collegi minori (camere,commessioni). Solo il Supremo ConsigliQ ebb~ çompetenza.

(14) ROMAGNOSI, b), p. 16.

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generale per tutto il regno; mentre le Consulte ebbero compe-tenza separata per il continente e per l'isola, e finirono addi-rittura per essere smembrate, l'una in Napoli, e l'altra inPalermo, sparendo contemporaneamente la loro assembleacomune, cioè la Consulta generale. La collegialità era osser-vata di solito in tutti gli organi consultivi, ma non mancavanocasi di pareri espressi da organi individuali, come i procuratorigenerali delle Gran Corti de' conti, o gli agenti del conten-zioso (in/ra, §§ 164·166 e 186).

40. Il personale amministrativo. - All'apparato ammi-nistrativo, sommariamente descritto, era addetto un personaleimpiegatizio, ordinato gerarchicamente in gradi o classi" edistinto in varie carriere, per l'esercizio delle diverse funzionie mansioni, amministrative, tecniche, o meramente esecutiveed ausiliarie. Non esisteva, però, una legge generale sul pub-blico impiego, e le relative disposizioni vanno ricercate nelleleggi d'ordinamento delle varie amministrazioni o istituzioni,oppure in leggi di carattere generale bensì, ma limitate ataluni profili del rapporto, quali il trattamento economico, icongedi, il diritto a pensione, etc. Il che non deve sorpren-dere, dappoichè in Italia la prima legge generale sull'impiegopubblico fu poi quella del 25 giugno 1908, n. 290.

La normativa sul pubblico impiego era inoltre abbastanzascheletrica. V'erano disposizioni per l'ammissione a certi im-pieghi, dalle quali desumevasi il favore verso forme di reclu-tamento basate su concorsi per esame, dalla qualifica inferioredella carriera; ma esse concernevano di solito le carriere chenoi diremmo «direttive », e non escludevano mai la regiadiscrezionalità; gli impieghi esecutivi ed ausiliari erano quasisempre conferiti secondo le scelte discrezionali delle autoritàcompetenti per la nomina. Non v'erano regole disciplinari,anche se spesso in atti normativi o amministrativi si commi-

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nano, per infrazioni più o meno gravi, la «sospensione» ola destituzione, Non v'erano garanzie di stabilità nell'impiego,salvo per i magistrati ordinari godenti dell'inamovibilità(in/ra, § 146); in compenso, la «garentìa» contro le azionipenali e civili per fatti commessi dagli impiegati di certe cate-gorie nell'esercizio dell'ufficio era disciplinata dal legislatorecon una certa larghezza, come istituto posto a tutela nontanto dell'impiegato, quanto dell'efficace esercizio dei pubblicipoteri (in/ra, §§ 190 ss), Il trattamento di quiescenza era piùfavorevole di quello oggi praticato, giungendo alla totalità delsoldo per gli impiegati collocati a riposo con 40 anni e ungiorno di servizio (in/ra, § 42); ma non v'erano limiti d'etàper là permanenza in servizio, e gli impiegati restavano spessoin carica fino a tardissima età, con diminuito rendimento, eritardo delle carriere. Queste, a loro volta, regolate, anchequando non v'erano esplicite norme, secondo il turno d'anzia-nità, temperato da sovrane scelte discrezionali che tuttaviasembrano essere state tutt'altro che frequenti, si svolgevanodi solito con eccessiva lentezza, donde le ambizioni deluse,che non giovavano alla fedeltà (15).

(15) DIAS, b), p. 635. L'autore, che essendo a quel tempo (1840) eglistesso uffiziale del Ministero delle finanze, esprime certamente un malcon-tento diffuso nella categoria impiegati zia, critica abbastanza vivacemente l'ava-rizia del governo nelle retribuzioni (ammontanti a suo avviso al 3 o 4% dellaspesa pubblica); e trascrive la curiosa lettera (da Saint-Cloud, 27 dicembre1828) che un ex-dipendente della Tesoreria generale, fuggito in Francia dopoessersi appropriato d'oltre 16.000 d. mediante la falsificazione di buoni dellacassa di servizio, indirizzò al ministro delle finanze de' Medici, per informarloche a tal delitto era si indotto per avere servito dieci anni senza soldo, conla prospettiva di dovere servire ancora quattro anni prima d'ottenerlo. Lalettera, formalmente riguardosa, è, nella sostanza, ricattatoria, perchè conelude :c:Laddove l'E.V. stimerà utile di preferire la pubblicità al silenzio, laddovecrederà conveniente di far conoscere alla Francia ed all'Inghilterra che gliaffari del Tesoro si affidano a persone non pagate, e tradite nelle più sacrepromesse, l'individuo in discorso si porterà subito in Oriente ... », etc., ed in

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Malgrado una tale normativa, certo incompleta ed imper-fetta, almeno secondo l'odierno apprezzamento, la qualitàprofessionale del personale addetto a funzioni giuridico ammi-nistrative, quale può desumersi dagli atti (istruzioni, circolari,re scritti, etc.) che vanno riferiti alla sua opera, appare dipositivo livello, semprecchè, naturalmente, il lettore si imme-desimi nell'ambiente e nella linea politica donde tali atti deri-vano, e non sia urtato da certi toni eccessivamente autoritarie paternalistici. Trattavasi di funzionari dotati d'una buonacultura giuridica ed economica, con una certa colorazioneumanistica ed illuministica, derivante da studi ad indirizzoclassico, e da una pratica abbastanza larga di testi provenientidalla Francia. Appartenevano di solito al ceto medio (famigliedi nobiltà minore, oppure « civili »), ed avevano quasi sempreproprietà nelle province d'origine, il che spiega il loro conser-vatorismo, anche quando furono o divennero liberali. Che visiano stati fra loro dei prevaricatori, non può essere escluso,perchè fatti del genere sempre accaddero ed accadranno; manelle generiche declamazioni oltraggiose contro la burocraziadel regno non sono numerose le citazioni d'episodi specifici edattendibili, ed è vero, piuttosto, che un'esplosione di profìt-tantismo e di corruzione a tutti i livelli coincise con l'av-vento della dittatura garibaldina e dei regimi luogotenenziali.

Poco o nulla può documentarsi circa il personale ammi-nistrativo inferiore, tratto dalla piccola borghesia o dal bassoceto, la cui opera si svolgeva, come oggi, au jour le jour,senza lasciare tracce durature. La modestia dei trattamenti,

altri termini, il ministro è diffidato a non chiedere l'estradizione del reo, peril discredito che questi avrebbe fatto cadere sull'amministrazione del regno.Ricordiamo pure che il r.d. 13 settembre 1815 (COMERCI, p. 516) raccomandavadi preferire negli impieghi gli emigrati del tempo dell'occupazione militare,quelli che ne erano rimasti esclusi durante la medsima, o che avessero soffertopersecuzioni per la causa del re, o fossero di merito straordinario.

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ed i gravi carichi di famiglia, potrebbero però spiegare certicomportamenti, di cui talora si parla, meno dignitosi o menodelicati.

Nel successivo paragrafo tratteremo di quella parte dellalegislazione, in tema di pubblico impiego, che si può conside-rare di più larga applicazione, cioè delle norme comuniriguardanti il personale direttivo (uffiziali) dei ministeri, edelle disposizioni di carattere generale applicabili a tutte lecategorie d'impiegati. Per alcune categorie, cenni più o menoampi si troveranno in altre sedi: così, per esempio, per il per-sonale diplomatico e consolare (in/ra, § 44), per il personaledel Supremo Consiglio di cancelleria e delle Consulte (in/ra,§§ 67 e 70); per quello militare (in/ra, §§ 83 ss.); per gliimpiegati delle intendenze e sottointendenze (in/ra, § 100);per i magistrati ordinari, cancellieri ed uscieri (infra, §§ 145,146, 148, 149); per il personale delle Gran Corti de' contidi Napoli e di Palermo (in/ra, §§ 165 e 166).

Dobbiamo infine ricordare ancora una volta (supra, §§ 15,28, ~9), che la l. Il dicembre 1816 (art. l) aveva stabilitola regola della «separazione degli impieghi », nel senso chetutte le cariche ed uffici« della Sicilia al di là del Faro sarannoconferiti privativamente a' siciliani a tenore de' capitoli de'sovrani nostri predecessori, senza che potranno aspirarvi maigli altri nostri sudditi de' nostri reali domini al di qua delFaro, nello stesso modo che i siciliani non potranno aspirarealle cariche ed agli uffici civili ed ecclesiastici de' suddettialtri nostri reali domini». Erano eccettuati soltanto gli im-pieghi dell'armata di terra e di mare, quelli di casa reale,quelli dei direttori del Ministero presso il Luogotenente(artt. 4 e 7), e, sebbene la legge espressamente non li men-zioni, gli impieghi diplomatici e consolari, che la legislazionedell'epoca (vedi l'art. l n. 4, r.d. 2 maggio 1817) conside-

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rava «della real Corte ». La successiva l. 31 ottobre 1837«relativa alla promuiscuità degli impieghi nelle due parti delregno» fu concepita dal re Ferdinando II come uno strumen-to d'unificazione e d'incivilimento (16), ed anche quale espe-diente per distruggere «la soggezione all'aristocrazia» (17)ed abbassare le prepotenze mafiose (18). Essa stabiliva (art. 1)che le cariche ed impieghi civili ed ecclesiastici, nelle dueparti del regno, potessero essere «indistintamente e pro-miscuamente conferiti ai sudditi di ambo le parti» (salvo gliimpieghi della Consulta, per cui restavano in vigore le normeanteriori: art. 5), e che i siciliani avrebbero occupato in con-tinente lo stesso numero d'impieghi dei napoletani in Sicilia.Questa legge spiacque profondamente ai siciliani, che nel do-

(16) Il preambolo della L 31 ottobre 1837 considera che «il divieto disiffatta promiscuità si renda dannevole al bene del nostro real servizio, e cheper l'opposto possa la medesima riuscire utile influendo alla diffusione de' si-stemi amministrativi e di pubblica economia, non che alla esatta amministra-zione della giustizia»; ed il re dichiara di volere «vie più stringere intornoal trono la gran famiglia dei popoli dalla Provvidenza affidata al nostro go-verno, e ravvivare in essi i sentimenti di reciproca amorevolezsa s , SecondoDE SIVO, a), I, p. 101, «Ferdinando II sperava seppellire l'ubbie nazionali, eunificare le due genti; chè la dimora di siciliani in Napoli, e di napolitani inSicilia, con parentele e amicizie e negozi ammorzerebbe I'astio s ,

(17) CALÀ ULLOA, al, p. 75.(18) NISCO, p. 34, trascrive parte d'un rapporto di Pietro Calà Ulloa,

procurator generale della Gran Corte criminale di Trapani, in data 3 agosto1838, al ministro di grazia e giustizia Parisio, dove tra l'altro è detto: «Nonv'è impiegato... che non sia prostrato al cenno d'un prepotente ... V'ha in moltipaesi delle fratellanze, specie di sette ... Una cassa comune sovviene ai bisogniora di fare esonerare un funzionario, ora di sostenerlo, ora di conquistarlo,ora di proteggere un imprigionato, ora di incolpare un innocente... Comeaccadono furti, escono dei mediatori ad offrire transazioni per il recupera-mento degli oggetti rubati. Molti alti magistrati coprono queste fratellanzedi un'egida impenetrabile, come lo Scarlata giudice della Gran Corte civiledi Palermo, come il Siracusa altro magistrato ... Non è possibile indurre leguardie cittadine a perlustrare le strade; nè di trovare testimoni pe' reaticommessi in pieno giorno s . L'attualità persistente di queste notazioni nonha bisogno d'essere sottolineata.

16. LANDI - I.

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vere obbedire ai funzionari continentali ravvisavano un'umilia-zione, ed un attentato alla loro tradizionale autonomia (19).Pertanto, allorchè si levò a rivolta la città di Palermo (12 gen-naio 1848), una delle regie concessioni, con cui speravasi distornare la tempesta, fu l'abolizione, con l'atto sovrano 18 gen-naio 1848, della citata legge «della promuiscuità ». Tutti gliimpieghi e tutte le cariche in Sicilia sarebbero state da quelmomento occupate dai soli siciliani, come nella parte conti.nentale del regno dai soli napoletani; la disposizione dovevatrovare attuazione nel termine massimo di quattro mesi (art.5). Veniva così formalmente richiamata in vigore (art. l)la 1. 11 dicembre 1816. È noto che tale concessione fu consi-derata tardiva dagli estremisti che in quel momento menavanoil giuoco in Sicilia (20), dimodocchè le mancò, come ad altriprovvedimenti contestualmente adottati, l'effetto distensivoche il Governo se ne riprometteva. L'atto sovrano citato,peraltro, rimase in vigore dopo che la Sicilia fu ricondottasotto la legittima autorità, e fino alla crisi conclusiva.

Di conseguenza, salvo la breve parentesi 1837-1848, ilpersonale civile dell'isola e del continente (compreso il perso-nale giudiziario, quello delle Gran Corti de' conti, e, dopo

(19) CALÀ ULLOA, a), pp. 75-76. RAFFAELE,p. 27, asserisce che «l'autono-mia amministrativa della Sicilia fu distrutta col decreto del 1837, detto dellapromiscuità, e che fu la vera origine ... della rivoluzione del 1848~. Ma DE SIVO,a), I, p. 101, accusa i siciliani di mala fede: «Sicilia guadagnò, ch'avendo perragion di numero a tenere un quarto d'uffiziali, n'ebbe più del terzo il re in-tendendo a rabbonirla; ed inoltre, avendo essa in proporzione meno uominidi scienza (?), riceveva al governo ingegni maggiori che non ne mandava alcontinente (?) ... Non si spiacevano a comandare in terraferma, ma lor parevaservitù ubbidire in Sicilia a magistrato napolitano... Che che si facesse eranoscontenti s-. Queste parole, scritte nel 1868, dimostrano che l'antipatia deisiciliani per i napoletani era da questi ultimi contraccambiata.

(20) CALÀ ULLOA, a), p. 126; DE SIVO, a), I, p. 112; RAFFAELE,p. 70;NISCO, p. 101. Il Comitato generale, presieduto da Ruggero Settimo, respinsele concessioni, perchè giungevano «troppo tardi s , e si appellò alla Costo 1812.

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l'atto sovrano 27 settembre 1849, quello delle Consulte) fuiscritto in ruoli diversi, percorse carriere diverse, e poteva es-sere soggetto a trasferimenti di sede soltanto in quella partedel regno cui apparteneva. Peraltro, i principi regolatori deirispettivi rapporti d'impiego e dei trattamenti di quiescenzaerano comuni. Il trattamento economico, in certi periodi, fupiù favorevole per i siciliani, pur tendendo ovviamente a li-vellarsi.

41. Il rapporto d'impiego statale. - Abbiamo detto(supra, § 39) che la 1. io gennaio 1817, « relativa alla istitu-zione delle varie segreterie e ministeri di Stato », aveva stabi-lito le denominazioni e l'ordinamento gerarchico degli «uffi-ziali addetti ai ministeri », Restavano abolite le anteriori deno-minazioni (art. 7), pur restando salvi i diritti onorifici e pa-trimoniali di coloro che erano investiti dell'impiego di «uffi-ziali maggiori» (art. 8).

L'art. 9 L cito stabiliva che «tutti gli uffiziali delle realisegreterie di Stato, sieno di ripartimento, sieno di carico, osemplici uffiziali, saranno eletti (nominati) da noi (dal re) sullaproposizione de' rispettivi segretari di Stato ministri ». Piùprecisamente, gli « alunni» erano ammessi in servizio con let-tera ministeriale (art. 5 r.d. 21 marzo 1825); gli uffiziali,fino al grado d'uffiziale di carico compreso, erano nominati opromossi dal re su proposta del ministro «in conferenza»(art. 11, 11. l, reg. lO maggio 1826), e gli uffiziali di ripar-timento dal re, su proposta del ministro, in Consiglio di Sta-to, previo esame in Consiglio de' ministri (art. 9, n. Il,reg. cit.).

Le norme per l'ammissione e promozione degli uffizialierano stabilite dal r.d. 21 marzo 1825 (21). Gli aspiranti

(21) Il preambolo del r.d. 21 marzo 1825 dice: «Essendo sovrana vo-

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all'ammissione come « alunni» in un ministero dovevano farnedomanda al ministro (art. l), il quale, allorchè vi fosseroposti vacanti, prendeva informazioni sulla moralità degli aspi-ranti, e li sottoponeva ad un esame per riconoscerne l'abilitàcorrispondente al servizio (art. 2), stabilendo le relative moda-lità, e commettendo l'incarico a riputate e probe persone disua scelta (art. 4). Non era d'obbligo alcun titolo di studio,e l'esame era, a quanto parrebbe (art. 3), di ben modesto li-vello, dovendo provare «l'abilità nello scrivere, sì per la calli-grafia che per l'ortografia », ed «un sufficiente grado d'ingegnoper intendere il senso di qualche pagina, o di una scrittura o diun libro ». Gli aspiranti che superavano l'esame erano desti-nati a quella specie di lavoro che il ministro avrebbe credutoopportuno (art. 5), ed erano nominati uffiziali soprannumerari,in ordine d'anzianità secondo le vacanze formatesi (art. 6). Isoprannumerari erano promossi uffiziali di 3a classe previo esa-

lontà che' i soggetti chiamati a comporre le reali segreterie e ministeri diStato, indipendentemente dagli indispensabili requisiti di buona morale di pro-bità e di attaccamento alla real persona del re, sieno forniti di convenevolitalenti, 'e delle cognizioni necessarie a sostenere il decoro ed a disimpegnarnele gelose funzioni per l'esatto adempimento del real servizio e del pubblicobene; e volendo la Maestà Sua a tal fine assicurare con un generaI sistema lagiusta pruova dell'abilità di coloro che aspirano alla luminosa carriera diilffi~iali delle dette reali segreterie e ministeri di Stato, ha sanzionato il se-guente regolamento ». Ma DIAS, b), pp. 634·635, mette in rilievo varie c:om-bre» della luminosa carriera. Si aggiunga che !'impiegato non godeva, neirapporti con la pubblica amministrazione, d'alcuna tutela ginrisdizionale, nem-meno innanzi ai giudici del contenzioso amministrativo: dimodocchè quandoDtxs, a), I, p. 243, parla di «obbligazioni dello Stato verso coloro che loservono », l'obbligazione è intesa in un senso puramente politico o etico, enon già nel proprio senso civilistico. Allo stesso modo, quando dice che«l'amministrazione superiore stabilisce a suo talento gli stipendi deglimpie-ghi amministrativi in ragione della natura del servigio, ma una volta fissati,quegli che ha esercitato l'impiego ha diritto a reclamare lo stipendio a luidovuto a contar dal giorno della sua entrata in funzione, e per tutto il tempodi essa », tale asserito «diritto» non risulta suscettibile d'azione, ed il e re-clamo» è, semplicemente, il ricorso amministrativo (in/m, § 159).

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me che doveva dimostrare «l'abilità, sufficiente al disimpegnodegli obblighi inerenti al grado» (art. 7). Le promozioni aduffiziale di 2a e l a classe erano conferite senza esame « collasola norma dell'antichità e dell'assiduità del servizio» (art. 8).Infine, le nomine ad uffiziale di carico e di ripartimento eranopienamente discrezionali, in quanto i ministri proponenti era-no «autorizzati a sceglierli da qualunque classe inferiore edanche fuori delle segreterie» (art. 9), cioè tra gli estranei al-l'amministrazione (22). L'uffiziale destinato alla redazione delprotocollo poteva essere scelto in ogni classe, ed aveva una gra-tificazione di 30 ducati mensili durante l'incarico (art. lO).

Le garanzie disciplinari, come abbiamo accennato, eranopraticamente nulle. Le misure previste erano la sospensionecautelare, la sospensione disciplinare o punitiva, e la destitu-zrone,

Il r.d. 22 marzo 1823, esteso alla Sicilia col r.d. 18 set-tembre 1826, stabiliva che gli impiegati civili, i quali, perimputazione di reati comuni o commessi in ufficio, venisserosottoposti a giudizio penale, rimanevano sospesi di soldo e difunzioni (art. l). Essi ricevevano, a titolo di soccorso, un terzodel soldo se stavano in carcere con mandato d'arresto, e lametà negli altri casi; mentre il ministro poteva corrispondereuna gratificazione a coloro che li rimpiazzavano, senza peròche l'importo del soccorso e della gratificazione eccedesse ilsoldo (artt. 3 e 4). Queste disposizioni non erano applicabilidal momento in cui l'impiegato sospeso fosse stato ammini-

(22) Dus, b), p. 377, sostiene peraltro: «Sopra tutto però il sistemadi promuovere per gradi gli impiegati amministrativi è il principio dal qualedipende la sicurezza e la bontà dell'amministrazione ... Una semplice funzionedovendo servir di scalino, per pervenire a funzioni superiori e da queste alleprimarie cariche, così le principali autorità sarebbero necessariamente affi-date ad uomini adorni, non solo di tutte le conoscenze necessarie per esservichiamati, ma che godono ancora la stima e la con1ìdenza pubblica ...~.

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strativamente destituito. L'impiegato prosciolto con la formula«consta che non» (formula « piena »: art. 277 e 278 ll.p.p.)era rimesso nello stato in cui trovava si prima del giudizio,rimanendo però il Governo nel pieno suo diritto d'avvalersioppur no dei suoi servizi, mentre l'impiegato poteva ottenere,se ne avesse diritto, la pensione secondo legge (23). Altrocaso era quello dell'impiegato prosciolto con la formula «nonconsta» (formula dubitativa »: artt. 277, e 280 ss, ll.p.p.),e collocato in «libertà provvisoria », situazione che potevaprotrarsi per un biennio, durante il quale poteva farsi luogo,previ nuovi accertamenti istruttori, ad un nuovo giudizio.Questi restava sospeso durante il biennio col godimento di me-tà del soldo e quando conseguiva la libertà assoluta si consi-derava nell'identica posizione degli assolti per «consta chenon» (24). Infine, gli impiegati detenuti per causa di debitigodevano, nel primo mese, del soldo intero, ma se rimanevanoin carcere più di due mesi venivano destituiti (r.d. 7 feb-braio 1825, esteso alla Sicilia con r.d. 4 agosto 1825).

La sospensione disciplinare era espressamente previstanell'art. 89 1. 12 dicembre 1816 sull'amministrazione civileper gli intendenti, sottintendenti, segretari generali e con-siglieri d'intendenza, e dal successivo art. 91 per i capi evice capi ufficio delle segreterie delle intendenze, e per i segre-tari delle sottintendenze: l'art. 89 riservava la competenzaal re, e l'art. 91 rispettivamente all'intendente o sottinten-dente. Nessuna di tali disposizioni stabilisce la durata massi-

(23) R. 27 dicembre 1841, su cfp, CR (PETITTI, IV, p. 438).(24) Min. Finanze, su cfp. CPGCC 3 novembre 1839 (PETITTI, IV, p. 415),

e r. 29 ottobre 1842 (ivi, p. 448). Inoltre, il r. 2 marzo 1854, previo cfp, CN(PETITTI, IV, p. 409), stabilì che, qualunque fosse l'esito del giudizio penale,non si dessero arretrati del soldo non percepito durante la sospensione, per-chè il soldo è «rimerito dell'opera»: l'assoluzione cioè non dava dirittoa restitutio in integrum.

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ma della sospensione. Mancano, parimenti, norme generali sutale sanzione, che sembra tuttavia in uso per punire mancan-ze disciplinari di una certa gravità: per esempio, una circolaredel Ministero delle finanze, 18 settembre 1841 (25), minac-ciava «la sospensione dall'impiego» ai controlori delle con-tribuzioni dirette che asportassero i registri del catasto conser-vati nelle cancellerie comunali, per farne più comoda revisionein casa propria. Gli impiegati sospesi d'impiego «sia perqualche mancanza nell'adempimento de' propri doveri, siaper misura disciplinare », non avevano diritto a soldo, nè adalcuna prestazione invece dello stesso, durante il tempo dellasospensione, «eccetto che in veduta degli addotti discarichiil capo dell'amministrazione trovi non meritata la sospensione,e degno conseguentemente il sospeso di un qualche risarci-mento, nel qual caso si deve proporre l'occorrente al Gover-no pe' provvedimenti che si giudicheranno convenienti» (26).È agevole rilevare come la revoca della sospensione per lasua accertata ingiustizia non attribuisse all'impiegato alcundiritto alla restitutio in integrum patrimoniale, ma potevasoltanto consentire un atto discrezionale di benevolenza. Pe-raltro, la sospensione temporanea, sia per ragione di scru-tinio (il riferimento è allo scrutinio «epurativo », stabilitodopo gli avvenimenti del 1820-21 con i r.d. 12, 16 e 24 apri-le 1821), sia per misura amministrativa disciplinare, sia perqualunque altra causa, non era considerata interrompimentodi servizio nella liquidazione della pensione di ritiro (27).

Le norme e gli atti del tempo usano il termine « destitu-zione », di solito, per indicare un provvedimento risolutivodel rapporto d'impiego con finalità punitiva, come per esempio

(25) PETITTI, II, p. 96.(26) Min. Polizia gen., 4 maggio 1829, in PETITTI, IV, p. 212.(27) R. 3 ottobre 1825, in PETITTI, II, p. 604.

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quello che dipendeva ope legis dall'interdizione penale daipubblici uffici, o da gravi addebiti penali o disciplinari; ma inverità i rapporti d'impiego, salvo quelli dei magistrati inamo-vibili, sembrano sempre risoluhili ad nutum dell'amministra-zione, salvo il diritto a pensione quando fosse stato conseguitoa termini di legge (28). Si parla, perciò, alquanto promiscua-mente, d'amozione, rimozione, revoca, etc.; e più per riba-dire il potere discrezionale della superiore autorità, che perattribuire qualche garanzia al dipendente. Così, l'art. 89 leg-ge 12 dicembre 1816 dichiara amovibili a volontà del re gliintendenti, sottintendenti, segretari generali ( consiglieri d'in-tendenza; l'art. 91 riserva I'amozione dei capi, vice capi ufficio'e segretari delle intendenze e sottintendenze al Ministrodell'interno, previo rapporto motivato dell'intendente; per glialtri impiegati l'art. 92 dice che essi possono essere rnn-piazzati dall'intendente o sottintendente «sempre che essidieno giusto motivo a questa misura» (ma le doglianze degliinteressati non avevano altra tutela che i ricorsi amministra-tivi: ilnifra, §§ 160 e 161); l'art. 39 r.d. 16 giugno 1824, sul-la polizia generale de' reali domini di qua del Faro, stabi-lisce che gli ispettori soprannumerari, i cancellieri e vice can-cellieri, nominati dal Ministro della polizia generale, « potran-no essere rimossi a di lui pia cimento », etc.

(28) Drxs, b), p. 374, è d'avviso che «appartenendo, e dovendo apparte-nere al Principe la nomina de' suoi agenti, ne segue che essi sono revo-cabili a sua volontà; dappoichè, se il Principe deve scegliere coloro che me-ritano la sua confidenza questa facoltà mena seco quella di ringraziare, o de-stituire, quello che, o per negligenza, o per la sua condotta, ha perduto laconfidenza accordatagli s-, Ma non ha nessuna base nelle leggi del regno quantolo stesso DIAs, b), pp. 375-376,dice a proposito di commessioni costituite nelConsiglio di Stato per esprimere parere su responsabilità disciplinari dei fun-zionari: l'autore con tutta probabilità traduce da un testo francese, e non curadi «nazionalizzarlo >.

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Non è possibile ravvisare veri e propri diritti soggetnvinon patrimoniali degli impiegati. Non era tale, certamente, il« congedo» (licenza), disciplinato da un complesso di norme,che è difficile non definire alquanto vessatorie. Anche in questocaso, le prime disposizioni si trovano nella 1. 12 dicembre 1816,che all'art. 96 riserva al re accordare congedi agli intendenti,al Ministro dell'interno accordarli ai sottintendenti, segre-tari generali e consiglieri d'intendenza; ed agli intendenti ac-cordarli agli impiegati dipendenti: ma il ministro e gli inten-denti non potevano concederne più lunghi d'un mese, senzal'autorizzazione superiore. Queste disposizioni furono, sostan-zialmente, confermate con r.d. 6 novembre 1821, col qualefu stabilito però che i funzionari, allontanatisi per congedodalla loro residenza, non dovessero godere di soldo (art. 11),salvo non gli fosse concesso, in tutto o in parte, dal re o dalministro, secondo la competenza ad aéc~~dare "n coi.gedo~p;rmalattia od altre circostanze particolari (artt. 12 e 13). Il fun-zionario che abusasse del congedo, trattenendosi fuori resi-denza per più di quindici giorni dalla scadenza, non potevaessere riammesso in ufficio senza autorizzazione sovrana (art.14). Più tardi, il r.d. 22 gennaio 1832 revocò tutte le dispo-sizioni legislative e regolamentari anteriori, e stabilì una di-sciplina uniforme per i congedi degli impiegati civili, giudi-ziari ed amministrativi. Le domande di congedo dovevanoessere «poggiate sopra ragionevoli motivi ben giustificati »,I congedi fino ad un mese erano accordati dai ministri agliimpiegati che da loro direttamente dipendevano ; e dai capidi grado inferiore ai ministri, ai rispettivi dipendenti. I mini-stri potevano accordare a tali dipendenti congedi fino a duemesi. Il re accordava le proroghe ed i congedi oltre un mese peri dipendenti diretti dei ministri, ed oltre due mesi per gli altri,ed i congedi di qualunque durata ai diplomatici. Il congedo

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produceva sempre la perdita del soldo e degli averi connessialla carica, tranne il caso di ben giustificata infermità, da cu-rarsi in residenza: in tale ipotesi, il ministro poteva accordarela metà del soldo, ed il re, su proposta del ministro e pergravi motivi, il soldo intero, dedotta la spesa per il supplentedell'impiegato in congedo. Queste disposizioni, per di più,sembrerebbe fossero applicate secondo criteri abbastanzarestrittivi (29).

Non esisteva una classificazione unica dei soldi (comequella, cioè, che fu poi introdotta in Italia con i r.d. 11 novem-bre 1923, n. 2395, e 30 dicembre 1923, n. 2960, ora abrogati),e gli stipendi erano autonomamente stabiliti, sia pure conuna certa uniformità di criteri, nelle norme concernenti le va-rie categorie di personale. Erano ignoti gli aumenti periodiciper anzianità e gli assegni per carichi di famiglia.

Gli stipendi degli uffiziali delle reali segreterie di Statoerano stabiliti, dall'art. lO l. lO gennaio 1817, nella seguentemisura annua:

L Uffiziale di ripartimento, d. 1.440.2. Uffiziale di carico, d. 1.080 o d. 960.3. Uffiziale di 1R classe, d. 600 o d. 540.4. Uffiziali di 2R classe, d. 480 o d. 420.5. Uffiziali di 3n classe, d. 300 o d. 240.6. Soprannumerari, d. 180.

Nessuna regola concerneva l'attribuzione dello scaglione distipendio superiore, nelle qualifiche dove era previsto. Gli

(29) Per esempio, il congedo ai percettori delle contribuzioni dirette do-veva essere accordato dagli intendenti previa autorizzazione del controlorogenerale, sentito il parere del ricevitore distrettuale (Min. finanze, circo 3aprile 1833 ed 11 maggio 1833, in PETITTI,II, pp. 364 e 365); il congedo nonutilizzato entro quindici giorni dal ricevimento della partecipazione dovevaessere nuovamente richiesto (Min. Affari interni, 29 giugno 1830, in PETITTI,IV, p. 234); altre ministeri ali in COMERCI,pp. 461-462.

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uffiziali del Ministero degli affari esteri godevano d'un sopras-soldo pari al 10% del soldo. Gli alunni servivano gratis, mai' capi delle amministrazioni potevano accordare loro qual-che gratificazione.

In linea comparativa, si può rilevare che il soldo d'unuffiziale di ripartimento corrispondeva nell'esercito a quello dibrigadiere (in/ra, § 86), ed era pari a quello del segretariogenerale della Gran corte de' conti di Napoli (in/ra, § 165),mentre rispetto ai soldi della amministrazione civile era dipoco superiore a quello del segretario generale della intenden-za di Napoli (d. 1300: injra, § 100); e rispetto a quelli del-la magistratura ordinaria, di poco superiore ai soldi dei vicepresidenti e sostituti procuratori generali delle Gran Corticriminali (d. 1384: injra, § 145). Ciò conferma, in sostanza,come non esistesse la preoccupazione di stabilire trattamentirigorosamente paritari previa identificazione di pari livelli difunzione, il che diviene ancor più visibile nel raffronto fragradi minori; ma dimostra pure come il personale dei mini-steri non fosse particolarmente favorito rispetto ad altre cate-gorie, quali, per esempio, gli intendenti, il personale diplo-matico, e gli ufficiali dell'esercito e della marina.

Questi trattamenti, piuttosto buoni rispetto ai valori cor-renti dell'epoca, fecero in parte rilevante le spese del risana-mento della finanza pubblica, cui si provvide dagli inizi delregno di Francesco I onde porre riparo alle conseguenze deidisordini del 1820-21. Del che non deve essere sorpresa, per-chè, in un sistema nel quale era pressocchè inesistente l'impo-sizione tributaria della «ricchezza mobile », e quindi ignoti irelativi metodi d'accertamento, la misura fiscale più facile eraquella di colpire gli esiti della regia tesoreria generale, col roz-zo procedimento della ritenuta. Tanto rozzo, da sopravvivereancora.

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Il primo provvedimento, adottato come misura straordina-ria (r.d. 5 dicembre 1825), ma subito trasformato in regolacostante «onde servire di risorsa ordinaria per lo pareggiopermanente della parte attiva e passiva dell'erario» de' realidomini di qua del Faro (art. 1 r.d. 28 maggio 1826), stabi-liva una ritenuta del 10% sui pagamenti a carico della Teso-reria generale dei domini suddetti, la ritenuta dei primi seimesi di soldo de' nuovi impiegati e dei promossi, ed una ridu-zione dei diritti di percezione de' conservatori delle ipoteche,con che si realizzava un'economia di circa ducati 900.000 (30).Il criterio economico, che presiedeva alla scelta di tale fonted'imposta, era indicato, nel preambolo del r.d. 28 maggio1826, come quello «che i soldi e gli averi de' pubblici im-piegati indirettamente ed i profitti che si ritraggono dall'eser-cizio delle professioni ed altri mestieri lucrativi direttamentecostituiscono delle rendite vie più imponibili, per quanto chemeno gravitano su capitali produttivi» (31).

(30) La ritenuta progressiva sui soldi degli impiegati era stata istituitada Gioacchino Murat come parte della contribuzione personale 0,50% suisoldi da lO a 500 lire mensili; 2,50% da lire 501 a 1000 mensili; 4% da lire1001 in più), ed era stata accresciuta nel 1815 da un'« offerta volontaria diguerra s , sui trattamenti civili e militari e sulle pensioni (DIAs, b), pp. 630·631). Le istruzioni per il modo d'eseguire la ritenuta 10% furono impartitecon r. 11 febbraio 1825 (PUITTI, IV, p. 124), e per quella del primo semestrecon r. 19 luglio 1826 (PETITTI, IV, p. 148). La ritenuta semestrale non fu piùpraticata dal 1848 (TOMMASINI, Il, p. 172).

(31) Il r.d. 28 maggio 1826 avrebbe voluto, secondo è detto nel pream-holo, «ripartire i nuovi pesi nel modo il più equo e tollerabile per i nostrisudditi,. tenendo lontani i vizi di ripartizione nocivi a' contribuenti ed al-l'erario, ed in modo da non arrecare il minimo pregiudizio alla prosperitàdelle industrie, delle manifatture, e delle altre sorgenti della ricchezza pub-hlica s , Ma è quanto mai dubbio che le disposizioni ivi dettate fossero idoneerispetto a tali propositi. Oltre alle suddette ritenute sui soldi, si colpivanocon un dazio di consumo i coloniali, ed i pesci salati, secchi ed in salamoiadi estera produzione, consumati nella città di Napoli; con una imposizione di

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Tali misure non furono però sufficienti, ed uno dei primiatti del regno di Ferdinando II fu il r.d. 11 gennaio I83I.Questo decreto, cui è premessa, come si esprime uno scrit-tore non certo favorevole alla casa di Borbone (32), una « chia-ra precisa esposizione finanziaria, che pare rendiconto di unprincipe costituzionale alla nazione », mentre conferma i pre-cedenti provvedimenti, ed altri ne aggiunge (33), stabiliva unaritenuta ulteriore sui soldi e le pensioni di giustizia, con leseguenti, non trascurabili aliquote progressive sulle rate men-sili:

da d. 25.01 a d. 50, 2.50ro;da d. 50.01 a d. 100, 5%;da d. 100.01a d. 150, 7.50%;da d. 150.01a d. 200, lOro;da d. 200.01 a d. 300, 15%;da d. 300.01a d. 400, 20ro;da d. 400.01 a d. 500, 25%;da d. 500.01 a d. 700, 30%;da d. 700.01,e innanzi, 40%.

I trattamenti inferiori a 25 ducati mensili erano esenti daritenuta (art. 2). Venivano inoltre abolite le cumulazioni tuttedi soldi con soprassoldi e pensioni ed altri averi (eccettuati

grana 6 a tomolo la macinazione del grano e granone ne' domini di qua delFaro (in/ra, § 120) e con altra imposizione (la formazione della cui tariffaera delegata al Ministro delle finanze, secondo certi criteri, e con certe esen-zioni) e i lucri dei capitalisti ~ ed < i profitti che si ritraggono dall'esercì-zio d'un impiego, di una professione, e di quelle arti o mestieri che non sonodiretti a far prosperare il commercio e le interne produzioni, ma che sonoprincipalmente rivolti allo spaccio degli oggetti di lusso o superflui ~ (art. 18).Quest'ultima imposizione fu abolita col r.d. l° settembre 1828.

(32) NISCO, p. 16.(33) Le ritenute sulle pensioni di grazia, e quelle sulle spese di mate-

riale, venivano raddoppiate (artt, 3 e 4); veniva però dimezzato il dazio sulmacino (art. 6}.

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i soprassoldi ed indennità d'alloggio e mobilio ai militari, ele indennità di scrittoio) quando la somma riunita oltrepas-sasse 25 ducati mensili (art. l).

Ai soggetti colpiti dal provvedimento, il re rivolgeva unpatriottico appello, affermando che non avrebbe fatto alla loroclasse «il torto di crederla poco impegnata al pubblico be-ne» (34); ma sta di fatto che le aliquote erano oppressive,anche se le più forti gravavano sul personale degli alti gradi,costituito prevalentemente da proprietari che avevano autono-mi mezzi di sostentamento; e che il Governo indulgeva ancorauna volta alla tendenza riduttiva del trattamento dei propridipendenti, prevalsa dal 1815 in poi, e fonte di non pochiinconvenienti (35).

(34) Nel preambolo del r.d, 11 gennaio 1831, si dice pure che se lanuova ritenuta «parrà grave per gli impiegati e pensionisti che trovansi allesommità, in risultato la somma che loro rimane non sarà certo inferiore agli

antichi soldi, alle antiche pensioni della monarchia delle due Sicilie; ed al-lorchè le vecchie costumanze di uno Stato possono utilmente rivivere, è pru-dente cosa il farlo, ed è indispensabile nella nostra posizione attuale». I soldi

e le pensioni dell'antica monarchia sono quelli anteriori al 1806, i quali; avendo«ottenuto nella prosperità di cui lo Stato godeva prima delle fatali vicendedel 1820 un considerevole aumento », potevano «oltre della ritenuta già esi-

stente soffrirne una nuova ». È da notare come il Governo, nel riportare soldie pensioni alle misure di 25 anni prima, non si dia alcuna cura di control-lare se fosse rimasto invariato il costo della vita.

(35) Secondo DIA S, b), p. 634, i salari durante il governo di GiuseppeBonaparte e Gioacchino Murat erano aumentati, perchè «allora si aveva ilproponimento d'avere gente ligia pagandola con molto denaro»; le diminu-zioni dal 1815 in poi si erano verificate in ogni Stato d'Europa. Senonchè, nel

regno, «da immemorabil tempo tra noi la mancanza dell'industria, delle arti,dei mestieri e delle professioni spingeva il popolo a chiedere uffizi al Go-verno, sicchè l'uno c l'altro per moltissimo tempo credettero che una partedella pubblica spesa dovesse servire a tenere salariati molti cittadini man-canti d'occupazione»; ed il governo, preoccupato di dovere licenziare genteche sarebbe rimasta disoccupata, tratteneva personale inutile, diminuendone tut-tavia le retribuzioni. Il fenomeno persiste.

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41 L'Amministrazione centrale 255

La ritenuta straordinaria fu abolita col r.d. 16 gennaio1836, solenizzandosi la nascita del duca di Calabria, poi Fran-cesco II. Rimase invece in vigore sempre la ritenuta ordinariadel 10%.

Queste disposizioni non si applicavano in Sicilia, dovesoldi e pensioni a carico della Tesoreria de' reali domini dilà del Faro erano esenti da ritenuta (36).

Il soldo cominciava a decorrere dal giorno della presa dipossesso dell'ufficio, previo giuramento; ma l'aumento degliaveri d'un impiegato per passaggio da una classe all'altra, chenon alterasse le sue funzioni, non esigeva un nuovo giura-mento (37).

I soldi erano insequestrabili (r.d. 9 febbraio 1824), salvoche, in forza di giudicato, per alimenti dovuti dagli ascendentiai discendenti e viceversa, come da un coniuge all'altro (r.d.17 settembre 1829).

Una questione che dava visibilmente luogo a difficoltà,era quella concernente il cumulo di soldi e di impieghi. Ilprimo caso, dopo l'entrata in vigore del r.d. 11 gennaio1831, era risoluto nel senso che non fosse vietato agli impie-gati dello Stato percepire soldi, averi, pensioni, gratificazioni,etc., per servizi resi alla Casa reale (38). Le cumulazionid'impieghi dello Stato si verificavano, a quanto pare, con unacerta frequenza. Un r. 28 novembre 1845, confermato da altrodel 28 settembre 1846 (39), stabilisce che verranno tolleratisolo due impieghi, semprecchè i soldi riuniti, a carico del Teso-

(36) Luog. gen., lO marzo 1353, in PETITTI, V, p. 429.(37) R. 29 dicembre 1333, su cfp. CR (PETITTI, IV, p. 307).(33) R. 13 febbraio 1331, in PETITTI, IV, p. 219 (concerne tre medici mi-

litari, che avevano prestato assistenza ad individui della real famiglia, edestende espressamente la regola ai militari incaricati dell'insegnamento ai realiprincipi).

(39) PETITTI, IV, pp. 503 e 517.

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2S6 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 41

ro, non oltrepassino ducati 30 mensili, e non si riconosca in-compatibilità per l'esatto servizio che si deve prestare; l'impie-gato che, trovandosi in tali condizioni, fosse promosso, dovevarinunziare entro cinque giorni alla promozione, ed altrimentiera considerato dimissionario volontario dal diverso impiego,qualunque ne fossero gli averi. Ne' domini di là del Faro,queste disposizioni furono estese col temperamento che essesi applicavano solo quando per effetto di promozioni il soldoavesse superato l'importo del cumulo quale era al 28 novem-bre 1845 (40), e con qualche eccezione (41).

Un rudimento di credito a favore dei dipendenti civili emilitari dello Stato fu istituito con r. 26 febbraio e lO di-cembre1833 (42), che consentirono agli impiegati d'otteneredalla Cassa di sconto (r.d. 23 giugno 1818), o da altre pub-bliche Casse, l'anticipazione di due mesi di soldo, con inte-resse annuo 3.50%, purchè il soldo non fosse gravato daritenute diverse da quelle per causa d'assegni alimentari.

(40) R. 19 ottobre 1849, in PETITTI, IV, p. 55!.(41) R. 13 giugno 1850, in PETITTI, IV, p. 580, per gli impiegati dell'Amo

ministrazione della mensa arcivescovile di Monreale (<< amministrazione di ori-gine ecclesiastica, rientrata di poi sotto il regime della pubblica amministra-sione s , cioè «amministrazione dìocesana s : injra, § 46); r. 21 agosto 1850,ivi, p. 592, per gli impiegati delle Amministrazioni di Boccadifalco, Sagana,Maggione e Ficuzza, già appartenenti alla Real Casa.

(42) PETITTI, IV, p. 304. Conseguentemente con r. 15 febbraio 1834 (BIAN-CHINI, c), p. 550) restò proibito alle banche, società anonime ed altri corpi dianticipare agl'impiegati soldi, pensioni, o altri assegnamenti provenienti dalregio erario. Per coloro i quali avessero preso più di sei mesi di que' soldi,pensioni e assegna menti, fu proibito ai ragionieri di continuare le ritenute infavor delle società oltre le somme di sei mesi. ZANELLINI,p. 206 ss., ritieneche questo divieto fosse determinato da ragioni politiche più che economiche,cioè dall'intenzione d'eliminare il malcontento derivante dagli interessi usu-rari pretesi dalle società; ma non rileva che il re aveva anche provveduto agarantire agli impiegati piccoli mutui ad oneste condizioni. Per la concessionedelle anticipazioni, fu emanato un reg. del Min. finanze, 5 aprile 1834, in PE.TITTI, IV, p. 314.

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Due «Casse di prestito» per gli impiegati civili furono prutardi (r.d. 23 luglio 1857) istituite in Palermo e Messina.

42. Il trattamento di ritiro. -- Il trattamento di ritirodegli impiegati dello Stato, e quello relativo alle pensioni esussidi per le loro vedove ed orfani, formava oggetto di normefondamentali uniformi per il personale civile e militare, cheesporremo adesso; mentre le disposizioni speciali per ilpersonale militare verranno esaminate in/ra, § 87.

La materia, durante l'occupazione militare, era stata disci-plinata, di qua del Faro, con l. 19 novembre 1808, e r.d.4 gennaio 1810, 20 dicembre 1810 e 4 agosto 1812. Talidisposizioni e le altre emanate in Napoli prima dell'occupa.zione, ed in Sicilia durante la permanenza del re Ferdinando,furono abrogate dal r.d. 3 maggio 1816, che, sciolte le pre·cedenti amministrazioni, istituì il nuovo «Monte delle vedovee dei ritirati» (per il personale dei domini di qua del Faro),alimentato con una ritenuta del 2.50% sui soldi mensili ditutto il personale civile e militare (artt. l, 2, 12, r.d. cit.),ed amministrato dalla Cassa d'ammortizzazione (art. 13). Colnuovo ordinamento della Cassa (r.d. I" gennaio 1817), l'ammi-nistrazione del Monte fu, però, affidata alla Tesoreria gene-rale, che somministrava direttamente alla Direzione generaledel Gran libro del debito pubblico (in/ra, § 56) i fondioccorrenti ai pagamenti. L'obbligo della ritenuta 2.50% fuesteso agli impiegati civili de' domini di là del Faro con r.d.27 novembre 1819, ed una completa normativa per questiultimi, sostanzialmente conforme a quella in vigore per il con-tinente, fu poi dettata dal r.d. 25 gennaio 1823, che istituìil «Monte di vedove e ritirati» per i detti domini, e ne af-fidò l'amministrazione alla Tesoreria generale in Sicilia (artt.l e 2).

17. LANDI • I.

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Avevano diritto a pensione tutti gli impiegati civili e mili-tari (compresi i soldati e bassi uffiziali retribuiti con prestgiornaliero anzicchè con soldo mensile) che ricevevano soldidi regio conto, dalla Tesoreria generale o da altre amministra-zioni (art. 2 r.d. 3 maggio 1816, art. 3 r.d. 25 gennaio1823). Secondo tali decreti, la pensione di giustizia spettava,dopo il compimento d'un periodo minimo di servizio, qua-lunque fosse l'età dell'impiegato. Ma, con r.d. I" giugno1842, fu stabilito che non si accogliessero domande di ritirod'impiegati civili d'età minore di 65 anni, nè di militari conmeno di 60 anni, salvo che per mali cronici fossero nellaassoluta incapacità di servizio attivo, nel qual caso, però, ilMinistero da cui l'impiegato dipendeva poteva decidere didestinarlo ad altro servizio che richiedesse minore attività elavoro. Alcune categorie di personale, per cui erano sortedifficoltà circa il metodo di praticare la ritenuta (impiegatidei reali licei e collegi, dell'amministrazione delle prigionidelle capitali, dell'archivio generale, della soprintendenza ge-nerale di salute, nonchè giudici di circondario) ebbero ricono-sciuto espressamente il diritto alla pensione, con r.d. 8 mar-zo 1824, ed un regolamento della stessa data stabilì le normesul modo d'effettuare e versare le ritenute nei vari casi. Altracategoria ammessa a pensione con apposito provvedimentofurono i corrieri postali, i cui compensi, essendo eventuali,furono assoggettati a ritenuta fino all'importo di 20 ducatimensili (r.d. 30 marzo 1818), calcolato però ogni anno diservizio, «considerando i disagi e pericoli cui van soggetti »,pari a quindici mesi (r.d. 20 ottobre 1823).

La pensione era liquidata in proporzione agli anni di ser-vizio continuato e non interrotto per dimissioni e riammes-sioni, e cioè (art. 3 r.d. 3 maggio 1816; art. 3 r.d. 25 gen-naio 1823):

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dopo 20 anm ed l giorno, 1/3 del soldo;dopo 25 anni ed l giorno, la metà;dopo 30 anni ed l giorno, due terzi;dopo 35 anni ed l giorno, cinque sesti;dopo 40 anni ed l giorno, il soldo intero (43).

Gli anni di servizio erano calcolati dal primo giorno di per-cezione del soldo, o prest, su cui era stata corrisposta, oavrebbe dovuto essere corrisposta se prima del 1806, la rite-nuta (44), salve le disposizioni per i militari e per i marinai(in/ra, § 87).

Il soldo che si prendeva a base per la liquidazione dellapensione era l'ultimo goduto, purchè percepito per due annicontinui, ed altrimenti il soldo precedente (art. 9 r.d. 3 mag-gio 1816; art. 4 r.d. 25 gennaio 1823). Ma se, per ridu-zioni dei soldi, il penultimo fosse più elevato dell'ultimo, laliquidazione si faceva sull'ultimo, anche se non goduto per

(43) Nel caso di militari (r.d, 8 ottobre 1825) o d'impiegati civili (r.d,17 novembre 1825) ritirati dal servizio, e poi riammessi, erano utili soltantoi due periodi d'effettivo servizio, sui quali complessivamente si liquidava lanuova pensione, ed era escluso il periodo intermedio (v. anche r. 19 giugno1826 in PETITTI, II, p. 605). Erano ricongiungibili i servizi prestati allo Statoda impiegati poi passati alla Real Casa, e viceversa (r. 18 ottobre 1826, ivi,p. 607). Non potevano invece congiungersi gli anni di servizio militare pre-stati da un individuo che aveva ottenuto il congedo a domanda prima d'avereconseguito il diritto a pensione, con quelli di servizio civile iniziata dopo al-cun tempo (r. P ottobre lR40, su cfp. CR, ivi, p. 648). Il servizio prestato daicivili e dai militari continentali in Sicilia tra l'Il febbraio 1806 ed il 23maggio 1815 (periodo della cosidetta occupazione militare dei domini diqua del Faro) era computato contando ogni anno per due, tanto per le penosioni di ritiro, quanto per quelle vedovili (art. 5 r.d. 3 maggio 1816), anchese l'impiegato trasferito si in Sicilia non aveva prestato servizio attivo, permancanza del corrispondente posto d'impiego (r. 17 gennaio 1822, ivi, p. 590).

(44) La ritenuta di sei mesi di soldo per l'ascenso a nuovo impiego(supra, § 41) non era d'ostacolo alla liquidazione, perchè denaro che il Te-soro riteneva nel momento stesso in cui l'esitava (Min. Guerra e marina, 24ottobre 1829, in PETiTTI, II, p. 609).

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Istiuizioni. del Regno delle Due Sicilie 42260

il biennio: cioè, veniva adottata la soluzione meno favorevoleall'impiegato (45). Le pensioni di ritiro degli ambasciatori, mi-nistri plenipotenziari, inviati straordinari, residenti ed incari-cati d'affari all'estero erano calcolate su un terzo del soldo,«considerandosi le altre due terze parti come una specie diindennità di rappresentanza », nè venivano computate le gra-tificazioni, rappresentanze, indennità, etc. (art. lO r.d. 3 mag-gio 1816; art. 15 r.d. 25 gennaio 1823).

La pensione, nel caso di cumulo di soldi, era liquidatasul soldo maggiore (art. lO, comma 3, r.d. 3 maggio 1816;art. 15, comma 2, r.d. 25 gennaio 1823), con qualche ecce-zione (46).

Le pensioni si perdevano dai condannati per causa crimi-nale, nei casi previsti dal r.d. 18 agosto 1817, e dal r.d.4 aprile 1831, ma potevano essere riacquistate dopo l'espia-zione della pena e col beneficio della riabilitazione; ed innessun caso, compreso quello di condanna a morte, la famiglia

(45) R. 17 maggio 1819, richiamato nella circo Min. Aff. interni 30 aprfle1831, in PETITTI,Il, pp. 586 e 614. Ma, per gli emigrati e per le loro vedove(supra, nota 43), l'art. 9, comma 2, r.d. 3 maggio 1816 stabiliva che dovevasiavere riguardo all'ultimo soldo, anche se non goduto per due anni; ed il r.cito prescriveva che si tenesse conto del penultimo soldo, se più elevato del-l'ultimo. Le riduzioni di trattamento derivanti dalla trattenuta di cui al r.d.11 gennaio 1831 (supra, § 41) furono considerate, dalla citata circolare, rile-vanti ai fini della pensione, da liquidarsi sempre sul soldo minore. L'impie-gato il cui soldo era diminuito per causa di riforma, pur conservando la dif-ferenza a titolo di gratificazione ed indennità personale, doveva pagare su que-sta la ritenuta 2,50%, e la gratificazione gli era tenuta in conto per la lì-quidazione (r. 9 maggio 1833, in PETlTTI,Il, p. 624). Non davano invece di-ritto a pensione le gratificazioni corrisposte in luogo di soldo (r. 6 maggio1835 su efp. CR, ivi, p. 627).

(46) La liquidazione di due pensioni, previa ritenuta su due diversitrattamenti, era consentita semprecchè i trattamenti non fossero entrambi acarico della reale Tesoreria (r. 4 marzo 1831, per i cattedratìci, professoriletterari e maestri d'arti liberali, in PETITTI,Il, p. 613; r. 18 giugno 1845, suefp. CR, a proposito d'un individuo che cumulava un impiego del comunedi Palermo con altro della Soprintendenza di sanità, ìvi.: p. 653).

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42 L'Amministrazione centrale 261

del condannato perdeva il diritto alla rata spettantele secondole disposizioni ordinarie.

Le pensioni vedovili erano pari ad un sesto di quella delmarito, quando questi avesse il numero prescritto d'anni diservizio, o fosse morto dopo averla ottenuta, ed era corrispostadurante lo stato vedovile, e col peso di mantenere i figli (art.7 r.d. 3 maggio 1816; art. 6 r.d. 25 gennaio 1823), con de-correnza dal giorno della morte dell'impiegato (47). Se la ve-dova passava a seconde nozze, o cessava di vivere, la pen-sione veniva distribuita in parti uguali ai 'figli maschi finoall'età di 18 anni, ed alle femmine durante lo stato nubile;a queste ultime, maritandosi, veniva pagata oltre le rate matu-rate un'annata di pensione; e lo stesso trattamento si facevaai figli degli impiegati, se la loro madre fosse premorta(art. 8 r.d. 3 maggio 1816; artt. lO ed 11 r.d. 25 gennaio1823). Se l'impiegato lasciava superstite la seconda moglie,e figli tanto di primo quanto di secondo letto, me-tà dellapensione spettava alla vedova, e l'altra metà era divisa incapita tra i figli del primo e secondo letto (r.d. 27 giugno1817; art. 13 r.d. 25 gennaio 1823). Questa disposizione siapplicava anche quando la vedova ed i figli di primo lettonon dimorassero insieme (r.d. 31 agosto 1818; art. 12 r.d.25 gennaio 1823).

Le pensioni erano considerate assegni alimentari, non sotto-posti alla ritenuta del 2.50%, o ad altra imposizione o riten-

(47) Circo Min. Aff. interni, 4 ottobre 1834, in PETITTI, II, p. 626. Il r. 4marzo 1839 (ivi, p. 640), accorda, secondo gli usi e le regole che si diconoacquisiti ne' reali domini di qua del Faro, ed in difformità dell'avviso dellaGCCP, la pensione di giustizia alla vedova d'un uffiziale di carico del Mini·stero di Stato presso la luogotenenza, approvando l'avviso del parquet (!), cioèdel pubblico ministero, presso la GCCN (forse incompetente!), in esenzionedella ritenuta del 2,50%, non pagata dal detto funzionario nel periodo in cuigodeva di gratificazione in luogo di soldo.

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zione, ed erano esenti da sequestri ad istanza de' creditori,purchè il credito non avesse causa di pigione di casa, o di ge-neri di vitto accreditati (art. 17 r.d. 3 maggio 1816; art. 16r.d. 25 gennaio 1823). Esse peraltro, ne' domini di qua del Fa-ro, erano sottoposte alla ritenuta ordinaria del 10% (art. lr.d. 28 maggio 1826), e furono anche assoggettate alla ritenutaprogressiva straordinaria del r.d. 11 gennaio 1831 (supra,§ 41), che era doppia (cioè con aliquote dal 5% all'80%)sulle pensioni di grazia (art. 3 r.d. cit.).

Per ottenere la liquidazione della pensione (art. 11 r.d.3 maggio 1816; art. 21 r.d. 25 gennaio 1823) l'interessatodoveva rivolgere una petizione documentata (48) al ministroda cui dipendeva, ed in Sicilia al luogotenente generale. L'Am-ministrazione provvedeva alla liquidazione, e la rimetteva,per mezzo del procuratore generale, alla Gran Corte de' con-ti, che esprimeva il proprio parere (49) e rinviava gli attidirettamente al ministro delle finanze (o al ministro degliaffari di Sicilia) per la sovrana approvazione. Gli arretrati, seil ritardo nella liquidazione dipendeva da fatto degli aventidiritto, erano corrisposti per un anno solo, esclusi però i mino-ri, che, non potendo avere nocumento dalla colpa dei loro le-gali rappresentanti, avevano in ogni caso diritto al pagamentodi tutti gli arretrati (50).

Il debito dello Stato per le pensioni era iscritto nel Granlibro del debito pubblico, e pagato a cura della detta ammini-

(48) Min. finanze, 20 settembre 1838 e 26 febbraio 1839, in PETiTTI, II,pp. 635 e 639.

(49) Il r. lO gennaio 1936, in PUITTI, II, p. 628, vieta alla GCCP d'espri-mere c:preventive deliberazioni» sul diritto a pensione d'impiegati (nellaspecie, si trattava d'un impiegato che voleva fosse considerato utile un pe-riodo in cui non aveva prestato servizio per soppressione d'ufficio), cioè ac-certamenti di pretese non attuali.

(50) R. 18 agosto 1831, in PETITTI, II, p. 615.

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strazione (art. 13 r.d. 3 maggio 1816), ne' reali domini diqua del Faro. In Sicilia, vi provvide, con apposito ruolo, laTesoreria generale di Palermo (art. 20 r.d. 25 gennaio 1823);ma più tardi, con r. 28 giugno 1832, fu istituito il Gran librodel debito pubblico de' reali domini di là del Faro, che prov-vide nel modo stesso ai detti pagamenti (51).

Dalle pensioni «di giustizia» dovevano essere distintequelle «di grazia », accordate «per sovrana clemenza» (52),cioè per condonare equitativamente la mancanza di qual-che requisito necessario per la pensione di giustizia; conche poteva si in fatto sopperire al difetto d'una previsione le-gislativa di quelle pensioni, che da noi si dicono «privile-giate ».

Sebbene il nome di pensione «di giustizia », e la minu-ziosa disciplina giuridica che le assisteva, potrebbe fare ragio-nevolmente supporre che esse dessero luogo a veri e propridiritti soggettivi, non risultano ammissibili, nella detta mate-ria, azioni civili, nè ricorsi alle autorità del contenzioso am-ministrativo. Le relative controversie potevano formare oggettosoltanto di ricorsi ai ministri competenti, o al real tròno ; edil ricordato parere della Gran Corte de' conti non aveva alcuneffetto vincolante,

II. I MINISTERI E GLI UFFICI DIPENDENTI

43. La Cancelleria generale del regno e la Presidenzadel Consiglio de' ministri. - Abbiamo ricordato (supra, § 39)

(51) COMERCI, p. 376.(52) Le pensioni di grazia si consideravano, per loro natura, accordate

alle vedove durante lo stato vedovile, alle nubili durante la nubilità, ed aiminori sino all'età maggiore, salvo sovrana dispensa espressamente dichiarata(r. 18 novembre 1838, in PETlTII, II, p. 634).

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che, secondo l'ordinamento di « ancien régime» perpetuatosiin Sicilia, una relativa preminenza tra i segretari di Stato eraattribuita al «primo segretario di Stato ». Tale titolo, conr.d. 4 giugno 1815, fu attribuito, ad interim, a Tommasodi Somma, marchese di Circello, ed istituita poi dalla legge8 dicembre 1816 la Cancelleria generale del. regno, altralegge della stessa data soppresse la carica di ministro segre-tario di Stato, e la sostituì con quella del ministro cancelliere.I soli che ne furono investiti furono il menzionato marchesedi Circello, che riuniva la carica con quella di ministro degliaffari esteri, e dopo di lui il marchese Donato Tommasi, chela riunì con quella di ministro di grazia e giustizia, poichè laCancelleria visse solo nel cosiddetto «quinquennio» (53).

Secondo la 1. 8 dicembre 1816, la cancelleria generaledel regno doveva risiedere nel luogo. di residenza ordinariadel re (art. 6); in essa doveva tenersi il registro ed il depositodi tutte le leggi e decreti reali (art. 7); il ministro cancellieredoveva apporre il real suggello alle leggi e decreti reali, rico-noscere e contrassegnare la firma del re, vegliare alla spedi-zione, pubblicazione e collezione delle leggi e decreti (art. 8).Presso la Cancelleria generale era istituito il Supremo Con-siglio di cancelleria, presieduto dal ministro cancelliere (art.9: injra, § 67). Le attribuzioni del ministro cancelliere furonosuccessivamente disciplinate dalla 1. 20 dicembre 1816, le cuidisposizioni di maggior interesse concernono la forma delleleggi e dei decreti, e la loro efficacia (supra, § 19). Egli, però,non aveva preminenza sui colleghi; i ministri erano conside-rati tutti d'uguale dignità, e prendevano rango tra loro se-

(53) CORTESE N. in COLLETTA, a), III, p. lO. Per tre giorni, dal 6 al 9 luglio1820, fu ministro cancelliere (ma non prese possesso dell'ufficio, perchè tro-vavasi in Sìcìlia) il marchese Giq"ççhino Ferreri (CORrE SI> N. in CQJ,LETTA, a), 111,p. 141.

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condo la rispettiva anzianità, con precedenza, In ogni caso,dei ministri insigniti anche della carica di consigliere di Stato.L'ordinamento della Cancelleria generale fu stabilito con r.d.19 agosto 1817.

La Cancelleria generale del regno, come abbiamo ricor-dato (supra, § 17), fu abolita dal governo costituzionale conr.d. 22 luglio 1820, e l'abolizione fu confermata, dopo la ca-duta del detto regime, con r.d. 29 marzo 1821.

Successivamente, il r.d. 26 maggio 1821, sulle «nuovebasi del Governo », previde che uno dei ministri fosse desi-gnato a presiedere il Consiglio di Stato ordinario in assenzadel re e del duca di Calabria (art. 2); il r.d. 4 giugno 1822stabilì l'ordinamento del Consiglio di Stato, nonchè del Con-siglio dei ministri la cui presidenza era parimenti affidata alsuddetto consigliere ministro di Stato (artt. 7 e 9: supra,§§ 27-29) (54); e con r.d. 15 ottobre 1822 si provvide all'or-ganizzazione del Ministero della Presidenza del Consiglio deiministri.

Il presidente del Consiglio de' ministri esercitava tutte leattribuzioni già pertinenti al ministro. cancelliere, toltane lapresidenza dell'abolito Supremo Consiglio di cancelleria. IlMinistero da lui dipendente esercitava, a sua volta, le attri-buzioni della soppressa Cancelleria generale, cioè quelle rela-tive alla legislazione; trattava gli affari delle categorie di per-sonale, come quello delle Consulte, che non dipendeva da al-cun ministero; provvedeva al coordinamento tra i diversi mi-nisteri.

Altre attribuzioni furono conferite o tolte alla Presidenza,con atti successivi.

(54) Presidente del Consiglio dei ministri fu il prmcipe Alvaro Ruffodi Scaletta, che il lO giugno 1820 assunse anche il portafogli degli affari est\lfi(CORTESE N. in COLLETTA, a), III, p. 319).

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La Commessione reale di beneficenza di Napoli, riordinatacol r.d. 4 gennaio 1831 (in/ra, § 128), fu trasferita al Mini-stero dell'interno con r.d. 21 aprile 1848.

Il Dipartimento degli Ordini cavallereschi, con la soppres-sione del Ministero della Real Casa (r.d. 9 settembre 1832)passò alla Presidenza (supra, § 26).

La Stamperia reale di Napoli, già dipendente dal Ministerodell'interno, fu, con r.d. 7 aprile 1833, trasferita alla Presi-denza; ma passò poi al Ministero dei lavori pubblici (r.d. 17novembre 1847), per essere restituita alla Presidenza conr.d. 12 aprile 1848 (v. anche supra, § 19). Il regolamentodi tale importante stabilimento, fondato da Carlo di Borbone,ed altamente benemerito della cultura e dell'arte (55), era sta-bilito dal r.d. I" agosto 1821, e fu poi rinnovato con r.d. 5dicembre 1857.

Con r.d. 26 aprile 1848, fu trasferita alla Presidenza, dalMinistero di grazia e giustizia, la Real Commessione de' titolidi nobiltà (supra, § 26); e dal Ministero degli affari esteri, laReal Deputazione della cappella del tesoro di S. Gennaro cheil r.d. 23 gennaio 1811 aveva sottoposta al detto Ministero:

L'ultimo ordinamento della Presidenza del Consiglio deiministri fu stabilito col r.d. 11 maggio 1848, che l'articolòin tre ripartimenti: I", segreteria, leggi e decreti, personale,stampa; 2°, deputazione della cappella di S. Gennaro, titolidI nobiltà, ordini cavallereschi; 30

, contabilità, archivi e bi-blioteca.

Quando il re si fosse recato ne' reali domini oltre il Faro,il presidente del Consiglio de' ministri doveva seguirlo conuna sezione del suo dipartimento, che costituiva «da sè mini-stero per il disbrigo degli affari» della presidenza; altre se-

(55) Sulle pubblicazioni della Stamperia r~alt;~ COMERCI, ~. ~'.

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zioni dovevano essere egualmente formate per i Ministeri degliaffari esteri e della guerra e marina; mentre le sezioni formatedagli altri ministeri si riunivano ai corrispondenti uffici delMinistero di Stato presso la Luogotenenza (in/ra, § 65), pertrattare gli affari de' reali domini di là del Faro (r.d. 26 ot-tobre 1825).

La Presidenza provvedeva, a carico del proprio stato discus-so, alle spese di scrittoio ed altre della real segreteria parti-colare (art. 7 r.d. Il gennaio 1831: supra, § 23).

44. Il Ministero degli affari esteri. - Il Ministero de-gli affari esteri (56) (art. l r.d. 2 maggio 1817) soprinten-deva alle relazioni internazionali, cioè alla negoziazione, allastipulazione ed all'osservanza dei trattati, intratteneva la cor-rispondenza con le Corti ed i governi esteri, provvedeva allenomine degli agenti diplomatici e consolari ed alla corrispon-denza con i medesimi, spediva i passaporti per l'estero, edesercitava, in sostanza, tutte quelle attribuzioni che sono

(56) DIAs, a), II, pp. 102 ss., si propone di dimostrare brevemente «inche modo figura il regno delle Due Sicilie nella statistica politica d'Europa ~ ;tuttavia, premesso che a correggere l'irrequietezza degli Stati italiani e leguerre tra essi v'era la necessità d'una grande potenza che avesse interessealla floridezza e tranquillità della penisola, ed era questa l'Austria, che avevasaputo «colla costanza delle sue massime essere di freno alla prepotenza, diargine agli esaltamenti, di stimolo all'apatismo », giunge ad una conclusionenon certo esaltante, anche se veritiera (pp. 103·104): «Nello stato attuale ilregno figura per la dinastia che lo governa. Ligata questa con vincoli di san-gue, di amicizia e di massime a' primi potentati d'Europa, è per sè sola ca-pace a farlo graduare tra le Potenze, ove oh! come potrebbe avere un postodistinto se le volontà de' regni coli si decidessero a non ambire altro, che se-condare i precetti, e le intenzioni sovrane, ed a corrispondere a quella di-gnità di carattere, che imprime l'essere suddito di Ferdinando II ». Ma la po-litica internazionale del regno, dopo il 1815, fu d'isolamento; negli anni 1859-1861 fu abbassata la potenza austriaca; Francia ed Inghilterra sostennero ilmoto unitario; e la solidarietà delle dinastie europee o mancò, o fu soltantoplatonica,

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tuttora considerate tradizionalmente proprie di tale diparti-mento. Attribuzioni extra vagantes erano quelle relative aititoli di nobiltà ed alla reale deputazione della cappella deltesoro di S. Gennaro, che come abbiamo visto (supra, § 43)furono in seguito trasferite alla presidenza del Consiglio deiministri.

Il ministro degli affari esteri 'era, finanziariamente, ilpiù favorito, ovviamente per gli oneri di rappresentanza chela carica implicava: aveva, infatti, l'annuo soldo di ducati10.000, più 7.200 per indennità «di tavola» (r.d. I" agosto1815). Ma, col r.d. 15 febbraio 1852, il Ministero fu affidatoal «direttore» Luigi Carafa di Traetto (che vi rimase finoal 27 giugno 1860, quando fu ministro nel governo costitu-zionale Giacomode Martino), e, durante tutto il regno diFerdinando II, fu «ministro vero il re» (57).

Il Ministero ebbe vari successivi ordinamenti: un primo,con r.d. 15 settembre 1817; un secondo, con r.d. 12 giu-gno 1828 (che previde tre ripartimenti, per gli affari politicie diplomatici, gli affari commerciali, e gli affari generali); edun terzo, che non ebbe ulteriori variazioni, col r.d. 31 di-cembre 1830, che prevedeva anch'esso tre ripartimenti, dettirispettivamente « segretariato » (che trattava gli affari genera-li, e quelli del personale del Ministero), «relazioni straniere»(che dirigeva il servizio diplomatico, e trattava gli affari di det-to personale), ed « affari commerciali» (con analoga competen-za per il servizio consolare).

Il personale amministrativo del ministero era distinto daquello diplomatico e consolare; era però facoltà del re nomi-nare parte dei segretari di legazione tra gli uffiziali di l a e .2"classe (r.d. 4 dicembre 1833). r~r l'ammissione all'impìego

(57) DE SlVO, a), I, pp. 7l e 388..

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nel ministero, era prescritto un esame più rigoroso e più specia-lizzato di quel che non fosse generalmente previsto per lanomina dei soprannumerari ad ufficiali di 3B classe (supra,§41): l'esame verteva sulle lingue italiana e francese, e suun'altra (che poteva anche essere il latino) a scelta del con-corrente; sulla geografia, la storia antica e moderna, ed il di-ritto di natura e delle genti (r.d. 12 aprile 1848).

La carriera diplomatica era stata disciplinata col r.d. 4dicembre 1833, istitutivo dell'alunnato diplomatico presso ilMinistero degli affari esteri, e col r.d. 12 aprile 1848, cheaveva modificato il regolamento per gli esami. I posti di alun-no erano otto; gli aspiranti dovevano essere nobili, e, comeprecisava il r.d. 12 aprile 1848, di «ottima morale, distintaeducazione e perfetta istituzione»; e dovevano godere d'unarendita non minore di d. 30 mensili, che il r.d. 17 febbraio1845 elevò ad annui d. 1.200. Il primo decreto prevedeva, perla nomina ad alunno, l'esame d'italiano, francese, storia pa-tria e geografia elementare; ma il secondo pretese, inoltre;l'esame su un'altra lingua a scelta del concorrente, e sullastatistica del regno, ed ampliò i programmi d'altre materie(« geografia », «storia antica e moderna, particolarmente delregno »). Dopo tre anni, gli alunni sostenevano un altroesame, che secondo le norme del 1833 doveva vertere sullastoria universale, la storia dei trattati, l'economia politica,ed una lingua diversa dalla francese; secondo le norme del1848, sul diritto di natura e delle genti, la storia dei trat-tati ed in particolare di quelli del regno, l'economia poli-tica, e la composizione di note ed atti diplomatici. Questoesame era un concorso, i cui vincitori venivano nominati ag-giunti senza soldo, presso una delle regie missioni in Parigi,Londra, Vienna, Madrid, Pietroburgo, Roma, Torino, Ber-lino, e successivamente erano ammessi in carriera con la

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qualifica di segretario di legazione; ma gli ulteriori avanza-menti erano rimessi alla piena discrezionalità regia, ed i postipiù elevati erano spesso conferiti ad estranei.

Due regi decreti, 4 dicembre 1833, previdero la nominaper esame degli alunni consolari, e regolarono la carriera con-solare, articolata nelle qualifiche di vice-console e console.

Oltre alle rappresentanze diplomatiche in Europa cheabbiamo menzionato sopra, ve n'era una in Firenze, e conr.d. 26 gennaio 1852 fu istituita una legazione in Monacodi Baviera; fuori d'Europa v'erano incaricati d'affari inWashington e Rio de Janeiro; v'erano anche rappresentantiaccreditati presso più Stati (Sardegna e Svizzera, Spagna ePortogallo). La carriera si articolava nelle qualifiche di segre-tario di legazione, segretario d'ambasciata, incaricato d'affari,residente, inviato straordinario e ministro plenipotenziario,ambasciatore. L'eccessivo accentramento operato nella politi-ca estera specie da Ferdinando II impedì, tuttavia, che il per-sonale diplomatico napoletano, malgrado la cura che i decre-ti sopra citati dimostrano per il suo reclutamento? e malgradola presenza di funzionari che dimostrarono poi qualità positi-ve al servizio del regno d'Italia, potesse esprimere un'azione dipositivo rilievo (58).

45. Il Ministero di grazia e giustizia. - Il dipartimen-to che durante l'occupazione militare erasi chiamato «Mini-stero del gran giudice, e di giustizia e culto », divenne, colr.d. 26 luglio 1815, «Ministero di grazia, giustizia ed affa-ri ecclesiastici », ma il ramo degli affari ecclesiastici ne fuscisso con la l. lO gennaio 1817, per dar vita ad altro ministero(in/ra, § 46).

(58) Sul personale diplomatico, negli ultimi anni del regno DE CESARE,a), I, pp. 97 S8.

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Il Ministero di grazia e giustizia (59) aveva le attribu-zioni che continuano ad essere proprie di tale dipartimento(art. 3 r.d. 2 maggio 1817). Provvedeva all'organizzazionegiudiziaria, ed alla vigilanza su tutte le autorità dell'Ordine,nonchè agli affari concernenti il personale giudiziario, corri-spondendo con i procuratori generali e con i regi procuratori;vigilava sulla tenuta dello stato civile; sulle professioni legali;trattava gli affari relativi all'estradizione, alle grazie, alle ria-bilitazioni; predisponeva i rapporti nelle materie di legisla-zione, e per la risoluzione dei conflitti d'attribuzioni; etc. Eb-be anche alle sue dipendenze, per r.d. 9 settembre 1832, lareale Commessione per i titoli di nobiltà, trasferita però allaPresidenza del Consiglio de' ministri con r.d. 26 aprile 1848(supra, § 43).

Il ministro di grazia e giustizia godeva del soldo d'annuid. 9.000 (r.d. r agosto 1815). Il r.d. 9 dicembre 1852 gliattribuì, inoltre, le funzioni di presidente della Consulta

-de' reali domini di qua del Faro, che perdette in conseguenzadel r.d. 29 agosto 1859, ma riacquistò (come presidente delConsiglio di Stato) col r.d. 13 luglio 1860 (in/ra, § 71).

L'ordinamento del ministero, secondo il r.d. 22 aprile 1817,era articolato su quattro ripartimenti: segretariato ed archivio,personale, affari civili, affari penali. Il r.d. 30 dicembre 1831soppresse il ripartimento del personale, e lo trasformò in2° carico della segreteria. Il r.d. 31 maggio 1840 ordinò il Mi-nistero nuovamente su quattro ripartimenti: segretariato, per-sonale ed archivio; affari civili; affari penali; affari di gra-

(59) Dus, a), II, pp. 104 ss., dedica al Ministero di grazia e giustizia unalunga dissertazione, dove si parla delle leggi, dei tribunali, della prevenzionedei reati, etc., e lo definisce «il provvido miglioratore, l'attento conservatore,l'accurato indagatore, l'appoggio incrollabile, il vindice imparziale dell'Iateroramo giudiaiario a,

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zia e giustizia in Sicilia. Il 4° ripartimento, però, finì per emi-grare presso il Ministero per gli affari di Sicilia (in/ra, § 65).

Dal Ministero di grazia e giustizia dipese, dopo la disgra-zia del principe di Canosa (r.d. 27 giugno 1816), e la soppres-sione del Ministero della polizia generale (art. Il L lO genna-io 1817), la direzione generale di polizia (r.d. 20 novembre1819) che non era competente però nelle materie di poliziaamministrativa, dipendenti dal ministero degli affari interni(in/ra, §§ 59 e 61). Il Ministero della polizia generale fu rista-bilito col r.d. 11 aprile 182l.

Non appartenne mai al Ministero di grazia e giustizia l'am-ministrazione delle carceri, che venne affidata prima al Mini-stero degli affari interni, poi al Ministero dei lavori pubbli-ci (r.d. 8 e 21 giugno 1848); nè quella degli stabilimenti dipena, dipendente dal Ministero della guerra (ramo Marina)e poi trasferita al Ministero dei lavori pubblici (r.d. 29 di-cembre 1857). Anche, del resto, nel 'regno d'Italia, tali attri-buzioni spettarono al Ministero dell'interno, fino al r.d. 27ottobre 1927, n. 2187, che istituì la direzione generale degliistituti di prevenzione e di pena presso il Ministero di graziae giustizia.

Il personale amministrativo addetto al ministero era distin-to da quello di magistratura; per quest'ultimo, addetto esclusi-vamente alle funzioni giudiziarie, e per i cancellieri ed uscie-ri, vedi injra, §§ 145, 148, 149.

Espressamente attribuita al ministero (art. 4 r.d. 2 mag-gio 1817) era la formazione di rapporti annuali sulla stati-stica giudiziaria.

46. Il Ministero degli affari ecclesiastici e della pubbli-ca istruzione: a) gli affari ecclesiastici. _. Il Ministero degliaffari ecclesiastici, istituito per distacco dal Ministero di gra-

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46 . L'Amministrazione centrale 273

Zia e giustisia (L io gennaio 1817: supra, § 45) fu col r.d.17 novembre 1849 riunito, a titolo personale, col Ministerodella pubblica istruzione, istituito col r.d. 6 marzo 1848,e tale riunione divenne definitiva col r.d. 8 agosto 1859, conche vi fu un ministero diviso, come dicevasi, in due rami:affari ecclesiastici ed istruzione pubblica. L'esistenza d'untal ministero è politicamente significativa, perchè, da una par-te, sottolinea il carattere confessionale del regime, e dall'al-tra dimostra una certa involuzione clericale, nel distacco dellaamministrazione della pubblica istruzione dal Ministero degliaffari interni, cui prima del 1848 apparteneva (il che indicavauna subordinazione politica, ma non clericale), e nella suasuccessiva annessione agli affari ecclesiastici.

Il soldo del ministro era di annui ducati 8.000 (r.d. I"agosto 1815).

L'ordinamento del ministero, articolato su tre riparti-menti, rimase invariato anche quando questo divenne il «ra-mo affari ecclesiastici» del Ministero degli affari ecclesiasticie della pubblica istruzione. Il primo ripartimento comprende-va i carichi del segretariato, del personale, e dell'archivio; ilsecondo si occupava della disciplina ecclesiastica, degli affaricontenziosi, degli ordini monastici, e dell'esercizio del regioexequatur; il terzo dell'amministrazione ecclesiastica e dellacontabilità (r.d. 8 agosto 1859).

Le attribuzioni dell'amministrazione degli affari ecclesia-stici consistevano principalmente nell'esecuzione delle nor-me concordatarie (60), e delle leggi e decreti relativi. Al mo-mento dell'istituzione del Ministero, vigeva il concordato del-1'8 giugno 1741; successivamente entrò in vigore il nuovo,reso esecutivo con L 21 marzo 1818. Restava inoltre in vi-

(60) Drxs, al, II, pp. 112 ss. Pet i contatti tra la legislazione ecclesiastica equella concernente la beneficenza, in/m, §§ 129 ss.

18. LANDI - I.

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gore (come espressamente chiariva il r.d. 5 aprile 1818) labolla di Benedetto XIII, 3 settembre 1728, relativa a' privi-legi del tribunale della monarchia di Sicilia (61).

Non v'è dubbio che il concordato del 1818 attribuisseal regno un carattere rigorosamente confessionale: unica reli-gione dello Stato doveva essere la cattolica (art. l) e l'in-segnamento doveva essere impartito in armonia con esso (art.2). Esso, però, sebbene oggetto d'aspre critiche, come ecces-sivamente ligio agli interessi della Curia romana (62), nonsembra, ad una lettura obiettiva, un testo talmente rmun-ciatario: parrebbe, piuttosto, creare in alcuni casi addiritturauna subordinazione del clero del regno all'autorità sovrana,che potrebbe agevolmente spiegare la cedevolezza dell'auto-rità politica su altri punti.

La Chiesa recuperava il diritto di proprietà sui beni espro-priati durante l'occupazione militare, purchè non fossero statialienati, e poteva acquistarne dei nuovi, ma tutti detti benierano sottoposti alle leggi comuni, e non potevano godered'alcun privilegio; riconosceva, inoltre, la legittimità degliacquisti dei beni ecclesiastici alienati (artt. 12, 13, 15, 16).Il Governo provvedeva alle dotazioni delle parrocchie (vediinfra, § 122), dei vescovati, dei seminari (artt. 4, 5, 7), mala Santa Sede si impegnava a ridurre il numero delle diocesidi qua del Faro, e viceversa ad aumentare quelle siciliane(art. 3). I benefici ecclesiastici nel regno dovevano essereconferiti solo a sudditi del re (art. 8), salva una riserva d'an-

(61) È riprodotta in GILIBERTI, pp. 285 S8.

(62) Peraltro, BLANCH, [,), Il, p. 102, rileva che, se taluni articoli eranocriticabili come contrari alle massime stabilite dal tempo de' vicerè, e seguiteda Tanucci, De Marco, Acton, altri erano degni d'elogio; ed anche SCADUTO,

I, p. 70, riconosce che il Concordato del 1318 «non può dirsi molto reazio-nario », anche se forse potevano ottenersi condizioni migliori, qualora il ca-valier de' Medici non avesse preferito ingraziarsi il re ed il pontefice.

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mn 12 mila ducati, di cui la Santa Sede poteva disporre afavore di propri sudditi (art. 18). La giurisdizione ecclesia-stica era limitata alle cause matrimoniali secondo i canoni delConcilio di Trento, ed a quelle concernenti la disciplinadei chierici; in ogni altro caso, anche se vi fossero interessatidei chierici, giudicavano i tribunali del regno (art. 20) (63).Era libero l'appello alla Santa Sede (art. 22), ma restava fer-ma in Sicilia la giurisdizione del tribunale della monarchia(r.d. 5 aprile 1818). Gli enti ecclesiastici soppressi veniva-no ristabiliti, nei limiti però in cui se ne fosse riconosciutal'utilità (art. 14), e, se i vescovi avevano piena libertà di con-ferire gli ordini sacri, disposizìoni particolari regolavano laconsistenza del cosidetto patrimonio sacro (art. 21). L'art. 23garantiva alla Santa Sede la libera comunicazione con i vesco-vi, il clero e il popolo su tutte le materie spirituali e gli oggettiecclesiastici; ma era pur sempre necessario il sovrano permessoper' chiedere alla Santa Sede dispense, brevi o rescritti, tranneche per meri oggetti di coscienza. Occorreva pur sempre ilregio exequatur (64) per la pubblicazione e l'esecuzione del-le «carte provenienti da Roma », cioè delle bolle e hrevipontifici (r.d. 17 luglio 1816 e 6 aprile 1818): funzione

(63) Una convenzione del 16 aprile 1834, resa esecutiva con l. 30 set-tembre 1839, prescriveva, per minorare lo scandalo (GILIBERTI, p. 45), certecautele nell'arresto e nella detenzione d'ecclesiastici e religiosi, ed imponevaall'autorità civile di non domandare al vescovo la degradazione d'un eccle-siastico condannato a morte, senza comunicargli la sentenza. Se il vescovoriteneva vi fossero elementi a favore del condannato, i rilievi venivano sot-toposi ad una Comm., composta di tre vescovi nominati dal papa su pro-posta del re in numero doppio, e di due assessori laici, con voto solo con-sultivo, che, se ravvisava fondati i rilievi, poteva, con motivato rapporto,raccomandare il condannato alla sovrana clemenza.

(64) Sull'exequatur, considerato come «una delle facoltà essenziali delloStato », SCADUTO,I, pp. 179 ss. Sulla 4: tanucciana diligenza» del consultoreEmilio Capomazza, preposto all'ufficio del regio exequatur (in/ra, § 79), DECESARE,a), I, p. 174.

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attribuita al Supremo Consiglio di cancelleria, e poi alla Con-sulta (inJfra, §§ 68 e 72). I vescovi erano nominati su propo-sta del re, cui dovean prestare giuramento (art. 29) (65), edovevano sottoporre al sovrano gradimento, per mezzo delministro degli affari ecclesiastici, le loro pastorali (altro r.d.17 luglio 1816). Il Governo si impegnava e non permettere ladivulgazione di libri, segnalati dagli ordinari, in cui vi fossealcunchè di contrario alla dottrina della Chiesa ed ai buonicostumi (art. 24).

Bisogna anche aggiungere che l'autorità politica, fino aduna certa epoca, fu gelosa, e quasi puntigliosa, nella difesadelle proprie posizioni (66), e solo negli ultimi anni del re-gno di Ferdinando II assunse un atteggiamento più remis-sivo (supra, § 7).

Una considerazione speciale merita l'amministrazione deibenefici vacanti, la cui struttura ebbe nuove basi nell'art. 17conco1818 (67).

(65) La formula del giuramento dei vescovi era: c lo giuro e promettosopra i Santi Evangeli obbedienza e fedeltà alla real maestà. Parimenti pro-metto che io non avrò alcuna comunicazione, nè interverrò ad alcuna adu-nanza, nè conserverò dentro e fuori del regno alcuna sospetta unione, chenoccia alla pubblica tranquillità. E se, tanto nella mia diocesi che altrove,saprò che alcuna cosa si tratti in danno dello Stato, lo manifesterò a sua mae-stà s, Non si supponeva l'eventualità d'un contrasto tra dovere civile e do-vere ecclesiastico, che nell'art. 20 del vigente concordato tra la Santa Sede el'Italia (1. 27 maggio 1929, n. 810) si intese prevenire con la formula c giuroe prometto siccome si conviene ad /In vescovo ... ~

(66) Le sovrane risoluzioni 25 luglio 1851 (PETITTI,VI, pp. 334 8S.), concui furono respinte quasi tutte le rimostranze dell'adunanza episcopale delregno, furono pubblicate per ordine del presidente del Consiglio de' ministri,Giustino Fortunato, c gran massone, ex repubblicano, ora assolutissimo ~ (fuSlVO,a), I, p. 371).

(67) Sul regime amministrativo degli «spogli» e delle sedi vacanti, SCA-DUTO,II, pp. 7 ss.; per il regime anteriore al conco 1818, GlLIBERTI,pp. 90 S8.;e per quello posteriore l'ampia c appendice s , ivi, pp, SI S8_

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Mentre vigeva il conco 1741, le rendite dei benefici va-canti confluivano al Monte frunientario, istituito nel 1781,ivi compreso il cosiddetto « terzo pensionabile », cioè la quotadi dette rendite di cui il re poteva disporre per costituire pen-sioni vitalizie a favore di sudditi del regno. L'art. 17 conco1818 soppresse il Monte frumentario ed il terzo pensionabile(salvo il diritto di coloro che in quel momento ne godevano);e previde che le rendite dei benefici vacanti sarebbero stateamministrate da apposite « amministrazioni diocesane », pre-siedute dal vescovo (ed in sua vece dal vicario generale o ca-pitolare) e composte da due canonici, eletti dal capitolo a plu-ralità di voti per un triennio, e da un regio procuratore no-minato dal re (68).

Il r.d. 14 dicembre 1818 provvide alla nuova discipli-na del terzo pensionabile (69), stabilendo che esso potevaprelevarsi su quelle mense vescovili, la rendita delle quali fos-se tale, che, divisa in tre porzioni, due d'esse dessero la som-ma di 3.000 ducati al netto di pesi pubblici, e stabilì il me-todo per il calcolo del netto. I pensionati, di nomina regia,dovevano ottenere dalla Santa Sede la bolla che li autorizza-va a percepire la pensione vita natural durante, ed alla loromorte il beneficio ritornava libero. Tali pensioni erano di so-lito accordate ad ecclesiastici.

Il regolamento per le amministrazioni diocesane, stabilite,con qualche eccezione (70), in ogni diocesi, fu approvato con

(68) La Comm. esecutrice del conco ritenne che i canonici amministratorinon fossero confermabili alla scadenza del triennio (cìrc, Min. Aff. eccl., 8settembre 1821); in seguito, per r. 25 giugno 1825, ne fu ammessa la riele-zione trascorsi tre anni dalla scadenza (GlLIBERTl,p. 53).

(69) SCADUTO,II, pp. 33 S8. n terzo pensionabile, che, essendo dìseìpll-nato dal diritto del regno, avrebbe potuto essere poi materia di prerogativadel re d'Italia, il quale peraltro non l'utilizzò mai, fu formalmente abolitocon l'art. 25 del conco tra la Santa Sede e l'Italia (1. 27 maggio 1929, n. 810).

(70) R. 14 dicembre 1818 (GILIBERTI,p. 54): per le porzioni di diocesi i

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r.d. 18 dicembre 1818. Le amministrazioni nominavano unesattore incaricato dall'esazione delle rendite, ed un cassiere,presso cui dovevano versarsi le riscossioni, che provvedevaai pagamenti, e poteva essere obbligato a prestare cauzione:l'uno e l'altro retribuiti con un premio non maggiore del6% delle riscossioni. Potevano anche nominare un segretario,senza soldo, salvo il rimborso delle spese (71). Il procuratoreregio era nominato dal re su proposta dell'intendente (ilreg. lO maggio 1826 attribuiva al Ministero per gli affari ec-clesiastici la facoltà di procedervi nel real nome), tra le per-sono probe, esperte e benestanti; non aveva voto, ma interve-niva per via di requisitoria, e doveva apporre il visto sui man-dati di pagamento; in caso d'impedimento era supplito ne' ca-piluoghi di provincia o distretto rispettivamente dal segretariogenerale dell'intendenza o dal sottintendente, e negli altri co-muni dal sindaco (72).

La consegna dei beni degli enti soppressi e dei beneficivacanti alle amministrazioni diocesane fu disposta con r.d.3 agosto 1818: quella dei beni delle badìe e benefici di regiopatronato con r.d. 25 novembre 1822.

Il r.d. 2 maggio 1823 regolò poi la riscossione dei creditidelle dette amministrazioni mediante ruoli, cui attribuiva siefficacia di titoli esecutivi. Contro i medesimi, era consentitaopposizione al tribunale civile della provincia dove il titoloera esigibile, nel termine di quindici giorni per i debitori do-

cui ordinari risiedevano nello Stato pontificio, furono create due ammini-strazioni, l'una in Cittaducale (o Civita Ducale)·per le porzioni di Rieti, Spo-leto e Farfa; l'altra in Campli, per le porzioni d'Ascoli, Ripatranzone e Mon-talto; composta ciascuna dei tre vicari in regno, il più antico de' quali comepresidente, e dell'autorità superiore laica di Cittaducale e Campli.

(71) Deliberazioni della Comm. esecutrice del conc., cito da On.ramrr,pp. 56-57.

(72) GILBERTI, pp. 57·58.

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46 L'Amministrazione centrale 279

miciliati nella provincia, di trenta giorni per quelli domicilia-ri altrove, ma che avessero nella provincia un rappresentan-te, e di quaranta giorni negli altri casi. La competenza giudi-ziaria doveva infatti ritenersi pacifica, non potendo le ammi-nistrazioni diocesane riguardarsi come amministrazioni pub-bliche (73).

Con r.d. 7 dicembre 1839, venne riconosciuto e ripristi-nato in tutta l'estensione del regno l'Ordine religioso de' ca-valieri di S. Giovanni di Gerusalemme, detto di Malta «comeogni altra corporazione religiosa a tenore delle leggi vigenti»;furono riconosciute otto commende, cioè quelle di SaracenaBuonanno, Schettina ed Albiggiano, Colli di Palermo, Vizzi-ni, S. Giovanni di Taormina, S. Silvestro di Bagnara, Bene-vento, Aquila; fu riconosciuta all'Ordine la facoltà di crear-ne di nuove, purchè da concedere a regni coli; e fu promessoall'Ordine un locale per istituirvi un ospedale in Napoli.Manca, in questo decreto, qualunque riferimento alla natura« sovrana» dell'Ordine (74).

Per le commende ed i beni dell'Ordine costantiniano (su-pra, § 26) provvedeva la Presidenza del Consiglio de' ministri;ed essendo state riunite all'Ordine le commende, badìe e be-

(73) GILmERTI,p. 69.(74) Mancava, di conseguenza, una rappresentanza diplomatica dell'Ordine

presso la real Corte del regno delle Due Sicilie, e viceversa; ma il S.M.O.M.non ne aveva allora alcuna, non avendo del tutto superato la crisi successivaalla perdita del dominio effettivo sull'isola di Malta (12 giugno 1798). I rapoporti tra il regno e l'Ordine (vassallo del re delle Due Sicilie dal 24 luglio1530, essendo stato investito della signoria di Malta da Carlo V) erano anti-chissimi, e l'Ordine, dopo la morte dell'imperatore Paolo I di Russia, che neera stato per qualche tempo gran maestro, si riorganizzò in Messina (BESCAPÈ,p. 151). Con r. 18 ottobre 1852 (PETITTI,V, p. 343) fu poi chiarito che. salvo leotto commende menzionate dal r.d. 7 dicembre 1839, tutti gli altri beni, mo-bili ed immobili, dell'antico Ordine di Malta erano riuniti defÌnitivamente aldemanio pubblico; essi erano amministrati dalla Cassa d'ammortizzazione (in.Ira, § 56}.

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nefici antoniani, fu disposto che la consegna dovesse farseneagli intendenti, esclusa ogni ingerenza delle amministrazionidiocesane (75).

Nè' domini di là del Faro, il conco 1741 non era statoesteso; perciò, mentre nelle materie regolate dal conc, 1818le disposizioni di questo si applicavano tanto di qua quantodi là del Faro, come ad unica Chiesa (artt. 31 e 32), neglialtri casi vigevano in Sicilia regole particolari, non sempre uni-formi a quelle che si osservavano nel continente (76).

L'istituto di maggior rilievo, costituente fin dai tempi delpontefice Urbano II e del gran conte Ruggero (anno 1098)un singolare privilegio dei re di Sicilia, era il tribunale dellamonarchia, soppresso nel 1715 da Clemente XI, che avevacreduto «tempo opportuno di profittare della debolezza» diVittorio Amedeo II di Savoia (77), ma restituito da Benedet-to XIII con la ricordata bolla 3 settembre 1728, ad istanzadi Carlo VI d'Austria (78).

Secondo le disposizioni ivi contenute, tutte le cause per--tinenti al fòro ecclesiastico, eccettuate le cause maggiori ri-servate secondo le norme canoniche al romano pontefice, e agiudici da lui specialmente delegati, dovevano iniziarsi econcludersi nell'isola. Avverso le sentenze del metropolita-

(75) R. 14 e 26 marzo e 29 maggio 1823 (GlLIBERTI, p. 61). Si trattadella Congregazione dei canonici regolari di S. Antonio del Viennois, fondatanel 1095, ed incorporata da Pio VI nell'Ordine di Malta nel 1778. Le commendecostantiniane sequestrate dal governo dell'occupazione militare furono resti.tuite ai titolari con r.d, 17 giugno 1815. Contro quel che apparirebbe da SCA·DUTO, II, p. 41, non furono mai previste commende degli ordini di S. Cen-naro e di S. Carlo (supra, § 26). Le commende costantiniane furono dichiarate«beni nazionali» con decreto dittatoriale 12 settembre 1860, n. 33, e soppressecon 1. 29 giugno 1873, n. 1406 (PEZZANA, b), pp. 305 88.).

(76) GILffiERTI, pp. 34 S8.

(77) GlLIBERTI, pp. 27 8S.; SCADUTO,I, pp. 156 88.; v. anche supra, Intro-duzione, nota (50).

(78) Supra, nota (61); SCAnuTo, I, pp. 166 88.; MILANO.

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no, pronunciate in prima istanza nelle cause della propriadiocesi, o in seconda istanza nelle cause attribuite in primogrado ai vescovi suffraganei, era dato appello al giudice dellamonarchia; e contro le sentenze di quest'ultimo era consenti.to, nei casi previsti dalla legge canonica, un ulteriore ricorso,che doveva essere esaminato da un giudice assistito da treassessori. I detti giudici erano nominati dal re, fra i dottorie i licenziati in diritto canonico, investiti d'una dignità eccle-siastica (79). La stessa bolla stabiliva diverse norme di pro·cedura.

47. Segue: b) la pubblica istruzione. - L'art. 7, n. 14,r.d. 2 maggio 1817, attribuiva al Ministero degli affari interni«tutto ciò che riguarda l'istruzione pubblica, le case di edu-cazione, le scienze, le belle arti, le scuole, le società e le acca-demie corrispondenti, le biblioteche, i musei, i teatri, glispettacoli, le feste e le cerimonie pubbliche, le ricerche e scavidi antichità, la revisione de' libri, la stamperia reale, ed isoccorsi ed incoraggiamenti agli studenti e letterati poveri,ed agli artisti », Tutte queste attribuzioni erano in origineesercitate dal 3° ripartimento, «istruzione pubblica », e dal7° ripartimento, «musei, antichità e belle arti»; ma alcunein seguito ne furono distaccate (la biblioteca borbonica, ilmuseo borbonico, gli scavi, con r.d. 20 giugno 1821 assegnatial Ministero della real casa; la Stamperia reale, con r.d, 7 apri.le 1833, alla Presidenza del Consiglio dei ministri). Infine,i servizi della pubblica istruzione, dopo essere stati per bre-ve tempo aggregati al neo-istituito Ministero dell'agricoltura edel commercio (r.d. 17 novembre 1847), passarono a formare

(79) Uno degli ultimi giudici della monarchia fu il mio antenato ma-terno Paolo Maria Mondio (1795.1857),abate di S. Lucia del Mela, e vescovoin partibus di Miriofidi (Moemro, pp. 52 65.; GALLUPPI, p. 129).

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il Ministero della pubblica istruzione (r.d. 6 marzo 1848).L'ordinamento del detto Ministero era articolato su tre ri-partimenti: segreteria, contabilità ed archivio; pubblica istru-zione; musei, antichità e belle arti (r.d. 16 aprile 1848). Suc-cessivamente gli furono trasferiti l'archivio generale del regno,gli stabilimenti di beneficenza che avessero correlazione al-l'insegnamento (r.d. 7 settembre 1848), ed i conservatori eritiri di donne [r.d. 7 marzo 1849); ma il r.d. 17 gennaio1852 restituì alla Soprintendenza generale della real Casa ilMuseo borbonico (80), la real biblioteca borbonica, l'officinadei papiri, e gli scavi. La riunione dei Ministeri degli affariecclesiastici e della pubblica istruzione, che avevano un soltitolare a partire del r.d. 17 novembre 1849, fu resa defini-tiva col r.d. 8 agosto 1859 (supra, § 46), e la pubblica istru-zione divenne il secondo «ramo» del ministero, articolato indue ripartimenti: segreteria, contabilità, archivi, biblioteche,accademie, istituti di belle arti, teatri; ed istruzione pubblica.

Quando l'amministrazione dipendeva ancora dal Ministe-ro degli affari interni, era stato costituito un importante or-gano collegiale centrale, con funzioni di vigilanza e di consu-lenza, la «Giunta d'istruzione pubblica» (r.d. 12 settembre1822). La Giunta era presieduta dal presidente dell'Universitàdi Napoli, ed era composta di sei professori universitari, ed'un segretario nominato dal re. La Giunta (art. 7) doveva«esaminare quanto concerne l'istruzione pubblica in gene-rale e tutto ciò che può concorrere alla buona istruzione dellagioventù, sia per lo scibile che per la morale ». Doveva esami-nare, inoltre, «se le leggi e i regolamenti in vigore» meritas-sero «ampliazione, restrizione o altra modificazione ». Do-veva vegliare «particolarmente per l'esatta osservanza delle

(80) Secondo l'art. 3 r.d. 22 febbraio 1816, le cose depositate nel Museoborbonico erano proprietà allodiale, indipendente dai beni della Corona.

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47 L'Amministrazione centrale 283

leggi e dei regolamenti» e proporre «i mezzi che riterrà op-portuni perchè tanto si consegua », Insomma, «doveva occu-parsi di tutto quel che occorre perchè l'istruzione pubblicapossa produrre il desiderato effetto. A questo fine» la Giun-ta aveva «l'iniziativa nel proporre », e poteva «essere con-sultata dal ministro degli affari interni, e corrispondere congli intendenti, e con le Commessioni provinciali ».

Il presidente della Giunta esercitava la vigilanza sulla pub-blica istruzione nella provincia di Napoli; nelle altre provincievi provvedeva una Commissione di tre soggetti, i più probi eprincipali della provincia (artt. 6 e 7 r.d. cit.) (81).

Per i domini di là del Faro, v'era una Commessione dipubblica istru-zione, che funzionava anche da deputazione del-l'Università di Palermo (r.d. 5 marzo 1822).

Dopo l'istituzione del Ministero della pubblica istruzione,la Giunta fu abolita, e fu istituito (r.d. 28 giugno 1849) il« Consiglio generale di pubblica istruzione », con le medesimeattribuzioni della soppressa Giunta (82), composto di settemembri, scelti tra i professori titolari delle regie universitàdegli studi ed i soci ordinari della Real Società Borbonica, conun presidente ed un segretario scelti tra i personaggi più re-putati per dignità e lettere. L'art. 4 stabiliva: «Gli arcivesco-vi ed i vescovi sono gli ispettori nati de' collegi, licei, istitutie d'ogni altra scuola d'insegnamento pubblico e privato, pertutto ciò che si riferisce alla parte religiosa e morale, tanto

(81) L.e istruzioni circa le attrihuzioni e doveri delle Commissioni pro-vinciali di pubblica istruzione furono diramate con circolare del presidentedella Giunta, 12 luglio 1823 (PETITTI,IV, p. 106).

(82) Uno dei compiti del Consiglio generale della puhblica istruzione(in Sicilia, della Commissione) consisteva nell'approvazione dei libri di testo,compresi quelli da adottarsi negli istituti religiosi (r. l a febbraio 1855, in PE'TITTI,VI, p. 434). Per le attribuzioni in materia di vigilanza sulla stampa,supra, § 35.

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scientifica, quanto disciplinare ». La Commessione di pubbli-ca istruzione de' reali domini oltre il Faro fu separata dalladeputazione dell'Università di Palermo, e fu composta d'unpresidente e sette membri, che potevano deliberare col nu-mero legale di cinque compreso il presidente; i professori edeputati universitari erano dichiarati incompatibili (r.d. 8 set-tembre 1852). Il Consiglio generale di pubblica istruzione fuabolito con r.d. 20 agosto 1860.

Gli istituti d'istruzione pubblica erano ordinati nel modoseguente (vedi anche, per l'onere della spese, injra, § 103):

a) Regie Università degli Studi. Erano stabilite in Na-poli, Palermo, Catania (r.d. 22 gennaio 1817); più tardi futrasformata in università (r.d. 29 luglio 1838) l'AccademiaCarolina di Messina. Le facoltà erano cinque: teologia, scien-ze fisiche e matematiche, giurisprudenza, filosofiae letteratura,scienze mediche, ma le denominazioni erano talora un po'diverse da università ad università. Ogni università aveva unproprio statuto; quelli dell'Università di Napoli erano statiapprovati con r.d. 13 marzo ed 11 giugno 1816. Le uni-versità erano dirette da un rettore, nominato dal re per bien-nio; ogni facoltà aveva un decano, carica biennale esercitatadai professori per biennio, secondo il turno d'anzianità, edil decano della facoltà teologica esercitava le funzioni di vicerettore; i decani potevano essere convocati dal rettore in col-legio, sotto la sua presidenza. Impiegati dell'università eranoil concelliere, ed il razionale-tesoriere. Le sole università po-tevano conferire i gradi dottorali (r.d. 27 dicembre 1815e 22 gennaio 1817).

b) Reali Licei e Collegi (r.d. 14 gennaio 1817; e sta-tuto approvato con r.d. 14 febbraio 1816). V'erano licei inNapoli, Salerno, Bari, Catanzaro, Aquila e Messina; piùtardi (r.d. 2 aprile 1857) furono elevati a licei i collegi di

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47 L'AmminMtrazione centrale 285

Lucera e di Reggio. V'era un collegio in tutti l capoluoghidelle provincie di qua del Faro, ed anche in Maddaloni, Ar-pino e Monteleone (Vibo Valentia); di là del Faro la disloca-zione rispondeva piuttosto a criteri tradizionali. I licei, a dif-ferenza dei collegi, potevano conferire la «licenza» in giuri-sprudenza, fisica e matematica, medicina, filosofia e letteratura(salvo il Iiceo di Napoli, perchè a ciò provvedeva l'università),che erano titoli sufficienti per l'esercizio di certi impieghi oprofessioni (art. 14 r.d. 27 dicembre 1815). Perciò, il r.d. 2aprile 1857 (ispirato, visibilmente, all'interesse di non ac-crescere la popolazione studentesca della capitale, considerataelemento politicamente malfido) stabiliva che solo i naturalidi Napoli e Terra di Lavoro potessero seguire gli studi in Na-poli; gli altri dovevano conseguire la licenza in provincia, epoi sostenere gli esami in Napoli (supra, § 33). I licei e col-legi avevano un rettore, un vice rettore, ed una Commessio-ne amministrativa presieduta dall'intendente o sottintendente(salvo che in Napoli, dove era presieduta dal presidente dellaGiunta o del Consiglio di pubblica istruzione, oppure dal ret-tore), e composta del rettore e di due proprietari. Gli stu-di duravano otto anni; i convittori non potevano essere ammes-si prima di compiere otto anni, nè dopo il decimo, e vi pote-vano restare non oltre il diciottesimo.

c) Scuole secondarie. Erano stabilite in alcuni comuniprincipali, ed erano quelle dove si impartiva l'insegnamentocorrispondente ai primi anni del corso dei licei e collegi.

d) Scuole primarie (r.d. 21 dicembre 1819, per le scuo-le maschili, ed altro con la medesima data per le scuole fem-minili). Erano le scuole elementari, istituite in tutti i comu-ni, e vi si insegnava la lettura e scrittura, il catechismo di re-ligione e de' doveri sociali, e l'aritmetica elementare, nonchèla grammatica italiana, gli «avvisi di buone creanze del Ga-

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lstùuzioni del Regno delle Due Sicilie 47286

lateo », ed il «catechismo di arti da insegnarsi tanto nellacapitale che nelle provincie del regno secondo le abitudini ei bisogni delle popolazioni ». Alle fanciulle si dovevano ancheinsegnare le arti donnesche, ed i doveri del loro stato, nonchèl'economia donnesca. Queste scuole dipendevano dai Comuni,sotto la vigilanza della Commessione di pubblica istruzione,e d'ispettori distrettuali e circondariali (83); in seguito, colr.d. lO gennaio 1843, l'istruzione primaria fu affidata intera-mente ai vescovi delle rispettive diocesi e messa sotto la loroesclusiva direzione (84).

Per le nomine dei professori delle università, dei licei, deicollegi e delle scuole secondarie de' reali domini, di qua e dilà del Faro, era si provveduto prima col r.d. 17 luglio 1846(esteso alla Sicilia con r. 2 settembre 1846); che venne sosti-tuito con una normativa, più completa, dettata dal r.d. 27 mar-zo 1858. Questo decreto stabiliva la regola del concorso peresami, salvo la facoltà regia d'attribuire qualche cattedra « permerito », La Commessione giudicatrice era presieduta dal pre-sidente del Consiglio generale di pubblica istruzione, e nedovevano fare parte due membri del Consiglio, il rettore del-l'Università di Napoli, e due terzi dei professori della compe-

(83) Il reg. per le scuole primarie prevedeva (artt. 1·2 r.d. 21 dicembre1819) la loro graduale sostituzione con scuole di mutuo insegnamento (<< Ian-casteriane ~) secondo il metodo di Burt e Lancaster (le simpatie che essoriscuoteva nel governo derivavano, prohabilmente, dalla supposizione che esseavrebbero consentito l'istituzione di più scuole con minore spesa), ma nel 1832ve n'erano ancora soltanto in Napoli e Palermo (CoMEReI, pp. 109 e 264) enon sembra abbiano avuto maggiore diffusione.

(84) Le premesse del r.d. IO gennaio 1843 citano «i voti dei Consigliprovinciali sul languore, nel quale questo grado d'istruzione pubblica trova sicaduto attualmente s-, e considerano «che in attribuire !'istruzione primaria alleautorità ecclesiastiche deve attegersì cura e zelo maggiore ». Tuttavia, acco-gliendo un voto del CP di Capitanata, il re dispose la conservazione degliispettori (r. 16 aprile 1R45, in PIlTITTI, IV, p. 500).

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tente Facoltà. Gli esami consistevano in una dissertazione scrit-ta, in latino o in italiano a seconda della materia; in una le-zione in italiano, di non più di mezz'ora, sullo stesso tema;nella risposta a due « quesiti o difficoltà », e, per certe materie,anche in un esperimento pratico. Erano stabilite le cauteleper mantenere segreti i nomi dei candidati nella revisione del-le dissertazioni scritte; il metodo di classificazione; ed era pre-visto che, a parità di punteggio, si desse precedenza al merito,desumibile dalle opere, dai servizi d'insegnamento, e dal ri-sultato di precedenti concorsi ..

I maestri delle scuole primarie, secondo i citati r.d. 21 di-cembre 1819, erano nominati dal presidente della Commessio-ne di pubblica istruzione, d'accordo con l'intendente, su ter-ne proposte dai decurionati dei rispettivi comuni. Ma, colr.d. lO gennaio 1843, la competenza per le nomine, sospen-sioni e rimozioni dei maestri e delle maestre fu trasferita aivescovi, salvo l'obbligo dei medesimi di partecipare i loroprovvedimenti agli intendenti, e di regolare l'insegnamentosecondo l'orario e con l'uso dei libri approvati dal ministero,e di tenersi d'accordo, in Napoli e Palermo, con la Giunta(Consiglio) e la Commessione di pubblica istruzione (artt. le 4 r.d. cit.). I maestri potevano essere ecclesiastici o laici,purchè buoni cristiani, zelanti e istruiti (85).

Le scuole private, per qualunque insegnamento, dovevanoessere autorizaate per decreto reale (r.d. 23 settembre 1823),e l'insegnamento doveva essere impartito a porte aperte, « on-de così la polizia, come la giunta di pubblica istruzione, pos-sano, quando lo credano, ispezionare le scuole private del-l'uno e dell'altro sesso» (r.d. 13 novembre 1821). Un rego-lamento approvato con r.d. 16 febbraio 1852 stabilì mol-

(85) R. 8 settembre 1832, in PETITTI, IV, p. 285.

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lsti'tuzioni del Regno delle Due Sicilie 47288

tre che coloro che intendevano tenere istituti privati dove-vano essere autorizzati all'insegnamento di belle lettere e filo-sofia, sostenere di regola un secondo esame dinanzi ad unaCommessione nominata dal presidente del Consiglio generale,essere cittadini nazionali, o esteri naturalizzati, avere com-piuto i 30 anni d'età, sottoporsi alle ispezioni del Consigliogenerale, etc. Le trasgressioni rilevate dagli ispettori pote-vano dare luogo alla chiusura, con provvedimento del mini-stro, presi gli ordini di Sua Maestà.

Tra i molti istituti di cultura sottoposti alla vigilanza del-l'Amministrazione della pubblica istruzione, vanno ricordati laSocietà borbonica di Napoli, articolata nelle tre accademied'archeologia, delle scienze, e delle belle arti (r.d. 9 marzo1822) ; l'Accademia pontaniana di Napoli, articolata nelleclassi di matematiche, scienze naturali, scienze morali ed eco-nomiche, storia e letterature antiche, storia e letteratura ita-liana e belle arti; la reale accademia medico-chirurgica inNapoli; la reale accademia di musica e ballo in Napoli (r.d.2 gennaio 1834); la reale accademia medica in Palermo; lareale accademia di scienze, letterature e belle arti in Palermo;l'Accademia peloritana in Messina, articolata in quattro classi,di scienze fisiche e matematiche, legislazione, storia e moralesperimentale, belle lettere e belle arti; l'Accademia Gioenianadi scienze in Catania. In Napoli v'erano due biblioteche pub-bliche: la reale borhonica, e la brancacciana ; altre due in Pa-lermo, la comunale e quella dei padri gesuiti. In Roma, ilregio governo manteneva un pensionato per alunni di bellearti, napoletani e siciliani (r.d. 27 luglio 1842).

Per l'educazione delle nobili e ben nate donzelle, e dellefiglie di benemeriti impiegati civili e militari, v'erano in Na-poli due educandati «Regina Isabella di Borbone» (r.d.

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28 settembre 1829), ed un «Educandato Carolino» In Pa-lermo.

Non esisteva nella legislazione del regno l'obbligo scola-stico; v'erano tuttavia norme intese a dare incentivo alla vo-lontaria frequenza, come quelle che prescrivevano l'esibizionedella matricola della scuola primaria per coloro che volevanoimprendere ad esercitare un'arte o mestiere, e per le donzellenubili che volessero profittare della beneficenza del sovrano,de' maritaggi, o di qualunque altra pia istituzione stabilita aloro vantaggio, e che prevedevano, nella capitale e nelle cittàpiù popolate, un annuo «esame generale », con distribuzio-ni di premi ai maestri e maestre benemeriti, ed ai fanciullie fanciulle che avessero tratto maggior profitto dall'insegna-mento (r.d. 21 dicembre 1819: rispettivamente artt. 21 e30~32 del decreto per le scuole maschili, ed artt. 19-21 diquello per le scuole femminili).

48. Segue: c) il protomedicato. - Con l'istituzione delMinistero della pubblica istruzione, furono acquisite a que-st'ultimo le attribuzioni di vigilanza sulle professioni sani-tarie, .che in precedenza il Ministero dell'interno esercitavaattraverso il «protomedicato generale»: organo che, sebbened'indubbio interesse per la salute pubblica, non era ammi-nistrato dal 4° ripartimento (beneficenza, salute pubblica,prigioni), bensì dal 3° (istruzione pubblica), e che seguì quin-di le sorti della pubblica istruzione.

L'ufficio del protomedicato generale, tanto di qua, quan-to di là del Faro, era di remota origine, e rimase a lungo di-sciplinato da norme d'antico regime (86). La sua funzioneconsisteva nella vigilanza sugli esercenti le arti sanitarie, ed in

(86) COMERCl, p. 87.

19. LANDI • I.

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Istùtuzioni del Regno delle Due Sicilie 48290

particolare sui farmacisti. Ma il servizio pare fosse stato gra-vemente trascurato, se, con r. 25 settembre 1822 (87), SuaMaestà constatava come fossero scorsi molti anni da che lefarmacie delle provincie (di qua del Faro) non erano statevisitate dal protomedico generale del regno, o dai suoi sosti-tuti, ed autorizzava pertanto il detto funzionario «a sceglie-re in ogni distretto un medico il più probo che goda la pub-blica opinione, ed un abile ed onorato farmacista, i quali uni-ti insieme» si recassero, senza preavviso, a visitare le farma-cie esistenti nei comuni del distretto, per constatare se le me-dicine fossero di buona qualità e se vi fossero quelle pre-scritte nel repertorio (farmacopea), e per accertare se medici,levatrici e salassatori esercitassero la professione «colla de-bita esattezza e col decoro conveniente », Questi vice-proto-medici potevano adottare gli stessi provvedimenti di compe-tenza del protomedico generale.

In attuazione di tale rescritto, il protomedico generaleemanava il 3 giugno 1823 un regolamento per le funzioni affi-date ai vice-protomedici, e speziali verificatori (88). Questidovevano riconoscere la legalità delle persone esercenti i di-versi rami dell'arte salutare, per reprimere l'esercizio abusivo,dovevano formare i registri annuali degli esercenti, doveva-no ispezionare le spezierie e drogherie (89), e vigilare la per-cezione della tassa protomedicale (in/ra, § 115).

Il protomedicato generale in Sicilia fu riordinato conr.d. 25 giugno 1844. Tale decreto, confermando disposizionidel r.d. 16 luglio 1827, distinse la parte «finanziera» del-l'uffizio, per cui il protomedico generale era alle dipendenze

(87) PETlTTI, 111, p. 379.(88) Il testo in PETlTTl, 111, pp. 379 ss,(89) Sul divieto ai droghieri di vendere generi medicinali composti ed

al minuto, r. 12 giugno 1829, in PETITTl, I1I, p. 395.

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48 L'Amministrazione centrale 291

della direzione generale de' rami e diritti diversi (in/ra, §50), dalla «parte scientifica », dipendente dal Ministero de-gli affari interni, ed affidata ad una Commessione protomedi-cale, presieduta dal protomedico generale, e composta da treprofessori di medicina, storia naturale, e chimica, nominatidal re. La Commessione, quando trattava affari riguardanti lacittà di Palermo, era presieduta dal pretore (in/ra, § 117)della detta città, ed erano abrogate tutte le eccezioni riguar-danti le città siciliane.

Al decreto citato era unito un regolamento per la partefinanziaria, che confermava la responsabilità delle Corti proto-medicali per le visite e per la riscossione dei diritti. Questicolpivano, anzitutto, le lauree in medicina, e le patenti deifarmacisti, salassatori, levatrici e barbieri (90), che non sipotevano spedire senza il certificato dell'eseguito versamentonei banchi di Palermo e Messina, o presso la competente rice-vitoria de' rami e diritti diversi; in secondo luogo, v'eranodiritti di visita, che colpivano le persone soggette a tale speciedi vigilanza, secondo una tariffa graduale riportata al numerodegli abitanti del Comune di residenza dell'esercente, e si pa-gavano presso i ricevitori de' rami e diritti diversi, cui lenote di tali persone, formate dalle Corti protomedicali, veni-vano trasmesse dall'Amministrazione del protomedicato ge-nerale.

Nei domini di qua del Faro, il protomedicato fu riordina-to col r.d. 24 aprile 1850, e con l'annesso regolamento, dellacui esecuzione erano incaricati il ministro degli affari ecclesia-stici e dell'istruzione pubblica, ed il ministro delle finanze. Lanuova organizzazione comprendeva:

(90) Taluni dubbi furono risolti con circo Min. finanze 1" febbraio 1845,in PETITTI, III, p. 411.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 48292

a) La Commessione protomedicole, in Napoli, dipen-dente dal presidente della regia università degli studi, e dalConsiglio generale di pubblica istruzione. La Commessioneera presieduta dal primo medico di camera di Sua Maestà, ecomposta da due assessori, prescelti l'uno dalla facoltà di me-dicina, l'altro dalla facoltà di fisica, e proposti dal Consigliogenerale al ministro, perchè li sottoponesse alla sovrana ap-provazione. Gli assessori si rinnovavano ogni triennio. LaCommessione formava ogni anno la lista degli esercenti tenutial pagamento della tassa sanitaria; vigilava sulla morale e con-dotta dei medesimi, e sui loro titoli legali; vigilava sull'igienepubblica e ne riferiva all'autorità competente (in/ra, § 60);verificava le distanze legali tra le farmacie antiche e quelle dinuova apertura; spediva i permessi d'esercizio agli esercen-ti, quando la spedizione delle carte d'autorizzazione non fos-se di competenza dell'università; doveva curare, ogni dueanni, la redazione e la stampa del ricettario, ed inviarne unacopia a ciascun farmacista del regno. La Commessione do-veva eseguire la visita degli esercenti nella città di Napoli,al qual fine i suoi membri potevano ripartir si i quartieri, efarsi accompagnare da un farmacista, e, volendo, dall'elettodel quartiere, ed in caso di bisogno dall'ufficiale di polizia.La Commessione aveva un proprio ufficio, con impiegati, ilcui capo esercitava anche le funzioni di segretario.

b) I Viceprotomedici distrettuali. La Commessione pro-tomedicale, su le informazioni degli intendenti e degli or-dinari diocesani, ed inteso il presidente del Consiglio generale,nominava «per ogni capoluogo di distretto un medico rino-mato per viceprotomedico, un altro per aiutante, ed un farma-cista per visitatore» (art. 8 reg. cit.). Il viceprotomedico (ol'aiutante in caso di suo impedimento) ed il farmacista visita-tore dovevano recarsi ogni anno in tutti i comuni del distret-

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48 L'Amministrazione centrale 293.-~~;'~rt

to, ed accompagnati dal sindaco, o da un eletto delegato, visi-tare gli esercizi de' farmacisti, droghieri ed erbolai, accertarese i medici e chirurgi condotti e le levatrici godessero d'ono~a-rio adeguato e fossero sufficienti ai bisogni locali, accertare lecondizioni igieniche e sanitarie del comune, e mettersi in rap-porto con la Commessione comunale per i provvedimenti dicompetenza. I viceprotomedici corrispondevano direttamentecol presidente del Consiglio generale, e con i comuni del di-stretto per il tramite del sottintendente.

c) Le Commessioni protomedicali comunali erano costi-tuite, in ciascun comune, dal giudice di circondario (o dalsupplente, ne' comuni che non erano capoluogo di circon-dario), dal sindaco, e dal parroco, e doveva essere loro curainvigilare la salute pubblica, ed investigare le cagioni che laavessero alterata o potessero alterarla, e collaborare col vi-ceprotomedico durante la visita, in particolare per l'accerta-mento dei titoli legali degli esercenti, e per il giudizio sulleloro qualità morali e professionali. In Napoli, in luogo dellaCommessione comunale v'erano due ispettori, nominati dalministro, su proposta del Consiglio generale, tra i medici echirurgi. Più tardi (r.d. 5 agosto 1853) furono istituite inNapoli delle Commessioni circondariali, presiedute dal giudi-ce del quartiere, e composte d'un componente del Collegiodi farmacia, d'un medico-chirurgo, dell'eletto e del parroco.

Le categorie di professionisti sanitari, su cui esercitavasila vigilanza del protomedicato, erano quelle dei medici e chi-rurgi, delle levatrici, dei farmacisti, dei droghieri ed erholai,dei «brachierai» (fabbricanti di cinti erniari) e dentisti, edei «segretisti» (fabbricanti di specifici per la guarigione dimali). Il regolamento qualche volta dettava prescrizioni abba-stanza minuziose: tali quelle per i farmacisti (artt. 65-93), chesi giustifìcano perchè «la vita dei cittadini, l'onore e riputa-

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zione de' medici e chirurgi» è « confidata interamente» nelleloro mani (art. 65). Era perciò prescritto l'uso del ricettarioufficiale (art. 66); la collocazione delle farmacie «nelle stra-de più frequentate e sane », nel centro del comune dove cene fosse una sola, ed a distanze stabilite dove ce ne fosseropiù (artt. 68 e 69); l'integrazione delle stesse con un buonlaboratorio, difeso dagli incendi e debitamente attrezzato(artt. 70-74); la chiusura a chiave dell'armadio dei veleni(art. 75); la tenuta in ordine della corrispondenza relativaalla fornitura, e del registro delle droghe velenose o sospette(art. 76), il divieto di spedire medicinali pericolosi senza ri-cetta (art. 77), etc. (91). Una nota di costume è il divietod'ammettere nelle farmacie «persone per passare oziosamenteil tempo », come tuttora continua ad accadere nei piccoli co-muni meridionali (art. 79). Le farmacie non dovevano maiessere abbandonate, e doveva essere « alla loro porta una cor-da da sonare un campanello, per risvegliare anche in tempodi notte i farmacisti ne' casi che siano urgenti i soccorsi far-macistici, soprattutto in tempo d'epidemia ». Non era ignotoil « comparaggio» (vedi oggi gli artt. 170-172 t.u. 27 luglio1934, n. 1265), poichè l'art. 93 stabiliva: «i farmacisti noncontrarranno, per conto alcuno, legame co' medici o chirurgiche possa dar luogo a sospetto d'intelligenza colpevole»; mail divieto non era accompagnato da sanzione penale. Alcunedisposizioni, concernenti i « segretisti », subordinavano il per-messo alla presentazione di certificati d'avvenuta guarigione,ad esperimenti eseguiti su' segreti dalla Commissione protome-dicale, etc. (artt. 17, e 101-105). Ma, in altri casi, il regola-mento si limitava a dettare delle norme «deontologiche »,

(91) In Sicilia vigeva un regolamento protomedicale, 14 giugno 1853, perla vendita delle sostanze venefiche da farsi dai farmacisti e droghieri (PETITTI,

VI, p. 388).

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piuttosto generiche (92). Il regolamento stabiliva, inoltre, latariffa della «tassa sanitaria », il modo dell'esazione, e ladestinazione dei proventi (artt. 107-124); ed è da notare chementre in Sicilia la riscossione avveniva a cura dei ricevitoride' rami e diritti diversi, in continente i diritti protomedicalivenivano riscossi dai cassieri comunali (art. 115: injro; § 115),tranne che in Napoli, dove la tassa era riscossa direttamen-te dai visitatori, e versata alla Cassa delle lauree dell'uni-versità (93). Il provento andava per due terzi alla real CasaSanta degli incurabili, per un terzo ai viceprotomedici, aiutan-ti e farmacisti visitatori a rimborso delle spese ad incomodi del-le ispezioni. Sul terzo riscosso in Napoli si pagavano i soldidegli impiegati della Commessione protomedicale, ed il di piùpoteva essere distribuito in gratifìcazioni, e, se vi fosse statosopravanzo, impiegato nell'acquisto di rendita iscritta nelGran libro «per aver si un fondo da adoperarsi in misureenergiche, capaci di conservare la pubblica salute in circo-stanze difficili per quanto spetta al protomedicato» (art. 124).

Le farmacie erano oggetto, oltrecchè delle norme già ri-cordate, di varie disposizioni, intese a conciliare l'interessepubblico con quello degli esercenti. L'art. 67 r.d. 24 aprile1850 stabiliva: «Il numero delle farmacie in ciascun comunenon deve essere maggiore del bisogno della popolazione, e per-ciò non potrà aprirsi una nuova spezieria, senza il permesso

(92) L'art. 63 reg. 24 aprile 1850, sui doveri de' medici e chirurgi, con-tiene, in dieci capiversi, un testo molto simile a quello del «giuramento d'Ip-pocrate s ,

(93) L'art. 116 reg. cit., che poneva a carico dei comuni le tasse non pa-gate da esercenti insolvibili, fu abrogato con r.d. 7 aprile 1851; e con circoMin. Aff. eccl. e pubbl. istr., 24 aprile 1852 (PETITTI, V, p. 269) fu autorizzatala spedizione de' piantoni (in/ra, § 50) ai contribuenti morosi. Il diritto dic:ricogniaione s dovuto dai bassi esercenti sanitari (levatrici, salassatori, den-tisti, brachierai, erbolai e droghieri ambulanti) fu ridotto da 20 carlini (2 d.ll! 5 carfini (~ d.) con r. 12 agosto 1853 (PETITTI, V, p. 532).

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della Commessione protomedicale che verrà determinato. die-tro. i ricorsi della municipalità, che rappresenterà il bisognodella popolazione », In seguito, per i domini di qua del Faro.,il r.d. 29 gennaio. 1853 approvò il regolamento «per I'ammini-straaione, la distanza, e quanto. altro. concerne il servizio. dellefarmacie ». Era consentito l'esercizio. solo a chi, ottenuto il« privilegio. », fosse assoluto proprietario della farmacia (art.I) e non era lecito. amministrarne e dirigerne più d'una (art.2). La distanza tra farmacie doveva essere di 50 passi (circam. 97), ed in Napoli di 70 passi (circa m. 136); quelle a minordistanza dovevano essere chiuse alla morte del proprietario, ameno. che vi fosse un figlio. del morto privilegiato. in far-macia, Q un minore che potesse ottenerne il p-rivilegio (artt. 3e 8) (94). I Comuni potevano aprire farmacie, CQn ammini-stratore a compenso, finchè nel comune non se ne aprisse al-tra privata: ed in tal caso. il farmacista era obbligato a compra-re la farmacia comunale (art. 4). Poteva essere autorizzatal'apertura al pubblico. delle farmacie di comunità religiose,purchè consentita dai superiori ecclesiastici, e purchè si osser-vassero i regolamenti protomedicali, eccezion fatta per ladistanza (art. 5); potevano anche essere aperte al pubblico.le farmacie militari, CQIpermesso. del Ministero. della guer-ra, e del protomedicato generale (art. 6). Alla morte del' pro-prietario, la farmacia poteva essere trasferita, CQIconsenso deicoeredi, ad un figlio. che fosse privilegiato. in farmacia; ma senon v'erano. figli, Q nessuno. era farmacista, la farmacia dove-va essere venduta, al prezzo. stabilito. in Napoli dal Collegiode' farmacisti, e nelle province dal viceprotomedico e dal

(94) Con circ. della Comm. protomedicale, 20 settembre 1854 (PETlTTI,

V, p. 636), su conforme parere del Consiglio generale di pubblica Istruzione,fu stabilito che il compratore d'una farmacia non a distanza legale, purcbèfosse farmacista autorizzato, conservava il diritto di. tenere aperta la farD1ll:

ci, essendo il requisito della distanza reale e non personale.

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farmacista visitatore; se non si trovavano compratori, eranoobbligati a comprarla i farmacisti più vicini, o l'unico farma-cista del Comune (artt. 8, 9, lO). Se v'erano figli minori, lafarmacia era amministrata da un farmacista privilegiato finoall'età in cui il primo dei figli poteva conseguire il privilegioin farmacia, o la prima delle figliepoteva prendere marito far-macista; il termine per compiere gli studi era fissato dal Con-siglio generale di pubblica istruzione, sentita la Commessioneprotomedicale ed il Collegio dei farmacisti (art. 8).

. 49. Il Ministero delle finanze: a) l'ordinamento. -' IlMinistero delle finanze, che sotto l'antico regime viene anchedenominato « azienda» (dallo spagnolo hacienda), è uno degliotto istituiti con 1. lO gennaio 1817 (supra, § 39).

Fu indubbia ventura per le finanze del regno, la cui soli-dità .forma un titolo indiscusso del regime borbonico, che que-sto ministero sia stato retto dal cavaliere Luigi de' Medicid'Ottaiano dal 4 giugno 1815 al 6 luglio 1820, e di nuovodal 4 giugno 1822 al 30 gennaio 1830, cioè al dì della suamorte. È questi, senza dubbio, il più eminente, per abilità am-ministrativa ed equilibrio, tra gli uomini politici della restau-razione. Ma è anche vero che un impegno troppo esclusiva-mente proteso al risanamento del bilancio dissestato da undecennio di guerre europee, e poi dai disordini del 1820-1821,finì per creare una tradizione di cautela, se non addiritturad'avarizia, nel gestire la spesa pubblica, che, accompagnatadalla ben nota riluttanza del re Ferdinando II ad aumentarecomunque le gravezze tributarie, divenne un'infelice remoraper molte iniziative (supra, § 12). La stessa aggregazione alMinistero delle finanze di servizi non propriamente finanziari,come quelli dei ponti e strade, delle foreste, delle, poste, deitelegrafi, sono indice d'una tendenza a subordinare l'interesse

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tecnico-amministrativo del servizio a quello della finanzapubblica.

Le attribuzioni caratterizzanti, quali risultano dall'art. 6r.d. 2 maggio 1817, sono quelle dei nostri ministeri delle fi-nanze e del tesoro. Il Ministero delle finanze soprintendevaall'accertamento ed alla riscossione delle contribuzioni diretteed indirette; all'amministrazione de' beni del demanio regio,ivi compreso il Tavoliere di Puglia; all'amministrazione del de-bito pubblico, della Cassa d'ammortizzazione, e della regiazecca; a quella de' banchi regi di qua e di là del Faro; allatesoreria generale ed uffici dipendenti ed al controllo delleentrate e spese dello Stato ; alla formazione dello «stato di-scusso », o stato di previsione della spesa. Dipendevano inol-tre dal Ministero delle finanze le Gran Corti de' conti, e leagenzie del contenzioso (in/ra, §§ 165, 166, 186).

Il Ministero delle finanze era articolato in quattro riparti-menti. Il primo trattava gli affari generali e del personale, equelli del debito consolidato, dei banchi, delle Gran Cortide' conti, della tesoreria generale e della contabilità. Il secon-do trattava gli affari relativi alle contribuzioni dirette, ed alladirezione generale dei ponti e strade, acque, foreste e caccia(finchè tale servizio dipese dal ministero: injra, § 64). Eranodi competenza del terzo ripartimento dazi indiretti, lotteriee poste. Dipendevano dal quarto la Cassa d'ammortizzazione,l'amministrazione del registro e bollo, le ipoteche, e le spesedi giustizia.

Con r.d. 25 maggio 1848, fu approvato un regolamentoper l'alunnato nel Ministero delle finanze, il quale stabilival'ammissione degli alunni mediante concorso per esami, ver-tenti sulle lingue latina, italiana e francese, sul diritto civile,e sulla calligrafia. Una singolare anticipazione, rispetto a meto-di che sono stati adottati ai nostri tempi, ~ la ~re,,\~iQq~ che

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gli alunni dovessero seguire, per un anno, due corsi, ciascunodi tre ore settimanali, uno d'economia pubblica e statistica,e l'altro di diritto amministrativo. Gli impieghi superiori del-la Tesoreria generale, e quelli di direttore generale ed ammi-nistratore generale, e di consigliere della Gran Corte de' conti,potevano essere conferiti ai capi di ripartimento dei ministeridelle finanze e dell'interno, ed ai sostituti (in/ra, § 53) diPalermo e Messina (r.d. lO giugno 1828).

L'aspetto tipico e più interessante del Ministero dellefinanze è che da esso dipendeva un gran numero d'ammini-strazioni, che attraverso i loro organi, centrali e periferici,soprintendevano alla gestione finanziaria dello Stato. Un ten-tativo che si fa qui, di raggrupparli secondo un criterio siste-matico di competenza per materia, non trova - è bene av-vertire - diretto fondamento nelle leggi e negli scrittori deltempo (95), ma segue, più o meno, i criteri secondo cui ven-gono oggi ripartite le competenze tra i nostri Ministeri del-le finanze, del tesoro, ed altri ancora. Quasi tutti i servizipresentavano forme di decentramento per i reali domini dilà del Faro, con le conseguenti interferenze del Ministero pres-so la Luogotenenza, e di quello degli affari di Sicilia.

L'amministrazione tributaria era affidata all'Amministra-zione delle contribuzioni dirette, all'Amministrazione generaledel registro e bollo, ed all'Amministrazione generale de' dazjindiretti. Vi corrispondevano, in Sicilia, l'Amministrazionegenerale de' rami e dritti diversi, che. ebbe le attribuzionidelle prime due quando non fu autonoma l'amministrazionedelle contribuzioni dirette, e l'Amministrazione generale dei

. (95) Un ampio «quadro dell'Amministrazione fìnaneiera s , quale era veroBO il 1836 (ma il sistema mutò solo in particolari secondari) è in COMERCI.

pp. 358-411.

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dazi indiretti di là del Faro (da cui, con r.d. 12 novembre1855, fu separata l'Amministrazione del màcino).

La vigilanza sulle entrate e sulle spese pubbliche era eser-citata, di qua e di là del Faro, dalle Tesorerie generali di Na-poli e Palermo. Stabilimento di credito era il Banco delleDue Sicilie (odierno Banco di Napoli) dal quale con r.d.13 agosto 1850 fu distaccato il Banco regio de' reali dominioltre il Faro (odierno Banco di Sicilia); ed alla carica del reg-gente del Banco delle Due Sicilie era riunita quella di diret-tore generale dell'Amministrazione generale delle monete, consede in Napoli.

Il debito pubblico era gestito dall'Amministrazione gene-rale della Cassa d'ammortizzazione, che gestiva anche il regiodemanio, e dalla Direzione generale del Gran libro del Debitopubblico; organi corrispondenti furono istituiti poi in Sicilia.Un complesso demaniale autonomo, con propria legislazione,era il Tavoliere di Puglia. Servizi speciali, dipendenti dalMinistero delle finanze, erano la Direzione generale de' ponti,strade, acque, foreste e caccia, con la rispettiva soprintenden-za in Palermo; l'Amministrazione generale delle poste e deiprocacci di qua del Faro, con l'Amministrazione delle regie po-ste in Palermo; l'Amministrazione generale de' reali lotti inNapoli (riunita a quella del registro o bollo col r.d. 26 agosto1839), e l'altra in Palermo; le Direzioni centrali della tele-grafia elettrica in Napoli e Palermo.

50. Segue: b) L'Amministrazione delle contribuzioni di-rette. - L'Amministrazione delle contribuzioni dirette peri reali domini di qua del Faro (r.d. 28 agosto 1816) avevaper capo lo stesso ministro delle finanze, ed era composta dalConsiglio delle contribuzioni dirette, e dalle dipendenti Dire-zioni provinciali, le quali peraltro, col !!QP!~ (~j <$ ~ir«1zi~ni.

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provinciali de' dazi diretti, demanio, e rami e diritti diver-si » (96) avevano competenza anche in materia di registro edi bollo (in/m, § 51). Tale riunione verificavasi in Sicilia findal vertice, esistendovi una «Amministrazione generale de'rami e diritti diversi» (r.d. 16 luglio 1827) cui era prepostoun direttore generale, da cui dipendevano un segretario gene-rale ed un capo contabile. Il Consiglio delle contribuzioni di-rette, previsto dal secondo dei tre r.d. 8 agosto 18~3 sul cata-sto fondiario, fu costituito in Sicilia solo per disposizione delministro delle finanze, 20 settembre 1839 (97). In ogni capo-luogo di valle, v'era del pari un direttore provinciale. In Na-poli, le funzioni di direttore provinciale erano esercitate dal-lo « ispettore generale direttore delle contribuzioni dirette del-la provincia di Napoli », ed in Palermo dallo stesso direttoregenerale.

Il Consiglio delle contribuzioni dirette per i reali dominidi qua del Faro, secondo il r.d. 28 agosto 1816, era presie-duto dal procuratore generale della Gran Corte de' conti, edera formato dai due avvocati generali della stessa, e dall'ispet-tore generale direttore provinciale in Napoli. Tale Consiglioera perciò un elemento organico della Gran Corte, e cometale era menzionato dall'art. 51 L 29 maggio 1817, col no-me, mai usato, di «Consiglio delle imposizioni dirette» (in-fra, § 165).

Il Consiglio siculo (art. 5 r.d. 8 agosto 1833, cit.) eraugualmente presieduto dal procuratore generale della Gran

(96) I direttori provinciali, in continente, erano di 'tre classi, c:personalie non locali ~ (art. 3 r.d. lO gennaio 1825); ma, per l'ammontare dellinden-nità di scrittoio, erano considerate di l' classe (r.d, 28 agosto 1816) le dire.zioni di Napoli (mensualì d. 110); Terra di Lavoro (d. 100) e Principato Cite-riore (d. 90); i direttori di 2' e 3' classe avevano rispettivamente 70 e 60 ducati.

(97) PETIITI, II, p. 170. L'organico della segreteria fu stabilito con r. 21agosto 1842 (PETlTTI,Il, p. 175).

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Corte de' conti, composto dall'avvocato generale,. da un consi-gliere nominato dal luogotenente, e dal direttore provincialedella valle di Palermo (cioè, dal direttore generale); nel pe-riodo in cui vi fu un secondo avvocato generale (r.d. 14 ago-sto 1840 - r.d. 21 marzo 1855) questi interveniva in luogodel consigliere (98). Un controloro funzionava da segretario.

Le attrihuzioni del Consiglio delle contribuzioni diretteerano stabilite dagli artt. 3-7 r.d. 28 agosto 1816, e dagliartt. 4-7 r.d. 8 agosto 1833, in termini quasi letteralmenteeguali. Il Consiglio era organo consultivo del Ministro dellefinanze (in Sicilia, del Ministro presso il luogotenente) nellematerie contenziose relative alle contribuzioni dirette; rice-veva le querele (reclami) delle parti contro gli atti delledirezioni provinciali, ed era informato direttamente dai diretto-ri dell'andamento degli affari pendenti ne' Consigli d'intenden-za; dava loro le opportune istruzioni, e quando riteneva chele decisioni dei detti Consigli fossero contro legge proponevaappello alla Gran Corte de' conti, previa autorizzazione delMinistro delle finanze; ed in Sicilia (r.d. 9 settembre 1856) delluogotenente. Il Consiglio corrispondeva, pel tramite del pro-prio presidente, col ministro, con gli intendenti e con i diretto-ri provinciali, e poteva disporre verifiche, ordinarie e straor-dinarie, per mezzo dell'ispettore generale. Le determinazionierano adottate a maggioranza di voti, prevalendo in caso diparità quello del presidente, e di tutte le determinazioni eradata notizia al ministro.

In Sicilia, dove le operazioni catastali si erano protrattea lungo, e con mediocri risultati, talchè era stato necessarioil regio intervento manifestatosi coi ricordati r.d. 8 agosto1833, anche l'organizzazione periferica erasi strutturata se-

(98) PETITTI, Il, p. 107, nota (I).

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condo l'esigenza della rettifica de' catasti. Il decreto «chestabilisce gli agenti del Governo ne' reali domini oltre il Faroper intendere alla esattezza ed uniformità delle operazionidi rettifica del catasto fondiario, e per invigilarne l'esecuzio-ne », affidava tale opera al Ministero presso il luogotenente,alla cui immediazione era posto un direttore delle contribu-zioni dirette, che aveva altresì le funzioni d'ispettore genera-le, e quelle di direttore della valle di Palermo. Dipendevanoda questi, in attesa che si provvedesse ad una determinazionedefinitiva, quattro direttori, da destinare ove il luogotenentelo ritenesse più opportuno, ventotto controlori, ed un numerodi controlori istruttori determinato dal re secondo le necessi-tà. I direttori e controlori erano nominati a scelta del luogo-tenente, ma nessuno acquistava diritto ad essere nominato de-finitivamente dal re «che indi alle più irrefragabili prove eluminose della di loro capacità, probità, esattezza, e celeritànello adempimento de' loro rispettivi doveri ». Coloro che sene fossero dilungati «se per dolo, oltre alla perpetua incapa-cità ad ogni carica », sarebbero stati «prontamente puniticon tutto il rigore delle leggi» (art. lO r.d. cit). Il soldomensile dei direttori e controlori era, provvisoriamente, ri-spettivamente di 60 e 30 ducati; inoltre, percepivano un'in-dennità di viaggio, che per i primi era di due ducati al giorno,e per i secondi di 15 ducati mensili, «dovendo questi esserecontinuamente in giro ».

Il servizio fu definitivamente riordinato col r.d. 29 ottobre1842. Fu stabilita in ogni capoluogo di valle una direzioneprovinciale, con ordinamento analogo a quello continentale:di l a classe in Palermo, di 2" classe in Messina, e di 3" clas-se in Catania, Girgenti, Noto, Caltanissetta e Trapani. Disciol-ta l'Ispezione generale di Palermo, i direttori provinciali dipen-devano direttamente dal ministro delle finanze (dal ministro

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degli affari· di Sicilia, quando fu nuovamente istituito); macorrispondevano col ministro presso il luogotenente nei casiprevisti dall'art. 5, comma l, r.d, cit., nonchè col Consigliodelle contrihuzioni dirette. Aholiti i controlori istruttori (99),i controlori venivano assegnati ad ogni direzione provincialesecondo la necessità del servizio, ed avevano un soldo di 36ducati mensili, più ducati 14 per indennità d'ogni natura(artt. l e 3 r.d. cit.). Infine, con r. lO giugno 1854, e reg. I"luglio 1854, essendo ultimate le rettifiche e posti in riscossio-ne i catasti, fu richiamato in vigore il sistema del r.d. 16 lu-glio 1827, riunificando la direzione generale de' rami e dirittidiversi (100).

Contrihuzione diretta era la contrihuzione fondiaria, sta-hilita nei domini di qua del Faro con 1. 8 agosto 1806 che(a decorrere dal I" gennaio 1807) aholì tutte le antiche tasse,tanto sui heni fondi d'ogni natura, quanto sulle persone e sulleindustrie così generali per tutte le provincie, come particolariper talune di esse, o per taluni comuni (101). La detta con-trihuzione doveva consistere in un'annua somma fissa, ripar-tita sopra tutte le proprietà foudiarie del regno in propor-zione del termine medio della loro rendita calcolata sopra uncoacervo decennale, senz'altre eccezioni che quelle da deter-minarsi nell'interesse dell'agricoltura. Tutti i privilegi e lefranchigie di qualunque natura erano aholiti (r.d. 2 ottohre1806).

(99) R. 21 novembre 1841, previo parere del C. contro Palermo (PETl'ITl,II, pp. 172 ss.). Vi si prescrive pure che le nuove nomine di controlori avovengano per pubblico concorso, per esami scritti ed orali, secondo bandi egraduatoria stabiliti dal Consiglio delle contribuzioni.

(l 00) PETI'ITI,V, pp. 607 e 620.(101) Trattavasi di ben 22 tasse (PETlTTI.Il, p. 1), la maggior parte delle

quali ha nomi oscuri e pittoreschi, e della vera natura d'alcuna delle qualisembra si fosse anche perduta l'esatta nozione, come è il caso della tassac per il mantenimento de' proietti ~ tinjra, cap. IV, nota 74).

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Per l'esecuzione di tale legge furono dettate (r.d. 4 aprile,12 agosto e 9 ottobre 1809) le norme per la formazione dei«catasti provvisori ». Trattavasi d'un catasto «descrittivo »,senza mappa, con cui tutto il territorio del regno era divisoin «sezioni»; i fondi rustici ed urbani erano descritti negli«stati di sezione» di ciascun comune; ad ogni proprietariodel comune era intestato un «articolo» per tutti i fondi chepossedeva; e nel medesimo i fondi erano specificati secondol'estensione, la cultura, e la rendita stimata. Detto lavoro fucompiuto nell'anno 1816, dimodocchè con r.d. 14 settembre1816 furono aboliti i metodi di ripartizione osservati in pen-denza della formazione del catasto provvisorio, e tutta la ma-teria fu riordinata, abolendo si le precedenti disposizioni, colr.d. lO giugno 1817 (102).

La contribuzione colpiva (l. 8 novembre 1806, ed art.2 r.d. cit.) ogni terra colta o incolta, ed ogni suolo urba-no con edifici o senza, comprese le terre «addette a delizia »,da valutarsi come i migliori terreni coltivati del comune; lecase di città e di campagna destinate all'abitazione o all'in-dustria rurale; le officine, fabbriche e manifatture; i laghi, icanali di navigazione, le miniere, le cave di pietre. Erano esen-ti gli edifizi addetti a servizi dello Stato, salva la parte che pro-

(02) Le istruzioni per la formazione dei catasti provvisori (Min. fionanze, 22 ottobre 1809) sono riassunte in nota da PETITII, II, pp. 6 ss. Istru-zioni per le rettifiche catastali domandate così da' comuni come da' direttoridelle contribuzioni dirette furono impartite dal Min. finanze, 27 ottobre 1818(ivi, p. 48), e con r.d. 29 giugno 1819 i contribuenti de' comuni dove aveva navuto luogo dette rettifiche furono riammessi in termini, per reclamare entroun anno dalla messa in riscossione del ruolo, secondo le disposizioni del r.d,lO giugno 1817. Si può qui ricordare che la formazione d'un catasto generalenel regno di Napoli (c.d, «catasto onciario s , per essere i valori computatI. inonce) era stata ordinata da Carlo di Borbone con dispaccio 4 ottobre 1740,

ed affidata alla Camera della sommaria (prammatica 17 marzo 1741), ma avevaavuto mediocri risultati (SCHIPA, Il, pp. 114 55.; CORTESEE., a), pp. 492493).

20. LANDI • I.

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ducesse una rendita effettiva (r.d. 12 giugno 1809), i parchireali con i fondi annessi (r.d. lO agosto 1815), i suoli dellechiese, cappelle e congregazioni (r. 13 settembre 1821) (103),e quelli de' campo santi e cimiteri (r. 22 novembre 1843) (104),le strade, le contrade, le piazze pubbliche ed i fiumi (L 8 no-vembre 1806). Un r. 22 luglio 1848 (105), aveva accordatol'esenzione ai fondi appartenenti alle provincie ed ai comu-ni, quando fossero addetti ad uso pubblico ed a servizio del-la pubblica amministrazione; ma in seguito ai contrari avvisidel Consiglio delle contribuzioni, e della Commessione de' pre-sidenti della Gran Corte de' conti, un successivo r. 13 agosto1850 revocò il precedente, stabilendo, tuttavia, che le pro-vincie ed i comuni potessero ottenere la moderazione annua-le dell'imposta per il tempo che durava la destinazione degliedifici all'uso pubblico, e per quanto gli edifici fossero statiimproduttivi di rendita.

La contribuzione aveva per base la rendita netta dei fondi,consistente nel prezzo del prodotto depurato delle spese dicultura, di conservazione e di mantenimento, e poteva essererappresentata dagli affitti fatti in un decennio, o dall'interes-se del prezzo dei fondi, quando la compra ne fosse stata fattadurante lo stesso tempo (art. l r .d. lO giugno 1817), qualerisultava dal catasto provvisorio (art. 4 r.d. cit.). La contri-buzione, secondo la L 8 novembre 1806, non doveva eccederedi regola un quinto (20%) della rendita 'netta del fondo frut-tifero. Dalla rendita netta delle case d'abitazione, e da quellade' mulini e manifatture, valutate sugli affitti del decennio, sidetraevano, rispettivamente, un quarto ed un terzo; le fab-briche rustiche, destinate all'agricoltura ed alla pastorizia,

(103) PETITTI, Il, p, 63.(104) PETITTI, Il, p. 96.(105) PETITTI, Il, p. 97.

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erano valutate in ragione del suolo, assimilato alle miglioriterre del comune (art. 2, commi 2, 3, 4, r.d. cit.) (106). Neifondi soggetti a dominio utile e diretto, era tassato l'utilista,con facoltà di ritenere sul censo, canone o terraggio dovutoal direttario, la quinta parte (esclusi, però, i censuari del Tavo-liere di Puglia, in quanto il direttario era lo Stato stesso).I debitori d'altre annualità, ed i debitori di vitalizi, potevanotrattenere, rispettivamente, il 10% ed il 5% (art. 3 r.d. cit.).Stabilito definitivamente l'imponibile, tutti gli accrescimentidi valore sino all'anno 1860 non dovevano produrre aumen-to, e per gli oliveti e boschi piani e montuosi di qualunque na-tura, sino all'anno 1880: salvo, naturalmente, le rettifichedell'estensione dei fondi, e la scoperta delle relative occulta-zioni (art. 8 r.d. cit.). Le case ed edifici urbani, costruite susuolo non prima fabbricato, erano tassate sul valore del suoloper quindici anni dall'abitazione o locazione, e se ampliati,migliorati, o ricostruiti, erano esenti da aumento d'imponi-bile per otto anni dall'ultimazione dei lavori: i detti terminierano ridotti, rispettivamente, a quattro e due anni per i mu-lini o manifatture, rispettivamente costruiti di pianta, o ri-parati e migliorati (art. 9 r.d. cit.).

L'imposta veniva ripartita col sistema del «contingente»;cioè veniva stabilita anno per anno la somma complessiva, equella a carico di ciascuna provincia, e la somma imposta adogni provincia veniva ripartita ulteriormente tra i comuni,dal Consiglio provinciale (in/ra, § 101), in proporzione dellarendita imponibile iscritta nei catasti provvisori (107).

(106) La nozione di «casa rustica» è precisata in un'istruzione Min. Fi-nanze, 30 aprile 1808, in PETITTI, Il, p. 5, nota (2).

(107) Il gettito dell'imposta fondiaria, nell'anno 1826, dichiarato ìnvarla-bile dall'art. 8 r.d. lO giugno 1817, era, nei domini di qua del Faro, di du-cats 6.150.000,più grani addizionali e diritti d'esazione (r.d. 28 ottobre 1825).

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La restaurazione non provvide mai ad emanare normesulla riscossione della contribuzione diretta ne' reali dominidi qua del Faro, dimodochè rimasero in vigore più decretie regolamenti dell'occupazione militare, parzialmente modifi-cati ed integrati da atti successivi.

La riscossione si faceva col sistema dei ruoli, che eranotitoli autentici ed esecutori (108), nei quali veniva indicato,per ciascun contribuente del comune, la quota da lui dovu-ta per l'anno, comprensiva del debito principale e delle ad-dizionali (109). Sotto la vigilanza dell'intendente (o sottin-tendente), del direttore provinciale e dei dipendenti contro-lori, erano agenti della percezione il ricevitore generale dellaprovincia (che funzionava anche da ricevitore distrettualedel capoluogo), i ricevitori distrettuali, e gli esattori comunali.Su questi ultimi, la vigilanza era esercitata anche dal sindaco,obbligato a compiere almeno una volta al mese, con l'assisten-za di due decurioni, una verifica di cassa (artt. 44 ss. r.d. 3luglio 1809). I ricevitori generali, ed i ricevitori distrettuali,dovevano prestare cauzione, che, secondo il r.d. 8 novembre

Il carico delle province era: Napoli, d. 910.000; Terra di Lavoro, d. 914.000;Principato Citra, d. 438.000; Basilicata, d. 418.000; Principato Ultra, d. 333.000;Capitanata, d. 444.000; Bari, d. 500.000; Terra d'Otranto, d. 511.000; CalabriaCitra, d. 282.000; Calabria Ultra 2', d. 3111.000;Calabria Ultra l', d. 205.000;Molise, d. 202.000; Abruzzo Citra, d. 208.000; Abruzzo Ultra 2°, d. 212.000;Abruzzo Ultra l°, d. 155.000. Si noti, in queste cifre, indicative della ricchezzadelle singole province, la posizione della Basilicata, oggi considerata una delleregioni più povere, ma si tenga presente la vastità del territorio, oggi divisotra le due province di Potenza e Matera.

(108) Circo Min. finanze, 29 marzo 1834, e Min. grazia e giustizia, 8marzo 1834, in PETITTI,II, p. 367.

(109) Le istruzioni per la formazione del ruolo furono impartite dal Min.finanze, 30 dicembre 1807 (PETITTI,II, p. 234). Il diritto d'esazione (art. 4 r.d.28 ottobre 1825) era del 4% del debito principale ed addizionali, ma solo gliesattori il cui carico era inferiore a 600 d. lo percepivano intero, mentrequelli con carico oltre 600 e fino a 30.000 d. dovevano versare 0,50% alla Te-soreria generale, e se il carico superava 30.000 d., dovevano versare 1'1%.

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1809, avrebbe dovuto essere costituita da un versamento innumerario, nella Cassa d'ammortizzazione, per un dodicesimodella somma dell'annua contribuzione della provincia o deldistretto, ed inoltre da beni immobili del valore d'un deci-mo della somma stessa. In seguito fu consentito di prestarecauzione in rendite del Gran libro, d'importo doppio per lecauzioni immobiliari, e di due volte e mezzo per quelle in con-tanti (r.d. 28 maggio 1816), ed infine fu consentito di conver-tire tutte le cauzioni in rendita 5% (r.d. 20 luglio 1818). Ilr.d. 8 novembre 1809 (artt. 9 ss.) prevedeva l'istituzionedi percettori circondariali, nominati a vita, con obbligo di pre-stare cauzione, ma la riforma si era dimostrata inattuabile,ed agente comunale della percezione era di solito l'esattore,nominato dal decurionato (r.d. 19 dicembre 1811: vedi ancheinjra; § 116), il quale vi provvedeva pure nel caso di vacanzadella percettoria. All'esattore in ritardo col versamento dellesomme in ricevitoria, l'intendente o sottintendente, su pro-posta del ricevitore distrettuale, poteva nominare un «sopra-vegliante », e quando il ritardo concerneva più di 2/12 deldovuto, un commissario sostituto, che prestava cauzione, egodeva dell'intero diritto di percezione, fìnchè il servizio nonfosse rimesso al corrente (artt. 16-19 r.d. 5 giugno 1811).

I ruoli, resi esecutori dall'intendente (art. 7 r.d. 26 no-vembre 1807), venivano consegnati dal direttore provincialeal ricevitore generale, e da questi rimessi ai ricevitori distret-tuali, per essere distribuiti ai percettori ed esattori (art. 15reg. Min. finanze, 25 febbraio 1810) (110). Il percettore oesattore notificava gratis a ciascun contribuente un avverti-mento della quota da pagare in 12 mesi, stampato in formadi libretto, su cui venivano annotate le ricevute di ciascun

(HO) PETITTI, II, P 253.

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pagamento, nonchè i maggiori crediti tributari per spese esecu-tive, ruoli suppletori, etc. (artt. 6 ss. r.d. 3 luglio 1809). Inol-tre, l'esattore o percettore doveva presentare il ruolo al sinda-co, che vi apponeva il visto, e ne dava avviso ai contribuenti,che avevano facoltà di esaminarlo in casa dell'esattore o per-cettore (art. 20 reg. Min. finanze, cit.).

Se alla fine del mese il contribuente non aveva soddisfattoil debito, l'esattore gli notificava un'intimazione, per pagareentro cinque giorni; e se la medesima non aveva effetto, l'esat-tore poteva sequestrare, per mezzo dell'usciere o cancelliere delgiudice di circondario, i valori e mobili del debitore, fino a con-correnza del debito (111); decorsi tre giorni, se persona sicuranon si obbligava a pagare entro otto giorni, il giudice di circon-dario, ad istanza dell'esattore, disponeva con decreto la venditadelle cose sequestrate (artt. 7 ss. r.d. cit.). Questo decreto,peraltro, fu poi ritenuto non necessario (112). Su tali coa-zioni, altre istruzioni furono impartite col reg. min. cit., dalquale (artt. 67 ss.) sono altresì regolate le coazioni «delleguardie in casa », o, come pur si diceva, dei « piantoni ». Que-sto procedimento, che poi fu esteso ad altre ipotesi di moradel debitore di pubbliche amministrazioni (in/ra, § 125) nonera propriamente una specie d'esecuzione forzata, essendoprivo d'una diretta efficacia satisfattoria; ed era, piuttosto,una singolare forma di pressione sul debitore, che ricordava,in qualche modo, l'analoga funzione dell'arresto per debiti(artt. 863 ss.ll.p.c.}; anch'esso espediente non direttamentesatisfattorio. Detto sistema si applicava quando il sequestro

(111) L'art. 7 r.d. 3 luglio 1809 prescriveva che le coazioni contro i mo-rosi avessero sempre inizio da' contribuenti più forti. L'art. lO dichiaravanon sequestrabili i letti, i vestimenti necessari alla famiglia, gl'istrumenti dilavoro, i cavalli, muli, buoi ed altri animali da tiro che servono alla colturaco' loro guernimenti, le carrette, gli aratri, ed altri utensili di coltivazione.

(1I2) Circo cito supra, nota (108).

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era riuscito vano; era richiesto dall'esattore al sottintendente,previo parere del ricevitore; e consisteva nello stabilire in ca-sa dei contribuenti morosi un soldato per ogni debito sino aducati due, che vi si tratteneva per 24 ore, e doveva, dal con-tribuente, essere provveduto di letto, lume e fuoco. Se piùindividui erano debitori per meno di due duca ti, venivano riu-niti a cinque a cinque, ed i soldati permanevano presso di lo-ro a turno. Se un contribuente era debitore di più di 20 du-cati, il soldato si fissava in casa sua per tanti giorni, quantopersisteva il ritardo del pagamento. Gli esattori corrisponde-vano ai soldati l'indennità di due carlini al giorno, con ri-valsa sui contribuenti.

I ricevitori generali, ed i ricevitori distrettuali, potevanoagire in via esecutiva, rispettivamente contro i ricevitori di-strettuali e gli esattori che si fossero resi morosi (artt. 20 ss,r.d. 3 luglio 1809).

Gli occultamenti di proprietà, totali o parziali, erano pu-niti con la multa, pari alla metà della contribuzione d'un anno(art. 145 r.d. lO giugno 1817). Chi denunciava l'occultazioned'un fondo aveva diritto a metà della multa (art. 146 r.d.cit.), e chi denunciava l'occultazione parziale a tre annate dellacontribuzione ~elativa alla parte occultata, da pagarsi dal pro-prietario in aumento della quota e della multa (art. 146r.d. cit.).

Il r.d. lO giugno 1817 conteneva altresì le disposizioni(artt. 124 ss.) per le «mutazioni di quote », ossia volture ca-tastali, il cui «metodo pratico» fu poi stabilito con istruzionidel Ministero delle finanze, 22 luglio 1846 (113), e quelleper le decisioni dei reclami (in/ra, § 182).

In Sicilia, il contributo fondiario era stato disciplinatocon 1. 28 settembre 1810, ma, come è detto nelle premesse

(113) PETIITI, II, pp. 227 55.

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del r.d. 8 agosto 1833, « che ordina la rettificazione del cata-sto fondiario della Sicilia », il risultato fu imperfetto, e vizia-to « di essenziali inconvenienti a danno così dell'Amministra-zione, come degli stessi contribuenti ». Un inconveniente fucagionato dall'aver fatto «dipendere dalla confessione deglistessi proprietari, comunque poi in certi casi soggetta alla ve-rifica, l'effettiva conoscenza de' fondi e del loro imponibile ».Di costoro, «non tutti corrisposero con fedeltà alla fiduciariposta in essi dal Governo ». Altro dipese dal metodo di de-terminazione della rendita, stabilito sugli affitti degli anni1809-1810, ed in difetto degli anni più prossimi, ed infinesul coacervo dei frutti nel decennio 1800-1810: ora, poichèi prezzi erano più elevati nel 1809-1810, i proprietari che ave-vano affittato i loro fondi in quel periodo erano maggior-mente gravati di quelli «che esibendo de' contratti anteriorio non esibendone alcuno si giovarono del coacervo decen-nale ».

Per porre a CIO riparo, intervennero un gruppo di r.d.8 agosto 1833, dei quali il primo è quello, sopra ricordato,per la rettifica del catasto; il secondo stabiliva le istruzioni perprocedervi (che furono poi abrogate e sostituite col r.d. 17dicembre 1838); il terzo, di cui abbiamo già parlato, stabili-va gli «agenti del Governo» incaricati di tali operazioni; edil quarto conteneva la disciplina del contenzioso delle contri-buzioni dirette (in/ra, § 182).

Le disposizioni del r.d. 8 agosto 1833, per la rettifica delcatasto, mirano, in sostanza, a perequare, salvo alcune parti-colarità, il regime della contribuzione in Sicilia con quello con-tinentale. La base di valutazione era riferita al decennio1800-1810 per i fondi rustici, e 1820-1830 per gli urbani(art. l); ma in seguito a voti de' Consigli provinciali e delleautorità ed alle suppliche di molti proprietari, i quali rilevava-

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no come le vicende del primo decennio del secolo avevano de-terminato un'alterazione de' prezzi (114), il periodo fu uni-ficato nel decennio P gennaio 1821-31 dicembre 1830 (r.d.17 dicembre 1838) (115). Gli imponibili, fissati definitiva-mente dopo la decisione dei reclami, dovevano restare invaria-ti sino al 1880, e per gli oliveti ed i boschi piani e montuosisino al 1900 (art. 17 r.d. 8 agosto 1833, cit.).

Erano esenti dalla contribuzione (art. 6 r.d. 8 agosto1833, cit.), oltre i beni considerati dalle norme vigenti di quadel Faro, «le case esistenti ne' comuni infra i duemila abi-tanti, e quelle degli ordini mendicanti, dovunque poste quan-te volte sì le une che le altre servissero per proprio uso, enon si trovassero in tutto o in parte ad altri locate », nonchèle « case a pian terreno esistenti in tutti i comuni della Siciliadi duemila e più abitanti, ove non fossero date in fitto, fuor-chè nelle città di Palermo, Messina e Catania», ed escluse,comunque, le case terrane destinate a magazzeni (116). Questedisposizioni furono parzialmente modificate dal r.d. 5 agosto1845, che, contestualmente all'abolizione del dazio sull'estra-zione degli zolfi, ed alla riduzione dell'aliquota della contri-buzione fondiaria dal 12.50% al 10%, sottopose alla det-ta contribuzione anche le case a piano terreno de' comuni con

(ll4) La premessa del r.d. 17 dicembre 1838 riferisce l'aumento dei prezzidelle derrate all'affiuenza degli emigrati e de' forestieri nella Sicilia, alla per-manenza in essa ed al frequente arrivo delle flotte britanniche, nonchè allevicende politiche e commerciali ch'ebbero luogo in quell'epoca. Secondo PAL'

MlERIDI MICCICHÈ,a), p. 42, e I'affluence d'un teI monde ... avait animé le com-merce, activé le travail, détruit la mendicité; le numéraire abondait, tout pros-pérait en un mot en Sicile ».

(ll5) L'imponibile delle zolfare si calcolò, più tardi, sulla media del ven-tenni o gennaio 1824 - dicembre 1843, sottraendone due anni di massimo e dueanni di minimo (r. 16 luglio 1844 e circo Min. Finanze 8 gennaio 1845, in PE-TITII, II, pp. 205 e 210).

(ll6) Min. Finanze, su cfp. C. contr., 24 maggio 1845, in PETITTI.II, p. 215.

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più di 2.000 abitanti, salvo al proprietario di chiedere lo sgra-vio per non locazione.

Si noti che, secondo l'art. 87 r.d. 17 dicembre 1838(istruzioni per la rettifica del catasto) il catasto siciliano avreb-be dovuto essere corredato di pianta topografìca ; ma poi fuconsentito che si redigessero semplici schizzi (117).

Un espediente di finanza straordinaria, per «l'urgente bi-sogno di riordinare l'economia dello Stato in ogni modo ab-battuta nel corso dei sedici mesi, che tennero in grave scom-piglio la Sicilia, esigendo che si adottino mezzi pronti, e taliche meno pesano sugli indigenti », fu la tassa sulle finestre,i balconi e le botteghe, istituita con r.d. 18 ottobre 1849,che colpiva con l'imposta di 20 grani «ogni finestra o bal-cone ovunque sporgenti» (ad eccezione delle case nei comu-ni con meno di 2.000 abitanti, di quelle degli ordini mendi-canti, di quelle a piano terreno in tutti i comuni abitate dallapovera gente, e di quelle non abitate durante tutto l'anno), econ l'imposta di 40 grani le botteghe, dovuta tante volte quan-ti ne fossero gli ingressi dalla pubblica via. Per l'accertamen-to e la riscossione di questa imposta, alquanto vessatoria, fuemanato il reg. 18 ottobre 1849, integrato con altro, 27 gen-naio 1851; furono istituite delle Commessioni ispettive, com-poste da un decurione e «due soggetti di notissima proibitàed intelligenza non nativi del distretto », che dovevano forma-re i ruoli, e trasmetterli all'intendente, il quale li inviava al di-rettore provinciale perchè si provvedesse alla percezione comestabilito per la contribuzione fondiaria (r.d. 24 marzo 1851);fu anche approvato (r.d. 29 marzo 1852) un regolamentoper i reclami (in/ra, § 182). Opportunamente, tuttavia, il re

(117) R. 21 novembre 1841. cito supru, nota (99); ed istr. Min. finanze, 8febbraio 1843, in PETITTI, II, p. 186.

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«visto il desiderio universale manifestato si per organo dellelegittime autorità per la soppressione della tassa », ne dispose,con r.d. 4 luglio 1853, l'abolizione, in tutti i comuni doveera stata compiuta la rettifica del catasto, e la sostituzione conun'addizionale «del 6% in ragione dell'imponibile ch'è statoattribuito nel catasto urbano a ciascun corpo abitabile », fermarestando la tassa sulle aperture nei comuni «non rettifica-ti» (1l8).

Sopravvisse per qualche tempo in Sicilia la «tassa sullinegozianti », che, istituita con una legge del 1794 (1l9), rap-presentava, più o meno rozzamente, un'imposta diretta suredditi mobiliari, abbastanza insolita in un sistema tributarioche aveva base nella contribuzione fondiaria integrata da con-tribuzioni indirette. Essa colpiva i «mercanti trafficanti, capi-talisti, sborsanti e cambisti del regno tutto », e doveva essereripartita « con nuova regola e metodo, che stimerà convenien-te la Deputazione del regno con aver riguardo alla maggioreo minore riputazione del rispettivo capitale, e del traffico sìinterno che esterno ». La detta tassa veniva applicata per con-

(118) J contribuenti, per eludere l'imposta, muravano le aperture; la luo-gotenenza ordinava di comprenderle ugualmente nei ruoli (circ, 2 agosto 1851,in PETITTI, V, p. 181). Venivano tassate le finestre dei magazzini, e se in questisi esercitava la vendita, si percepiva anche la tassa sulle botteghe (circ. Luog.gen., 6 settembre 1851, ivi, p. 190). I comuni riuniti (infra, § 110) che avevanomeno di 2.000 abitanti, quando, sommando la popolazione del comune concui erano aggregati, superavano tale numero, non godevano l'esenzione (r. 16ottobre 1853, su cfp, CSi, ivi, p. 546). La contribuzione era modesta, ma fa-stidiosa, ed anche antigienica, perchè colpiva la luce e l'aria.

(19) PETITTI, II, p. 454. Era questa, secondo la nostra terminologia, unaimposta, e non una tassa, ma, nella terminologia del tempo, si parlava pro-miscuamente di contrihuti, contribuzioni, diritti, imposte, tasse, etc., per indi-care varie ipotesi di obbligazioni tributarie (SCIACCASCALABRINO).Una «decimastraordinaria» sui negozianti di tutto il regno, per adempiere alle conven-zioni con le reggenze di Tunisi, Algeri e Tripoli, stabilita col r.d. 27 aprile1816, fu abolita col r.d. I" settembre 1828.

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tingente, e cioè la somma prevista nello stato discusso dellaTesoreria generale era ripartita fra le diverse valli, i cui con-sigli provinciali provvedevano a ripartirla tra i distretti ed icomuni. La quota collettiva del comune veniva quindi ripar-tita individualmente da una deputazione comunale; il ruolodi ripartizione veniva reso pubblico mediante affissione; econtro il medesimo erano consentiti i reclami degli interessa-ti (in/m, § 182). La tassa sui negozianti, considerata «ves-satoria », fu abolita col r.d. 27 luglio 1842, allo scopo di « sem-plificare la contabilità pubblica, e facilitare il commercio»;e fu disposto che sulla quota dovuta dalla reale tesoreriaai comuni in conto del dazio sul macino (inlra, § 120) fos-se trattenuta, dal I" gennaio 1843, la corrispondente sommadi ducati 35.400 (art. 4 r.d. cit.).

Per quanto concerne la percezione delle contribuzioni di-rette, il r.d. 8 novembre 1819 aveva conservato provvisoria-mente, ne' reali domini di là del Faro, le norme anteriori, se-condo cui l'esazione della contribuzione diretta, nonchè altreattribuzioni finanziarie (registro, dogane, etc.) erano accentratein funzionari detti «segreti» e «pro-segreti» (120). Il r .d.30 novembre 1824 (vedi anche in/m, § 116) li convertì m«ricevitori distrettuali» e «percettori comunali» (121), ed

(120) Questo ordinamento era stato recepito nella Costo 1812 (AQUARONE,D'ADDIO,NEGRI, pp. 437 55.) che aveva minutamente stabilito il «metodo» del-l'Amministrazione finanziaria. I segreti provvedevano, in ogni distretto, adamministrare e riscuotere tutti gli introiti dell'erario, ed a trasmetterli men-silmente, per mezzo delle compagnie d'armi (infra, § 80), alla tesoreria gene-rale; i pro-segreti risiedevano nelle isole, e nei comuni non capiluoghi di di-stretto, adempivano al medesimo ufficio, e trasmettevano le somme riscosse alsegreto del distretto.

(121) I segreti e pro-segreti dovevano nel termine di 20 giorni dallapubblicazione del r.d. 30 novembre 1824 dichiarare se intendevano continuarenel real servizio come ricevitori o percettori ne' rispettivi comuni, semprecchène fossero meritevoli, e prestassero cauzione (art. 34 r.d. cito).

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50 L'A mministrasione centrale 317

istituì i ricevitori generali ne' capoluoghi di valle, come in con-tinente. Alcune disposizioni speciali per il ricevitore generaledella valle di Palermo furono emanate col r.d. 12 ottobre1827, assimilandolo, «osservate le dovute proporzioni» peril soldo e la cauzione a quello della provincia di Napoli (r.d.12 dicembre 1816).

Conseguenza, peraltro, di questa alquanto tardiva estensio-ne fu che in Sicilia, con reg. 20 dicembre 1826, fu stabilitauna disciplina abbastanza organica delle percezioni, con qual-che perfezionamento rispetto a quella vigente di qua del Faro.È, probabilmente, un ménagement di certe suscettibilità in-sulari che il «piantone », gendarme o soldato, non si do-vesse installare in casa del debitore, ma dovesse restaredurante tutta la giornata innanzi alla porta principale; solo neigiorni di pioggia o freddo il piantone poteva stare dentro, edil debitore era tenuto ad ammetterlo senza alcuna difficoltà oripulsa (art. 7). Varie disposizioni successive avevano integra-to il citato regolamento, prendendo evidentemente occasioneda situazioni locali. Così, per esempio, il r.d. 13 luglio 1828(trasfuso nell'art. 65 r.d. 8 agosto 1833 sul contenzioso) pre-vedeva che, con l'autorizzazione del sindaco, i percettori odesattori potessero fare coltivare, affittare, o utilizzare altri-menti i fondi rustici o urbani, lasciati incolti o abbandonatidai proprietari insolventi (122); il r. 27 luglio 1840 dichia-

(122) Queste disposizioni (Min. finanze, 16 dicembre 1839, su cfp. del pro-curatore generale della GCCP, in PETITII,II, p. 399) furono ritenute applica.bili alla tonnara di Bonagìa, su cui non era stato possibile riscuotere la fondia-ria, perchè da più anni abbandonata dal proprietario, duca di Casteldimirto,nonchè ai mulini, «e ad ogni altra specie di rendita che appartenga alla classedelle rendite civili ». Una circoLuog. gen., 5 febbraio 1845, conforme all'avvisoespresso dal Min. finanze, precisava poi che, sebbene il r.d. 13 luglio 1828, con-trariamente all'art. 65 r.d. 8 agosto 1833, non limitasse la facoltà del proprie.tario, di riprendere in qualunque tempo il godimento del fondo, al solo casoche il medesimo fosse coltivato dall'esattore in economia, era implicito che il

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rava incompatibile l'esercizio, da parte di padre e figlio, difratelli, di zio e nipote, delle cariche di ricevitore, percettoreo esattore nello stesso distretto o provincia (123); la luogo-tenenza generale, con circo 4 gennaio 1841, stabiliva certeprescrizioni per l'efficace riuscita delle «visite a sorpresa»delle casse dei ricevitori, percettori ed esattori (124), etc.

51. Segue : c) L'Amministrazione del registro e bollo.L'Amministrazione generale del registro e bollo (di qua

del Faro) era stata istituita con r.d. 31 gennaio 1809; fu rior-dinata con r.d. 30 gennaio 1817, e col reg. 25 marzo 1817,col nome di «amministrazione generale del registro, bolloe demani », e dopo qualche parziale modificazione (r.d. 15maggio 1820) definitivamente riorganizzata col r.d. 3 otto-bre 1825. Con r. lO marzo 1832, le fu attribuita la riscos-sione del prodotto della crociata (125). Con r.d. 6 agosto1839, le fu riunita l'Amministrazione generale de' reali lot-ti e lotterie, ed assunse il nome di Direzione generale del re-gistro e bollo e de' reali lotti. Di conseguenza, i due ufficid'amministratore generale furono riuniti in quello del diret-tore generale. Un Consiglio d'amministrazione fu istituitocon r.d. 31 marzo 1860. V'erano, inoltre, un segretario gene-rale, un capo di contabilità (che funzionavano da uffiziali diripartimento) ed uffiziali ed impiegati dei vari gradi. Il soldo

proprietario, anche sotto il regime del decreto del 1828, non avrebbe potutoestro mettere l'affittuario prima della scadenza del contratto, stipulato dall'esatto-re avente per legge tutte le facoltà del proprietario. Non avevano quindi Ion-damento le riluttanze, verificatesi in certi comuni, per reperire gli affittuari (sitrattava, in particolare, del comune di Partinico); sol che si raccomandava dilimitare di solito tali contratti ad un anno, ed in particolari circostanze a nonpiù di due (PETITrI, II, p. 424).

(123) Su cfp. eR, in PETITTI, II, p. <H7.(124) PETITTI, Il, loc, ult, cit.;(125) TOMMASINI, I, p.S.

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51 L'Amministrazione centrale 319

del direttore generale era d'annui d. 2.000, e quelli del se-gretario generale e del capo della contabilità di d. 1.200; tuttii soldi erano fissati dall'art. 27 r.d. 3 ottobre 1825.

Uffici periferici erano le ricordate «direzioni provincialide' dazi diretti, del demanio, e de' rami e diritti diversi»(supra, § 50), dette anche «de' rami riuniti» (art. 25 r.d.4 ottobre 1831). ln Napoli, la direzione del bollo e registroera distinta da quella delle contribuzioni dirette (artt. 4 e5 r.d. lO gennaio 1825), ma furono riunite con r.d. 22 set-tembre 1849. Per i lotti, v'erano un ispettore, un contabile,un revisore, un controloro, un capo dell'officina meccanicaper la stampa dei biglietti, e, in ciascuna provincia, un rice-vitore generale. I «postieri» erano, verso il 1836, circa ot-tocento (126).

Il personale dell'amministrazione periferica era costituitoda direttori, controlori, verificatori, tutti di nomina regia; epoichè alla carica di direttore provinciale concorrevano tantogli ispettori controlori del registro e bollo, quanto i contro-lori dei dazi diretti, un r. 9 settembre 1845 stabilì che le pro-mozioni fossero conferite, secondo l'anzianità di grado ed ilmerito, per metà dei posti disponibili ai primi, e per metà aisecondi (127). V'era in ogni provincia, nella città sede deltribunale, un conservatore delle ipoteche; un ricevitore delregistro e bollo in ogni capoluogo di provincia, distretto o cir-condario, e sette in Napoli, nominati dal ministro delle finan-ze su proposta del direttore generale (artt. 8 e lO r.d. 3 ot-tobre 1825); i conservatori e ricevitori dovevano prestare cau-

(126) COMERCI, p. 71. I postieri erano i concessionari dei botteghini; aimedesimi, con r. 9 giugno 1832 ed 11 marzo 1837, fu estesa l'esenzione dallecariche municipali di cui godevano (r.d, 19 luglio 1830) i venditori privilegiatidi generi di privativa (in/ra, § 52), a condizione, per gli uni e per gli altri,dell'effettivo e diretto esercizio della funzione (!'ETITTI, IV, p. 373).

(127) TOMMASINI, I, pp. 7·8.

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zione, secondo le disposizioni, rispettivamente, del r.d. 12giugno 1829, e dell'art. 24 r.d. 3 ottobre 1825 (128).

Il r.d. 4 marzo 1839 istituì, nell'amministrazione, una« scuola teorico-pratica per la istruzione di un determinato nu-mero d'alunni nelle materie legislative ed amministrative dibollo, di registro, di privilegi ed ipoteche, e degli altri ramidella medesima amministrazione ». Il regolamento, della stes-sa data, stabiliva che vi fossero ammessi non più di 12 alun-ni per anno (129), che dovevano «essere iniziati almeno nel-la scienza del diritto, appartenere a famiglie civili, e documen-tare di non essere in urgente bisogno di lucro ». Il corso eraarticolato in tre quadrimestri: nel primo si insegnava la leggedel registro, il regime ipotecario e i diritti d'archivio; nel se-condo, la legge di bollo, i diritti di cancelleria e le spese digiustizia; nel terzo la contabilità amministrativa, e le ideegenerali degli altri cespiti aggregati, e delle antiche scritturedemaniali. Gli alunni che superavano l'esame finale, eranodestinati agli uffici di ricevitore, contabile, segretario di dire-zione o verificatore.

In Sicilia, come si è detto (supra, § 50), l'amministrazio-ne del bollo, registro, ed ipoteche fu istituita con r.d. 19 lu-glio 1819, ma in seguito fu riunita alle contribuzioni dirette,e, salvo nel periodo (1833-1854) in cui si procedette alla-rettifica del catasto, le rimase aggregata, col nome di «Am-ministrazione generale de' rami e diritti diversi ». L'ammini-strazione de' reali lotti era in parte regolata da norme del-l'antico regime; v'era un amministratore generale, ed un se-

(128) I regime di tali cauzioni è ampiamente spiegato da TOMMASINI, I,pp. 48 ss.

(129) Il Min. finanze dispose, il 12 febbraio 1840, l'ammissione d'altridodici alunni «aggiunti », i quali potevano sostenere gli esami, e subentrareagli effettivi che non potessero o volessero completare il corso. Altre notizie81Ù funzionamento della scuola in TOMMASINI, I, pp. 11 ss.

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gretario generale (r.d. 26 ottobre 1830), da cui dipendevanotre amministratori, con la circoscrizione delle antiche vallimaggiori (in/ra, § 97). L'amministratore per la valle di Maz-zara (Palermo) fu abolito con r.d. 23 settembre 1833, ed ilservizio fu riunito all'amministrazione generale.

La legge del registro (21 giugno 1819) e le leggi del bol-lo (30 gennaio 1817 e 2 gennaio 1820) erano comuni ad am-bo le parti del regno.

I diritti di registro erano stati già introdotti di qua delFaro con prammatiche 30 luglio 1786 e 20 febbraio 1804,e con l. 25 giugno 1805, che però ebbero esecuzione sol-tanto nelle provincie di Napoli e Terra di Lavoro (130). Lamateria fu riordinata nel tempo di Gioacchino Murat, conl. 3 gennaio 1809, e con altra, 27 gennaio 1812, che stabilìi « diritti graduali », percepiti più volte quando l'atto contene-va condizioni o patti l'un dall'altro indipendenti (131). Inol-tre, il piccolo numero d'uffici di registratura, che furono alloraistituiti, costringeva gli interessati, in più casi, a viaggi lunghi,pericolosi e faticosi, col rischio, in più, d'incorrere egualmentem decadenza per decorso di termini (132). L'eccessiva gravez-

(130) TOMMASINI,I, pp. 82 ss.(131) Questo sistema, che TOMMASINI,I, p. 83, definisce «di avidità fio

nanziera che lo rendeva oppressivo ed odioso », è in sostanza quello vigente.Con esso, la «tassa di registro », percepita dall'Amministrazione in compensodel servizio d'attribuzione della data certa agli atti registrati, si trasforma inimposta indiretta sugli affari: così infatti il vigente d.P.R. 26 dicembre 1972,n. 634, chiama «imposta di registro» quella che il r.d, 30 dicembre 1923,n. 3269, e le anteriori leggi del regno d'Italia chiamavano ancora «tassa s ,

(132) TOMMASINI,I, pp. 83·84: gli uffizi di registratura, di qua del Faro,erano in origine solo 160. Un r. 21 aprile 1844 (PETITTI,IV, p. 465) genera-lizzava in Sicilia un espediente già sperimentato nel comune di Caltavuturo(Palermo), e, sulla base di pareri della CSi e della CPGCC di Palermo, pre-scriveva che gli atti da portarsi a registrazione in una ricevitoria distante dalcomune fossero tutti raccolti, a cura del sindaco, nelle mani d'un. pubblico

.ufficiale, che doveva provvedere alla formalità, dietro compenso di 5 graniper atto, quando la sede dell'ufficio distasse meno di 5 miglia, e di lO grani

21. LANDI - I.

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za del precedente sistema fu alleviata dalla l. 21 giugno 1819,che generalizzò la registrazione a tassa fissa, e creò la rete ea-pillare delle ricevitorie, fino ai capiluoghi di circondario.

La registrazione eseguita in un ufficio, di qua o di làdel Faro, era di regola valida In tutto il regno (art. lO l.cit.) (133). Venivano registrati gli atti pubblici, ricevuti danotai o da pubblici ufficiali autorizzati a conferire loro pub-blica fede; gli atti privati, cioè rivestiti della sola firma delleparti (art. 1276 ll.cc.); gli atti giudiziari, cioè quelli emanatidalle autorità del contenzioso giudiziario ed amministrativo,dai cancellieri delle autorità giudiziarie, e dagli arbitri (dopol' omologazione); e gli atti degli usceri. Tutti i diritti eranofissi (134), ed applicabili all'atto, e non alle diverse disposi-zioni che conteneva (art. 5 l. cit.); essi venivano percepitidal ricevitore quando eseguiva la registrazione, e parimentidoveva essere annotata, nella relata, che la registrazione eraeseguita «a credito» o « gratis» nei casi previsti dalla legge.Gli atti, secondo i casi, dovevano essere registrati in un ter-mine fisso (135), oppure in caso d'uso (136); e la trasgres-

quando fosse maggiore. Il ritardo derivante dall'intransitabilità di fiumi in casodi piena non dava luogo a multa per tardiva registrazione, quando fosse giu-stificato da un verbale sottoscritto dal sindaco e dal giudice supplente locale.

(133) R. 22 maggio 1850, che ahroga l'art. l r.d. 22 maggio 1832, secondocui non potevano registrarsi in Sicilia scritture private formate da individuiresidenti di qua del Faro. Gli atti giudiziari, invece, andavano sempre regi.strati presso l'ufficio stabilito per legge (TOMMASINI, I, p. 91).

(134) Arti. 60 ss. L 21 giugno 1819. Per esempio, gli atti stipulati da no-taio, ed i testamenti, erano tassati con d. 0,80; le scritture private con d. 0,30;le decisioni definitive della Gran Corte de' conti e della Consulta con d. 4,80;quelle delle Corti supreme di giustizia con d. 4,00, etc.

(135) Nella maggior parte dei casi, non v'era «termine di rigore », magli atti non potevano essere rilasciati se non registrati. Gli alli notarili dove-vano essere registrati nei termini di 5, lO o 20 giorni, a seconda se stipulatinel comune sede della ricevitoria, o in altro comune del circondario, oppurein un comune fuori del circondario (art. 45 n. 2 1. 21 giugno 1819).

(136) Tale criterio si applicava a quasi tutti gli atti delle autorità gìudi-ziarie e di quelle del contenzioso amministrativo, nonchè alle scritture private.

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sione determinava l'obbligo di pagare una multa in aggiuntaal diritto (137). Tali multe furono spesso dalla regia clemen-za condonate (138).

La stessa l. 21 giugno 1819 (artt. 74 ss.) regolava il re-gime ipotecario, cioè le formalità dell'iscrizione, cancellazione,riduzione, trascrizione, nei casi previsti dalla legge, i doveri ele responsabilità dei conservatori, e i diritti ipotecari. Tali di-ritti erano talvolta graduali, talvolta fissi, ed erano sempre au-mentati degli emolumenti spettanti al conservatore, anchequando la formalità era gratuita (139).

La carta bollata era prescritta, di qua del Faro, fin dal1640, per i contratti e gli atti giudiziari; fu poi estesa ad al-tre ipotesi con l'editto 20 aprile 1801. La tassa di bollo furiordinata con l. 9 maggio 1807, e vari decreti successivi nemodificarono (per lo più in aumento) la tariffa (140). Larestaurazione la diminuì (r.d. 5 dicembre 1815), ed il regi-me della tassa fu nuovamente regolato con Il. 30 gennaio1817, e 2 gennaio 1820. La seconda introdusse il bollo ne'reali domini di là del Faro, dove fu ben presto abolito da unr. 5 settembre 1821, finchè, in conseguenza dei disordini del1848-49, fu giocoforza ristahilirlo, col r.d. 16 novembre 1849.

Erano sottoposti al bollo (art. 3 1. 2 gennaio 1820), sal.vo espressa eccezione di legge, tutti gli atti, giudiziari e civili,

(137) Le multe erano pari al doppio diritto (d. 1,60) per i testamenti (art.55 L 21 giugno 1819); di solito erano di d. 6,00; per gli atti dei cancellieridei giudici collegiali, per cui v'era il termine di rigore di lO giorni, erano did. 12 (art. 54 L cit.).

(138) Un elenco di 23 provvedimenti, tra il 1817 ed il 1836, in TOMMA·

SINI, I, pp. 198 S8.

(139) La disciplina dei diritti d'ipoteca è ampiamente esposta da TOM

MASIN4 I, pp. 290 S8.

(140) TOMMASINI, I, pp. 201 ss.

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tanto pubblici che privati, dovendo o potendo far titolo, oessere prodotti per obbligazione, discarico, giustificazione, do-manda o difesa; le copie, spedizioni ed estratti di tali atti, e le

scritture sottoposte al registro in forza della legge o per volon-tà delle parti. Il bollo era «dimensionale », ossia in ragionedella misura della carta di cui si faceva uso (art. 4 l. cit),stabilita per ogni specie di atti (141); o « graduale », cioè inragione delle somme che vi si dovevano esprimere (art. 16 l.cit.) (142) .. Si adempiva a tale formalità o col bollo «or-dinario », cioè servendosi della carta bollata; o col bollo « stra-ordinario », che poteva essere impresso soltanto in Napoli(e Palermo) presso l'Amministrazione centrale, sulle carte,non bollate fin dall'origine, di cui si volesse far uso (artt. 11e 29 l. cit.); oppure col «visto per bollo », che veniva appo-sto, dall'amministrazione centrale o dai ricevitori del re-gistro, sulle carte che non erano soggette a bollo secondo lalegge del tempo in cui erano state formate, oppure che era-no state redatte in carta libera in contravvenzione alla legge,nel qual caso doveva essere percepita anche la multa (art.18 l.cit.). La carta bollata, di più tagli, era venduta aiprivati dai ricevitori, oppure dai venditori di generi di priva-tiva, che la ricevevano dai primi; gli uni e gli altri ricevevanoun premio sulle vendite (art. 50 l. cit.; reg. 7 novembre1829, modificato con r. 28 luglio 1837) (143). La carta veni-va distribuita dal magazzino generale presso la direzione ge-

(141) Il bollo dimensionale era di 3, 6 o 12 grana (art. 15 1. 2 gennaio1820), ed era limitato il numero di rigbe che potevano essere scritte su ognipagina (r.d. Il maggio 1829l.

(142) Il bollo graduale era di grana lO per ogni 200 ducati, fino al mas-simo di d. l,50 da 2.000 ducati in su per qualunque somma.

(14,3) TOMMASINI, I, pp. 215 ss.

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nerale secondo le richieste delle direzioni provinciali, e daqueste ai ricevitori (144).

L'Amministrazione del registro e bollo provvedeva altre-sì alla riscossione dei seguenti altri cespiti di pubblica entra-ta (145):

a) Diritti di cancelleria. Erano il compenso del lavoromateriale nella compilazione degli atti giudiziari, dovuto aicommessi, amanuensi, ed impiegati delle cancellerie, ed il com-penso delle spese d'ufficio. Ne erano esenti gli atti dei giudicidi circondario, delle Gran Corti criminali, e quelli dei Consi-gli d'intendenza, e delle Gran Corti de' conti. La materiaera disciplinata dal r.d. 30 gennaio 1817. I diritti si riparti-vano tra i cancellieri ed il real tesoro.

b) Multe ed ammende. Trattavasi delle multe ed am-mende d'ogni specie, profferite da qualunque autorità del con-tenzioso amministrativo e giudiziario, tanto in materia civileche correzionale, criminale e di polizia. Erano escluse le mulote per contravvenzioni a leggi e regolamenti di polizia urba-na e rurale, riservate al comune (in/ra, § Il 9) ; quelle per con-trabbando di generi di privativa, da esigersi esclusivamentedall'amministrazione de' dazi indiretti (146); e le ammende inmateria forestale, di caccia e di pesca, riscosse dai percettoried esattori delle contribuzioni dirette (art. 180 1. forestale,21 agosto 1826, e reg. 27 dicembre 1822). Le modalità perla riscossione delle ammende giudiziarie civili erano stabilitedal r.d. 7 novembre 1826, modificato dal r.d. 9 settembre1828. La Cassa delle ammende, destinata a provvedere, colprovento delle medesime, «al ristoro de' danni ed interessi,

(144) TOMMASINI, I, p. 211.(145) n regime giuridico di tali cespiti è ampiamente trattato in TOM·

MASINI, II.(146) Circo Min. Finanze, 29 novembre 1820, in TOMMASINI, Il, p. 26.

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e delle spese sofferte principalmente dagl'innocenti perseguita-ti per errori o calunnia ne' giudizi penali, e quindi da' dan-neggiati poveri, purchè i colpevoli che debbono per legge sod-disfare sì gli uni, sì gli altri, non ne abbiano il modo» (art. 35ll.pp.), non fu mai istituita: però, i ricevitori dovevano te-nerne una contabilità separata (147), ed i proventi delle con-travvenzioni di polizia in Napoli andavano versati dai ri-cevitori alla Commessione reale di beneficenza (r.d. 13 mag-gio 1833: in/ra, § 128).

c) Multe contro i notai, dritti ed avvanzi degli archi-vi notarili. La riscossione delle multe contro i notai, per con-travvenzioni alla 1. sul notariato, 23 novembre 1819, ed alr.d. 12 settembre 1828, era stata attribuita ai ricevitori delbollo e registro con r.d, 11 aprile 1829. I dritti d'archivio,secondo la 1. cit., erano riscossi dai notai, e versati ai cassieridelle Camere notariali ; il r.d. 4 ottobre 1831, ed un regola-mento della stessa data, ne prescrisse il versamento ai dettiricevitori. Gli avvanzi erano le differenze attive che, dopoavere soddisfatte le spese, residuavano dei diritti che, secondol'art. 6 r.d. 4 ottobre 1831, venivano riscossi direttamente daicancellieri degli archivi notariali, e che dovevano, con la rela-tiva contabilità, essere versati dal cancelliere al ricevitore.

d) Spese di giustizia. La materia era regolata dal r.d.13 gennaio 1817, e concerneva il recupero delle spese, antici-pate dall'amministrazione, dei processi per trasgressioni, delit-ti e misfatti, celebrati dinanzi ai giudici ordinari, speciali emilitari (148). La tariffa era stata modificata più volte (149).

(147) TOMMASINI, II, pp. 48 ss.(148) TOMMASINI, II, pp. 239 ss. Fra le spese che l'amministrazione del re-

gistro doveva anticipare, erano quelle di trasporto del patibolo, della sua ere-zione e situazione, e di manutenzione, noncbè quelle di vettura, cibario edalloggio per gli assistenti spirituali dei condannati, quando non vi fosse in sede

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Il Ministero di grazia e giustizia raccomandò spesso, con circo-lari ai procuratori generali, la più rigorosa economia in dettespese nella cui effettuazione verificavansi, a quanto pare, nu-merosi abusi: ma le raccomandazioni, con cui si qualificano« superflui» o «inutili» certi atti, non sembrano tenere sem-pre sufficiente conto delle esigenze di giustizia (150).

e) Il prodotto della Crociata. Le «bolle della Crocia-ta » erano documenti pontifici, rinnovati ogni anno, con cui siaccordavano certi privilegi ed indulgenze ai sudditi dei sovra-ni di Spagna, che prendevan la croce per combattere gli in-fedeli, o contribuivano pecuniariamente a tali imprese. Il pro-vento della distribuzione a pagamento delle bolle affluiva,per mezzo degli ordinari diocesani, alla real tesoreria, e, se-condo il r.d. 25 aprile 1823, era destinato all'armamento de'reali legni contro la pirateria; in seguito anche, genericamen-te, ad opere benefiche (151). Un r. 8 marzo 1832 riunÌ taleservizio all'Amministrazione del registro e bollo, con modali-tà che furono determinate dal Ministero delle finanze con reg.

qualche pia istituzione con tali finalità (r. 6 marzo 1822, in TOMMASINI, II,pp. 311 e 312). Il carnefice ed il suo aiutante, stabiliti presso ogni Gran Cortecriminale, avevano un soldo mensrle, rispettivamente, di d. 8 e di d. 5 (circ.Min. grazia e giustizia, 25 marzo 1829, ivi, p. 311), ma poichè di solito eranoprescelti tra i condannati nelle prigioni, si detraeva dalla mesata il valoredella razione viveri (cire. Min. grazia e giustizia, 23 maggio e 20 giugno1821, ivi, p. 311).

(149) La tariffa aggiornata a tutto il 1852 è pubblicata da TOMMASINI, II,pp. 392 ss,

(150) Le circo Min. grazia e giustizia, 20 gennaio 1827 e 7 gennaio 1829(TOMMASINI, II, pp. 319 ss.) inculcavano ai procuratori generali presso le GranCorti criminali d'accordarsi con gli ispettori controlori nel distinguere lespese necessarie da quelle superflue ed inutili; di non moltiplicare gli accesside' giudici istruttori, quando potcvan farsi compiere dai giudici di cìrcon-dario; di non eccedere nel numero de' testimoni tanto a carico quanto a di-scarico; d'evitare i differimenti delle discussioni, etc.

(151) S<;A,DVW, li, {lp. 65 ss.; COLLETTA, a) I, {l. 130, ed Ivi nota di CQRTIISE N.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 51328

7 agosto 1833 (152). L'Amministrazione provvedeva alla stam-pa delle bolle, in esemplari a prezzo fisso (153), ed alla spe-dizione agli ordinari diocesani; questi le affidavano a «di-stributori », che le dovevano pubblicare e predicare, e doveva-no «cooperare con tutti i mezzi della loro autorità per la ri-scossione de' prodotti delle medesime ». Su ogni bolla dìstri-huita a pagamento era trattenuto un premio, da ripartiretra la curia e il distributore; il resto era dal vescovo versatoal ricevitore distrettuale o generale, o alla tesoreria generale,che comunicava la contabilità al direttore generale del registroe bollo.

L'esazione coattiva dei crediti dell'amministrazione era re-golata, oltre che dalla 1. di registro e da decreti reali, dalleistruzioni ministeriali del IO aprile 1817 (154), e si svolgevacon una procedura semplificata, abbastanza simile al nostroprocedimento ingiuntivo per la riscossione d'entrate delloStato (t.u. 14 aprile 1910, n. 639).

Per il recupero di somme non eccedenti ducati 6, il titolod'esazione era il processo verbale dell'agente che constataval'infrazione, approvato dal direttore provinciale, e vidimatodal giudice di circondario. In seguito, veniva notificato aldebitore un ordine di pagamento entro cinque giorni, firmatodal ricevitore, e vidimato dal conciliatore. Se il debitore nonpagava entro il termine, si procedeva nel modo stabilito perl'esecuzione delle sentenze dei conciliatori (artt. 81-89 Il.p.c.),e si poteva anche fare uso dei piantoni come previsto dal r.d.17 ottobre 1822 (r.d. 16 settembre 1831, esteso ai creditidelle Conservazioni delle ipoteche dal r.d. 15 gennaio 1833).

(152) TOMMASINI. II. pp. 95 ss, In precedenza, il servizio era gestito dallaCassa d'ammortizzazione (COI\IERCI, p. 76. ed inira, § 56).

(153) TOMMASINI, II. p. 96.(154) 'fQMMASINI. II. pp. 98 88.

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51 L'Amministrazione centrale 329

Per le somme eccedenti sei ducati, la legge di registro pre·vedeva la notificazione d'una «coazione », ossia d'un ordinedi pagare in un termine che non poteva essere minore di tregiorni, quando la distanza tra il comune di domicilio del de-bitore e la residenza del ricevitore fosse di non più di 20 mi-glia, e cresceva secondo la distanza; la coazione era firmata dalricevitore, e vistata dal giudice di circondario, con che ave-va effiacia di titolo esecutivo (art. 72 L cit.). Spirato inutil-mente il termine, si procedeva agli atti di sequestro e di piognoramento, nonchè all'esecuzione patrimoniale. Le opposizio-ni agli atti cautelativi ed esecutivi erano di competenza del-l'autorità giudiziaria. Tale procedimento era applicahile anchein materia di tasse ipotecarie (art. 112 L cit.), e per i dirittie multe di cancelleria (art. 113 L cit.), ed in genere per ognirecupero di crediti di competenza dell'Amministrazione delregistro e bollo, in forza di vari provvedimenti estensivi.

I «piantoni », secondo l'istr. 26 aprile 1817, ed altresuccessive (155), dovevano essere adibiti secondo il r.d. 23gennaio 1816 (pe' censuari del Tavoliere di Puglia) ma nonpotevano restare in casa del debitore più di dieci giorni. Gliuomini armati (uno per ogni quota di debito scaduto, sino aquattro ducati) erano richiesti dal ricevitore all'intendente,al sottintendente, o al giudice del circondario, indicando lanorma legislativa; e le autorità suddette, vista la giustizia del-la domanda, li accordavano, fissando il numero de' giorni incui dovevano rimanere al domicilio de' debitori.

Varie circolari ministeriali avevano consentito agli ufficidi proporre al ministro delle finanze transazioni sulle multe,quando il credito era superiore a ducati quindici, e di con-cluderle direttamente per somme minori; vietandole, però, in

(155) TOMMASINI, II, pp. 121 BS.

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più casi, come per le multe applicate con sentenza passata ingiudicato, o per quelle inflitte a cancellieri o pubblici funziona-rr per infrazioni ai doveri d'ufficio (156).

52. Segue: d) L'Amministrazione de' dazi indiretti. -L'Amministrazione generale de' dazi indiretti aveva avuto ori-gine, anch'essa, dall'ordinamento dell'occupazione militaresotto cui aveva avuto varie vicende: dapprima (1806) unica,fu con r.d. I" gennaio 1811 ripartita in due diverse ammini-strazioni, delle dogane e dazi di consumo, e dei dritti riserva-ti (privative fiscali), che furono nuovamente riunite nel 1814.Si provvedeva nel medesimo tempo a liquidare l'antico edinefficiente sistema doganale, per cui la rendita dello Stato siera ridotta per la maggior parte in mano dei particolari, e« non rimaneva al fisco che uno scheltro di percezione ed unamisera giurisdizione» (157), provvedendo con l. 24 febbraio1809 alla nuova organizzazione delle dogane e de' dazi. Inquesto periodo, il regime doganale soggiacque al sistema delblocco continentale (decreto dell'imperatore Napoleone, 21novembre 1806); sebbene Gioacchino Murat si fosse volon-terosamente adoperato nella difesa degli interessi economicidel regno (158), tanto che il consumo de' generi colonia-li, pur colpiti da un dazio elevato «al grado di formarne untacito divieto d'immissione », non fu mai interrotto (159).

(56) TOMMASINI,I, p. 94 e II, pp. 133 ss,(57) COMERCI,p. 395. Peraltro, PIGNATELLIDI STRONGOLI,p. 70, afferma

che «non merita particolare menzione l'amministrazione de' dazi indiretti, poi-chè il solo spirito d'asprissima fiscalità continuava a dirigerla, come avvienein qualunque paese, ove non vengono esaminati e discussi gl'interessi dellanazione dai suoi rappresentanti s ,

(158) VALENTE,pp. 299 ss.(59) COMERCI,p. 398. Va aggiunto che secondo PIGNATELLIDI STRONGOLI,

p. 7, «i decreti imperiali di Berlino e di Milano ... mentre erano dannosissimialla navigazione, giovavano in quantochè ~J:olY.uovevano le comunicazioni in-

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52 L'Amministrazione centrale 331

La libertà di commercio con tutte le potenze amiche o neu-trali fu ristabilita con r.d. Il novembre 1813, ed una serie disuccessivi provvedimenti completò la liberalizzazione degliscambi, che poteva dir si almeno teoricamente conseguita almomento del ritorno del re Ferdinando IV. All'occupazionemilitare rimonta pure la riorganizzazione della privativa dimanifattura e spaccio de' tabacchi (r.d. 9 aprile 1808 e 18 ot-tobre 1810), e delle altre che risalivano all'antico regime.

La restaurazione provvide dapprima al riordinamento del-le dogane, con r.d. 5 settembre 1815, e 5 marzo 1816; econ r.d. 26 marzo 1816, ne distaccò l'Amministrazione de'reali lotti, che rimase autonoma, fino alla sua successiva riu-nione con l'Amministrazione generale del registro e bollo(supra, § 51). Indi fu emanata la nuova l. doganale. P giu-gno 1817, e la l. di navigazione, 30 luglio 1818, comuni adambo le parti del regno, e furono conclusi trattati di commer-cio con Spagna, Francia e Inghilterra, ed un trattato di pacecon gli Stati barbareschi (160). La nuova tariffa doganale fuapprovata col r.d, 20 aprile 1817; ed il personale fu riordi-nato con r.d. lO dicembre 1817, e reg. 6 novembre 1819.

Una completa riorganizzazione seguì con un gruppo dileggi del regno di Francesco I: nuova 1. di navigazione, 25 feb-

teme ed ogni specie di manifattura in uno Stato dedito quasi interamente al-l'agricoltura ed alla pastorizia, onde i capitalisti cominciarono ad addirsi aquelle, segnando quest'epoca il principio di molte industrie, che già fanno ra-pidi progressi» (lo scritto è del 1830 circa).

(160) Sulla politica doganale del regno, dopo il 1815, ROMEO, a), pp.207 ss.; PONTI ERI, a), pp. 281 ss, I giudizi dell'uno- e dell'altro sono molto eri-tici, specie per i loro effetti sul commercio siciliano, nè sembra abbia sem-pre sortito utile effetto l'intento di proteggere la navigazione nazionale. Aproposito di certe curiose, recenti polemiche (sent, pretore di Treviso, 30aprile 1974, in Foro it., 1974, II, p. 322), può avere interesse ricordare che ilr.d, 15 febbraio 1860 autorizzò, fino al 31 dicembre dell'anno stesso, l'impor.tazione in Iranchigia doganale c;le~Holii di colza, Se8!1mO,navette e camelina.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie S2332

braio 1826; nuovo ordinamento dell'Amministrazione (r.d. 13aprile 1826, per i domini di qua del Faro, e r.d. 19 aprile1826, per la Sicilia); nuova 1. organica delle dogane de' realidomini di qua e di là del Faro, 19 giugno 1826; 1. sul conten-zioso de' dazi indiretti, 20 dicembre 1826. Seguirono il r.d. 31luglio 1828, che estese alla Sicilia la privativa del tabacco, edil r.d. 18 marzo 1830, che ne stabilì il regolamento e la ta-riffa, ma l'uno e l'altro furono aboliti col r.d. 4 marzo 1831,dimodocchè la Sicilia rimase esente da tale privativa, e la col-tivazione e l'industria del tabacco continuarono ad essere unafonte di ricchezza dell'economia insulare, improvvisamenteestinta, dopo l'unità nazionale, dalla 1. 28 giugno 1874 (161).

L'Amministrazione generale de' dazi indiretti per i rea-li domini di qua del Faro (r.d. 13 aprile 1826) soprintende-va alle dogane, alla navigazione di commercio per la partefinanziaria ed economica, al dazi erariali di consumo stabilitinella capitale e casali, ed ai generi di privativa.

La direzione generale in Napoli (r.d. cit.; r.d. I" luglio1833; r. 27 maggio 1834) (162), era composta dal diretto-re generale, da tre amministratori generali, dal segretario ge-nerale, dal contabile generale, che riuniti formavano il Consi-glio d'amministrazione (gli ultimi due con voto consultivo),Era articolata in segretariato generale (affari generali), con-tabilità generale, e tre ripartimenti, ciascuno diretto da un

(161) DE STEFANOe ODDO,pp. 110·111. I sigari siciliani erano non infe-riori agli olandesi, e l'industria insulare dava lavoro a circa 5.000 operai, chefurono ignominiosamente licenziati non avendo voluto il governo italiano deltempo istituire nell'isola una manifattura di Stato. Si avvantaggiarono certi col-tivatori, ma non lo Stato. Secondo VILLARI,p. 55, una cassetta di sigari sici-liani, della produzione Salemi, che costava in Sicilia,' nel 1866, lire 4, pagavaalla dogana di Livorno lire 44 di dazio. Ed i sìgari venduti tn Livorno < nontiravano» (ivi, p. 56).

(162) COMEReI,p. 62.

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52 L'Amministrazione centrale 333

uffiziale, per le dogane e dazi di consumo, per le privative,e per il contenzioso.

Dalla direzione generale dipendevano otto ispezioni terri-toriali, tra cui era ripartito il litorale, e sette ispezioni in Na-poli, delle quali una per il servizio interno della gran dogana(da cui dipendevano gli «ispettori sedentanei »), due. per iservizi esterni (« di terra» e «di mare »), uno per le priva-tive, e tre per i dazi di consumo. In ogni provincia, v'era undirettore provinciale (in Napoli, ve n'erano quattro); in ognidistretto, un controloro; ed alle percezioni attendevano i rice-vitori, con uffici presso le dogane ed i fondaci, e per i dazidi consumo. Attribuzioni concernenti i rispettivi stabilimentiavevano i direttori delle saline di Barletta e d'Altomonte,della polveriera di Torre Annunziata, e delle fabbriche di ta-bacchi di Napoli e di Lecce.

L'Amministrazione generale de' dazi indiretti di là delFaro (r.d. 19 aprile 1826) soprintendeva alle dogane di Si-cilia; al portofranco di Messina (163), alla navigazione dicommercio, al bollo sulle carte da gioco, ai banchi frumentaried alla decima sulle prede. Alla medesima era riunita l'Am-ministrazione generale del màcino, che ne fu poi separata colr.d. 12 novembre 1855.

All'Amministrazione era preposto il direttore generale, conun segretario generale, un capo contabile, ed altri impiegati.

(163) Il porto franco di Messina, istituito da Enrico VI nel 1197, soppres-so da Carlo II dopo la rivoluzione del 164749, restituito da Ferdinando III(IV) con editto 5 settembre 1784, fu oggetto di provvedimenti doganali i cuirisultati furono talvolta negativi, ma perdurò sotto il regime unitario fino al31 dicembre 1879, benchè, con legge l° maggio 1865, fosse soppresso dal Par-lamento italiano, come istituto contrario ai principi dell'eguaglianza civile.Molte notizie, e bibliografia, in Messina e dintorni, pp. 168 88., pubblicazioneanonima sotto titolo modesto, ma opera d'una équipe di studiosi che rappre-sentava la più distinta intellettualità messinese dei primi anni di questo se-colo. Vedi anche infra, § 136.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 52334

Le direzioni provinciali erano stabilite in Palermo, Catania,Siracusa (poi Noto), Girgenti e Trapani; Caltanissetta dipen-deva dalla direzione di Catania. V'erano ispettori sedentaneinelle dogane di Palermo, di Messina, e nel portofranco; con-trolori sedentanei in ciascuna provincia; e controlori attivi,destinati nelle rispettive valli secondo il bisogno.

L'Amministrazione del màcino, nel periodo in cui era uni-ta a quella de' dazi indiretti, aveva la struttura d'un riparti-mento, con un proprio capo, dal quale dipendevano ispettori,ricevitori, e custodi pesatori (r.d. 27 luglio 1842).

Il servizio delle dogane e dazi indiretti, di qua e di là delFaro, si distingueva in «attivo », «sedentario », e «misto ».

Il servizio attivo era disimpegnato in terra da forieri, bri-gadieri e guardie, ed in mare da piloti, cannonieri, marinarie garzoni: questo era, però, personale civile, e la forza mili-tare era somministrata dalla gendarmeria. Il servizio sedenta-rio era svolto dagli ispettori e controlori sedentari, dai ricevi-tori, e da altri impiegati con permanenza fissa. Il servizio mi-sto era svolto da ispettori, controlori e tenenti. Una parte delpersonale attivo prestava servizio a cavallo, per la custodia del-le coste e delle frontiere di terra. Nel 1817 fu formata, per lapiù esatta ripartizione del servizio, una carta topografica do-ganale, con l'indicazione di ciascuna dogana, de' rispettivi po-sti di guardia, de' fondaci di generi di privativa, delle saline,delle fabbriche di tabacchi, delle polveriere, e delle estensionidelle direzioni, ispezioni, controlli e tenenze (164).

Le tariffe doganali erano applicate, secondo i generi, apeso o a misura, e qualche volta a numero, ed egualmentequelle dei dazi indiretti.

(164) COMEReI, p. 399. È anticipazione di provvedimenti, oggi frequenti,d'interesse sociale, l'istituzione d'un certo numero di «commessi bollatori >sordomuti (r.d. 18 settembre 1856 e 22 maggio 1858).

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52 L'Amministrazione centrale 335

Per i reati di contrabbando, era competente il giudicede' dazi indiretti, o il giudice di circondario, secondo le di-sposizioni della l. 20 dicembre 1826 (in/ra, § 142). Il giudi-ce procedeva in via correzionale per i reati puniti di prigionia,seguendo le forme previste dalle ll.p.p., ed in linea civile, se-condo le forme previste dai titoli V e VI l. cit., quando trat-tavasi di contravvenzioni punibili con la confisca e l'ammenda.I contrabbandieri colti in flagranza venivano arrestati, e pote-vano, per ordine del ministro di polizia, essere relegati nel.l'isola di Ponza per non più di quattro mesi (165). Le auto-rità giudiziarie, procedenti nelle dette materie, potevano ispe-zionare i registri delle dogane, senza dichiarare l'oggetto del-l'indagine, e senza autorizzazione del ministro delle finanze,che era necessaria solo per asportare i registri (166), e sot-toporre a perizia i generi contestati, con l'obbligo di affidarela perizia a persone non impiegate nelle regie dogane (167).Queste disposizioni, in Sicilia, furono dichiarate applicahilialle contravvenzioni concernenti il dazio sul màcino, salvo perla competenza territoriale, che spettava sempre al giudice dicircondario, ed era identificata dal luogo di compilazione delverbale (art. 35 istr. approvate con r.d. 27 luglio 1842; art.35-38 istr. luogo gen. 23 agosto 1849) (168).

In Sicilia esisteva il dazio fiscale (cioè statale) sul màcino,di d.1.36 per salma. Col r.d. 17 dicembre 1838 fu ridotto agrani 96 per salma (tranne in Palermo, Messina, Catania eCaltagirone), e riordinato, « considerando che ... sia quello chepiù direttamente graviti su la classe più povera delle popo-

(165) R. 11 gennaio 1828 (COMERCI, p. 465).(166) Min. Finanze, 6 marzo 1822 (COMERCI, p. 589).(167) R. 6 giugno 1829 e 6 novembre 1830 (COMERCI, p. 589).(168) Le istr. Luog. gen. 23 agosto 1849 sono pubblicate da PETITTI, II,

pp. 445 ss.

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336 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie S2

lazioni, e che i modi introdotti in Sicilia per esigerlo siano ipiù dannosi, e tendano specialmente ad inceppare l'industriarurale, il di cui miglioramento» formava la prima cura delre Ferdinando II. Furono tra l'altro aboliti, dal 31 dicembre1838, gli appalti del cosiddetto «màcino rurale », che parefosse il metodo d'esazione più vessatorio, concedendo un ab-buono proporzionale sul debito degli appaltatori, nella misu-ra disposta secondo i casi dal direttore generale de' dazi indi-retti, ma stabilendo, però, che contro tali decisioni fosse datosolo ricorso al re, esclusa la competenza dei tribunali nonchèdei giudici del contenzioso amministrativo (art. 12 r.d. cit.).Le norme del 1838 lasciavano a carico dei comuni, sotto lavigilanza del direttore generale dei dazi indiretti e dell'inten-dente, l'appalto delle collettorie, e la vigilanza sulle riscos-sioni. Il r.d. 27 luglio 1842, e le allegate istruzioni, mutaronoinvece il sistema (tranne che per Palermo, Messina e Lipari)unificando nella direzione generale de' dazi indiretti l'ammi-nistrazione del màcino regio e di quello comunale (in/m,§ 120). Il dazio era dovuto una sola volta, sulla macinazio-ne del frumento, orzo e granone, nella misura di d. 1.28 persalma (pari alla somma del dazio fiscale di grani 96, e delmassimo dazio comunale, di grani 32); e la Tesoreria gene-rale versava bimestralmente ai Comuni «a strasatto », cioèsalvo conguaglio, la somma indicata in un'apposita tabella«come equivalente del massimo macino comunale calcolatosul piede attuale della percezione », La riscossione era ese-guita direttamente dall'amministrazione dello Stato, per mez-zo di propri impiegati, fino ai custodi-pesa tori, tutti retribuiticon annuo soldo. Il regolamento per il personale, e per ilservizio di riscossione, furono approvati con r.d. 28 marzo1856.

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:52 L'Amministrazione centrale 337

Quando, dopo i disordini del 1848-1849, il dazio delmàcino, abolito dal governo separatista, fu ristabilito in Sici-lia, l'ordinanza luogotenenziale 23 agosto 1849 (169) abolì laeccezione per Palermo e Messina (conservandola provvisoria-mente per Lipari), ed approvò un nuovo testo d'istruzioni,modificative in parte di quelle del 1842. La macinazione po-teva avvenire soltanto nei molini, costruiti secondo specialicautele per consentirne la vigilanza, e soggetti in qualsiasimomento a visite ispettive; la quantità di grano, che il con-tribuente (« conduttore») voleva condurre al mulino, dove-va essere da lui dichiarata al ricevitore, con contestuale pa-gamento della tassa di 50 grani per cantaio (circa 80 kg.).Il grano doveva essere pesato dal custode-pesatore all'ingres-

(169) Cito supra, nota (168). Il dazio sul macino, come è detto nell'art. 8dell'atto sovrano 13 agosto 1847, non poteva essere abolito in Sicilia, perchèformava «fin dal principio del secolo decimo sesto una delle principali risorsedi quella fìnanza s , Lo sgravio disposto col r.d. 17 dicembre 1838 implicava,per le reali finanze, un deficit di circa ducati 400.000, cui si voleva supplirecon l'ugual somma ritratta dal contratto pel commercio dei zolfi (art. 2 r.d.cit.) con la compagnia francese Tayx et Ayard; il quale contratto diè luogoalla notissima vertenza col governo britannico, alla cui iattanza il regno dovèfinalmente acquiescere; ma il re «che già si trovava avere abolito il macino ...noI volle ripristinare ~ (DE SIVO, a), I, p. 64: non si trattava, però, di e abo-lizione ~ ma di riduzione). Il dazio sul macino, come ogni altra imposta de-cretata dall'autorità borbonica dopo il 15 maggio 1849, fu abolita con decreto19 maggio 1860 del dittatore Garibaldi (COMITATOCITTADINO,p. 80). Le altreimposte istituite dopo il 15 maggio 1849 erano la tassa sulle finestre, balconie botteghe, e la sovrimposta sugli edifici, che la sostituiva ne' comuni dovevigeva il nuovo catasto (supra, § 50). L'imposta sul macinato fu ristabilita dalregno d'Italia con l. 7 luglio 1868, e rimase in vigore fino al l° gennaio 1884.DE STEFANOed ODDO,p. 128, rilevano l'aggravio fiscale piombato sull'isola inconseguenza dell'unificazione, ed aggiungono che «liberata per pochi anni dallatassa sul macinato, la Sicilia, come le altre regioni d'Italia, ma forse con con-seguenze più gravi che altrove, tornò ad essere sottoposta a quella tassa, inodio alla quale i ceti più poveri si erano mossi a combattere accanto a Ga·ribaldi, o ad adoprarsi fatti vamente per il trionfo della rivolusione s , La ri-duzione operata nel 1876 ebbe nella Sicilia - paese dove non si consumavapolenta, nè pane d'orzo - effetti insignificanti (ivi, p. 129).

22. LANDI • I.

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338 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie S2

so del mulino, e la pesatura doveva ripetersi per la farina,a macinazione avvenuta. La regolarità delle operazioni eraattestata da una triplice bolletta, della quale un esemplare re-stava al ricevitore, altri due dovevano essere consegnati dalconduttore al mugnaio al momento dell'introduzione del gra-no; e di questi, uno restava al mugnaio stesso, e l'altro, col«visto uscire» appostovi dal custode-pesatore, era restituitoal contribuente. Le istruzioni stabilivano le multe per con-travvenzioni, e contenevano, inoltre, disposizioni fiscali sulcommercio del pane, paste, farine e biscotti.

Le privative fiscali, o dritti riservati, erano le seguenti:

a) Sale. La privativa del sale era, in continente, mol-to antica; in Sicilia, per contro, non fu mai stabilita. Il salemarino veniva estratto nelle saline di Barletta e di Trapani;il salgemma dalla miniera d'Altomonte in Calabria Citeriore.Sotto l'antico regime, ed ancora al tempo dell'occupazione mi-litare (r.d. 11 giugno 1806), per ovviare al contrabbando,ed ai saccheggi delle miniere calabresi, che avevano fattofortemente diminuire gli introiti, era stato imposto il «saleforzo so », cioè l'obbligo per ciascun capo famiglia di acqui-stare un certo quantitativo di sale dal regio fondaco (5 rotolia testa, cioè circa kg. 4Y2); ma l'esito fu negativo, e dal1810 questa contribuzione fu abolita. Ottenne invece un ri-sultato positivo il sistema, adottato nel 1818, d'obbligare iricevitori a smaltire una prestabilita quantità di sale, accor-dando loro un premio sul di più (170). I censuari e locatidel Tavoliere di Puglia avevano diritto ad una distribuzione

(170) COMERCI, pp. 100401. Un r. 13 luglio 1827 (PETITTI, IV, p. 174) con-sentiva alle popolazioni de' comuni litorali d'attingere acqua marina, per ba-gni medicinali o altri urgenti bisogni, con vasi di capacità non maggiore di4 caraffe (l caraffa = litri 0,727), fermo il divieto di cristallizzarne i sali. edi trasportare l'acqua marina nelle campagne, o in paesi interni.

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di sale a metà prezzo, in ragione di 2 rotoli per ogni lO car-lini di fida (artt. 69 ss. 1. 13 gennaio 1817), da ritirare neiluoghi, nei tempi e nei modi stabiliti dal ministro delle finan-ze (171). La disciplina giuridica delle rivendite di privativeera stabilita dal r.d. 29 gennaio 1817, e dal regolamento lOmarzo 1817.

b) Tabacchi. Anche questa privativa rimontava all'anti-co regime, e, come si è visto, era stata riordinata dall'occu-pazione militare, e non esisteva in Sicilia. Le manifatture era-no in Napoli e Lecce, e lo spaccio, in continente, avvenivanelle rivendite dove era in commercio anche il sale (172).

c) Carte da gioco. Consisteva nel bollo, che dovevasiapporre sui mazzi, ed era la sola privativa fiscale applicatam Sicilia.

d) Polvere da sparo. Anche la fabbricazione e lo smer-cio della polvere erano stati privativa regia sotto l'antico regi-me; sviluppata, per necessità della guerra, durante l'occu-pazione militare, che aveva istituito, alle dipendenze del Mi-nistero della guerra, l'Amministrazione delle polveri e salni-trio Questa amministrazione si avvaleva già dei rivenditoridei generi di privativa per lo smercio al pubblico, e fu defì-nitivamente aggregata alla Direzione generale de' dazi indiret-ti col r.d. 5 aprile 1819 (173).

e) Neve. Questa privativa, di remota origine, concer-neva soltanto Napoli e casali, ed era stata ordinata in regìainteressata con r.d. 27 agosto 1814.

(17l) La distribuzione era disciplinata da un reg. min. del 1817, e daaltro, 6 agosto 1831 (PETlTTI,V, pp. 25 e 49). Con r. 27 aprile 1835 (ivi, p. 61)fu vietato il patto con cui i censuari si riservavano il sale, lasciandone privii fittaioli delle poste erbifere che a quelle terre menavano i loro animali.

(172) COMERCI,p. 401. Vedi anche supra, nota (126).(173) COMERCI,p. 402.

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53. Segue: e) la Tesoreria generale. - La Tesoreria ge-nerale era l'organo che raccoglieva tutti gli introiti del regno,e teneva il conto degli introiti stessi e degli esiti (174).

La ben nota divisione delle amministrazioni di qua e dilà del Faro, e delle conseguenti entrate e spese, aveva deter-minato l'istituzione di due tesorerie generali, l'una in Napo-li (r.d. 27 dicembre 1815), e l'altra in Palermo (r.d. lO gen-naio 1825), con organizzazione simile. La tesoreria di Napoliamministrava le entrate e le spese dei domini di qua del Faro,e le spese comuni alle due parti del regno. Queste, nelle qualila tesoreria generale di Sicilia doveva concorrere per un quar-to, riguardavano la casa reale, il Consiglio di Stato, i mini-steri; gli assegni vitalizi del marchese Ferreri, del duca diGualtieri, del principe di Cutò, del principe di Campofranco,e del cav. Mastropaolo (175); le spese per gli affari esteri,per la guerra e marina, per regali alle potenze barbare.sche (176), e quelle delle pensioni militari, e dei sussidi aimilitari esclusi dall'armata (r.d. 31 luglio 1828) (177). In

(174} COMEReI,pp. 57 55. e 358 55. COLLETTA,a), II, p. 251, definisce talesistema, introdotto da Giuseppe Bonaparte, di c:semplicità meravigliosa e du-rabile :).

(175) Il marchese Gioacchino Ferreri era sato ministro presso il luogo.tenente in Sicilia, dal 1816 al 182(}; Carlo Avarna duca di Gualtieri era statoministro per gli affari di Sicilia dal 1822 al 1824; Nicola Filangieri, principedi Cutò, fu luogotenente in Sicilia negli anni 1821·22, e fu sostituito da An·tonio Lucchesi Palli, principe di Campofranco; il cav. Antonino Mastropaolo,consigliere della Corte suprema di giustizia, fu nominato nel 1821 direttoredel ministero per gli affari di Sicilia in Napoli, e l'anno successivo direttoredel Ministero presso il luogotenente. Si trattava perciò di pensioni dovute adalti funzionari siciliani, tutti deceduti alla data del successivo atto sovrano27 settembre 1849.

(176) Trattasi dell'annuo tributo di 40.000 piastre dovuto alle reggenzed'Algeri, Tunisi e Tripoli per trattati del 3, 17 e 29 aprile 1816, in relazioneal quale fu percetta, per qualche tempo, l'imposizione straordinaria, stabilita conr.d. 27 aprile 1816 (CORTESEN. in COLLETTA,a), 111, pp. 83 ss.; supra, nota 119).

(177) Trattasi de' militari cassati dai ruoli in attuazione de' provvedimentic:epurativi > del 1821: injra, § 84.

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seguito, con l'atto sovrano 27 settembre 1849, il contributod'un quarto riguardò solo le spese di casa reale, affari esteri,e guerra e marina. Ogni altra spesa concernente la Sicilia, face-va carico alla tesoreria generale di Palermo.

La tesoreria generale di Napoli (il cui funzionamento, ol-tre che dal r.d. 27 dicembre 1815, cit., fu regolato da vari de-creti successivi: r.d. 19 gennaio 1816, lO febbraio 1817, 23giugno 1818, 15 dicembre 1823) dipendeva dal ministro dellefinanze, ed era articolata in quattro uffici: controloria genera-le, scrivania di razione, tesoreria d'introito, pagatoria genera-le. Capi di tali uffici erano il controloro generale (che avevafunzione di sostituto del ministro), lo scrivano di razione, il te-soriere generale, ed il pagatore generale. Ogni ufficio aveva unsegretario generale, ed era diviso in ripartimenti. Alla contro-loria generale erano addetti due ispettori generali di contabili-tà. Presso la tesoreria generale era costituita l'agenzia delcontenzioso (r.d. 21 aprile 1820, 15 dicembre 1823, e 30 di.cembre 1831), incaricata della tutela e della difesa degli inte-ressi e dei diritti della tesoreria generale, e della suprema ispe-zione su tutti i giudizi attivi e passivi dell'amministrazionefinanziera (in/ra, § 186). I quattro capi d'ufficio, con lapresidenza del ministro (ed, in sua assenza, del controloro ge-nerale) formavano il Consiglio di tesoreria, per la decisione ditutti gli affari relativi al servizio interno, e per esprimere pare-re sugli affari che gli venivano sottoposti dal ministro. L'agentedel contenzioso interveniva in Consiglio per esercitarvi lefunzioni del pubblico ministero; il segretario generale dellaControloria generale funzionava da segretario; tutti i segretarigenerali e gli ispettori generali potevano intervenire, con votoconsultivo.

L'organizzazione periferica era costituita da controlori pro-vinciali, da controlori distrettuali (aboliti col r.d. 6 settembre

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1825, che ne trasferì le funzioni ai sottintendenti); ricevi-tori generali e distrettuali (nei capiluoghi di provincia e didistretto), equiparati rispettivamente ai capi-ripartimento ecapi-sezione (178); e da « sostituti» dei quattro capi d'ufficio,stabiliti in Palermo e Messina, per i servizi dell'amministra-zione di guerra e marina ne' reali domini di là del Faro.

La tesoreria generale di Palermo aveva un'organizzazionein tutto simile: quattro uffici (ma l'ispettore generale di con-tabilità era uno solo), agenzia del contenzioso, Consiglio ditesoreria, e come organi periferici i controlori provinciali (abo-liti anche qui i distrettuali) ed i ricevitori generali e distret-tuali.

Il concetto organizzatorio della tesoreria generale era quel-lo di concentrarvi tutte le contabilità dello Stato, e tutti i con-trolli: di questi, ciascuno riguardava una parte degli introitie delle spese del tesoro, mentre dalla loro riunione risultava ilcontrollo generale delle operazioni della tesoreria, d'ognigenere (179).

I rami d'introito erano le contribuzioni dirette, quelleindirette, il registro e bollo, le lotterie ordinarie e straordina-rie, le poste, la moneta (zecca), il demanio pubblico, i pro-venti de' ponti, strade, acque, foreste e caccia, i diritti dicancelleria, la crociata, gli introiti straordinari ed in generaleogni altra percezione o provenienza interessante il pubblicoerario. Gli introiti, riscossi dagli agenti dei diversi rami, eranoraccolti dai ricevitori generali e distrettuali, che erano gli agen-ti diretti della tesoreria, alla quale facevano periodici ver-samenti.

Gli esiti erano fissati negli «stati discussi », ossia stati diprevisione della spesa, dei singoli ministeri, approvati .per

(l78) COMERCI, p. 367.(l79) COMERCI, pp. 496497.

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ciascun anno con decreto reale, su proposta del ministro com-petente, d'accordo col ministro delle finanze. Gli esiti eranodistinti per capitoli ed articoli, e distribuiti per classi, condivieto d'invertirli dall'uno all'altro capitolo, senza autorizza-zione per real decreto. La pubblicazione degli stati discussi,peraltro, non fu mai ordinata, e solo dal 1857 apparvero nellaCollezione i quadri dell'entrata complessiva e della spesacomplessiva di ciascun ministero (supra, § 12).

Le attribuzioni dei quattro uffici, secondo l'ordine logicodelle procedure d'introito ed esito (180), erano le seguenti:

a) Tesoreria d'introito. - Il tesoriere generale racco-glieva tutti gli introiti dello Stato, che gli venivano versatidalle ricevitorie generali, dai sostituti in Palermo e Messinaper le spese comuni, e quelli che venivano versati, nellaCassa centrale presso la tesoreria, dai ricevitori stabiliti inNapoli e suoi casali. La cassa di tesoreria era divisa in «nu-merario» e «portafoglio»: il numerario era rappresentatodalla madrefede del Banco (in/ra, § 54), ed il portafoglioconteneva le cambiali, obbliganze, dichiarazioni di debito,e qualunque altro valore da regolarizzarsi. Gli esiti di ciascunministero erano eseguiti dal pagatore generale con i fondipassatigli in conformità degli stati discussi dal tesoriere ge-nerale, in polizze di banco, o con valori rappresentanti nume-rario sui fondi passati dal tesoriere al pagatore. Il tesorieregenerale formava ogni semestre il bilancio degli introiti edesiti, che, previo esame del controloro generale, era trasmessoalla Gran Corte de' conti (in/ra, § 185). Le polizze rimasteindistribuite a fine d'anno formavano oggetto d'un contoseparato, che il pagatore generale rendeva al tesoriere gene-rale, ed il loro importo, dopo avere accantonato una riserva

(180) COMERCI, pp. 358 ss,

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per le eventuali richieste degli interessati, veniva impiegato,con l'autorizzazione del ministro, nell'acquisto di rendite iscrit-te nel Gran libro.

b) Scrivania di razione. - Il regio scrivano di razioneprovvedeva alla spedizione delle liberanze, cioè alla liquida-zione dei diritti e spettanze, per tutti i pagamenti a caricodello Stato ne' domini di qua del Faro, e per i pagamentirelativi ai rami di guerra e marina nei domini di là del Fa-ro (181). Tali spese erano distinte in tre classi, nella prima del-le quali rientravano i soldi, soprassoldi, indennità, etc., nonchèle somministrazioni di viveri e foraggi per le truppe di terra edi mare; nella seconda le altre spese per oggetti specificatinegli stati discussi dei singoli ministeri; e nella terza le spesestraordinarie ed impreviste. Le spese della prima classe eranodefinite, e perciò potevano essere disposte, sotto la responsa-bilità dello scrivano di razione e del controloro generale, inbase agli «assienti» (ruoli di spese fisse) ed ai documenti;per le spese di seconda e terza classe occorreva l'ordinativodel competente ministero. Le liberanze, verificate e vidimatedal controloro generale, venivano spedite dallo scrivano dirazione al pagatore generale. Per il pagamento di soldi ed emo-lumenti veniva utilizzato il sistema degli «appoderati », cheerano funzionari dei ministeri, i quali ricevevano dalla scri-vania di razione gli elenchi, o stati generali, degli individuidi ciascuna appoderazione, con indicato l'importo di quantoloro dovuto, nonchè un «abbuonconto» mensile, cioè unasomma pari al totale dei pagamenti da farsi in conformitàdello stato generale, e degli aggiornamenti comunicati dallascrivania di razione. V'erano pure, presso le singole ammini-strazioni, degli «appoderati di spese urgenti », i quali prov-

(181) COMERCI, pp. 58 e 359·360.

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vedevano anch'essi, su fondi accreditati loro dalla scrrvama,ai pagamenti urgenti per esigenze da soddisfarsi, come noidiremmo, «in economia ». Gli appoderati rendevano il contomateriale alla scrivania di razione. Lo scrivano di razione as-sisteva alle Commessioni d'incanto per le forniture dell'eser-cito e della marina, e poteva compiere ispezioni amministra-tive presso qualunque corpo, previo avviso al ministro dellaguerra e marina. I conti della scrivania di razione, distinti perministeri, venivano chiusi al 31 dicembre d'ogni anno, veri-ficati e vidimati dal controloro generale, e presentati al mi-nistro delle finanze, e, per estratto, a ciascun ministero. Icrediti residuati di ciascun capitolo venivano riportati sullostato discusso dell'anno successivo, ma se restavano ancoradisponibili alla fine di tale anno, venivano definitivamenteannullati, e divenivano fondi liberi. Il decorso del biennionon incideva, peraltro, sugli eventuali diritti degli interessati,che potevano essere soddisfatti sul fondo, iscritto nello statodiscusso d'ogni ministero, per conto arretrati d'esercizi chiusi ..

c) Pagatoria generale. - Questo ufficio formava «ilcentro dispositivo di tutti i pagamenti a carico dello Sta-to» (182), che avevan corso in forza delle liberanze del regioscrivano di razione, riconosciute regolari ed autorizzate perl'esecuzione dal controloro generale. Poichè, per lungo tem-po, il Banco delle Due Sicilie non ebbe sportelli in provincia(in/ra, § 54), i pagamenti soltanto nella capitale facevansicon polizze di banco, mentre per i pagamenti in provincia lapagatoria generale traeva mandati sulla cassa del ricevitoregenerale, disponendo dei fondi assegnatigli dal tesoriere ge-nerale. I ricevitori generali dovevano inviare i loro conti alpagatore generale, il quale, col visto del controloro genera-

(182) CoMERCI, p. 59.

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le, li univa al conto che doveva presentare annualmente allaGran Corte de' conti. Il conto del pagatore generale dovevaindicare in entrata le somme somministrate dalla tesoreria ge-nerale, ed in uscita le somme pagate secondo le liberanze dellascrivania di razione, talchè l'introito della pagatoria generaledoveva corrispondere all'esito della tesoreria generale.

d) Controloria generale. - Poichè, come abbiamo os-servato (supra, § 38) la Gran Corte de' conti esercitava sol-tanto una funzione di giurisdizione contabile, il solo organo ge-nerale di controllo giuridìco-amministrativo sulla finanza pub-blica era il controloro generale, funzionario, bensì, d'altissimoprestigio, essendo considerato sostituto del ministro delle fi-nanze, ma, comunque, da lui dipendente. «Tutti gli introiti,tutti gli esiti, qualunque atto e qualunque operazione che ese-gu ( ivansi) nella Tesoreria non (ercmo) riputati validi senon (erasene) presa ragione dal controloro generale» (183).Questa «presa di ragione» presupponeva un «esame» del.l'atto e dell'operazione, e formalmente si manifestava conuna «vidimazione ». La dottrina contemporanea non paresi fosse mai posta il problema, se il detto esame dovesse cirocoscriversi alla legittimità (ma pare certo che il controlorogenerale non poteva in nessun caso sindacare il merito dirisoluzioni sovrane o ministeri ali). E non risulta nemmenoprecisato se l'intervento del controloro fosse da considerareun elemento di validità dell'atto (come risulterebbe dalleparole, sopra citate, d'un giurista del tempo), il quale avreh-be avuto quindi una struttura soggettivamente complessa, ose, come sembrerebbe maggiormente plausibile, una condì-zione d'efficacia di atti ed operazioni d'un organo diverso. In-durrebbe, appunto, a tale ultima conclusione la circostanza

(183) COMERCI, p. 365.

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che il controloro generale non era considerato « contahile ma-teriale », cioè non lo si reputava come un agente che avessediretto maneggio di valori: doveva hensì rendere alla GranCorte de' conti un «conto morale» (inlra, § 183), distintoin tre dimostrazioni, in concordanza con i conti del tesorieregenerale, dello scrivano di razione, e del pagatore generale.Ma è superfluo approfondire, con gli strumenti giuridici d'og-gi, questioni che erano estranee allora o non rilevanti. Ilcontroloro generale vigilava le ricevitorie generali e distrettua-li per mezzo dei controlori provinciali e distrettuali, e, sullahase delle liheranze della scrivania di razione, proponeva alministro ed al tesoriere generale le assegnazioni e ripartizionidi fondi per la pagatoria generale e le dipendenti ricevitorie.

Attrihuzioni consultive presso la Tesoreria generale eser-citava l'agente del contenzioso, al quale, oltre alla supremaispezione dei giudizi, spettava esprimere parere sulle restitu-zioni di cauzioni dei contahili e ricevitori, sulle cancellazionidelle relative ipoteche, e su tutti i contratti, per la cui stipu-lazione promoveva l'autorizzazione del ministro, apponevale riserve o proteste sulle polizze e fedi di credito per paga-menti della Tesoreria, e poteva essere in ogni caso consultatofacoltativamente dal ministro (in/ra, § 186).

Identiche erano le funzioni dei corrispondenti uffici dellaTesoreria generale di là del Faro.

54. Segue: f) il Banco delle Due Sicilie ed il Banco de'reali domini oltre il Faro. - Poichè gran parte dei pagamentidella Tesoreria generale di Napoli facevasi in polizze di han-co, il Banco delle Due Sicilie era in im:mediata corrispondenzacon essa e ne formava il necessario completamento (184).

(184-) COMERCI, p. 359.

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La riunione de' vari banchi, esistenti in Napoli da epocaremota, in unico «regio banco nazionale », era stata già pre-vista nel 1792 dal Governo borbonico (185). Giuseppe Bo-naparte in un primo tempo (1. 11 giugno 1806) assegnò albanco di S. Giacomo, col nome di «banco di corte» i servizipubblici, e riunì gli altri banchi sotto il nome di «banco de'privati », per le relative operazioni di credito. Indi, con r.d.20 maggio 1808, soppresse il banco de' privati, ed autorizzòil banco di corte ad aprire una cassa de' privati: ma Gioacchi-no Murat destinò di nuovo il banco di corte alle sole opera-zioni del tesoro pubblico (r.d. 7 dicembre 1808), e fondò ilBanco nazionale delle Due Sicilie, in forma di società commer-ciale, con un capitale d'un milione di ducati, diviso in 4.000azioni (r.d. 22 dicembre 1808). Questi due banchi furonopoco dopo riuniti nell'unico Banco delle Due Sicilie (1. 20novembre 1809), ed il capitale azionario fu con questo edaltri provvedimenti (r.d. lO dicembre 1810, r.d. 25 aprile1812) acquistato tutto dalla Cassa d'ammortizzazione (in/ra,§ 56), dimodocchè al momento della restaurazione il Bancodelle Due Sicilie era in piena proprietà dello Stato, e cometale fu riordinato col r.d. 12 dicembre 1816, che aboliva tutte.le precedenti disposizioni. Il banco era proprietario di beniimmobili, il che è sicuro indizio del possesso della personalitàgiuridica: l'amministrazione dei detti beni, che con r.d. 11 feb-braio 1814 era stata trasferita alla Cassa d'ammortizzazione,gli fu restituita col r.d. I" ottobre 1816 (186).

Il Banco delle Due Sicilie, malgrado il nome, operava sol-tanto ne' reali domini di qua del Faro. Secondo l'ordinamen-to del 1816, era articolato in due «casse» amministrativa-

(85) CAPOBIANCO, a).(186) COMEJ«:I, pp. 367 88.

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mente autonome, la «Cassa di corte », per il serVIZIOdellaTesoreria generale, delle amministrazioni finanziarie, delle ope-re pubbliche, e del Corpo municipale di Napoli; e la «Cassade' privati », per tutte le operazioni di credito concernentii privati. Più tardi (r.d. 23 agosto 1824) fu istituita una se-conda Cassa di corte, succursale della prima, e, pur lascian-do in facoltà d'ognuno avvalersi dell'una o dell'altra per i de-positi e pagamenti, le furono assegnati specificamente i servizidel Corpo municipale e della Intendenza di Napoli, de' lotti,delle poste, del registro e bollo, e delle amministrazioni d'ope-re pubbliche e di pii stabilimenti che intendessero avvalerse-ne. Era stata inoltre istituita presso la prima Cassa di corte(r.d. 23 giugno 1818) una «Cassa di sconto », che praticavalo sconto delle cambiali ed altri effetti commerciali con ter-mine non più lungo di tre mesi al saggio annuo del 6%. Il Te-soro aveva anticipato a tal fine un milione di ducati, cherecuperava col 9% dei lucri, dedotte le spese. La Cassa disconto, con r.d. 3 febbraio 1858, fu anche autorizzata a prati-care il prestito su pegno di merci depositate nella Gran Doga-na di Napoli. V'era infine una «Cassa di servizio» che di-pendeva direttamente dal Ministero delle finanze. Questa fa-ceva l'ufficio di banco per il debito fluttuante (187), e per ope-razioni commerciali con l'estero, ed emetteva buoni al porta-tore, commerciabili ed a scadenza fissa (188), non diversi,in sostanza, dai nostri « buoni del Tesoro ».

(187) COMERCI, p. 371.(188) Nel preambolo del r.d. 11 gennaio 1831 si dichiara che quello che

«sotto il titolo misterioso di debito galleggiante ammesso dalle nuove teoriedi finanze non lascia d'essere un debito; e tanto più grave, tanto più molesto,perchè non trova ne' fondi d'ammortizzazione un perenne presidio, perchè lesue scadenze non sempre possono differirsi », ascendeva a d. 4.345.251 (c detteBottante s, debito fluttuante: così lo chiama COMERCI, p. 372).

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Per lungo tempo, il Banco delle Due Sicilie non ebbe suc-cursali nelle provincie. Solo col r.d. 18 maggio 1857 furonoistituite una cassa di corte ed una cassa di sconto in Bari (vedianche reg. 9 settembre 1857) e con altro r.d. Il febbraio1860, altre casse, di corte e di sconto, in Reggio e Chieti,in ciascuna delle quali, rispettivamente, si dovevano fare iversamenti delle ricevitorie generali delle provincie pugliesi,e di quelle delle tre Calabrie e dei tre Abruzzi; ma i soprav-venuti eventi impedirono l'attuazione del secondo decreto.V'era, però, una serie di provvedimenti (r.d. 5 dicembre 1815,Il ottobre 1817, 3 agosto 1818) che imponevano a tutte lecasse regie, nelle provincie del regno, di ricevere in paga-mento le fedi di credito e le polizze del banco, tanto della cas-sa di corte, quanto della cassa de' privati, pur non imponen-do ai privati l'accettazione di tali titoli per moneta (art. 4r.d. 5 dicembre 1815). La libera circolazione delle fedi dicredito e delle polizze, di qua e di là del Faro, fu stabilitacon r.d. 15 settembre 1859, e regolamento della stessa data,a decorrere dal lO gennaio 1860. Era correlativamente vietato,sotto pena di destituzione, ai ricevitori, tanto di negare, an-che con l'addurre mancanza di numerario, il cambio dellepolizze o fedi, quanto di chiedere un qualsiasi aggio o com-penso (189), ed anche di cambiare in argento fedi e polizzein rame (190).

L'amministrazione del banco faceva capo al reggente, eda due presidenti, rispettivamente della cassa di corte (cheera anche ispettore della succursale) e della cassa de' privati,che, riuniti, formavano il Consiglio di reggenza. Ognuna dellecasse aveva due governatori che dirigevano il relativo ser-vizio ogni giorno per turno; il più anziano dei due governatori

(189) Circo Min. Finanze 28 novembre 1827, in PETITTI, Il, p. 355.(190) Circo Min. Finanze 19 gennaio 1828, in PETITTI, Il, p. 355.

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della cassa di corte succursale aveva il titolo di vice presiden-te. Il banco aveva un segretario generale ed un razionalein capo, con personale dipendente. La cassa di sconto era di-retta dal reggente del banco, ed aveva un segretario, un razio-nale, e due agenti di cambio per le operazioni di sconto e dipegni, nonchè altro personale. Il reggente presiedeva un Con-siglio di quattro deputati del ceto de' negozianti, nominati dalre, per l'esame delle cambiali e degli altri valori da scontar-si (191).

In Sicilia, i servizi bancari e di tesoreria furono a lungoesercitati dalle «tavole pecuniarie» di Palermo e di Messi-na, l'una e l'altra create ed ordinate dal governo spagnolo nelsecolo XVI. Solo col r.d. 7 aprile 1843, furono stabilite dueCasse di corte in Palermo ed in Messina, come dipendenzedella Cassa di corte di Napoli. La tavola di Messina fu in que-sta assorbita nel 1845, mentre quella di Palermo sopravvisse,in non fortunata concorrenza con la Cassa, fino al 1855 (192).Dopo le disastrose vicende del 1848·49, che distrussero Iericchezze siciliane del banco, e non quelle sole (193), il provvi-do governo di Ferdinando II, nella linea politica della se-parazione amministrativa tra isola e continente, istituì in Pa-lermo il Banco regio de' reali domini oltre il Faro (r.d. 13agosto 1850), dal quale vennero a dipendere le Casse di corte,e ne integrò la funzione con le Casse di sconto di Palermoe Messina (r.d. 27 dicembre 1858). L'ordinamento e le atti-vità erano modellati sul precedente napoletano.

Il Banco delle Due Sicilie, ed il Banco de' reali dominioltre il Faro, sono tra le poche istituzioni sopravvissute alla

(191) Sull'ordinamento ed il personale del Banco delle Due Sicilie, dopoil 1848, DE CESARE, a), I, pp. 293 55.

(192) SAVAGNONE.

(193) I depositi privati esistenti presso il banco, consumati in febbraioe marzo 1848, ammontavano a d. 873.437: DE SIVO, a), I, p. 339.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 54'352

fine del regno, e col nome, rispettivamente, di Banco di Na-poli (r.d. 27 aprile 1863, n. 1226) e di Banco di Sicilia (1.11 agosto 1867, n. 38382) continuano tuttora la loro atti-vità come istituti di credito di diritto pubblico (art. 25 l.7 marzo 1938, n. 141).

I banchi regi esercitavano un serVIZIO d'altissimo rr-lievo per la circolazione della ricchezza mobiliare, in unpaese in cui l'emissione di biglietti di banca era ignota, edil trasporto di rilevanti somme di denaro, in moneta metallica,non era sempre agevole, per le mediocri condizioni della via-bilità, e per quelle non sempre buone della sicurezza pub-blica (194).

Tale funzione adempivano le « fedi di credito» e le « po-lizze notate» (195).

La «fede di credito» era il documento che il banco ri-lasciava al cliente in corrispettivo del deposito d'una sommadi denaro. La natura giuridica di tale operazione fu discus-sa, come quella di tutte le specie di depositi bancari (196).Noi possiamo ritenere che trattava si d'un «deposito irrego-lare », cioè del trasferimento della somma al banco, in pie-na proprietà e col diritto d'utilizzarla; e col diritto del clien-te di ottenere in qualsiasi momento, con la restituzione del-la fede, una somma pari a quella depositata. Le fedi si emet-tevano dalle Casse di corte «in argento» o «in rame », e

(194) DE CESARE, a), I, pp. 294·295 e 297.(195) Le« fedi di credito» sono tuttora emesse dal Banco di Napoli e

dal Banco di Sicilia, secondo il r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736 (artt. 108 ss.};il Banco di Napoli conserva altresì facoltà d'emettere «polizze notate », inconformità del proprio statuto (art. n5 r.d. cit.). La fede di credito è untitolo all'ordine, pagabile a vista presso qualunque filiale del Banco, emessoa madre e figlia (art. 108 r.d. cit.), e consente, nella girata, l'indicazione dellacausale del pagamento disposto dal prenditore o girante, e delle condizionialle quali il pagamento è subordinato (art. no r.d. cit.);

(196) CAPOBIANCO, b), p. 55.

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L'Amministrazione centrale 353

dalla Cassa de' privati solo «in argento ». La fede poteva es-sere trasmessa per girata, faceva piena prova del pagamento,e «le dichiarazioni, le convenzioni, i patti e le condizioniqualsivogliano apposti nelle gire di siffatte carte di credi-to servono ugualmente di pruova, e producono quell'effettoche la natura e la qualità dell'atto seco porta, ancorchè nonsiano corredate dalla formalità del registro, bastando per ac-certarne la data quella segnata dal banco» (197). Le fediestinte venivano conservate nell'archivio del banco, e chiunquepoteva ottenerne copia legale.. che era ammessa in giudizio,e vi faceva prova.

La fede poteva essere convertita in una «madre fede »,ed in tal caso il cliente poteva trarre sul banco uno o piùordini di pagamento, presentarli al banco insieme alla madrefede perchè su di essa fossero annotati, e disporne poi pergirata. Tali ordini erano detti «polizze notate », ed ammette-vano anch'essi la girata condizionata o causale.

Questo meccanismo spiega la larghissima popolarità di cuigodettero le fedi e le polizze, come strumenti di negoziazionesemplici, economici e garantiti, e l'impegno che pose inoltreil Governo per facilitarne la circolazione in tutto il regno.

55. Segue: g) l'Amministrazione delle monete. - Ilreggente del Banco delle Due Sicilie esercitava le funzionidi direttore generale dell'Amministrazione generale delle mo-nete (r.d. 26 novembre 1821) residente in Napoli, ed ordi-nata alla coniazione delle monete d'oro, argento e rame, allagarentìa dei titoli legali dei lavori d'oro e d'argento, e dei tes-suti e filati d'argento e d'argento dorato, all'incisione delle me-daglie, ed alla verifica della falsità di monete nel modo pre-

(197) COMEReI, p. 71.

23. LANDI - l.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 55354

scritto dagli artt. 454 ss.ll.p.p. Dal direttore generale dipen-devano il segretario generale, il capo ripartimento, il raziona-le, ed altri funzionari amministrativi; v'erano poi dei tecni-ci, quali il direttore della fabbricazione delle monete, l'ispet-tore dei saggi, il direttore del laboratorio d'incisione, il mac-chinista, etc. La zecca ed il laboratorio d'incisione avevanoraggiunto un singolare grado d'eccellenza, e davan lavoro adun gran numero di prestatori d'opera (198). La verificadelle monete nuove, immesse in circolazione, era affidata aduna Commessione presieduta dal ministro delle finanze, e com-posta dal presidente e dal procuratore generale della GranCorte de' conti, dall'intendente e dal sindaco di Napoli, dal di-rettore generale e dal razionale dell'Amministrazione della mo-neta; funzionava da segretario il segretario generale del-l'Amministrazione. Erano istituite dieci officine di garentiain Chieti, Aquila, Teramo, Cosenza, Catanzaro, Reggio, Fog-gia, Campobasso, Bari e Lecce, sotto la vigilanza dei diretto-ri provinciali de' dazi indiretti (r.d.1 settembre 1828 e 6 ot-tobre 1832); in Sicilia l'ufficio di garentìa era presso la regiazecca di Palermo.

La lunga divisione politica tra l'isola ed il continente ave-va per lungo tempo determinato la diversità dei sistemi mone-tari, e delle monete in corso di qua e di là del Faro (199).Il ragguaglio ufficiale della moneta siciliana e napoletana,affinchè l'una e l'altra circolassero senza distinzione, fu sta-

(198) DE CESARE, a), I, pp. 300·301.(199) La moneta siciliana fu coniata fino al 1674 in Messina; la zecca

fu trasferita a Palermo con i noti provvedimenti punitivi, adottati dal go-verno spagnuolo dopo la rivolta del 1674. Sui tipi di monete in circolazionein Sicilia, nelle varie epoche, Messina e dintorni, pp. 197 S8. Continuavano acircolare nel regno monete d'argento spagnole, e la 1. 20 aprile 1818 autorizzòil corso di quelle d'argento (duros e mezze pezze), al cambio di d. 1,24 e did.0,62.

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55 L'Amministrazione centrale 355

bilito da Carlo di Borbone con r. 17 agosto 1735 (200). Mal'unità del sistema, e l'unità della monetazione, furono nuova-mente compromessi, allorchè, nel periodo dell'occupazione mi-litare, furono coniate in Napoli monete con l'effigie di Giu-seppe Napoleone e Gioacchino Napoleone, ed in Palermo al-tre del re Ferdinando (201). Per di più, mentre in Sicilia nu-meravasi sempre nella vecchia moneta, l'occupazione milita-re tentava d'introdurre in continente il sistema decimalefrancese, cioè la lira di 5 grammi d'argento 900/1000, parial franco (L 19 maggio 1811): tentativo infelice, per I'impre-parazione degli interessati a tradurre dal vecchio al nuovo ivalori, i pesi e le misure (202). La materia fu riordinata conla L monetaria, 20 aprile 1818, che si basò sull'antico si-stema napoletano, e che uno scrittore contemporaneo dice es-sere« riguardata la migliore che all'uopo siasi divulgata» (203).

L'unità monetaria del regno era il « ducato », pari a 22.943grammi d'argento, al titolo di millesimi 833.1/3, diviso in cen-to centesimi, detti «grani ». La moneta da lO grani in su siconiava in argento, e quella di minor valore in rame (art. l1. cit.). I decimi di grano dicevansi «cavalli»; cinque cavallidicevansi un « tornese »; e dieci grani un « carlino ». Ilraggua-glio con la lira italiana, secondo il valore attribuitole dalla

(200) ScHIPA, II, pp. 121 55.

(201) COLLETTA,a), Il, p. 270, considera che «due re d'un regno contem-poranei confonderebbero le menti dei posteri, se le medaglie, non le istoriesi conservassero ~.

(202) VALENTE, p. 298. Nella seduta del Consiglio di Stato, 13 dicembre1814 (COLLETTA,c), nella quale fu deciso d'abolire il sistema dei pesi e misuredecimali, introdotto con l. 19 maggio 1811, il consigliere Giuseppe Carignanì,duca di Carignano, «osserva che il sistema metrico converrebbe soltanto aduna società di dotti; che non ha prodotto in quattro anni alcun utile r'isul-tato; che la sua abolizione è desiderata e richiesta dalla Nazione a,

(203) BIANCHINI, b), p. 239. Sulla riforma monetaria, v. anche BLANCH, b),pp. 35·36.

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-356 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 55

L' sull'unificazione del sistema monetario, 24 agosto 1862,n. 788 (204), era pertanto:

Un cavallo L. 0.00425.Un tornese 5 cavalli » 0.02125.Un grano lO cavalli, o 2 tornesi » 0.0425.Un carlino lO grani » 0.425.Un ducato 100 grani, o lO carlini » 4.25.

Il r.d. 6 marzo 1820 stabilì, dal I" gennaio 1821, l'uni-ficazione della moneta siciliana, secondo il seguente raggua-glio, che completiamo con i valori in lire del 1862; ma anchein seguito, in provvedimenti concernenti i reali domini di làdel Faro, si trova usato il vecchio sistema;

Un'oncia 3 ducati L. 12.75.Un tarì lO grani L. 0.425.

Un grano 5 cavalli L. 0.2125.Un pìcciolo l cavallo L. 0.00425.

Di conseguenza, un'oncia era di trenta tarì.

(204) Il contenuto aureo della lira era di circa grammi 0,30, dimodocchèun ducato corrispondeva a circa grammi 1,275. Secondo il contenuto fissatocon la riforma del 1927 (1 lira = gr. 0,080 circa) il ducato dovrebbe quindiessere ragguagliato (4,25X3,66) a lire 15,55 circa; secondo quello della rifor-ma del 1936 (l lira = gr. 0,047 circa) varrebbe più o meno 30 lire; e su talecifra andrebbero applicati i successivi tassi di svalutazione della lira, dopolo sganciamento dall'oro. Ma sarebbe del tutto illusorio volere da tali dati de-sumere conclusioni circa il potere d'acquisto della moneta, e quindi l'effettivaconsistenza delle varie categorie di redditi, ed, in particolare, dei soldi, salarie prest dei dipendenti civili e militari, perchè nè tutti i prezzi delle variemerci e serVIZI sono varran in eguale maniera, nè la composizione della( sporta) familiare - come si dice oggi a proposito della determinazione degliindici del costo della vita - era uguale all'odierna. Una simile indagine ri-chiederebbe il reperimento e l'analisi di bilanci familiari, a diversi livelli so-ciali. Al corso attuale dell'oro (marzo 1977) il contenuto aureo del ducato sa-rebbe d'oltre lire 5.000. In Sicilia, i grani dicevansi anche e baiocchi s, ed i ca-valli e pìccìoli '> (CoMEReI,pp. 548 88.).

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Il ducato era «moneta di conto », che non fu mai conia-ta (205). Erano coniate, invece, monete d'argento a corso le-gale d'un carlino (lire 0.425), due carlini (lire 0.85), sei car-lini (lire 2.55), e 12 carlini (lire 5.10). V'era poi una circola-zione sussidiaria di monete d'oro al titolo di 996/1000, chela l. 20 aprile 1818 prevedeva nelle pezzature di tre, quindi-ci, e trenta ducati (oncette, quintuple, decuple}, e fu integrata(r.d. 15 aprile 1825) dalla dupla di sei ducati: il rapportotra oro e argento era di l:15. 1/2, ma ne derivarono, a cau-delle scoperte minerarie della. metà del secolo, conseguenzenon favorevoli per la finanza pubblica, obbligata a ricevere,in cambio d'argento, oro di valore diminuito (206). In ramesi coniavano monete di mezzo tornese, un tornese e mezzo, tretornesi, per valori di poco superiori, rispettivamente, ad uno,due, sei centesimi di lira decimale.

Non furono mai emessi biglietti di banca (207): la solacircolazione fiduciaria era di fedi e polizze di banco (supra,§ 54)e , Il r.d. lO ottobre 1860 (datato da Gaeta) autorizzòbensì l'emissione di biglietti di banca, per l'importo di d. 5 mi-lioni, convertibili, entro un anno dalla data d'emissione, inrendita 5% iscritta nel Gran libro; ma non risulta eseguito.

56. Segue: h) il Gran libro del debito pubblico e laCassa d'cmmortizzosione. - La Direzione generale del granlibro del debito pubblico, e l'Amministrazione generale della

(205) BIANCHINI,b), pp. 233 ss.; 238 ss.; COMERCI,p. 549. La moneta da12 carlini era detta «piastra».

(206) BIANCHINI,b), p. 262.(207) La diffidenza verso la carta-moneta è manifesta in BIANCHINI,b), pp.

277 ss., secondo cui essa è «una delle basi dell'attuale società •.. fallace e fit-tizia, e che ad ogni urto può rovesciarsi» (p. 284). Il Banco di Napoli ed ilBanco di Sicilia divennero istituti d'emissione dopo l'unità nazionale (r.d,27 aprile 1863, n. 1226; 1. Il agosto 1867, n. 3863), fino all'unificazione del-l'emissione nella sola Banca d'Italia (r.d.l, 6 maggio 1926, n. 812),

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Cassa d'ammortizzazione, dipendenti dal Ministero delle finan-ze, provvedevano a servizi connessi, che furono infine riuni-ti col r.d. 25 agosto 1848.

Il libro del debito pubblico fu istituito, al modo di Fran-cia, con l. 4 settembre 1806, per ricevere le iscrizioni di tut-ti i creditori dello Stato, e de' pensionisti, e fu oggetto, du-rante l'occupazione militare, di vari decreti. L'atto sovrano20 maggio 1815 (supra, § 15) accordò garanzia al debito pub-blico; e fu determinazione d'illuminata politica, dacchè granparte di quel debito era stato contratto dai re francesi permuover guerra alla casa di Borbone ed ai suoi alleati. La ren-dita napoletana, ribassata al26% del valore nominale per l'in-certezza della sorte del governo di Gioacchino Murat, risalìal 50% tra il 1815 ed il 1816, ed aveva raggiunto 1'80% allafine del 1817 (208).

La Direzione generale del gran libro, riordinata col r.d,7 gennaio 1823, era articolata in cinque ripartimenti: segre-tariato, controloria, agenzia contabile delle rendite, agenziacontabile delle pensioni, liquidazione generale de' trasferi-menti e degli affari contenziosi.

Nel Gran libro era iscritto, anzitutto, il debito conso-lidato, comprese le rendite ivi iscritte prima della restaura-zione, che erano conservate, nello stato di diritto in cui trova-vansi, per disposizione del r.d. 22 agosto 1815. Gli interessierano pagati per semestre, nel primo mese successivo al com-pimento del semestre di riferimento (209). I titoli erano tra-

(208) BLANCH,b), II, pp. 31 ss,(209') Con r.d. 7 febbraio 1844 (ministro delle finanze, Ferdinando Ferri)

fu previsto il rimborso di parte del debito pubblico, mediante un'estrazionea sorte semestrale: i creditori estratti potevano scegliere tra il rimborso delcapitale, e la conversione della rendita 5% in rendita 4%. Sulle polemiche alriguardo, BIANCHINI,b), p. 372. DE SIVO,a), I, p. 72, afferma che solo i picco-li reddituari accettarono la conversione ; mentre, poichè ~ di fatto s'estraevan pil'\

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56 L'Amministrazione centrale 359

sferibili senza formalità, e le loro negoziazioni erano conside-rate atti di commercio (art. 3 Il. comm.). Essi potevano esse-re pignorati nella Cassa di sconto (supra, § 54), e le annua-lità potevano essere scontate presso la Cassa d'ammortizzazio-ne. Le rendite iscritte potevano essere immobilizzate per costi-tuire cauzioni, patrimoni sacri, assegnamenti di pubblici im-piegati, doti nel matrimonio dei militari, maioraschi, e per finicautelativi anche tra privati.

Era parimenti iscritto nel Gran libro il debito vitalizio, co-stituito dalle pensioni civili e militari (supra, § 42), dagli as-segnamenti vitalizi ai religiosi d'ambo i sessi appartenenti aimonasteri soppressi nell'epoca dell'occupazione militare, e dal-le pensioni di grazia, provenienti dalla reale munificenza inpremio di distinti servizi resi alla real Corona ed allo Sta-to. Il pagamento delle pensioni civili e militari era assicuratodalla ritenuta del 2.50% sui soldi degli impiegati in attività diservizio, che, non essendo sufficiente, era integrata dalla teso-reria generale (art. 16 r.d. 3 maggio 1816; art. 23 r.d. 25gen-naio 1823). Le pensioni erano pagate per bimestri.

La Cassa d'ammortizzazione e del demanio pubblico erastata istituita nel tempo dell'occupazione militare (r.d. 5 ot-tobre 1807), ed aveva la finalità, tipica di un'epoca in cui gliamministratori vivevano nell'assillo del pareggio del bilancio,dell'estinzione delle rendite iscritte nel libro del debito pubbli-co. Fu «nuovamente istituita» cioè ordinata su nuove basicon r.d. I" gennaio 1817; indi, con r.d. 26 novembre 1821,le fu riunita la Direzione generale del demanio (210); ed in-fine formò oggetto del r.d. 5 dicembre 1825, « decreto organi-

numeri che non avevamo danari », i grossi creditori «chiedevano il capitale, enon l'avendo continuavano ad avere il cinque. Ciò fe' bisbiglio; e uscì moltocontante dalla piazza, che spatriò co' creditori stranieri»,

(210) COMF;Rq, pp. 377 ss.

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co dell'Amministrazione della Cassa d'ammortizzazione e deldemanio pubblico »..

Dal direttore generale dipendevano tre amministratori ge-nerali (uno dei quali, per r.d. 31 gennaio 1832, fu incaricatodei beni dell'Ordine di Malta), un segretario generale, ed uncapo contabile, i quali, riuniti sotto la presidenza del direttoregenerale, formavano il Consiglio d'amministrazione, il cui pa-rere era obbligatorio negli affari di maggior rilievo, e potevaessere sempre chiesto facoltativamente dal direttore generale,salve sempre le decisioni del ministro delle finanze. La Cas-.sa era ripartita in cinque ripartimenti, più due detti « d'introi-to» e «di esito ». La «Commessione dello stralcio », com-posta del direttore generale, dal capo contabile, da un caporipartimento con funzioni di segretario, ed un avvocato genera-le della Gran Corte de' conti in funzione di pubblico mini-stero, esaminava i crediti dell'antica Cassa per trasferire allanuova quelli ammessi come certi, e proporre al ministro ladepennazione di quelli stimati d'impossibile esazione. Organiperiferici della Cassa erano le direzioni provinciali de' dazidiretti, demanio e rami diversi (supra, § 50), salva l'ammi-nistrazione del Tavoliere di Puglia (in/ra, § 57); e v'era-no percettori particolari nelle provincie in cui la Cassa posse-deva una considerevole massa di beni, cioè in Terra di Lavo-ro, Capitanata, Terra di Bari e Terra d'Otranto.

Finalità istituzionale della Cassa era il puntuale pagamentodelle rendite iscritte nel Gran libro, e l'estinzione del debitopubblico consolidato. Era inoltre incaricata di varie ammini-strazioni secondarie, tra cui, fino al 1833, quella della Crocia-ta (supra, § 51), per cui esistevano, presso la Cassa, un com-messario apostolico ed un tesoriere speciale.

Le entrate della Cassa erano costituite principalmentedalle rendite dei beni demaniali da essa amministrati; ma vi

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56 L'Amministrazione centrale 361

affiuivano altri proventi, e, fra gli altri, le rendite del debi-to pubblico non reclamate entro due anni (salvi i diritti deiproprietari), e l'importo delle pensioni ecclesiastiche, e del-la metà di quelle di grazia, estinte per morte de' titolari, onon riscosse dai medesimi.

La Cassa doveva provvedere:a) all'estinzione del debito consolidato, mercè il « monte

di moltiplico» istituito con r.d. 25 dicembre 1816: l'acqui-sto di consolidato era l'unico impiego di fondi, cui la Cassaera autorizzata;

b) all'estinzione del residuo debito d'Olanda, ed al pa-gamento dei suoi interessi (211);

c) alla restituzione delle cauzioni dei contabili, pre-state in numerario prima della legge che ne impose la presta-zione in iscrizioni sul Gran libro; quando fossero adempite leprescrizioni di legge;

d) al pagamento degli interessi dovuti ai contabili. perle cauzioni;

~) all'indennizzo de' censi e capitali affrancati, di pro-prietà di enti ecclesiastici e laicali conservati al tempo dellaoccupazione militare;

f) alla restituzione del consolidato versato alla Cassa dal-la direzione del Gran libro, quando in qualunque tempo fossereclamato dai proprietari;

g) al pagamento dei debiti liquidi della antica Cassa;'ammessi ed approvati dalla Commessione dello stralcio.

(211) CORTESEN. in COLLETTA,a), Il, pp. 251 e 290. Tale debito, di 3 mi-lioni di fiorini olandesi, fu contratto da Giuseppe Bonaparte per .esigenze dellaregia Corte, ed il capitale fu consumato in gran parte per il trasferimento delre in Spagna, per donativi, etc., dimodocchè esso costituisce, dal punto di vistaamministrativo, l'episodio meno apprezzabile del breve regno di Giuseppe Na-poleone, informato, sotto altri aspetti, 8 lodevoli intenti progressivi e rifor-misti.

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Tra le amministrazioni secondarie, vanno ricordate quelledelle eredità giacenti e beni vacanti, e dei depositi giudiziaried amministrativi. Ognuna aveva una contabilità separata,e gli avanzi di gestione dovevano essere impiegati nell'acqui-sto di consolidato.

Tra i beni demaniali, la cui amministrazione fu riunita al-la Cassa, erano compresi i beni «donati e reintegrati allo Sta-to» (r.d. 14 agosto 1815), cioè quelli donati dal Governodell'occupazione militare a titolo di maggiorato, le assegnazio-ni di rendite civili dal 1806 in poi, i beni assegnati ai duchidi Reggio, Otranto, etc. in piena proprietà, riservati a disposi-zione del re con r.d. 17 giugno 1815 (supra, § 2). Con taleultimo decreto, furono invece restituiti ai proprietari, ai titola-ri di commende costantiniane (supra, § 46) ed agli usufruttua-ri, tutti i beni, azioni e diritti esistenti presso l'amministrazio-ne demaniale, loro confiscati o sequestrati per causa di delittodi Stato, brigantaggio, o emigrazione in Sicilia o in altra partein guerra con la Francia; i beni confiscati o sequestrati in dan-no di siciliani, e quelli dei cardinali e prelati che eransi man-tenuti nell'obbedienza della Santa Sede (212). Dopo l'entrata invigore del nuovo Concordato (1. 21 marzo 1818) furono resti-tuiti alla Chiesa i beni ecclesiastici non alienati (r.d. 3 ago-sto 1816), e furono consegnati alle amministrazioni diocesanequelli dei benefici vacanti (supra, § 46). Infine, l'atto sovrano20 maggio 1815 confermava le vendite di beni dello Stato,eseguite dal Governo dell'occupazione militare, dando con ciòpiena tranquillità agli acquirenti. L'amministrazione del dema-

(212) Si tratta d'alcuni dei quindici cardinaux noirs, che s'erano rifiutatid'assistere al matrimonio dell'imperatore Napoleone con Maria Luisa d'Austria(DANIEL.Rops,pp. 204.205), tra i quali erano sudditi del regno delle Due Sì-cilie l'arcivescovo «in partibus » d'Apamea, Luigi Ruffo; l'arcivescovo di Na-poli, Francesco Pignatelli; l'arcivescovo 4:in {lll.t\.Ì~~S ~ di Cartagine, Ferdi-,nando Maria Saluzao de' duchi di Corigliano.

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56 L'Amministrazione centrale 363

mo acquisiva i beni che novellamente pervenivano legittima-mente allo Stato.

Con r.d. 26 novembre 1821, furono conservate, a favoredella Cassa, le disposizioni del r.d. 18 ottobre 1819, confor-mi a quelle del r.d. 30 gennaio 1817, che attribuivano allasoppressa Amministrazione del demanio certi poteri e diritti,specialmente per quanto concerneva le coazioni, le opposizio-ni giudiziarie alle medesime, e la spedizione dei piantoni.

In Sicilia, il debito vitalizio, secondo l'art. 20 r.d, 25 gen-naio 1823, risultava da due appositi ruoli della Tesoreriagenerale, uno per le pensioni di ritiro, e l'altro per le pensio-ni vedovili ed i sussidi agli orfani. I beni e cespiti demania-li erano amministrati dall'Amministrazione generale de' ramie diritti diversi (r.d. 16 luglio 1827).

Il Gran libro del debito pubblico, e la Cassa d'ammor-tizzazione, distinti da quelli de' domini di qua del Faro, fu-rono stabiliti in Sicilia con r. 28 giugno 1832 (213), dopoche un tentativo di sistemare i crediti arretrati verso la Te-soreria di Siciila, accordando ai creditori una rendita perpe-tua 4% oltre la depura zione della fondiaria (r.d. 31 luglio1828), non aveva avuto effetto. I creditori iscritti nel Granlibro percepivano la rendita 5%, e la Cassa aveva assegnato unfondo pari all'un per cento del capitale, da impiegare nel-l'ammortizzazione delle rendite consolidate. Per la verifi-cazione dei titoli d'iscrizione delle rendite nel Gran libro,fu istituita una Commessione, presieduta dal presidente dellaGran Corte de' conti di Palermo (r.d. 24 marzo 1834, e reg.annesso), ed assegnati, per la presentazione dei titoli e do-cumenti, termini perentori (art. 5 r.d. cit.), prorogati col r.d.18 agosto 1834, ed una seconda ed ultima volta (r.d. 29 di-

(213) PETITTI, II, p. 542.

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364 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 57

cembre 1834) al l° marzo 1835. Un piano di rimborsi persorteggio fu predisposto con r. 8 dicembre 1841 (214). Parti-colarmente laboriosa sembra essere stata la liquidazione econversione in rendite iscritte nel Gran libro degli offici ediritti aboliti (art. 3 r. 28 giugno 1832, cit.): v'è ancora unr.d. Il dicembre 1841, in cui si constata che in vari Comu-ni non solo si riscuotono e si esercitano diritti aboliti, ma inol-tre si commettono «molti soprusi ed angherie ex-feudali indanno delle persone, della proprietà e del libero esercizio delleindustrie », dimodocchè, reiterato il divieto di tali abusi, vie-ne affidata alla Gran Corte de' conti la liquidazione dei com-pensi, nei casi in cui fossero dovuti. Le domande dovevano es-serle presentate nel termine perentorio di tre mesi dalla pubbli-cazione del decreto, per i privati, e di sei per i corpi morali,e se nasceva controversia sul titolo, la Gran Corte sospendevala liquidazione, finchè la vertenza fosse decisa dal giudice com-petente. li debito di quasi 20 milioni di ducati provocato al-l'erario siculo della rivoltura del 1848-49 (215) fu consolida-to,con r.d. 18 dicembre 1849, in rendita 5%.

57. Segue: i) il Tavoliere di Puglia. - li più vasto com-plesso di beni demaniali, amministrato ed ordinato secondoleggi speciali, era il Tavoliere di Puglia, cosiddetto ab antiquo,a quanto pare, dalle tabulae censuariae, in cui venivano de-scritti i beni del fisco. li Tavoliere si stendeva per circa 3.000km'', per la maggior parte in Capitanata tra i fiumi Forto-re ed Ofanto, ed in minor parte in Terra di Bari, Basilicatae Molise, con qualche dipendenza (Cerreto e Castellaneta) inTerra d'Otranto (art. 6 l. 13 gennaio 1817). Era stato, findai tempi dei re normanni, un primario elemento dell'econo-

(214) PETITTI, II, p. 561.(215) DE SIVO, a), I, p. 342.

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S7 L'Amministrazione centrale -365

mia del regno, perchè « i luoghi montuosi ed alpestri dell'A-bruzzo che si rivestono d'eccellente pascolo nella stagione esti-va, ed i luoghi piani della Puglia che sono temperati nella piùfredda stagione, rendono naturale l'industria delle pecore inquelle contrade, e la loro trasmigrazione da un pascolo all'al-tro secondo le stagioni» (216). Detti pascoli, in origine ap-partenenti in parte al fisco, in parte ai baroni, alla chiesa o aprivati, furono progressivamente acquisiti al demanio regio,ed ebbero una prima disciplina organica da Alfonso I d'Ara-gona (1442-1458), nell'intento di fare rifiorire la produzio-ne della lana, e di garantire all'erario un'entrata rilevan-te (217). Il re Alfonso distinse le terre riservate all'agricol-tura (terre a coltura) dai pascoli (terre salde), e queste ul-time in «locazioni» (in origine 43, poi ridotte a 23), ed in«riposi autunnali », All'amministrazione, detta «Dogana »,era preposto un doganiere, residente in Foggia, assistito dadue credenzieri, e da un uditore con funzioni giurisdizionali(in/ra, § 180). I pascoli suddivisi in moltissime porzioni ve-nivano affittati ai possessori di pecore, in ragione del numerodegli animali posseduti (218). Questo sistema amministrativorimase in vigore, con modeste modìficazioni, fino al 1806.

La L 21 maggio 1806 sconvolse ab imis [undametuis l'an-tico sistema. Furono trasformati in enfiteuti perpetui i colonio possessori di terre a coltura pertinenti al demanio (art. 1)o ai luoghi pii, compreso l'Ordine di Malta (art. 37), nonchè

(216) Drxs, c), I, p. 399.(217) Drxs, c), I, p. 400. Il re Alfonso si era ispirato alla legislazione esi-

stente in Spagna nella pianura della Mancia (BUNCH, b), II, p. 36); occorreperò osservare che l'organizzazione spagnola della transumanza, detta la Mesta,esistente dal 1273 al 1836, aveva un carattere corporativo (LEGENDRE, pp. 229ss.), che manca invece all'ordinamento, puramente autoritario, del Tavolieredi Puglia.

(218) Dus, c), I, pp. 400402.

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366 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

gli affittuari (locati) dei pascoli (art. 13). Furono abolite leservitù sulle terre «di portata» (cioè, le servitù attive dipascolo esercitate dalle «locazioni» fiscali su terre di pro-prietà di terzi), imponendosene però ai proprietari il riscatto(artt. 31 e 33). Furono riguardati come pubblica proprietài tratturi e riposi, e se ne previde la reintegra (art. 23). Funominata una Giunta di tre membri per l'esecuzione della leg-ge (art. 43), e furono stabiliti premi e sanzioni per coloro,rispettivamente, che dimostravansi più o meno solleciti nel-l'adeguarvisi (r.d. 24 gennaio 1807). Con altri decreti, chesi proponevano (r.d. 26 novembre 1808) il «miglioramentodell'agricoltura da cui sorge l'aumento della ricchezza, e dellapopolazione di una nazione », fu parimenti trasformato in cen-suazione perpetua il diritto di pascolo estivo su terre altrui,detto «statonica» (r.d. cit.); fu disposto che si conservasse-ro soltanto le strade necessarie per le comunicazioni tra unpaese e l'altro o per raggiungere proprietà private (r.d. 7 giu-gno 1811); furono stabilite norme rigorose per la conserva-zione integrale dei tratturi, bracci e riposi (r.d. 5 settembre1811). L'amministrazione fu riunita a quella della registraturae demani, ed in Foggia fu istituito un direttore dipendentedalla direzione generale, ed un ricevitore (r.d. lO febbra-io 1813).

Questa legislazione, che aveva precedenti nell'opera «didue sapienti e 'caldi ama tori della loro patria, Jovellanos eFliangieri », e nella cui adozione i francesi furono, come talu-no disse, «d'accordo coi napoletani intelligenti» (219), fu

(219) BUNCH, b), pp. 36·37. Si tratta dell'insigne economista ed uomo digoverno spagnuolo, Gaspar Melchior de Jovellanos y Ramirez (1744.1811), edel grande filosofo napoletano delle leggi, Gaetano Filangieri d'Arianello (1752·1788).

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57 L'Amministrazione centrale 367

da qualche scrittore esaltata (220), ma altri rilevò che «ilnero genio del profitto e della fiscalità ... marchiò si bella legge,la isterilì, e ne invilì e rese inutili anche i pregi» (221). Per-vennero al Governo ogni sorta di doglianze, e parve opportunocreare, con r.d. 29 novembre 1815, lilla Commessione con sul-tiva, per proporre quelle modificazioni che il bene dell'agri-coltura e della pastorizia richiedeva. Tali proposte tradottenella 1. 13 gennaio 1817 risultarono ad avviso dei contempo-ranei tuttaltro che felici (222), avendo avuto l'effetto d'ob-bligare i censuati al pagamento d'un altro milione di ducati,sottratti ad investimenti produttivi, e di ripristinare nelle ter-re censite la pastorizia, con la perdita delle migliorie fatte daquelli che le avevano ridotte a cultura (223). La Commessio-ne consultiva rimase in carica per dirigere le operazioni esecu-tive della legge (art. 2 1. cit.), e fu sciolta con r.d. 18 aprile1820, dopo che, con r.d. 25 febbraio 1820, fu istituita inFoggia, per «la parte amministrativa del Tavoliere riguardan-te l'interesse fiscale », una particolare Direzione (dipendente

(220) COLLETTA,a), II, pp. 235 ss., ricorda pure che «per gratuite con-cessioni di non pochi terreni 'Il' più miseri cittadini la povertà fu sollevata, esursero novelli possidenti ». Ma, per vero, il solo provvedimento d'assegna.zione di terre a contadini è il r.d. 24 aprile 1807, con cui si ordina che laGiunta del Tavoliere metta a disposizione dell'intendente di Capitanata seicarri e sette versure di terreni formanti la metà della «portata» di Manfren-dino al Celone, per distribuirlo agli abitanti più poveri e più industriosi dellacittà di Foggia, con gli obblighi di ridurli a semine o ad ortaggi, e di pagarneun canone di 27 carlini a versura.

(221) DIAs, c), I, p. 403.(222) DIAs, c), I, p. 403 ss.: «Chi mai lo avesse detto! Questa Commes-

sione composta di eccellenti soggetti, chiari in virtù, dottrina e lealtà, dimenoticando i propri doveri ed allontanandosi dai principi di politica economica,arrecò tanto male all'amministrazione del Tavoliere, che è difficil cosa il quiparlarne; ed ecco perchè della legge del l3 gennaio 1817 si è detto, che lamedesima è un informe ammasso di disposizioni ... » etc. Si noti che questaEsposizione delle leggi relative al Tavoliere di Puglia, tanto duramente po·lemica, non fu inserita nell'edizione successiva.

(223) BLANCH, b), p. 38.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 57

dall'Amministrazione demaniale) il cui capo esercitava anchele funzioni di controloro. Si verificò, peraltro, a quanto vienriferito, un insigne disordine, ed «era spaventevole l'arretra-to» (224), dimodocchè con r. 14 dicembre 1824, e 12 giugno1825 (225) fu nominato un commessario civile con pienipoteri, « a mettere in buon ordine l'economia del Tavoliere »,nella persona dell'allora intendente di Capitanata, NicolaSantangelo, il futuro ministro dell'interno. Il Commessariatocivile fu abolito con r.d. 8 aprile 1832, e con r. 27 luglio1842 (226) ne fu sciolto anche l'ufficio stralcio; rimase tut-tavia all'intendente di Capitanata la competenza per la conser-vazione de' regi tratturi, bracci e riposi, in conformità delregolamento annesso al r.d. 8 aprile 1832.

La 1. 13 gennaio 1817 affermava nelle premesse che le'riforme avevano «alterato quel costante equilibrio tra l'agri-coltura e la pastorizia, che l'imperiosa circostanza della posi.zione degli Abruzzi, e della popolazione della Puglia vi ave-vano per anno sa consuetudine stabilito », ed era quindi «giu-sto e prudente di adottare il mezzo di una generale transa-zione, la quale sanando per effetto della pienezza della nostrasovrana potestà i vizi di alcuni di quei contratti, di altri cor-reggendone gli errori, e conciliando gli interessi dei partico-lari .colle vedute di pubblica utilità, ristabilisca !'influenza delGoverno su l'economia del Tavoliere, e ripristini in favoredegl'interessati la concessione di alcuni di quei privilegi dal dicui esercizio il felice andamento della medesima specialmentedipende ». In verità, pare che non tanto d'una conciliazionetra interessi agricoli e pastorali siasi trattato, ma d'un rinno-vato favore per i secondi .

. (224)DIAS, c), I, p. 438.(225) Dtxs, c), I, p. 437.(226) PETITTI, V, p. 77.

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La legge in questione faceva salvi gli acquisti di proprietàe diritti fiscali verificatisi nel periodo dell'occupazione mi-litare (art. l), ma li condizionava alla conclusione di nuovicontratti di censuazione (art. lO), permettendo comunque aicensuari di rinunziare alla censuazione, senza diritto ad inden-nizzo, previo pagamento degli arretrati, e col rimborso dellemigliorie a carico del nuovo censuario (art. 9). Le antiche ven-titrè locazioni erano ridotte a quattro (del Fortore, del Cerva-ro, di qua dell'Ofanto, di là dell'Ofanto), più quella di Terrad'Otranto (art. 6). I nuovi contratti dovevano essere trascritti,e sottoposti ad ipoteca pari a 25 annualità del canone; nel casodi cessione doveva ottener si il consenso dell'amministrazione,cui spettava illaudemio, pari al 2.50% del valore del dominioutile, ed in mancanza il fondo era devoluto al Fisco (artt. 16-18). Le successive disposizioni stabilivano, rispettivamente,il regime delle terre a pascolo, delle terre a coltura, e delleterre di portata. Circa le prime, la legge stabiliva gli aumentidei canoni, in misura graduale, con norme di favore per i lo-cati abruzzesi e molisani, e per quelli di Piedimonte in Terradi Lavoro, possessori di minori estensioni; stabiliva le esten-sioni minime delle cessioni, e le regole per l'uso a pascolo, e,nei limiti consentiti, a coltura (artt. 24.39). Le stesse regoleerano applicabili alle nuove censuazioni (art. 41), ed eranoregolate le locazioni a «collettive di pastori» o a «masse»di piccoli possessori d'armenti, rappresentate da un « capo-massa» (artt. 43 ss.). I riposi generali dovevano essere con-servati o ricostituiti in promiscuità tra i comuni interessati(artt. 48-52). I tratturi dovevano essere verificati e reinte-grati (artt. 53-57). La censuazione delle erbe estive, ossiastatoniche di Puglia, era resa coatti va , tanto per i proprietariche per i censuari, al prezzo fissato dalla Commessione (artt.58-61). Le locazioni di pascoli estivi nelle montagne d'Abruz-

24. LANDI • I.

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-370 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

zo era consentita solo ai censuari e locati dal Tavoliere (artt.62-64). La legge prevedeva la revisione della fondiaria pergli abruzzesi censuari del Tavoliere, e concedeva loro certe fa-cilitazioni di pagamento (artt. 65-68), nonchè la distribuzio-ne di sale a prezzi di favore (artt. 69-74: supra, § 52). Ancheper le terre a cultura, censite secondo la legge anteriore, fuprevista la conferma con aumento del canone (artt. 75-81):la sovrana munificenza rinunciò tuttavia ad ogni aumento perle censuazioni dei reali siti d'Orta, Ordona, Carapelle, Storna-ra, Stornarello, del Lauratorio di Salpi, e del Casale di Tri-nità (artt. 87-88). Fu parimenti confermata l'abolizione delleservitù sulle « terre di portata », con aumento, però, del prez-zo di riscatto (artt. 89-93).

La 1. 13 gennaio 1817 fu integrata e modificata da moltealtre successive disposizioni. La 1. 29 gennaio 1817 ne estesel'applicazione alle terre degli enti ecclesiastici non soppressidall'occupazione militare, a quelle delle commende di Malta,ed ai beni ecclesiastici vacanti, o di enti soppressi, amministra-ti dal regio demanio. Alcuni termini furono prorogati conr.d. 2 giugno 1817. Il r.d. 4 luglio 1817 dettò nuove disposizio-ni (in luogo di quelle del r.d. 7 giugno 1811) per la veri-fica delle strade da conservare. Il r.d. 26 novembre 1821 sta-bilì la dipendenza della Direzione del Tavoliere dalla Cassad'ammortizzazione. Il r.d. 12 aprile 1823 abolì l'art. 82 L 13gennaio 1817, che accordava,nelle censuazioni di terre a col-tura, una preferenza agli abitanti dei comuni più vicini, e sta-bilì che tutti potessero concorrere, facendosi le assegnazionicol metodo della subasta. Il r.d. 3 gennaio 1825 affidò al Com-messario civile la reintegra dei tratturi quali erano prima del1810. Il r.d. 29 novembre 1829, e l'annesso regolamento, sta-bilì il metodo per la percezione delle rendite del Tavolie-

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58 L'A mministrazione centrale

re (227). I r.d. 8 agosto 1832, e 7 maggio 1839, e gli an-nessi regolamenti, stabilirono, rispettivamente, le disposizioniper la conservazione dei regi tratturi, e per il divieto di pasco-lo abusivo sui medesimi, e furono integrati al r.d. 14 dicem-bre 1858 (228).

Il contenzioso fu regolato dalla legge 25 febbraio 1820, eda altre successive disposizioni (in/ra, § 180).

In conclusione, il Tavoliere di Puglia si trovò sottopostoad un regime d'economia vincolata, e ad un complesso di nor-me d'eccezione,che tendevano a rendere invariabile la desti-nazione prevalente del paese alla pastorizia Non v'è dubbioche « la legislazione e la giurisdizione parziale che ne deriva-vano contraddicessero «al principio della uniformità dellagiustizia e dei tribunali per tutte le proprietà », cioè a quelprincipio d'eguaglianza che pur non espresso in una norma« costituzionale », costituiva un fondamento del diritto pubbli-co del regno; e che i pastori nomadi si conservassero «barbariin mezzo alle popolazioni incivilite », e fornissero « un potenteelemento al brigantaggio, a dispetto di tutte le finzioni dei poe-ti che pongono la dolcezza dei costumi nella vita pastora-le» (229). La riduzione all'uguaglianza fu attuata, dopo l'unifi-cazione nazionale, con la l. 26 aprile 1865, sull'affrancamentocoattivo delle terre del Tavoliere, con cui il provvido parla-

(227) DIAs, c), I, pp. 442 ss.(228) Con r. l° giugno 1831 (PETITTI, V, p. 48), fu ordinato all'intendente

di Capitanata di fare le opportune proposte, per promuovere in quella -pro-vincia, sprovveduta generalmente d'alberi, la piantagione «di quegli alberi chesi stimeranno i più vantaggiosi, non esclusi quelli di alto fusto », e per «in-durre le popolazioni delle montagne degli Abruzzi e della Basilicata ad im-piegare le proprie braccia in codesto suolo, mancando d'altronde di lavori ne'propri paesi ». Non risulta qual seguito abbia avuto questo progetto di colo-nizzazione interna.

(229) BLANcH, b), p. 37.

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312 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

mento italiano «conscio dell'infelice posizione del Tavoliere,sottoposto ad una legislazione eccezionale che ne paralizzavale forze produttive, sostituì agli antichi sistemi il diritto comu-ne» (230). Resta solo da dimostrare se il legislatore unitariosia riuscito davvero a dissolvere una cristallizzazione secolare,o se, come farebbe supporre la circostanza che la Capitanatasia uno dei territori dove fu applicata col d.P.R. 7 febbraio1951, ll. 67, la «legge stralcio» della riforma fondiaria, 21ottobre 1950, n. 841, abbia semplicemente sostituito al bloccodegli interessi «pastorali », presumibilmente «reazionari »,quello degli interessi « agrari », i cui portatori avevano avutoil buon senso di farsi tempestivamente «liberali» (231).

58. Segue: j) altre dipendenze del MinisterQ delle finan-ze. - Altri servizi dipendevano dal Ministero delle finanze,non tanto per loro intrinseca natura, quanto per ragioni d'op-portunità.

a) La Direzione generale dei ponti, strade, acque, fo-reste e caccia, dipese (supra, § 49) dal Ministero delle finan-ze per circa 25 anni (r.d. 21 febbraio 1822 - r.d. 17 novembre1847); passò poi al Ministero dei lavori pubblici (infra, § 64).

b) L'Amministrazione generale delle poste e de' procac-ci, di qua del Faro (232), ordinata con r.d. 25 marzo 1819 e18 maggio 1824, soprintendeva al servizio della corrisponden-za pubblica e privata, tanto per i reali domini, quanto per i

(230) DI SALVO, pp. 1331·1332.(231) I tratturi, e le «trazzere» siciliane, rimasero al Demanio dello

Stato (r.d. 29 dicembre 1927, n. 2801; r.d. 16 luglio 1936, n. 1706); le trazzerefurono trasferite alla Regione siciliana (l. reg. sic, 28 luglio 1949, n. 39), ed itratturi a loro volta alle regioni (d.P.R. 15 gennaio 1972, n. Il).

(232) COMERCI, pp. 402 S8.; 595·596.

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58 L'Amministrazione centrale 373

paesi stranieri; alle poste de' cavalli addette al trasporto dellacorrispondenza ed all'uso dei viaggiatori; alle vetture corriereper i viaggiatori; al servizio dei procacci destinati al trasportodi denaro ed effetti di privati, e di fondi della Tesoreria ge-nerale spediti dalle provincie in Napoli, ed alla spedizionedei corrieri e delle staffette di servizio pubblico e privato. Acapo dell'amministrazione era un direttore generale, da cui di-pendevano un ispettore generale, un segretario generale, edun agente contabile. Il servizio per Napoli (dove affiuiva lacorrispondenza estera) e provincia, era assicurato da tre « of-ficine », ossia uffici: «di spedizione e d'arrivo» «della fran-catura », e «di distribuzione ». L'officina de' procacci so-printendeva al servizio di tali agenti in partenza e in arrivo, equella delle vetture corriere al servizio viaggiatori. In ognicapoluogo di provincia v'era un direttore provinciale; neicapiluoghi di distretto ed in altri centri importanti, un sotto-direttore; nei capiluoghi di circondario un uffiziale contabi-le; negli altri comuni la spedizione e distribuzione della corri-spondenza era affidata al cancelliere comunale. Per garantireil segreto della corrispondenza, questa doveva viaggiare invaligie chiuse a chiave, riunita in pacchi sigillati. Nei comunidove non era la direzione provinciale, la valigia doveva essereaperta in presenza del parroco, del giudice di circondario oconciliatore, del sindaco, e del capo urbano, o d'uno almenodi costoro, e se la valigia giungeva aperta, ed i pacchi o lelettere comunque manomessi, doveasi fare verbale in triplicecopia, da spedire all'Amministrazione generale delle poste,all'intendente della provincia, ed alla direzione o ufficio po-stale da cui la spedizione proveniva (233). Tutto il persona-

(233) Min. finanze, «disposizioni regolamentarie per il servizio delleposte a, 19 ottobre 1822 (PETlTII, IV, p. 99).

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374 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

le postale doveva dare cauzione, in rapporto all'importanzadelle funzioni. I maestri di posta, che soprintendevano ai «ri-lievi », ossia alle stazioni, erano assunti a contratto, e presta-vano cauzione in proporzione al numero di cavalli (nove, sei,quattro, o meno di quattro) che dovevano essere addetti alrilievo.

In Sicilia, v'era con sede in Palermo l'Amministrazionedelle regie poste, diretta da un amministratore, da cui dipen-deva un ispettore; ed in ciascun capoluogo di valle risiedevaun direttore provinciale (r.d. 16 giugno 1833).

Numerose disposizioni avevano regolato i «corsi posta-li» (cioè gli itinerari), il tempo dei medesimi (234), le tarif-fe, la franchigia dei pubblici uffici, il divieto dei servizi pri-vati in violazione del monopolio postale. Normalmente, la tas-sa di francatura era a carico del destinatario. Solo con r.d. 9luglio 1857 furono istituiti i francobolli postali per i reali do-mini di qua del Faro, il cui uso, però, che trasferiva la tassa almittente, era facoltativo (235). Il r.d. 5 luglio 1858 estesealcune disposizioni del decreto citato alla Sicilia, e preannun-ziò l'emissione dei francobolli per i reali domini di là del Farole cui caratteristiche furono fissate con r.d. 29 novembre1858 (236). Infine, con r.d. lO maggio 1859 fu approvato

(234) DE CESARE, a), I, pp. 272 ss.(235) Furono emessi francobolli da Y2 grano, e da l, 2, 5, lO, 20 e 50

grani, tutti di color rosa, portanti, entro cornici di varie forme, con l'iscri-zione «bollo della posta napoletana »,' e l'indicazione del valore, una compo-sizione araldica costituita dal cavallo ercolanese, dalla Trinacria, e dai tre gigliborbonici disposti col vertice in alto. Nel 1860, il Y2 grano fu sostituito daun francobollo- d'identico disegno, da Y2 tornese, di colore azzurro, usato perle stampe. La tariffa ordinaria per la lettera era di 2 grani, ed in città di lgrano. La posta da Napoli a Reggio Calabria impiegava 80 ore; per Bari, 50ore; per Terracina 14 ore; ma era quotidiana solo per Terracina (cioè per l'este-ro) e negli altri casi viaggiava solo tre volte per settimana. Vedi anche supra,cap. I, nota (99).

(236) Furono emessi francobolli da Y2 grano (arancio), l grano (verde-

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1/ Amministrazione centrale 375

il regolamento per la vendita dei francobolli, di qua e di làdel Faro.

c) La Direzione centrale della telegrafia elettrica (237)per i domini di qua del Faro, dipendente dal Ministero dellefinanze, ed altra ugualmente denominata per i domini di làdel Faro, dipendente dal luogotenente, furono istituite conr.d. 5 dicembre 1857. L'impianto della rete telegrafica nelregno, voluta da Ferdinando II, procedette con la massimarapidità, e già nel 1858 funzionava il cavo tra Reggio e Mes-sina (238). Abilitate alla trasmissione dei dispacci privati era-no però soltanto le stazioni di 1H e 2H classe; le altre trasmet-tevano solo dispacci di servizio pubblico.

d) Infine, il Ministero delle finanze esercitava la VIgI-lanza sulla Borsa de' cambi e di commercio di Napoli, e laluogotenenza di Sicilia esercitava parimenti, per mezzo del ci-partimento delle finanze, la vigilanza sulle borse di Palermo edi Messina. Il Ministero (o il luogotenente) stabilivano il ca-lendario, nominavano i deputati di Borsa, ed il re nominavagli agenti di cambio, ed i sensali di commercio, sulle propo-

oliva), 2 grani (azzurro), 5 grani (vermiglio), lO grani (azzurro scuro), 20 grani(grigio-ardesia), 50 grani (bruno-rosso), tutti portanti, in una cornice rettan-golare con l'iscrizione «bollo della posta di Sicilia» e l'indicazione del valore,il profilo del re Ferdinando II: opera insigne dell'incisore messinese Tom-maso Aloisio Iuvara (1809-1875) poi condirettore della Calcografia nazionaledi Roma, che fece di quei francobolli una delle più pregevoli serie emessenel secolo scorso.

(237) Non deve essere confusa col «Corpo telegrafico» dipendente dallaReal Marina (da ultimo, r.d, 6 febbraio 1838), e comandato da un tenente co-lonnello del Genio (in/ra, § 82). Questo, derivante dagli ordinamenti della oc-cupazione militare, gestiva i telegrafi a segnali, ossia i semafori; e le auto-rità civili potevano avvalersene solo per avvisare una rivolta, un'aggressione,o un bisogno di pronto soccorso in qualche luogo del regno, trasmettendo irelativi' dispacci all'interprete in plico suggellato (r. 18 agosto 1821, e mini-steriale 9 maggio 1823, in COMEReI, p. 671).

(238) DE CESARE, a), I, p. 271.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie S9376

ste che dalla Camera consultiva di commercio erano indiriz-zate al Ministero (239).

59. Il Ministero degli Affari interni: a) Ordinamentoed auribusioni. - Il Ministero degli affari interni fu, con taledenominazione, istituito con l. lO gennaio 1817, ed era, pro-babilmente, quello che presentò a lungo la struttura più com-plessa, dopo il Ministero delle finanze. Diversamente da quan-to avviene oggi, le attribuzioni di polizia furono, però, quasisempre estranee al detto Ministero. La polizia generale, infat-ti, fu riunita al Ministero dell'interno (così modificata la de-nominazione) col r.d. 26 gennaio 1848; e per un certo tem-po vi furono il «ramo interni », e il « ramo polizia»; ma conr.d. 4 novembre 1852 fu ristabilito il Ministero della poliziagenerale (in/ra, § 61).

Secondo il r.d. 2 aprile 1817, ed il r.d. 2 maggio 1817,il Ministero degli affari interni era articolato in sette riparti-menti. Il primo (Segretariato, archivio e biblioteca) tratta-va gli affari generali. Il secondo (amministrazione civile e la-vori pubblici) soprintendeva alle amministrazioni provincialie comunali, al contenzioso amministrativo, all'alloggio e ca-sermaggio della gendarmeria, alla leva militare, alla contabilitàdei comuni, ed a tutte le opere pubbliche a carico de' fondi co-munali e provinciali. Il terzo ripartimento era intitolato alla«istruzione pubblica », e come abbiamo visto (supra, § 47)ne fu distaccato col r.d. 17 novembre 1847, e passò a co-stituire il Ministero della pubblica istruzione. Il quarto ripar-timento si occupava degli stabilimenti di beneficenza, della

(239) Un dubbio sulla competenza per la nomina degli agenti di camobio, tra Interno e Finanze, derivante dalla temporanea attribuzione di tale com-petenza al Ministero d'agricoltura e commercio, poi riassorbito da quello del-l'interno, fu risolto a favore del Ministero delle finanze con r. 24 febbraio 1851(PETlTII, V, p. 133).

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59: L'Amministrazione centrale 377

salute pubblica e delle prigioni; ma con l'istituzione del Mi-nistero dei lavori pubblici (r.d. 17 novembre 1847) il ser-vizio delle prigioni fu trasferito a quest'ultimo. Il quinto ri-partimento (commercio, agricoltura, arti e manifatture) ven-ne a costituire, col r.d. 17 novembre 1847, il nuovo Ministerodell'agricoltura e commercio, che si sarebbe dovuto occuparedelle manifatture, degli istituti d'incoraggiamento, delle societàeconomiche, delle miniere, della pesca, dell'annona, dei pesie misure, della pastorizia, ed era stato articolato in tre riparti-menti: segreteria, salute pubblica e contabilità; agricoltura emanifatture; commercio (240). Ma ebbe vita effimera, essen-do stato nuovamente riunito al Ministero dell'interno con r.d.17 novembre 1849. Il sesto ripartimento trattava le materiedi contabilità. Il settimo ripartimento si occupava dei musei,antichità e belle arti, ed anche questo fu in seguito smembrato,

(240) Con ciò, ebbe termine la lunga ed importante gestione (dal 23 otto-bre 1831) di Nicola Santangelo, nominato consigliere di Stato e marchese iBio-grafia ; vedi anche in/ra, cap. IV, nota 115) e divennero ministro dell'internoGiuseppe Parisi, d'agricoltura e commercio Antonio Spinelli, e dei lavori pub-blici Pietro d'Urso. n 27 gennaio 1848, fu nominato all'interno Carlo Cian-cìulli, dimissionario il dì dopo, e sostituito il 30 da Francesco Paolo Bozzelli;all'agricoltura, commercio e pubblica istruzione andò il magistrato sicilianoGaetano Scovazzi, ed ai lavori pubblici Nicola Caraccìolo principe di Torella.Scovazzi diede le dimissioni il 21 febbraio 1848; e l'agricoltura e commercioriebbe un titolare, in persona del principe di Torella, il 16 maggio 1848, chefu l'ultimo, prima della definitiva riunione all'interno (r.d, 17 novembre 1849).Bozzelli, rimasto in carica fino al 7 agosto 1849, fu sostituito al ministero del-l'interno da Pietro d'Urso, il quale passò il 19 gennaio 1852 alle finanze, efu sostituito all'interno dal comm. Salvatore Murena. A quest'ultimo subentrònel 1854 il noto economista, consultore Lodovico Bianchini (DE SIVO,a), I,pp. 398·399),che DE SIVO,a), I, p. 408, dice responsabile della diffusione delcolera del 1855, per pigrizia ed inconcludenza (?); ma di «vanità ed accidia>l'accusa anche CAlÀ ULLOA,a), p. 286. Ciò non impedì al Bianchini di riunire,il 14 settembre 1855, alla direzione dell'interno quella della polizia, e di te-nerle fino al 22 maggio 1859. Al tempo di Francesco Il, fu direttore dell'in-terno Achille Rosica, già intendente di Basilicata, e dal 14 luglio 1860 fuministro il famigerato Liborio Romano.

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37U Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

tra il Ministero della pubblica istruzione, e il Ministero, poiSoprintendenza, della Casa reale (in/ra, § 63). L'ordinamentofu modificato col r.d. 21 aprile 1848, che prevedeva sei ri-partimenti: segretariato, amministrazione civile, beneficenza,sicurezza interna ed esterna, polizia giudiziaria ed ammini-strativa, contabilità. Subito dopo, il ripartimento 2° fu suddivi-so in due: amministrazione provinciale, ed amministrazionecomunale (r.d. 25 maggio 1848); il ripartimento contabilitàfu abolito e fuso nel segretariato (r.d. 7 settembre 1848); e,come si è detto, furono ripresi i servizi trasferiti al Ministerod'agricoltura e commercio (r.d. 17 novembre 1849), e per-duti quelli della polizia generale .

. Il Corpo di ponti e strade, istituito con r.d. 31 marzo1806, dipendeva dal Ministero dell'interno, e vi rimase quan-do, con r.d. 25 gennaio 1817, fu trasformato in Direzionegenerale de' ponti e strade, finchè questa, con r.d. 21 feb-.braio 1822, fu trasferita al Ministero delle finanze (supra,§ 58). Il r.d. 28 aprile 1859 dispose il trasferimento al Mi-nistero dell'interno della Direzione generale delle acque, fore-ste e caccia, separata da quella de' ponti e strade, ma subitodopo, con r.d. 16 maggio 1859, fu restituita al Ministero deilavori pubblici.

Quasi tutte le attribuzioni del Ministero dell'interno era-no esercitate in Sicilia dal luogotenente, e dal ministero pres-so di lui (in/ra, § 65).

L'attività principale e caratterizzante del Ministero del-l'interno era la amministrazione civile, concetto del quale nonsi trova nella legislazione e nella dottrina del tempo una sin-tetica definizione, ma che si può identificare nella cura degliinteressi propri delle singole parti del territorio e delle singolecomunità, nel quadro degli interessi generali dello Stato. Taliattribuzioni il Ministero esercitava per mezzo d'autorità peri-

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59 L'Amministrazione centrale 379

feriche dello Stato, corrispondenti però direttamente con tuttigli altri ministeri: intendenti delle provincie, assistiti dai Con-sigli d'intendenza, e sottintendenti dei distretti, dipendentigerarchicamente dai primi; e per mezzo di organi rappresen-tativi delle comunità locali: consigli provinciali, consigli di-strettuali, sindaci e decurionati nei comuni. La materia eradisciplinata dalla l. 12 dicembre 1816 sull'amministrazionecivile, che era uno dei testi fondamentali del diritto ammini-strativo del regno (infra, §§ 96-127 e 161).

Connessa all'amministrazione civile era «la tutela ammini-strativa e disciplinare di tutti gli ospedali, ed in generale ditutti gli stabilimenti di pubblica beneficenza, qualunque siala loro denominazione, e le opere di pietà cui sono destina-te» (art. 7, n. 12, r.d. 2 maggio 1817). Tali stabilimenti era-no vigilati nelle provincie dai Consigli provinciali degli ospizipresieduti dagli intendenti, ed amministrati, salvo specialiordinamenti, da Commessioni amministrative comunali (in-fra, §§ 128-133). Non ebbe successo un tentativo (r.d. 17novembre 1847) di staccare dal Ministero dell'interno, e tra-sferire a quello dei lavori pubblici, le opere pie non dipenden-ti dai Consigli degli ospizi, ed anzi non solo gli furono benpresto restituite (r.d. 11 aprile 1848), ma gli fu trasferitadalla Presidenza del Consiglio dei ministri (supra, § 43) laCommessione di beneficenza di Napoli (r.d. 21 aprile 1848).

Era di competenza del Ministero dell'interno il recluta-mento dell'esercito e della marina, per quanto interessaval'amministrazione civile e non aveva rapporto col servizioe disciplina militare (art. 7, n. 9, r.d. 2 maggio 1817; infra,§§ 88-95).

Presso il Ministero dell'interno era costituita la Soprin-tendenza generale degli archivi, da cui dipendevano gli ar-chivi provinciali, e gli altri archivi del regno (infra, § 98).

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380 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 59

Il Ministero dell'interno esercitava la vigilanza sui realiistituti di incoraggiamento, e sulle società economiche (in/ra,§ 103). Ne dipendevano altresì le Camere consultive di com-mercio, istituite in Napoli (r.d. Il marzo 1817), Foggia (r.d.20 ottobre 1818), Palermo (r.d. 13 ottobre 1819), Messina(r.d. 15 luglio 1829), con lo scopo d'indagare e proporretutto ciò che potesse essere conducente agli interessi del com-mercio: erano presiedute dall'intendente, e formate in Napolida nove membri, e negli altri centri di sei, nominati su propo-sta dei Consigli provinciali in numero triplo, e rinnovati perun terzo ogni anno; uno dei membri era vice-presidente, ev'era inoltre un segretario perpetuo. Soprintendeva ancheal servizio della statistica (in/ra, § 103).

Dipendevano dal Ministero dell'interno le Soprantendenzede' teatri e spettacoli in Napoli e Palermo (supra, § 35),e la Compagnia dei pompieri di Napoli (in/ra, § 126) (241).

Il servizio delle prigioni nelle province era affidato al-l'intendente, coadiuvato da una Commessione provinciale pre-sieduta da lui stesso, e composta dal presidente e dal procura-tore generale della Gran Corte criminale. Le era addetto un« amministratore» a titolo onorifico e gratuito, cui il lodevoleservizio dava titolo per l'eventuale impiego in magistratura(r.d. 22 ottobre 1817 e 18 dicembre 1817). In Napoli, ilr.d. 22 ottobre 1817 aveva costituito, per la vigilanza sulleprigioni, una Commessione presieduta dall'intendente, e com-posta dal direttore di polizia, dal presidente e dal procuratoregenerale della Gran Corte criminale, e da due amministratori.Essa fu abolita con r.d. 22 aprile 1820, che la sostituì conuna Soprintendenza, formata da un soprintendente, che eral'intendente della provincia di Napoli, due amministratori,tre ispettori economici, un segretario, un contabile, ed un

(241) COMERCI, pp. 89·90.

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60 L'Amministrazione centrale 381

certo numero d'impiegati. Le Commessioni e la soprinten-denza dovevano vigilare sul mantenimento de' locali e del-l'ordine interno delle prigioni, sulla sussistenza de' detenutipoveri, sulla vittitazione e cura degli infermi, sulla vestizio-ne de' più bisognosi, sull'adempimento del dovere di ciascunimpiegato, e sulla condotta de' custodi e scrivani delle prigio-ni, nominati dalla polizia, onde metter freno alle vessazionia danno de' detenuti (242). Dipendevano, però, dal Ministe-ro della polizia generale le Commessioni istituite con i r. 6giugno 1826 e 7 aprile 1827 (243) per somministrare lapena «economica» (cioè disciplinare) delle legnate, in nume-ro non superiore a cento, ai detenuti delle prigioni de' capi-luoghi di provincia e di distretto, trovati in possesso di armio strumenti atti a ferire, scassinare o bucare, o che partecipa-vano a rrsse, spargevano voci allarmanti o formavano unionicriminose, etc. (244).

Il servizio, come si è detto, fu trasferito al Ministero de'lavori pubblici col r.d. 17 novembre 1847 (in/m, § 64).

60. Segue: b) l'Amministrazione sanitaria. - Altro un-portante servizio, dipendente dal Ministero dell'interno, eraquello della sanità: e sembra opportuno dedicargli un po' ditempo, sol che si consideri quali gravissimi riflessi abbia-no ogni volta avuto sull'ordine pubblico del regno le ricor-renti epidemie coleriche (245).

(242) COMERCI,p. 254.(243) PETITTI, III, pp. 253 88., 257.(244) Soltanto la città di Napoli e casali aveva avuto fino al 1848, per

ordinanze di polizia 5 agosto 1822 e 3 gennaio 1831, il privilegio d'una Com-messione di tre commessari di polizia, che, con semplice processo verbale, in-teso l'incolpato, poteva infliggere fino a 100 legnate e fino a tre mesi di deten-zione ai perturbatori dell'ordine, ladruncoli, etc. (COMERCI,p. 590; SETTEMBRI·NI. b), p. 44).

(245) COMERCI,pp. 276·277. Per l'importanza dei riflessi delle epidemie,

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Istituzioni del Regno delle DI,Le Sicilie 60382

La materia era regolata unitariamente dalla 1. 20 ottobre1819 (« legge organica sulla pubblica salute ne' domini di quae di là del Faro ») di cui era complemento lo «statuto penaleper le infrazioni delle leggi, e de' regolamenti sanitari », ap-provato con 1. 13 marzo 1820. In ciascuna parte de' reali domi-ni, eravi una « soprintendenza generale di salute », il cui so-printendente generale presiedeva il «supremo magistrato disanità»: a questi organi era confidata la tutela della salutepubblica per quello che concerneva tanto il servizio sanitariomarittimo, quanto il servizio sanitario interno (art. l 1. 20ottobre 1819). L'esercizio delle arti salutari era però vigilato,in ciascuna parte del regno, dal protomedicato generale, cheera passato, di qua del Faro, alla dipendenza del Ministero de-gli affari ecclesiastici e della pubblica istruzione, ed in Sici-lia dipendeva dal Ministero presso il luogotenente (supra, §48). V'era anche uno stabilimento di ricerca e d'incoraggia-mento, l'Istituto centrale vaccinico, con sede in Napoli (r.d.27 gennaio 1831).

Ogni soprintendenza generale era formata dal soprinten-dente generale, dal segretario generale (tratto dai deputati delMagistrato supremo), entrambo di nomina regia (per il primo,il reg. lO maggio '1826 prevedeva la proposta del Ministrodell'interno in Consiglio di Stato, previa deliberazione delConsiglio dei ministri) e da un congruo numero d'impiegati(artt. io, 14, 21, 1. 20 ottobre 1819). La Soprintendenza eral'organo esecutivo del servizio, il Supremo Magistrato l'or-gano deliberativo (art. 4 1. cit.). Questo, ne' domini di qua

vedi r.d. 14 dicembre 1836, che stahilisce premi e pene per il personale ad-detto a certe funzioni d'interesse sanitario, ed il r. 16 agosto 1854 (PETlTTl, V,p, 635) che ne richiama in vigore le disposizioni, in occasione d'una nuovaepidemia di cholera morbus. Sui torbidi verificatisi in Sicilia durante I'epi-demia del 1836, in/ra, § 97; sulle leggi penali d'eccezione conseguentementeemanate, in/ra, cap. V, nota (150).

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60 L'Amministrazione centrale 383

del Faro era composto di dieci deputati, ed in Sicilia di sei;in ognuno v'era un segretario; tutti erano di nomina regia;ed interveniva inoltre, in funzione di deputato, in Napoli ilsoprintendente generale dei porti, ed in Palermo l'ufficiale in-caricato del servizio dei porti in Sicilia (artt. 5 e 21 l. cit.).Dipendeva da ciascuna Soprintendenza una facoltà medica,composta di sei professori, più un professore di chimica edun architetto, di nomina regia (art. 13 e 21 l. cit.).

I Supremi Magistrati deliberavano su tutte le misure ge-nerali che la garanzia della salute pubblica esigeva nelle diver-se circostanze; determinavano i rifiuti, le contumacie e le ri-serve cui conveniva sottoporre le navigazioni in tal uni mari,o le provenienze da taluni luoghi; decidevano sui sistemi dicustodia e di preservazione ne' casi di pericolo, e deliberava-no sull'amministrazione dei fondi addetti alla salute pubblica(art. 6 1. cit ..) Un deputato, nominato dal re col titolo d'ispet-tore generale, esercitava la funzione ispettiva (art. 8 L cit.).In caso d'assoluta urgenza, il soprintendente poteva dare lenecessarie disposizioni, informandone subito il Magistrato setrattava si d'affari riguardanti le attribuzioni del medesimo (art.Il l. cit.).

Il servizio sanitario marittimo era affidato alle « deputazio-ni di salute », distinte in quattro classi. Erano deputazio-ni di prima classe Napoli, Palermo, Messina, Siracusa (art.15 l. cit.). A Napoli e Palermo, funzionavano da deputati,col titolo di «guardiani del porto », due deputati del Supre-mo magistrato, a turno per anno; Messina aveva quattro depu-tati di nomina regia, che avevano onori e rango di deputatidel Supremo Magistrato di Palermo, alle cui sedute avevanofacoltà d'intervenire; Siracusa aveva quattro deputati, di no-mina regia (art. 16 1. cit.). Ogni deputazione di prima classeaveva un cancelliere ed altro personale amministrativo, nonchè

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384 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

un capitano di lancia con un adeguato numero di marmai(art. 17 1. cit.), ed uno o più medici, che in Napoli e Paler-mo erano professori della rispettiva facoltà, ed in Messina eSiracusa erano loro equiparati (art. 19 1. cit.). Le sedi delledeputazioni di 2\ 3R e 4R classe, di qua e di là del Faro, fu-rono stabilite con r.d. I" gennaio 1820. Esse erano compostedi non più di tre deputati, un cancelliere (che poteva essereanche uno dei deputati), ed uno o più medici (artt. 18 e 191. cit.). I deputati, cancellieri e medici di tali deputazionierano nominati dal soprintendente generale, su terne formatedal decurionato (in/ra, § 116), su cui esprimeva parere l'in-tendente della provincia o valle (art. 22 1. cit.}, e se ne rin-novavano due ogni tre anni (art. 23 1. cit.). Non potevanoessere nominati deputati di sanità i minorenni, i consoli esteri,i padroni di legni, gli esercenti il commercio marittimo, gli im-piegati doganali, ed i non proprietari (art. 24 1. cit.).

Due ampi regolamenti, del lO gennaio 1820, stabilironoil «servizio sanitario marittimo », per prevenire il pericolodella salute pubblica derivante dagli approdi di bastimenti,dai naufragi, e dalle cose gittate al lido dalle onde, ed il « ser-vizio sanitario interno », per la salvaguardia dei pericoli de-rivanti dalla respirazione delle arie malsane, dall'uso di ci-bi, bevande e farmaci nocivi, dal contatto con generi, personeod animali di già attaccati da un contagio qualunque. Il pri-mo di tali regolamenti fu poi sostituito con altro, 23 maggio1853, detto « regolamento generale di servizio sanitario ester-no », che era diretto a prevenire tanto i suddetti pericoli « pervia di mare », tanto quelli «per via di terra» (persone intransito, merci), e massimamente l'introduzione delle «tremalattie contagiose », peste, febbre gialla, e colera asiatico.

Il regolamento di servizio sanitario esterno stabiliva ledisposizioni relative all'approdo dei bastimenti, ai naufragi

60

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60 L'Amministrazione centrale 385

ed ai relitti (vedi, per il regime penale, il r.d, 19 settembre1826); le disposizioni sui lazzaretti, tanto di «osservazio-ne» (per le provenienze da località sospette), quanto « spor-chi» (per le provenienze da località infette), e contenevavarie disposizioni sul servizio delle deputazioni di salute.Il regime dei «cordoni sanitari marittimi », che il reg. 1820(artt. 219-233) prevedeva per casi straordinari, e che venivadeliberato dal Supremo Magistrato, ed eseguito dagli intenden-ti delle provincie o valli, fu, col reg. 1853, esteso al caso cheUna delle « tre malattie contagiose» si sviluppasse nello Statopontificio, o in uno Stato con esso fìnitimo.

Il regolamento di servizio interno affidava le relative at-tribuzioni agli uffiziali municipali, cioè al sindaco ed agli elet-ti (infra, § 113), sotto la vigilanza degli intendenti e sottin-tendenti che corrispondevano col soprintendente generale(artt. 22 ss, reg. cit.). L'intendente doveva farsi assistere,per gli affari sanitari, da una Commessione di quattro mem-bri, nominati da lui stesso, due dei quali scelti tra i medicipiù accreditati (art. 35 reg. cit.). Il regolamento dettavanorme per la vigilanza sulle risaie, sulla macerazione dellino e della canapa (246), sulle stalle, sulle sepolture (infra,§ 123), sulle prigioni (247) e stabilimenti pubblici, sullecase di nuova costruzione o di recente restauro, sugli stabili-

(246) La distanza delle risaie dall'abitato dei comuni, e dal corso dellestrade consolari, stabilita in non meno di due miglia dall'art. 6 reg. clt., fuelevata in Sicilia a 3 miglia col r.d. 7 marzo 1820. La stessa distanza era pre-scritta per le macerazioni (r.d, 2 novembre 1825). Vedi anche circo Min. Aff.int., 27 febbraio 1841, in PETITTI, III, p. 405.

(247) Le prigioni erano indicate (artt, 5 e lO reg. cit.) tra le cause di e esa-lazioni nocive », che rendevano l'aria malsana per fatto dell'uomo. Un r. 9 feb-hraio 1825, su voto del CP Terra di Lavoro (PETITTI, IV, p. 123) disponevapertanto che i detenuti infermi non si scarcerassero se non perfettamente guariti,4: perchè si allontani il pericolo di potersi diffondere il germe delle febbri carocerarie s (probabilmente, infezioni tifoidee).

25. LANDI • I.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 60386

menti e fabbriche d'industria (248) sui depositi di generi gua-sti, sulle fogne e sulla pulizia delle strade. Era vietato l'usodi cibi, bevande e farmaci nocivi, e si presumevano nocivi,fino a diversa risoluzione del competente Magistrato supre-mo, i farmaci «di occulta composizione, che i cosiddetti se-gretisti vanno spargendo per ingannare il volgo a danno dellasalute pubblica» (artt. 18 e 19 reg. cit.). Erano stabilite al-tresì le norme per prevenire la diffusione delle epidemie edepizootie.

Con l'entrata in vigore del r.d. 17 novembre 1847, isti-tutivo del Ministero della pubblica istruzione, cessò d'apparte-nere al Ministero dell'interno la vigilanza sulle professionisanitarie, esercitata dal protomedicato (supra, § 48). Era tut-tavia dovere della Commessione protomedicale (art. 12 r.d.24 aprile 1850) «conoscere esattamente lo stato dell'igie-ne pubblica e della polizia medica, non che le cagioni delle ma-lattie epidemiche, contagiose ed endemiche che si sviluppanone' diversi comuni del regno, facendone subito rapporto al pre-sidente del Consiglio generale per rimetterlo al ministro delcarico », e doveri analoghi gravavano sui viceprotomedici, esulle Commessioni protomedicali comunali (artt. 50 e 59 r.d.cit.).

Il regio governo erasr da tempo impegnato nel sostenere

(248) I trappeti «alla calabrese », perchè emananti esalazioni fetide (dafermentazione delle olive e da ristagno di acque), dovevano essere collocati anon meno di 100 tese (m. 200) dagli abitati, essendo però consentito conser-vare quelli nell'interno degli abitati per non più di lO anni, con l'obbligo diprovvederli di canali sotterranei, o con altre prescritte cautele; erano inveceautorizzati i trappeti «alla genovese », che erano «di una straordinaria net-tezza, vasti, ariosi e ventilatissimi» (Soprintendenza gen. di salute, 26 set-tembre 1818; 14 settembre 1833; Il giugno 1836; 18 dicembre 1844, io otto-bre 1849, in PETITTI, III, pp. 399, 400, 402, 406). Altre prescrizioni della Soprin-tendenza, 29 dicembre 1849, previo cfp. eR, stabilivano certe cautele per leconcerie di pelli (PETITTI, II, p. 413).

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61 L'Amministrazione centrale 387

e diffondere la salutare pratica della vaccinazione: le speseerano in maggior parte a carico delle provincie (in/m, § 103).

61. Il Ministero della polizia generale. - Il Ministe-ro della polizia generale esistente al tempo dell'occupazionemilitare (supra, § 39) fu conservato «provvisoriamente»col r.d. 4 giugno 1815, ed affidato «ad interim» al cavalierde' Medici. Le vicende successive di tale ministero, eminen-temente «politico» in un regime dominato da una del restonon in giustificata diffidenza, sono strettamente legate alla sto-ria politica del regno.

Con r.d, lO gennaio 1816, fu nominato ministro «ad in-terim» Antonio Capece Minutolo, principe di Canosa. Eraquesti, probabilmente, uomo migliore - quanto meno percoerenza, buona fede ed integrità - della memoria traman-datane dalla tradizione storiografìca liberale (249); ma le per-plessità che il cavalier de' Medici dimostrò verso quella scel-ta sovrana (250) erano ben giustificate. Il principe di Ca-nosa, uomo di fedeltà inconcussa al trono ed all'altare, e diprofondi convincimenti aristocratici (251), era, come oggi sidirebbe, un estremista di destra; ed anche se ebbe a dimo-strare più intuito di Medici nel non sottovalutare il pericolorappresentato dalla setta carbonara (252), è certo che si in-trodusse con lui nel Governo un indirizzo assolutamente ete-rogeneo rispetto alla politica di conciliazione perseguita dal

(249) Il prrncipe di Canosa è rimasto condannato dall'odioso giudiziodel COLLETTA,a), 111, p. 47, che lo dice «sperimentato strumento di tiranonide e d'enormità» in ordine ad una supposta, e smentita, partecipazione allacondanna di Gioacchino Murat; e che (pp. 58 S5.) ne abbozza un cenno bio.grafico oltraggioso.

(25() MATURI,pp. 123 S5.

(251) MATURI,pp. 15 55.

(252) COLLETTA,a) III, p. 127.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 61388

Medici e dal marchese Donato Tommasi, il che fu anche piùgrave per la propensione del Canosa ad avvalersi di me-todi pericolosi ed inaccettabili (253). Nel conflitto tra Medi-ci e Canosa, prevalse il primo: con r.d. 27 giugno 1816, Ca-nosa fu esonerato, fu nominato direttore Francesco Patrizi,ed al marchese di Circello (che, di fatto, si limitava a rife-rire in Consiglio di Stato gli affari che dovevano essere san-zionati dal re in tale sede) fu affidato l'ufficio di ministro« ad interim ».

Questa situazione fu codificata dalla l. lO gennaio 1817,la quale (art. 11) dispose che il ministero della polizia gene-rale restava abolito, e vi sarebbe stato in suo luogo un diretto-re generale con tutte le incombenze della polizia ne' reali domi-ni di qua del Faro, «agendo di per sè stesso» per quanto con-cerneva la città e provincia di Napoli, e per mezzo degli in-tendenti e delle altre autorità locali in tutte le altre provincie.Il direttore generale di polizia aveva accesso alla real persona,e corrispondeva per iscritto col sovrano, per il tramite di quelsegretario di Stato ministro cui il re giudicava più propriodarne la commessione. La direzione generale ebbe, in esecu-zione di tale ultima previsione, una doppia dipendenza, dalministro di grazia e giustizia per la polizia giudiziaria, e dal

(253) COLLETJ'A,a), 111, pp. 60 ss.; MATURI,p. 129; CROCE,b), II, p. 245.Vedi l'auto difesa del principe di Canosa nel libro (anonimo) l piDari di mon-tagna, in cui, se rimane confermato lo' strambo criterio di accordare permessidi porto d'armi a pregiudicati, purchè di sicuri principi governativi (ciò cheaccredita il sospetto di mirare ad un colpo di Stato ultra-reasionario), vi sonoosservazioni che paiono di buona ispirazione politica, come ,quella (p. 20) chec •.•questi Sovrani non essendo per affatto essi tiranni, promuovono nel genereumano la tirannia ... facendosi disprezzare cadranno nell'avvilimento... essi nonagendo con vigore contro i perturbatori dell'ordine pubblico termineranno colfarsi cacciare dal Soglio, ove subentreranno i faziosi ». Osservazione che valetanto per le monarchie della prima metà del secolo XIX, quanto per le demo-crazie della seconda metà del secolo XX.

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ministro degli affari interni per l'ordine pubblico e la poli-zia amministrativa (r.d. 20 novembre 1817, e 20 novembre1819). L'ispiratore di tali misure fu sempre il Medici, il qua-le diffidava dell'eccessivo potere che in un ministro della poli-zia solevasi concentrare (254). Fosse difetto del sistema, o,come altri dice, errore di valutazione (255), la polizia nonriuscì a prevenire il pronunciamento carhonaro, e tanto menoad impedire, dopo che questo ebbe successo, le ribalderie del-la setta (256).

Restaurata la monarchia assoluta, fu ricostituito il Mi-nistero della polizia generale (r.d. 11 aprile 1821), e ne futitolare « ad interim », ancora una volta, il principe di Canosa,reduce dal toscano esilio (257); il quale, se aveva conserva-to, malgrado le politiche disavventure, tratti di cavallerescagenerosità (258), nulla aveva appreso, che potesse tempera-re i suoi spigoli di don Chisciotte del legittimìsmo, e tra-scese a misure incongrue (in/ra, § 158) che nocquero mo-ralmente assai alla causa da lui servita, soprattutto per avereconferito all'Austria una patente di tutrice della legge da po-lizieschi arbitri violata (259). Tramontò per la seconda vol-ta la non fausta meteora del principe di Canosa, e fu nuova-mente soppresso (r.d. 28 luglio 1821) il Ministero della po-lizia generale.

Il nuovo ordinamento si basava su una «Commessionegenerale di polizia », costituita da due commessari, dei quali

(254) BLANCH,b), p. 52.(255) BLANCH,b), p. 54; COLLETTA,a), 111, p. 127.(256) COLLETTA,a), 111, pp. 183 e 226 ss. Dei delitti della carboneria, il

più allarmante fu l'assassinio dell'ex-direttore di polizia Francesco Giampietro,al quale seguì l'emigrazione di varie personalità del quinquennio (fra cui ilcavaliere de' Medici) oggetto a lor volta di gravi minacce.

(257) MATURI,pp. 151 S8.; COLLETTA,al, 111, pp. 292 88.

(258) MATURI,pp. 155·156.(259) MATURI,p. 161; CII,QCE,b), II, pp. 247 88.

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uno (Nicola Intonti) per la capitale, e l'altro (Flaminio Ba-rattelli, ferrarese, ed agente del servizio segreto austriaco)per le provincie, da Troiano Marulli duca d'Ascoli, e daFrancesco Canofari, segretario generale.

La Commessione generale ebbe vita effimera. Con l'.d. 13agosto 1822, fu ricostituito il Ministero della polizia generale,affidato al maresciallo di campo Giuseppe Clary, cui suben-trò, dal 25 aprile 1823, Nicola Intonti ; e con altro decretodella stessa data, fu ricostituita la prefettura di polizia di Na-poli. Indice manifesto del mutato indirizzo politico è che men-tre alcuni anni prima si diffidava dell'esorbitante autoritàche poteva assumere un ministro di polizia, questa preminen-za fu anzi sancita nell'art. lO reg. 4 giugno 1822 sul Consigliodi Stato ordinario e sul Consiglio dei ministri (supra, §§ 27e 29), dove espressamente si ammetteva che in affari di com-petenza di tal Ministero dovesse in tal uni casi mantenersiil segreto anche con gli altri ministri.

Il Ministero, secondo il r.d. 15 giugno 1824, era orga-nizzato in tre ripartimenti, dei quali il primo trattava gli affa-ri generali e del personale, il secondo quelli relativi alla cittàe provincia di Napoli, ed il terzo gli affari di polizia delle al-tre province e l'ordine pubblico. Un'ulteriore concentrazio-ne di poteri si verificò allorchè, destituito ed allontanato dalregno (14 febbraio 1831) il ministro Intonti, compromessoin velleitarie mene costituzionali (260), fu chiamato a taleufficio il maresciallo di campo Francesco Saverio del Carret-

(260) Nicola Intonti, dagli avvenimenti verificati si in Francia nel 1830, edalle loro ripercussioni nello Stato pontificio ed in altri Stati italiani, avevatratto il superficiale convincimento d'un imminente trionfo della causa libe-rale. Su tale inetta cospirazione, DE SIVO,al, I, pp. 55 S8.; CAL.~ULLOA,a), pp.27 S8.; Nrsco, pp. 16 88.; CORTESEN., I, pp. XLVIII ss. Vedi anche injra, cap. IV.nota (41).

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to, ispettore comandante della gendarmeria (261), e furonoriunite le due cariche (r.d. 16 febbraio 1831). Questa situa-zione, protrattasi per sedici anni, fu, quali che siano state ledoti dell'uomo in cui si impersonò (262), un errore, perchètolse ogni possibilità di reciproco controllo all'azione dellapolizia e della gendarmeria (263). Nell'organizzazione del Mi-nistero, la conseguenza fu che, con r.d. 18 marzo 1831, siaggiunse un quarto ripartimento, per gli affari della gendar-meria reale. Un nuovo ordinamento fu stabilito col r.d. 14marzo 1840: i ripartimenti furono elevati a quattro, più unoin Palermo; dei quattro ripartimenti di Napoli, il primo erala segreteria generale, mentre la competenza degli altri treera stabilita a discrezione del ministro; un « carico» (sezione)separato trattava la contabilità; infine, un altro ripartimento« eventuale », per gli affari della gendarmeria, veniva costi-tuito quando il ministro fosse anche ispettore comandantedell'Arma, il che, peraltro, accadde solo durante la gestionedel generale del Carretto.

(261) Francesco Saverio del Carretto (Barletta 1777· Napoli 1861), prove-niva dall'esercito di Sicilia con cui aveva partecipato alla campagna di Spa-gna. Era assurto a notorietà con l'implacabile repressione del moto del Cilento(CALÀ ULLOA, b), pp. 50·57), dimodocchè la sua nomina «fu gran terrore,che noto era come l'uomo del Vallo» (CAL1 ULLOA,a), p. 30). Questa nominafu anche l'epilogo del lungo conflitto tra Intontì e del Carretto, per cui «lapolizia sorvegliava la gendarmeria, e questa quella, nuocendosi a vicenda»(CALÀ ULLOA, b), p. 91), ed è perciò probabile che l'unificazione nella stessapersona degli uffici di ministro e di ispettore comandante della gendarmeria,volesse prevenire il riprodursi dello sconcio.

(262) Malgrado la durezza e l'arbitrari età che il marchese del Carrettoportò nell'esercizio del suo ufficio, la sua personale onestà fu al di sopra d'ognisospetto: NISCO, pp. 21.22; DE CESARE, a), I, p. 296.

(263) DE SIVO, al, I, p. 69. Questo autore non risparmia al marchese delCarretto il solito suo sospetto di legami e settar i s : è piuttosto da credereche il ministro avesse nelle sette alcuni campioni del doppio giuoco, perquali la polizia aveva, in cambio d'informazioni, un occhio di riguardo.

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Fu questi, a suo turno, travolto dai tumulti del 1848, re-vocato, ed allontanato dal regno il 25 gennaio di quell'an-no (264). E col r.d. 26 gennaio 1848, il Ministero della po-lizia generale fu abolito, e riunito al Ministero dell'interno,di cui divenne un «ramo ». Nel gabinetto costituzionale del27 gennaio 1848 (Serracapriola), fu ministro dell'internoFrancesco Paolo Bozzelli, e direttore di polizia Carlo Poe-rio; in quello del 3 aprile 1848 (Carlo Troya) fu ministroRaffaele Conforti; in quello del 16 maggio 1848 (principedi Cariati) i due uffici furono riuniti nella persona di Raffae-le Longobardi, avvocato generale della Corte suprema di giu-stizia di Napoli, e già prefetto di polizia; nel gabinetto del7 agosto 1849 (Fortunato), fu ministro dell'interno Pietrod'Urso; ma col rimpasto del 17 novembre 1849, SalvatoreMurena fu direttore dell'interno, agricoltura e commercio,ed alla direzione del ramo polizia andò il già prefetto di po-lizia Gaetano Peccheneda, che rimase in carica col successivogabinetto del 19 gennaio 1852 (Ferdinando Troya), fino allasua morte, seguita pochi mesi dopo. Ed allora, con r.d. 4 no-vembre 1852, fu reso di nuovo indipendente il Ministerodella polizia generale da quello dell'interno, ma vi si preposenon un ministro, bensì un direttore, in persona dellintenden-te di Calabria Citeriore, Orazio Mazza. Questi direttori, especialmente il Peccheneda, impressero all'azione della poli-zia un indirizzo particolarmente severo, e perfino vessatorio.Non così Ludovico Bianchini,che, dopo la nomina di Mazzaa consultore, riunÌ alla direzione dell'interno quella della po-lizia (14 settembre 1855) e le tenne fino all'avvento al tronodi Francesco II (22 maggio 1859) (265). Sotto quest'ultimo re-

(264) DE SIVO,a), I, p. 123,(265) Supra, nota (~40),

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gno, si succedettero, nella direzione di polizia, il sostituto pro-curatore generale della Gran Corte criminale di Napoli Fran-cesco Antonio Casella (22 maggio-28 settembre 1859) (266),e l'intendente di Salerno, poi direttore dei lavori pubblici,Luigi Ajossa, che tentò un ritorno ai passati rigori, ma fu so-stituito il 25 giugno 1860 (267). Si succedono poi, con l'inter-vallo di qualche settimana l'uno dall'altro, il maresciallo dicampo Emanuele Caracciolo di S. Vito (268), il controloro ge-nerale Federico del Re, ed infine l'avvocato Michele Giacchiex-perseguitato politico, che il 7 settembre 1860 si presentò,col ministro dell'interno Liborio Romano, a ricevere Garibal-di, per umiliargli il destino del regno. Questa successione di di-rettori esprime meglio d'ogni altra serie di ministri o diretto-ri là finale vicenda delle Due Sicilie, tra il 1848 ed il 1860.

Dal Ministero della polizia generale dipendeva direttamen-te la Prefettura di polizia (r.d. 13 agosto 1822, e 16 giugno1824), organo, come dice il nome, d'origine francese (r.d.22 ottobre 1808), soppresso bensì col r.d. 20 novembre 1819,ma ben presto restituito (v. anche injra, § 99). Era questal'autorità di polizia per la città di Napoli e suo distretto(art. 3 r.d. 16 giugno 1824), dalla quale dipendevano do-dici commessari di quartiere, ciascuno con un personale diispettori di la e 2a classe, d'ispettori soprannumerari, di can-cellieri e vice-cancellieri, il Commessariatoper le prigioni, i treispettorati delle barriere, e quelli dei reali siti di Portici e Ca-

(266) In/ra, cap. IV, nota (200).(267) La famiglia Ajossa aveva proprietà nel territorio di Cinquefrondi,

in Calabria Ulteriore Prima, e sembra sia stata al centro delle «reazioni >, iviesplose alla fine d'ottobre 1860: DE SIVO, a), II, p. 314; TRIPODI, pp. 179 88.

(268) Il duca di S. Vito seguì il re Francesco Il in Gaeta, come aiutantegenerale di S.M. ed ispettore comandante della Gendarmeria reale; mor] d~ eq-[era durante l'assedio. Era stato promosso tenente generale,

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podimonte. Parimenti dipendevano direttamente dal ministeroi sottintendenti di Casoria, Pozzuoli, e Castellamare, per ilservizio di polizia (art. 13 r.d. cit.).

Ne' reali domini di là del Faro, dove la polizia dipendeva-dal Ministero presso la luogotenenza (r.d. 5 luglio 1821), esi-steva in Palermo la Direzione generale di polizia (r.d. 3 otto-bre 1822), cui era preposto un direttore generale. Questi, dal1849 al 1860, fu, ininterrottamente, Salvatore Maniscalco, uo-mo duro e zelante, ma di capacità ed onestà indiscusse (269).In Palermo v'erano il prefetto di polizia e tre commissari, deiquali il primo era a disposizione della direzione generale, perqualunque servizio che potesse occorrere, anche fuori dellacittà, nonchè in altre valli; un altro commissario era a Messi-na, e v'era anche destinato un interprete per il servizio dellapolizia marittima (r.d. 23 agosto 1825).

Nelle province e valli, salvo Napoli e Palermo, «primariagenti della polizia ordinaria» (supra, § 33) erano gli inten-denti, ed alle loro dipendenze, nei distretti, i sottintendenti.Da queste autorità dipendevano gli ispettori di polizia, e,dove questi non risiedessero, le funzioni stesse venivano eser-citate dal giudice di circondario o dal sindaco. V'era un ispet-tore in Mola di Gaeta, altri ispettori in vari punti della fron-tiera (270); e due commissari a disposizione del ministro, perle missioni straordinarie nelle province.

La gerarchia dei funzionari di polizia comprendeva com-missari di l a e 2Q classe, ispettori commissari di l a e 2Q classe,ispettori di la e 2Q classe, ed ispettori soprannumerari. Ilsoldo del commissario di I" classe era d'annui ducati 1.200,

(269) DE CESARE,a), I, pp. 5 58.; DE MAyo.(270) Erano uffici di frontiera Arce, San Germano, Capua, Portella, Ci·

vitella del Tronto, Martin SeCUl:O,Tal!i1i.l\ç~tz.o"ttRdJ ça.r.:~~.nico(PASANISI,a),_p.18).

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cioè un po' superiore a quello del sottintendente di P classe(in/ra, § 100). Alla prefettura di polizia, ed agli uffici dipen-denti, erano addetti cancellieri e vice-cancellieri. I commissa-ri e gli ispettori erano nominati dal re su proposta del ministrodella polizia generale; gli ispettori soprannumerari, i cancel-lieri e vice cancellieri erano nominati dal ministro e potevano«essere rimossi a di lui piacimento» (artt. 38 e 39 r.d. 16giugno 1824). Nessuno poteva essere nominato al grado oclasse superiore se non aveva esercitato le fu~zioni del gradoe della classe immediatamente inferiore (art. 41 r.d, cit.),

Questa polizia civile, era deficiente di personale esecutivo.Il r.d. 16 giugno 1824 prevedeva «capisquadra », «uominidi polizia» e «lanternieri », ma prestavano servizio solo inNapoli, ed in numero esiguo: due capisquadra, due lanternie-ri, .e 12 uomini addetti alla prefettura; un caposquadra, duelanternieri e quattro uomini in ogni commissariato di quartie-re; due uomini al porto, due al Commessariato delle prigioni,due per ciascuna delle tre barriere;. un caposquadra e tre uo-mini a ciascuno degli ispettorati dei reali siti di Portici e diCapodimonte. Parrebbero, in tutto, 16 capisquadra, 26 lan-ternieri, ed 86 uomini. Il r.d. 13 maggio 1836 chiamò questopersonale «guardie di polizia », per il servizio della città edei distretti della provincia di Napoli, e ne elevò il numero(4 capisquadra, 28 lanternieri, 120 guardie, 9 guardie-mari-nai); finalmente il r.d. 22 ottobre 1856 stabilì un organicodi 4 capisquadra, 36 sottocapi, 36 guardie di P classe, 108guardie di 2R classe, 48 guardie di 3R classe, un capo-marinaroed 8 guardie-marinari. Il numero delle guardie di polizia inSicilia fu fissato in 128 (r.d. 29 luglio 1838). Alla defìcenzanumerica si suppliva con l'assumere personale straordinario,a seconda delle esigenze. Questi agenti, non sufficientementeretribuiti, commettevano scorrettezze, e rendevano odiosa la

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polizia. Dice uno scrittore non sospetto (271) che quei «bas-si adepti, detti uomini di fiducia, cui il popolo corrompen-do a dileggio appellava [eroci.: si davano a ogni reo me-stiere, a stender la mano in tutte le guise; e per estorquerdanari eran feroci ». Nelle provincie, non v'era, praticamen-te, altra forza fuori della gendarmeria (infra, §§ 77 e 79),ed in Sicilia delle compagnie d'armi (infra, § 80). Per lamaggior parte dei servizi era quindi necessario utilizzare for-ze ausiliarie « pagane », cioè non militari, tratte dalla stessacittadinanza, che, dopo varie esperienze, furono ordinate co-me «Guardia d'interna sicurezza» in Napoli ed in Palermo,e come «Guardia urbana» nelle provincie (infra, § 106).A tali difetti organizzativi, che rendevano la polizia invisa, adun tempo, e poco efficiente, devesi ascrivere la consuetudine,comune del resto in quel tempo a tutti gli Stati, di non rifug-gire dalle delazioni, talora provocate e prezzolate, talora« spontanee» ma ispirate da loschi intenti ammantati dalealtà.

Di taluni profili dell'azione di polizia, incidenti sulla li-bertà personale, abbiamo detto supra, § 33.

62. Il Ministero della guerra e marina. - Le vicendedel Ministero della guerra e marina, nel quinquennio 1815-1820, sono interamente dominate dall'esigenza della ricostru-zione delle forze armate e da quella d'attuare l'amalgama trale forzeborboniche di Sicilia e quelle già di GioacchinoMurat. Esaminiamo qui i provvedimenti concernenti l'am-ministrazione; quelli che riguardano propriamente l' ordì-namento dell'esercito e della marina, lo stato giuridico delpersonale militare ed il reclutamento, saranno esaminati. i.~~~~

(271) VE SlVO, al, I, p. 69.

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guito (inlra, §§ 73 ss.). La competenza in materia di levaterrestre e marittima, non era del Ministero della guerra e ma-rina, bensì di quello dell'interno (inlra, §§ 88 S8.).

La soluzione del prohlema dell'amalgama parve all'inizioimporre un modulo d'organizzazione paritetica, e perciò, ri-nunciando a nominare un ministro, che avrehhe avuto l'una ol'altra provenienza (272), fu creato (r.d. 13 luglio 1815) ilSupremo Consiglio di guerra, rivestito di tutte le attribuzio-ni del ministero di tale dipartimento. Era composto d'unpresidente (don Leopoldo di Borhone, principe di Salerno),d'un vice presidente (il tenente generale Jacques-Elisabeth deVidard de Viderey, marchese di Saint Clair, che era stato mini-stro della guerra dal 4 giugno 1815), e da quattro consiglieriufficiali generali, dei quali due provenivano dal disciolto eser-cito di Murat (il tenente generale Carlo Filangieri, prin-cipe di Satriano, ed il tenente generale Angelo d'Amhrosio),e due dall'esercito siciliano (il tenente generale Angelo Mini.chini, ed il tenente generale Giovanni Battista Fardella, mar-chese di Torrearsa). Dal Supremo Consiglio dipendeva unasegreteria, articolata in sei dipartimenti: personale dell'arma-ta, cancelleria, materiale dell'armata, rassegne e reclutamento,soldo e fondi, artiglieria e genio. Organo consultivo era laGiunta centrale d'artiglieria (r.d. 11 gennaio 1816).

È facile immaginare come questa direzione colìegiale nonpotesse essere un capolavoro d'efficienza, anche per lo scarsoimpegno che dimostrarono il presidente ed il vice presiden-te (273): hisogna riconoscere, tuttavia, che il Supremo Con-siglio (come si vedrà inlra, §§ 77 e 84) riuscì in poco più diun anno di funzionamento a porre le ha si del nuovo esercito.

(272) COLLETTA, a), I1I, p. 25; BUNCH, b), p. 55.(273) COLLETTA, a), I1I, p. 26; BUNCH, b), p. 62.

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Lo scioglimento fu deciso col r.d. 30 agosto 1816, e la moti-vazione fu la «mancanza di speditezza»; di fatto v'eranostati contrasti tra il Consiglio ed il potentissimo ministro del-le finanze cavalier de' Medici, in materia di spese militari, equesta non fu una benemerenza nè una prova d'acume delministro (274).

Nemmeno questa volta, però, fu nominato un ministro del-la guerra; e col medesimo decreto si affidò la «organizzazio-ne generale» al tenente maresciallo dell'esercito austriaco (ir-landese di nascita) LavaI Nugent, conte di Westmeath, che nel-l'esercito del regno ebbe il grado supremo di capitano genera-le. « All'immediazione » del generale Nugent fu posto il già ri-cordato gen. Minichini. Tale «Comando supremo militare»(la cui organizzazione fu poi modificata con r.d. 21 marzo1819) era articolato in tre ripartimenti: amministrazione,Stato maggiore, Ministero. Riferivano a turno a Sua Maestài ministri segretari di Stato, Tommaso di Somma marchese diCircello, cavalier Luigi de' Medici, marchese Donato Tommasi,e tenente generale Diego Naselli d'Aragona. In Sicilia, il di-partimento era rappresentato dal ten. gen. Fardella.

È da notare che simili tormenti non si proposero per lareal Marina, che ebbe sempre un proprio ministro nella perso-na del menzionato gen. Naselli, il quale lasciò tale ufficio soloil 27 aprile 1820 (275), per recarsi luogotenente in Sicilia,dove la sua stella doveva tristemente tramontare nella buferadi quell'anno infausto.

La scelta del gen. Nugent non fu politicamente felice,perchè, caduta su uno straniero, dimostrava sfiducia del Go-verno verso i generali dell'una e dell'altra provenienza. Nonsempre tali scelte avevano sortito buon esito: e non era remo-

(274) COLLETTA, a), 111, pp. 66.76; BLANCH, b), p. 64.(275) CORTESE N. in COLLETTA, a), 111, p. 30.

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to il ricordo della memoranda débiicle di Karl Mack von Lei-berich, nel 1798-1799. Sono probabilmente opinabili le accu-se di servilismo verso il cavalier de' Medici, e d'avidità (276),e preferiamo credere come «l'istesso uomo che può condurreuna divisione austriaca, ove tutto è organizzato e stabilito, chepuò essere' un uomo colto in società, può mancare delle qua-lità necessarie per creare un esercito in un paese che gli èignoto, ed ove non sono nè abitudini, nè tradizioni soli-de» (277). Sarebbe poi eminentemente ingiusto fare torto algen. Nugent di non avere previsto e prevenuto il pronuncia-mento del 2 luglio 1820, quando il Governo nessun sintomo ri-velatore aveva percepito, ed aveva anzi dimostrato per boccadel più autorevole dei suoi componenti una totale incompren-sione della situazione politica e psicologica dell'esercito (278).Il gen. Nugent, travolto dagli avvenimenti, lasciò l'ufficio il6 luglio 1820 (279), e con r.d. 29 luglio 1820 (con uno, cioè,di quei provvedimenti del regime costituzionale, che furonodichiarati nulli dal r.d. 6 aprile 1821) fu ricostituito il Mi-nistero della guerra, affidato. al tenente generale Michele Car-rascosa (280), cui ben presto succedette il ten. gen. Giusep-pe Parisi, e poi il ten. gen. Pietro Colletta (r.d. lO dicem-bre 1820 e r.d. 25 febbraio 1821). Il ministero della Mari-na, che dopo la partenza del gen. Naselli per la Sicilia eraretto «ad interim» dal marchese Felice Amati, fu affidatoal retro ammiraglio Ruggiero Settimo, che non si mosse mai

(276) COLLETTA,a), 111, pp. 67-68 e 129·131.(277) BLANCH, b) p. 64, nota (2).(278) Il cavalier de' Medici aveva espresso l'opinione ridicola, essere

impossibile che una truppa pagata il primo del mese potesse insorgere il due;ma proprio questo avvenne (CORTESEN., I, p. CXX).

(279) CORTESEN. in COLLETTA,a), 111, p. 141.(280) Michele Carrascosa y Zerezeda y Azebron, nato 1'11 aprile 1774 in

Sicilia: CORTESEN. in COLLETTA,a), 111, pp. 352 S8.

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da Palermo dove risiedeva (281), e fu sostituito «ad inte-rim» dal ten. gen. Carrascosa, e dai suoi successori. Quelche accadde durante il regime costituzionale, è materia distoria politica, o di storia militare (vedi anche injra, § 78).

Il Ministero della guerra e marina, dopo la liquidazionedel regime costituzionale, fu ricostituito definitivamente colr.d. 28 maggio 1821. Furono nominati direttore del ramoguerra il ten. gen. Fardella e del ramo marina il retroammi-raglio Francesco Lucchesi Palli, e con r.d. 26 giugno 1822fu approvato il «regolamento della regia segreteria di guer-ra ». Ma poichè con r.d. 10 luglio 1821 fu sciolto l'esercito,e con r.d. 29 luglio 1822 anche l'armata di mare, la funzionedi questi direttori fu piuttosto, per vari anni, quella di com-missari liquidatori, schiacciati da preoccupazioni politiche, esolo col regno di Francesco I parve che si potesse dar manoalla ricostruzione delle forze armate (vedi anche in/ra, §§ 78e 79).

È tuttavia da ascrivere ancora al regno di Ferdinando I unimponente lavoro normativo, la «ordinanza dell'amministra-zione militare del regno », approvata con r.d. 29 giugno 1824.Questa ordinanza, di 732 articoli e 55 allegati, è un vero codi-ce amministrativo militare, occupa un «Supplemento» dellaCollezione, di più centinaia di pagine, ed è divisa in 5 libri:amministrazione militare in generale; spese di 1&classe; spesedi 2&classe; spese di 311 classe (282); amministrazione Inter-

(281) Di questo discutibile personaggio. esiste una biografia di AVARNA DI

GUALTIERI, scritta con mano d'amico, ma che, se letta attentamente, permettedi fare giustizia dell'agiografia siculo-cisorgimentale.

(282) Erano spese di P classe .quelle concernenti gli assegni, le riviste,il casermaggio e gli stabilimenti ospedalieri; di 2' classe quelle per materialidel genio e d'artiglieria, trasporti militari, illuminazione e riscaldamento, ri-monta di cavalli e muli, lavori topo grafici ; di 3' classe quelle per il tratta-mento de' militari e de' familiari.

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62 L'Amministrazione centrale 401

na de' Corpi. L'organo amministrativo centrale era l'Inten-denza generale dell'Esercito (r.d. 18 dicembre 1816), inca-ricata del servizio di tutti i fondi assegnati al ramo «guerra »,ed in particolare della spedizione degli ordinativi di pagamen-to, della preparazione dello stato discusso annuale, del ren-diconto annuale alla Gran Corte de' conti, dei servizi del ma-teriale, trasporti, casermaggio, etc. Intendente generale eraun maresciallo di campo dell'esercito, da cui dipendevano icommessari di guerra <li due classi, equiparate rispettivamen-te ai gradi di maggiore e di capitano. In seguito (r.d. lO gen-naio 1832) l'organico fu fissato in 6 commessari ordinatori(tenenti colonnelli), 12 commessari di l a classe (maggiori) e12 di 2R classe (capitani); e molto più tardi, per la ragioneche il Commessariato risultava composto «d'individui d'avan-zata età e d'acciaccosa salute », furono istituiti sei posti dicommessario aggiunto (r.d. 4 agosto 1860). I commessari pre-stavano servizio tanto presso l'Intendenza generale, quantonelle province. L'ordinanza prevedeva due vice intendentidell'esercito, uno in Palermo, l'altro in Messina; ma col r.d.17 dicembre 1830 (artt. 12-13) la vice intendenza di Messi-na fu abolita, e la competenza di quella di Palermo, cui erapreposto un commessario ordinatore, estesa a tutta la Sicilia.

I contratti dell'Amministrazione militare erano stipulatida apposite «giunte », si consideravano fatti dal ministrodella guerra e marina, e giudicabili in prima istanza dalleGran Corti de' conti di Napoli e di Palermo (art. 51 r.d.29 giugno 1824: injra, §§ 169 e 170). La Giunta per i con-tratti generali era presieduta dall'intendente generale, edera composta dallo scrivano di razione (supra, § 53), datre commessari ordinatori, e dal procuratore generale, o da unavvocato generale, della Gran Corte de' conti, in funzionedi «fiscale ». V'erano poi Giunte provinciali, ed una per il

26. LANDI - I.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 62402

Governo militare di Gaeta. I contratti relativi al serVIZIOde-gli ospedali militari erano approvati dal Consiglio generaledi sanità militare, con sede in Napoli, composto da un tenentegenerale o maresciallo di campo, presidente, dall'ispettore ge-nerale di sanità, e da un commessario ordinatore (r.d. 17 lu-glio 1815). Questo Consiglio assorbì poi (r.d. Il novembre1836) le funzioni del Consiglio sanitario della regia marina(istituito come «Giunta amministrativa di sanità per gliospedali di marina» col r.d. 8 luglio 1816).

In ogni corpo, il Consiglio d'amministrazione era perma-nentemente responsabile della parte amministrativa, e del-l'esatto impiego dei fondi che si davano al corpo (art. 560r.d. 29 giugno 1824). Il Consiglio aveva diversa composizio-ne, a seconda del corpo presso cui era costituito (reggimen-to, battaglione, etc.). Di solito, era formato dal comandante,e dai due ufficiali più elevati in grado e più anziani; funziona-va da segretario il quartiermastro (ufficiale incaricato del-l'alloggio, vestiario e vettovagliamento); il Consiglio nomina-va l'ufficiale di dettaglio, l'appoderato (ufficiale pagatore), edil quartiermastro, tra gli ufficiali subalterni. Nella compagniadelle reali guardie del corpo a cavallo, il Consiglio d'ammini-strazione era presieduto dal primo tenente.

Un momento importante, nella storia delle istituzioni mi-litari del regno, è quello della creazione (r.d. 29 maggio 1827)del Comando generale dell'esercito, affidato, col grado di ca-pitano generale, a Ferdinando duca di Calabria, cui 'si diedecome aiutante generale il tenente generale Filippo Saluzzo.Il principe diciottenne dedicò le sue fresche energie ed il suogiovanile entusiasmo alla ricostruzione dell'esercito, tuttoramortificato dagli infausti eventi del 1820-1821, e dal regimed'economie fino all'osso, e perciò, quando egli ascese al tronocol nome di Ferdinando II (8 novembre 1830) e, poco dopo,

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abolì il Comando generale dell'esercito (r.d. 17 dicembre1830), la situazione poteva dir si normalizzata, ed i suceessrviprovvedimenti di regia clemenza recuperarono all'esercito ele-menti preziosi, che per politico sospetto erano stati allontana-ti (infra, § § 79 e 85). Fu predisposta certamente nel periodoin cui Ferdinando era comandante generale, anche se pubbli-cata qualche mese dopo (r.d. 26 gennaio 1831), la «Ordi-nanza per il governo, pel servizio e per la disciplina delle rea-li truppe nelle piazze », che è, come l'ordinanza amministra-tiva del 1824, un vero e proprio codice del servizio militare,composto di 2.275 articoli, 20 allegati, ed un indice, divisoin quattro titoli: de' comandi, delle ispezioni, e delle direzio-ni generali; del servizio; della polizia e del governo; deglionori e delle cerimonie.

Sotto il regno di Ferdinando II, il Ministero della guerrae marina, «ramo guerra », era articolato in quattro riparti-menti, dei quali (più o meno) il primo trattava gli affari ri-servati, legislativi, e del personale militare e civile; il secon-do quelli riguardanti l'artiglieria, il genio, gli istituti d'edu-cazione militare, e l'Orfanotrofio militare (283); il terzo lagiustizia militare, le prigioni militari, la disciplina, il culto, laleva ed il reclutamento, e le pensioni; il quarto la contabili-tà ed il contenzioso amministrativo, il commessariato di guer-ra e gli ospedali militari (r.d. 12 marzo 1833). Un altro de-creto, della stessa data, ne prevedeva talune «dipendenze »,

Dipendevano dal Ministero della guerra, ramo guerra:

a) La Direzione generale dei Corpi facoltativi (r.d. 2

(283) L'Orfanotrofio militare (r.d, l° gennaio 1819), provvedeva allistru-zione di 400 figli d'ufficiali d'ogni grado, e di 350 figlie, nonchè alla dìstribu-zione di doti, sussidi, etc. (COMERCI, pp. 97 e 576). Fu riordinato con r.d. 2aprile 1822, ed i suoi impiegati avevano diritto a pensione (r. 8 agosto 1826,in PETITTI, II, p. 606).

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404----------------------~~--------------------------Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 62

settembre 1832). Il servizio concerneva i cosiddetti corpifacoltativi, cioè il Corpo reale d'artiglieria, il Corpo reale delGenio, il reale officio topografico, e gli istituti d'educazio-ne militare. Era diretta da un tenente generale o maresciallodi campo, proveniente dall'artiglieria o dal genio, da cui di-pendevano 4 brigadieri ispettori (per il materiale di qua delFaro, per il materiale di là del Faro, per il personale, perl'ufficio topo grafico e gli istituti d'educazione). Organi colle-giali tecnico-amministrativi erano il Consiglio generale d'ar-tiglieria, ed il Consiglio delle fortificazioni del genio, presie-duti dal direttore generale, che potevano riunirsi in «Consi-glio generale misto », se reso necessario dalle circostanze diservizio. La Direzione generale, con r.d. 14 marzo 1860, fuscissa in «Direzione generale d'artiglieria» (con sei ispet-tori) e «Direzione generale del genio» (tre ispettori). Per ilservizio tecnico-amministrativo dell'artiglieria v'erano duesottispettori (ufficiali superiori), di qua e di là del Faro, cin-que direzioni di stabilimenti e nove direzioni locali (territo-riali) cui si aggiunse la 15R (Pietrarsa) col r.d. 15 giugno1859; tutte affidate a tenenti colonnelli o maggiori (284).Per il servizio del genio v'erano ugualmente due sottispet-tori e nove direzioni aumentate ad undici con r. 20 giugno1841 (285). Il reale Officio topografico (r.d. 22 gennaio 1817),diretto da un ufficiale superiore del genio, aveva tre sezio-ni in Napoli, ed una in Palermo (conservata col r.d. 31 ago-sto 1815), provvedeva ai lav~ri topografici, disponeva delleofficine tipografiche, calcografiche e litografiche per ogni sor-ta di lavori dell'amministrazione militare, e possedeva una

(284) COMERei. p. 91, riferisce la distribuzione delle fabbricazioni d'ìn-teresse militare tra le diverse direzioni.

(285) ZEZON, p. 27.

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ricca biblioteca a disposizione dei militari, una raccolta uni-versale di carte geografiche ed idrografiche, ed un gabinettocompleto di strumenti astronomici, geodetici, ottici e grafici,anche di fabbricazione estera. Gli istituti d'educazione milita-re erano il real Collegio militare della Nunziatella, e la scuolamilitare di S. Giovanni a Carbonara (in/ra, § 79).

b) L'Intendenza generale, la vice intendenza di là delFaro, la Giunta generale de' contratti militari, di cui abbia-mo già parlato; ed inoltre alcuni altri uffici amministrativi(r.d. 12 marzo 1833), cioè l'Officio di verifica degli aggiustide' corpi ed isolati, la Commessione vestiario, bardatura e ca-sermaggio, ed altra di là del Faro, che erano Commissioni per-manenti di collaudo; la Giunta di rimonta, per l'acquisto deiquadrupedi, e l'alienazione di quelli inutili o riformati.

c) La Direzione generale degli ospedali militari, era sta-ta istituita col r.d, 17 luglio 1815, già ricordato; ne dipen-devano gli ospedali, di varie categorie (in/ra, §§ 77 e 79).Il regolamento sanitario per l'armata di terra era stato appro-vato con r.d. 16 settembre 1831. Il direttore generale, ed l

comandanti degli ospedali, erano ufficiali delle varie armi; imedici curavano solo il servizio sanitario.

d) L'Alta Corte militare, menzionata nel r.d. 12 mar-zo 1833 come dipendenza del «ramo guerra », era in realtàun organo comune alla real marina, cioè, come oggi si direb-be, «interforze ». V'erano addetti impiegati civili, nonchèufficiali e sottufficiali sedantenei. Della sua composizione, e del-la sua funzione, si dice in/ra § 154.

Dipendevano dal ramo guerra i «presìdi », cioè i fortidove si scontava la pena dei «ferri nel presidio» (art. 8ll.pp.).

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 62406

Dopo la separazione del «ramo guerra» dal «ramo ma-rina» (r.d. 14 settembre 1855), le piante organiche dei dueministeri furono fissate con r.d. 5 marzo 1860.

Il «ramo Marina », secondo il r.d. 12 marzo 1833, com-prendeva due ripartimenti: il primo si occupava degli affarigenerali, e del personale militare e civile; il secondo dellacontabilità, del materiale, delle costruzioni, e della navigazio-ne di commercio. Il Comando generale della Marina (in/ra,§§ 78 e 82) istituito col r.d. 7 ottobre 1823, fu abolito colr.d. 8 gennaio 1826, e riunito al ministero; ristabilito colr.d. 17 ottobre 1830, e definitivamente soppresso col r.d.19 dicembre 1834. Fu poi istituito, col r.d. 3 agosto 1850,il «Consiglio d'ammiragliato », composto da un presidente,un vice presidente e sei membri ordinari, scelti tra i viceammiragli e retroammiragli, da membri straordinari supplen-ti scelti tra i brigadieri, e da un segretario scelto tra gli uffi-ciali superiori; i membri delle altre dipendenze potevano in-tervenire con voto consultivo. Il Consiglio era competentein materia di personale, materiale ed amministrazione dellareal marina.

Erano «dipendenze» della real marina:

a) L'Intendenza generale, con attribuzioni corrispon-denti a quelle dell'intendenza generale dell'esercito (r.d. 24gennaio 1832). Vi era preposto un ufficiale generale da cuidipendevano un commessariodi 1a classe contadore principa-le; commessari ed ufficiali, di tre classi per ciascun grado; edufficiali soprannumeri (286). La Marina aveva la propria

(286) Il r.d. 24 gennaio 1832 prevedeva 3 commessari di 1" classe; 3commessari di 2' classe; 14 ufficiali di l' classe; 20 ufficiali di 2' classe; 22ufficiali di 3" classe; 16 soprannumeri; ma l'organico fu più volte ampliato(ZEZON, p. 61). I commessari di l' classe erano equiparati al grado di tenente

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Giunta dei contratti, composta come quella dell'esercito. Perla Sicilia, v'era un comando di dipartimento (affidato ad uncapitano di vascello, in Messina, con distaccamento a Pa-lermo (r.d. 19 marzo 1835).

h) Il Servizio degli ospedali militari (r.d. 17 luglio1815), da cui dipendevano l'Ospedale centrale della marinain Piedigrotta (r.d. 9 gennaio 1829, e reg. d'amministrazione6 giugno 1831) e gli Ospedali di marina di Castellammare edi Procida.

c) Gli istituti d'istruzione, cioè la reale Accademia na-vale, per la formazione degli ufficiali di guerra e degli inge-gneri navali (r.d. 21 novemhre 1827 e 30 aprile 1829), sop-pressa e sostituita dal real Collegio di Marina con r.d. 19marzo 1835 (reg. organico 26 agosto 1844); la Scuola deglialunni marinai e dei grumetti, per la formazione dei piloti edei sottufficiali; e l'Osservatorw astronomico della marina.

Dipesero per vario tempo dalla real marina i «hagni pe-nali », cioè gli stahilimenti di pena per i condannati ai ferri(art. 8 Il.pp.), il che si spiegava per la collocazione insulare,o comunque marittima, di qeui tristi soggiorni (vedi anchein/ra, § 157). In seguito, però, il servizio lavori passò al Ge-nio di terra (r.d. 14 luglio 1855), e poi tutte le attrihuzionirelative furono trasferite al Ministero dei lavori pubblici (r.d.29 dicemhre 1857: infra, § 64). I citati provvedimenti ugual-mente disposero per i « presìdi » del ramo guerra (vedi ancheinfra, § 153).

Il personale del Ministero della guerra e marina era inparte civile, in parte militare. Il personale amministrativo

colonnello; gli altri, rispettivamente, di maggiore, capitano, l° tenente, 2° te-nente, ed i soprannumeri ad aiutante (sottuffìciale). I «meritori ~ erano alunni,senza grado.

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direttivo aveva l'ordinamento comune (supra, § 41) ed eradetto «Corpo politico» (287). I commessari di guerra, ed imedici, chirurgi, e farmacisti, erano militari, con rango etrattamento d'ufficiali, ma non erano qualificati per gradi. Nel.la Marina, con r.d. 7 aprile 1838, fu costituito un solo Cor-po «Dipendenze militari della real marina », per l'amministra-zione, gli ospedali, e le segreterie militari. Erano addetti al mi-nistero ufficiali e sottufficiali «attivi» e «sedentanei»: iprimi, però, soltanto quando fossero assegnati a posti chela legge riservasse ad ufficiali in attività (r.d. 16 aprile 1828:injra, § 85).

63. Il Ministero della Real Casa, e l'Amministrazionedella Real Casa. - Sotto l'antico regime, la real segreteria diStato della Real Casa era un vero e proprio ministero, il cuititolare sedeva in Consiglio di Stato (supra, § 39), ma taleposizione politica andò progressivamente attenuandosi fino al-la soppressione del Ministero (supra, § 23). Tuttavia, alcuneattribuzioni amministrative erano esercitate dal Ministero dellaReal Casa, e furono successivamente esercitate dalla Soprin-tendenza che lo sostituì, dimodocchè non si può omettere diparlarne (288).

La l. IO gennaio 1817 (art. 3) menziona la real segre-teria della casa reale da un punto di vista meramente negativo,perchè «non riguardando che gli oggetti e gli interessi parti.colari della (nostra) real casa e famiglia, de' (nostri) siti rea-li, e de' (nostri) ordini cavallereschi », non era compresa nel-la ripartizione delle cariche ministeriali tra i sudditi dei do-mini di qua e di là del Faro (art. 2 l. cit., ed art. 2 l. Il di-

(287) ZEZON, p. 51; Ruoli, pp. 35, 183, 268.(288) Per la real segreteria particolare (r.d. Il gennaio 1831), vedi supra,

§ 23.

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63 L'Amministrazione centrale 409

cembre 1816), e poteva essere conferita promiscuamente agliuni ed agli altri, come prevedeva, per gli impieghi della realcasa, l'art. 4 1. Il dicembre 1816 (supra, § 40).

Il Ministero assunse poi il nome «della real casa ed Or-dini cavallereschi », e col medesimo r.d. 20 giugno 1821 nefurono fissate le attribuzioni, che concernevano i siti rea-li (289); gli Ordini cavallereschi e la Commessione di nobil-tà (supra, § 26); la reale Società borbonica, la reale Bibliote-ca borbonica, il Museo Borbonico, l'officina dei papiri er-colanensi, gli scavi d'antichità; lo stato civile delle persone del-la real famiglia; l'etichetta e i baciamani (290); il teatro SanCarlo. Al ministro era attribuita facoltà esclusiva per auto-rrzzare i giudizi attivi della real casa e dipendenze (r.d. 2maggio 1829, che modifica l'art. 16 L 21 marzo 1817, sulcontenzioso amministrativo), ed i beni della real casa eranoassimilati a quelli dello Stato, sia per i privilegi, sia per ilcontenzioso (art. 4 1. cit.). È da notare che il nucleo dellabiblioteca e del museo derivavano da casa Farnese, e che aCarlo di Borbone si dovevano gli scavi di Pompei, Ercolano,ete., nonchè la fondazione dell'Accademia ercolanense, pri-mo nucleo della real Società borbonica (291). Perciò si spie-ga che tale prezioso ed imponente patrimonio artistico, archeo-

(289) I reali siti, anche se improduttivi di rendita ed addetti a delizia,dovevano essere annotati in catasto «per semplice memoria », e quindi laCommessione rettificatrice de' catasti in Sicilia era autorizzata ad accedervi, ead eseguìrne la descrizione (r. 29 gennaio 1845, in PETITTI, II, p. 212). Di pro·prietà della Real Casa era anche il dominio diretto d'alcune poste del Ta-voliere di Puglia, elencate nel r.d. 12 ottobre 1827, che, in conseguenza, . eranoaggregate all'Amministrazione della Real Casa, e sottratte a quella del Tavo-liere (supra, § 57).

(290) Sulla etichetta, c costumanza precisa, stile esattissimo delle Cortie delle Segreterie », COMERCI,p. 492. Sui baciamani, von LOBSTEIN,b).

(291) SCHIPA, II, pp. 227 68.

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logico e bibliografico fosse considerato una dipendenza dellareal Casa.

Un ulteriore shiadimento dell'importanza politica del Mi-nistero della Real Casa si ebbe con l'art. Il reg. 4 giugno1822, sul Consiglio di Stato ordinario, che dispone: «Il mini-stro segretario di Stato della nostra casa reale e degli ordinicavallereschi interverrà sempre nello stesso Consiglio de' mi-nistri; ma in quanto agli affari del suo dipartimento vi porteràsolamente quelli che hanno relazione con gli altri dipartimen-ti, per indi proporli unitamente a tutti gli altri affari apparte-nenti al suo ministero, non già nel Consiglio di Stato, madirettamente a noi come sta facendo attualmente ». Con que-sta disposizione, il ministro della Real Casa era escluso dalConsiglio di Stato, cioè dalla più alta sede politica del regno.

La soppressione del Ministero della Real Casa fu infinedisposta da Ferdinando II, col r.d. 9 settembre 1832, e fu so-stituito dall'Amministrazione della Real Casa (supra, § 23).Le attribuzioni furono smistate, passando le dipendenze arti-stiche e culturali al Ministero degli affari interni, che alloraera competente per la pubblica istruzione, e presso il qualecostituirono il 7° ripartimento, « Musei, antichità e belle arti»;al Ministero di grazia e giustizia la Commessione de' titolidi nobiltà; ed alla Presidenza del Consiglio de' ministri gliOrdini cavallereschi. Restarono alla Soprintendenza le attri-buzioni relative ai reali siti, alla famiglia reale ed alla real Cor-te; e poi ancora, con r.d. 17 febbraio 1848, furono conferite invia permanente al Ministro di grazia e giustizia le attribuzio-ni d'ufficiale di stato civile per la real famiglia.

Abbiamo visto (supra, § 47) che i musei, antichità e bel-le arti furono col r.d. 6 marzo 1848 ulteriormente trasferitial Ministero della pubblica istruzione; e poi (r.d. 17 gennaio1852) restituiti definitivamente alla Soprintendenza della ca-

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sa reale. Di conseguenza, questo ufficio venne ad esercitareuna funzione di tutela del patrimonio artistico, archeologicoe bibliografico nazionale, che eccedeva la sua configurazione,d'amministrazione dei beni della corona e degli interessi del-la real famiglia.

L'altissimo pregio del detto patrimonio aveva dato luo-go a frequenti interventi legislativi ed amministrativi. Il r.d.13 maggio 1822 aveva vietato «di togliere dal loro sito at-tuale i quadri, le statue, i bassi-rilievi, e tutti gli oggetti emonumenti storici, e di arte, che esistono tanto nelle chiese,e negli edifici pubblici, quanto nelle cappelle di padronatoparticolare» (art. l); nonchè di «demolire, o in qualsivo-glia modo degradare, anche nei fondi privati, le antiche co-struzioni di pubblici edifici, come sono i tempii, basiliche, iteatri, gli anfiteatri, i ginnasi, del pari che le mura di cittàdistrutte, gli acquidotti, mausolei di nobile architettura, edaltro» (art. 2); nonchè d'esportare oggetti d'arte senza au-torizzazione governativa. Parimenti (r.d. 14 maggio 1822)non potevansi intraprendere scavi d'oggetti d'antichità sen-za tale autorizzazione. E poichè accadeva che i ricercatorisi arbitravano egualmente di compiere scavi senza il sovranopermesso, oppure, avendolo ottenuto, di vendere ed asportarefurtivamente gli oggetti rinvenuti, il r. 29 settembre 1824 (292)disponeva che gli scavi fossero sorvegliati, non solo dal sinda-co e dall'incaricato del direttore del real museo borbonico(art. 2 r.d. 14 maggio 1822) ma « eziandio dagli agenti di poli-zia, nei quali si abbia una fiducia maggiore », e si raccoman-dava a tutte le autorità di polizia «la più accurata vigilan-za ». D'una serie di provvedimenti del re Francesco I (sovranoparticolarmente interessato all'arte ed alla cultura), per la con-

(292) PETITTI, IV, p. 116.

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servazione delle antichità di Pesto e di Pozzuoli, abbiamo fat-to altrove menzione (supra, § 36). Il r.d. 16 settembre 1839,che era espressamente detto applicabile anche di là del Faro(art. 4) confermava la vigilanza delle autorità amministrative(allora, alla dipendenza del Ministro degli affari interni) sulleopere indicate dal r.d. 13 maggio 1824. Le autorità suddette do-vevano curare (art. 2) che tali monumenti fossero ben conser-vati a cura dei proprietari, e non soffrissero degradazione inverun modo; dovevano vigilare perchè non fosse alterato o de-turpato l'antico con lavori moderni; non dovevano fare esegui-re restauri senza l'autorizzazione del ministro, previo pareredella reale Accademia di belle arti, e con le norme da questaindicate. Le opere meritevoli in particolar modo d'essere con-servate, che fossero esposte a deperimento, potevano d'ordinedel ministro, previa sovrana autorizzazione, e col parere dellareale accademia, essere trasportate nel real Museo borbonicoper esservi esposte, e dovevano essere sostituite, nel luogo don-de venivano tolte, con una copia, eseguita a spese del Museo(art. 3). Da questa disposizione erano esclusi i quadri siti nellechiese, per cui si prescriveva rigorosa vigilanza (art. 3 cit.).Nelle chiese di regio patronato, e nei reali siti, la vigilanza spet-tava solo alla Soprintendenza, ed alla direzione del Museo bor-bonico (293). Il r.d. 21 agosto 1851 stabilì, per i reali dominioltre il Faro, che la spesa di conservazione e restauro dimonumenti nelle strade fossero a carico delle provincie, deicomuni e dei privati proprietari, a seconda che le strade fos-sero comunali, provinciali o vicinali.

L'art. 261 ll.pp., che è richiamato nei citati decreti, di-sponeva: «Chiunque avrà distrutto, abbattuto, mutilato oin qualunque modo deteriorato monumenti, statue o altri og-

(293) R. 11 maggio 1853, in PETITTI, V, p. 451.

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getti d'arte destinati all'utilità e all'ornamento pubblico, edinnalzati dall'autorità pubblica o per sua autorizzazione, saràpunito col primo al terzo grado di prigionia o confino, e col-l'ammenda correzionale; salve le pene maggiori stabilite nelcaso dell'art. 141 ». I tre gradi di prigionia o confino espri-mono un tempo minimo d'un mese, e massimo di cinque an-ni (art. 26 ll.pp.). L'ammenda correzionale era da 3 ducati(6 ducati in Napoli, Palermo, Messina e Catania) a 100 ducati(art. 30 n.pp.). L'ipotesi dell'art. 141 concerneva «chiun-que per solo disprezzo, e senza servire ad un fine più cri-minoso, infranga o deformi stemmi reali, statue o immaginidel re e della real famiglia, situati ne' luoghi pubblici », edera punita con la rilegazione (trasporto in un'isola, per tratte-nervisi libero non meno di 6 anni nè più dieci: art. 12 Il.pp.).

Queste disposizioni sono degne di nota, perchè l'interesseculturale giustifica limitazioni od oneri della proprietà pri-vata, e garantisce il rispetto dei monumenti e degli oggettid'arte con una severa norma penale. Il punto debole pare,tuttavia, la mancata previsione d'un accertamento preventivodelle cose meritevoli di tutela, così come, con la notificazionedell'apposito «vincolo », avviene secondo la vigente 1. I" giu-gno 1939, n. 1089 (ma si tratta d'istituto introdotto solo con1. 20 giugno 1909, n. 364, talchè non si può addebitare al le-gislatore napoletano di non averlo ideato). Si può facilmenteimmaginare che, malgrado le disposizioni del Governo, gliinterventi affidati caso per caso ad autorità locali, che, quan-do pure fossero state animate da zelo ed imparzialità, nonpotevano certo avere una competenza specifica in cose d'artee di storia, siano spesso mancati, e che, specie nei centri mino-ri, e più lontani dalle città, molto sia andato irreparabilmenteperduto.

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64. Il Ministero dei lavori pubblici. - Il Ministero de'lavori pubblici fu istituito con r.d. 17 novembre 1847, e fu ilsolo dei tre creati in quel torno di tempo (gli altri due fu-rono i ministeri della pubblica istruzione e dell'agricoltura ecommercio), che, malgrado taluno dubitasse dell'utilità del-l'istituzione (294), sia sopravissuto autonomamente sino allafine del regno, ed anzi siasi ampliato e rafforzato.

Il Ministero de' lavori pubblici fu costituito con servizi di-staccati principalmente dal Ministero dell'interno e da quellodelle finanze, secondo criteri che non appaiono a prima vi-sta molto omogenei: gli fu assegnata, ed era logico, la Dire-zione generale de' ponti, strade, acque, foreste e caccia, chedipendeva dal ministro delle finanze (supra, § 49), e quindiil Ministero de' lavori pubblici ebbe ingerenza in materiad'opere pubbliche provinciali, con contatti non rari col Mini-stero dell'interno (in/ra, §§ 104 e 105). Il r.d. 19 giugno 1848prevedeva altresì la scissione della direzione generale de' pon-ti e strade da quelle delle acque, foreste e caccia, destinataal Ministero dell'agricoltura e commercio, ma tale provvedi-mento non ebbe esecuzione. Sempre col r.d. 17 novembre 1847,passò al Ministero de' lavori pubblici la Stamperia reale, macol r.d, 12 aprile 1848 fu restituita alla Presidenza del Con-siglio de' ministri. Parimenti si previde il trasferimento al Mi-nistero de' lavori pubblici degli stabilimenti di beneficenza nondipendenti dai Consigli degli ospizi, ma furono logicamenterestituiti al Ministero dell'interno con r.d. 11 aprile 1848. Fuinvece definitivamente acquisita al Ministero de' lavori pubbli-ci (r.d. 21 giugno 1848) la competenza, già spettante ai Mi-nisteri dell'interno, e della guerra e marina, concernente laricostruzione e riparazione delle prigioni e luoghi di pena, ed

(294) DE SIVO, a), I, p. 94.

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il mantenimento dei detenuti; ed infine (r.d. 29 dicembre1857) il servizio dei bagni, presìdi e relegazione.

Il Ministero de' lavori pubblici, secondo il r.d. 3 maggio1856, era articolato su tre ripartimenti: segretariato, archi-vio e contabilità; opere pubbliche, che comprendevano le ope-re speciali e provinciali, le opere regie, le strade ferrate, ilpersonale de' ponti e strade, le piantagioni, la statistica e lebonificazioni; e luoghi penali e prigioni.

Dipendevano dal Ministero de' Iavor'i pubblici:

a) La Direzione generale de' ponti e strade, acque, fo-reste e caccia. Il servizio de' ponti e strade (ponts et chaus-sées), le cui funzioni erano, più o meno, quelle del nostroGenio civile, era stato istituito con r.d. 31 marzo 1806, e di-pendeva dal Ministero dell'interno. Con r.d. 18 novembre1808, e 21 gennaio 1809, fu costituito il Corpo degli inge-nieri di ponti e strade (295), il quale assunse subito altoprestigio, per la capacità dei tecnici, e per il numero e l'uti-lità delle opere in pochi anni realizzate (296). Con r.d. 25gennaio 1817, il Corpo fu sciolto, e gli fu sostituita la Dire-zione generale de' ponti e strade, dipendente dal Ministe-ro degli affari interni. In questo periodo, era distinta daiponti e strade l'Amministrazione delle acque e foreste, isti-tuita con l. 20 gennaio 1811 per regolare i dissodamenti,gli sboscamenti, i tagli delle selve, e tutta l'economia silvana.Questa amministrazione, con l. 18 ottobre 1819, fu riunita aquella del demanio, dipendente dal Ministero delle finanze;

(295) Sulla sollecitudine che ebbe, per tale Corpo, Gioacchino Murat, VA'

LENTE, p. 327. Dal 1812 al 1814, fu direttore generale del Corpo di ponti estrade Pietro Colletta (nominato consigliere di Stato con r.d. 26 aprile 1814):D'AULA, b), p. XV. .

(296) Un lungo elenco di opere (in maggior parte stradali) realizzate du-rante il governo di Gioacchino Murat, o da lui iniziate, in VALENTE, pp. 326 88.

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ma con r.d. 26 novembre 1821 la direzione generale del de-manio fu abolita, aggregandosi l'amministrazione dei relativibeni alla Cassa d'ammortizzazione (supra, § 56), ed il servi-zio d'acque, foreste e caccia aggregato alla Direzione gene-rale de' ponti e strade. Si voleva con ciò creare un'ammi-nistrazione la quale « della costituzione fisica delle nostre ter-re e delle nostre acque avesse saputo valutare le variazioni edirigerne l'economia» (297). Di conseguenza, col r.d. 25 feb-braio 1826, fu ordinata, ne' reali domini di qua del Faro,la Direzione generale de' ponti e strade, delle acque, delleforeste e della caccia, dipendente dal Ministero delle finanze,ma autorizzata a corrispondere col ministro degli affari inter-ni per quanto riguardava lavori ed opere provinciali e comuna-li (artt. l e 2 r.d. cit.). Dopo l'istituzione del Ministero de' la-vori pubblici, la direzione generale dipese, per il ramo foresta-le, prima dal Ministero d'agricoltura e commercio, e, dopo lasoppressione di quest'ultimo, dal Ministero dell'interno. Ilramo acque, foreste e caccia fu costituito, con r.d. 28 apri-le 1859, in separata direzione generale, dipendente dal Mi-nistero dell'interno, ma subito dopo (r.d. 16 maggio 1859) ta-le direzione generale, restando separata da quella di pontie strade, fu restituita al Ministero de' lavori pubblici.

Prima di tale scissione, questa enorme direzione gene-rale aveva a capo un direttore generale (carica abolita con r.d.18 marzo 1852, e sostituita con quella d'amministratore ge-nerale), assistito da un segretario generale, ed era articolatain sei ripartimenti (contabilità; opere di conto della tesoreriagenerale; opere provinciali, comunali e di pubblici stabilimen-ti e corpi morali, affari generali, appalti, servizio dei regi la-gni, affari del personale; foreste,· caccia, pesca; contenzioso

(297) COMERCI, p. 408.

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64 L'Amministrazione centrale 417

dei reati forestalivdi caccia e di pesca, personale degli agentiforestali, ed affari diversi del ramo forestale; archivio e bi-blioteca). Esaminiamo Ora l'organizzazione dei ponti e strade,e vedremo dopo quella delle acque e foreste.

Ai ripartimenti era addetto personale amministrativo, conla normale gerarchia e lo stato giuridico degli impiegati mini.steriali (artt. 4 ss, r.d. 25 febbraio 1826, modificato dal r.d. 26marzo 1827). Avevano però soldi inferiori: gli uffiziali di r'i-partimento quello degli uffiziali di l n classe, e i gradi inferio-ri in proporzione (art. 42 r.d. 25 febbraio 1826; supra, § 41).Il soldo del direttore generale era d'annui d. 3.000 (piùun'indennità di pigione di casa di d. 600, che fu abolita colr.d. 11 gennaio 1831); quello del segretario generale di d.1.200; ed all'amministratore generale, col r.d. 18 marzo 1852,fu attribuito il soldo d'ispettore generale (d. 900) ed un'an-nua indennità di d. 600.

Il Corpo degli ingegneri di acque e strade era istituito « pertutti i rami di servizio relativi ai progetti, alla direzione ed al-la esecuzione delle strade, dei ponti, dei canali di navigazionee d'irrigazione, della navigazione de' fiumi, del regolamentoe dell'arginazione de' fiumi e torrenti, del prosciugamento de'lagni, e degli stagni, e di ogni altra specie di bonificazionede' terreni, de' porti commerciali, ed infine di tutte le altreopere pubbliche» .(art. 8). Il Corpo era costituito di tre ispet-tori generali, quattro ingegneri ispettori, sei ingegneri (di treclassi, due per ciascuna), e sette ingegneri aggiunti (art.34).I domini di qua del Faro erano divisi in tre ripartimenti, aciascuno dei quali era preposto un ingegnere ispettore, coningegneri d-ipendenti. Il primo ripartimento comprendevaPrincipato Citeriore, Basilicata e le tre Calabrie; il secondoTerra di Lavoro, Principato Ulteriore, Capitanata, Terra diBari e Terra d'Otranto; il terzo Molise ed- i tre Abruz-

27. LANDI • I.

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zi (art. 14). Alle opere di Napoli e provincia soprintendevanogli ispettori generali. In seguito, con r.d. 6 giugno 1840 (298),fu istituita una sezione del Corpo, per le opere provinciali ecomunali, dipendente dal Ministero degli affari interni, e com-posta di 2 ispettori generali, 2 ispettori, 29 ingegneri (rispetti-vamente 8, 9 e 12 per ciascuna classe), 20 ingegneri aggiun-ti ed 8 ingegneri alunni: un ingegnere di 18 o 28 classe ve-niva destinato, inteso il direttore generale, alla direzione delleopere pubbliche in ciascuna provincia. Le due sezioni, che pa-re avessero dato luogo ad inutile dispendio ed a mancanzad'unità del servizio, furono riunite con r.d. 18 marzo 1952 inun sol ruolo, composto di 3 ispettori generali, 6 ingegneri ispet-tori, 48 ingegneri (12, 16, 20 per ciascuna delle tre classi),22 ingegneri aggiunti, e 22 ingegneri alunni. Gli ispettori ge-nerali avevano l'annuo soldo di d. 900, gli ispettori di 620,gli ingegneri, secondo la classe, di 600, 480 e 360, e gli ag-giunti di 240.

Il Consiglio degli ingegneri era presieduto dal direttore ge-nerale, ed era composto dai tre ispettori generali, e da unispettore in funzioni di segretario con voto (art. 9 r.d. 25febbraio 1826). Un avvocato generale della Gran Corte de'conti interveniva in funzioni di pubblico ministero (299). Nelperiodo in cui il Corpo degli ingegneri era diviso in due se-zioni, intervenivano due ispettori generali per ciascuna sezio-ne (300). Il Consiglio esaminava i progetti, le condizioni d'ap-palto, le liquidazioni, proponeva regolamenti ed istruzioni, edava il suo parere « su tutte le questioni d'arte di qualsiasipervenienza» (art. Il r.d. cit.).

(298) Questo decreto fu preceduto da un r. 18 agosto 1839 (PETITTI, I1I,p. 567), che indicava le basi della riforma organizzativa del Corpo.

(299) Questa notizia è data da PETITTI, III, p. 506, nota (I); ma non rì-sulta la fonte: probabilmente, un rescr ìtto.

(300) R. 18 agosto 1839, supra, nota (298).

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La Commessione di revisione (artt. 12 e 13 r.d. cit.) eracomposta di due o tre ingegneri, scelti dal direttore gene-rale preferibilmente tra quelli che per età avanzata o salutecagionevole erano meno idonei al servizio attivo, e compivai lavori preparatori degli affari da sottoporre al Consiglio.Un'altra Commessione di revisione, per i lavori dipendentidal Ministero degli affari interni, composta di tre ingegneri,uno per classe, fu istituita con l'art. 7 r.d. 30 agosto 1840.

Le norme concernenti le opere pubbliche statali, provin-ciali o comunali, sono esaminate infra, §§ 104, 105 e 123.

La scuola d'applicazione era istituita per la preparazionedegli ingegneri aggiunti, che erano nominati, per esame, esclu-sivamente tra i suoi allievi (art. 20 r.d. cit.). V'erano istituitele cattedre di matematiche applicate, geometria descrittiva egeodesia, architettura civile e disegno, chimica e mineralogia,architettura idraulica ed idrometrica pratica, costruzione ingenerale ed arte di progettare (art. 23 r.d. cit.), e v'erano ad-detti un professore di diritto, uno d'agronomia, ed uno di di-segno di paesaggio (301). Soprintendeva alla scuola un in-gegnere del corpo al ritiro, con gratificazione mensile di 15ducati (art. 24 r.d. cit.).

b) La Direzione generale delle acque, foreste e caccia,come abbiamo detto, erasi distaccata dalla Direzione generalede' ponti e strade col r.d. 28 aprile 1859: si trattava, insostanza, del quarto e quinto ripartimento di quest'ultima, el'ordinamento ne era contenuto nel citato r.d. 25 febbraio1826, e nella 1. forestale, 21 agosto 1826. La direzione ge-nerale aveva al vertice un «Consiglio forestale », compostodal direttore generale (poi, amministratore generale), dal se-

(301) Così PETITTI, III, p. 509, nota (2); ma anche qui non risnlta lafonte.

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gretario generale (prima della separazione, erano i medesimidella direzione di ponti e strade), e di due ispettori generaliforestali, il meno anziano de' quali fungeva da segretario(art. 26 r.d. cit.). In ogni capoluogo di provincia, di quadel Faro, v'era un ispettore forestale (col soldo annuo di d.480). Le provincie erano divise in circondari silvani, formatidi più circondari giudiziari (302), cui era preposto un guar-dia-generale (soldo annuo di d. 264), ed i circondari in«comprese », custodite da guardiaboschi (artt. 39, 40, 41r.d. cit.; artt. 159 ss. l. cit.). La forza forestale (corpo nonmilitare, ma investito di funzioni di polizia, ed in unifor-me) era composta di lO brigadieri e 50 guardie forestali perla custodia de' boschi dello Stato (art. 159 l. cit.) e di 15brigadieri e 42 guardie a cavallo, ordinate in brigate mo-bili d'un brigadiere e tre o quattro guardie (303). Dipendeva-no inoltre dalla direzione suddetta una brigata di guardiacac-cia per la provincia di Napoli (un brigadiere e 16 guardie), edi sopra stanti e guardiani de' regi lagni di Napoli, Terra di La-voro, e Principato Citeriore (304). L'organico fu alquanto am-pliato dal r.d. 11 febbraio 1860.

La materia delle acque non riguardava i lavori, che eranor.imasti alla Direzione di ponti e strade, ed all'amministra-zione generale di bonificazione (dopo la sua istituzione col

(302) 1« circondari silvani s e. le relative circoscrizioni erano fissati concirco Min. finanze 30 dicembre 1837 (PETITTI, II, p. 751, nota 93). I guardia.generali erano settantanove (art. 40 r.d. 25 febbraio 1826), ed era previsto cheall'immediazione degli ispettori, e dei guardìa-generalì proprietari (cioè tito-lari) fossero destinati dei e guardla-generali soprannumerari », senza soldo (art.162 1. 21 agosto 1826).

(303) R. 4 aprile 1827, in PETITTI, II, p. 750, nota (90).(304) Sono indicati come «regi lagni» le opere di bonifica eseguite

nella pianura campana, tra il basso Volturno ed il Vesuvio, dalla metà del se-colo XVI. I e guardalagni s costituivano un corpo organizzato, il cui regola.mento organico fu approvato con r.d, 17 marzo 1851.

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r.d. 11 maggio 1855), ma piuttosto l'uso delle acque pubbli-che. Appartenevano al demanio pubblico i fiumi e le rivierenavigabili o adatte ai trasporti (art. 463 IL cc.); e, per un'in-terpretazione estensiva, quelli che servivano ad usi delle po-polazioni e delle campagne (inlra, § 168); ma non v'era unalegge generale sulle acque, i cui usi erano regolati, caso percaso, con singoli provvedimenti. Così, tre reg. 17 novembre1817, rispettivamente per le paludi di Napoli, della Volla econtorni, per i regi lagni di Terra di Lavoro (poi sostituito daaltro, 16 giugno 1833) e per il Vallo di Diano, ed un reg. 14dicembre 1841 per la Valle bassa del Volturno (poi sostituitocon altro, 18 dicembre 1855) disciplinavano i diversi usi dei ca-nali e delle loro acque (estrazione di terra, derivazione d'ac-qua per irrigazione, macerazione di canapa o lino, costruzionisulle ripe, pesca, abbeverata d'animali) o vietandoli in modo as-soluto, o subordinandoli ad autorizzazione della Direzione ge-nerale; imponevano certi oneri ai proprietari o fìttuari ; e pu-mvano le trasgressioni con pene amministrative (injrc; §173).

La materia forestale era stata parzialmente disciplinatain passato da dispacci dell'antico regime, e dalla L 20 genna-io 1811, istitutiva dell'Amministrazione generale delle acquee foreste. Era stata poi emanata la L 18 ottobre 1819, chenon pare avesse dato buoni risultati (305). Essa perciò erastata abrogata e sostituita dalla L 21 agosto 1826, salvi i ti-

(305) L'autocritica, come oggi si direbbe, del legislatore, nel preambolodella 1. 21 agosto 1826, è: < L'esperienza ha nondimeno dimostrato, che i r i-sultamenti di utilità pubblica non abbian compiutamente corrisposto ai sa-grifizi dei diritti di proprietà che la legge (18 ottobre 1819) imponeva, sia chegl'impiegati forestali, come nelle nuove istituzioni per lo più accade, per zelosmodato, avessero i sagrifiaì dei proprietari accresciuti; sia che persone po·tenti avessero delle disposizioni della legge abusato; sia che la stessa Dire-zione generale residente in Napoli non avesse potuto direttamente vegliare ne'luoghi lontani, alla repressione degli abusi s ,

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toli X ed XI, che concernevano la caccia e la pesca. La disci-plina della pesca fu rammodernata con reg. 20 ottobre 1834,ed 11 maggio 1835.

Secondo la 1. 21 agosto 1826, i boschi, selve e terre sal-de erano divisi in tre classi, secondo il soggetto cui apparte-nevano. Quelli dello Stato, erano custoditi ed amministrati dal-la Direzione generale. Quelli dei comuni, dei pubblici stabi-limenti, e dei corpi morali tanto ecclesiastici quanto laica-li (~06) erano sotto la custodia e l'amministrazione de' rispet-tivi amministratori e titolari, e la Direzione generale si limi-tava alla vigilanza per la conservazione e pel miglioramento.Quelli, infine, appartenenti a privati erano sottoposti agli in-terventi della direzione generale solo per i disboscamenti edissodamenti, che erano vietati in modo assoluto per le terrein pendio (« terre appese »), e dovevano essere autorizzatidalla Direzione generale, previo esame del Consiglio foresta-le (307), in tutti gli altri casi. I boschi di proprietà della Real

(306) Sui beni forestali degli enti ecclesiastici, l'art. 4 l. 21 agosto 1826aveva abolito la vigilanza amministrativa, e le tasse cui erano soggetti secondola legge precedente, assimilandoli in tutto a quelli de' pubblici stabilimenti,e de' corpi morali laicali. I boschi de' legati pii o cappellani e laicali eranoinvece assimilati a quelli di privata proprietà (r. 3 giugno 1835, su cfp. CN,in PETlTTI, IV, p. 346).

(307) Le domande d'autorizzazione, indirizzate all'intendente, erano ve-rificate sopra luogo da una commessione, composta da un ingegnere d'acquee strade, dal guardia. generale, e dal sindaco, sostituito, se la domanda concer-neva un fondo di proprietà comunale, dal sindaco d'un comune vicino (circ,Min. finanze, 17 dicembre 1828, in PETlTTl, IV, p. 205), ed il verbale era tra-smesso alla Direzione generale col parere dell'intendente (art. 18 l. 21 agosto1826). Le istruzioni erano in senso limitativo: per esempio, il r. 11 maggio1835, su cfp. CN, stabilisce che l'autorizzazione per il dissodamento non com-prende quella di svellere piante, se non espressamente specificato; la circo 20maggio 1835 avverte gli intendenti che essi debbono opporsi a tutte le dis-sodazioni, ed a tutti i disboscamenti, pei quali potessero essere richieste per.missioni, qualora non concorrano per esse tutte le convenienze d'economia sii.vana sotto qualunque punto di veduta (PETIT'fI, IV, pp. 344 e 345),

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Casa erano amministrati dall'Amministrazione della Real Casa,con l'osservanza delle norme della legge forestale. La legge(artt. 20 ss.) prevedeva che l'intendente col parere dell 'ispetto-re forestale, potesse ordinare la restituzione allo stato saldo,oppure il rimboschimento, dei terreni in pendio dai quali deri-vasse danno ai terreni sottoposti (308). Alcune disposizioni(artt. 78-88) disciplinavano la prevenzione e lo spegnimentodegli incendi (309). La legge forestale conteneva, poi, unampio corpus di norme penali e di procedura penale: l'Am-ministrazione era rappresentata, in tali giudizi, dal guardia-generale del circondario, o dall'ispettore, i quali esercitavanotutti i diritti della parte civile, e potevano proporre appello oricorso (art. 145) contro le sentenze d'assoluzione, anchese non lo proponeva il pubblico ministero, limitatamente peròagli interessi civili o patrimoniali dell'amministrazione (r.d.8 agosto 1859).

Apparteneva altresì all'Amministrazione d'acque e foresteconcedere i permessi di caccia; però, la caccia con armi impo-neva che l'interessato si provvedesse di due licenze: anzitutto,quella di porto d'arma «ad uso di caccia », che veniva accor-

(308) Gli artt. 22 e 23 prevedevano la formazione in ogni Comune, acura del sindaco e del guardia-generale, dello stato de' terreni da restituiresaldi o rimboschire. Tali prescrizioni potevano imporsi non solo a preven-zione di danni ai poderi sotto stanti, ma anche dei danni a strade, abitati epubblici edifizi (r. 23 agosto 1828, in PETITTI, IV, p. 199), ed ai terreni in penodio, sotto stanti alle strade etc. (r. 18 ottobre 1833, ivi, p. 301), nonchè ai ter-reni sui quali scorrevano acque che si versavano nei torrenti (r. 7 luglio 1834,su cfp. CN, ivi, p. 322). Contro tali provvedimenti non era consentita azionein giudizio, salvo il ricorso alla Maestà Sua, per qualche rimedio amministra-tivo in circostanze di sommo momento (r. 31 marzo 1828, in PETITTI, IV, p.194: in/ra, § 161).

(309) Le misure cautelative sui boschi dei corpi morali potevano essereimposte anche nel caso che il bosco fosse perito per incendio (r. Il ottobre1833, in PETITTI, IV, p. 300).

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data esclusivamente dal Ministero della polizia generale (310),e poi quella di caccia, che valeva nei tempi stabiliti dalla leg-ge, e non poteva essere utilizzata per cacciare nei fondi chiusi,e nelle reali riserve.

c) La Amministrazione generale di bonificazione. Ilproblema della bonificazione dei terreni paludosi aveva giàformato oggetto, nel 1836, d'un progetto di l~, che, discus-so in Consulta generale, in Consiglio de' min~ ed in Consi-glio di Stato, era stato diramato agli intendenfie ad altre au-torità, per un'approfondita istruttoria sulle zone da bonifi-care e sulla possihilità d'applicarvi le previste norme (311).Tuttavia, il re Ferdinando II finì frattanto per emanare unprovvedimento di carattere transitorio (r.d. 13 agosto 1839)che dichiarava applicabili alle opere di bonifica le norme sul-l'espropriazione per pubblica utilità (supra, § 36), prevedevala formazione di piani di bonifica ordinati dal re, o presentatida privati imprenditori. alla regia approvazione, e stabiliva ilprincipio che a tali opere dovessero contribuire, in proporzio-ne del vantaggio ricevuto, i proprietari de' terreni circostanti, icorpi morali, i pubblici stabilimenti, i comuni e le provincie.Era però voto dell'animo generoso del re che non vi fosse nelregno un palmo solo di terreno che dalle acque stagnanti ve-nisse sottratto all'industria, e presso del quale si respirassel'alito della morte (312). Si giunse così al regime definitivo,con cui volevasi attuare il bonificamento di tutte le contradepaludose, nel modo stabilito con r.d, Il maggio 1855, che

(310) Circo Min. Polizia gen., 16 agosto 1827, in PETITTI,111, p. 260. I di.ritti di licenza per le cacce senza schioppo furono stabiliti con r. 15 settem-bre 1830, ivi, IV, p. 239, con cui fu anche abolito il sistema, autorizzato dallal. 18 ottobre 1819, di concedere «in affìtto s tali licenze pel tenimento d'unoo più comuni. Detta legge stabiliva un premio per l'uccisione di lupi.

(3U) Circo Min. Finanze, 22 giugno 1836, in PETITTI,111, p. 559.(312) Circo Min. Aff. interni, 12 ottobre 1839, in PETITTI,I1I, p. 567.

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L'Amministrazione centrale

cr-eavaa tal fine, per i reali domini di qua del Faro, l'Ammi-nistrazione generale di bonificazione, sotto le dipendenze delMinistero dei lavori pubblici, e con le stesse attribuzioni del-la Direzione generale di ponti e strade. Una circolare mini-steriale della stessa data (313) identificava le zone da boni-ficare: bacino del Liri, bacino Mignano-Garigliano, paludi diFondi e Monticelli, bacino del Sele, Vallo di Diano, Valle diCrati, maremme di Cotrone, aree Taranto-Gallipoli, Otranto-Brindisi, Barletta-Manfredonia, Lesina-Termoli. L'art. 2 r.d.cito dava inoltre mandato agli intendenti ed ai Consigli pro-vinciali di sottoporre al Ministero de' lavori pubblici il quadrodelle contrade paludose, o nelle quali la disordinata economiadelle acque rendeva malsane le condizioni atmosferiche, ad-ditando quali di esse dovessero essere bonificate di preferenza.

L'amministratore generale (annuo soldo di d. 1.200)era assistito da un Consiglio d'amministrazione formato da seicomponenti gratuiti, scelti «tra idonei e probi proprietari iquali avranno-dato prova di attaccamento verso la real perso-na e di zelo per il servizio pubblico ». Per l'esame delle pro-poste, dei contratti d'appalto, dei collaudi e delle Iiquidasio-ni, fu poi istituito il Consiglio d'ingegneri della bonifica-zione (r.d. 16 marzo 1857) presieduto dall'amministratoregenerale, e formato da due ispettori d'acque e foreste, daiquattro ingegneri più elevati in grado addetti alla bonifica-zione, e da un ingegnere segretario. Per ciascuna bonifica, ilMinistro, su proposta dell'Amministrazione, poteva promuo-vere il decreto reale d'istituzione d'una Commessione localedi vigilanza.

Era competenza dell'Amministrazione la gestione dei fon-di, e la direzione ed il mantenimento delle opere di bonifì-

(313) PETITII, VI, p. 452.

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camento (314). Le opere potevano essere concesse a privatioperanti con capitali propri, ed ai concessionari potevano es-sere accordati sussidi della regia tesoreria. L'art. 8, confer-mando il r.d. 13 agosto 1839, stabiliva che le spese fosseroa carico delle provincie, dei comuni, e dei proprietari dei ter-reni bonificati, in proporzione de' vantaggi rispettivamenteottenuti tanto per l'intrinseco immegliamento del suolo, quan-to per l'agevolamento delle comunicazioni e la salubrità del-l'aria: la quota a carico de' proprietari era una «tassa moggia-tica» sull'aumento di rendita, che veniva riscossa a cura de-gli agenti delle contribuzioni dirette, e per mezzo degli esat-tori.

d) L'Ispettorato generale de' luoghi penali. Era statoistituito, col r.d. 29 dicembre 1857, per il servizio de' bagni,presidi e relegazione, ed aveva assunto le attribuzioni del-l'Ispettorato de' rami alieni della regia marina, e del 10 de-posito generale dei presidiari (regio esercito). La custodia,però, esterna, era rimasta ai reparti di veterani. L'ordinamentodell'Ispettorato fu stabilito con r.d. 15 marzo 1858. La sin-golare dipendenza dal Ministero de' lavori pubblici è dovutaalla consuetudine d'adibire i condannati ai ferri a «fatichepenose a profitto dello Stato» (art. 8 Il.pp.) (315).

e) La Direzione del cavamento de' porti di qua del Fa-ro, fu istituita ed ordinata col r.d. 18 febbraio 1858, assumen-do le relative attribuzioni della Direzione generale di pontie strade.

(314) R. 24 ottobre 1857, in PETITTI, VI, p. 830.(315) V'era, comunque, una certa tendenza al miglioramento del regime

carcerario, di cui è indice il reg. 5 agosto 1856 (PETlTTI, VI, p. 613) relativo al.l'esercizio delle arti e mestieri ed all'Introduzjone delle casse di rtsparmionelle prigioni del regno.

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In Sicilia, col r.d. lO agosto 1824, era stata istituita laSoprintendenza generale di ponti e strade, mentre le acque,foreste e caccia erano di competenza della Direzione generalede' rami e diritti diversi. Con r.d. 26 marzo 1827, la 1. fo-restale 21 agosto 1826 fu estesa alla Sicilia, con qualche mo-dificazione, e la Soprintendenza prese il nome di « soprinten-denza generale di strade e foreste ». Era questo un organismoburocratico, formato dal soprintendente, da un ispettore se-gretario generale, da un ispettore forestale, e da due uffici,rispettivamente per il servizio di ponti e strade, e per quellod'acque e foreste e caccia. Non furono subito istituiti in Si-cilia, per una ragione d'economia che è espressamente dichia-rata nell'art. 17 r.d. 26 marzo 1827, gli ispettorati provin-ciali ed i circondari silvani, e la rappresentanza dell'ammini-strazione d'acque, foreste e caccia, in periferia, rimase ai di-rettori provinciali ed ai ricevitori de' rami e diritti diversi.Questi uffici furono poi istituiti con r.d. 16 gugno 1833, e17 dicembre 1838. Venne poi soppressa la carica di soprin-tendente generale e fu sostituita con quella di sotto-direttore,il cui posto fu inserito nell'organico della Direzione generaledi ponti, strade, acque, foreste e caccia (r.d. 9 luglio 1839).

Dopo i tumulti del 1848-1849, il servizio dei lavori pub-blici e delle acque e foreste in Sicilia fu riordinato con r.d. 7febbraio 1850 e con un « regolamento provvisorio» approvatocon decreto del luogotenente, 21 giugno 1850, per delegaregia contenuta nell'art. 18 r.d. cito (316). Il servizio dipen-deva dal ripartimento dell'interno del Ministero presso il luo-gotenente (art. l r.d. cit.). La Commessione de' pubblici la-vori e delle acque e foreste (art. 2 r.d. cit.) riuniva le at-tribuzioni esercitate di qua del Faro dal Consiglio degli in-

(316) PETITTI. I1I, p. 611.

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gegneri e dal Consiglio forestale. Era composta dallispet-tore d'acque e foreste residente in Palermo, da due ingegneridel corpo di ponti e strade, dal direttore del Genio (se sicilia-no) o da quello, tra gli ufficiali del Genio di grado non mi-nore di capitano, che fosse siciliano (317), da un professored'architettura civile dell'Università degli studi di Palermo,dall'ispettore della prima ispezione delle opere pubbliche, edall'ingegnere direttore della provincia di Palermo. Poteva-no intervenire anche l'ispettore della 2a ispezione, e gli altriingegneri direttori provinciali, ma ispettori e direttori eranoobbligati ad astenersi quando trattavansi gli affari relativialle loro ispezioni o direzioni. Per trattare « quistioni compli-cate» la Commessione poteva aggregarsi tre professori uni-versitari, d'economia civile, storia naturale, ed agricoltura.La Commessione poteva essere presieduta dal direttore delripartimento interno, oppure dal direttore del Genio, ma se insua vece intervenisse un capitano del genio siciliano, questipresiedeva soltanto in assenza dell'ispettore delle opere pubbli-che di Palermo (artt. 3 e 5 d. luogo cit.). Per il servizio delleopere pubbliche, erano costituite due ispezioni, una con se·de in Palermo per le provincie di Palermo, Trapani, Girgentie Caltanissetta, ed una con sede in Catania per le provinciedi Messina, Catania e Noto (art. 9 r.d. cit.; art. 43 d. luogocit.). Ogni provincia aveva un ingegnere direttore, da cuidipendevano ingegneri aggiunti ed alunni (art. 9 r.d. cit.).Gli ispettori forestali dovevano vigilare per l'inalveamentode' torrenti, gli argini de' fiumi, l'allacciamento delle acque va-

(317) Questa norma era conseguenza della regola di separazione degliimpieghi (supra, § 40). I direttori del Genio militare (tenenti colonnelli omaggiori), come ufficiali dell'esercito, appartenevano ad un ruolo cui la re-gola della separazione non si applicava; si adottava però questa speciale can-tela quando fossero chiamati ad esercitare in .~Xa,.Ul~t1,f.un_~ion!,a~~!nis~lI.'"tiva, non militare.

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ganti, le bonifiche de' terreni paludosi, e cose simili nelle qualila scienza delle costruzioni va coadiuvata dall'Idromeccanica,e fare rapporto all'intendente trovando alcunchè da osservare.

Un'ulteriore riorganizzazione del corpo degli ingegneridi ponti e strade ne' reali domini di là del Faro ebbe luogo colr.d. 17 agosto 1857.

65. Il Ministero presso la luogotenenza generale di làdel Faro e il Ministero per gli affari di Sicilia. - Nel corsodella precedente disamina abbiamo più volte rilevato le di-versità frequenti, anche se, per lo più, di non sostanzialeimportanza, tra gli ordinamenti amministrativi delle due partidel regno. Dobbiamo ora considerare gli organi d'amministra-zione generale, istituiti per i reali domini di là del Faro.

Le disposizioni, che si potrebbero dire «costituzionali»nel senso altrove chiarito (supra, §§ 14 e 15), sulle quali fon-davasi lo speciale ordinamento della Sicilia, erano contenutenegli artt. 5, 6, e 7, l. 11 dicembre 1816. L'art. 5 premetteva:«Il governo dell'intero regno delle Due Sicilie rimarrà semprepresso di noi », e dettava le norme per l'ipotesi (mai verifì-catasi) in cui il re risiedesse in Sicilia. L'art. 6 disponeva:«Quando risiederemo ne' nostri reali domini al di qua delFaro, vi sarà allo stesso modo in Sicilia per nostro luogote-nente generale un real principe della nostra famiglia, o un di-stinto personaggio (318), che sceglieremo tra i nostri sudditi.

(318) Il primo luogotenente generale de' reali domini di là del Faro fuil principe Francesco di Borbone, duca di Calabria, poi re Francesco I. Lo'sostituì (r.d. 27 aprile 1820) il ten. gen. Diego Naselli d'Aragona, costretto ad'abbandonare la carica dai sanguinosi moti popolari del 17 luglio 1820. Glisuccesse il ten. gen. Antonio Ruffo, principe della Scaletta, che non potè eser-citare alcun potere, mentre i tenenti generali, Florestano Pepe, e poi PietroColletta, riducevano l'isola all'obbedienza del governo costituzionale. Restau-rato il governo legittimo, funzionò per breve tempo un governo provvisoriodi là del Faro, presieduto dal cardinale Pietro Gravina (r.d. 6 aprile 1821);

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Se sarà un principe reale, avrà parimenti presso di sè uno de'nostri ministri di Stato, il quale terrà la corrispondenza co'ministeri e segreterie di Stato residenti presso di noi, ed avràinoltre due o più direttori, che presederanno a quelle porzionide' detti ministeri e segreterie di Stato, che giudicheremo ne-cessario di far rimanere in Sicilia. Se non sarà un principe rea-le, il luogotenente di Sicilia avrà il medesimo carattere di no-stro ministro e segretario di Stato, corrisponderà egli mede-simo co' ministri e segreterie di Stato residenti presso di noi,ed avrà presso di sè per l'oggetto indicato i mentovati due opiù direttori ». L'art. 7 stabiliva che i direttori potevano in

ricominciò quindi la serie dei luogotenenti, col ten. gen. Nicola Filangieri,principe di Cutò (r.d, 27 maggio ]821); cui seguirono Antonio Lucchesi Palli,principe di Campofranco (r.d. 24 giugno 1822), e Pietro Ugo, marchese delleFavare (r.d. 16 giugno ]824). All'ascesa al trono del re Ferdinando II, con r.d.8 novembre 1830, fu nominato luogotenente il principe Leopoldo di Borbone,conte di Siracusa, ed in attesa che il principe raggiungesse Palermo (il cheavvenne pochi mesi dopo) ne furono conferite provvisoriamente le. funzioni,con lo stesso decreto, al ten. gen. Vito Nunziante, marchese di S. Ferdinando.Successe al principe Leopoldo, di nuovo, il principe di Campofranco (r.d. 29agosto 1835), che, trasferito alla presidenza della Consulta generale del regno,fu sostituito da Onorato Gaetani, duca di Laurenzana (r.d. 31 ottobre 1837}. Ilten. gen. marchese Giuseppe de Tschudy, comandante generale delle armi dilà del Faro, gli fu sostituito con r. 14 gennaio 1840 (cit. in nota al precedentedecreto nell'indice della Collezione, 1840), così come al de Tschudy, deceduto,subentrò il 27 settembre 1840 il ten. gen, Luigi de Majo, duca di S. Pietro,il cui provvedimento di nomina non è pubblicato nella Collezione. È un luogo.tenente-fantasma il principe Luigi di Borbone, conte d'Aquila, nominato conr.d. 18 gennaio 1848, che, senz'essere rimasto in Sicilia dopo tal data un solgiorno, rinunciò all'ufficio (r.d, 9 febbraio 1848); e fu un'ultima concessionealla rivolta trionfante la nomina del famigerato retro-ammiraglio Ruggero Set-timo de' principi di Fitalia (r.d, 6 marzo 1848), che della conferita gli facoltàd'aprire il siculo parlamento si avvalse per sùbito passare al nemico (DE SIVO,

a), I, p. 152). Dopo la disfatta del governo separati sta, furono luogotenenti ilten. gen. Carlo Filangeri, principe di Satriano (r.d, 27 settembre 1849); il ten.gen. Paolo Rullo, principe di Castelcicala (r.d. 14 marzo 1855); ed il ten. gen.Ferdinando Lanza (r.d, 15 maggio 1860), che lasciò per sempre l'isola il 19 giu-gno 1860. Un elenco dei vicerè e luogotenenti trovasi in CANDIDAGONZAGA,V,pp. 206 S8.

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ogni caso essere scelti tra i sudditi di qualunque parte delregno. La prima organizzazione del Ministero di Stato pressoil luogotenente generale oltre il Faro fu dettata col r.d, 9gennaio 1818. Questo ministero realizzava, in sostanza, unaampia forma di decentramento amministrativo, in tutte quellematerie d'amministrazione che non erano considerate indivi-sibili.

Dopo i disordini del 1821, la separazione amministrativadell'isola dal continente fu confermata con l'art. 3 r.d. 26 mag-gio 1821, sulle «basi del governo », che inoltre istituiva inNapoli, presso la real persona, il Ministero per gli affari di Si-cilia (319). Il ministero, che ebbe vita intermittente,. nonfu una creazione felice, perchè, specie nel periodo, dopoil 1849, in cui luogotenente e ministro furono due forti perso-nalità, Carlo Filangieri e Giovanni Cassisi, si moltiplicarono icontrasti e le interferenze, con danno del pubblico interesse.Comunque, questa prima fase della vita del ministero fubreve, perchè abolito con l'art. 29 l. 14 giugno 1824, come su-perfluo dopo l'istituzione della Consulta per gli affari dellaSicilia oltre il Faro (in/ra, § 69).

Con r.d. 26 ottobre 1825, furono riorganizzati, tanto ilMinistero presso la luogotenenza, quanto gli organi di colle-gamento tra la detta amministrazione decentrata ed il go-verno centrale. In Palermo, il Ministero era articolato in quat-tro ripartimenti : affari generali, giustizia, polizia; affari eccle-siastici; amministrazione civile, pubblica istruzione, industria,commercio, agricoltura e sanità; finanza e tesoro. In Napoli,erano correlativamente stabilite cinque sezioni, per gli affaridi Sicilia, presso i ministeri di grazia e giustizia, degli affariecclesiastici, delle finanze, degli affari interni, e della polizia

(319) Direttore del ministero per gli affari di Sicilia fu il cav. AntoninoMastropaolo (v. anche supra, nota 175).

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generale. Col r.d, 4 gennaio 1831, furono istituiti due diretto-ri del ministero presso il luogotenente, e cioè uno per interni,finanza, polizia ed affari esteri, ed uno per grazia, giustizia edaffari ecclesiastici, che salirono a tre col r.d. 9 giugno 1831,creandosi un apposito direttore per le finanze (320). L'organiz-zazione fu ulteriormente rimaneggiata allorchè con r.d. 19 gen-naio 1833 fu ripristinato il Ministero e real segreteria di Statoper gli affari di Sicilia, residente in Napoli, e furono soppressele sezioni per gli affari di Sicilia presso gli altri ministeri. Ilnumero dei direttori presso il Ministero di là del Faro salì,per altro r.d. 19 gennaio 1833, a quattro, uno per ripartimen-to (grazia e giustizia; affari ecclesiastici e polizia; finanze;affari interni) e per gli affari generali v'era un segretariato.Il Ministero in Napoli fu ordinato in cinque carichi: segreta-riato; grazia e giustizia; affari ecclesiastici e polizia; finanze;affari interni (r.d. 2' giugno 1833). Gli atti che dovevanoessere rassegnati al re per sovrana risoluzione o intelligenzavenivano trasmessi dal Ministero in Sicilia al Ministero in Na-poli, cui competevano, inoltre, le richieste di parere alla Con-sulta, le trasmissioni dei regi provvedimenti, e la corrispon-denza con tutti gli altri Ministeri di Stato. Il primo dei citatir.d. 19 gennaio 1833 stabiliva inoltre la «promiscuità », trasudditi dell'una e dell'altra parte del regno, in deroga allal. 11 dicembre 1816, per le cariche di consigliere ministrodi .Stato, ministro segretario di Stato, e direttore di segreteria

.(320) Queste riforme furono adottate dopo il viaggio in Sicilia del reFerdinando Il, ed in concomitanza con la nomina a luogotenente del contedi Siracusa (supra, nota 31), il quale governò, a quanto pare, soprattutto colpregio d'una personalità capace di ispirare simpatie, e, per il resto, e Ieache' 'i direttori governassero), Fu richiamato a Napoli perchè si sospettò' tra-marsi attorno a lui una congiura (della quale non v'è prova che fosse a co-noscensa) per proclamarlo re di Sicilia; nel 1860 condusse, contro il nipoteFrancesco II, una «fronda ~ liberale (CALÀ ULLOA, e), pp. 3940 e 60).

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L'Amministrazione centrale ~33

in Napoli e Sicilia (sUpra, § 39); e stabiliva presso il luogo-tenente un Consiglio, composto del ministro segretario di Sta-to (che era nominato solo se il luogotenente fosse un principedella real famiglia) e dei direttori.

Questo ordinamento fu ancora modificato, nel quadrodi quella politica, la cui principale espressione è la 1. 31 otto-bre 1837 sulla promiscuità degli impieghi (supTa, § 40), cheFerdinando II, con intuito lungimirante, ma con non felice r i-sultato, intraprese onde rinsaldare le due parti del regno (321).Un primo r.d. 31 ottobre 1837, soppresse gli uffici di diretto-re di segreteria, e ristabilì presso il ministero in Palermo gliuffici di consultore e di segretario del Governo, che eranostati soppressi con r.d. 28 febbraio 1831. Questi funzionaridovevano essere siciliani quando il luogotenente fosse napo-letano, e napoletani nel caso inverso. I soldi annui erano ri-spettivamente di d. 3.000, e d. 2.400, aumentati però di d.1.000 e di d. 600 «quante volte coloro che vi saranno pre-scelti saranno napoletani e dovranno in conseguenza trasferir-si da questi in quei "nostri reali domini» (art. 4 r.d. cit). Unsecondo decreto della stessa data scioglieva il Ministero degliaffari di Sicilia e ne ripartiva la competenza tra gli altri mini-steri, ai quali venivano contemporaneamente trasferiti gli im-piegati de' rispettivi carichi. Furono inoltre apportate, conr.d. 9 marzo 1838, alcune modificazioni agli ordinamenti de-

(321) PAGANO, p. 17, ripete la solita tesi sicilianista ; «Allora, mentre laSicilia subiva le orrende devastazioni dell'epidemia colerica e il grido di li-bertà e d'indipendenza, levatosi specie nelle valli di Siracusa e Catania, venivasoffocato nel sangue, il governo borbonico ne profittava per ridurre il paeseallo stato di semplice e subordinata provincia ». Vero è invece che i bestialieccessi siracusani (in/ra, § 97) non meritano la solidarietà di genti colte ecivili, e che ben tentava Ferdinando II, con l'unificazione del regno, d'abbat-tere la barriera feudale che incapsulava la Sicilia, tanto più che non diver-samente, e per di più col consenso d'eminenti siciliani, si comportò il governodel re d'Italia.

28. LANDI • 1.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 65434

gli uffici (r.d. 19 gennaio 1833) e del personale (r.d. e reg.25 agosto 1833) del Ministero di là del Faro, che, col r.d. 17dicembre 1838, fu infine ordinato in cinque ripartimenti (gra-zia e giustizia, affari ecclesiastici; affari interni; finanze; po-lizia), più un « carico» per segreteria ed affari esteri. Questaera la situazione agli inizi del 1848.

Il moto insurrezionale, come è noto, esplose il 12 genna-io 1848 in Palermo, e prese completamente impreparate leautorità locali ed il governo. In un'atmosfera d'insigne con-fusione, si pensò che alcune concessioni avrebbero pacificatogli animi: furono ampliate le attribuzioni delle Consulte(atto sovrano 18 gennaio 1848: in/m, § 71), abrogata la leg-ge 31 ottobre 1837 sulla promiscuità degli impieghi (supra,§§ 39 e 40), e confermata la separazione amministrativa egiudiziaria tra i domini di qua e di là del Faro (altro atto so-vrano della stessa data). Nè vale la pena di ricordare come l'o-stinato e velleitario rifiuto di queste e delle successive con-cessioni, e l'incapacità politica e militare dei capi di quellarivolta, fruttarono all'isola sedici mesi di lutti e di rovine.Comunque, con r.d. 6 marzo 1848, fu ricostituito il Ministerodegli affari di Sicilia in Napoli, affidato al siciliano GaetanoScovazzi, che poco dopo rassegnò le dimissioni (322). Rista-bilite nell'isola le autorità legittime, fu infine nominato mi-nistro in Napoli, col r.d. 6 luglio 1849, il consultore GiovanniCassisi, siciliano (323), e luogotenente generale di là delFaro il tenente generale Carlo Filangieri (324).

(322) «Probo e dotto uomo» lo chiama CAL.:\ULLOA,a), p. 141: era statonominato consultore il 19 gennaio 1833 (PAGANO,p. 24).

(323) Nato a Milazzo, era stato nominato consultore (dopo avere eser-citato gli uffici di vice presidente della Corte suprema di giustizia e di procu-ratore generale della Gran Corte civile di Palermo) il 12 gennaio 1840. Eraun buon giuri sta, e PAGANO,p. 23, gli dà merito d'aver difeso con molto zelol'interesse della Sicilia, pur non essendogliene grati i conterranei per la sua

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66 L'Amministrazione centrale 1135

La conclusione della dolorosa vicenda fu, In sostanza, unritorno allo status quo antea. L'atto sovrano 27 settembre1849 confermava che la Sicilia avrebbe avuto amministrazioniseparate, civile, giudiziaria, finanziaria, e per gli affari eccle-siastici. Doveva contribuire per un quarto nelle spese di ca-sa reale, affari esteri, e guerra e marina. Avrebbe avuto un luo-gotenente generale, assistito da un Consiglio, composto da unministro segretario di Stato, e tre o più direttori per grazia egiustizia, interni, affari ecclesiastici, polizia, e finanze. Un altroatto sovrano della stessa data stabiliva in Palermo la Consultade' reali domini di là del Faro (in/ra, § 71). Il Ministero ol-tre il Faro fu poi ordinato in sei ripartimenti: segreteria, gra-zia e giustizia, affari ecclesiastici e polizia, finanze e contabi-lità, segreteria (r.d. 7 luglio 1854). L'ordinamento del Mi-nistero degli affari di Sicilia fu ristabilito su cinque carichi(r.d. 21 marzo 1855), quali erano previsti dal r.d. 2 giugno1833. Queste strutture non subirono nessuna sostanziale mo-dificazione, fino alla crisi conclusiva del 1860.

III. IL SUPREMO CONSIGLIO DI CANCELLERIA

E LE CONSULTE

66. Gli organi consultivi dell' antico regime e dell' occu-pazione militare. - Abbiamo ricordato (supra, § 27) cheGiuseppe Bonaparte aveva istituito nel regno di Napoli il Con-

devozione al governo di Napoli :certe sono purtroppo le sue démélées col luo-gotenente generale Filangieri (DE CESARE,a), I, pp. 5 55.), che non furono co-munque vantaggiose per l'amministrazione sicula.

(324) Carlo Filangieri, principe di Satriano, e poi duca di Taormina (perla hrHIante azione compiuta durante la campagna di Sicilia del 1849), figliodi Gaetano Filangieri d'Arianello, aveva raggiunto il grado di maresciallo dicampo nell'esercito di Gioacchino Murat nel 1815; cassato dai ruoli nel 1821,era stato riammesso in servizio dal re Ferdinando Il.

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siglio di Stato di modello napoleonico (r.d. 15 maggio 1806),cioè come organo di consulenza del sovrano, e giudice supre-mo del contenzioso amministrativo; che tale consesso fu abo-lito col r.d. 17 luglio 1815; che le attribuzioni consultive econtenziose del Consiglio di Stato dell'occupazione militarefurono trasferite al Supremo Consiglio di cancelleria (l. 22dicembre 1816), cui successero le Consulte (l. 14 giugno1824, e successive modificazioni), ed alle Gran Corti de' contidi Napoli e di Palermo (l. 29 maggio 1817, e 7 gennaio 1818).Trattiamo qui dell'ordinamento e delle attribuzioni consultivedel Supremo Consiglio e delle Consulte; del contenzioso ammi-nistrativo si tratterà invece injra, §§ 159 ss.

V'era nel regno di Napoli, in regime vicereale, un orga-no consultivo, detto Consiglio collaterale, creato da Ferdinan-do il Cattolico nel 1503. Carlo di Borbone lo abolì con di-spaccio 7 giugno 1735 (325). Organo supremo di giurisdizio-ne ordinaria (326) era il Sacro Regio Consiglio, detto di«Santa Chiara» (327): Carlo di Borbone, con dispaccio 8 giu-gno 1735, ne trasse una giunta, detta Real Camera di SantaChiara, composta del presidente e dei quattro capi di ruotadel Consiglio, con attribuzioni consultive in varie materied'amministrazione (328). La giurisdizione amministrativa eraattribuzione della Real Camera della Sommaria (329). Que-

(325) Sul Consiglio collaterale, Rocco, I, p. 60; SCHIPA,I, pp. 18 88.;

sulla sua abolizione ScHIPA,I, p. 312; CORTESEN. in COLLETTA,a), I, p. 12l.(326) Rocco, I, p. 72; DlAs, a), II, p. 90; SCHIPA,I, p. 54 ss.(327) Era detto così, perchè aveva avuto inizialmente sede nel monastero

di S. Chiara, ma dal secolo XVI si era trasferito in Castelcapuano (SCHIPA,I, p. 54).

(328) Rocco, I. pp. sn e 91; SCHIPA,I, pp. 312 ss.(329) Le origini della Real Camera della Sommaria erano molto remote

(i RilUS Magnae Cllriae rationalillm, attribuiti ad Andrea d'Isernia, dovreb-bero essere stati redatti nei primi anni del secolo XIV: Drss, a), I, p. 6();ma come tale, era stata ordinata da Alfonso I (Drxs, a), II, p. 90). Varie pram-

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sti consessi funzionarono fino al tempo dell'occupazione nn-litare (330) quando furono sostituiti (331), al modo di Fran-cia, dall'ora ricordato Consiglio di Stato, dalla Gran Cortedi cassazione (in/ra, § 134) e della regia Corte de' Conti(in/ra, § 164). Le attribuzioni del Consiglio di Stato deriva-rono quindi, per la consulenza, dalla Real Camera di SantaChiara, e per il contenzioso amministrativo, dalla Real Ca-mera della Sommaria.

Il Consiglio di Stato, secondo il r.d. 15 maggio 1806,esprimeva parere su tutti gli affari amministrativi che gli fos-sero inviati dal re su proposta del ministro, e doveva esseresempre sentito nelle questioni tributarie (332). Era, inoltre,giudice supremo del contenzioso amministrativo (r.d. 24 ot-tobre 1809), e dei conflitti d'attribuzioni (in/ra, § 188): informa, beninteso, di pareri, sulla cui base il re esercitava«giustizia ritenuta» (in/ra, § 162). Il Consiglio era presie-duto dal re, o da un suo delegato. Secondo il decreto istitutivo,era composto da non più di 24 membri, che con r.d. 5 luglio1806 furono divisi in quattro sezioni (legislazione, finanze, in-terno, guerra e marina). Erano membri di diritto i ministri, "ed

matiche, dal 1540 a quella di riforma del 18 ottobre 1651, sono riassunte daSICA, pp. 59 55. Per il suo stato, al tempo dell'arrivo di Carlo di Borbone,SCHIPA, I, pp 27 ss.

(330) Sulle riforme apportate da ultimo da Ferdinando IV, GHISALBERTI,e), pp. 67 55.

(331) Le identificazioni di competenze erano espressamente rilevate dagliscrittori del tempo: Rocco, I, pp. 60 55.; DIAS, a), Il, pp. 90·91; PIGNATELLIDISTRONGOLI,p. 71.

(332) Sul Consiglio di Stato di Giuseppe Bonaparte, COLLETTA, al, Il,pp. 232.233; BuI suo funzionamento sotto Gioacchino Murat, VALENTE, pp. 23358.; 295 ss.; sulla funzione in parte suppletiva delle istituzioni rappresenta-tive vanamente bramare dalla classe intellettuale e dirigente napoletana (CROCE,a), p. 240), PIGNATELLIDI STRONGOLI,p. 68; sull'alto valore giuridico-amministrari-vo dei suoi pareri, DIAs, a), I, p. 60. Testimonianze dirette in COLLETTA,c); d),pp. 9 88.

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il presidente della Corte di cassazione. II r.d. lO agosto 1807istituì gli uditori. L'organizzazione definitiva fu stabilita conr.d. 24 ottobre 1809, ed il Consiglio di Stato risultò presiedu-to dal re, e composto da un vice presidente, trenta sei consi-glieri, un segretario generale, otto relatori, ed un numero in-definito di uditori (333).

In Sicilia, la Magna Curia regis si trova menzionata findal 1110, cioè dai tempi di Ruggero II d'Altavilla (334); nelperiodo vicereale si trasformò, come in Napoli, in SacroRegio Consiglio, e ne derivò il Tribunale del regio patrimo-nio, trasformato nel 1815 in Tribunale dell'erario e della co-rona, con funzioni analoghe a quelle della Real Camera dellaSommaria (in/ra, § 162). La consulenza del vicerè, da epo-ca remota (335), era affidata alla Giunta de' presidenti e con-sultore, composta dai tre presidenti, della Gran Corte, delConcistoro, e del Tribunale del patrimonio, con l'aggiuntad'un consultore del governo: la Giunta funzionava ancora nel1817, e sparì con la L 22 dicembre 1818, che, abolendole antiche sicule magistrature (in/ra, § 134), soppresse anchele cariche dei tre presidenti. Di conseguenza, la Sicilia perdet-te il proprio organo di consulenza giuridico-amministrati-va (336), perchè il Supremo Consiglio di cancelleria risiede-

(333) Nel periodo dell'occupazione militare, i pareri del Consiglio diStato sovranamente approvati erano pubhlicati nel Bulleuino delle leggi. Dopola restaurazione, i pareri del Supremo Consiglio di cancelleria e della Con-sulta non furono inseriti nella Collezione; se ne trovano però moltissimi che,riassunti o riprodotti come motivazione dei reali rescritti, sono come tali leg-gibili nelle non poche compilazioni private (come quella di PETITTI).Risultada PAGANO,p. 25, che i pareri della Consulta di Sicilia, 1850-1859,furono puh-blicati in una collezione ufficiale di cinque volumi a stampa, esistente pressola Biblioteca comunale di Palermo.

(334) PAGANO,p. 5.(335) PAGANO,pp. 5-6.(336) PAGANO,p. 6.

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va in Napoli, era costituito con criteri strettamente unitari, el'ingerenza negli affari di Sicilia ne fu anche sospesa, conl'art. 24 l. 12 dicembre 1816, fino all'unificazione amministra-tiva e giudiziaria prevista dall'art. 12 l. Il dicembre 1816(infra, §§ 97 e 134). La Consulta de' reali domini di là delFaro fu anch'essa residente in Napoli. La Sicilia ebbe poi, colr.d. 2 maggio 1831, una «Commessione consultiva » per gliaffari di competenza della luogotenenza, e la Consulta sici-liana fu finalmente stabilita in Palermo con l'atto sovra-no 27 settembre 1849.

Col ricordato r.d. 17 luglio 1815, abolitivo del Consigliodi Stato, ebbe vita per breve tempo, ne' domini di qua delFaro, un regime transitorio, in cui le attribuzioni contenziosedel Consiglio di Stato erano trasferite alla regia Corte de' con-ti, ed i conflitti di giurisdizione erano decisi dal re in Consi-glio de' ministri. Nessuna disposizione transitoria regolò l'eser-cizio della consulenza nelle materie già pertinenti al Consigliodi Stato.

67. Il supremo Consiglio di cancelleria: a) Ordinamentoe funzionamento. - L'art. 9 l. organica del regno, 8 dicem-bre 1816, prevedeva: «Vi sarà inoltre in essa Cancelleria ge-nerale (supra, § 43) un Consiglio per la discussione e la prepa-razione degli affari più importanti dello Stato, prima di por-tarsi da' nostri ministri alla nostra sovrana decisione nel nostroConsiglio di Stato, e prenderà la denominazione di SupremoConsiglio di cancelleria. Il ministro cancelliere ne sarà il pre-sidente », Il Supremo Consiglio prendeva effettivamente il po-sto del Consiglio di Stato dell'occupazione militare, una voltache questo nome era restituito al corpo politico in cui il reesercitava le sovrane sue attribuzioni (supra, § 27). È evidenteche il Governo aveva percepito l'opportunità tecnica d'assicu-

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rarsi l'assistenza d'un organo consultivo, che non riproducessei difetti dei consessi dell'antico regime, e, nello stesso tempo,non perpetuasse i ricordi del decennio francese. Il Consigliodi cancelleria, peraltro, ebbe minore rilievo dell'abolito Con-siglio di Stato, sia perchè non era presieduto dal re, sia per-chè aveva perduto quasi tutte le attribuzioni contenziose, e siaperchè, in linea di fatto, i ministri ne furono gelosi, e nonne apprezzarono a sufficienza l'utilità (337). Esso fu ordinatocon l. 22 dicembre 1816; la nomina dei membri avvenne conr.d. 31 gennaio 1817; il funzionamento fu disciplinato convari r.d. 24 marzo 1817. Dopo l'entrata in vigore della l. 21marzo 1817 sul contenzioso amministrativo, e. delle Il. 29maggio 1817 e 7 gennaio 1818, istitutive rispettivamentedella Gran Corte de' conti di Napoli e di quella di Palermo,tre r.d. 13 marzo 1820 regolarono l'intervento del Consigliodi cancelleria in sede d'approvazione delle decisioni delle GranCorti de' conti, ed il procedimento per le impugnazioni delledecisioni stesse quando consentite (supra, § 175).

Il Supremo Consiglio di cancelleria non aveva nelle sueattribuzioni alcuna parte del potere giudiziario, non essendoordinato per sua istituzione che a dare il suo voto consultivonegli oggetti importanti di pubblica amministrazione (art. Il.22 dicembre 1816). Tuttavia, come abbiamo ora accennato,già nella legge istitutiva (art. 21) gli si attribuivano funzionidi gudice d'appello avverso decisioni della Corte de' conti so-pra oggetti di contabilità pubblica, e tali funzioni furono in se-guito estese dalle leggi sopra citate; formalmente, però, anche

(337) BLANCH, b), pp. 67·68. Questo· scrittore dimostra d'avere perfetta-mente compreso tutte le utilità che «un abile despota» poteva trarre dalConsiglio di Stato del tipo napoleonico; e, fra l'altro, quella di creare c unascuola per ministri », evitando le pericolose improvvisazioni cui davano luogole scelte arbitrarie (c un miracolo più che una promozione») di ministri nel-l'antico regime.

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queste attribuzioni di contenzioso amministrativo, dato ilsìste-ma di giustizia ritenuta, si esercitavano con pareri, mai vin-colanti.

Il Supremo Consiglio era composto di 12 consiglieri or-dinari (art. 2 1. cit.), compresi tre reggenti di camera (presi-denti di sezione: art. 9); d'un segretario generale (art. 5); edi otto referendari (artt. 6 e 35), uno de' quali destinato asupplire il segretario generale (art. 36), il cui numero fu poielevato a quindici (r.d. 24 marzo 1817). Erano consiglieri stra-ordinari pro tempore il cappellano maggiore, i presidenti dellaSuprema Corte di giustizia e della Gran Corte de' conti diNapoli, l'intendente della provincia di Napoli, ed il direttoregenerale de' dazi indiretti (338). Il Consiglio era diviso in trecamere: giustizia e affari ecclesiastici; finanze, interno e poli-zia; guerra e marina (art. 8 1. cit.), che potevano anche deli-berare riunite. Ogni camera era composta d'un reggente e treconsiglieri (art. 9), ed i referendari erano distribuiti in nu-mero di cinque alla prima camera, di otto alla seconda, e didue alla terza (art. 43 reg. 24 marzo 1817). Dal segretariogenerale dipendeva la segreteria, divisa in più carichi, ed ì1personale addetto (r.d. 24 marzo 1817).

I consiglieri, il segretario generale ed i referendari eranonominati dal re (art. 7 l. cit.); del personale di segreteria, gliuffiziali di carico erano di nomina regia, e gli altri impiegatierano nominati dal ministro cancelliere (art. 6 r.d. cit.). I sol-di dei reggenti, consiglieri e segretario generale erano rispetti-

(338) L'art. 3, comma 2; l. 22 dicembre 1816, prevedeva che nel caso incui il re avesse risieduto di là del Faro, sarebbero stati consiglieri straordì-nari il 'giudice della monarchia, il presidente della Corte suprema di giustiziadi Palermo, il presidente del tribunale del regio erario, ed altre due caricheda designare con altra legge. È superfluo dire che l'ipotesi non si verificò mai,e che la legge integrativa non fu mai emanata.

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vamente di annui d. 2.800, 2.600, 1.600 (339), non cumu-labili col soldo militare, salvo il diritto a percepire la differen-za quando il soldo militare fosse minore (art. 40 l. cit.). Ireferendari avevano un'annua gratificazione di d. 250, ele-vati a d. 380 per il referendario destinato a supplire il segre-tario generale (art. 41 l. cit.) (340).

I pareri erano richiesti sempre « con speciale commessio-ne » del re, o all'intero Supremo Consiglio, o ad una delle ca-mere, o, per gli affari di natura mista, a due camere riunite. Ilre, in certi casi, poteva chiedere l'esame del Consiglio, o d'unadelle sue camere, a propria discrezione (art. 20 l. cit.). Sel'affare veniva trattato dall'intero Consiglio, la camera compe-tente preparava un « distinto e ragionato rapporto », ossia, co-me oggi si dice, un preavviso (341), e poteva chiedere, a mez-zo del ministro cancelliere, ai ministri segretari di Stato le car-te e le notizie di cui avesse bisogno; ugualmente i reggentipotevano chiedere ai privati le comunicazioni e gli schiarimen-ti che le camere credessero necessari, ma costoro potevanoesporre le proprie ragioni soltanto con memorie, « proibendosiespressamente le discussioni e parlate di avvocati» (artt. 16,17, 18 l. cit., ed art. 22 reg. 24 marzo 1817).

Gli affari erano distribuiti alle camere dal segretario gene-rale (art. l reg. 24 marzo 1817). Il reggente nominava relato-re un referendario, che preparava un rapporto scritto, conte-nente l'esposizione dei fatti e delle questioni cui dava luogo,

(339) L'art. 42 l. 22 dicembre 1816 prevedeva un'indennità d'annui du-cati 1000 ai consiglieri appartenenti all'una delle due parti del regno che dove-vansi trasferire nella sede regia stabilita in altra parte.

(340) Poìchè l'art. 6 1. 9 marzo 1818 accordava l'esenzione dal serviziomilitare agli impiegati dello Stato, che non avessero più di d. 15 mensili disoldo, il r.d. 27 maggio 1819 accordò espressamente l'esenzione ai referendari.che non avevano soldo, bensì gratificazione di d. 20 mensili.

(341) Art. 47 e 48 r.d. 21 aprile 1942, n. 444.

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lo presentava alla camera, e dava su di esso gli altri schiarì-menti (artt. 3 e 4 reg. cit.): il rapporto era predisposto dalreferendario sotto la superiore direzione del reggente o d'unconsigliere, secondo la designazione del ministro cancelliere(art. l delle 2e addizioni al reg. cit.). Nelle sedute dell'interoConsiglio riferivano i rispettivi reggenti di camera (artt. 37e 38 reg. cit.). Dopo inteso il rapporto, si passava alla discus-sione ed alla votazione, ed il Consiglio, o la camera, potevaesprimere il parere, oppure, se non riteneva l'affare sufficien-temente istruito, decidere la richiesta di documenti e notizieai ministri competenti, per mezzo del ministro cancelliere (artt.6-10 reg. cit.).

Il ministro cancelliere poteva presiedere le camere riunite,o le singole camere (art. 27 1. cit.), oppure designare a presie-dere le camere riunite il più anziano de' reggenti in ordine dinomina (art. l delle I" addizioni al reg.). Il reggente di came-ra poteva essere sostituito dal consigliere più anziano della ca-mera (art. 41 reg. cit.). Il Consiglio era in numero legale conla presenza d'almeno sette consiglieri ordinari; due camereriunite con cinque, una camera con tre (art. 28 1. cit.). I re-ferendari assistevano ai lavori delle camere d'appartenenza,delle camere riunite, e dell'intero Consiglio, ma potevanomanifestare la loro opinione solo se richiesti (art. 39 1.cit.) (342). Le deliberazioni erano adottate a pluralità assolutadi voti de' presenti (art. 25 1. cit., art. 8 reg. cit.), e se siverificava parità di voti, l'affare veniva nuovamente discussoin presenza del ministro cancelliere (art. 29 1. cit.),

(342) Alcuni articoli di «addizioni» al reg. 24 marzo 1817, stabilivanoche il reggente, quando presiedeva in luogo del ministro cancelliere, non po-teva occupare il posto riservato al ministro, il quale, se si recava a presie-dere l'adunanza, doveva essere ricevuto dai consiglieri nella sala precedentequella di riunione.

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I pareri, contenenti l'esposizione de' fatti ed i motivi chel'avevano determinato, erano estesi dal referendario relatore,letti in presenza della camera, e, se approvati, firmati dal reg-gente e dal segretario generale; questi li trascriveva in apposi-toregistro, e presentava gli estratti al ministro cancelliere, cheli spediva ai ministri interessati. Se il parere verteva su unprogetto di legge, decreto o regolamento, il Consiglio, a menoche non dichiarasse il progetto inammissibile, doveva allegareal parere il progetto formulato secondo la discussione (artt.19,20,21,24,25,34, reg. cit.). I pareri emessi dall'intero Con-siglio venivano sottoposti alla sovrana approvazione dal mini-stro cancelliere, previa comunicazione ai ministri interessati; equelli delle singole camere dal ministro competente (artt. 30e 31 l. cit.).

68. Segue: b) Attribuzioni. - La 1. 22 dicembre 1816contiene un elenco delle materie su cui era prevista la con-sultazione del Supremo Consiglio di cancelleria, e indicala loro ripartizione tra la competenza dell'intero Consiglio, del-le camere riunite, e delle singole camere. Questo elenco, se-condo i nostri attuali criteri, dovrebbe indicare la consulenza« obbligatoria », in confronto con la «facoltativa », che èindicata nell'art. 9 1. 8 dicembre 1816 con la denominazione« affari più importanti dello Stato », nell'art. 1 1. 22 dicembre1816 con quella di « oggetti importanti di pubblica amministra-zione» e nell'art. 20, n. 12, 1. stessa, come «oggetti di am-ministrazione pubblica ... degni di un particolare e maturo esa-me ». È dubbio, tuttavia, in quali limiti il concetto modernodi «parere obbligatorio» (343), la cui audizione, cioè, costi-

(343) Nel'attuale diritto amministrativo italiano, si distinguono i parerifacoltativi, che l'organo d'amministrazione attiva chiede all'organo consultivosol quando lo ritenga opportuno; i pareri obbligatori, che debbono essere

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tuisce presupposto di legittimità per gli atti in rapporto ai qua-li è prescritta, sia valido in una prima fase (fino al 1848:injra, § 71) del diritto amministrativo del regno (344). Pro-babilmente, bisogna distinguere i pareri che intervenivano inaffari d'amministrazione attiva, da quelli inseriti nei procedi-menti contenziosi. Per questi, malgrado il sistema di «giu-stizia ritenuta» (infra, § 162) che consentiva alla regia auto-rità di disattenderli, non pare sia mai avvenuto che il re deci-desse la controversia prevenendo il parere dell'organo con sul-tivo: tale organo, infatti, pure esprimendo un parere, era un«giudice» (art. 181. 21 marzo 1817: injra, § 163), e la menta-lità del tempo non era più, nella maggior parte dei casi, pro.clive ad ammettere in linea di fatto certi empiètements, pureteoricamente ammissibili (345). Nelle procedure meramenteamministrative, non si può invece escludere che certi provvedi-menti siano stati talora adottati dal sovrano motu proprio;mentre l'obbligo di sentire il parere nei casi previsti si do-vrebbe ritenere sussistente per i ministri, come si può indiret-tamente desumere dalle tabelle allegate al reg. lO maggio

chiesti nei casi stabiliti dalla legge, ma cui l'organo attivo non ha il doveredi conformarsi, salvo il dovere di motivare l'eventuale dissenso; ed i parerivincolanti che debbono essere chiesti nei casi stabiliti dalla legge, ed al .cuicontenuto l'organo attivo deve conformarsi, nei modi e nei limiti che la leggestabilisce (LANDIe POTENZA,pp. 232 58.).

(344) DIAs, a), II, p. 136, usa un'espressione ambigua: «Il legislatoredivide in diciotto classi gli oggetti che suole commettere all'esame della Con-sulta, affinchè i ministri segretari di Stato conoscano per quali affari implorardebbano le provvidenze sovrane, onde essere rischiarati colla discussione eparere della Consulta medesima s , Il concetto parrebbe quello di abitualità,piuttosto che di necessità.

(345) Certe pretese ingerenze del governo nella giustizia civile o ammi-nistrativa, riferite da COLLETTA,a), III, pp. 32.33, appaiono frutto di errore digiudizio o d'informazione dello storico, secondo le note di CORTESEN., ivi. Il« richiamo» della giustizia delegata per singoli processi, con la correlativadelega ad un giudice d'eccezione, si verificò solo, e del resto raramente, inmateria penale: in/ra, cap. V, note (26) e (136).

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1826, in cui viene data facoltà ai ministri di chiedere «nelreal nome» i pareri delle Consulte, ed ugualmente d'appro-varli, ma si prescrive di sottoporre al re in conferenza (supra,§ 27) i dubbi che sorgessero in proposito. Comunque, parreb-be che nelle materie elencate nelle citate disposizioni l'auto-rità sovrana si fosse autolimitata, impegnandosi a chiederenormalmente (anche se non necessariamente) il preventivoavviso del Supremo Consiglio.

Erano materie nelle quali si pronunciava l'intero Consi-glio (o, come noi diremmo, il Consiglio in adunanza gene-rale):

a) i progetti delle leggi e dei regolamenti generali di pub-blica amministrazione, dei quali anche la compilazione pote-va essergli affidata (art. Il L 22 dicembre 1816);

b) l'interpretazione delle leggi e dei regolamenti generali(art. 12 L cit.);

c) le domande di naturalizzazione (art. 13 L cit.; su-pra, § 30);

d) gli affari d'alta polizia amministrativa, ed i ricorsi edabusi in materia ecclesiastica (art. 14 L cit.: per gli affa-ri ecclesiastici, si applicava però il concordato del 1818, su-pra, § 46);

e) le dimande per cangiamento di cognome, e per il regioassenso necessario nello stabilimento di corpi o società reli-giose e civili, qualunque ne fosse la denominazione (art. 15L cit.: supra, § 31).

Gli affari che potevano essere rimessi all'esame del Con-siglio, o d'una delle sue camere (delle due camere competen-ti, se erano di natura mista: art. 19 L cit.}, secondo che ilre giudicasse più conveniente pel real servizio, e per il be-ne e vantaggio dei suoi amatissimi sudditi, concernevano (art.20 L cit.):

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l) tutte le domande de' comuni, degli stabilimenti pub-blici, qualunque fosse la loro denominazione, e delle corpora-zioni religiose, per l'alienazione, per l'alienazione, la compra,e la concessione in enfiteusi di beni stabili (su questa mate-ria, vedi però supra, § 31; e per il concordato del 1818, su-pra, § 46);

2) tutte le dimande de' comuni per le imposte comunali(in/ra, §§ 120 e 121);

3) le tariffe delle gabelle anzidette (in/ra, § 120);4) gli stati discussi de' comuni, quando dovevano essere

approvati con decreto reale (in/ra, § 125);5) gli affitti a lungo tempo de' beni rurali o urbani ap-

partenenti a' comuni, agli stabilimenti pubblici ed alle corpo-razioni religiose (in/ra, §§ 124 e 132; ma per le corporazio-ni religiose si applicava il concordato);

6) le convenzioni o transazioni che i comuni, gli stabili-menti pubblici e le corporazioni religiose intendevano di ce-lebrare con altri corpi morali e con particolari (in/ra, §§ 124e 132; per le transazioni di liti, injra, § 171);

7) le domande per rettificazione d'errori commessi nelgran libro del debito pubblico, per ciò che concerneva nomi,cognomi e date di nascita di creditori dello Stato;

8) le domande di concessione di miniere, o stabilimentid'officine, di ponti e scafe sui fiumi navigabili o adattia' trasporti (supra, § 64);

9) le domande de' comuni per la celebrazione di fiere omercati pubblici;

lO) le autorizzazioni da accordarsi a' comuni, agli stabili-menti pubblici, ed alle corporazioni religiose per l'accettazio-ne di donazioni, legati ed eredità, quando non vi fosse laletterale autorizzazione della legge (supra, § 31);

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11) tutti gli atti riguardanti l'esercito della suprema rega-lia del regio exequatur (supra, § 46);

12) e finalmente tutti gli oggetti d'amministrazione pub-blica che il re avrebbe creduti degni d'un particolare e maturoesame.

Erano materia, come oggi diremmo, di competenza fun-zicnale delle camere riunite di giustizia ed affari ecclesiasti-ci, e di finanze, interno e polizia (art. 21 l. cit.) le que-stioni di competenza tra i corpi giudiziari ed amministrativi(in:fra, § 188 e 189), ed i ricorsi avverso decisioni della GranCorte de' conti (in/ra, § 175); nonchè (art. 22) le intimazionide' giudizi contro gli agenti dell'amministrazione pubblica(infra,§· 192).· La sezione finanze, interno e polizia era inol-tre competente per le autorizzazioni alla stampa di libri (art.23: supra, § 35).

Ne,lle materie diverse da quelle attribuite al Supremo Con-siglio, funzioni di consulenza facoltativa dei ministeri del-l'interno e delle finanze erano esercitate anche dalla Com-messione de' presidenti della Gran Corte de' conti di Napoli(inlra, § 165).

L'esercizio delle attribuzioni in materia ecclesiastica e distampa fu «snellito» con gli artt. 4-7 delle 2e addizionial reg. 24 marzo 1817. Il reggente o un consigliere, rispet-tivamente della camera giustizia ed affari ecclesiastici per il re-gio exequatur, e della camera finanza, interno e polizia perla revisione dei libri, designati dal ministro cancelliere, eser-citavano tali attrihuzioni, ma erano obbligati a presentare allarispettiva camera le questioni meritevoli di sovrana attenzioneo dove fossero dubbi da risolvere.

69. La Consulta generale del regno, e le Consulte de'reali domini di qua e di là del Faro: a) istituzione. - Il

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69 L'Amministrazione centrale

Supremo Consiglio di cancelleria fu soppresso dal governo co-stituzionale con r.d. 20 luglio 1820. La costituzione estortaa Ferdinando I il 7 luglio 1820 prevedeva infatti (artt. 221-231) che il re fosse assistito da un Consiglio di Stato (in/TU,§ 200), mai costituito. Provvisoriamente, continuava a riunirsi,per gli affari contenziosi, il Consiglio di cancelleria in una so-la camera, ed erano abolite le funzioni consultive sull'ema-nazione di leggi e di regolamenti, e sulla loro interpretazione.

La soppressione del Supremo Consiglio fu confermata, do-po la caduta del regime costituzionale, con r.d. 29 marzo 1821;e, con altro decreto della stessa data, fu istituita una Com-messione temporanea consultiva, presieduta da Domenico Cri-teni, già consigliere del Supremo Consiglio di cancelleria; ecomposta da Gregorio Letizia, presidente della Gran Cortecivile di Napoli; dal barone Gennaro Bammacaro, giudice del-la stessa Gran Corte; dal presidente del tribunale civile di Na-poli, Gaetano Tavassi; dal giudice dello stesso tribunale, Fran-cesco Nicola de Mattheis (346); e dall'avvocato Francesco Pe-troni quale segretario. Questa Commessione, con r.d. 18 aprile1821, fu investita anche delle attribuzioni contenziose. Tale re-gime transitorio si protrasse per circa tre anni.

Nel convegno di Lubiana (gennaio-febbraio 1821), il prin-cipe di Metternich, il quale ne fu notoriamente l'animato-re, si era preoccupato, non solo del ristabilimento dell'ordi-ne secondo i principi della Santa Alleanza, ma anche di pre-

(346) Questo magistrato era un fanatico e frenetico reazionario, che con-divideva e sopravvanzava i concetti del principe di Canosa, dimodocchè, nomi-nato poi intendente di Calabria Citeriore, scatenò un pandemonio d'eccessipolizieschi, che ne determinarono l'arresto ed il deferimento a giudizio penale(CINGARI,pp. 115 55.), concluso, dopo un clamoroso processo, con la condanna(sent. 16 luglio 1830) a dieci anni di relegazione (CALÀ ULLOA, b), pp. 68 e 78S8.), condonati dalla clemenza di Ferdinando Il nel 1831 (AC'I:ON, b), pp. 62.63 e 69). La personale onestà del de Mattheis non aveva dato mai luogo arilievi, nè si disse che fosse corrotto o concussionario.

29. LANDI - l.

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vemre con opportune misure il riprodursi del malcontentoche era esploso nel moto costituzionale. Il re Ferdinando Ifu quindi impegnato ad adottare «nuove basi di governo »,che venivano così precisate (347):

«Séparer l'administration de aples de celle de la Sicile enconservant soigneusement tous Ies liens qui les unissent sous unmème sceptre; donner à 80n Conseil d'Etat dans l'une et l'autrepartie du royaume l'organisation la plus efficace et la plus propreà éclairer Sa Majesté sur les besoins et les Intérèts de ses peupleset sur les mésures nécessaires pour assurer en mème temps lamarche regulière du gouvernement et le bien ètre du pays; établirdans les deux parties du royaume un corps consultatif, servant degarantie à ce que les projets de haute législation, avant de passeren loi, et les mesures d'administration générale, avant d'ètre défì-nitivement arrètées, seront complètement débattues et éclairciesdans les intérèts inséparables de la Couronne, du bien général duroyaume, et d'une justice éclaireé; créer dans chaque province unconseil provincial, destiné à s'occuper d'une juste répartition desimpòts et d'autres objets d'utilité publique; de régler enfin l'admi-nistration communale d'après les principes le plus favorables aubien ètre des communes et à la conservation de leur patrimoine ».

È questa l'origine del r.d. 26 maggio 1821, sulle nuovebasi di governo, che abbiamo già avuto occasione di ricorda-re (supra, §§ 17 e 27).

Il concetto centrale della direttiva di Lubiana corrispon-deva, come si disse altrove, all'ipotesi d'una «monarchia con-sultiva », che avrebbe dovuto mantenere integra la regia au-torità, consentendo tuttavia ai sudditi - secondo una formu-la che pareva abbastanza bene realizzata nelle «Congregazio-ni » del regno lombardo-veneto (348) - di far pervenire i 10-

(347) CORTESE N. in COLLETTA, a), III, p. 304.(348) Le Congregazioni centrali di Milano e di Venezia (patenti 7 e 15

aprile 1815) erano composte di sudditi italiani, nominati dal Governo impe-riale su proposta delle Amministrazioni locali, per sei anni, e da esso stio

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ro voti a pIe del real trono, e che voleva essere un com-promesso tra I'assolutismo Illuminato, e la monarchia costitu-zionale.

Del « corpo consultivo » si occupavano, appunto, gli artt.4-14 r.d. 26 maggio. 1821. Avrebbero. dovuto istituir si dueConsulte . di Stato, l'una in Napoli di non meno. di trentamembri, l'altra in Palermo. di non meno. di diciotto membri,per dare parere sui progetti di leggi e di regolamenti, suglistati discussi, le materie di. debito. pubblico, le alienazioni ed icontratti a lungo. termine concernenti i beni pubblici. I consul-tori dovevano essere scelti tra i proprietari delle provincie,e le per~o.ne che avevano. esercitato. eminenti funzioni, ammi-nistrative, ecclesiastiche, giudiziarie e militari, e dopo cinqueanni d'esercizio. dell'ufficio. potevano essere confermati a vita.Il presidente era nominato dal re tra i consultori. Il decreto.stabiliva talune norme di funsionamento, e prescriveva chefossero verbalizzati anche i voti di minoranza, Il reg. 4 giugno.1822 (supra, § 27) stabiliva che in presenza del re in Consi-glio. di Stato. sarebbero. proposti e discussi i progetti di leggi,decreti e regolamenti generali, e sarebbe stato. nel regio. arbitrio.rigettarli, oppure ordinare fossero mandati per parere alle Con-sulte di Stato.

Queste Consulte non furono mai istituite: il che fu effet-to, in parte, della difììcoltà di rinvenire personalità in nu-mero. così elevato, che unissero. la competenza giuridico-am-ministrativa ad un passato. politicamente Illihato, nell'armo-sfera di sospetto che erasi diffusa dopo gli eventi del moto co-stituzionale ; ed in parte dell'avversio.ne del governo a stabi-

pendiati. Avevano funzioni deliberati ve e consultive, ed anche facoltà di«sommessamente rappresentare» al sovrano «i bisogni, i desideri e le pre-ghiere» in tutti i rami dell'Amministrazione. Sciolte in conseguenza dell'at-teggiamento assunto nel 1848, furono ricostituite nel 1855 (SCHUPFER,pp. 119488.; ARMANNI, pp. 796·797).

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lire un sistema limitativo del potere assoluto, ed estensivo del-l'autonomia siciliana. Del resto, le potenze della Santa Allean-za si disinteressarono della direttiva di Lubiana, e non prete--sero che il governo di Napoli rigorosamente vi si attenesse.

Le disposizioni, meramente programmatiche, del r.d. 26maggio 1821, furono ampiamente rielaborare nella L 14 giu-gno 1824, che in sostanza istituì degli organi consultivi (Con-sulte de' reali domini di qua e di là del Faro, e Consulta ge-nerale del regno) abbastanza simili, salvo che nel riconosci-mento della separazione amministrativa della Sicilia, all'abo-lito Supremo Consiglio di cancelleria. Tale separazione eratemperata, appunto, dall'istituzione della Consulta generale,in quanto, come è detto nelle premesse della citata legge, eraindispensabile che si stabilisse un centro d'unione tra le am-ministrazioni delle due parti del regno, atto ad impedire ledivergenze de' principi, e l'indebolimento di quelli necessarilegami, che a vicendevole utilità degli amatissimi sudditi delre Ferdinando I felicemente congiungevano l'una e l'altraSicilia sotto un medesimo scettro. L'art. 30 L cito abrogò ledisposizioni del r.d. 26 maggio 1821, e revocò le nomine di-sposte, per i domini di qua del Faro, con r.d. 23 settembre1821.

In conclusione, le Consulte risultarono corpo giuridico-amministrativo (349), senza nemmeno la circoscritta importan-za politica che originariamente sembrava dovessero avere, edi tardivi progetti per attribuire loro un certo carattere rap-

(349) SETTEMBRINI,b), p. 41, chiama la Consulta «un tribunale fatto apompa », il cui parere «spesso è nulla, e serve soltanto a rendere gli affari lun-ghissimi ed interminabili»; ma i molti pareri di cui si ha notizia (supra,nota 332) permettono di esprimere un giudizio positivo sulla quantità e qua-lità del lavoro, e di considerare fondato il ricordo di DE CESARE,a), I, p. 173,che 4: la Consulta aveva nel campo amministrativo la stessa alta reputazionedella Corte suprema nel campo giudiziario ».

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presentativo non ebbero alcuna attuazione (350). Esse eranoqualcosa di meno del Consiglio di Stato dell'occupazione mili-tare, nulla più del Supremo Consiglio di cancelleria, e coin-cidevano, in sostanza, con i Consigli di Stato dei coevi Statiitaliani (351).

70. Segue: b) Ordinamento e personale. - Sebbene laL 14 giugno 1824 fosse detta «legge organica della Consul-ta generale del regno », è più proprio parlare di «Consul-te », perchè si trattava di tre consessi, cioè delle consulte, ri-spettivamente, de' reali domini di qua del Faro, e di là delFaro, ambo residenti nel luogo della real residenza (cioè inNapoli), che, in certi casi, deliberavano riunite in «Consul-ta generale del regno ». Il nesso topografìco ed il nesso orga-nico furono poi defìnitivamente sciolti, allorchè con l'atto so-vrano 27 settembre 1849 la Consulta de' reali domini di làdel Faro fu trasferita in Palermo, e cessò la Consulta generaledel regno. Dopo di ciò, più che mai si trattò di «Consulte »,e non di « Consulta ».

Le Consulte non avevano nelle rispettive attribuzioniche il voto puramente consultivo (art. 3 1. cit.). La loro com-petenza verteva propriamente in materie di legislazione ed'amministrazione; ma con vari r.d. 18 ottobre 1824 furonoinvestite di tutte le attribuzioni contenziose dell'abolito Su-premo Consiglio di cancelleria (in/ra, §§ 162 e 163).

(350) Alla fine di settembre 1859, il ministro per gli affari di Sicilia,Paolo Cumbo, incoraggiato dal re Francesco II, predispose un progetto pertrasformare la Consulta in «Senato del regno », composto di membri elettidai Consigli provinciali (MOSCATI,b), pp. 64·65). Un altro progetto di sta-tuto fu fatto comporre dal gen, Carlo Filangieri, a cura del noto giurecon-sulto Giovanni Manna, sulla falsariga della costituzione imperiale francese,e prevede un Consiglio di Stato, incaricato di redigere i progetti di leggee di regolamento, e di sostenerli in nome del Governo innanzi al Senato edal Corpo legislativo (testo in DE CESARE,a), I1I, pp. 101 88.).

(351) Per tali analogie, LANDI,d).

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Le Consulte si occupavano separatamente degli affari rr-guardanti la parte del regno per cui ciascuna era stabilita, e siunivano in Consulta generale quando trattavano affari ri-guardanti oggetti o d'interesse comune, o che sebbene d'in-teresse particolare d'una parte del regno, potessero in qualsi-voglia modo influire sull'interesse dell'altra (art. 2 l. cit.).

La Consulta generale era composta di 24 consultori, deiquali sedici, scelti tra i sudditi più distinti e meritevoli de'domini di qua del Faro, ed otto, scelti tra i sudditi più degni eragguardevoli de' domini di là del Faro, formavano, rispetti-vamente, la Consulta di ciascuna parte de' reali domini (artt.5, 6, 7, l. cit.). La diversa aggettivazione non sembra avessenessuna importanza; si trattava di nomine rimesse alla pienadiscrezionalità del sovrano, che provvedeva in Consiglio diStato, su proposta del presidente del Consiglio de' ministri,previa deliberazione del Consiglio de' ministri. Le nominecadevano di regola su magistrati, ufficiali generali, alti fun-zionari, prelati. Presidente della Consulta generale era un con-sigliere ministro di Stato senza dipartimento, nominato,· indi-stintivamente, tra i sudditi dell'una o dell'altra parte del regno,che aveva intervento nel Consiglio di Stato ordinario (art. 4l. cit.). Ogni Consulta aveva un proprio vice-presidente, no-minato dal re tra i rispettivi componenti (artt. 6 e 7 l. cit.),il più anziano de' quali suppliva il presidente assente o impe-dito (art. 9 l. cit). La Consulta generale aveva un segre-tario generale, continentale o siciliano, ed ogni Consulta unsegretario, appartenente alla rispettiva parte del regno, tuttidi nomina regia: il segretario più anziano suppliva il segre-tario generale assente o impedito (artt. 8, 9, lO, 1. cit.). OgniConsulta era divisa in due Conimessioni (giustizia ed affariecclesiastici; finanze ed affari interni), composte- di sei con-sultori nella Consulta per i domini di qua del Faro, e di quat-

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tro nell'altra, le quali deliberavano separatamente gli affaridi minore importanza, e riunite gli altri (artt. 16-18 l. cit.).Un'altra Commessione era formata dal presidente della Con-sulta generale, con i residui quattroconsultori napoletani edue consultori siciliani, per trattare gli affari di minore impor-tanza concernenti i dipartimenti di guerra e marina ed affariesteri, e preparare gli affari delle stesse amministrazioni, dasottoporre alla Consulta generale (art. 19 l. cit.). Le Com-messioni si rinnovavano ogni due anni, salvo conferma (art.17 reg. 14 giugno 1824). Per gli altri affari da sottoporrealla Consulta generale, il presidente nominava Commessionistraordinarie, composte d'un numero proporzionato di con-sultori dell'una e dell'altra Consulta (art. 20 l. cit.). In segui-to, furono create la Commessione per gli affari di grazia inmateria di reati, composta di due consultori napoletani eduno siciliano (r.d. 23 agosto 1824); le Commessioni, una perogni Consulta, per i conflitti di giurisdizione nelle rispettiveparti del regno, composte ciascuna di due con sul tori dellaCommessione giustizia ed affari ecclesiastici, e due della Com-messione finanze ed affari interni (r.d. 7 settembre 1824);e la Commessione per i conflitti di competenza, civili e pe-nali, tra autorità dell'una e dell'altra parte del regno, compo-sta da tre consultori (dei quali due «giureconsulti») di cia-scuna delle due Consulte (r.d. 20 agosto 1825). La segrete-ria generale e le segreterie della Consulte erano divise in « ca-richi », e v'era addetto personale amministrativo (artt. 22,24, 25 reg. 14 giugno 1824; r.d. 4 giugno 1825).

Il personale della Consulta fu integrato col r.d. lO giu-gno 1832, il quale dispose l'istituzione di dodici relatori, ottonapoletani e quattro siciliani, assegnati dal presidente alleCommessioni, con rotazione annuale, per compiere i lavoripreparatori affidati loro dai consultori ; essi intervenivano,

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quando il presidente o il vice-presidente lo credesse opportu-no, a tutte le adunanze, delle Commessioni e delle Consulte,ed in Commessione uno di loro fungeva da segretario. I re-latori erano nominati dal re in Consiglio di Stato, su propostadel presidente del Consiglio de' ministri, tra gli individui,nobili o di natali distinti, di non meno di venti nè più di ven-ticinque anni d'età, che avessero giustificato una rendita d'an-nui ducati 200 iscritta nel gran libro del debito pubblico, edavessero superato un concorso per esami (352). Dopo cinqueanni di servizio (abbreviabili per merito distinto semprecchèl'interessato avesse raggiunto 25 anni d'età) i relatori ottene-vano un impiego nelle carriere giudiziarie o amministrative.I relatori, in sostanza, non corrispondevano ai nostri referen-dari del Consiglio di Stato (in Francia, maitres de requètess,perchè non si chiedeva che avessero alcuna pregressa esperien-za giudiziaria o amministrativa, e non avevano un'aspettativadi nomina a consultore (infatti, niuno di loro fu mai chia-mato a tale ufficio); corrispondevano, piuttosto, agli uditoridel Consiglio di Stato francese, costituendo, cioè, una classe digiovani funzionari che si formava un eletto grado di prepara-zione teorico-pratica attraverso l'assidua partecipazione ailavori delle Consulte (353).

(352) La Commessione giudicatrice era composta dal presidente, dei duevice-presidenti, e di due consultori nominati dal presidente. L'esame di con-corso (art. 4 reg. lO giugno 1832) consisteva: l) nella traduzione d'un brano diclassico latino, « dettato co' soli punti finali, lasciando che chi si assoggetta al-l'esame supplisca da sè nello scrivere alle interpunzioni minori s ; 2) in un que-sito su qualche punto di diritto amministrativo tratto dalla Collezione delle leg-gi e de' decreti reali, o nella risoluzione di qualche questione amministrativadipendente da affari trattati dalla Consulta; 3) in un quesito su qualche puntodelle leggi civili, o su qualche caso di diritto civile di cui si domanda la riso-luzione; 4) in uno o più quesiti su qualche principale punto della storia delregno,

(353) DE CESARE, a), I, {I- 173.

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I soldi annui del personale delle Consulte erano i seguenti:

l) Presidente. - D. 3.000, (soldo di Consigliere ministro diStato) più una gratificazione annua d'altri d. 3.000 (art. 27 1. 14giugno 1824).

2) Vice Presidenti. - D. 2.600 (soldo di consultore), più unagratificazione annua di d. 400 per tutto il tempo d'esercizio dellacarica (art. 26, comma 2, 1. cit.].

3) Consultori, - D. 2.600 (art. 26, comma 2, 1. cit.).4) Segretario generale. - D. 2.000 (art. e comma cit.).5) Segretari particolari. - D. 1.200 (art. e comma cit.).

I militari ed impiegati, che godevano un soldo minore,ottenevano, con la nomina a consultore, la differenza, o con-servavano il soldo precedente se maggiore; gli ecclesiasticicontinuavano a godere le rendite della loro dignità, e riceve-vano una gratificazione mensile stabilita dal re « secondo le ri-spettive circostanze di ognuno» (art. 26, commi 4, 5, 6, 7,l. cit.) (354).

Gli uffiziali di carico, della segreteria generale e delle se-greterie, avevano il soldo annuo, rispettivamente, di d. 720e 600, e gli altri impiegati in proporzione (artt. 22 e 24 r.d.14 giugno 1824).

I relatori prestavano due anni di servizio gratuito, ed ot-tenevano poi una gratificazione di d. 15 mensili (r.d. lOgiugno 1832).

Dobbiamo inoltre ricordare (vedi anche supra, § 66) che,essendosi stabilita in Napoli la Consulta de' reali domini di

(354) L'art. 28 l. 14 giugno 1824 accordava ai consultori, quando doves-sero risiedere in parte de' reali domini diversa da quella cui appartenevano,un trattamento uguale a quello già previsto per i membri del Supremo Con.siglio di cancelleria: supra, nota (339). Con tre r.d. 30 giugno 1824, fu sta.bilita l'uniforme, fu assegnato alla Consulta in Napoli il locale della e Solì-taria l> già occupato dal Supremo Consiglio di cancelleria, e fu stabilito cheil presidente giurasse nelle mani del presidente del Consiglio de' ministri,ed i consultori nelle mani del presidente della Consulta generale.

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là del Faro, mancava nell'isola un organo consultivo pergli affari decentrati al luogotenente generale ed al ministrosegretario di Stato presso il medesimo. Si provvide pertanto,con r. 2 maggio 1831, ad istituire in Palermo una Commessio-ne consultiva, presieduta dal presidente della Corte supre-ma di giustizia, e formata dal vice-presidente della medesima,dal presidente e vice-presidente della Gran Corte de' conti,e da un giudice della Gran Corte civile di Palermo, nomi-nato dal luogotenente generale, che esercitava anche le fun-zioni di segretario (355). Il regolamento di servizio internodella Commessione (che era più o meno una riproduzione del-la soppressa Giunta de' presidenti e consultori) fu approvatodal luogotenente generale il 14 ottobre 1831 (356).

71. Segue: c) le riforme del 1848-1849. - Gli ordina-menti che abbiamo descritto rimasero in vigore, senza sostan-ziali alterazioni, fino al 1848.

Nel gruppo di provvedimenti con cui, dopo il moto sicilia-no del 12 gennaio 1848, il regio governo tentò un'azione di-stensiva (s'Upra, § 65), vi sono due atti sovrani, ambo indata 18 gennaio 1848, concernenti le Consulte. Si ritornava,in sostanza, al tentativo d'utilizzare i corpi consultivi in fun-zione transattiva, tra l'assolutismo e la monarchia costituzio-nale (supra, § 69), allo stesso modo come nel regno di Sar-degna il regio brevetto 20 gennaio 1848 convocava il «Con-siglio di Stato compiuto », la cui riunione si rese «senza og-getto» per il progresso del movimento costituzionale (357).

Dei ricordati atti sovrani, uno provvede (art. l) ad unmodesto ampliamento delle attribuzioni accordate alle eQU.-

(355) PETITTI. I. p. 462.(356) PETITTI. I. p. 463.(357) SALATA, b). pp. 70 5S. ed 84,

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sulte di Napoli e Sicilia con la l. 14 giugno 1824 (in/ra,§ 72). L'altro autorizzava i ministri ad intervenire nelle ses-sioni delle Consulte, ed istituiva dei «consultori in serviziostraordinario », dichiarando tali di diritto, quando il re risie-desse di qua del Faro i presidenti della Corte suprema di giu-stizia, della Gran Corte de' conti, della Gran Corte civile diNapoli, della Giunta di pubblica istruzione (supra, § 47) edil soprintendente di salute pubblica (supra, § 60), e quandoil re risiedesse oltre il Faro, i corrispondenti magistrati e fun-zionari di Palermo, e il giudice della monarchia (supra, § 46).Le regie concessioni non furono efficaci, ma gli atti sovraninon furono mai revocati.

Lo statuto lO febbraio 1848 prevedeva (in/ra, § 203)un Consiglio di Stato di ventiquattro cittadini (art. 77), no-minati dal re (art. 79), e di cui doveva essere presidente ilministro di grazia e giustizia (art. 78), «per dare il suo ragio-nato parere su tutti gli affari de' quali» poteva «essergli de-legato l'esame in nome del re da' ministri segretari di Stato»(art. 80, comma l). In attesa della legge, rimanevano in vi-gore, per il Consiglio di Stato, le norme sulla Consulta gene-rale del regno, salvo quel che vi potesse essere di contrarioalla Costituzione (art. 80, comma 2).

Di conseguenza, con r.d. 17 febbraio 1848, la Consultaassunse il nome di Consiglio di Stato, conservando le proprieattribuzioni, salvo quelle di competenza delle Camere legi-slative. La presidenza fu assunta dal ministro di grazia e giu-stizia. Da questa data, sino all'entrata in vigore del r.d. 9 di-cembre 1852, di cui diremo poi, il riferimento a pareri delConsiglio di Stato riguarda la ex Consulta de' domini di quadel Faro, e non il « Consiglio di Stato ordinario ».

Restituito l'ordine in Sicilia, la separazione amministrativae giudiziaria de' reali domini di qua e di là del Faro fu con-

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fermata con l'atto sovrano 27 settembre 1849 (supra, § 65);e per «sempreppiù facilitare l'amministrazione interna» del-l'isola, l'altro atto sovrano, 27 settembre 1849, dispose l'isti-tuzione della Consulta con sede in Palermo. Le Consulte ri-sultarono quindi scisse, una per ciascuna parte del regno, efu abolita la Consulta generale. Nessun altro consesso le fusostituito, ed allorchè trattava si d'affari d'interesse comune,veniva acquisito il parere dell'una e dell'altra Consulta (358)ed erano entrambo sottoposti alla sovrana risoluzione. Que-sto sistema ampliava il decentramento insulare; ma non raf-forzava l'autorità del corpo consultivo, i cui interventi neidetti affari avrebbero potuto essere più efficaci se espressi inun'adunanza come quella che si realizzava nella cessata Con-sulta generale del regno. Le due Consulte accentuarono il carat-tere di consessi amministrativi con circoscritta competenzaterritoriale, ed ancora una volta si sarebbe potuto dire, deirapporti tra il regno e la Sicilia, non cum te vivere possum,nec sine te.

La Consulta de' reali domini di là del Faro era compostad'un presidente, di sette consultori scelti fra i più distintisudditi di quei domini, di sei relatori nominati a terminidel r.d. lO giugno 1832, e relativo regolamento (359), d'unsegretario, e d'impiegati da lui dipendenti (art. l atto sovra-no cit.). Per il servizio, si osservava tutto quel che era pre-

(358) Vedi, per esempio, il r.d. lO maggio 1859, che risolve un dubbiointerpretativo circa l'art. 38 Il.pp.; il r.d. 8 agosto 1859, che, in relazione al-l'art. 145 l. 21 agosto 1826, stabilisce che l'Amministrazione delle acque e Io-"este pUÒ ricorrere avverso decisioni assolutorie da reati forestali, ìndipen-dentemente dal ricorso del pubblico ministero, ma solo per i propri interessipatrimoniali (supra, § 64); il r.d. 12 dicembre 1850, che modifica alcune normedi procedura penale.

(359) Sulle più eminenti personalità che {U{(!I!O chiamate a comporrela ·Consulta di Sicilia, PAGANO, pp. 21 55.

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scritto dalla 1. 14 giugno 1824, e dal regolamento della stessadata (art. 4 atto sovrano cit.). Con successivi provvedimenti,fu istituita presso la Consulta una Commessione per gli affaridi grazia in materia di reati commessi e giudicati in Sicilia(r.d. 25 gennaio 1850); fu elevato a nove il numero de' re-latori (r.d. 27 settembre 1850); fu fissato in d. 3.000 ilsoldo annuo del presidente (r.d. 27 ottobre 1851); e fu sta-bilita la pianta organica della segreteria (r.d. 29 gennaio1855) (360). Veniva frattanto in desuetudine la costituzionedel 1848; e perciò, con r.d. 9 dicembre 1852, il Consiglio diStato riprese il nome di Consulta de' reali domini di qua delFaro, conservando qual presidente il ministro di grazia e giu-stizia, e confermandosi nelle rispettive loro cariche il vice pre-sidente ed i consiglieri. I relatori furono aumentati a dodici(r.d. 14 gennaio 1853), e fu stabilita una nuova pianta or-ganica, articolata in quattro carichi, affidati ai rispettivi uffi-ziali di carico, tutti dipendenti dal segretario (r.d. 27 aprile

(360) La Consulta siciliana cessò di funzionare in maggio 1860. Il decreto,3 agosto 1860, del pro-dittatore Depretis (COMITATOCITTADINO,p. 14.1) istituìin Palermo una sezione del Consiglio di Stato, con attribuzioni consultive egiurisdizionali, composta d'un presidente di sezione, sei consiglieri, tre re-ferendari ed un segretario, ne stabiliva la competenza, e dettava alcune normeprocedurali. Le nomine furono conferite dal pro dittatore Mordini, con decreto19 ottobre 1860. Era presieduta da Vincenzo Fardella di Torrearsa; ed eranoconsiglieri Francesco Crispi, Mariano Stabile, Gregorio Ugdulena, SalvatoreVigo Platania, e Matteo Raeli che fu poi consigliere di Stato del regno d'Ita-lia (PAGANO,pp. 28 ss.). Tale consesso non va confuso col c: Consiglio di Statostraordinario >, istituito con altro decreto 19 ottobre 1860 dal detto Mordini,che, presieduto da Gregorio Ugdulena, doveva c: avvisare i mezzi onde conci-liare l'unità d'Italia con le condizioni particolari della Sicilia, riconoscendoessere l'isola una fra le parti d'Italia, in cui le condizioni topo grafiche e sto-riche presentano taluni caratteri distinti meritevoli di studio particolare >. Que-sto consesso, composto dei più distinti esponenti del liberalismo insulare, avevapredisposto, entro il 18 novembre 1860, un progetto, che anticipava lo statutoregionale, accordato alla Sicilia con r.d.Ig, 15 maggio 1946, n. 455, ma che ri·mase lettera morta, essendo subito prevalse le tendenze accentratrici (PAGANO,pp. 30 58.).

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1858). Infine, la carica di presidente fu divisa da quella. diministro di grazia e giustizia, ed affidata, come prima del1848, ad un ministro di Stato (361), che corrispondeva diret-tamente col ministro di grazia e giustizia (r.d. 29 agosto 1859).

Quando fu richiamata in vigore la Costituzione del 1848,la Consulta riprese il nome di Consiglio di Stato, presiedutodal ministro di grazia e giustizia (r.d. 13 luglio 1860), e loconservò sino alla fine (362).

72. Segue: d) funzionamento ed attribuzioni. - Lenorme per il funzionamento delle Consulte erano stabilitedalla l. 14 giugno 1824, e dal regolamento per lo serviziointerno approvato con r.d. della stessa data. Esse non dif-ferivano molto da quelle già in vigore per il Supremo Consi-glio di cancelleria (supra, § 67), e non furono sostituite dopola scissione delle Consulte.

I pareri erano sempre richiesti nel real nome (art.' 14l. cit.), dal ministro competente (art. 9 r.d. cit.); la Consultadi Sicilia poteva esserne richiesta dal ministro per gli affari diSicilia, o dal luogotenente generale nei limiti delle sue attrihu-zioni (art. '2, comma l, atto sovr, 27 settembre 1849). Finchèle due Consulte risiedettero in Napoli, gli affari venivano di.strihuiti alle Consulte o Commessioni dal presidente della Con-sulta generale (art. 2 r.d. cit). Il relatore era nominato daldetto presidente, tra i consultori, per gli affari da trattarsi in

(361) D. Nicola Maresca Donnorso, duca di Serracapriola.(362) Il 25 novembre 1860, fu istituito in Napoli un Supremo Consiglio

amministrativo, presieduto da Desiato Janigro, procuratore generale della GranCorte civile, che, con r.d. 18 giugno 1865, fu nominato, allo scioglimento diquel consesso, presidente di sezione del Consiglio di Stato del regno d'Italia(ZOLl, pp. 59-(0). Ma i consiglieri, menzionati da DE SIVO,a), II, p. 351, innumero di trenta, erano in maggior parte mediocri mestatori, decorati del ti.tolo di «martiri s , nìuno de' quali fu ammesso nel nostro Consiglio di Stato.

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72 L'Amministrazione centrale 463

Consulta generale, o in Commessione mista, e dal vice presi-dente della Consulta competente negli altri casi (artt. 3~4 r.d.cit.). La Consulta poteva chiedere al ministro competente,per mezzo del proprio presidente, le notizie occorrenti per loschiarimento degli affari (art. 13 r.d. cit.).

Il presidente presiedeva la Consulta generale (art. 4 l.cit.), e poteva presiedere le Consulte particolari (art. 11 l.cit.) e le Commessioni (art. 18 r.d. cit.): queste disposizioni,ovviamente, risultano modificate dalla soppressione della Con-sulta generale. La Consulta generale era in numero legale conl'intervento d'almeno quindici consultori; quella dei dominidi qua del Faro con dieci; quella dei domini di là del Farocon cinque; e le Commessioni con quattro se composte di seiconsultori, e tre se di quattro (art. 21 L cit.). Le delibera-zioni erano adottate a pluralità di voti, e dovevano essere in-seriti in verbale anche i voti di minoranza (art. 22 1. cit.),I pareri motivati delle Consulte erano estesi dal consultoreincaricato; i voti particolari erano estesi dai rispettivi autori:gli uni e gli altri venivano trascritti nel registro, approvatidalla Consulta, sottoscritti dal presidente e dal segretariogenerale, e trasmessi in copia, ugualmente firmate, al mini-stro che li aveva richiesti nel real nome, insieme agli atti rela-tivi (artt. 8-12 r.d. cit.).

Le materie di consultazione elencate nell'art. 15 L 14 giu-gno 1824 coincidevano, in maggior parte, con quelle propriedel Supremo Consiglio di cancelleria, previste dalla L 22 di-cembre 1816 (supra, § 68). Esse concernevano:

1) i progetti d'alta legislazione e le misure di ammini-strazione generale (cfr. art. 11 L 22 dicembre 1816);

2) l'interpretazione o spiega di disposizioni, e la riso-luzione di dubbi nelle materie legislative (cfr. art. 12 1. cit);

3) le quistioni di competenza tra le autorità del con-

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464 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 72

tenzioso giudiziario e quelle del contenzioso amministrativo(cfr. art. 21, l. cito:in/ra, §§ 188 e 189);

4) i dubbi che avrebbero potuto sorgere nel reale ani-mo, nell'approvazione delle decisioni delle Gran Corti de'conti di Napoli e di Palermo, e la revisione che dal re ne fos-se in seguito ordinata (r.d. e reg. 13 marzo 1820, injra,§§ 175 e 176; un espresso rinvio alle disposizioni già in vigoreper il Supremo Consiglio di cancelleria fu poi fatto con duer.d. 18 ottobre 1824);

5) le autorizzazioni per procedimento contro funzionaripubblici rivestiti dalla garantia, a' termini della l. 19 otto-bre 1818 (in/m, § 192: il rinvio alle disposizioni già in vi-gore per il Supremo Consiglio di cancelleria è in un altror.d. 18 ottobre 1824);

6) le dimande di naturalizzazione e quelle di cambia-mento di cognome (cfr. art. 15 l. 22 dicembre 1816);

7) l'impartizione del regio beneplacito per l'accetta-zione di donazioni, eredità o legati lasciati alle corporazioniecclesiastiche o civili (cfr. art. 20, n. l, l. cit.);

8) la regia approvazione de' contratti de' luoghi pii ec-clesiastici e laicali, come anche quella de' contratti de' comuniche avevano bisogno della regia autorizzazione, sia -per solen-nità prescritta, sia per dispensa della legge (cfr. art. 20, n. 1~L cit.);

9) le dimande per istituzione di maggiorati (artt. 946ss, ll.cc., l. 17 ottobre 1822, e r.d. 9 agosto 1824);

lO) l'esercizio della regalia del regio exequatur, i ricor-SI d'abuso in materia ecclesiastica (363), la circoscrizione

(363) L'appello o ricorso ab abuslt, secondo risulta dall'art. 3 degli arti-coli segreti del conco 1741, veniva proposto, prima di questo, ed, a quanto pare,senza che alcuna norma espressamente lo prevedesse, ai tribunali regi, da" ecoclesiastici secolari o regolari che si "dolevano di violenza, ed oppressione per

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72 L'Amministrazione centrale 465

dell'intero regno relativa all'eceleaiastica giurisdizione, e tuttigli oggetti relativi alla tutela e vigilanza governativa e disci-plinare sugli stabilimenti ed ordini religiosi (la disposizioneamplia l'art. 20, n. 11, 1. 22 dicembre 1816, che menzionavasolo l'exequatur);

11) le quistioni di precedenza fra le diverse autoritàdel regno (materia di consultazione nuova; l'ordine delleprecedenze era stato fissato con r.d. 18 maggio 1819, ma ilgran numero dei re scritti che lo concernono dimostra l'estre-ma Iitigiosità della materia) (364);

12) la circoscrizione amministrativa e giudizi aria delregno e delle sue parti (materia. di consultazione nuova; vedianche injra, § 110);

13) le quistioni di confini tra Comuni che apparteneva-no a provincie o valli diverse (art. 11 1. I" maggio 1816; vediinjra, § 169);

14) la regia approvazione degli stati discussi provin-ciali, e delle contrattazioni de' Consigli provinciali, come pure

via di fatto, da parte dei vescovi o altri superiori ecclesiastici. L'art. 3 cito di.spose che tali ricorsi fossero dai regi ministri rimessi al tribuuale misto (pre-visto dal cap. IX eonc.) c:inteso il parere del quale, prenderà poi la MaestàSua quelle risoluzioni che saranno più convenevoli per maggior servizio di Dioe per la quiete e tranquillità de' suoi popoli» (GILIBERTI, p. 281). Non pareesistessero altre norme di procedura (SCADUTO,I, pp. 177 ss.). Nel conco 1818,l'istituto non è previsto; ma l'art. 7 r.d. 14 febbraio 1827 consente il ricorsoal re dei regolari sottoposti a misure disciplinari detentive dai loro superiori.In Sicilia, l'appello ab abusu era il ricorso di terza istanza al giudice dellaregia monarchia (SCADUTO,I, p. 178; vedi anche supra, § 46).

(364) Per esempio, la Consulta generale del regno fu intesa circa il po·sto da assegnare ai funzionari dell'Amministrazione delle finanze (r. 23 magogio 1827, in PETITTI, IV, p. 171); sulla precedenza spettante al 1" eletto sul 2"eletto (r. lO gennaio 1826, ivi, p. 138); su quella dei Consigli di guerra diguarnigione (r. 13 aprile 1828 e 9 gennaio 1829, ivi, pp. 195 e 207); sul postoin chiesa dei direttori del Genio e d'Artiglieria, e dei sottoispettori di Gen.darmeria (r. 20 marzo 1829, ivi, p. 210); sulla precedenza rispettiva tra diret-tori de' dazi indiretti, e de' dazi diretti (r. 28 marzo 1829, ivi, p. 211), etc.

30. LANDI. 1.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 72466

degli stati discussi comunali, la cui approvazione era per leggeriservata al re, e quella de' dazi comunali e della tariffa dieSSI (cfr. art. 20, n. 2, 3, 4, 1. 22 dicembre 1816);

15) l'impartizione del regio beneplacito nello stabili-me-nto dei corpi e società religiose e civili, qualunque fossel'oggetto della loro istituzione, e l'approvazione delle regolecostitutive ed amministrative così degli stabilimenti novelli,come di quelli legittimamente esistenti (art. 15 L cit.);

16) l'approvazione degli stati discussi e delle contratta-zioni degli stabilimenti di pubblica beneficenza, che avevanobisogno della regia autorizzazione perchè considerati comesezioni dei Comuni (in/ra, §§ 128 e 170);

17) la concessione del regio beneplacito per la celebra-zione delle fiere e dei mercati (cfr. art. 20, n. 9, L cit.), e laconcessione delle privative e delle patenti d'invenzione e diperfezione in qualsiasi genere d'industria (materia di con-sultazione nuova: r.d. 2 marzo 1810, per i brevetti industria-li, e r.d. 5 febbraio 1828, e 20 marzo 1829, per la proprietàletteraria) ;

18) ed in generale gli affari appartenenti a' ministeridi Stato, pei quali il sovrano avesse giudicato necessario chela sua decisione fosse preceduta e rischiarata da una più este-sa e matura discussione (cfr. art. 20, n. 12, L cit.).

Nel raffronto con la legge istitutiva del Supremo Consigliodi cancelleria, è da notare che, salvo per gli affari di guerrae marina, ed esteri, rimessi tassativamente alla Commessionemista in sede riferente o deliberante, oppure alla Consultagenerale (artt. 19 e 20 L 14 giugno 1824), non v'erano altriaffari che per materia fossero attribuiti alla Consulta genera-le, e la ripartizione tra le due Consulte era fatta secondo uncriterio meramente territoriale, salva la rimessione alla Consul-

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ta generale degli affari che, secondo l'apprezzamento del pre-sidente, fossero d'interesse comune delle due parti del regno.

L'interesse dell'atto sovrano 18 gennaio 1848 non consistesoltanto nell'avere aggiunto all'elenco della legge istitutivadelle Consulte alcune materie, ma d'avere dichiarato «neces-sario» il parere sopra tutti i progetti di leggi e regolamentigenerali, e sulle altre materie ivi menzionate, prescrivendo(art. l, n. 6): «sugli affari qui annunziati i ministri a porta-foglio non potranno portare a noi proposizioni in Consigliosenza aver prima sentito il parere della Consulta ». Si intro-duce in questo modo, nella legislazione del regno, il concettoformale del parere «necessario », cioè « obbligatorio », con-cretantesi nel dovere dei ministri, di non sottoporre in Con-siglio di Stato alle sovrane risoluzioni affari non esaminatipreventivamente in Consulta, ed in un impegno del re di nondecidere (quanto meno, in via normale: supra, § 68) senzaaccertare tale adempimento.

Le materie in questione (art. l atto sovrano cit.) eranole seguenti:

l) i progetti di leggi e regolamenti generali;2) gli stati discussi generali delle reali tesorerie dei

domini di qua e di là del Faro, gli stati discussi provinciali,e quelli comunali riservati per legge alla regia approvazione,le imposizioni de' dazi comunali, e le tariffe di essi;

3) l'amministrazione ed autorizzazione del debito pub-blico;

4) i trattati di commercio e le tariffe doganali;5) i voti emessi dai Consigli provinciali ai termini del-

l'art. 30 1. 12 dicembre 1816 (infra, § 101).

L'atto sovrano 27 settembre 1849, istitutivo della Con-sulta ne' reali domini oltre il Faro, contiene (art. 2) una enu-merazione di materie che in gran parte concidono con quelle

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 72468

della l. 14 giugno 1824, e dell'atto sovrano 18 gennaio 1848.È previsto il parere della Consulta sui conflitti giurisdizionalitra le curie ecclesiastiche ed i tribunali laicali, la cui uti-lità era stata ravvisata, probabilmente, in ragione del partico-lare ordinamento vigente in Sicilia (supra, § 46). La Consultasicula esprimeva parere sulle leggi e regolamenti generali,quando erano comuni alle due parti del regno (nel qual caso,era sentita anche la Consulta di Napoli), o quando erano spe-ciali per l'isola. Non è invece previsto il parere sullo stato di-scusso della reale tesoreria, sul debito pubblico, e sui trattatidi commercio e tariffe doganali. L'art. 2, n. 19, prevede tutta-via come l'art. 15, n. 18, l. 14 giugno 1824, che la Consulta pos-sa essere interpellata su qualsiasi altro affare meritevole di«più estesa e matura discussione ».

Presso la Consulta generale era stato costituito, come inprecedenza presso il Supremo Consiglio di "cancelleria, e conanaloghe funzioni (supra, § 68), l'ufficio del regio exequatursulle carte di Roma, affidato a due consultori, uno per ciascu-na Consulta, con la corrispondente competenza territoriale(r.d. 9 agosto 1824). In seguito, con r.d. 17 luglio 1833,l'ufficio del regio exequatur, per gli affari concernenti i realidomini di là del Faro, fu trasferito in Palermo, e vi fu prepo-sto un magistrato; divenne poi una dipendenza della Consultasiciliana.

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CAPITOLO III.

IL REALE ESERCITO E LA REAL MARINA

I. L'ORDINAMENTO

73. Dalla conquista di Carlo di Borbone all'invW)ionefrancese del 1799. - Il nucleo primigenio dell'esercito del re-gno delle Due Sicilie fu costituito da quegli elementi del corpodi spedizione, inviato da Filippo V alla conquista del regnoper Carlo di Borbone (l), che rimasero al servizio di Napolidopo la vittoria (2). Come tutti gli eserciti del secolo XVIII,era costituito da volontari di varia nazionalità (3), tra i qualinon molti erano gli italiani, e solo parte di questi erano sud-diti del regno (4). Da queste truppe fu tratto il corpo napo-letano di 12.000 uomini, che, sotto gli ordini di Francescod'Evoli, duca di Castropignano, cooperò in Romagna, durantela guerra per la successione d'Austria, col corpo di spedizionespagnuolo comandato prima dal duca di Montemar, e poi dalconte di Gages. Fu campagna breve (dicembre 1741-settem-bre 1742), e non felice, per errori dei comandanti spagnuoli,

(I) SCHIPA, I, p. 329. li corpo di spedizione era salito, progressivamente,fino a 40 mila uomini, dei quali circa 18 mila rimasero nel regno.

(2) Il nuovo esercito contava circa 32 mila uomini: SCHIPA, I, pp. 330 S8.

(3) Talchè l'esercito, sino all'inizio del secolo XIX, era per lo più com-posto «dei discendenti di spagnuoli, valloni, irlandesi, italiani, svizzeri, alba-nesi, venuti con Carlo, che si maritavano fra loro, formando per coaì dire unatribù nomade senza suolo nè patria s (BUNCH, a), p. 23).

(4) SCHIPA, I, p. 330; ARGIOLAS, pp. 14. 58.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 73470

e per vicende politiche (5); ma meritevole di ricordo, dacchèper la prima volta fu vista la bandiera del regno delle Due Si.cilie sui campi di battaglia d'Europa.

Poichè la minaccia austriaca si avvicinava ai confini delregno, le cure del governo si rivolsero a rafforzare l'eser-cito, che assunse un più deciso carattere nazionale. Con dispac-cio 28 gennaio 1743, fu disposta l'istituzione di 12 reggimen-ti provinciali (detti poi sempre nazionali), e con altro, del25 novembre 1743, furono approvate le relative «ordinanzeper la formazione, regolamento, servigio, sussistenza e disci-plina » (6). Cinque reggimenti nazionali parteciparono allacampagna, che si concluse con la vittoria di Velletri (Il ago-sto 1744), e se è probabile che l'organizzazione precipito-sa, e la mancanza d'un adeguato addestramento, abbiamo de-terminato qualche incidente o inconveniente (7), viene ricor-data la brillante prova del reggimento «Terra di Lavoro »,comandato dal colonnello principe della Riccia, che vi rima-se ferito (8). L'istituzione dei reggimenti nazionali, comeè detto all'art. 5 della 1. dichiarativa de' vari gradi di no-biltà, 25 gennaio 1756, aveva avuto anche lo scopo di « isti-molare la nobiltà di questo regno alla gloriosa carriera dellearmi », e perciò dovevano «essere precisamente della primaclasse, ossia della chiara e generosa nobiltà, tutti coloro, liquali ne' reggimenti provinciali, ossiano nazionali, aspiranoa servire da cadetti, in riguardo a che per costituzione dellimedesimi corpi hanno da essere li capitani e alfieri della no-biltà generosa ». Questo esercito osservava le ordinanze di

(5) COLLETTA, a}, II, pp. 136 68.; SCHIPA, I, pp. 346 56.; 360 56.

(6) D'AYALA, a), p. 172; SCHIPA, I, pp. 372·373.(7) SCHIPA, I, p. 380.(8) D'AvALA, a), p. 664; SCHIPA, I, p. 386.

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73 Il R. Esercito e la R. Marina 471

Spagna del 1728 (9); ma, agli inizi del regno di FerdinandoIV, fu inviata una missione militare in Prussia, « per mettersial fatto della immegliata scienza di guerra, e delle ordinanze,che avean cangiato la faccia del guerreggiare per opera dellastupenda mente di Federico» (lO), ed al suo ritorno (versoil 1761) furono «surrogati ... alle forme ed agli armeggia-menti ispanici, del tutto i prussiani », secondo la moda deltempo (11).

Malgrado ciò, i primi anni del regno di Ferdinando IVsono, sostanzialmente, un periodo in cui ad una notevole fio-ritura civile si accompagna un' evidente decadenza milita-re (12), alimentata dal pacifismo toscano di Bernardo Tanuc-ci (13), pur se non tanto disastrosa come taluno vorrebbe,perchè, comunque, vi fu qualche utile iniziativa (14). Di que-ste, la più notevole è il riordinamento degli istituti militarid'istruzione, per il reclutamento degli ufficiali cui provvedeva-

(9) La Corte di Spagna impose l'osservanza delle medesime (SCHIPA,I,p. 330); il che si fece in modo tanto pedissequo, che ancor nel 1778 gli statidi servizio degli ufficiali erano redatti bensì in lingua italiana, ma su moduliin cui le indicazioni a stampa erano spagnuole: tale, per esempio, quello com-pilato al 31 dicembre di quell'anno per il tenente Antonio Landi, del reg-gimento di fanteria nazionale del Sannio (ASN, sez. militare, libretti di vitae costumi, l" serie, v. 875, f. 25).

(10) D'AYALA,a), p. 571.(11) D'AYALA,a), loc. cito(12) I 15 reggimenti di fanteria nazionale, che portavano i nomi delle 12

provincie di qua del Faro e delle 3 valli maggiori di là del Faro, furono,nel 1765, ridotti ad otto, e tali rimasero fino al 1797: Real Campania, Puglia,Lucania, Sannio, Messapia, Calabria, Agrigento, Siracusa.

(13) La goffa massima di Bernardo Tanucci è riportata da vari scrittoriin modo un po' diverso, anche se sostanzialmente identico: «Principoni, eser-citi e cannoni; principini, ville e casini» (D'AYALA,a), p. 58); «principoni, spa-de e cannoni, principini, ville e casini» (CALÀULLOA,b), p. 21) etc.; restandopur sempre vero, come dice D'AYALA,a), loc. cit., che non era un principotto co-lui il quale governava le Sicilie, e che, come dice Cuoco, p. 42, nemmeno i prin-cipini sono dispensati dalla cura della propria difesa.

(14) CORTESEN. in COLLETTA,a), I, p. 230.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 73472

no alcune scuole fondate da Carlo di Borbone (15). Conl'ordinanza 26 dicembre 1769, fu organizzata la reale accade-mia militare per gli ufficiali d'artiglieria e del genio, e, fonden-dosi poi con essa il battaglione Real Ferdinando, destinatoalla preparazione degli ufficiali di fanteria e cavalleria (fonda-to nel 1772), nacque (18 novembre 1787) il real collegio mili-tare, detto della Nunziatella dall''edifizio, espropriato allaCampagnia di Gesù, dove ebbe sede (16). Vi si trova ancora,col nome di Scuola militare «Nunziatella », l'unico ente del-l'esercito borbonico delle Due Sicilie che sia sopravvissuto,con funzioni non troppo diverse dalle originarie (17).

Un notevole impulso all'esercito ed alla marina venneinvece con la nomina di Giovanni Acton a direttore del Mi-nistero della marina (31 dicembre 1778), e poi anche delMinistero della guerra (4 giugno 1780). Questa personalità,che doveva dominare la politica del regno per un quarto disecolo, unendo infine ai ministeri militari quello degli affariesteri (dal 17 luglio 1789 al 12 maggio 1804, allorchè uscìdefinitivamente dalla vita pubblica), impresse, checchè se nedica, ed ancorchè i suoi sforzi non fossero coronati dal succes-so (18), un affiato di modernità alle istituzioni militari del

(5) FERRARELLI,pp. 12 ss.(16) FERRARELLI,pp. 18 ss.(17) Nel 1972, fu curata dal Banco di Napoli, in occasione del 3° raduno

degli ex-allievi della Nunziatella, una ristampa anastatica del Nuovo piano dieducazione pel Real Collegio alla Nunziatella e della Ordinanza per la RegalAccademia militare. La Scuola militare e Nunziatella a ha oggi lo scopo di pre-parare i futuri allievi delle Accademie militari (d.P.R. 20 giugno 1956, n. 950,modificato dai d.P.R. 4 gennaio 1968, n. 678 e lO maggio 1972, n. 971).

(18) Sui brillanti inizi della carriera di Giovanni Acton, COLLETTA,a),

I, pp. 234-235; sulle sue riforme, ìvi, pp. 236-241, ed ARGIOLAS,pp. 17 88.; sulsuo tramonto, COLLETTA,a), II, pp. 176·177; BLANCH,a), pp. 119 55.; b), p. 12;CALÀULLOA,c), pp. 162-163 e 177-181. La storiografia italiana non simpatizza,di regola, con la detta personalità, cui addebita un eccessivo favore per glistranieri, accompagnato da diffidenza e dispregio per i nazionali, e cui muove

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73 Il R. Esercito e la R. Marina 473

regno. L'esercito, ridotto da 30.000 a circa 15.000 UOmInI,fu riportato al numero di 24.000 (19). Più ancora, furonoaccolti come istruttori alcuni ufficiali e sottufficiali svizzerie francesi, le cui alte qualità furono confermate dai successivisviluppi di carriera (20). Il 17 ottobre 1782 furono emanate leleggi della milizia provinciale e fu stabilita la circoscrizioneterritoriale del regno di Napoli (21).

In conclusione, malgrado certe deficienze qualitative spie-gabili con la lunga trascuratezza (22), l'esercito regio si pre-sentava come un adeguato .strumento di guerra, allorchègli avvenimenti di Francia sospinsero il regno a schierarsisenza riserva nel campo delle monarchie collegate. Nel settem-

torto d'avere collaborato strettamente con Maria Carolina nella politica anti-francese, conclusa con la sanguinosa reazione del 1799 (v., per esempio, Cuoco,pp. 17.18, 37 S8.; CROCE,c), p. 24). Ma questo inglese cattolico, nato in esilio(Besançon, 1736 . Palermo, 1811), la cui carriera (nella marina francese e to-scana, prima che in Napoli) dovevasi soltanto alla sua intelligenza e capacità,era un déraciné (il che parrebbe avere conferma da certe crisi di sconforto,cui accenna COLLETTA,a), I, p. 238), ed era abbastanza naturale solidarizzassepiù con la dinastia che con la nazione. Quando, nel conflitto determinatosicon l'ambasciatore francese Alquier, la sua presenza nel governo era divenutapericolosa, insistette perchè fossero accettate le sue dimissioni, «felice di ve-dersi sacrificato per salvare il suo re e il paese» (CALÀ ULLOA, c), p. 181).Vedi, sulla vita e sull'opera di sir John Edward Acton, ACTON, a), pp. 199 88.,

passim.(19) Cuoco, p. 39; COLLETTA,a), I, pp. 239 e 268.(20) L'istruzione della fanteria fu affidata al barone Sali s, svizzero de'

Grigioni, col titolo d'ispettore generale di tutta la truppa, che aveva seco ilcapitano Emanuele de Bourcard, anch'egli svizzero al servizio di Francia, chepervenne, nel 1815, al grado di capitan generale dell'esercito di Sicilia; quelladell'artiglieria al brigadiere Francesco Renato de Pommereul; del genio, al-l'ingegnere militare du Portai!; della cavalleria al brigadiere Oreil, tutti franocesi; e della missione francese facevano parte il Lenente Giambattista Eblé, poigenerale comandante dell'artiglieria francese nella campagna del 1812, dove Ia-sciò la vita; ed il sergente Pietro Augerau, poi maresciallo di Francia e ducadi Castiglione (COLLETTA,a), I, pp. 239.240; D'AYALA,a), pp. 28·29 e 374·375).

(21) ARGIOLAS,pp. 23·24.(22) COLLETTA,a), I, pp. 239·240 e 267·268.

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474 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 73

hre 1793, una squadra navale napoletana, ed un corpo di spe-dizione di 6.000 uomini, parteciparono, con le forze inglesie spagnuole, all'assedio di Tolone, e condivisero con esseil finale disastro di quell'impresa (23). Nel luglio 1794, mos-sero per la Lombardia i primi due reggimenti del corpo di ca-valleria comandato dal maresciallo di campo Alessandro Fi-langieri, principe di Cutò, che, accresciuto poi d'altri due reg-gimenti, partecipò con onore alle operazioni di guerra del-l'esercito austriaco negli anni 1795 e 1796 (24) meritando dalgenerale Buonaparte il soprannome di «diavoli bianchi »,per la foga e per il colore del mantello (25).

Volgendo poi le vicende militari in Lombardia non favo-revoli per la coalizione, si reclutarono, alquanto tumultuaria-mente, altre truppe per la difesa delle frontiere del regno (26),nelle quali si ebbe troppa fidanza, allorchè, invaso dai fran-cesi lo Stato pontificio, e da essi deportato il papa Pio VI, fudecisa invece un'azione offensiva, per restituire alla Santa Se-de le terre usurpate e ribellate (27). È noto che l'errore fonda-mentale fu d'affidare il comando, col grado di capitan gene-rale, all'austriaco barone Karl Mack von Leiberich, il qualenon era forse quel mostro d'incapacità che la tradizione, na-poletana e non napoletana, ritiene (28) ma che era certamen-

(23) COLLETTA,a), I, pp. 298 58.

(24) COLLETTA,a), I, pp. 302 e 333; D'AvALA,a), pp. 243 88., 574 58.

(25) BATTAGLINI,b), pp. 14-15; ARGIOLAs,p. 26; D'AYALA,a), p. 94; non-chè p. 249, dove narra che, in ottobre 1796, Napoleone Bonaparte, trovandosiin Brescia, invitò a mensa il brigadiere napoletano Prospero Ruiz de Cara-vantes, e gli disse: c Generale, mi sono bene avveduto che tra' nostri nemicimancava la vostra buona e bella cavalleria, poichè la vittoria ci è stata menocontrastata» .

(26) COLLETTA,a), I, pp. 331 55., 337 88.

(27) COLLETTA,a), I, pp. 356 85.

(28) I giudizi degli scrittori napoletani sono unanimente negativi: BLANCH,a), pp. 377·378; COLLETTA,a), I, pp. 368 58.; PIGNATELLIDI STRONGOLI,a), pp. 23S8.; b), pp. LXXXVIII 58. Anche Nelson aveva giudicato che il gen. Mack non

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73 Il R. Esercito e la R. Marina 475

te perseguitato da una singolare malasorte, e che fu per lomeno di un'estrema leggerezza se, giunto in Napoli il 9 otto-bre 1798, si fece fautore di un'offensiva (29), iniziata quandonulla poteva bene conoscere degli uomini con cui operava edel terreno su cui operava. Tale azione mal concepita, dopol'effimera riconquista di Roma (27 novembre 1798), si con-cluse con una madornale disfatta, col trasferimento del re,della real famiglia e del governo in Sicilia (25 dicembre 1798),e con la proclamazione della repubblica napoletana (22 gen-naio 1799) (30), donde infiniti guai. L'esercito, con tantaspesa e con tanta speranza formato, si sbandò, e fu questa laprima crisi militare (ma più ancora politica) nella storia delregno.

Parallela è la vicenda della real manna, tra il 1734 ed il1799.

La marina del regno, pur insigne per la gloria di Lepanto,era, alla venuta di Carlo di Borbone, pressocchè inesistente,

avesse esperienza di mestiere (ACTON,a), p. 341). A quanto pare, il gran ere-dito di cui godeva, e che gli permise, malgrado l'insuccesso del 1798, di per-venire ad un altissimo comando nell'esercito austriaco (ma la sua carrierafinÌ il 20 ottobre 1805 con la capitolazione di Ulma) derivava dalla vasta eru-dizione: era «un generale da brillare in un gabinetto» (Cuoco, p. 64), cioèun teorico, che comunicava male con i suoi sottoposti, e sul terreno facilmentesi disorientava.

(29) COLLETTA,a), I, pp. 358·359.(30) Il gen. Mack, perseguendo un piano esclusivamente offensivo, era

entrato nello Stato pontificio «a modo barbaro, senza base d'operazioni •.. tra-sandando il restauro delle fortezze, le opere militari nell'interno, tutte le artiche l'ingegno o almeno le pratiche suggeriscono»; dimodocchè risultarono in-concludenti le tardive misure di difesa. Bisogna tuttavia dargli atto che al-cuni comandanti di .fortezze capitolarono precipitosamente, e che nessuna effì-cace cooperazione ebbe, dopo la partenza del re, dal vicario Francesco Pigna.telli di Strongoli (COLLETTA,a), I, pp. 372 ss.). Mi piace ricordare che dellafortezza di Capua, nna delle poche che opponesse resistenza ai francesi, eraaiutante maggiore il mio trisavolo D. Antonio Landi, capitano del reggimentonazionale «Sannio» (D'AYAu, a), pp. 232.233).

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 73476

anche perchè delle poche navi che si trovavano neÌ porto diNapoli la migliore unità, cioè il vascello «San Luigi », fuautoaffondato, e le quattro galere furono dal vice-ammiraglioaustriaco, marchese Giovan-Luca Pallavicini, tratte in salvo,e rimasero alla marina imperiale (31). Capitan generale dellegalere, per Carlo di Borbone, fu lo spagnuolo Michele Reg-gio, che attuò un certo programma di costruzioni navali, tal-chè nell'ultimo anno, 1759, del regno di Carlo, la marina na-poletana aveva due vascelli (« San Filippo» e «San Carlo »)rispettivamente da 64 e 60 cannoni; due fregate (« Concezio-ne» e «S. Amalia») da 30 cannoni, e sei sciabecchi da 20cannoni (32). Per la formazione degli ufficiali di marina, condispaccio 5 dicembre 1735, fu creata l'accademia dei guardia-stendardi (« guardias estendartes de las galeras»), prima inNapoli, e poi in Portici (33).

Devesi a Giovanni Acton la ricostruzione della marina,per cui, alla vigilia della non felice impresa di Tolone, essacontava due vascelli da 50 cannoni (« San Giovanni» e « SanGioacchino ») acquistati dall'Ordine di Malta, e due fregateda 36 cannoni (« Santa Dorotea» e «Santa Chiara ») acqui-state in Spagna; ma, quel che più conta, erano stati costruitinei cantieri del regno, e con legname delle foreste del regno,sei vascelli da 74 cannoni (« Partenope », «Ruggiero », «Tan-credi », «Sannita », «Guiscardo », «Archimede »), e sei fre-gate da 40 cannoni (« Minerva », « Cerere », « Sibilla », « Pal-lade », «Santa Teresa », «Sirena »), oltre le minori uni-tà (34). La marina napoletana partecipò all'assedio di Tolone

(31) SCHIPA,I, pp. 100 e 334·335.(32) SCHIPA,I,. pp. 335 88.

(33) D'AULA, a), p. 583.(34) D'AYALA,a), p. 585. Riconosce CROCE,a), p. 206, che la marina na-

poletana «fu veramente creata dall'Acton... E quella marina, una delle piùcospicue del Mediterraneo, richiamava l'attenzione delle potenze europee, te-

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con una divisione navale (3 vascelli, 3 fregate, 2 corvette) sottoil comando del retroammiraglio Bartolomeo Forteguerri (35),e continuò a partecipare ad operazioni di guerra fino al1798 (36). In quel dicembre infausto, la maggior parte diquesta imponente forza navale fu votata all'auto distruzione,perchè non cadesse in mano francese (37).

-74. Dal ritorno di Ferdinando IV all'invasione francese

del 1806. - Gli avvenimenti del 1798-1799 ebbero per leforze armate (e per la monarchia borbonica) un'incidenza po-litica, che si palesò irrecuperabile sino alla finale crisi delregno.

Trasferitasi la Corte in Sicilia, la maggior parte dell'eser-cito e della marina si dissolse. La partenza precipitosa, el'insufficienza dei mezzi di trasporto, non consentirono di con-durre truppe in Sicilia, dove il re fu seguito da pochi ufficia-li (38), e poteva disporre solo dei modesti presidi rimasti nel-l'isola per i servizi territoriali.

Un certo numero d'ufficiali, più o meno guadagnati primad'allora ad idee nuove, o che l'inettitudine del comando sottocui erano stati fatti combattere aveva disgustato, aderironoalla repubblica napoletana, e, tra la visionaria incompetenza

nuta d'occhio particolarmente dall'Inghilterra ». È molto opinabile la criticadi Cuoco, pp. 38·39, secondo cui questa marina era «troppo piccola per farcidel bene, troppo grande per farci del male... Senza marina saremmo rimasti inuna pace profonda ». È una variante della massima di Tanucci, che lo stessoCuoco, p. 42, ha criticato (supra, nota 13).

(35) Ne scrisse la vita D'AULA,a), pp. 253 ss.(36) D'AULA, a), p. 270.(37) COLLETTA,a), I, 392·393; Cuoco, p. 71. Le navi concentrate nel porto

di Napoli si trovavano in gravi difficoltà, a causa delle massicce diserzioni degliuomini d'equipaggio; probabilmente una parte, malgrado ciò, avrebbe potutoessere inviata in Sicilia, così come era intendimento dell'ammiraglio Nelson(PIERI, b).

(38) D'AULA, a), p. 31.

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dei nuovi governanti, e la diffidente ostilità dei francesi, ten-tarono di comporre esercito e marina repubblicani (39). Chiu-sa infelicemente (20 giugno 1799) la breve stagione della re-pubblica, questi ufficiali furono trattati con estremo rigo-re (40). Non v'è dubbio che essi avessero mancato al giuramen-to, portando le armi contro il loro re e contro i suoi alleati (41);

(39) La OEFONSECAPIMENTEL,p. 56, si estasia perchè «è incredibile l'arodore col quale la nostra gioventù non solo, ma l'età provetta di ogni profes-sione e delle classi anche già più distinte, si presta alla formazione, ed al ser-vigio della Truppa nazionale s , ed addita all'ammirazione la già formata (2marzo 1799) e gendarmeria, tutta briosa e costumata gioventù s , L'entusiasta esventurata gentildonna era una visionaria: esercito e guardia nazionale, salvoqualche reparto di sinceri «patrioti» (la qual denominazione dimostra quantosia per converso relativa !'infamante denominazione di e collaboraelonìsta »I fu-rono accolite d'uomini eterogenei, mal rabberciate (Cuoco, pp_ 126 ss.}; e glioccupanti francesi, anche per disonestà di singoli individui, non solo non aiu-tarono il governo della repubblica, ma anzi gli crearono gravissime difficoltà(PIGNATELLIDI STRONGOLI,b), pp. XCVIII ss.),

(40) La più illustre di tali vittime fu il brigadiere di marina FrancescoCaracciolo di Brienza (recente biografia di PORCARO).Condannati a morte e giu-stiziati furono anche Gabriele Manthoné, capitano d'artiglieria nell'esercito regioe ministro della guerra della repubblica; Oronzo Massa, maggiore d'artiglieria,generale della repubblica; Francesco Federici, brigadiere di cavalleria, promossodalla repubblica generale di divisione, col disperato incarico di formare trereggimenti di cavalleria. Le loro vite sono narrate dal O'AYALA,a), pp. 297 ss.,439 ss., 569 ss. Altri ufficiali, come Francesco Pignatelli di Strongoli, France-sco Costanzo, Francesco Giulietti, etc., emigrarono, presero servizio nell'eser-cito della repubblica italiana, e furono riammessi nell'esercito napoletano daGiuseppe Bonaparte. Altri ancora cancellati dai ruoli, come Matteo Correale(o'AYALA,a), p. 79) o Pietro Colletta, tornarono parimenti in servizio dal 1806.

(41) Non si può inoltre sottacere che, secondo PIGNATELLIDI STRONGOLI,b), pp. LXXXVIII e XCI-XCII, Massa e Manthoné, l'uno e l'altro addetti alloStato maggiore del gen. Mack, non mancarono di e entraver ses mesures detous (Ieurs) moyens », e che Manthoné gli aveva confidato e qu'il avait inter-cepté le premier ordre de retraite que Mack expédiait' à Damas », rendendocosÌ «un grand service aux républicains ». Questi episodi di sabotaggio, severi, offuscano alquanto la figura morale dei ricordati ufficiali, ed attenuano(salvo che per l'avere riposta la propria fiducia in persone politicamente svia-te) la responsabilità del gen. Mack. Altri sospetti si chiarirono, invece, prividi fondamento, come quelli che, in Sicilia, portarono all'arresto del brigadiereJauch, poi riconosciuto innocente (BLANCH,a), p. 71)_

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senza però che occorra ripetere qui fatti notissimi, la mala fe-de del comandante francese, che li abbandonò alla giustiziadel re; la sconfessione, imposta dall'ammiraglio Nelson, del-la capitolazione negoziata dal cardinale Ruffo; la procedura ap-prossimativa e brutale con cui i magistrati siciliani investiti dipoteri straordinari dimostrarono forse più l'odio insulare chela fedeltà al sovrano; ed anche la notorietà ed i pregressi me-riti dei detti ufficiali, conferirono loro un crisma di martiridella patria e della libertà, largamente sfruttato dalla pubbli-cistica antiborbonica. Il precedente fu quanto mai perico-loso (42).

Dall'altra parte, già mentre consumavasi la disgregazionedell'esercito regolare, buon numero di militari sbandati con-fluirono, insieme ad elementi non militari, nelle bande di par-tigiani borbonici (43), che formarono poi l'esercito della San-ta Fede sotto il comando del cardinale Fabrizio Ruffo, nomina-to vicario del regno il 25 gennaio 1799, e sbarcato in Ca-labria ai primi di febbraio, per recuperare tutto il regno inuna campagna di men che cinque mesi (44). Questa spe-dizione meriterebbe migliore apprezzamento, se, più ancoradella causa perseguita dal suo condottiero, ed ovviamente hon-

(42) È indice del liheralismo che ispirò, fin verso il 1848, il regno diFerdinando II, che le biografie degli ufficiali menzionati alla nota (40) sianostate pubblicate in Napoli da Mariano d'Ayala nel 1843.

(43) Entravano nelle bande «i dàlmati (truppa estera), gli armigeri ba-ronali, le squadre delle udienze, e que' tanti che vivevano di stipendi d'aromi s (COLLETTA,a), II, p. 34), «tutti i soldati veterani che il nuovo ordine dicose aveva lasciato senza pane» (Cuoco, p. 143).

(44) La personalità di Fabrizio Ruffo di Baranello, quale è presentatada un liberale, il BI.ANCH,a), pp. 82 ss., pare interessante, cavalleresca e sìm-patica, ben più di quanto di regola risulti dalla storiografia risorgimentale.Delle vicende della spedizione, trattano tutti gli storici del regno. TI lavorocontemporaneo del padre CIMBALOè in sostanza una lunga predica, senza ìme-resse per i problemi militari e pofitico-amminiatrativi.

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nie dalla pubblicistica liberale; non l'avessero resa malfamatale crudeltà e gli eccessi inevitabili in tali movimenti di massa.La repubblica napoletana fu disfatta; ma non senza alcunespiacevoli e durature conseguenze.

La prima fu l'ammissione come ufficiali nell'esercito d'uncerto numero di «capi-massa» (45): individui di sperimen-tato coraggio e fedeltà, ma privi di coltura professionale, e ta-lora di bassa origine e di non illibati precedenti (46).

La seconda fu che la folgorante vittoria del porporato guer-riero, non adeguatamente valutata nel quadro delle circostan-ze che l'avevano consentita, introdusse in taluni ambienti diCorte e di Chiesa, influenti ancora fino al 1861, la fiducia inuna virtù taumaturgica dell'insurrezione popolare e dell'impe-to delle «masse », per domare le rivolte interne e respingerele straniere invasioni. L'illusione, fallita nel 1806, balenò an-cora nel 1860, e, nell'un tempo e nell'altro, dopo qualcheiniziale affermazione degenerò in fenomeni di brigantaggiosanguinosamente repressi.

(45) Tra costoro, levatura superiore a tutti gli altri, per carattere e qua-lità militari, ebbe Vito Nunziante (Campagna 1775· Torre Annunziata 1836),poi marchese di S. Ferdinando (1816) e tenente generale (1819), insignito d'al-tissime cariche: ne scrisse la biografia D'AuLA, pp. 473 55., ed era ben Iungidall'essere c:un tal Nunziante », che da sottufficiale aveva carpito il grado dicolonnello, come sprezzantemente si esprime COLLETTA,a), Il, p. 131. Ugualprovenienza aveva il maresciallo di campo Giuseppe Pronio, che nel 184849si distinse quale comandante della cittadella di Messina, e comandante dellala divisione del corpo d'esercito del ten. gen. Carlo Filangieri.

(46) Il più noto di costoro, è Michele Pezza, detto Fra Diavolo (Itri1771 • Napoli 1806), che ebbe grado di colonnello. Va tuttavia rilevato che ilreal governo, indulgente con coloro che, detenuti o contumaci, si erano aroruolati nell'esercito oppure avean combattuto nelle masse della Santa Fedeapprofittando di proclamate misure di clemenza, non lo fu con chi aveva mae-chiato la sua partecipazione alla guerriglia con atrocità gratuite e reati co-muni, dimodocchè il famigerato Gaetano Mammone di Sora morì in carcerenel 1802 (COllETTA, a), II, p. 35 e CORTESEN. in COLLETTA,a), II, p. 129).

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Dopo la caduta della repubblica napoletana, comunque, fupossibile al maresciallo di campo Emanuele de Bourcard, cheaveva condotto in Napoli dalla Sicilia un corpo di truppe re-gie, riorganizzare in qualche modo l'esercito, e rioccupare Ro-ma, dove lo raggiunse, alla fine del 1799, la promozione atenente generale. Participarono a questa spedizione alcuni reg-gimenti siciliani (granatieri «Valdimazzara» e «Valdemo-ne », cavalleria «Valdimazzara »), alcuni reggimenti di nuovaformazione (fanteria «Real Ferdinando» e «Real Sanniti »,«dragoni leggeri », cavalleria L" e 20 «Real Carolina »), edanche reparti formati con le truppe della «Santa Fede »,quale il reggimento «Montefusco », comandato da Vito Nun-ziante (47).

L'occupazione napoletana di Roma si protrasse fino al -22giugno 1800, sostituito, alla fine del 1799, al gen. de Bourcardil ten. gen. Diego Naselli d'Aragona (48). Nel medesimo tem-po, un corpo di spedizione napoletano partecipava a fianco de-gli inglesi all'assedio di Malta, il cui presidio francese capito-lò il 2 giugno 1800, senza vantaggio alcuno per il regno, dac-chè gli inglesi tennero allora e poi I'isola per sè (49).

Maturava frattanto la temeraria decisione di rinnovare laguerra offensiva contro la Francia. Per tal fine, fu organizza-to (dispaccio lO marzo 1800) un esercito di campagna dicirca 30.000 uomini (12 reggimenti di fanteria, sei battaglionicacciatori, due battaglioni granatieri della guardia, sei reggi-menti di cavalleria, 176 pezzi d'artiglieria da campagna), accre-sciuto (dispaccio 16 luglio 1800) da oltre 60 mila uomini dimilizie provinciali, formanti 46 reggimenti di fanteria, e 16 di

(47) D'AULA, a), pp. 31 55., 476477; ARGIOLAS, pp. 32 55.

(48) COLLETTA, al, Il, p. 156; D'AYALA, a), p. 33.(49) COLLETTA, a), Il, pp. 157·158.

31. LANDI· L

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cavalleria (50). Queste truppe mossero in mal punto, perchègli austriaci, battuti a Marengo il 14 giugno 1800, avevan po-sto fine alle operazioni di guerra, stipulando a Steyer unarmistizio il 25 dicembre dell'anno stesso. Una colonna dicirca settemila uomini dell'esercito di Napoli sotto il coman-do del tenente generale conte Roger de Damas entrò il 14gennaio 1801 in territorio toscano, e si impadronì di Siena.Ma contrattaccata dai francesi, ripiegò, sotto la protezione della propria cavalleria ed artiglieria, fino a Roma (51). All'armi-stizio di Foligno (18 febbraio 1801) seguì la pace di Firenze(26 marzo 1801), con cui, tra le altre clausole, fu impostal'occupazione militare francese del territorio tra il Tronto edil Bradano (52), che durò fino alla conclusione del trattatod'Amiens (25 marzo 1802).

Fu breve sollievo. Rotta la breve pace d'Amiens (17 mag-gio 1803) le truppe francesi ritornarono nel regno (giugno1803), negli stessi paesi già occupati. Seguirono due anni diperplessità e d'angosce, nei quali il regno si dibattè tra internied esterni intrighi e pericoli, finchè lo sbarco di forze russe edinglesi nel porto di Napoli (20 novembre 1805), palesando,o forzando, l'entrata del regno nella terza coalizione, rese ine-vitabile la guerra contro la Francia, che nell'anno di Ulma edi Austerliz era all'apogeo della potenza imperiale (53).

È facile intendere come un paese sottoposto a stretta vigi-lanza da un'ostile potenza occupante, e costretto a sostenerele incontrollabili spese di· tale occupazione (54), non poteva

(50) COLLETTA, a), II, p. ]47; BLANCH, a), I, pp. 22·25.(51) COLLETTA, a), Il, pp. 162·163.(52) COLLETTA, a), II, p. 166.(53) BLANCH, a), I, pp. 118 ss.; e, per tutto questo periodo, CALÀ UL·

LOA, c).

(54) La situazione era aggravata dalle estorsioni che andava commettendoin Puglia il comandante della divisione italiana del corpo d'occupazione, gen,

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avere curato in quel tempo un'efficiente preparazione militare.Tuttavia, certi provvedimenti erano stati presi: fu richiamatoin servizio, e nominato ispettore generale dell'esercito il con-te Roger de Damas; furono organizzati tre reggimenti-model-lo di cavalleria affidati al brigadiere Fardella di Torrearsa,teorico dell'arma; si formò in Capua una brigata-modello difanteria, comandata dal brigadiere Minichini sotto la dire-zione del maresciallo di campo Rosenheim svedese (55). Al-l'inizio della guerra, fu giocoforza fornire cavalli e carri arussi ed inglesi, che ne mancavano (56), anche se la loronumerosa artiglieria servì ben poeo. La Sicilia non fuchiamata a fornire uomini per la guerra, sebbene il rela facesse come sovrano dei due regni (57): eppure, tan-to s'erano distinti per zelo, qualche anno prima, i suoideplorevoli magistrati; ma è più facile essere crudelenell'immunità garantita dalla legge, che prode sul campo dibattaglia. In conclusione, furono faticosamente formati ottosmilzi reggimenti di fanteria, due reggimenti di cavalleria, duebatterie d'artiglieria da campagna, e due compagnie di pionie-ri, cioè un esercito di campagna composto da non più di nove-

Giuseppe Lechi, bresciano (BLANCH, a), I, pp. 98·99). Il pessimo carattere diquesto ufficiale, venuto poi con Murat al servizio di Napoli, e la disistimadi cui era oggetto, furono tra le cause dello sbandamento della divisione affi-data gli durante la campagna d'Italia del 1815 (BLANCH, c), p. 364); ed a lui,uomo nefasto per il regno, si deve la perdita dello Stato dei presidi (supra,

Introduzione, nota 8).(55) BLANCH, a), I, pp. 122 ss. Ma il richiamo di Damas determinò una

nuova polemica con l'ambasciatore Alquier, che ne pretese l'allontanamento(BLANCH, a), pp. 140 S5.). Damas era un valoroso ufficiale ed un perfetto gen-tiluomo, e godeva perciò di larga stima e simpatia, ma, tornato al comandodell'esercito all'inizio dell'infelice guerra del 1806, le sue cognizioni e le sueattitudini direttive apparvero modeste. Sulla personalità del gen. Damas e deglialtri generali borbonici in quella guerra BUNCH, a), pp. 230 55.

(56) BUNCH, a), p. 168.(57} BUNCH, a), loc. cito

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mila uomini; due reggimenti della guardia restarono a Napoli;si attendevano dalla Sicilia un reggimento di fanteria ed unbattaglione di cacciatori ritirati da Malta. Cinque reggimentidi cavalleria dovevano essere aggregati all'esercito russo, chenon ne aveva, ma se ne ebbe uno solo; un altro battaglionedi cacciatori era in Calabria (58). Il comando supremo fu affi-dato a Roger de Damas; capo di Stato maggiore fu il briga-diere Fardella (59). Non è qui il luogo per narrare la vicendadi questa infelice campagna. Il lO gennaio 1806, gli alleaticomunicarono al comando napoletano la decisione di reimbar-care le proprie truppe (60). Il 23 gennaio 1806, il re partivaper Palermo, lasciando vicario il principe Francesco, duca diCalabria, che pochi giorni dopo raggiunse l'esercito in Cala-bria, affidando ad un Consiglio di reggenza, presieduto dalgen. Naselli, il compito di trattare la capitolazione di Napo-li (61). Quella parte dell'esercito che era ancora libera nei mo-vimenti fu fatta ripiegare in Calabria, ed il gen. Damas po-se il quartier generale in Castrovillari (62).

Lo scontro decisivo con le truppe francesi del gen. Rey-nier avvenne il 9 marzo 1806, sulla spianata di Campo-tene-se, ad oltre 1000 metri sul livello del mare, e con freddo in-tenso che danneggiò non poco la numerosa cavalleria napo-letana (63). Solo una parte dell'esercito regio sfuggì all'accer-chiamento, e riparò in Sicilia; resistettero ancora per vari me-si Gaeta, Civitella del Tronto, ed in Calabria le posizioni diMaratea, Amantea e Scilla (64).

(58) BLANCH, a), p. 169.(59) BLANCH, a), pp. 174, 180, 230·231.(60) BLANCH, a), pp. 192 88.

(61) COLLETTA, a), II, pp. 202 S8.

(62) BLANCH, a), pp. 221 88.

(63) BLANCH, a), pp. 273 S8.

(64) COLLETTA, a), II, pp. 221 SR.

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75 Il R. Esercito e la R. Marina

75. L'esercito regio di Sicilia dal 1806 al 1815. L'e-sercito regio era praticamente andato una seconda volta infrantumi. E si ebbero nuovamente diversi destini, profonda-mente incidenti sulle future vicende.

Una parte degli sbandati, non potendo raggiungere laSicilia, nè volendo consegnarsi ai francesi, confluì, comenel 1799, nelle guerriglie. Ma nel 1806 la situazione era di-versa: mancava un comandante di tanto prestigio quanto ilcardinale Ruffo, furono intermittenti e non decisivi gli aiu-ti esterni, ed i partigiani borbonici non incontrarono un fan-tasma di repubblica platonica inerme e raziocinante, bensìuna monarchia moderna ed efficiente, che seppe formare deIieforze armate nazionali, a loro volta sostenute da truppe fran-cesi, allora le più agguerrite ed aggressive del mondo. Questicosiddetti «briganti» furono colpiti da una spietata repres-sione (65).

I militari chc, inquadrati o alla spicciolata, passarono inSicilia, restarono sotto la bandiera borbonica, e costituironoil nucleo di quelli che ancora per molti decenni furono detti« siciliani », contrapposti ai « murattisti ». Essi, come è ovvio,non hanno una buona stampa nella pubblicistica risorgimenta-le, che deriva dal Colletta, ultra-murattista, e meriterebbero

(65) La prima esecuzione capitale (26 aprile 1806), in circostanze rite-nute unanimente illegali, fu quella del brigadiere Giovan Battista Rodio, cala-brese, uno dei più distinti ufficiali provenienti dalla «Santa Fede », che erastato nominato «direttore generale dei battaglioni volanti », cioè dei parti.giani borbonici. Il suo torto principale fu d'avere denunciato la rapacità delgen. Lechi (COLLETTA,a), Il, p. 222; BLANCH, al, pp. 99 55.; PIGNATELLIDI STRON·

COLI, a), p. 52). «Fra Diavolo» (supra, nota 46) fu giustiziato 1'11 novembre1806 (COLLETTA,a), II, pp. 256·257). Il brigantaggio, tuttavia, fu eliminato sol-tanto al tempo di Gioacchino Murat, dal generale Carlo Antonio Manhès, no-minato commissario straordinario per la Calabria con r.d. 27 settembre 1810.e poi anche per le provincie di Basilicata e Principato Citra (COLLETTA,a),II, pp. 341 55.).

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maggiore attenzione. La vita dell'esercito borbonico di Sicilia,dal 1806 al 1815, non fu davvero facile, confinato come futra lo sprezzante atteggiamento degli alleati britannici (chepure all'occasione pretendevano esserne serviti), e l'ostilitàdei siculi politicanti, i quali nel recupero dei domini continen-tali vedevano un'operazione dinastica, contraria ai loro interes-si (66), e nei militari che avevano raggiunto il re, degli stra-nieri indesiderabili (67).

La riorganizzazione dell'esercito fu curata dal capitanogenerale Emanuele de Bourcard, e fu presto possibile, in col-laborazione con l'alleato inglese, riprendere una certa azioneoffensiva: truppe borboniche parteciparono alla spedizionedi Maida (I c luglio 1806), allo sbarco in Calabria ed alla batta-glia di Mileto (7-30 maggio 1807), all'occupazione di Caprie di Ponza (maggio 1807) dove fu presente anche la real Ma-rina, con la fregata «Venere» e la corvetta «Aurora» (68);all'occupazione di Ischia e di Procida (giugno 1809). La ras-segna generale dell'esercito fu passata il I" febbraio 1808 (69):e v'erano in Sicilia due reggimenti di granatieri della guardia;i reggimenti di fanteria reali Sanniti, reali Appuli, reali Presi-di, Philipstall, Valdimazzara, Valdemone, Valdinoto; i reggi-menti di cavalleria Principe, Valdinoto, Valdimazzara; duereggimenti esteri, alcune batterie da campagna, ed una hri-

(66) Quando, nel parlamento siciliano eletto 1'8 giugno 1813 il muustrodella guerra e marina (Ruggero Settimo) fece presente lo stato lamentevoledelle forze armate, e la conseguente urgenza d'approvare il bilancio, perchè ilgoverno potesse disporre dei fondi. necessari, il deputato Emanuele Rossi glireplicò che il pretendere si discutesse di finanza prima degli altri argomenticostituiva un attentato all'indipendenza ed alla libertà dell'assemblea (AVARNA

DI GUALTIERI, p. 69). Sull'atteggiamento dei siciliani, tra il 1806 ed il 1815,supra, §§ 5 e 6.

(67) Introduzione, nota (37).(68) MATURI, pp. 48 ss. ; VALENTI, pp. 129 ss,(69) D'AYALA, a), p. 35,

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gata (battaglione) del genio. Anche la marina era stata rico-stituita, ed armava settanta quattro legni da guerra, di varia im-portanza, con 4.700 uomini d'equipaggio (70). Nel 1812, aseguito d'una convenzione col governo inglese, fu inviato inSpagna, per combattere nell'armata di lord Wellington, uncorpo di spedizione «siciliano », composto d'un battaglionedi granatieri della guardia, del lo reggimento di linea estero,di due squadroni del reggimento «Principe» lo cavalleria,e d'una batteria di sei cannoni, circa 2.500 uomini in tut-to (71). L'ultima apparizione di truppe siciliane, si ebbe quan-do esse parteciparono alla spedizione di sir William Bentinckcontro Livorno, ed all'assedio di Genova, nell'aprile 1814 (72).Le truppe concentrate a Messina, nel maggio 1815, non ebbe-ro motivo d'impegnarsi contro le forze di Gioacchino Murat,perchè il 25 fu nota la convenzione conclusa il 20 in Casalan-za; alcuni reparti sbarcarono a Napoli il 23 (73).

In conclusione, sembra ingiusto il giudizio del Colletta,secondo cui l'esercito di Sicilia fu «non mai guerriero» (74).Vero è solo che la situazione politica dell'isola lo costrinsein limiti modesti, ed in una stretta dipendenza dall'autoritàmilitare britannica; che operò da una parte cui per vari anni

(70) AVARNADI GUALTIERI, pp. 64·65.(71) DUMAS, fasc 15, p 18; ARGIOLAS,p. 38. Alcuni particolari di questa

campagna poco nota sono desumibili da necrologi (ULLOA: il ten. gen. FilippoSalluzzo, colonnello di cavalleria nel 1812, s'era distinto a Cadice e Tarragona;PALMIERI: il maresciallo di campo Giuseppe Ruffo di Scilla, tenente colononello nel 1812, aveva comandato il battaglione del reggimento Principe 1" ca-valleria, alla dipendenza di sir Edward Campbell; era stato alla battaglia diCastalla agli ordini di sir John Murray; nominato aiutante di campo di sirWilliam Bentinck aveva partecipato ai fatti d'armi di Tarragona, Ordal, Va-lenza). Facevano parte della spedizione, e raggiunsero poi gradi di generale,Pietro Vial, Francesco Ruiz de Ballesteros, Francesco Saverio del Carretto.

(72) COLLETTA,a), Il, pp. 414·415 e 528; PiGNATELLI DI STRONGOLI,a), pp.147·148.

(73) COLLETTA,a), 111, pp. 8·9.(74) COLLETTA,a), III, p. 28.

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non arrise la fortuna delle armi; che ebbe fino all'ultimo iconnotati d'un esercito dell'antico regime; e che le sue impre-se non trovarono un apprezzabile narratore, dacchè la storio-grafia del regno fu quasi tutta liberale. Nocque pure all'eserci-to di Sicilia il frequente impiego di militari provenienti dalla«Santa Fede» in servizi d'informazione e di collegamentocon i partigiani borbonici del continente, tra i quali pullu-lavano i facinorosi, sì che tali azioni furono screditate comesupporto al brigantaggio (75).

76. L'esercito e la marina di Giuseppe Bonaparte e diGioacchino Murat. - Nello stesso periodo, tra il 1806 ed il1815, un'altra vicenda si sviluppava nella parte continentaledel regno.

Il 15 febbraio 1806 entrava in Napoli Giuseppe Bonapar-te; il 30 marzo 1806, con decreto dell'imperatore Napoleone,era detto « Giuseppe Napoleone, re delle Due Sicilie ». Regnòin Napoli fino al 31 luglio 1808, quando, per altro decretoimperiale, del 15 luglio 1808, gli successe Gioacchino Murat,dal I" agosto 1808 «Gioachino Napoleone ».

Giuseppe Bonaparte diede subito opera e costituire unesercito nazionale, anche se le spese dell'occupazione militarefrancese, ed il disordine delle finanze, gli toglievano i mezziper riunire le truppe napoletane sbandate nel regno (76).Si accordò la riammissione in servizio ai prigionieri di guerrache giuravano fedeltà al nuovo governo (77) ed a non pochi

. (75} VALENTI, pp. 106 5S.

(76) PIGNATELLI DI STRONGOLI,a), pp. 52·53; COLLETTA,a), II, pp. 237·238.Sull'esercito di Giuseppe Bonaparte e di Gioacchino Murat, CORTESE N., I, pp.CCXX ss. V'era anche un modesto numero di militari esteri, isolati o in reparti(reggimenti di fanteria «Real Corso» e «Reale Africano »), che gradualmentelasciarono il servizio del regno, o furono assorbiti nelle truppe nazionali.

(77) COLLETTA,a), II, p. 221.

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ufficiali compromessi nei fatti del 1799 ed in quell'anno co-tsretti ad emigrare, come Francesco Pignatelli di Strongo-li (78), o rimossi dal grado, come Pietro Colletta (79).

Comunque, regnando Giuseppe Bonaparte, tra febbraio eluglio 1806, fu possibile costituire un reggimento di cacciatori,due reggimenti di fanteria leggera, due reggimenti di fanteriadi linea, un reggimento di cavalleria, alcune batterie d'arti-glieria, qualche compagnia del genio, qualche squadrone digendarmeria, e ridare una certa ossatura a quel che nei portidel regno era rimasto della real marina (80). Con r.d. 15 mag-gio 1806 fu costituita in ogni provincia una «legione provin-ciale », composta di possidenti, professionisti ed artigiani;e con r.d. 15 luglio 1806 sei reggimenti di «guardia civi-ca » in Napoli, composta in modo analogo, per i servizi territo-riali e d'ordine pubblico (81). Con r.d. 24 febbraio 1808,fu costituito, ad imitazione della Legion d'onore di Francia,l'Ordine reale delle Due Sicilie (vedi anche supra, § 26). Conr.d. 5- settembre 1806, fu riordinata la reale accademia mili-tare (82).

Gioachino Murat diede all'esercito ed alla marina del·regno l'impulso che era da attendersi da un soldato prodeed entusiasta, pur se modesto stratega e politico. Esercito emarina parteciparono con i francesi alla riconquista di Capri(18 ottobre 1808), poche settimane dopo il suo arrivo nelregno (83). In verità, l'esercito era stato lasciato da GiuseppeBonaparte in condizioni mediocri, per avere questi portato

(78) CORTESE N., I, pp. XII 55.

(79) COLLETTA, a), I, pp. X 55.

(80) CORTESE N. in COLLETTA, a), II, p. 221.(81) CORTESE N. in COLLETTA, a), II, pp. 234.235.(82) FERRARELLI, p. 27.(83) COLLETTA, a), II, pp. 295 88.

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seco in Spagna la miglior parte della Guardia (cui negli annisuccessivi s'aggiunsero altre truppe), per la frequenza delle di-serzioni, e per le difficoltà del reclutamento (84).

Il governo dovette, quindi, da una parte formare nuoveunità di truppa regolare, dall'altra stabilire un sistema di re-clutamento obbligatorio (in/ra, § 88); riordinare le legioniprovinciali, di cui fu possibile fare un efficiente strumentoper « proteggere le persone e le proprietà e mantenere il buonordine interno» (r.d. 8 novembre 1808), come fu dimostratonella eliminazione del brigantaggio (85); riparare le fortifica-zioni, ampliare le fabbriche d'armi di Napoli e di Torre An-nunziata (86). Fu fondato un collegio militare, detto «Scuo-la di Marte », per i figli dei militari; trasformata l'accademiain «Scuola reale politecnica» (r.d. 13 agosto 1811); ordina-to il Collegio militare di marina di due sezioni, una di « aspi-ranti» (allievi ufficiali),e l'altra di « alunni marinai» (allievipiloti) (87).

Nel 1812 cioè alla vigilia della campagna di Russia, l'eser-cito napoletano era composto della Guardia reale (truppescelte, con trattamento privilegiato) e di «truppe d'ordinan-za ». La Guardia era composta di 2 battaglioni granatieri,e 2 di veliti a piedi; di 12 squadroni di cavalleria, cioè 4 diguardie d'onore (88), 4 di veliti a cavallo, e 4 di cavallegge-ri; di 2 compagnie d'artiglieria leggera, e 2 compagnie del tre-no; di un battaglione di marinai. Le truppe d'ordinanza con-

(84) COLLETTA, a), II, p. 305; CORTESE, I, p. CCXXVIII; ARGIOLAS, p. 50.(85) COLLETTA, a), II, pp. 304 ss.(86) COLLETTA, a), Il, p. 308.(87) FERRARELLI, p. 27; CAPI'EI.LO, p. 18.(88) CORTESE N. in COLLETTA, a), II, p. 304. PIGNATELLI DI STRONGOLI, a), pp.

101.103,dice e turchesco » il metodo con cui le guardie d'onore furono trasfor-mate in cavalleria regolare, senza possibilità d'esensione, quasi per tenerqostaggi i giovani proprietari che vi servivano; cc, 00 , o • -

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tavano 8 reggimenti di fanteria di linea, 4 reggimenti di fante-ria leggera; 2 reggimenti di cacciatori a cavallo, un reggimen-to di cavalleggeri; un reggimento d'artiglieria a piedi, unosquadrone d'artiglieria a cavallo, 4 compagnie d'artefici, unbattaglione del treno, 12 compagnie d'artiglieri littorali, unacompagnia d'artiglieri veterani; 7 compagnie di zappatori, Ildi minatori, una di guardie del genio. Appartenevano allamarina un battaglione di marinai, un reggimento d'artiglieriada marina, ed una compagnia di artefici d'artiglieria (89). Lagendarmeria reale era ordinata in tre legioni (r.d. 3 marzo1809). Queste forze andarono accrescendosi, fino all'iniziodella campagna del 1815. A tale epoca, esse contavano nellaGuardia reale, 4 reggimenti di fanteria, 4 di cavalleria, unbattaglione di marinai, uno di veterani, una compagnia diguardie del corpo, uno squadrone e due compagnie d'artiglie-ria, due compagnie del treno. La fanteria aveva 12 reggimentidi linea, e 4 reggimenti leggeri; la cavalleria 4 reggimenti;l'artiglieria 2 reggimenti di linea, uno del treno, 6 compagniedi operai, armaioli e pontonieri, 12 compagnie di litorali;l'artiglieria di mare aveva un reggimento cannoni eri ed unacompagnia d'artefici; il genio un reggimento di zappatori mi-natori; i veterani un reggimento, ed uno la gendarmeria reale.Erano alle armi 94 mila uomini, più le legioni provinciali:una forza militare, cioè, quale il regno non aveva mai avuto,e non ebbe mai più (90).

Con queste forze imponenti, anche se di varia qualità,il regno partecipò alle guerre dell'impero francese. In Spagna,v'erano dal 1809 truppe napoletane, che nel 1810 composerouna divisione, comandata da Francesco Pignatelli di Strongoli,

(89) CAPPELLO, p. 17.(90) COllETTA, cl), pp. 35 55.; ARGIOLAS, pp. 60 S5.

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di due reggimenti di fanteria di linea, un reggimento di fan-teria leggera, e due reggimenti di cacciatori a cavallo (91).Nello stesso periodo, operavano in Trentino un reggimento difanteria leggera, ed uno di cacciatori a cavallo (92). Il 17settembre 1810, truppe francesi e napoletane tentarono unosbarco, non fortunato, in Sicilia (93). La marina si erabattuta valorosamente, il 25 giugno 1809, nel golfo di Napo-li (94). Alla campagna di Russia, nel 1812, il regno partecipòcon un contingente di 10.329 fanti, e 1.853 cavalli (95).Nel 1813, la brigata del generale Angelo d'Ambrosio era pre-sente a Bautzen ed a Liitzen (96). Conclusa nel 1814 l'inna-turale alleanza tra Gioachino Murat e l'Austria, il regno parte-cipò con tre reggimenti di fanteria, uno di cavalleria, e 60 pez-zi d'artiglieria, ad operazioni di guerra contro i francesi nel-l'Italia centrale, e particolarmente all'assedio d'Ancona (97),

(91) ARGIOLAS,pp. 50 S8.

(92) CORTESEN. in COLLETTA,a), II, pp. 309 e 317. Erano costituiti in mag-gior parte da ex-briganti e da pregiudicati.

(93) COLLETTA,a), II, pp. 338-340; VALENTE,pp. 157 S8.

(94) COLLETTA,a), II, pp. 317 8S.; VALENTI,p. 140; PIGNATEll.IDI STRON'GOLI,a), pp. 82 8S. La vita del capitano di vascello Giovanni Bausan, che co-mandava la squadra napoletana in quello scontro, è narrata dal D'AvALA,a), pp.144 ss.

(95) CAPPELLO,pp. 44 ss.; CORTESEN., I, pp. CCXXXIII-CCXXXIV. È curiosoquanto poco dica di questa campagna il COLLETTA,a), Il, p. 375 (osserva ancheCORTESEN., ivi in nota, p. 378, con varie notizie); ma anche PIGNATELLIDI STRON-GOLI,a), p. 109, non ne tratta, come «fuori del nostro soggetto s,

(96) D'AvALA,a), p. 20, riferisce che il tenente colonnello d'artiglieriaNiccolò Landi (vedine la biografia ivi, pp. 228 ss.) scriveva al Ministro dellaguerra in Napoli che il maresciallo Oudinot duca di Reggio aveva voluto so-lennemente attestargli «la sua soddisfazione, per la maniera con cui le no-stre soldatesche sotto .i suoi cenni sonosi battute seguendo l'esempio del lorogenerale d'Ambrosio, chiarissimo uffiziale, che tutt'i napolitani debbono farsiun debito di tenere siccome l'onore del loro paese ». Gravissime perdite ebbeil 4° reggimento leggero, tra cui il capitano Giova~qi Landi, fratello di Nic,colò (ivi, p. 230) 41 di Francesco (in/ra, nota 99),

(97) COLLETTA,al, li, pp. 41Q e~,

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trovandosi perciò stranamente nel campo stesso dei sicilianiche assediavano Genova (supra, § 75). Infine, mutate an-cora le sorti, l'armata napoletana, che Gioachino Murat con-duceva a combattere per l'indipendenza d'Italia (30. marzo1815) era di circa 35.000 fanti, 5.000 cavalli, 56 bocche dafuoco (98). Ma fu battuta il 3 e 4 maggio 1815 a Tolenti-no, e fu questa anche la fine delle fortune di Murat (99).Rimase a difendere l'onore della bandiera, fino all'8 agosto1815, il comandante della piazzaforte di Gaeta, maresciallodi campo Alessandro Begani (100).

Questo periodo decennale (1806-1815) ebbe un'impor-tanza estrema nella storia delle istituzioni militari del re-gno delle Due Sicilie.

Le ordinanze ed i metodi furono in questo tempo quel-li dell'esercito imperiale di Francia. Nulla v'è di strano, seuno Stato che non fu mai una grande potenza (nè potevaesserlo per estensione e per popolazione) abbia mutuato or-dinamenti altrui. Ma le ordinanze spagnuole erano da grantempo dimenticate; quelle inglesi introdotte in Sicilia dopoil 1806 (101) non lasciarono traccia, e quelle austriache rein-trodotte nel 1816 non furono mai congeniali. In conclusio-ne, le forze armate del regno delle Due Sicilie furono nuova-mente organizzate, dopo che Ferdinando duca di Calabriaassunse il comando generale dell'esercito (r.d. 29 maggio

(98) COLLETTA,g), dà il quadro delle forze napoletane nel 1814 (pp. 3555.) e quello dell'armata attiva all'inizio della campagna (pp. 41 58.).

(99) COLLETTA,a), II, pp. 461 55. Ricordo che alla battaglia, nella tradì-zione militare napoletana detta più spesso C di Macerata» partecipò come ce-pitano aiutante maggiore dell'8° reggimento di linea il mio bisavo FrancescoLandi, decorato da Murat, il 9 maggio 1815, dell'Ordine reale delle Due Si.cilie (LANDI,a), pp. 171.173).

(100) Biografia in D'AYALA,a), pp. 129 8S.

(101) DUMAS,fasc. 15, p. 18.

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1827: infra, § 80), secondo modelli francesi, i soli che sem-brassero nazionali. Inoltre, la collaborazione diretta tra gliufficiali napoletani e quelli francesi, in gran parte provenientidalle armate della rivoluzione, diffuse tra i primi le idee nuo-ve; mentre la partecipazione alle campagne dell'impero diedeai militari di Napoli l'esperienza delle grandi guerre moderne.

77. Esercito e marina dal 1815 al 1820. - Questa rasse-gna degli ordinamenti e delle vicende militari del regno, dal1734 al 1815, era necessaria per comprendere quanto difficilesi palesasse l'amalgama cui si doveva procedere per formare,in esecuzione del r.d. 14 giugno 1815, «un solo esercito per Na-poli e Sicilia », Ovvia particolarità di tale operazione era chenon trattava si d'armonizzare elementi che avevano accolto di-verse concezioni politiche, ma, ben più, d'unificare in un so-lo organismo soldati che avevano, letteralmente, portato finoa pochi mesi prima le armi gli uni contro gli altri. Analogheesigenze, nel 1815, si verificarono bensì in tutti gli Stati eu-ropei dove furono «restaurate» le antiche dinastie; ma innessun luogo ebbero forse tanto peso, quanto nel regno delleDue Sicilie (102). D'altra parte, la situazione militare del re-

(02) Nel regno di Sardegna, la parallela vicenda dei Savoia (Carlo Ema-nuele IV si trasferÌ nell'isola il 3 marzo 1799, e nel giugno 1802 abdicò a fa-vore di Vittorio Emanuele I, che dopo avere indugiato tra Roma e Napolifino al febbraio 1806 ritornò a Cagliari per farvi soggiorno fino al 1814) fecesparire dai campi di battaglia d'Europa la bandiera sabauda (che vi riapparvesolo nel 1815, quando durante i cento giorni i carabinieri a cavallo si spinosero sotto le mura di Grénoble). La Sardegna, spaventosamente povera, nonera in grado di fornire truppe, salvo una milizia territoriale, che, peraltro,nel febbraio 1793, aveva saputo respingere un tentativo di occupazione franocese (CARTARASPI, pp. 783 S8.); il Piemonte, annesso alla Francia, fornì uo-mini all'esercito imperiale; alcuni ufficiali isolati presero servizio negli eser-citi delle coalizioni; ma non si verificò il fenomeno di due eserciti, l'uno el'altro sopravvissuti. Un raffronto interessante tra la situazione politica delPiemonte e di Napoli, tra il 1815 ed il 1820, è in BLANCH, a), pp. 14,1 88.

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gno, alla data (20 maggio 1815) della convenzione di Casalan-za, era disastrosa. L'esercito di Murat si sbandò completamen-te, e non rimasero alle bandiere più di 2.000 uomini; un mi-gliaio d'ufficiali si formarono in reparti, per concorrere conla guardia civica alla tutela dell'ordine pubblico nella capitale;le truppe siciliane giunsero solo il 24 (103); comitive arma-te di disertori si davano alle rapine ed al saccheggio nelle pro-vincie (104). In queste condizioni iniziò l'opera sua il Su-premo Consiglio di guerra (r.d. 13 luglio 1815: supra, § 62),cui sarebbe ingiusto non dare atto delle estreme difficoltà,materiali e psicologiche, in cui operava.

Il Supremo Consiglio cominciò con l'ordinare un pri-mo nucleo di fanteria di linea, di quattro reggimenti (l° Re,2° Regina, 3° real Borbone, 4° real Farnese), più il reale Este-ro (r.d. 20 luglio 1815), quest'ultimo diviso più tardi in l°e 2° battaglione estero (r.d. 17 gennaio 1818). Organizzò poi(r.d. l° agosto 1815) la compagnia delle Guardie del corpo,prescrivendo che dovessero essere «di nobiltà tale quale èstato sempre l'aspirante a fare le prove di giustizia nell'ordi-ne gerosolimitano », e che il capitano dovesse essere «pri-mogenito d'illustre famiglia »; nonchè (r.d. 4 agosto 1815)una compagnia alahardieri, ed una compagnia guardie di po-lizia del real palazzo.

Il r.d. 8 agosto 1815 stabilì poi l'organizzazione dell'eser-cito (che, come si vedrà, rimase in vigore, con qualche va-riante, fino al r.d. l° luglio 1821, di scioglimento dell'eser-cito) prevedendone la forza, in tempo di pace, in 60.000uomini; il che non sembra sia stato mai ottenuto. Tale orga-nizzazione, che, come apparirà dalle successive citazioni, fu

(03) PIGNATELLI DI STRONGOLI, a), pp. 239 ss.(04) Sulle Commessioni militari, ossia tribunali straordinari, creati per

la repressione di tali disordini, injra, § 158.

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attuata e completata con ulteriori provvedimenti, promossidalla stesso Consiglio, e dal capitano generale Nugent prepo-sto alla «organizzazione generale» col r.d. 30 agosto 1816(supra, § 62), prevedeva:

a) Stato maggiore generale. - Un capitano generale, 15tenenti generali, 16 marescialli di campo. V'era uno Statomaggiore dell'esercito, ed altrettanti Stati maggiori per l'arti-glieria, il genio e la gendarmeria. Una compagnia di «guidedello Stato maggiore dell'esercito », istituita con r.d. 21 dicem-bre 1815, fu sciolta con r.d. 23 settembre 1816.

b) Guardia reale. - Fu costituita, quasi per intero,con i militari dell'esercito di Sicilia (105), il che spiega comeappaia singolarmente numerosa; ed ebbe, secondo la tradizio-ne, un trattamento economico privilegiato. I corpi addetti pro-priamente al servizio della real casa erano le già menziona-te compagnie delle Guardie del corpo (più tardi, col r.d.5 marzo 1819, se ne rinsaldò il nesso con l'esercito, stabilen-do che ogni anno otto guardie fossero destinate sottotenenti),degli alabardieri, e delle guardie di polizia del real palazzo.V'erano poi due compagnie di pionieri e due di cacciatori realia cavallo (r.d. 22 agosto 1815), uno squadrone d'artiglieriaa cavallo (r.d. 2 settembre 1815 e 6 ottobre 1816); unosquadrone del treno d'artiglieria (r.d. 7 dicembre 1815), duereggimenti di granatieri e due di cacciatori a piedi (r.d. 17agosto 1815), e due reggimenti di cavalleggeri (r.d. 18 agosto1815, e 7 ottobre 1816).

c) Corpi facoltativi. - In questi, come nelle altre armi,furono riuniti elementi provenienti dall'uno e dall'altro eser-cito. I corpi facoltativi erano l'artiglieria ed il genio. L'artiglie-

(l05) COLLETTA, a), III, p. 26.

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ria comprendeva due reggimenti d'artiglieria di terra (JORe,2° Regina); una brigata d'artiglieria a cavallo; due compa-gnie di cannonieri artificieri; una compagnia d'artificieripontonieri ; tutti costituiti con vari r.d. 24 agosto 1815. Ilreggimento treno d'artiglieria fu costituito con r.d. 7 dicem-bre 1815, con cui era istituita anche la direzione generaledel treno e dei regi bagagli, ed abbinata la carica di direttoregenerale con quella di colonnello comandante del reggimen-to; la direzione generale fu sciolta con r.d. 15 ottobre 1816.Altro r.d. 24 agosto 1815 istituì 18 compagnie di artiglierilitorali, per la custodia ed il servizio delle batterie sulle coste.I detti artiglieri erano volontari con ferma di sei anni rin-novabile, scelti a preferenza tra i ferrai, falegnami e rotai, d'etàtra 24 e 40 anni; ed in tempo di pace avevano, di regola,il solo obbligo di presentarsi per istruzione, la prima dome-nica del mese, ad una batteria nei pressi del loro domicilio,alla quale venivano assegnati. Il genio aveva un reggimentozappatori e minatori (r.d. 26 ottobre 1815), trasformatopoi (r.d. 23 settembre 1816) in brigata pionieri e pontieri.

d) Fanteria. - Ai reggimenti nazionali istituiti col r.d.20 luglio 1815, furono aggiunti, con r.d. 22 settembre 1815,altri sei reggimenti con cui si raggiunse il numero di dieci reg-gimenti di linea previsto dal r.d. 8 agosto 1815. L'ordinamen-to della fanteria fu poi stabilito con r.d. 18 settembre 1816,su dieci reggimenti di linea (l° Re, 2° Regina, 3° Principe,4° Principessa, 5° Borbone, 6° Farnese, 7° Real Napoli, 8° RealPalermo, 9° Principe Leopoldo, 10° Real Corona) più quat-tro corpi leggeri, ciascuno d'un battaglione ed una compa-gnia deposito (l° Marsi, 2° Sanniti, 3° Calabri, 4° Bruzi) tra-sformati in reggimenti di fanteria leggera col r.d. 9 dicem-bre 1819. Con i battaglioni di riserva dei dieci reggimentidi linea, furono formati (r.d. 25 luglio 1817) cinque batta-

32. LANDI • I.

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glioni cacciatori. Dai reggimenti esteri previsti dal r.d. 20luglio 1815 (ma ve n'era uno solo) furono enucleati i gre-co-albanesi, con cui si formò, secondo un'antica tradizionedel regno (106), un «battaglione cacciatori macèdoni », cheil governo costituzionale sciolse con r.d. 16 agosto 1820, rim-patriandone i militari nelle Isole Ionie. Furono altresì costi-tuiti, con r.d. 6 dicembre 1817, due «battaglioni provvisori »,per i militari di cattiva condotta (cioè, battaglioni «di disci-plina ») che furono sciolti (in regime costituzionale) con r.d.18 luglio 1820.

e) Cavalleria. - Il r.d. 8 agosto 1815 prevedeva quat-tro reggimenti di cavalleria leggera. Con r.d. 9 novembre1815, furono formati i reggimenti di cavalleria di linea«Principe reale », e «Real Borbone»; poi, col r.d. 6 otto-bre 1816, la cavalleria di linea fu divisa in due brigate, as-segnando alla prima il l° reggimento «Re », ed il 2° reg-gimento «Regina », ed alla seconda brigata il 3° reggimen-to «Principe », ed il 4° «Borbone ». L'arma di cavalleriafu in seguito accresciuta, perchè con r.d. 25 agosto 1817fu creato il reggimento dragoni «Ferdinando », e con r.d. 9dicembre 1819 due divisioni (gruppi di squadroni) di «cac-ciatori nazionali a cavallo ».

(06) Nel 1734, fu formato il reggimento di fanteria e Real Macedone s :sui precedenti corpi militari greco-albanesi al servizio di Napoli, e sulle ap-prensioni che il reclutamento dei e macedoni s suscitò, al tempo di Carlo diBorbone, nella Repubblica di Venezia, SCHIPA, I, pp. 330 S8.

f) Gendarmeria. - Le tre legioni di complessive 14compagnie, previste dal r.d. 8 agosto 1815, ebbero un diversoordinamento col r.d. 18 settembre 1816, che conservò il no-me di « gendarmeria reale» all'arma a cavallo (7 squadroni),e diede all'arma a piedi (15 compagnie) il nome di «Corpo

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fucilieri reali », L'ordinamento fu ancora modificato in partecol r.d. 15 dicembre 1819, con cui furono istituiti anche re-parti di «fucilieri veterani» (107).

g) Scuole militari. - L'esercito aveva ereditato dal-l'ordinamento di Gioachino Murat la Scuola politecnica, laScuola d'applicazione e la Scuola di Marte, così denominateanche nel r.d. 8 agosto 1815 (supra, § 76). La Scuola di Mar-te, con r.d. Il gennaio 1816, divenne «regio battaglione al-lievi militari », con 360 piazze gratuite, e 40 a pagamento.La scuola d'applicazione per I'artiglieria e il genio, con sedein Capua, fu riordinata con r.d. 13 giugno 1816. La Scuolapolitecnica, con r.d. 10 gennaio 1819, fu scissa in tre istituti:real Collegio militare (per l'artiglieria, il genio, e lo Stato mag-giore), Reale accademia militare (per le altre armi), e Scuolamilitare (per i sottufficiali) (108).

h) Servizi. - Questa espressione non si trova nel r.d.8 agosto 1815, il quale, però, indica in un solo capoversoi «commessari », ed i «medici, chirurghi e farmacisti ». Unodei primi provvedimenti (r.d. 17 luglio 1815) era stato l'orga-nizzazione del servizio degli ospedali militari (supra, § 62).Con due r.d. 21 dicembre 1815, furono istituiti il «depositogenerale di guerra» (riordinato con r.d. 22 gennaio 1817) edil « Corpo politico d'artiglieria» formato dai commissari, guar-dia-magazzini, etc. Il r.d. 22 gennaio 1817 riordinò l'officiotopo grafico ; quello esistente in Palermo fu conservato con r.d.:n agosto 1815.

(107) I gendarmi e fuciIieri furono organizzati, nel 1815, dal maresciallodi campo Ferdinando Sambiase, principe di Campana, che aveva comandatoil Reggimento delle Guardie d'onore nella campagna di Russia ed era statogravemente ferito nella battaglia di Tolentino (biografia in n'AvALA, a), pp.211 88.),

(108) FERRARELLI, pp. 30 85.

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Non era previsto dal r.d. 8 agosto. 1815 il reggimento ve-terani, istituito con r.d. 21 marzo 1816, mediante la riunio-ne del reggimento veterani di Napoli, e del reggimento diguarnigione di Sicilia. Il r.d. 18 agosto 1817 lo definì «pri-mo corpo dell'armata », e stabilì che vi fossero ammessi i mi-litari con 18 anni di servizio di linea; per i gendarmi, fuci-lieri, e militari dei corpi facoltativi, erano previsti specialireparti di veterani. Erano utilizzati normalmente nelle piaz-zeforti.

Iniziativa molto discussa del gen. Nugent, fu l'ordina-mento delle milizie provinciali (r.d. 25 luglio 1817, e rego-lamento 21 marzo 1818). Di qua del Faro, v'era un reggi-mento in ogni provincia, con un battaglione per ciascun di-stretto. In Sicilia (r.d. 18 gennaio. 1818) v'erano sette reggi-menti provinciali, più un reggimento d'un sol battaglione perla città di Palermo. Gli ufficiali erano nominati tra i possi-denti della provincia, e tra gli ufficiali in ritiro idonei al ser-vizio sedentario. Questa forza, ascendente a circa 90.000 uo-mini, fu un canale di diffusione della setta carbonara, mentrenella campagna del 1821 diede ben meschina prova (109).

Per quanto riguarda l'ordinamento territoriale, il r.d.lO agosto 1815 stabilì il «sistema delle piazze da guerra,

(09) BLANCH, b), p. 63, addebita al gen. Nugent d'avere organizzato c no-vantamila militi in un paese dove. esisteva una società segreta e ove il governoera debole e non legato alla società dalle abitudini: così diè intempestiva forza,organizzazione e legalità alla setta che travagliava lo Stato». I militi provinociali, perchè spesso impiegati in operazioni d'ordine pubblico, sono più voltemenzionati (ma senza eccessivo entusiasmo) nei ricordi del generale Cnuncn,Durante la breve campagna di febbraio-marzo 1821, furono mobilitati ben 70battaglioni provinciali, dei quali supponevasi l'entusiasmo costituzionale, se·condo una tipica superstizione ottocentesca. Essi diedero prova negativa, perconcorde avviso del BLANCH, b), pp. 174 ss., e del COLLETTA, a), III, pp. 24.1 ss.Gli ufficiali, c quasi tutti buoni proprietari... invece di dar forza ai soldati,presentavano a loro esempi di debolezza» (BLANCH, b), p. 223).

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forti e castelli dei regni di Sicilia e Napoli, e loro stati mag-giori ».

Il territorio del regno fu ripartito in «divisioni militari ».Di qua del Faro (r.d. 16 settembre 1816) esistevano un ge-nerale governatore della provincia di Napoli, con i poterid'un comandante di divisione, e sei comandanti di divisioneterritoriale (HO) da cui dipendevano i comandanti provin-ciali. Le divisioni erano: I", Terra di lavoro e Molise; 2\i tre Abruzzi; 3', Principato Ultra e Capitanata; 4\ Prin-cipato Citra e Basilicata; Sa, le tre Calabrie; 6\ Terra diBari e Terra d'Otranto (111). In Sicilia, con r.d. 25 di-cembre 1817, furono istituiti un comando generale, e tredivisioni: 7\ Messina (Messina e Catania); 8\ Siracusa(Girgenti, Caltanissetta e Siracusa); 9\ Palermo (Palermoe Trapani), con dipendenti comandanti di valle. Il r.d. 6ottobre 1818 istituì poi quattro «ispezioni generali di fan-teria », per la i- e 2\ per la 3R e 6\ per la 4&e Sa, e perla 7\ 8\ e 9&divisione. Con r.d. 6 febbraio 1817, furonoapprovate le istruzioni per i comandanti generali delle divi-sioni militari, e per gli ufficiali superiori di Stato maggiore,riguardanti l'impiego delle truppe nei servizi di tranquillitàe sicurezza pubblica.

L'ordinamento territoriale del Corpo reale del Genio

(110) I comandanti delle divisioni furono: della i-, Michele Carrascosay Zerezeda y Azebron (murattista}; della 2', Carlo di Gregorio (siciliano);della 3', Luigi d'Amato (murattista}; della 4', Giambattista Caracciolo di Vie-tri (murattietar, della 5", Vito Nunziante (siciliano); della 6", Filippo Roth(siciliano). Si noti la cura della «pariteticità» tra i generali provenienti dal-l'uno e dall'altro esercito (D'AvALA, a), p. 358).

(111) Col r.d. 16 settembre 1816 la fanteria nazionale fu tutta distribuitanominativamente tra le divisioni: alla l', i reggimenti Re e Regina; alla 2',Principe, Marsi, Sanniti; alla 3', Principessa e Borbone; alla 4., Farnese eReal Napoli; alla 5", Real Palermo, Bruzi e Calabri; alla 6', Leopoldo e RealCorona. Poichè la Guardia reale era concentrata attorno alla capitale, la forzad'operazione esistente in Sicilia era esigua.

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e del Corpo reale d'artiglieria, fu stabilito, rispettivamente,con r.d. 7 ottobre 1816, e r.d. 28 novembre 1816. L'unoe l'altro avevano un direttore generale (ufficiale generale) edue marescialli di campo ispettori (di qua e di là del Faro)da cui dipendevano le direzioni e sottodirezioni. A disposi-zione della direzione del genio di Napoli v'era una brigatadi zappatori-minatori comandata da un tenente colonnello.Organi consultivi tecnico-amministrativi erano la Giunta cen-trale d'artiglieria, ed il Consiglio di fortificazione, presie-duti dal direttore generale, e composti dell'ispettore di quadel Faro, e dei tre colonnelli più anziani.

Tra il 1815 ed il 1816, si provvide a riorg.anizzare quelche restava di marina militare di qua e di là del Faro. Il pri-mo provvedimento (r.d. 17 ottobre 1815) organizzò il Cor-po telegrafico della marina, considerato corpo militare, e com-posto di tutti gli impiegati per il servizio dei segnali che ven-gono trasmessi per mezzo di macchine telegrafiche (sema-fori). Il r.d. 6 novembre 1815 ordinò il Corpo del Genioidraulico. Il r.d. 8 dicembre 1815 trasformò la «fanteriadella marina », proveniente dalla Sicilia, in «reggimentoReal Marina ». Il r.d. 8 dicembre 1815 organizzò il Corpodei marinai cannonieri, ed il r.d. 15 dicembre 1815 il parcod'artiglieria della real marina. Con tre r.d. 8 luglio 1816, fu-rono costituiti il Corpo del Genio marittimo, il Corpo ammi-nistrativo della real marina, la Giunta amministrativa disanità per gli ospedali di marina. Infine, con r.d. 23 agosto1816, fu organizzato il corpo dei «custodi di marina », peril servizio dei bagni penali (112).

(112) Non esisteva un Corpo della giustizia militare (in/ra, §§ 152.158),e tanto i giudici, quanto i funzionari del pubblico ministero (commessari delre nell'esercito, procuratori del re in marina) ed i cancellieri erano scelti tramilitari delle armi.

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78. Lo scioglimento dell'esercito e della marina nel1821, e la ristruuurazione fino al 1827. - Tale era la situa-zione (giuridica, non effettiva, perchè di fatto assai contenutada preoccupazioni finanziarie) dell'esercito e della marina delregno, allorchè, il 2 luglio 1820, il «pronunciamiento» del«Reale Borbone cavalleria », determinò, nel giro di pochigiorni (7 luglio 1820) la proclamazione della Costituzionedi Spagna (113). Ministro della guerra fu il tenente generaleMichele Carrascosa (r.d. 9 luglio 1820), i cui spiriti « mu-rattisti » subito furono chiariti dal r.d. 17 luglio 1820, che,abolendo le ordinanze austriache del gen. Nugent, adottòi regolamenti francesi per la fanteria (lO aprile 1791) e perla cavalleria (20 maggio 1788), il che, probabilmente, fuallora più di confusione che di vantaggio. Seguì un r.d. 25luglio 1820, con cui si cercò di riorganizzare le milizie pro-vinciali, senza alcun pratico risultato; ed infine (caso più uni-co che raro nella storia giuridica dei nostri tempi) la pub-blicazione, con r.d. 16 agosto 1820, d'un «progetto per l'or-ganizzazione provvisoria della forza pubblica», cioè dell'eser-cito e della marina, che avrebbe dovuto essere sottoposto alparlamento, e che, come è ovvio, mai fu da tale assembleaesaminato. Non è qui da narrare la breve e lacrimevole isto-ria del regime costituzionale e della sua fine ingloriosa. Il24 marzo 1821, le truppe austriache entravano in Napoli.

Il primo provvedimento del nuovo governo fu (r.d. 2aprile 1821) l'abolizione delle inutili milizie provinciali. L'e-sercito, del resto, dopo la sfortunata campagna di marzo, eraentrato in una crisi profonda, e, disorientato dall'infantilismoestremista dei carbonari, e dall'atteggiamento del sovrano,in parte si era sbandato, in parte era refrattario ad ogni di-

(l13) COLLETTA, a), III, pp. 124 ss.; inira, § 197.

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sciplina (114). Si imponeva fatalmente una riforma: però,il r.d. I" luglio 1821, che dichiarava sciolto l'esercito a de-correre dal 24 marzo 1821, preceduto, come era, da un pream-holo durissimo, infliggeva all'esercito una cocente umiliazio-ne, in presenza delle truppe straniere occupanti, e pareva,più che un atto normativo, una sentenza di condanna (115).

Il «nuovo esercito di terra» fu ordinato con altro r.d.I" luglio 1821; e, per quanto lo si fosse tanto ridotto, da trar-ne una forza appena idonea alla tutela dell'ordine pubblico in-terno (116), non fu nemmeno opera facile ricostituirlo, dac-chè una rrgorosa epurazione avevane decimato gli ufficiali(inlra, § 84).

Rimase pressocchè immutata la composizione della Guar-dia reale: una volta allontanatine gli ufficiali e sottufficiali am-messi dopo il 5 luglio 1820 (r.d. 23 aprile 1821), questireparti, costituiti quasi interamente da ex-siciliani (supra,§ .77), davano completo affidamento, ed inoltre essa in pra-

(114) . La campagna del 1820 è narrata da BLANCH, b), pp. 174 S8.; cheprocede altresì ad un'interessante analisi (pp. 223 ss.) delle cause del dissolvi-mento dell'esercito. Vedi anche COLLETTA, al, 111, pp. 228 ss.

(115) Il preambolo del r.d, l° luglio 1821, dopo avere esaltato la buonavolontà del re, frustrata da oblique mene, ed avere considerato le doloroseconseguenze sofferte dal paese, continua: «L'armata è principalmente colpe'vole di tanti mali, la quale faziosa essa stessa, o lasciandosi trascinare da fa-ziosi fuori le vie di tutti i suoi doveri, abbandonandoci nel momento del pe-ricolo, ci ha posto nell'impossibilità di combatterli coi soli mezzi che avreb-bero potuto prevenire tante funeste conseguenze. Abbandonata ad una settache distrugge tutti i vincoli d'ubbidienza e di disciplina, si è veduto dopoessere stata ribelle a' suoi doveri verso di Noi essere ugualmente incapace diubbidire a quelli che la rivolta aveva voluto imporle. Essa ha operato la suadistruzione, ed i suoi capi che l'avevano traviata, o che non avevano saputopreservarla dall'errore, sono stati obbligati di annunciare la sua dissoluzione.Mancando di tutte le condizioni necessarie all'esistenza di una armata, ab-biamo co' fatti dovuto riconoscere che essa più non esisteva ... Sopra i colpe-voli deve ricadere la disgrazia della quale sono stati la causa ».

(116) CALÀ ULLOA, bl, pp. 21·22.

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tica si era rifiutata di battersi contro gli austriaci (117). Vifu aggiunta un'inutile compagnia «alabardieri di Sicilia »;furono unificati in una sola compagnia i pionieri e cacciatorireali a cavallo; creato uno «stato maggiore generale»; ridottiad un sol reggimento i cacciatori a piedi; ed istituita, in ag-giunta allo squadrone treno d'artiglieria, una divisione trenoreali bagagli.

La «linea» fu composta dello Stato maggiore generale,dello Stato maggiore dell'esercito, di mezza brigata pionierie pontieri, di quattro reggimenti di fanteria di linea (<<Re»,« Regina », «Borbone », «Principe »), di tre reggimenti este-ri, di due reggimenti di cavalleria (« Re» e «Regina»);e d'un Corpo della Gendarmeria reale, di 22 compagnie, unaper provincia, miste di uomini a piedi e a cavallo.

I «corpi facoltativi» comprendevano il Corpo del genio,mezza brigata di zappatori, lo Stato maggiore d'artiglieria,due reggimenti d'artiglieria a piedi (« Re » e «Regina »), ilCorpo artiglieri litorali, tre divisioni treno, ed il «Corpo po-litico » d'artiglieria.

«Corpi sedentanei» erano il reggimento veterani, la Ca-sa degli invalidi di Napoli, ed il Corpo invalidi di Sicilia.

Lo «Stato maggiore territoriale », era costituito dal Co-mando generale delle armi oltre il Faro, dai Governi militaridi Napoli e di Gaeta, dai Comandi delle provincie e valli, e da62 comandi di piazza. I comandi di divisione militare (supra,§ 77) non furono mai più ricostituiti.

Pochi sono i provvedimenti d'interesse militare, negli an-ni seguenti fino alla morte di Ferdinando I (3 gennaio 1825),ed alcuni di questi furono modificati prima che avesse fineil regno di Francesco I (8 novembre 1830). Ma, in verità,

(117) COLLETTA, a), 111, p. 278; BLANCH, b), pp. 177·178, 201, 213·214, 224·225;

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meglio che dividere questa disamina secondo i regni, è preferì-bile considerare unico il ciclo, che inizia con i citati r.d. I"luglio 1821, e si conclude con l'istituzione del Comando gene-rale dell'esercito, affidato al principe Ferdinando, duca di Ca-labria, futuro re Ferdinando II (r.d. 29 maggio 1827). Aquest'ultima data, infatti, viene impressa alla politica mili-tare una svolta decisiva, per cui le forze armate del regnoescono, per dir così, dal limbo in cui l'avevano costrette glieventi del 1820-21, e tendono a trasformarsi in un forte emoderno strumento di guerra.

È ben naturale, in un momento in cui erano tuttaltro chesopite le preoccupazioni politiche, essersi il governo rivoltoall'organizzazione, anzi tutto, della Gendarmeria reale. Colr.d. 19 novembre 1822, essa fu sottoposta ad un ispettoregenerale, da cui dipendevano sei sottispettori (ufficiali supe-riori) residenti in Napoli, Sulmona, Cosenza, Bari, Palermo eMessina. Le compagnie erano ventidue, una per provincia, conmilitari a piedi ed a cavallo, ed erano integrate da gendarmiausiliari. Più tardi (r.d. 27 febbraio 1826) fu ordinata la«Ispezione e comando generale della Gendarmeria reale »,affidata ad un tenente generale o maresciallo di campo, con uncomandante in 2\ del grado di maresciallo di campo o bri-gadiere, ed un «ufficiale al dettaglio» scelto tra gli ufficialiSUperIOrI.

Col r.d. 14 marzo 1823, furono riordinati gli istituti mili-tari. Il real Collegio militare di Napoli istruiva gli alunnisottotenenti, che v'erano ammessi per esami, all'età di un-dici anni, e vi seguivano un corso d'otto anni. Gli allievisottufficiali seguivano un corso preparatorio (fino a 14 anni)nella 2R scuola militare (Monreale), ed un altro (fino a 18anni) nella l R scuola militare (Napoli, S. Giovanni a Car-bonara); le due scuole furono, con r.d. 30 dicembre 1820,

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unificate nella Scuola militare di Napoli (118). Di poi, conr.d. 11 dicembre 1825, fu abolita la Paggeria reale, ed il ser-vizio dei paggi fu affidato dal re a 16 alunni del real Collegiomilitare, scelti tra quelli che più si distinguevano per buonacondotta ed applicazione negli studi, ed avessero una « buonafigura» (cioè, una bella presenza); i paggi in servizio furonotrasferiti come alunni al real Collegio militare.

L'esiguo esercito di linea fu alquanto rinforzato con r.d.27 giugno 1823, secondo cui doveva essere composto dello«Stato maggiore degli ufficiali dell'esercito », da otto reggi-menti di fanteria di linea (« Re », «Regina », «Principe »,«Principessa », «Borbone », «Farnese », «Real Napoli »,« Calabria »), di 4 battaglioni cacciatori (il 50 fu istituito conr.d. I" febbraio 1827), di 4 reggimenti di cavalleria (« Re »,« Regina », «Principe », «Borbone»), e della Gendarmeriaa piedi ed a cavallo. Fu poi costituito, con r.d. 19 maggio1824, un reggimento zappatori (ma, con r.d. 21 settembre1824, fu ridotto ad un battaglione); e con r.d. 28 dicembre1824 si formarono due compagnie di disciplina

Anche la Guardia reale fu riordinata (r.d. 17 gennaio1825): fu posta alla dipendenza d'un tenente generale,comandante generale ed ispettore generale della Guardia rea-le, con un maresciallo di campo all'immediazione; la com-posizione rimase immutata, abolita soltanto la divisionereali bagagli (119).

Asceso al trono Francesco I, fu concordata tra il re eI'imperatore d'Austria la fine della gravosa occupazione mi-litare, dimodocchè gli austriaci lasciarono la Sicilia nel 1826,

(118) FERRARELLI. pp. 32 5S.

(119) Comandante, col titolo di «colonnello generale s , fu il prmcipeLeopoldo di Borbone (1790.1851), principe di Salerno, fratello del re Fran-cesco I (CALÀULLOA,b), p. 16).

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e partirono anche da Napoli nel febbraio 1827 (120). Ur-geva quindi un ulteriore rafforzamento dell'esercito. Per unnon felice, e probabilmente interessato consiglio, si decise(r.d. 22 dicembre 1825) la formazione di due reggimenti dilinea, composti di volontari siciliani (121).

Questi reggimenti (giustificati con l'opportunità d'at-trarre i siciliani alla carriera delle armi, senza gravarli conl'impopolarissimo servizio obbligatorio) riproducevano un mo-dulo vieto ed anacronistico. Ogni reggimento avrebbe do-vuto essere composto di 16 compagnie, ciascuna di 110 uo-mini, compresi i sottufficiali, i guastatori, i tamburi ed il pif-fero. Le reclute dovevano essere ingaggiate, per compagnia, aspese di proprietari, che dovevano essere nobili, o magistrati,o di ceto onesto e civile. L'organizzatore della compagniaaveva facoltà di nominare, previa approvazione sovrana, il20 tenente e l'alfiere alla presentazione di due terzi della forza,ed il I" tenente al completamento. Se la forza era completataentro un anno, l'organizzatore aveva la proprietà del gradodi capitano, altrimenti di quello di I" tenente. I risultatifurono, a quanto pare, negativi, sia per la spesa, sia per glieffetti disciplinari della venalità dei gradi conferiti ad elementigiovanissimi, sia per la difficoltà degli arruolamenti, per cUIfu necessario consentire di trarre soldati dai luoghi di pe-na (122). Certo è che, con r.d. 3 gennaio 1828, il 20 reggi-mento siciliano fu «contromandato », cioè si rinunciò a Ior-marlo, ed il solo battaglione che in quel momento esisteva fu

(120) CALÀULLOA,b), p. 22; DE SIVO,a), I, p. 48.(121) CALÀULLOA,b), pp. 18·20.(122) CALÀULLOA,b), p. 19; a), p. 36. Sembra invece una fantasia di DE

SIVO,a), I, p. 49, che i gradi fossero stati comprati «dalla setta ~, dimodocchè anodarono ad individui dei quali «il più dier triste prove s , quali c il Flores, ilCataldo, Alessandro Nunziante, i due Pianelli, il Ghio, ed altri ingratissimi,famosi per tradimenti nel 1860 ».

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trasformato In 6° battaglione cacciatori. Dal reggimento. sici-liano. si formarono poi (r.d. 21 giugno. 1833) i reggimentiIl ° e 12° di linea, « Palermo. » e « Messina », che, conservaronoqualche particolarità d'uniforme a ricordarne I'origine (123).

Altro. espediente, che ebbe miglior risultato, fu I'arruo-lamento. dei reggimenti svizzzeri, che, per molti anni, diedero.all'esercito. del regno. ottime e fedeli truppe. Per capitolazioneCo.Icantone di Lucerna, 5 maggio. 1825, fu formato il l° reg-gimento ; Co.Icantone di Frihurgo, 7 gennaio. 1826, il 2° reg-gimento ; con il cantone di Schwyz, 20 aprile 1827, ed i can-toni del Valle se e dei Grigio.ni, 29 gennaio. 1829, il 3° reggi-mento ; ed il numero. di tre reggimenti esteri previsto. dalr.d, l° luglio. 1821 risultò superato, quando. per capitolazio-ne Co.Icantone di Bema, 16 dicembre 1828, potè formarsiil 4° reggimento. (124).

Sempre nel quadro. d'un rafforzamento della compaginemilitare, furono create, con r.d. 24 febbraio. 1826, la «ispe-zione e comando generale della fanteria nazionale », e la« Iepesione e comando generale della cavalleria» (125). Duer.d. 17 dicembre 1826 riordinarono il Corpo reale del genio,ed il Corpo reale d'artiglieria, ciascuno. con una propria dire-zione generale (126) e due ispezioni generali, di qua e di làdel Faro. Il Genio. aveva quattro. direzioni delle fortifìcazioni(rette da colonnelli), nove sottodirezioni (tenenti colonnelli

Q maggiori], 21 circondari (capitani); l'artiglieria quattro.

(123) ZEZON,p. 32. Portavano bottoni ed ornamenti d'argento anzicchèd'oro.

(124) CALÀULLOA,a), p. 18. Sui volontari svizzeri in Italia, varie Infor-mazioni ambientali in MAZZUCCHETTIe LOHNER,pp. 351 S8.

(125) Ispettore generale di fanteria fu il ten, gen, Vito Nunziante; dellacavalleria il ten. gen. Antonio Pine do (n'AYALA,al, pp. 459 e 491492).

(126) Direttore generale fu il ten, gen, Ferdinando Macry (n'AYALA,a),pp. 380 88.).

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direzioni e 14 sottodirezioni. Con lo stesso decreto, l'armad'artiglieria fu ordinata su 2 reggimenti a piedi, mezza brigataa cavallo della guardia, una brigata artificieri, pompieri edarmieri, una brigata veterani artiglieri da costa, un corpo po-litico-militare, un corpo artiglieri litorali, una divisione trenodella Casa reale, ed un battaglione treno di linea.

La marina, come l'esercito, era stata sciolta col r.d. 29luglio 1822. Il r.d. 7 ottobre 1823 ne fissò la nuova piantaorganica, prevedendo un vice ammiraglio comandante gene-rale (127), e tre retro ammiragli dei quali uno alla maggio-ria generale, uno per l'ispezione, ed uno per il dipartimentodi Palermo. La flotta era prevista di due vascelli, sei fregate,una corvetta, due brigantini, due golette, tre pacchetti (pi-roscafi), 60 lance bombardiere e cannoniere, 20 scialuppe,due trasporti, ma solo una parte di questa forza doveva esse-re in armamento ordinario.

79. Il comando generale del duca di Calabria, e l'ordina-mento dell'esercito sotto Ferdinando II. - Il re Francesco I,col r.d. 29 maggio 1827 (uno dei provvedimenti più felicidel suo breve e non sempre felice regno), istituì il Coman-do generale dell'esercito, da cui dovevano dipendere tutti icorpi, eccezion fatta per le Guardie del corpo, e le compagniedegli alabardieri e della polizia del real palazzo. Nominòcomandante generale il principe Ferdinando di Borbone, du-ca di Calabria, e gli diede per aiutante generale il tenentegenerale don Filippo Saluzzo di Corigliano (128). Il principe

(127) Il comando generale della marina fu affidato al principe Carlo diBorbone, principe di Capua, secondogenito del re Francesco I, il quale 4: daragazzo... mostrava predilezioni per le cose marittime, ammirava gli inglesi,ne studiava la lingua» (CALi ULLOA, b), p. 89).

(l28) ULLOA. Era un «siciliano », che aveva partecipato alla campagnapeninsulare del 1812 (supra, § 75, e nota 71).

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non ancora diciottenne si mise all'opera, se non con esperienza(ovviamente mutuatagli dal veterano che l'affiancava), certa-mente con l'entusiasmo della sua età, e con un sincero desi-derio di bene (129).

Con un decreto della stessa data, 29 maggio 1827, lafanteria e la cavalleria furono organizzate in divisioni, coman-date da marescialli di campo, e brigate di due reggimenti,comandate da brigadieri. Ai tenenti generali erano riservatele cariche di comandante generale, ispettore generale, o di-rettore generale, dipendenti dal Comando generale dell'eser-cito.

Di vari provvedimenti di questo periodo, riguardanti lostato e l'avanzamento degli ufficiali e dei sottufficiali, dire-mo injra, § 85. Per le materie d'ordinamento, ricorderemoil r.d. 12 dicembre 1828, istitutivo del « Corpo lancieri RealPrincipe Ferdinando », divenuto col r.d. 9 dicembre 1830«reggimento lancieri Real Ferdinando », ed il r.d. 9 gennaio1829, che stabiliva il numero degli impiegati contabili dellasanità per gli ospedali militari (130), classificati in tre classidi controlori, e tre di commessi.

Ferdinando II, divenuto re, conservò il più vivo interesseper i problemi militari.

I provvedimenti da lui adottati qualche giorno dopo lasua assunzione al trono potrebbero apparire frivoli, se non

(129) Il che riconosce anche Nrsco, p. 8, che non l'amava.(130) Dal r.d. 9 gennaio 1829 risulta che l'Ospedale generale della Trì-

nità in Napoli contava 750 letti. Gli ospedali di 1" classe erano quelli delSacramento, Napoli, 400 letti, e diS. Francesco Saverio, Palermo, 450 letti;di 2' classe, quelli di Capua, 300 letti; di Gaeta e di Messina, ciascuno 220letti; di 3' classe, Siracusa, 120 letti, e Trapani, 100 letti. c:Ospedaletti », condotazioni variabili. da un massimo di 120 ad un minimo di 25 letti, eranoin Cava, Chieti, Foggia, Andria, Taranto, Tremiti, Ponza, Lipari, Catanzaro,Monteleone (Vibo Valentia), Milazzo. La marina aveva il proprio Ospedalecentrale in Piedi grotta.

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fossero rispondenti a certi «desiderata» dell'ambiente mili-tare. Un r.d. 13 novembre 1830 vietò ai sottufficiali, dalgrado di I" sergente in giù, di portare il bastone: era consue-tudine austriaca, non gradita (131). Un altro decreto, dellastessa data, ordinava agli ufficiali dell'esercito, da colonnelloin giù, ed ai sottufficiali e soldati, di portare i mustacchi;in marina v'erano obbligati solo i sottufficiali e soldati: il che,.permetteva all'esercito d'assumere aspetto francese, ed allamarina d'anglicizzarsi. Infine, con r.d. 6 dicembre 1830, fuapprovato un «regolamento pei nuovi distintivi militari »,con cui l'uniforme militare si orientò verso quel pittorescostile «Louis Philippe» che conservò sino al 1861, tanto fe-delmente da farla scambiare dagli inesperti per uniforme fran-cese (132).

Erano invece provvedimenti motivati da ragioni d'econo-mia, ed intesi inoltre ad eliminare sinecure ed abusi, il r.d.9 dicembre 1830, con cui fu abolita la compagnia di poliziadel real palazzo, sostituita con una compagnia di gendarmiscelti, ed il r.d. 12 dicembre 1830, con cui fu sciolta la com-pagnia « pionieri e cacciatori a cavallo reali », cosiddetti « cac-ciatori verdi ». Erano uomini di provata fedeltà e di splendi-da presenza, ma militarmente inutili, e politicamente antipa-tici come espressione del più estremo sanfedismo (133). In

(131) Si ricordi del GIUSTI,Sant'Ambrogio: « ... un caporale I con la suabrava mazza di nocciòlo ».

(132) ABBA, p. 69: 4: Come? Calzoni rossi? I napoletani hanno già i Fran-cesi con loro? - esclamarono alcuni sdegnati, vedendo il rosso nelle file ne-miche: ma i Siciliani che udirono li quetarono, rispondendo che anche gli uffi.ciali napoletani portano calzoni rossi» (si tratta del combattimento di' Cala·tafìmi). Per le uniformi del tempo di Ferdinando II, vedi le notissime Iito-grafie di ZEZON.

(133) I cacciatori verdi erano in quel tempo comandati dal generale An-tonio de Sivo, sanfedista del 1799, che nel 1806 aveva seguito Ferdinando I inSicilia: ed era padre del noto storico (DE SIVO,a), I, p. 54; NISCO,p. 14 e per

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seguito (r.d. 21 giugno 1833) gli alabardieri furono trasfor-mati in Guardie del corpo a piedi, tratte dai sottufficiali ve-terani che avessero i più distinti precedenti di servizio.

Il Comando generale dell'esercito fu sciolto (r.d. 17 di-cembre 1830) e furono stabiliti 4 «rami », dipendenti dal Mi-nistero della guerra (supra, § 62): Comando reali truppe;Ispezione truppe e materiali; intendenza generale; giurisdi-zione penale militare (art. l r.d. cit.). Erano previsti due«eserciti di guarnigione », per i reali domini di qua e di làdel Faro, dipendenti dai comandi generali delle armi di Na-poli e di Palermo. e dai comandi delle provincie e valli (art.2). Potevano essere create, alla dipendenza del Comando ge-nerale, brigate e divisioni d'istruzione eventuali, comandatedagli ufficiali generali destinati a tale scope nelle piazze (artt.3 e 4): la mancanza di grandi unità permanenti fu, probabil-mente, un elemento di debolezza di quell'esercito, in cui i ge-nerali prendevano il comando dì formazioni costituite da re-parti al generale spesso malnoti, e tra loro stessi male affiatati.In tempo di guerra, il generale in capo dell'esercito d'opera-zione dipendeva dal Ministro della guerra (art. 5). Lo Statomaggiore dell'esercito era costituito in Napoli da un ufficialesuperiore ed otto capitani; in Palermo da un ufficiale superio-re e quattro capitani (art. 6). Il colonnello generale ispettoredella Guardia reale (134) dipendeva dal re per mezzo delMinistro della guerra (art. 7). La gendarmeria dipendeva daicomandi territoriali (art. 8). Erano istituiti gli ispettori d'ar-

i suoi precedenti quale colonnello di Borbone cavalleria, COLLETTA, a), 111,p. 81, e CORTESE N., ivi, p. 124).

(134) La carica d'ispettore fu conservata fino alla sua morte (1851) alprincipe di Salerno, supra, nota (119); il ten. gen. Massimo Selvaggi, «sicilia-no >, generale «al dettaglio », ne ebbe poi le funzioni (non la titolarità) e j-i-mase in servizio fino al 1860, pur essendo in tardissima età (DE CESARE, a), I,p. 184).

33. LANDI • I.

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ma, che potevano essere più d'uno per la fanteria; per l'arti-glieria ed il genio dette funzioni erano affidate ai direttorigenerali.

Le attribuzioni e i doveri dei comandanti generali, deicomandanti di provincia e di valle, dei governatori e co-mandanti di piazza, dei comandanti di brigate eventuali, e didivisioni e brigate d'istruzione, e degli ispettori di arma edirettori generali d'artiglieria e genio, furono stabiliti con r.d.21 gennaio 1831, che va peraltro integrato con la cosiddetta«ordinanza di piazza» (r.d. 26 gennaio 1831: supra, § 62).Un regolamento approvato con r.d. 6 giugno 1831 determinòi calibri dell'artiglieria dell'armata di terra, e fissò le dimen-sioni e quanto riguarda le bocche da fuoco ed i diversi pro-iettili: purtroppo, il materiale, negli anni successivi, non fuadeguatamente accresciuto nè aggiornato (135). La classifi-cazione delle piazze d'armi fu stabilita con r.d. 21 giugno1833. Furono divise in quattro classi, comandate rispetti-vamente da generali, colonnelli, ufficiali superiori, capitani.Piazze di prima classe erano Napoli, Gaeta, Capua, Palermo,Messina, Siracusa; e con lo stesso decreto furono abolite lepiazze di Reggio, Taormina, Brucoli, Mazzara, e Sant'Alessio.

La «organizzazione dell'esercito» fu stabilita col r.d. 21giugno 1833, e modificata con vari provvedimenti, modifi-cati ulteriormente con decreti successivi, alcuni de' quali in-tervenuti sotto il regno di Francesco II (cioè, dopo il 22 mag-gio 1859). L'esercito comprendeva:

a) Stato maggiore generale. - Sei tenenti generali (com-preso il «colonnello generale» della Guardia reale); quat-tordici marescialli di campo (compreso l'ispettore della fan-teria svizzera); trenta brigadieri. Non era compreso nell'or-

(135) BATTAGLINI, b), pp. 162 e 164.

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ganico il Ministro della guerra, che poteva essere anche un« pagano », cioè un civile.

b) Stato maggiore dell'esercito. - Un capo (colonnello);un sottoeapo (ufficiale superiore); 12 capitani; 12 ufficialisubalterni; una compagnia guide (elevata, col r.d. 28 luglio1859, a squadrone guide).

c) Guardia del corpo. - Comprendeva la compagnia«a cavallo », e la compagnia «a piedi ». La compagnia a ca-vallo (supra, § 77) fu maggiormente integrata nell'esercito.Il r.d. 21 giugno 1833 stabilì che, per ogni anno, sei guardieuscissero per alfieri: tre in fanteria, due in cavalleria, una ingendarmeria. Il r.d. 19 marzo 1843 ne aumentò il numero a100, stabilì che dovessero documentare un assegno mensiledi 12 ducati su beni mobili o immobili (136) e le ammise asostenere, dopo sei anni, l'esame per alfiere di fanteria ocavalleria. Avevano però facoltà di continuare la carrieranella compagnia, nel qual caso, prima della promozione a sot-tobrigadiere, si procedeva ad «una revisione de' titoli dellaloro nobiltà ... del più stretto rigore », restando inefficace perl'ascenso ogni sovrana eccezione per l'ammissione. Le guardiea piedi (ex-alabardieri) erano disciplinate dall'altro r.d. 21giugno 1833, cito

d) Corpi facoltativi. - Il r.d. 21 giugno 1833 con-fermava il r.d. 2 settembre 1832, cioè prevedeva una direzio-ne generale e quattro ispettori (supra, § 62).

e) Artiglieria. - Il r.d. cito prevedeva 14 direzionid'artiglieria (la 15\ con sede in Pietrarsa, fu istituita con

(136) Il servizio nelle Guardie del corpo a cavallo era particolarmentecostoso, essendo a carico degli individui il cavallo (morello, e della taglia deidragoni), il vestiario, la manutenzione della bar datura' e dell'equipaggiamen-to; e perfino l'abbonamento obbligatorio agli spettacoli del teatro San Carlo(ZEZON, pp, 12.13; DE CESARE,a), I. pp, 191·192).

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r.d. 12 giugno 1859); due reggimenti a piedi (l° «Re»,2° «Regina»); una batteria SVIzzera;una compagnIa a ca-vallo; un battaglione treno (con r.d. 18 febbraio 1837 nefu stabilito l'organico, nonchè quello delle sezioni del tre-no svizzero); una brigata artefici; un corpo d'artiglieri lito-rali; un corpo politico d'artiglieria. Il corpo degli artiglierilitorali, riordinato con r.d. 26 gennaio 1831, era di 20 compa-gnie, della quali 12 di qua del Faro, e 8 in Sicilia: era uncorpo di artiglieri «pagani», cioè borghesi, composto di vo-lontari da 18 a 30 anni, esenti da leva, che potean provvedersifacoltativamente, a loro spese, d'uniforme e di sciabola; di-pendevano dai comandi locali d'artiglieria, ed avevano propricapi-squadra e vice capi squadra. La brigata artefici fu scioltacon r.d. 16 settembre 1839, e sostituita da una brigata « can-nonieri, artefici e pontonieri », che divenne infine (r.d. 25marzo 1856) «brigata artefici d'artiglieria ».

f) Genio. - Gli er~no assegnati due sottispezioni, undi-ci direzioni, un battaglione zappatori-minatori, un battaglio-ne pionieri, l'officio topografico, e gli istituti d'educazio-ne militare. Per r.d. 1° agosto 1860, il battaglione pionieri di-venne 2° battaglione Genio, ed il battaglione zappatori-minato-ri 1° battaglione Genio.

g) Fanteria. - V'erano 2 reggimenti «Granatieri del-la Guardia» ed un reggimento «cacciatori della Guardia»;con r.d. 5 gennaio 1856 fu istituito un battaglione «tiraglia-tori della Guardia ». La «linea» comprendeva 12 reggimenti(l ° «Re»; 2° «Regina»; 3° «Principe»; 4° «Principessa»;5° «Borbone»; 6° «Farnese»; 7° «Napoli»; 8° «Cala-bria »; 9° «Puglia»; 10° «Abruzzo»; l I" «Palermo»; 12°«Messina »). Il 13° «Lucania» fu istituito verso il 1840;e con r.d. 18 agosto 1859 furono istituiti il 14° «Sannio»

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ed il 15° «Messapio» (137). Ai quattro reggimenti di fante-ria svizzera fu aggiunto, con r.d. 20 marzo 1850, il 13° bat-taglione «cacciatori svizzeri », che non era «capitolato », di-modocchè vi potevano essere ammesse reclute d'altri Stati te-deschi, esclusi i sudditi austriaci; aveva per deposito prov-visorio d'ammissione Lecco, per lingua di servizio il te-desco; e norme analoghe a quelle in vigore per i reggimenticapitolati. I hattaglioni di cacciatori a piedi, per il r.d. 21 giu-gno 1833, erano sei; ma nel 1856 erano progressivamenteaumentati a dodici (138); con r.d. 18 agosto 1859 si for-marono il 14° ed il 15°; con r.d. I" gennaio 1860 il 16°; edinfine, divenuto il 13° svizzero il «3° hattaglione carabinie-ri cacciatori », venne istituito (r.d. 12 fehhraio 1860) il 13°hattaglione. I provvedimenti del 1859-1860 conseguirono al-lo scioglimento dei reggimenti svizzeri, di cui, e dellaloro sostituzione con «cacciatori esteri », si dirà injra; § 81.Nel 1848, con elementi della aholita gendarmeria, fu ordi-nato 'il «reggimento carahinieri a piedi », che, nel 1850,

(37) I reggimenti di linea avevano mostrine di vario colore, identicoper ogni due reggimenti 0° e 2'; 3° e 4°; etc.), destinati a formare brigata. Nonsi trova nella Collezione il decreto istitutivo del 13', probabilmente creato perreale rescritto ; risulta però dallo stato di servizio del maggiore (brigadiere nel1860) Francesco Landi (ASN, libretti di vita e costumi, 2' serie, anno 1854) chequesti era stato destinato capitano nel 13° di linea il I" luglio 18<W,rimanendovifino al I" settembre dell'anno stesso, quando fu trasferito al 2° battaglione cac-ciatori.

(38) L'8" battaglione (tanto noto per la sua brillante condotta nel com-battimento di Calatafimi, 15 maggio 1860) era stato formato nel 1848, e si di-stingueva per le buffetterie nere, anzicchè bianche (ZEZON, p. 34). Il 9°, fu for-mato distaccando il 3° battaglione del l° di linea «Re s , rimasto ugualmenteal comando del maggiore Francesco Landi (r.d, 5 gennaio 1856). Sull'operadi civile solidarietà del 3° battaglione e del suo comandante in Taranto duran-te la carestia del 1853, vedi Religione e morale • Virtù militari, in L'Omnibus;Napoli, 11 ottobre 1854, n. 81. Non risultano le date d'istituzione dei battaglio-ni 1', lO', Il" e 12° (confronta supra, nota 137).

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fu assegnato all'ispezione della fanteria di linea, ed aveva lecaratteristiche e I'impiego d'un reggimento di granatieri (139).

h) Cavalleria. - Comprendeva due reggimenti di ca-valleria della Guardia (usseri}; quattro reggimenti di drago-ni (« Re », «Regina », «Principe », «Borbone»: ma que-st'ultimo, forse per il nome che ricordava gli avvenimenti del1820, doveva essere formato solo in tempo di guerra); duereggimenti di lanceri. Nel 1848, con elementi dell'abolita gen- .darmeria, fu ordinato il «reggimento carabinieri a cavallo »,che, nel 1850, fu assegnato all'ispezione della cavalleria, edaveva le caratteristiche e l'impiego d'un reggimento di dra-goni (140). Nel 1848, fu altresì formato il «Corpo cacciatoria cavallo », subito impiegato nelle operazioni in territoriopontificio; nel 1850 divenne «reggimento cacciatori a caval-lo» (141). Col r.d. 29 marzo 1843, fu approvato il regola-mento per l'istituzione delle razze militari di cavalli: furonoindividuate tre razze (Puglia e Abruzzo; Calabria; Sicilia) edistituita una direzione generale in Napoli, composta d'un ge-nerale e due ufficiali, da cui dipendevano tre depositi: il L",con sede alterna in Foggia e Roccadimezzo; il 2°, con sede inBèlcastro; il 3°, con sede in Lentini.

i) Gendarmeria. - Il r.d. 13 maggio 1833 l'aveva di-stinta in gendarmeria a piedi (due campagnie scelte, ed ottobattaglioni), e gendarmeria a cavallo (uno squadrone scelto,ed otto squadroni), più otto sezioni di gendarmi veterani. Colr.d. 14 ottobre 1837, gli squadroni scelti divennero due, stabi-liti l'uno in Napoli, l'altro in Palermo, mentre, degli altrisquadroni, nove stavano di qua del Faro, ed uno in Sicilia;

(39) ZEZON, p. 30.(140) ZEZON, p. 41.(141) ZEZON, pp. 4647.

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per il resto, rimaneva l'ordinamento del 1822 (supra, § 78).Senonchè il Governo costituzionale (r.d. 15 marzo 1848)scoprì, non si comprende bene perchè (probabilmente in odioal ministro del Carretto, che per molti anni l'aveva comanda-ta: g.u;pra, § 61), che la gendarmeria reale non era « più com-patibile con le istituzioni del libero reggimento costituziona-le », e la trasformò in «Guardia di pubblica sicurezza ». Co-me tale, ebbe un generale ispettore, un colonnello «al detta-glio », cinque ufficiali superiori comandanti di divisione (Na-poli, Salerno, Chieti, Bari, Cosenza), cinque squadroni acavallo, e diciotto compagnie, delle quali tre per Napoli, ele altre quindici, una per provincia di qua del Faro. Il nomedi gendarmeria reale fu restituito col r.d. 16 dicembre 1852.Con r.d. 28 luglio 1859, furono istituite dodici nuove com-pagnie di gendarmi, e le « divisioni» presero il nome di bat-taglioni, ciascuno di sei compagnie ed uno squadrone (Napolie Terra di Lavoro; Principati e Basilicata; Calabrie; Puglia;Abruzzi e Molise). È da notare che, dopo gli eventi del 1848,nè la «guardie di pubblica sicurezza », nè la «gendarmeriareale », costituirono propri reparti o comandi territoriali dilà del Faro; v'erano tuttavia in Sicilia elementi di gendarmeriaper i servizi di polizia militare, dipendenti dal «gran pre-vosto» (142).

j) Corpi sedentanei. - Il r.d. 21 giugno 1833 menzro-nava la real Casa Veterani, il reggimento reali veterani (su-pra, § 77); e quattro «compagnie di dotazione» (Ponza,Favignana e Pantelleria, Lipari, Ustica), abolite nel 1841 (143).

(142) VERRI, p. 223. Peraltro, quando furono sciolti i reggimenti svizzeri,mentre la situazione in Sicilia diveniva pesante, il luogotenente prese a sol-lecitare l'invio in Sicilia di gendarmi, ma non pare abbia ottenuto nulla (Mo.SCATI, b), pp. 107, 146).

(143) ARGIOLAS, p. 81.

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V'erano, inoltre, 14 compagnie di riserva, costituite da uffi-ciali e militari «riconosciuti inutili dalla giunta sanitaria peril servizio attivo », provenienti da tutti i corpi dell'armata, edestinati alla guardia delle carceri, ed ai servizi di scorta deidetenuti (144). Queste compagnie, con r.d. 18 agosto 1859,furono poi ridotte ad otto. Una compagnia di veterani sviz-zeri fu istituita con r. 23 novembre 1849, citato nel r.d. 29dicembre 1851 con cui fu istituita la 2a compagnia veteraniSVIZZerI.

L'esercito doveva essere sul piede di pace di 60.000 uo-mini, e sul piede di guerra di 80.000, cioè di quattro ocinque divisioni su due brigate, con tre batterie d'otto pezziper divisione (145). Esso partecipò ad azioni di guerra nel1848 in Lombardia; nel 1849 nello Stato pontificio, in Cala-bria ed in Sicilia (146); nel 1859 fu possibile organizzare unaforte colonna mobile in Abruzzo, per sorvegliare la frontie-ra del regno, là dove si supponeva più vulnerabile (147).

80. Altri provvedimenti del regno di Ferdinando 11: lecompagnie d'armi in Sicilia, le guardie d'onore, la riserva delreal esercito. - Al regno di Ferdinando II si debbono, mmateria militare, alcuni altri importanti provvedimenti.

Gravavano sul bilancio del Ministero della guerra le spe-se delle «compagnie d'armi» in Sicilia, le quali, peraltro,erano un corpo di polizia a cavallo, e dipendevano perciò di-rettamente dalla Direzione generale di polizia (v. anche in-

(144) ZEZON, p. 49.(145) FABRIS, II, p. 6l.(146) Per la campagna di Lombardia dell'esercito borbonico, FABRIS, Il,

pp. 72-86; 111, pp. 27 55., 73 55., 80 55.; PIERI, a), pp. 448 58.; per quella nelloStato pontificio, DE SIVO, a), I, pp. 328 88.; PIER!, a), pp. 422 55.; per le camopagne di Sicilia e Calabria, nE: SIVO,a), I, pp. 23() 58.; PIERI, a), pp. 473 55,

(147) BATTAGLINI,c),

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fra, § 106). Si trattava d'una istituzione di remota origine(istr. 16 dicembre 1813) abolita dopo il 1815, che fu rior-dinata col r.d. 21 giugno 1833. Le compagnie erano com-poste d'un capitano e di 12 soldati, compreso il trombet-ta; il r.d. cito prevedeva una « compagnia reale» e 23 com-pagnie distrettuali, ma le compagnie reali, col r.d. 4 febbraio1834, furono elevate a due, la prima in Palermo, con venti-due soldati, e la seconda in Caltagirone, con quindici soldati.Le compagnie reali avevano come speciale attribuzione iltrasporto de' fondi regi da' capoluoghi di valle a' banchi diPalermo e Messina; tutte le compagnie svolgevano servizidi polizia giudiziaria e d'ordine pubblico. I capitani d'armierano di nomina governativa, e percepivano un soldo di d.100 mensili; essi ammettevano e congedavano i soldati (cheavevano un soldo mensile di d. 20 se di 1a classe, e di 18 sedi 2&classe), e potevano fare anche, nelle sedi più importan-ti, arruolamenti straordinari. Il capitano d'armi doveva risar-cire ai derubati i furti commessi con violenza nelle campagnedel distretto, e perciò doveva prestare idonea cauzione, e ri-lasciare un sesto del soldo, che veniva svincolato dopo esser-si accertato che non v'erano furti da soddisfare. Le compa-gnie d'armi furono sciolte con r.d. 14 ottobre 1837, ed ilservizio fu affidato alla gendarmeria, in cui furono trasferitii loro militari (148). Peraltro, quando, nel 1849, i reali do-mini di là del Faro furono ridotti di nuovo all'obbedienza,il direttore generale Maniscalco (supra, § 61), che pure eraufficiale di gendarmeria, preferì ricostituire le compagnied'armi. Ciò gli permise d'utilizzare elementi coraggiosi edenergici, che ottennero positivi risultati, pur non avendo sem-

(148) Le istruzioni per il trasporto dei fondi regi in Sicilia, dopo il tra-sferimento del servizio alla gendarmeria, furono impartite dal luogotenentegenerale, 11 dicembre 1837 e 29 gennaio 1838 (PETlTTl, II, pp. 409 e 411).

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pre un passato politico e giudiziario ineccepibile, e che non eb-bero la facile tentazione di darsi al malandrinaggio (149).

Il r.d. 30 maggio 1833 istituì le «Guardie d'onore »:uno squadrone per Napoli, ed otto per le province di qua delFaro, cui poi se ne aggiunsero (r.d. 16 gennaio 1834) quattrooltre il Faro (Palermo e Trapani; Messina; Girgenti e Calta-nissetta; Catania e Siracusa), tutti dipendenti da un coman-dante superiore (150). Nel 1850, v'erano due squadroni nel-la capitale, ed uno per ogni provincia, di 140 individui, trai 17 ed i 40 anni d'età, compresi il capo squadrone, quat-tro capi plotone, un primo sergente, un foriere, 12 caporali,tre trombette; il limite d'età fu poi elevato a 20 anni perl'ammissione, ed a 50 per la cessazione dal servizio (151).Questo corpo, sorto per iniziative spontanee di «volenterosigiovani» in occasione dei viaggi di Ferdinando II (152), non

(149) DE MAYo,pp. 130·131. Secondo DE SIVO,a), I, p. 401, le compagnied'armi, col r.d. 14 ottobre 1837, erano state abolite percbè non curavano I'abi-geato, ed anzi lasciavano liberi i ladri, con grave danno dell'agricoltura; Mani-scalco, invece, le rese espressamente responsabili della prevenzione di tali delrt-ti. Sembra, in sostanza, che questo tipo di formazioni «leggere» fossero par-ticolarmente idonee per la polizia delle campagne, dove in vaste distese piùo meno inabitate, imperversava l'abigeato. Pienamente favorevole è il giudi-zio di PALMIERIDI MICCICHÈ,b), I, 209, secondo cui questa istituzione c fit dìs-paraitre les vols et Ies voleurs, et l'on pouvait voyager en Sicile la bourse àla main », dimodoccbè ne auspicava la ricostituzione. Il governo dittatorialesostituì i compagni d'arme (mal visti, perchè cooperavano con l'esercito regiocome guide ed informatori) con i «militi a cavallo» (decreto 7 giugno 1860,in COMITATOCITTADINO,p. 97), tra i quali, ovviamente, furono inquadrati «ipiù famigerati assassini e traditori» . (ALATRI,pp. 187 ss.), Questi militi ma-fiosi furono ancora sosituiti da un corpo speciale di guardie di pubblica si-curezza a cavallo (r.d, 25 settembre 1881, n. 554: RENATO,p. 363), i cui repartisolevansi chiamare «squadriglie ».

(150) Fu il maresciallo di campo Giuseppe Ruffo di Scilla: supra, nota(71), al quale subentrò nel 1855 il brigadiere, poi maresciallo di campo, ducaRiccardo di Sangro (ZEZON,p. XXVI), promosso tenente generale (r.d, 8 ottobre1860) in Gaeta, dove lasciò la vita.

OSI) ZEZON,pp. XXVI e 14.(152) ZEZON,p. 14, il quale definisce la GUHdia d'onore «istituzione, unica

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parrebbe d'alcuna utilità militare: prestava servizio nelle rr-correnze di solennità e di gala, e quando il re o altri com-ponenti della real famiglia si trovavano nella provincia svol-geva il servizio stesso delle guardie del corpo a cavallo.

I possidenti delle classi elencate nel r.d. lO maggio 1834,che fossero proprietari d'un cavallo da sella, erano obbligatia far parte dello squadrone della provincia di domicilio, ederano esentati dal servizio nella Guardia d'interna sicurezzae nella Guardia urbana (in/ra, § 106) (153). Erano quindia loro carico l'uniforme ed il cavallo (154), eccezion fattaper i trombetti, che eran vestiti, montati e salariati a spe-

in tutta Europa, nata dall'amore spontaneo dei sudditi verso il Sovrano >. LeGuardie d'onore non erano però un'istituzione originale, perchè, con la stessacomposizione e le stesse finalità, esistevano al tempo di Gioacchino Murat(r.d, 8 novembre 1808: vedi anche supra, nota 88), il quale aveva imitato le«Gardes d'honneur» organizzate in Francia nel 1805.1806,e riordinate nel 1813(GODECHOT, p. 608).

(153) I capi e sottocapi urbani non potevano lasciare il servizio, per pas-sare nella Guardia d'onore, senza il permesso del Ministro della polizia gen~-rale,' data la difficoltà del rimpiazzo nelle dette cariche (r. 7 luglio 1834, inPETITTI, III, p. 222; in/ra, § 106).

(154) Di regola, le famiglie erano tenute a fornire alla Guardia d'onoreun solo milite, a preferenza il più giovane tra più fratelli; erano state in-trodotte esenzioni perpetue a favore delle persone che ricoprivano certe ca-riche (giudici, notai) e temporanee per coloro che ricoprivano cariche ed im-pieghi comunali, o esercitavano la professione di medico-chirurgo condottatoo di farmacista; ed infine erano esenti, anche se in grado d'acquistare un ca-vallo da sella, gli «assolutamente negati all'equitazione, che sarebbe metterli atortura il proporsi di vincere un'avversione naturale, o pure spargere il ridi.colo . sull'adempimento d'un servizio sì nobile ». La vendita del cavallo nonera causa d'esenzione. In sostanza, la complicata casistica, esaminata e risoltanei r. 16 dicembre 1834, 28 marzo 1836, 16 luglio 1841 (PETITTI, IV, pp. 334,361, 431) farebbe supporre che il servizio, indubbiamente oneroso per l'obbligodi provvedere cavallo da sella e ricca uniforme (ZEZON, tav. 15), non fossepiù tanto ambito e si fossero raffreddati i primi entusiasmi. Fu anche stabi-lito (r. 23 settembre 1843, in PETITTI, III, p. 461) che il periodo d'esenzioneper l'esercizio d'impieghi regi o municipali non fosse computabile per I'avan-zamento, nel quale, per contro, dovevano godere titolo di merito coloro cherinunziavano all'esenzione temporanea,

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se della provincia. Il r.d. 30 maggio 1833 concedeva loro,altresì, l'esenzione dalla leva (155), con l'impegno di ser-vire per cinque anni nella guardia d'onore (156), previa au-torizzazione del Ministero della guerra (157). Ma se nonprovvedevano l'uniforme, o non rispondevano alle chiamate,decadevano dalla dispensa, e non potevano nemmeno ottenereil cambio (158). Più tardi fu stabilito che le guardie, per li-berarsi dal servizio di leva, dovessero consegnare alla Giuntadi rimonta sei cavalli, o il loro valore (159). L'esenzione dalservizio di leva fu revocata con r. 25 marzo 1849 (160);e con r. 23 dicembre 1853 (161) fu tolta la facoltà di rifiuta-re le cariche comunali.

L'ammissione nella Guardia d'onore avveniva su propostadell'intendente e del comandante delle armi della provincia;le promozioni erano proposte dal comandante dello squadro-ne al comandante superiore (162). I capi squadrone eranoassimilati ai capitani, ed i capi plotone agli ufficiali subalterni;ma 'sotto le armi avevano precedenza nel comando gli uffi-ciali effettivi del rispettivo grado dell'esercito mentre, peri sottufficiali ed uomini di truppa, la precedenza era data dalgrado e dall'anzianità di nomina (163).

Le guardie d'onore furono dette «guardie nazionali a

(155) Il dubbio che tale esenzione prevista dal r.d. 30 maggio 1833 fossestata revocata dal r.d. 19 marzo 1834 sulla leva, che più non ne faceva menozione, fu eliminato dal r. 23 settembre 1834 (PETITTI, 111, p. 85).

(156) R. 9 ottobre 1834, in PETITTI, 111, p. 87.(157) Circo Min. Affari interni, 9 maggio 1838, in PETITTI, 111, p. 107.(158) R. 3 ottobre 1840, in PETITTI, I1I, p. 121.(159) R. 22 maggio 1841, in PETITTI, 111, p. 127.(160) PETITTI, 111,p. 148.(161) PETITTI, V, p. 564.(162) R. 11 aprile 1834, in PETITTI, IV, p. 318.(163) R. 2 maggio 1835, in PETITTI, IV, p, 3.44.

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cavallo» durante la parentesi costituzionale 1848-1850, e dinuovo dopo il 25 giugno 1860.

Provvedimento di rilevante interesse militare è il r.d. 4dicembre 1839, con cui fu approvato il regolamento relativo«alla formazione, alle riunioni periodiche, all'istruzione edalla disciplina della riserva del real esercito ». La riserva eracostituita dai sottufficiali e soldati che, compiuto il quinquen-nio di servizio militare nei corpi, dovevano rimanere per altricinque anni pronti a ritornarvi (art. 2 r.d. 19 marzo 1834:injra; § 90). Essi erano assimilati ai militari in congedo tem-poraneo (164), ed era loro vietato d'impegnarsi come cam-bi (165), ma potevano servire nella forza doganale (166).Potevano, col permesso del comandante della provincia, re-carsi dovunque per ragioni di lavoro, dandone però comunica-zione al 2° eletto del Comune, e al decurione anziano, o adaltro designato dall'intendente (167); e potevano ottenere dalcomandante della provincia, se residenti in provincie di fron-tiera, il permesso di temporanea emigrazione nello Stato pon-tificio (168). Se indigenti, avevano diritto ad essere curatinegli ospedali civili, a spese della provincia (169).

I sottufficiali e soldati che avean compiuto i cinque annidi servizio attivo ricevevano un congedo provvisorio in cartarossa (170), che, compiuti i cinque anni di servizio nella r'i-

(164) R. 6 novembre 1840, in PETiTTI, I1I, p. 121 (l'occasione fu data dal-l'arresto, da parte d'un caporale di gendarmeria, d'un caporale dei granatieridella riserva con cui aveva avuto briga).

(165) R. 28 febbraio 1840, in PETITTI, 111, p. 118; circo Min. Interno 18maggio 1850, ivi, p. 159.

(166) R. 16 marzo 1840, in PETITTI, 111, p. 119.(167) R. 30 novembre 1842 e 17 ottobre 1843, in PETITTI, 111,p. 131 e 136.(168) R. 5 novembre 1840 e 17 ottobre 1843, in PETITII, 111,pp. 121 e 136.(l69} R. 20 giugno 1840, circo Min. Aff. interni 24 aprile 1841, r. 7 marzo

1844, in PETITII, 111, pp. 119, 126, 138.(170) Il« congedo rosso ~ si dava anche a quei militari che, congedati

per «inutilità », cioè per inabilità fisica, avevano l'obbligo di riprendere ser-

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serva, era sostituito dal congedo definitivo in carta bianca(art. 4 r.d. 4 dicembre 1839). I riservisti erano obbligati araggiungere entro un tempo massimo il comune in cui in-tendevano fissare il domicilio, e ad iscriversi presso il comune(artt. 5 e 7 r.d. cit.); a chiedere al comandante della provinciail permesso per cambiare domicilio (art. 8 r.d. cit.); ed ilprimo eletto (in/ra, § 113) doveva informare il comandanteprovinciale dei matrimoni, delle morti, e d'ogni altra mutazio-ne (art. lO r.d. cit.).

Il comando degli uomini di riserva spettava in ogni pro-vincia al comandante provinciale; in ogni distretto, il comandoera affidato ad un ufficiale (dei servizi sedentanei, o al ritiro),ed in ogni comune parimenti ad un ufficiale, o, in difetto,ad un sottufficiale al ritiro o della stessa rrserva (artt. 2 e3 r.d. cit.).

I riservisti dovevano riunirsi, in ogni comune, la primadomenica del mese, dopo la messa, per esercitarsi nella mar-cia e nelle evoluzioni, sotto gli ordini del comandante comu-nale (art. 11 r.d. cit.). Potevano altresì essere riuniti per icampi d'istruzione, o per essere «rivistati », nel qual caso ri-cevevano l'alloggio, il presi, il vestiario, gli oggetti d'equi pag-giamento e le armi, ed i sottufficiali riprendevano il grado,e ricevevano il corrispondente trattamento economico (artt.11-15 r.d. cit.).

I castighi militari, previsti per le mancanze agli esercizi oper gli abusi di permessi, consistevano nella prigionia, da scon-tarsi nelle carceri ordinarie. Ne' casi più gravi era previstoil ritorno al corpo, con decisione ministeriale (artt. 15-17 r.d.cit.).

vizio se ristabiliti in salute. I volontari siciliani congedati, in tal caso; ave-vano gli obblighi medesimi dei militari della riserva (r. 8 ottobre 1842, inPETITTI, 111, p. 130),

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81. Provvedimenti del regno di Francesco II.- - Alcuniprovvedimenti del regno di Francesco II (dal 22 maggio 1859)sono stati già menzionati (supra, § 79), in quanto modifì-cazioni ed integrazioni di provvedimenti del regno precedente.

L'anno 1859 vide la fine de' reggimenti svizzeri, che era-no stata una delle più forti e fidate istituzioni militari delregno. I quattro reggimenti formati in base alle capitolazio-ni degli anni 1825-1828 (supra, § 78) erano stati prorogatiper altri trent'anni: il I" e 2° reggimento, con due r.d. 14marzo 1855; il 3°, con r.d. 1 agosto 1856; ed il 4° conr.d. 23 luglio 1858. Non era una proroga convenzionale, per-chè la Confederazione elvetica, venuto al governo dal 1849il partito radicale, aveva anzi denunciato le capitolazioni, egli arruolamenti continuavano in forma privata. Era quindispiegabile che nel 1859 il governo svizzero chiedesse al reche dalle bandiere de' reggimenti fossero tolte le armi confe-derali e cantonali (171). NelI' opinione liberale del tempo,sembrava questa un'abnorme collusione tra la democrazia re-pubblicana e l'assolutismo regio, e gli svizzeri, che pur si re-cavano a gloria la difesa delle Tuileries del lO agosto1792 (172), arrossivano del 15 maggio 1848, mal comprenden-do come l'uno e l'altro fatto non differissero che nel risul-tato (173). La questione delle bandiere fu la causa determi-nante della sanguinosa rivolta del 7 luglio 1859 (174). È diffi-cile poi dire se vi sia stata in ciò opera di sobillazione o dicorruzione d'agenti sardi o mazziniani (ed è più facile di que-sti ultimi, allora stabiliti e protetti nella libera Svizzera, men-tre i sardi osservavano un'ambiguità tartufesca), o francesi

(I7l) DE SIVO, a), I, p. 481.O 72) Sul monumento commemorativo di tale glorioso e sfortunato fatto

d'armi (<< il leone di Lucerna» l, vedi MAZZUCCflETTI e LOHNER, pp. 352 SB.(73) MAZZUCCHETTI e LOHNER, pp. 354 58.(74) DE SIVO, al, I, pp. 481 85.; DE CESARE, a), II, pp. 17 SB.

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(175); ma è certo che la posizione dei volontari svizzeri eradivenuta moralmente insostenibile.

Sembra dunque infondato supporre che il licenziamentodegli svizzeri, deciso in conseguenza della rivolta, sia stato ef-fetto d'un piano « settario» di Carlo Filangieri e d'AlessandroNunziante, per demolire una colonna del regime (176); anchese è vero che gli svizzeri erano oggetto d'invidia per il trat-tamento economico privilegiato, e d'antipatia come segno didiffidenza del re verso la nazione, dimodocchè la loro parten-za non destò alcun rammarico, specie tra i militari.

Con tre r.d. 13 agosto 1859, furono abrogati i r.d. 14marzo 1855, 1° agosto 1856, e 23 luglio 1858, di prorogadel 2°, 3° e 4° reggimento; con r.d. 31 agosto 1859, gli sviz-zeri veterani furono raccolti a Portici, in tre compagnie; e conr.d. 21 settembre 1859, fu sciolto il I" reggimento svizzero.In verità, la rivolta era scoppiata nel 3° reggimento, che ave-va contagiato il 2°, mentre il 4°, al contrario, aveva fatto fuo-co sui ribelli (177), ed il I", trovandosi in Palermo (178), erarimasto del tutto estraneo. Ma non era possibile conservareuna situazione anacronistica, contro cui l'opinione pubblica

(175) Su tali sospetti, comunque non arbitrari, DE SIVO,a), I, p. 483 (ilquale dice che sulle persone dei caduti e dei prigionieri eransi trovati na-poleoni d'oro); GALDI,p. 82 (secondo cui gli svizzeri gridato aveano «viva Napo-leone 111»); nonchè DE CESARE,a), II, pp. 22.23, ed una lettera di Francesco Ilal luogotenente di Sicilia, in MOSCATI,b), p. 101.

(176) DE SIVO,a), I, pp. 483·484; INSOGNA,p. 35.(177) DE SIVO,a), I, p. 482; secondo una nota di GAETAe CORSIin INSOGNA,

p. 35, i rivolto si sarebbero stati appena 300, e tale appunto, secondo DE CE·SARE,a), II, p. 18, sarebbe stata la forza del 3° reggimento, decimato nei com-battimenti di Catania (1849), e ricostituito con giovani reclute, più sensibilia nuove opinioni.

(178) Dalla corrispondenza tra il luogotenente, principe. di Castelcicala,ed il re Francesco II (MOSCATI,b), pp. 102, 104.107) risulta l'ottima condottadel l° reggimento, che prestò servizio regolare fino alla vigilia dell'imbarcoper Napoli (21 agosto 1859).

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europea, ed in particolare quella svizzera, erano eccitate an-che da episodi recenti (179). Di conseguenza, la maggior partedegli svizzeri partirono, con un premio di congedamento di60 ducati.

A compensare la perdita di tali truppe, provvide in par-te la formazione dei due nuovi reggimenti di linea, e dei quat-tro battaglioni cacciatori (supra, § 79). Non si rinunciò, tutta-via, alle truppe estere, utilizzando sia un'aliquota di svizzeri,rimasti volontariamente in servizio, sia nuove reclute, anchese tale specie d'arruolamenti diveniva sempre meno oppor-tuna.

Dal 1° reggimento svizzero, si formò il 1° battaglione ca-rabinieri (r.d. 21 settembre 1859), e, con la stessa data, dal2°, 3° e 4° reggimento si trasse il 2° battaglione carabinieri.Il 13° battaglione cacciatori svizzeri, che come reparto «noncapitolato» era estraneo alle cause della rivolta, ed aveva an-zi contribuito a reprimerla (180), fu «confermato» col nomedi «cacciatori carabinieri» (r.d. 21 settembre 1859), e poi,con r.d. 12 febbraio 1860, divenne il 3° battaglione carabi-nieri cacciatori, dal cui deposito fu formato (r.d. 27 maggio1860) il 4° battaglione carabinieri cacciatori. Le compagnie diveterani svizzeri divennero quattro, col nome di «battaglioneveterani carabinieri », e la batteria svizzera, come «batteria

(179) Era stata molto sfruttata dalla propaganda liberale, col nome dic strage di Perugia s , la rioccupazione di tale città (20 giugno 1859) da partedi una colonna di truppe pontificie comandata dal colonnello (poi generale)Schmidt, e costituita in parte da truppe svizzere. Vi furono combattimentinelle strade; ed inevitabili eccessi, che sono ridimensionati, ma non negati,da un ex-volontario dell'esercito di Pio IX, O'CLERY, pp. 89-92.

(I80) Era comandato, fin dalla sua costituzione (supra, § 79) dal maggioreGiovanni Luca von Mechel, che, colonnello nel 1860, ebbe una parte di rilievo,anche se non fortunata, nelle operazioni in Sicilia di quell'anno, partecipò colgrado di brigadiere alla battaglia del Volturno, dove morÌ da valoroso suo figlioEmilio, primo tenente (BATTAGLINI, a) I, p. 149; BUTTÀ, p. 289), e fu promossomaresciallo di campo in Gaeta (r.d. 8 ottobre 1860).

34. LANDI - I.

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della divisione carabinieri », prese il nome di «batteria da4 leggera» (r.d. cit.). Tutti dipendevano dalla «ispezionedei Corpi esteri» (181). I battaglioni esteri furono poi detti«carabinieri leggeri ».

Questi volontari esteri erano detti volgarmente «bavare-si» (182) perchè si supponeva fossero compatrioti della Regi-na Maria Sofia, venuti a sostenerne il trono. Provenivano qua-si tutti da paesi di lingua tedesca, e (sebbene tre battaglioniabbiano partecipato alla battaglia del Volturno) non avevanocerto le doti dei vecchi svizzeri (183). Può darsi che fosserosobillati da propaganda rivoluzionaria, il che potrebbe essereconfermato dalle frequenti diserzioni con passaggio al nemi-co durante la campagna del 1860 (184); comunque, la non ec-celsa prova che diedero è sufficientemente spiegabile, perchèdopo ben pochi mesi dalla loro formazione questi battaglionisi trovarono a partecipare alla finale crisi politico-militare delregno.

Francesco II non potè dare opera ad un rinnovamento del-l'esercito, essendo si trovato ben presto travolto dalle note vi-cende del 1860-1861. Tuttavia, ancor dopo la partenza del

(81) ZEZON, p. XXXVIII. Ispettore delle truppe svizzere era, dal 1850, ilbrigadiere Giuseppe Sigrist, cbe assunse come maresciallo di campo la caricad'ispettore dei Corpi esteri, e fu promosso tenente generale in Gaeta (r.d. 8 ot-tobre 1860).

(82) ABBA, p. 135: «Li chiamano Bavaresi; ma sono Svizzeri, Tedeschie perfino Italiani ». Questi ultimi Probabilmente erano sudditi austriaci di lin-gua italiana: infatti DE CESARE,a), II, p. 23, ricorda «bavaresi ed austriaci »,che dai piroscafi del Lloyd austriaco erano sbarcati a Molfetta.

(183) DE CESARE, a), loe. eit. È gratuita l'affermazione di MILANI, p. 89,secondo cui trattava si «dei migliori soldati che si potessero trovare in Europa ».

(84) Secondo DE SIVO, rr) I, p. 484, le reclute boeme e tedesche erano so-billate da un comitato rivoluzionario di Boemia. Anche DE CESARE,op. loe. cit.,assicura che v'erano di quelli che «mormoravano a bassa voce: fife Caripalde»;ed ABBA, loe. cit., annota, in data 2 giugno 1860, che già molti «bavaresi ~erano passati a Garibaldi, e promettevano «di battersi contro i loro commllì-toni, con millanteria disgustosa ~.

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re da Napoli (6 settembre 1860), si trovano una serre di de-creti reali, su proposta del presidente del Consiglio dei ministrie ministro della guerra, ten. gen. Francesco Casella (nomina-to con r.d. 7 settembre 1860), tutti datati da Gaeta, concui si cercava d'organizzare l'estrema resistenza al nord delVolturno.

Con r.d. 15 settembre 1860, venivano sciolti i reggimentidi linea Ll", 12°, 13° e 15°, ed il reggimento carabinieri; ele frazioni di tali reggimenti, nonchè otto compagnie del 14°reggimento, vennero utilizzate per completare il 2° e 4° dilinea; con altro decreto della stessa data furono riorganizzatii battaglioni cacciatori, I", 5°, Ll", 12° e 13°. Con r.d. 23settembre 1860, venivano sciolti i reparti di cavalleria (2 squa-droni di carabinieri a cavallo, due del 2° dragoni, due dell° lancieri, una compagnia del treno, 3 squadroni di gendar-meria) che non avevano raggiunto i rispettivi corpi sul Voltur-no. Con r.d. lO ottobre 1860, fu attribuito l'alloggio a spesedei comuni alle famiglie dei militari che si allontanavano prov-visoriamente dalle loro residenze. Le compagnie di riserva(supra, § 79) furono sciolte, e con gli individui che trovavan-si in Mola si formò un battaglione di sei compagnie (r.d. 22ottobre 1860).

Si tentò poi d'integrare l'esercito d'operazione con una for-za volontaria, affidata al barone Teodoro Federico KIitschede la Grange, nominato colonnello con r.d. 14 settembre1860 (185). Il giorno successivo (r.d. 15 settembre 1860) fupertanto disposta l'organizzazione in Itri d'una «brigata vo-lontari », di quattro battaglioni. A torto quindi si sono qua-lificati tali volontari come «briganti », mentre essi facevano

(185) Ha quindi torto ACRATI, p. 535, di mettere in dubbio l'affermazionedi BUTTÀ, p. 300, che il Klitsche de la Grange fosse stato nominato con de-creto reale, di cui indica la data «16 settembre s-. L'errore è solo nel giorno,Ad il decreto è in Gazzetta di Gaeta, 20 settembre 1860, n. 2.

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indiscutihilmente parte dell'esercito regio. C'è da dire, piutto-sto, che la brigata risultò mal composta: v'erano militi del-le compagnie d'armi e guardie di polizia fuggiti con le fa-miglie dalla Sicilia; cafoni; soldati sbandati ed ufficiali dei ser-vizi sedentanei, e, probabilmente, detenuti e relegati di Pon-za e Ventotene, graziati col r.d. 11 settembre 1860; ed eraanche male armata; dimodocchè, dopo avere recuperato partedel distretto d'Avezzano, finì per sconfinare in territorio pon-tificio (16 novembre 1860), dove fu disarmata (186). Si deciseanche (r.d. 28 ottobre 1860) di ricostituire l'11° di linea «Pa-lermo », per accogliervi i volontari esteri che giornalmente sipresentavano in Itri; ma è del tutto improbabile che tale misu-ra abbia avuto un principio d'esecuzione (187).

I corpi e frazioni transitati nello Stato pontificio furonosciolti « provvisoriamente» col r.d. 28 novembre 1860. Infine,con r.d. 14 dicembre 1860, furono sciolti i due reggimenti«granatieri della guardia », ed il reggimento «cacciatori del-la guardia », collocandone gli individui in congedoprovvisorio;e con quadri prelevati da tali corpi, ed individui scelti tra ipiù distinti e meritevoli di tutti i corpi di linea, fu formatoun «battaglione volteggiatori », che, con il «battaglione tira-gliatori », formò la l" brigata di fanteria della Guardia.

Il 13 febbraio 1861, la piazza di Gaeta capitolava (188).

(186) Sulla composizrone della brigata, e sulla breve équipée del colononello Klitsche de la Grange, DE Srvo, a), II, pp. 287·288e 338; BATTAGLINI,a),I, pp. 186·187 e 220; MOLFESE,pp. 12·14.

(187) Il preambolo del r.d. 28 ottobre 1860 parla dello «incremento chetutto scorgesi nella presentazione dei volontari, i quali mostrando deciso at-taccamento alla causa dell'ordine e della Monarchia, movono da molti paesiper arrollarsi sotto le reali bandiere s , ed affidava la riorganizzazione, dal I"novembre 1860, al ten. gen. Sigrist (supra, nota 181), ed al commissario diguerra Francesco Cerbino; ma Itri fu sgombrata dai regi tra il 4 ed il 5 no-vembre 1860 (Gazzetta di Gaeta, 14 novembre 1860, n. 15).

(188) Il testo della capitolazione è in CESARI,p. 149. Redatta come si

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82 Il R. Esercito e la R. Marina 533

82. La real marina sotto Ferdinando II e Francesco II. -Abbiamo già ricordato (supra, § 62) che, con r.d. 17 ot-tobre 1830, fu ristabilito il Comando generale della real ma-rina. Questo organo doveva rispondere, a quanto pare, nontanto ad un'esigenza militare, quanto a quella d'attribuire «unconvenevole stato» al secondogenito del re Francesco I, Car-lo di Borbone, principe di Capua (189). Nella qual carica, ilprincipe «parve di fuoco, poi sen distolse », e la stessa co-noscenza della lingua e dei costumi inglesi gli servì piuttostoad intrecciare idilli con inglesi Dulcinee, l'ultimo dei quali,e fatale, fu quello notissimo con Penelope Smyth (190). Per-ciò il r.d. 19 dicembre 1834, che abolì il Comando generale, ene riunì le attribuzioni al Ministero, fu anch'esso dovuto,probabilmente, più che a considerazioni di funzionalità, ai nonbuoni rapporti sopravvenuti tra il re Ferdinando II ed il prin-cipe Carlo, prima ancora (12 gennaio 1836) che abbandonas-se definitivamente il regno per seguire il suo amore (191). Efu, probabilmente, un'esigenza non diversa quella che spinseil re Ferdinando II a costituire, col r.d. 3 agosto 1850,

suole per diritto internazionale di guerra tra legittimi belligeranti, essa con-ferma che solo a tal data 'la sovranità del regno può considerarsi giuridica.mente estinta. A Messina (13 marzo 1861), quel dottor Dulcamara trasformatoin condottiero d'eserciti, che fu Enrico Cialdini, pretese dal maresciallo dicampo Gennaro Fergola la resa a discrezione, sottolineata da villanie e mi-nacce ignobili (CESARI,pp. 169·183). Per la singolare vicenda di Civitella delTronto (che si arrese il 20 marzo 1861), CESARI,pp. 185.195; BArIlAGLINI,a),

II, pp. 81.95; CUCENTRENTOLI.(189) Supra, nota (l27). Ma il destino di tale Comando, era di servire a

riguardi ed interessi personali, dimodocchè niuno aveva pensato ad abolirlo,finchè coperto dal rispettabile e centenario ammiraglio Giovanni Danero (CALÀUUOA, b), p. 89).

(I90) CALÀULLOA,a), pp. 40 e 60-6I.(91) CALÀULLOA,a), pp. 61-62; DE SIVO,a), I, pp. 62-63.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 82534

il « Consiglio d'ammiragliato» (supra, § 62), ed a fame pre-sidente il fratello Luigi, conte d'Aquila (192).

Durante il regno di Ferdinando II, si diede opera, dalpunto di vista tecnico, a trasformare la marina a vela in mari-na a vapore, talchè erano a vapore la maggior parte delle na-vi in servizio nel 1860, oggetto della «convoitise» dei malprovvisti piemontesi (193).

Il più antico forse tra i corpi delle forze armate napoleta-ne (194), era il Corpo della fanteria di marina, divenuto reg-gimento Real Marina (SUpTa, § 77) di due battaglioni (r.d. 12febbraio 1832), poi accresciuto, fino a sei compagnie per bat-taglione, con r.d. I" maggio 1848, e 18 novembre 1848. Eranotruppe destinate all'imbarco sui reali legni, o al servizio deiporti, con l'impiego proprio della fanteria di linea.

Il Real Corpo dei cannonieri e marinai aveva un generaleispettore, un comandante col grado di capitano di vascello, e,dopo vari ampliamenti (r.d. 19 ottobre 1837 e 27 giugno1840, e rescritti vari) era costituito, verso la fine del regnodi Ferdinando II, di 16 compagnie attive e due compagniesedentanee, per un totale di circa 4.000 uomini. Il Corpo can-nonieri e marinai corrispondeva, in sostanza, al nostro Corpoequipaggi militari marittimi. V'era anche una compagnia arte-fici di marina, ed una sezione artefici veterani (195).

(192) Nato nel 1824, aveva sposato nel 1844 la prmcrpessa Januaria diBraganza, della casa imperiale del Brasile, e perciò portava, unico della fa-miglia, il titolo di «altezza imperiale e reale s, Era ritenuto il personaggiopiù reazionario della famiglia.

(193) DE CESARE, al, I, p. 193. La Marina, tuttavia, non era abbastanzaforte rispetto all'estensione delle coste del regno: tale inconveniente, ìnelut-tabile conseguenza delle caratteristiche geografiche della penisola, non fu eli-minato nemmeno con l'unità d'Italia. Vedi anche supra, nota (34).

(194) Secondo ZEZON, p. 57, era stato formato con real dispaccio 12 mar-zo 1785.

(195) ZEZON, p. 55.

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Il Genio marittimo, anch'esso ampliato, rispetto all'organi-co stabilito col r.d. 7 ottobre 1823, da successivi rescritti,era un corpo d'ingegneri, il cui direttore aveva il grado dimaresciallo di campo onorario (196). Il Genio idraulico, colr.d. I." maggio 1841, venne fuso nel Genio di terra.

Il Corpo telegrafico (per i telegrafi a segnali: v. anchesupra, § 58) era comandato da un tenente colonnello. e com-posto d'ufficiali, segnalatori, ed alunni (r.d. 6 febbraio 1838).

Il Corpo degli ufficiali di sanità (r.d. 9 novembre 1843,e 26 gennaio 1851) era formato da medici, cerusici, e farma-cisti.

II. STATO ED AVANZAMENTO

DEGLI UFFICIALI E SOTTUFFICIALI

83. Dalla conquista di Carlo di Borbone alla restaura-zione borbonica del 1815. - L'ordinamento della «carrie-ra », cioè la posizione di norme regolatrici dello stato giuridi-co e dell'avanzamento del personale, è fenomeno che, per ilpersonale militare, precede cronologicamente gli analoghi or-dinamenti del personale civile, e che aveva raggiunto un suf-ficiente sviluppo nelle monarchie del secolo XVIII (197). Perquanto vasta fosse la regia discrezionalità, specialmente nelconferimento di nomine in gradi superiori all'iniziale (e ditali nomine, spesso conferite a stranieri, e non sempre fe-lici, se ne potrebbe fare, fino al 1815, una larghissima esem-plificazione), due tendenze appaiono, in tutti gli Stati, abba-stanza presto: quella di conferire di regola le nomine nelgrado iniziale della gerarchia, subordinandole all'accertamen-to di determinati requisiti, cioè al compimento di corsi d'istru-

(196) ZEZON, p. 59.(197) GIANNINI, b), p. 294.

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Istituzioni del Regno delle Due Sicilie536--------------------~-----------------------zione o di periodi d'esperimento, oppure a concrete- prove divalore e d'esperienza; e quella d'accordare gli avanzamentidi grado nell'ordine gerarchico, di solito secondo l'anzianitàdi nomina nel grado d'appartenenza, salvo le eccezioni giusti-ficate dal merito o da non comuni atti di valore. L'una el'altra tendenza esistono fin dall'origine dell'esercito delregno.

Si è già ricordato che per gli ufficiali nazionali si era sta-bilito, al tempo di Carlo di Borbone, che dovessero iniziare illoro servizio da « cadetti », cioè da allievi ufficiali nei reggi-menti; e che al tempo di Ferdinando IV erano stati creatiappositi istituti d'istruzione, donde gli alunni conseguivano,previo superamento d'esami, il grado iniziale d'ufficiale del-l'esercito o della marina (supra, § 73). La carriera, il cui ter-mine ordinario era al grado di capitano, si svolgeva di solitonel reggimento, ed i gradi erano conferiti per anzianità, se-condo che si formavano le vacanze organiche (198). I gradid'ufficiale superiore e d'ufficiale generale erano di regola con-feriti a scelta del sovrano. Ma fino al 1798, vi si erano ag-giunti ufficiali cui, per le esigenze d'ampliamento dell'eserci-to, sopravvenute dopo il 1793, il Governo aveva venduto ilgrado (199). I corpi esteri avevano regolamenti diversi se-condo i criteri ed i metodi che avevano presieduto alla loro

(198) Per esempio, la carriera di d. Antonio Landi, mio trisavolo, natoin Napoli il 24. dicembre 1737, risulta, dallo stato di servizio (supra, nota 9),e dai brevetti in mio possesso, la seguente: cadetto nel reggimento di fanterianazionale Abruzzo Ultra, 5 ottobre 1762; sottotenente del reggimento nazionale« Sannio» (supra, nota 12), 4 luglio 1765; e, sempre nello stesso reggimento,sottotenente dei granatieri il 26 maggio 1773; tenente il 18 agosto 1773; l° te·nente il 9 gennaio 1784; capitano il 5 ottobre 1786; aiutante maggiore dellapiazza di Capua 1'11 novembre 1793 (supra, nota 30). Ognuno di tali decretiindica, nominativamente, l'ufficiale che, per ascenso o per morte, aveva foromato la vacanza.

(199) BLANCH, a), I, pp. 22-23.

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formazione, e secondo la nazionalità (200); agli ufficiali este-ri, assunti come istruttori, o per il comando di truppe, il gra-do era conferito discrezionalmente dal re. Dopo il 1799, fu-rono ammessi nell'esercito i «sanfedisti» (supra, § 74), spes-so con grado superiore all'iniziale, perchè si teneva conto del-l'importanza delle «masse» di cui erano stati capi, e spessoper valutazioni politiche, piuttosto che per constatate attitu-dini militari. Di questi elementi, piuttosto eterogenei, eraformato, nel 1815, l'esercito cosiddetto di Sicilia (supra, § 75).

L'esercito cosiddetto di Napoli, quello, cioè di GiuseppeBonaparte e di Gioacchino Murat, era indubbiamente piùomogeneo, perchè, nel 1806, entrarono a farne parte gli uffi-ciali sbandati, o prigionieri di guerra, che avevano accettatodi prestare giuramento di fedeltà al nuovo governo, e quellirimossi nel 1799, che erano quasi tutti napoletani di prove-nienza regolare, e pochi sanfedisti ; vi si aggiunsero poi i gio-vanissimi, formati nei ricostituiti istituti d'istruzione milita-re isupra, § 76). I francesi ammessivi nei primi tempi furo-no, dopo il 1811, allontanati da Gioacchino Murat, dimodoc-chè, nel 1815, questo esercito poteva dirsi interamente na-zionale (201). Le disposizioni sullo stato e l'avanzamentodegli ufficiali erano imitate da quelle coeve dell'esercito napo-leonico (202); era venuta meno, cioè, ogni preclusione deri-vante dall'estrazione sociale, così come, del resto, nell'eser-cito di Sicilia (203), ed il sistema delle promozioni risultava

(200) Nell'esercito di Carlo di Borbone, v'erano un reggimento irlandese,5 reggimenti svizzeri (uno della Guardia, e 4 di linea); 2 «italiani ~ (unodella Guardia, ed uno di linea); un reggimento corso, uno «macedone », 4valloni, ed era quasi tutta spagnola la cavalleria (SCHIPA,I, p. 330).

(201) COLLETTA,a), II, p. 361. Vedi anche supra nota (76).(2(}2) GODECHOT,p. 604.(203) Era ciò conseguenza dell'avere ammesso come ufficiali buon nn-

mero di capi massa della Santa Fede, talora di bassa estrazione.

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da un'aliquota conferita per anzianità, e da un'altra conferi-ta a scelta. V'erano ufficiali inferiori con i capelli grigi, men-tre altri, giovanissimi, erano ufficiali superiori o generali peravere conquistato i gradi sui campi di battaglia d'Europa; ilche fu causa di gravi complicazioni.

La convenzione di Casalanza (20 maggio 1815) stabilivache «ogni militare al servizio di Napoli, nato nel regno del-le due Sicilie, che presterà giuramento di fedeltà a S.M. ilre Ferdinando IV, sarà conservato nei suoi gradi, onori e pen-sioni» (204). E questo era il più spinoso problema che pone-vasi al Supremo Consiglio di guerra (supra, § 77).

84. La [usione degli ufficiali di Sicilia e di Napoli, elo scrutinio del 1821. - Il r.d. 14 giugno 1815, che preve-deva (art. l) «la formazione d'un solo esercito per Napolie Sicilia », prometteva che le promozioni sarebbero state date«indistintamente, preferendo coloro... maggiormente dotatidi probità, di talenti e di bravura» (art. 2). Questi ineccepi-bili propositi dovevan presiedere alla fusione dei due eserciti,e, correttamente, furono confermati i gradi dell'esercito di Na-poli (art. 3). V'erano alcuni problemi, puramente nominali-stici, che era facile risolvere, come quello per cui gli aiutantigenerali di Napoli divenivano colonnelli di Stato maggiore

(204) COLLETTA,d), p. 183. Risulta: dal testo ivi pubblicato che tali clau-sole, nonchè le altre relative all'amnistia politica, ed all'ammissione di tutti inapoletani agli uffìci ed impieghi civili e militari del regno, non furono chìe-ste dal negoziatore napoletano (gen. Colletta), ma furono inserite per Inizia-tiva del negoziatore austriaco (gen, Neipperg), il quale ne aveva avuto indub-biamente mandato dal suo governo, e da quello del re Ferdinando. COLLETTA,a), II, p. 477, spiega che le dette cose «i negoziatori napoletani non ricerca-vano, per non trasformare in concessione e favori i titoli della giustizia, e daresospetto ch'ei credessero colpa ne' soggetti l'aver servito a governo neces-sario, riconosciuto, e per diritto pubblico di quei tempi legittimo s ,

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(art. 7); i maggiori, tenenti colonnelli; ed i capi hattaglione,maggiori (art. 14). Più delicata era la fusione degli ufficialigenerali. In Sicilia, v'erano quattro gradi, dall'alto in hasso,di capitan generale, tenente generale, maresciallo di campo,e hrigadiere. In Napoli, ve n'erano due soli a mo' di Francia,di tenente generale (generale di divisione), e maresciallo dicampo (generale di hrigata). Furono confermati i gradi ditenente generale e di maresciallo di campo (art. 4); ma imarescialli di campo siciliani divennero tenenti generali, edi hrigadieri siciliani marescialli di campo, prevedendosi lasuccessiva estinzione della classe dei hrigadieri (artt. 5 e 6).Gli ufficiali, dell'uno e dell'altro esercito, dovevano essere de-stinati ai nuovi reggimenti (supra, § 77), e gli esuherantierano destinati ai depositi di Procida e di Pozzuoli, sotto ilcomando d'un tenente generale, in attesa di destinazione (r.d.27 luglio 1815). Tale deposito fu sciolto con r.d. 24 novem-hre 1816.

L'anzianità degli ufficiali dell'esercito napoletano, quan-do concorressero all'avanzamento con pari grado dell'esercitosiciliano, era fissata al 23 maggio 1815, salvo il computo del-la maggiore anzianità per i diritti a pensione, o altri henefici(r.d, 5 agosto 1815), il che fu confermato, con r.d. 13 giugno1817, per la formazione del ruolo unico degli ufficiali gene-rali. Ciò aveva l'ovvio risultato d'anteporre nel ruolo i « si-ciliani» ai «napoletani », e fu una delle cause dei successi-vi conflitti; anche se non era, in merito, determinazione Ini-qua (205). Se si fossero conservate le effettive anzianità di

(205) BLANCH, b), p. 59, rileva che «non si può avere altra anzramta senon dal giorno in cui si entra effettivamente in servizio; e soltanto dal 22maggio 1815 l'esercito napoletano era passato agli ordini del re, che potevaadoperarlo, ma non riconoscergli come titolo d'antichità un periodo in cuiaveva combattuto a favore d'un governo ch'egli mai aveva riconoscìuto a. Os-

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grado degli ufficiali napoletani, maggior danno avrebbero avu-to i siciliani, che, per le minori dimensioni dell'esercito, e perla più rara partecipazione ad operazioni di guerra, avevanoavuto, dopo il 1806, un avanzamento meno celere, ed erano,a parità di grado, più anziani d'età (206).

L'Ordine reale delle Due Sicilie era stato espressamenteconservato dalla convenzione di Casalanza, con insegne modi-ficate (r.d. 4 giugno 1815). Ma qual distintivo di servizi pre-stati ai re francesi, divenne segno di discordia (207), aggra-vato allorchè con r.d. 9 agosto 1816 (esteso alla Marina conr.d. 30 agosto 1816) fu istituita la «medaglia d'onore» peri militari venuti dalla Sicilia (208). Fu poi opportunamentecreato l'Ordine militare di San Giorgio della Riunione (r.d.r gennaio 1819: supra, § 26), onde premiare i meriti degliuni e degli altri, accordandolo ai militari di Napoli in com-mutazione dell'Ordine delle Due Sicilie (209).

Con r.d. 4 novembre 1816, gli ufficiali furono distinti,secondo l'idoneità al servizio e la destinazione, in quattroclassi: queste disposizioni, richiamate negli artt. 82 ss. dell'or-dinanza 29 giugno 1824 sull'amministrazione militare del re-gno, rimasero sempre in vigore. La 4&classe era costituita dairiformati, che potevano ottenere la pensione di ritiro; la 3&dagli ufficiali «in attenzione d'attività» (cioè in attesa di de-stinazione), la 2&dagli ufficiali «in attività di servizio locale »;la 1&da quelli «in piena attività e sempre pronti a marciare ».

serva tuttavia che questa norma «dava una tinta di parzialità che non erautile nè necessaria».

(206) BLANCH, b), loc, ult, cito(207) BLANCH, b), loe. ult, cit,(208) BLANCH, b), pp. 59 e 61; COLLETTA, a), 111,p. 66. Era una stella di

bronzo, a quattro raggi, che portava sul recto l'effige del re, e sul verso laeeeitta «costante attaccamento s, appesa ad un nastro rosso.

(209) BUNCH, b), II, pp. 59, 60-61,63; CoLLETTA, a), III, pp. 101·102.

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Col r.d. 8 agosto 1815 sull'organizzazione dell'esercito(supra, § 77) fu stabilito che gli ufficiali di stato maggioredovessero sostenere un esame nelle scienze esatte, ed in quel-le militari (210).

Il r.d. 13 giugno 1817 stabilì «con metodo fisso il ruolodei generali che servono attualmente nell'armata ». Dovevanoesservi iscritti, come si è detto, prima i «siciliani », poi i«napoletani» con l'anzianità 23 maggio 1815, e le promo-zioni dovevano essere conferite per anzianità, «salvo l'utiledel servizio, o meriti straordinari ». Le qualità necessarie perascendere ai posti d'ufficiale generale erano l'idoneità fisica,alte qualità fisiche ed intellettuali, conoscenze strategiche, co-noscenze pratiche de' dettagli militari, conoscenza delle altrearmi e del terreno al punto che conviene ad un ufficiale gene-rale (art. 1 r.d. 19 giugno 1817). Il grado di brigadiere(art. 4 r.d. cit.) poteva essere conferito ai colonnelli «i qua-li dopo una lunga ed onorata carriera non possono più so-stenere le fatiche d'una guerra attiva per ferite ed acciacchi »:questi ufficiali non potevano ottenere altre promozioni, ederano destinati ad impieghi di servizio sedentaneo, o di co-mando locale, e potevano eventualmente assumere comandodi truppe nel proprio territorio. Negli altri casi, le promozio-ni erano conferite dal grado di colonnello direttamente aquello di maresciallo di campo, ed i colonnelli delle varie ar-mi, promossi a tale grado, confluivano in un ruolo unico(r.d. 20 gennaio 1818).

(210) La Commissione esaminatrice fu costituita con r.d. 22 settembre1815; era presieduta dal ten. gen. Pietro Colletta, e formata dal maresciallo dicampo Francesco Costanzo (D'AYALA, a), pp. 39 S6.), e da d. Nicola Fergola,professore di matematica nell'Università di Napoli (1753.1824); segretario ilcolonnello (poi maresciallo di campo) Vincenzo d'Escamard (D'AYALA, a), pp.553 ss.), Colletta e Costanzo erano di provenienza e murattista s, e d'Escamarde siciliano»; tutti e tre provenivano dall'arma del Genio.

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Devesi al periodo anteriore al 1820 l'emanazione di variprovvedimento relativi al trattamento economico e di quie-scenza del personale militare; ma poichè essi sopravvisserosino al 1861, se ne tratterà injra, §§ 86 e 87.

Questa legislazione non era cattiva: le maladresses fu-rono piuttosto politiche, anzicchè giuridiche o amministrati-ve; di massimo peso, però, nel provocare la crisi del1820-1821. I faziosi pervenuti al potere commisero a lor vol-ta, o, peggio, tentarono senza riuscirvi, analoghe parziali-tà (211).

Caduto il governo costituzionale, una vera tempesta, comeabbiamo già detto (supra, § 78), si abbattè sulle forze arma-te. Il r.d. 16 aprile 1821 istituì una giunta di scrutinio pergli ufficiali dell'esercito; il r.d. 24 aprile 1821, un'altra pergli ufficiali della marina; il r.d. I" luglio 1821, ne stabilì altredue, per lo scrutinio degli ufficiali inferiori, cappellani e chi-rurgi (212). Il r.d. 23 aprile 1821 ordinò l'espulsione dalla

(211) I «costituzionali» crearono il pericoloso precedente di sottoporretutti gli ufficiali a scrutinio da parte di due Giunte, l'una presieduta dal ten.gen. Guglielmo Pepe per gli ufficiali generali e superiori, l'altra presieduta dalten. gen. Carlo Filangieri (di cui faceva parte il ten. col. Landi: supra, nota96, e TIVARONI,p. 43), per gli ufficiali inferiori: ma quest'ultima non funzionòmai. Il tentativo d'una larga distribuzione di promozioni ed onorificenze "airivoltosi creò una tale agitazione, che i proposti dovettero rinunciare; pessimaimpressione fecero altresì le promozioni numerose conferite ai militari delreggimento Borbone cavalleria, dove erasi iniziata la rivolta (furono capitanii sottotenenti Michele Morelli e Giuseppe Silvati, che soli dovevano pagarecon la vita), ed il vicario duca di Calabria si rifiutò giustamente di sanzionarela legge, frutto di demenza parlamentare, del 23 dicembre 1820, che costituiva,COl> quei militari ammutinati, lo «squadrone sacro », detto «il primo delf'e-sercito» (COLLETTA,a), 111, pp. 169.171).

(212) COLLETTA,al, III, pp. 297·298.La Giunta istituita col r.d. 16 aprile1821 era presieduta dal ten. gen. duca Nicola di Sangro; quella di marina,dal vice ammiraglio Giovanni Danero; quella per gli ufficiali inferiori, dalmaresciallo di campo Edmondo O'Farris; quella per i cappellani e chirurghidal maresciallo di campo Vincenzo Maria Mastrilli, marchese della Schiava,tutti «siciliani », al pari dei membri delle Giunte.

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85 Il R. Esercito e la R. Marina .543

Guardia reale degli ufficiali e sottufficiali ammessivi dopo il5 luglio 1820. Il r.d. 21 giugno 1821 dispose la destituzionedegli ufficiali che, fino al 7 luglio 1820, eransi recati a Mon-teforte, cioè avean raggiunto gli ammutinati di Nola. Il r.d.I" luglio 1821, per lo scioglimento dell'esercito, sospendeva dalservizio tutti gli ufficiali dei corpi disciolti (di quelli, cioè,non menzionati nel decreto di pari data, per l'ordinamento del«nuovo esercito di terra »), col divieto di vestire l'uniforme,ed un mese di soldo per sussidio, salvo scrutinio. Infine, colr.d. 29 luglio 1822, « per lo scioglimento delle armate di ter-ra e di mare e per la formazione delle nuove », fu attribuitoa tutti gli ufficiali licenziati a seguito dello scrutinio, come«grazioso sussidio », un terzo del soldo che percepivano nelgiugno 1820, con facoltà del Governo di designare per alcunodi loro il luogo di residenza (formula cortese, per larvare unavera e propria assegnazione a confino politico). Il che, tutta-via, non era d'ostacolo a poter meritare con la buona condot-ta la sovrana considerazione, onde potere essere ammessi inuna delle quattro classi del r.d. 4 novembre 1816, secondofosse ritenuto opportuno per il real servizio.

85. Ristruuurasione dei ruoli e delle carriere dal 1823.- Iniziata, dal 1823, la lenta ricostruzione dell'esercito (su-pra, § 78), un primo provvedimento (r.d. 16 dicembre 1823)ristabilì il grado di brigadiere, come primo della classe deigenerali, disponendo che l'ascenso fosse da colonnello a bri-gadiere, e da brigadiere a maresciallo di campo. In sostanza, siritornò al sistema dell'antico regime; ed, in pratica, i gradidei generali furono ridotti a tre dall'inizio del regno di Fer-dinando II, poichè questi, che aveva avuto il grado di capi-tan generale come comandante generale dell'esercito, non lo

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conferì più ad alcuno, dimodocchè il più alto grado della ge-rarchia militare rimase quello di tenente generale (213).

Un altro r.d. 16 dicembre 1823 istituì l'esame teorico-pratico per la promozione al grado di maggiore. A tal fine,era costituita, per ogni arma, una «Giunta d'esame », presie-duta da un generale, e composta di quattro generali e colon-nelli, nonchè d'un ufficiale superiore che fungeva da segreta-rio. La Giunta, inoltre, riferiva sulla condotta morale, po-litica e militare degli ufficiali che dichiarava idonei, nonchèsulla loro salute e sullo stato di famiglia, e formulava «ognialtra osservazione che valga a far giudicare », Le promozionierano conferite dal re su proposta del ministro, in ordined'anzianità.

I gradi degli ufficiali suhalterni, col primo dei due citatir.d. 16 dicembre 1823, furono stabiliti in « alfiere », da cui siascendeva a «secondo tenente» (già sottotenente), e quindia «primo tenente» (già tenente). Il grado di capitan-te-nente, derivato dall'esercito di Sicilia, intermedio tra quellidi capitano e 10 tenente, fu poi abolito, con r.d. 9 dicembre1830, ed l relativi posti andarono in aumento di quelli d'al-fiere.

Le norme sull'avanzamento degli ufficiali e dei sottuf-ficiali furono stabilite col «regolamento per gli ascensi mili-tari» (r.d. 16 aprile 1828).

(213) Il grado di capitano generale non fu mai abolito, ed il re ne por.tava i distintivi. In fatto, i tenenti generali esercitavano le funzioni dei nostrigenerali di corpo d'armata, i marescialli di campo quelle dei generali di dì-visione, ed i brigadieri di generale di brigata; ma quando nel 1861 alcuni ufoficiali generali borbonici furono ammessi nel regio esercito italiano, si diedeai tenenti generali il grado così denominato nell'esercito piemontese, che cororisponde al nostro generale di divisione, ed ai marescialli di campo quellodi maggior generale (generale di brigata).

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Nell'esercito, erano previsti quattordici ruoli: l) generaliattivi; 2) generali sedentanei ; 3) corpi di Casa reale; 4) fan-teria della Guardia; 5) cavalleria della Guardia; 6) gendar-mena; 7) genio; 8) zappatori; 9) artiglieria; lO) treno; 11)fanteria nazionale; 12) cavalleria nazionale; 13) reggimentisvizzeri; 14) truppe sedentanee.

Non avevano diritto ad avanzamento gli ufficiali di 3ft

classe che non prestavano servizio, i generali sedentanei, edi colonnelli sedentanei. Nelle truppe sedentanee (stato mag-giore territoriale, ufficiali non d'armi attive in servizio negliuffici e stabilimenti, reggimento veterani, compagnie di dota-zione, ufficiali di 3a e 4&classe) erano consentite promozioniper anzianità, fino al grado di colonnello.

Erano generali « attivi », cioè con diritto ad avanzamento,il ministro (o direttore) della guerra; il quartiermastro ed ilsottoquartiermastro generale; gli aiutanti generali del re; gliaiutanti di campo dei principi reali, sol quando i detti prin-cipi esercitavano un comando militare; il comandante generalein Sicilia, e quello eventuale nei domini di qua del Faro; l'in-tendente generale dell'esercito; gli ispettori; i direttori gene-rali; i comandanti delle brigate e divisioni attive; ed i genera-li in attenzione di destino che il re avesse giudicato di com-prendere nel ruolo degli attivi. Essi venivano promossi per ca-pacità o rilevanti servizi, e l'anzianità non attribuiva alcun di-ritto all'avanzamento: in altre parole, erano promossi soltantoa scelta.

, Per quanto concerneva la carriera degli ufficiali dal gradoiniziale, l'ordinamento era, come oggi si direbbe, largamentedemocratico. Anche troppo, forse, perchè gli ufficiali dei cor-pi facoltativi soltanto (artiglieria e genio) provenivano esclu-sivamente dal real collegio militare, erano cioè selezionati an-che socialmente quando sostenevano l'esame d'ammissione

35. LANDI • I.

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al detto istituto; mentre negli altri corpi, compresi quelli del-la Guardia, la maggioranza (due terzi) degli alfieri era trattadai sottufficiali. Il risultato era che, in fanteria e cavalleria, illivello di cultura degli ufficiali inferiori era per lo più mode-sto, e l'età, fino al grado di capitano, troppo avanzata (214).

Fonti di reclutamento degli alfieri erano gli alunni delCollegio militare, le reali Guardie del corpo (215), ed i pri-mi sergenti, che erano sottufficiali provenienti dalla Scuolamilitare (supra, § 78).

Nella Guardia, nella fanteria nazionale, ed in cavalleria,un terzo dei posti d'alfiere, complessivamente, era riservatoagli alunni del Collegio militare, alle Guardie del corpo, e«ad altri soggetti che il re vorrà gratificare» (cioè, a personescelte dal re con piena discrezionalità); gli altri due terzi deiposti spettavano ai sottufficiali. Gli alunni del Collegio mili-tare erano nominati alfieri dopo avere superato gli esami fina-li (216). Ugualmente dovevano sostenere un esame le guar-die del corpo, ed i primi sergenti.

Nell'artiglieria e nel genio era obbligatorio sostenere unulteriore esame per la promozione a IO tenente, ed un altroancora per la promozione a maggiore; in fanteria e cavalleriaera sufficiente sostenere un esame per il grado di maggiore,

(214) Secondo DE SIVO,a), II, p. 14, nel 1858 i 168 capitani dei reggimentidi linea c facevano quasi diecimila anni d'età, cioè ciascuno aveva intorno asessant'anni ». L'età degli ufficiali dei corpi facoltativi era più bassa: per esem-pio, dallo stato di servizio di d. Antonio Landi, nato a Napoli il 21 novembre1829 (ASN, libretti di vita e costumi, 2' serie, f. 100) risulta che il medesimoera entrato nel real collegio militare il 31 gennaio 1844, era alunno alfiere inRe artiglieria il 7 settembre 1850, i- tenente il 23 marzo 1855, e capitano il 9novembre 1857, all'età di 28 anni.

(215) Per l'equiparazione dei gradi della compagnia delle reali guardiedel corpo a cavallo con quelli degli ufficiali delle armi dell'esercito, vedi infra,§ 86.

(216) Sui programmi ed il metodo degli esami, FERRARELLI,pp. 32 ss.

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o d'aiutante maggiore, e chi otteneva l'idoneità per aiutantemaggiore non aveva necessità di ripetere l'esame.

I sottufficiali erano promossi per esame, nel limite dellevacanze che si verificavano nei corpi. I primi sergenti, quandosuperavano l'esame per ufficiale, erano nominati, secondo lagraduatoria, alfieri, aiutanti, o portabandiere (217), e poi, nellimite dei due terzi delle vacanze, gli aiutanti ed i porta-bandiere potevano ascendere per anzianità fino al grado d'al-fiere. I primi sergenti d'artiglieria potevano ascendere fino algrado di capitano degli artiglieri veterani; ma era facoltà delre ammettere gli aiutanti all'esame scientifico per primo te-nente, per la metà dei posti.

L'avanzamento degli ufficiali e sottuffìciali svizzeri eraregolato dalle capitolazioni.

Nella real marina (r.d. 11 agosto 1849) gli ufficiali gene-rali avevano il grado di viceammiraglio (tenente generale) eretroammiraglio (maresciallo di campo); con r.d. 20 gennaio1840 era stato ripristinato il grado di brigadiere, per un'esi-genza di perequazione con l'esercito, ma era denominazioneimpropria, pur se già in uso nell'antico regime (218). Col r.d.10giugno 1860, l'organico degli ufficiali generali fu stabilito indue viceammiragli, sei retroammiragli, ed otto brigadieri.Quello degli ufficiali superiori ed inferiori, col r.d. 29 giugno1860, fu stabilito in 12 capitani di vascello (colonnelli), 24 ca-pitani di fregata (tenenti colonnelli e maggiori), 60 tenenti divascello (capitani), 80 alfieri di vascello (primi tenenti); nonera stabilito il numero dei guardiamarina (219). Erano sot-tufficiali i «piloti », divisi in tre classi (r.d. 13 aprile 1851);

(217) I gradi d'aiutante, e di portabandiere o portastendardo, furono uni-ficati in quello d'aiutante, con r.d. lO dicembre 1860.

(218) Era il grado di «commodoro» della Royal Navy.(219) ZEZON, p. 54.

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ma avevano talora «graduazione », cioè funzioni, d'ufficialeinferiore, e carica di comandanti di porto.

Per quanto concerne la disciplina, alcuni principi eranofissati dagli artt. 82 ss. st.p.m. (in/ra, § 152). Solo il coman-dante in capo dell'esercito (dopo l'abolizione della carica dicomandante generale, il ministro della guerra) aveva facol-tà, nei casi che reputasse urgenti, di sospendere dalle funzionisenza attendere un giudizio qualunque ufficiale di qualsivo-glia grado; ma doveva farne immediatamente rapporto al re(art. 82 st.p.m.). Ogni generale o colonnello comandante dicorpo aveva facoltà di punire i dipendenti con i castighi mi-litari previsti dall'art. 368 st.p.m. (220), o di farlo tradurrea giudizio innanzi al competente Consiglio di guerra (art. 83st.p.m.), Ogni comandante di distaccamento poteva punirei dipendenti con gli arresti semplici o di rigore; ogni ufficialeo sottufficiale poteva intimare gli arresti a tutti gli individuidel proprio corpo, anche di pari grado, a lui subordinati; mail sottufficiale doveva informarne il superiore comune (artt.84, 85, 86, st.p.m.). Ogni militare poteva inviare in arrestoun individuo di grado inferiore; ma, se non era suo dipen-dente, doveva informarne il superiore del punito (art. 87st.p.m.), Ogni superiore poteva obbligare i dipendenti adinformarlo dei castighi ed arresti inflitti (art. 88 st.p.m.),

(220) Erano previste le «bacchette », non eccedenti 5 giri per 100 no-mini, la sospensione e destituzione per i sottufficiali, gli arresti semplici e dirigore, i servizi ignobili da 6 giorni ad un mese. Altri castighi erano previstidall'ordinanza di piazza, come le e Iegnate s (BATTAGLINI,b), pp. 126.127). Lepunizioni corporali, che tauto ripugnano oggi, erano però generalmente in uso,e nella liberissima Gran Bretagna si applicarono fino al cadere del secolo XIX.All'esecuzione delle punizioni disciplinari vegliava, in ogni reggimento, un sot-tufficiale detto e prevosto s (VERRI, pp. 222.223). Ai militari dei reggimentisvizzeri si applicavano le disposizioni vigenti per i reggimenti svizzeri al ser-vizio del re di Francia (COMERCI, p. 668), sciolti nel 1830. Vedi anche infra,note (265) e (285).

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Tutte queste norme valevano per la marina (art. 96 st.p.a.m.),Era previsto un regolamento di disciplina approvato dal re(art. 89 st.p.m.}; ma le relative disposizioni furono poi In-serite nell'ordinanza di piazza (r.d. 26 gennaio 1831).

Con l'avvento al trono di Ferdinando II, l'atto sovrano18 dicembre 1830 cominciò col riabilitare i militari «in sus-sidio» (supra, § 84) per le cariche civili ed aministrative,con la riserva peraltro (art. 8) che «trovandosi di presentel'esercito al completo, saranno prese in seguito particolari de-terminazioni per quelli tra i detti militari che potessero essererichiamati in servizio militare ». In verità, ne furono poi r'i-chamati molti, attribuendo loro, nel grado che avevano nel1821, l'anzianità del giorno di richiamo (221), il che arric-chì l'esercito d'ufficiali sperimentati, ma generò un diffusoinvecchiamento dei quadri, e mantenne vivo, fino all'ultimo,il dualismo tra «siciliani» (222) e «murattisti », Un ulti-mo provvedimento (r.d. 17 marzo 1848), nel quadro dei tu-multi costituzionali, dispose il richiamo in servizio di tuttigli ufficiali destituiti per gli avvenimenti del 1820, con l'asse-gnazione dei medesimi alla terza classe. Alcuni di costoro fu-rono poi trasferiti all'attività (223).

(221) Per esempio, Francesco Landi, capitano nell'So reggimento di lineadal 13 febbraio 1814, è riammesso in servizio col grado di capitano, ma conanzianità lO gennaio 1832; e perde non solo le campagne del 1810 in Sicilia,1811 e 1812 in Calabria, 1814 e 1815 in Italia, che non erano riconosciute se-condo le norme d'unificazione dei due eserciti del 1815, ma perfino quelladell'assedio d'Ancona del 1814, che a quell'epoca era stata riconosciuta perchècondotta nel campo degli alleati (supra, § 76). Non erano state revocate leonorificenze dell'Ordine di S. Giorgio della Riunione, conferite in commuta-zione di quelle dell'Ordine delle Due Sicilie.

(222) Ve n'erano ancora in servizio nel 1860, come il ten. gen. PaoloRuffo, principe di Castelcicala, luogotenente de' reali domini di là del Faro(n. 1789), che era stato aiutante di campo di lord Wellington alla battaglia diWaterloo nel 1815, ed il suo successore ten. gen. Ferdinando Lanza (n. 1787).

(223) Fra gli altri, il discusso e sempre discutibile ten. gen. Cugllelmo

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86. Trattamento economico d'attività. - Il trattamen-to economico degli ufficiali aveva formato oggetto, tra il 1815ed il 1816, di vari provvedimenti. Il r.d. 27 luglio 1815 sta-bilì quello della fanteria di linea e della guardia; il r.d. 3 ago-sto 1815 quello della cavalleria, della guardia del corpo, e del-lo Stato maggiore; i r.d. 24 agosto 1815 e 31 agosto 1815fissarono la «tariffa degli averi de' vari corpi dell'armata »,ma furono subito modificati dai r.d. 26 ottobre 1815 e lOnovembre 1815; il r.d. 11 settembre 1815 stabilì la tariffadella gendarmeria; i r.d. 6 novembre 1815 e 13 novembre1815 stabilirono rispettivamente la tariffa per gli ufficiali ge-nerali, e per gli altri ufficiali della regia marina; ed infine ilr.d. 15 ottobre 1816 stabilì le «nuove tariffe militari» perl'esercito, ed il r.d. 11 aprile 1817 le «tariffe degli averi delramo militare di marina », Non è necessario esporre singo-larmente tali decreti, sulla cui veloce successione influiva lapreoccupazione di non suscitare malcontento, e quella dinon aggravare oltre misura il tesoro. Il trattamento economi-co del personale militare fu definitivamente stabilito con l'or-dinanza dell'amministrazione militare (r.d. 29 giugno 1824),e rimase sostanzialmente invariato fino al 1861.

Il sistema delle retribuzioni, per gli ufficiali, prevedevail « soldo », annuo, corrisposto in rate mensili, e gravato del-la ritenuta 2.50% per la pensione; e gli accessori, variabilisecondo il grado ed il corpo d'appartenenza, cioè il « sopras-soldo», che aveva all'incirca la funzione della nostra «inden-nità militare »; l'indennità d'alloggio e fornimento, che nonspettava agli ufficiali che avevano l'alloggio dall'amministra-zione (224); e l'indennità foraggi, spettante ai generali, agli

Pepe, comandante del corpo di spedizione in Lombardia, e poi comandantedelle Forze armate della sedicente repubblica di Venezia.

(224) Le spese per gli alloggi degli ufficiali della gendarmeria, e per l~

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ufficialidelle armi a cavallo, a quelli di gendarmeria, nonchèagli ufficiali delle armi a piedi dal grado di colonnello a quel-lo di capitano compreso. Sui soldi si applicava la ritenutadei primi sei mesi (r.d. 28 maggio 1826), e fu applicata laritenuta progressiva straordinaria del r.d. 11 gennaio 1831(supra, § 41); ma i soprassoldi e le indennità militari furo-no eccettuati dall'abrogazione (art. 1, comma 2, r.d. cit.).I sottufficiali (dall'alto al basso della gerarchia, aiutanti, por-tabandiera, primi sergenti, sergenti) ed i caporali e soldatinon avevano soldo mensile, bensì una paga giornaliera dettaprest (dal francese pret), salvo quelli di gendarmeria, chepercepivano il soldo. Non esistevano (supra, § 41) aumentiperiodici per anzianità; nè assegni per carichi di famiglia.

I soldi annui degli ufficiali, al lordo di ritenute (esclusii soprassoldi e le indennità), erano i seguenti:

1. - Capitano generale, d. 4.800 (grado non conferito dal 17 di-cembre 1830)..

caserme della stessa, erano a carico dei fondi provinciali, sotto la vigilanzad'una Commessione composta dell'intendente, del comandante militare dellaprovincia, del comandante della gendarmeria della provincia, del commessariodi guerra, e dell'ufficiale del Genio (ìstr. 26 settembre 1834, in PETlTTI, IV,p. 325). In seguito (istr. addizionali, 20 giugno 1845, ivi, p. 50l) fu raccoman-dato che le provincie non rinnovassero i fitti di locali destinati ad abitazionedegli ufficiali di gendarmeria, se non quando fosse dimostrato che gli ufficialinon erano in grado di provvedervi con l'indennità d'alloggio. Gli alloggi ditruppe di passaggio, per meno di 15 giorni, erano a carico del comune (r.30 marzo 1825, ivi, p. 128); gli ufficiali destinati in un comune anche perrestarvi di residenza, ove non vi fossero alloggi militari, dovevano averlo dalComune per i primi quindici giorni (r. 27 novembre 1824, ivi, p. 484). Eranoesenti dall'obbligo di fornire alloggi militari varie categorie di persone, e fragli altri i vice consoli esteri, quando non fossero sudditi del regno (Min. Affariinterni, 2 febbraio 1822, ivi, p. 86); le vedove e le fanciulle, con obbligo peròdi fornirlo in natura in altro luogo (r. 27 settembre 1834, ivi, p. 328); le guar-die d'onore (r. 9 gennaio 1841, ivi, p. 423). Erano pure esenti gli istituti dellaCongregazione del 55. Redentore (r. 17 giugno 1829, ìvi, p. 216), Vedi anchefntra, § 103.

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Istituzioni del Regno .delle Due Sicilie 86552

2.. Tenente generale (e capitano delle Reali Guardie del corpo),d.2.400.

3.• Maresciallo di campo (e lO tenente delle Reali Guardie delcorpo), d. 1.620.

4. • Brigadiere (e 20 tenente delle Reali Guardie del corpo),d. 1.440.

5. . Colonnello, lO esente della Reali Guardie del corpo, commis-sario ordinatore, d. 1.140.

6.. Tenente colonnello, esente di la classe delle Reali Guardiedel corpo, commissario di l n classe, d. 840.

7.. Maggiore, esente di 2a classe delle Reali Guardie del corpo,d.720.

8. • Capitano, brigadiere delle Reali Guardie del corpo, commis-sario di 2a classe, d. 480.

9.. Capitan tenente, d. 360 (grado esistente solo in fanteria nazio-naIe e corpi facoltativi, soppresso .con r.d. 9 dicembre 1830).

lO. • lO tenente, e sottobrigadiere delle Reali Guardie del corpo,d.264.

11.• 20 tenente, d. 240.12.• Alfiere, e guardia del corpo a cavallo, d. 168.

l chirurghi, delle tre classi, percepivano rispettivamented. 408, 288, 192. I cappellani, d. 216 (225).

Molto più elevati erano i soldi degli ufficiali svizzeri an-che se non erano integrati da soprassoldi ed indennità:

1. . Colonnello, d. 2.533.2.. Tenente colonnello, d. 1.735.3. • Maggiore, d. 1.282.4.• Capitano, d. 931.5. • lO tenente, d. 556.6.. 20 tenente, d. 457.7. o Alfiere, d. 414.

(225) Gli ufficiali assegnati alla 3' e 4' classe (supra, § 84), cioè in attesadi destinazione o in riforma, percepivano soldo ridotto.

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I chirurghi, di due classi, percepivano rispettivamente531 e 380 ducati, ed i cappellani, d. 578. Il che spiega il no-torio malanimo dei nazionali verso gli svizzeri, la cui presenza,come si è visto (supra, § 78), era dovuta a persistente diffi-denza verso la truppa nazionale, e che costituivano, malgradole loro indiscusse qualità militari, più una costosa forza d'or-dine pubblico, che un vero e proprio elemento della difesabellica del regno.

I soldi degli ufficiali di marina erano diversi per gli uffi-ciali a terra, che percepivano anche il soprassoldo e l'indenni-tà d'alloggio e mobilia, e per quelli imbarcati. Per i primi, iltrattamento corrispondeva a quello dei pari grado dell'eser-cito (con l'avvertenza che ai gradi di tenente colonnello emaggiore corrispondeva l'unico grado di capitano di fregata).Gli ufficiali imbarcati percepivano invece un soldo mensile,comprensivo d'ogni avere, molto più elevato, e cioè:

1. - Vice ammiraglio, d. 697.2.. - Retro ammiraglio, d. 515.3. - Brigadiere, d. 337.4. - Capitano di vascello, d. 286.5. - Capitano di fregata, d. 214.6. - Tenente di vascello, d. 84.7. - Alfiere di vascello, d. 69.8. - Guardiamarina, d. 28.

87. Trattamento di ritiro. - Le disposizioni fondamen-tali concernenti il trattamento di ritiro dei militari, erano lemedesime applicabili al personale civile (r.d. 3 maggio 1816),e perciò sono state esaminate supra, § 42. Qui vengono ricor-date soltanto le norme speciali per il personale militare.

Alla ritenuta 2.50% erano soggettitutti i militari retribuiticon soldo. Per quelli che ricevevano il «prest» (supra, § 86)si praticava, invece, una ritenuta di grani 2 1/2 mensili

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(grani 30 annui) sulla massa di biancheria e calzatura (art.12, comma 3, r.d. cit.).

Le vedove dei militari non potevano ottenere la pensionealtrimenti che producendo la real licenza di matrimonio (art.7, comma 3, r.d. cit.). Erasi però derogato più volte alla re-gola, per real clemenza: con r.d. 2 aprile 1819, per le vedovedi' militari ammogliatisi prima del 1796; e con r.d. 17 gennaio1825, per tutti i matrimoni contratti, civilmente ed ecclesia-eticamente, prima di tale epoca, senza permesso (226), com-presi quelli degli individui che non erano in servizio mili-tare al tempo del matrimonio, e di coloro che allontanati dal-l'esercito nel 1822 (supra, §§ 78 e 84) eranvi stati riammes-si (227). La pensione spettava altresì alla vedova del milita-re che avesse contratto matrimonio dopo essere passato alritiro, purchè avesse ottenuto il sovrano permesso (228). Illimite di venti anni ed un giorno di servizio non era opponi-bile alle vedove dei militari morti per ferite ricevute com-battendo contro il nemico, o nell'esercizio della forza pubbli-ca contro i malfattori (art. 7, comma 2, r.d. 3 maggio 1816),e la pensione veniva liquidata sul massimo (229).

Per gli individui della real marina, il r.d. 6 settembre 1816stabiliva (art. l) che ogni anno di servizio fosse valutatoper 18 mesi, e che una «scala di diminuzione di servizio»fosse applicabile per i «particolari accidenti» che potevanoavere luogo soltanto nel servizio della marina (art. 2); dimo-docchè coloro che, avendo compiuto venti anni di servizio,fossero divenuti «inutili ad ogni servizio per causa di mutila-zioni sofferte in azioni di guerra o per disgraziato accidente

(226) R. 18 ottobre 1829, in PETITII, II, p, 610,(227) R. 20 marzo 1836, in PETITTI, II, p, 629,(228) R. 11 gennaio 1825, in PETITTI, II, p. 592.,(229) R. 3 giugno 1851, in PETITrI, V, p, 163"

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in effettivo servizio a bordo dei reali legni, negli arsenali dimarina o cantieri» conservavano l'intero soldo; quelli cheavevan meno di venti anni, la metà, e le vedove dei dece-duti per tali cause o per naufragio erano dispensate della con-dizione dei venti anni di servizio, ed avevano la pensione parialla terza parte del soldo del defunto marito, cioè il doppiodell'ordinaria pensione vedovile (artt. 3, 4, 6, 7). Un trat-tamento di favore spettava anche a coloro che erano divenutiinabili al servizio attivo (art. 5). Gli individui che godevanoil. trattamento della Marina erano quelli appartenenti ai Cor-pi elencati nelle tabelle allegate al r.d, 7 ottobre 1823 (230).In seguito, però, la maestà del re si degnò stabilire, con r. 6dicembre 1831 (231) che .il computo di diciotto mesi peranno di servizio spettasse solo al personale obbligato all'im-barco (esclusi pertanto gli ufficiali amministrativi); e che an-dasse perduto il beneficio per chi fosse sbarcato per poca buo-na volontà di navigare, ed oscitanza, ovvero. per punizione(r.d. 19 agosto. 1832). L'anno d'imbarco. iniziato. era valuta-to. per intero. anche ai fini dell'aumento. di sei mesi {r.d, 17aprile 1832).

Gli anni di servizio, come si è detto. (supra, § 42), veni-vano calcolati dalla data di percezione del primo. soldo, o. delprimo. « prest »; ed erano. raddoppiati quelli trascorsi in Siciliatra l'll febbraio. 1806 ed il 23 maggio. 1815 (art. 5 r.d, 3maggio. 1816) (232). Il servizio doveva essere «continuato

(230) Circ, Min. Guerra 18 maggio 1825, in PETlTTI, II, p. 601.(231) PETlTTI, II, p. 617.(232) Con r.d. 26 giugno 1818, tale beneficio fu esteso ai «figli di truppa s,

di genitore napoletano, che in Sicilia avesse prestato servizio durante I'oc-cupazione militare, dovunque nati. Osserva BLANCH, bt, pp. 59·60, che «ad el-cuni sembrò ingiusto riconoscere come anni di guerra quelli passati in Sici-lia, ma non era così. Non è di stato di pace rimanere fuori del proprio paesecome emigrati, e, d'altra parte, l'Inghilterra, la Francia e la Spagna hanno

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e non interrotto per dimissione o riammissione» (art. 3 com-ma 2, r.d. cit.), dimodocchè non avevano diritto al computoi militari che nel 1799 erano stati congedati, o avevano rasse-gnato le dimissioni, o avevan cessato di servire per effettodi condanna (233); mentre si considerava non interrotto ilservizio di coloro che, impiegati dagli «occupatori» del re-gno, erano stati poi riammessi al real servizio, con la sola con-dizione che non potevano chiedere il ritiro se non dopo com-piuti 60 anni, e non potevano ottenere il computo di campagne,ferite, etc. nel tempo in cui non erano al real servizio, nè de-gli anni trascorsi al servizio di estere potenze (r.d. 28 luglio1818) (234). Agli ufficiali richiamati dal ritiro venivano cal-colati i soli periodi anteriori al collocamento in congedo equelli posteriori al richiamo. Se erano nuovamente collocatiin ritiro si procedeva ad una nuova liquidazione, calcolandol'anzianità nello stesso modo (r.d. 8 ottobre 1825). In certi ca-si, potevano essere sanate le interruzioni non superiori a seimesi (235). Erano valutabili gli anni trascorsi nell'Accademiamilitare (236), nonchè nelle Reali Guardie del corpo a caval-lo, anche senza soldo (237). Le pensioni di ritiro dei mi-litari svizzeri erano liquidate secondo le capitolazioni (238).

sempre contato come anni di campagna quelli di colonia, e, per di più, menotre gli uomini che vi sono di guarnigione godono di tutt'i vantaggi dei citotadini del loro paese, nessuno di questi era rimasto agli emigrati in Sicilia ~(vedi supra, §§ 5 e 6).

(233) R. 28 luglio 1817, in PETITTI, II, p. 579.(234) Questa disposizione concerneva particolarmente quegli ufficiali, che

costretti all'esilio nel 1799, avevano servito in Francia o nella Repubblica ci-salpina (supra, nota 40).

(235) R. 15 settembre 1830, in PETITTI, II, p. 611.(236) R. 19 giugno 1830, in PETITTI, II, p. 611.(237) R. 26 febbraio 1845, in PETITTI, II, p. 653.(238) Ai musicanti napoletani dei corpi svizzeri, la pensione spettava,

però, secondo il r.d. 3 maggio 1816 (r. 22 mal,l'liq !~~91 il! :PJj;'!:{TTI, II, !'. ~4~)\

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Le campagne di guerra davano diritto all'aumento d'unanno di servizio, ed alla corrispondente diminuzione deglianni necessari per ottenere il ritiro, anche se di durata mino-re di dodici mesi (art. l r.d. 12 dicembre 1816). Le conse-guenze delle ferite secondo la loro gravità davano diritto alritiro prima dei venti anni di servizio, o all'aumento di cinqueanni per chi li avesse superati, e nelle ipotesi più gravi al ri-tiro con soldo intero, qualunque fosse la durata del servizio(artt. 2 e 3 r.d. cit.). Le ferite pericolose per la vita davano,in ogni caso, diritto a sei mesi d'aumento di servizio (art. 4r.d. cit.). Le campagne e ferite valutabili erano quelle fatteo riportate prima dell'occupazione francese, o durante lapermanenza del re in Sicilia, al real servizio, nonchè la cam-pagna del 1814 fatta dall'esercito di Gioacchino Murat con-tro la Francia (artt. 6 e 7 r.d. cit.). In seguito, furono rico-nosciute come campagne le spedizioni in Sicilia di luglio1820 (239), e di settembre 1848 fino al 15 maggio 1849 (240),e quella dello Stato pontificio del 1849 (241). Infine, conr.d. lO ottobre 1860, fu accordato alle vedove ed agli orfanidei militari morti in battaglia dal I" maggio 1860 pensionepari al soldo del defunto; con r.d. 12 ottobre 1860 fu raddop-piata la durata del servizio per i militari che avevano passato

(239) R. 30 marzo 1849, in PETITTI,II, p. 656; escluse, però, le truppeche trovavansi di guarnigione in Sicilia prima che vi si fosse recato il corpod'esercito del ten. gen. Florestano Pepe (r. 27 novembre 1850, ivi, p. 657).

(240) R. 30 marzo 1849, cit.; 27 novembre 1849 e 29 aprile 1850, in PE.TITTI,II, p. 656. Le truppe che vi si trovavano di guarnigione nel gennaio1848, e quelle che v'erano state inviate al comando del maresciallo di campoRoberto de Sauget non avevano diritto alla campagna (r. 27 novembre 1850,cìt.), Coloro che erano rimasti nella cittadella di Messina durante gli anni184849 avevano diritto ad una campagna; e se avevano inoltre partecipato acombattimenti in campo aperto dal 3 settembre 1848 in poi avevano diritto aduna seconda campagna.

(241) R. 27 novembre 1849, cit., supra, nota (240).

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il Volturno,· e furono dispensati da ogni altra condizione peril godimento della pensione pari al soldo intero; fu dichiaratovalutabile il periodo trascorso nei collegi militari, e fu accor-dato il grado onorario superiore ai militari collocati in riti-ro (242). La campagna di Lombardia del 1848 fu riconosciutaai militari dell'esercito regolare, inviati nell'Italia settentriona-le in aprile, che ubbidirono, dopo gli avvenimenti di Napolidel 15 maggio, all'ordine regio di ritornare nel regno.

Il Governo italiano, con vari provvedimenti del 1861,riconobbe poi, con qualche eccezione, i diritti a pensione con-seguiti secondo le leggi di Napoli.

III. IL RECLUTAMENTO DEI CORPI NAZIONALI

DELL'ARMATA DI TERRA

E L'ASCRIZIONE MARITTIMA

88. Dalla conquista di Carlo di Borbone allo scioglimen-to dell'esercito e della marina nel 1821. - L'esercito regio,al tempo di Carlo di Borbone, era, come tutti quelli deltempo, formato esclusivamente di volontari in parte naziona-li, ed in maggior parte « esteri» (243); e tale ne rimase il re-clutamento nei primi tempi del regno di Ferdinando IV (244),

(242) Questi provvedimenti non furono riconosciuti dal Governo italiano,con discutibile criterio: infatti, a tale data, come si disse supra, nota (188), ilgoverno di Francesco II esercitava tuttora sovranità effettiva. La verità è chedopo la battaglia del Volturno, ed in Gaeta, il re, sia pure per comprensi-bili ragioni, aveva troppo largheggiato nell'accordare benefici e promozioni.Sarebbe stato meglio se ciò, con maggiore equilibrio, fosse stato fatto primadella crisi del 1860.

(243) ScHlPA, I, pp. 328 5S.

(244) BATTAGLINI, b), p. 11, rileva come, in un esercito di volontari, dovetutti aspiravano a fare carriera, non si seppe sfruttare tale forza morale, ba-sata sulla concorrenza e sulla emulazione, ed anzi fu tolta, in quel tempo,ogni speranza di promozioni.

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pur ricorrendosi, per sopperire alle deficienze degli arruola-menti, a taluni espedienti non insoliti all'epoca, quale l'in-corporazione coattiva di condannati (245). Una contribuzioneforzosa di coscritti fu imposta, per la prima volta, alle uni-versità ed ai baroni, con real dispaccio 5 agosto 1794, comeconseguenza della pericolosa situazione internazionale, inclu-dendo anche questa volta nel contingente i rei d'omicidio inrissa, di lesioni volontarie, e d'asportazione d'armi proibi-te (246). Il principio del servizio militare obbligatorio, pertutti i cittadini dai 17 ai 45 anni compiuti, applicato in ogniuniversità nella proporzione dell'otto per mille, fu successi-vamente proclamato con dispaccio 24 luglio 1798 (247): èinfatti notorio che la generalizzazione dell'obbligo militare,negli Stati del continente europeo, deriva dalle vicende dellarivoluzione; e devesi alla repubblica francese la loi SUT la le-vée en masse, 23 agosto 1793, che, chiamando alle bandiere unnumero insolitamente elevato di cittadini-soldati (248), impo-se alle monarchie tradizionali di fare altrettanto, sotto pena diessere sommerse, come del resto non riuscirono per molti anniad evitare.

Dopo la tragica vicenda del 1799, si tornò ad usare con-giuntamente gli arruolamenti volontari e la leva, il cui contin-gente fu elevato, con dispaccio 4 dicembre 1805, al dieci permille (249).

Trattavasi di provvedimenti d'emergenza, molto rudimen-tali, che lasciavano largo margine agli arbitri delle autoritàlocali (250); ciò che, per il sentimento di possibili o patite in-

(245) COLLETTA, a), I, p. 230.(246) CORTESE N. in COLLETTA, a) I, p. 301.(247) COLLETTA, a), I, p. 357.(248) GODECHOT, pp. 113 S8., 494 S8.

(249) COLLETTA, a), II, pp. 147·148.(250) «Ingiustizie e rapine », secondo COLLETTA, a), II, p. 148.

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giustizie, rendeva odioso il servizio. ad individui cui peraltro.non mancavano, come dimostrò la loro partecipasione allaguerriglia detta dai francesi brigantaggio, nè la fedeltà al tro-no. ed all'altare, nè lo. spirito. combattivo. Napoli era esclusadalla leva. Inoltre, la coscriaione non vigeva in Sicilia (su-pra; § 74), così radicandosi l'ingiustificato. privilegio. che larendeva estranea ai comuni pericoli.

Durante il decennio. 1806-1815, la Sicilia rion ebbe quin-di che reclutamenti volontari, e dovette integrare il modestogettito dei siciliani con disertori e pr igionier i dell'esercito. diNapoli combattente in Spagna (251), Q con emigrati con-tinentali, che venivano. arruolati come « esteri », perchè nonnativi di Sicilia (252).

Nel continente, Giuseppe Bonaparte ristabilì la coscrizio-ne, nella proporeione dell'uno. per mille (r.d. 29 marzo. 1807),estendendola a Napoli (r.d. Il aprile 1807), ed integran-dola col ben noto espediente della incorporazione di detenutie pregiudicati (253). A sua volta, Gio.acchino. Murat (r.d. 22settembre 1808) creò due reggimenti di vèliti, uno. a piedi,l'altro. a cavallo, ed ordinò che ogni provincia fornisse uncerto. numero. di reclute, contribuenti Q figli di proprietari, chesapessero. leggere e scrivere: il che, se fu un peso. non sempregradito. per la popolasione, ebbe il risultato, conforme alprincipio. d'eguaglianza, d'obbligare al servizio. una classeche in passato. ne era stata esente.

Al ritorno del re Ferdinando. IV, si fece sperare alle Po.-polazioni continentali la prossima abolisione del servizio. mi-litare obbligatorio, proposito non attuabile, perchè il regno.era obbligato dal trattato. della Santa Alleanza a contrihuire

(251) DUMAS, fase. 13, p. 195.(252) DUMAS, fase. 15, p. 18.(253) COLLETrA, a), II, p. 305; VALENTE, pp. 27 S8.

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alle guerre dell'Austria con un contingente di 25 mila uomi-ni (254), e perchè le disastrose condizioni dell'ordine pub-hlico non consentivano un'eccessiva riduzione della truppa. Fustahilita, invece, la ferma di sei anni (r.d. 24 dicembre 1816),e furono richiamati alle armi gli uomini "delleleve del 1813(r.d. 21 novemhre 1817).

Infine, con r.d. 6 marzo 1818, su proposta del capitano-generale Nugent, si stahilì che il reclutamento dell'armatasarebbe avvenuto col duplice sistema, degli arruolamenti vo-lontari e della leva; e che i comuni di qua del Faro dovevanodare 3 uomini per 2.000 ahitanti, e quelli di là del Faro unuomo per 1.000 ahitanti. Già si vide (supra, § 5) che il ten-tativo d'applicare questa legge in Sicilia, mal riuscito, fu unadelle cause del malcontento esploso nel 1820; e renitenti edisertori ingrossarono le hande sanguinarie che devastaronoI'isola tra il luglio e l'ottohre di quell'anno (255).

Dopo l'ahhattimento del regime costituzionale del 1820,la coscrizione fu aholita (r.d. 26 maggio 1821), e si stahilìche l'esercito avrehhe dovuto essere costituito con arruola-menti volontari, affidati alla «Giunta degli ingaggi» (r.d. Ilgiugno 1821).

Un'evoluzione parallela, tra il 1734 ed il 1821, ebbe laleva di mare, detta «ascrizione marittima ». Il reclutamento,che era soltanto volontario nell'antico regime, divenne obhli-gatorio in continente sotto Gioacchino Murat, per gli eser-centi i mestieri di mare. Il sistema fu parzialmente modificatodalla restaurazione (r.d. 5 marzo 1816). L'aholizione della

(254) È esatto quanto osserva CORTESE N. in COLLETTA, a), III, p. 68, chenon esisteva un decreto del 1815 «col quale il re (Ferdinando), notando lacoscrizione come flagello del dominio francese, la revocava s, L'illustre storiconon guardava troppo per il sottile, quando poteva honnir il sovrano a lui In-viso, equivocando su qualcosa, per dimostrarlo sistematico mancatore di fede.

(255) SPELLANZON, I. pp. 819 88.

36. LANDI • I.

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ascrizione, ed il ritorno al sistema degli arruolamenti volonta-ri, fu poi disposto con r.d. 28 maggio 1821, e 26 giugno 1821.

89. L'ordinamento del 1823. - Con i provvedimentidi ricostruzione dell'esercito, adottati dal 1823 (supra, § 78),il sistema del reclutamento volontario apparve subito insuffi-ciente. Si ritornò, quindi, al sistema integrato, in vigore dal1818 al 1821, ed il r.d. 28 febbraio 1823 «per la recluta-zione dei corpi nazionali dell'armata» (art. l) prescrisse chei detti corpi sarebbero stati reclutati e mantenuti al completocon gli arruolamenti volontari, i ringaggi, e la leva. Questodecreto, per la parte concernente gli arruolamenti volontari,ed i ringaggi, o prolungamenti di servizio, fu conservato ingran parte in vigore col successivo r.d. 19 marzo 1834 (in-tra, § 90).

Gli arruolamenti volontari si facevano presso i corpi. Gliaspiranti dovevano avere la statura minima di 5 piedi e 3pollici (più di m. 1.70) per i granatieri, l'artiglieria e la caval-leria, e di 5 piedi ed un pollice (circa m. 1.65) negli altri cor-pi. Dovevano essere d'età tra 18 e 30 anni, elevabili a 35 noncompiuti per. coloro che avessero già servito; celibi e vedovisenza prole; non condannati per crimini nè per furto, e dibuona condotta; di religione cattolica; fisicamente idonei. Laferma era di sei anni in tutte le armi, e nella gendarmeria au-siliaria; d'otto anni nella gendarmeria reale. Agli arruolati(tranne che nella gendarmeria) era corrisposto un premiod'ingaggio di sei ducati; chi vi rinunciava era tenuto in par-ticolare considerazione per gli ascensi a sottufficiale.

Dopo quattro anni di servizio, gli individui dal grado dicaporale incluso in sotto potevano ingaggiarsi per altri quat-tro, o sei anni, con premio di ringaggio (rinunciabile) d'unducato per anno, fino a raggiungere 18 anni d'effettivo servi-

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zio, con cui erano trasferiti &i corpi sedentanei (supra, § 77),e godevano di saprassoldo d'anzianità di due grani al giorno.I sergenti, e gli individui dei corpi sedentanei, quando aveva-no terminato l'impegno (cioè la ferma), potevano restarein servizio senza l'ingaggio (cioè in servizio continuativo),oppure ottenere il congedo.

La leva (artt. 18 ss. r.d. cit.) doveva servire soltanto percolmare «i vòti che tuttavia esistono ne' diversi corpi nazio-nali dell'armata malgrado gli arruolamenti volontari e i l'ingag-gi », Il contingente stabilito dal re su proposta del Ministrodella guerra veniva ripartito tra le provincie secondo i datidell'ultimo censimento; e l'intendente, assistito dal Con-siglio d'intendenza, lo ripartiva ulteriormente tra i comuniin proporzione della popolazione. Gli iscritti nelle liste dileva erano sorteggiati in ogni comune. e destinati a marciarenell'ordine d'estrazione (se non erano esenti, inabili o inde-gni), fino a completare il numero stabilito. Avverso le decisionidei decurionati, era dato reclamo devolutivo al Consiglio d'in-tendenza. Erano istituiti sei depositi per la recezione delle re-clute, ognuno con un Consiglio di recezione: Napoli (per leprovince di Napoli, Terra di Lavoro, e Principati); Gaeta(per gli Abruzzi ed il Molise); Cosenza (per le Calabrie ela Basilicata); Foggia (per Terra d'Otranto, Terra di Barie Capitanata); Palermo (per le valli di Palermo, Girgenti eTrapani); Messina (per le valli di Messina, Catania, Siracusae Caltanissetta). Ma i depositi di Palermo e Messina non fun-zionarono mai, e furono invece organizzati i reggimenti volon-tari siciliani (supra, § 78).

Malgrado la leva fosse stata concepita in funzione mar-ginale rispetto alle altre fonti di reclutamento, il risultato, spe-cie dopo il 1825, quando col ritiro delle truppe austriache di-veniva esigenza più pressante quella di rafforzare l'esercito

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(supra, § 78) non sembra sia stato brillante. E questo spiegail singolare provvedimento, per cui «per alleviare alla cittàdi Napoli il numero de' coscritti per il contingente del 1826»si presero «per addirsi al servizio militare i vagabondi e glioziosi nelle persone de' quali» concorrevano l'età da 16 a 35anni, la statura non minore di 5 piedi, la mancanza di con-danne infamanti, e l'attitudine fisica (256). Tali individui nonpotevano essere esonerati se non con la garanzia d'un notoriopossidente, d'un reputato negoziante, o d'un probo artefice,che avesse fatto al garantito un assegnamento mensile di nonmeno di sei ducati, e l'avesse applicato giornalmente ad un one-sto mestiere, restando esposto ad una multa di non meno di100 ducati (applicabile «in linea economica », cioè ammi-nistrativa, dalla Prefettura di polizia, a beneficio del realealbergo de' poveri), ed in caso d'insolvenza all'arresto da 15giorni ad un mese.

È pure significativo che avesse dovuto intendere SuaMaestà, con sommo rincrescimento del suo real animo, che co-loro i quali venivano chiamati dalla sorte a servire sotto le rea-li bandiere, ancorchè, ubbidienti alla chiamata, si presentasse-ro spontaneamente, nondimeno venissero condotti ai depositilegati a guisa di malfattori. Trattavasi, ovviamente, d'un ec-cesso di zelo, o d'un eccesso di diffidenza, da parte di taluneautorità; e perciò il sovrano, considerando che questa spe-cie di trattamento, oltre non essere conveniente, era benanchemale adatto per quei che dovevano seguire l'onorevole car-riera delle armi cosicchè sin dal principio veniva in certo mo-do a degradarsi colui che era destinato ad un oggetto così no-bile e glorioso, dispose che le reclute spontaneamente pre-sentatesi venissero inviate sciolte ai depositi, e che legati po-

(256) R. 15 luglio 1827, in PETITTI, III, p. 262.

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tessero condursi soltanto i refrattari (257). Ma è ovvio chetanto zelo, o tanta diffidenza non dovevano essere del tuttoprivi di ragione.

I casi d'autolesi,onismo erano puniti col minimum del ter-zo grado di prigionia correzionale (due anni ed un mese); edi colpevoli, scontata la pena, erano destinati a servire nellacompagnia ausiliaria di Capri (r.d. 9 settembre 1823 e 13giugno 1837).

In verità, il metodo di reclutamento presentava certivizi mai eliminati (258), anche se, a quel tempo, più o menocomuni a tutti i paesi dove vigeva il servizio militare obbli-gatorio.

Il servizio militare era considerato più una contribuzio-ne (259) che un dovere civico d'addestrarsi all'uso delle ar-mi per la difesa del re e della patria. Il principio etico trova sibensì affermato in testi giuridici e non giuridici ma non èmai enunciato legislativamente in forma tanto incisiva (sipensi all'art. 52 della Costituzione della Repubblica italiana:«la difesa della patria è sacro dovere del cittadino»), da pro-spettarlo come un'obbligo generale ed infungibile dei sudditidel regno (260).

(257) R. 2 febbraio 1825, in PETITTI, 111, p. 8.(258) PIER" a), p. 449 (per la situazione del 1848), e p. 657 (per la si-

tuazione del 1860).(259) MANNA, pp. 171 ss.(260) n preamholo del r.d. 19 marzo 1834 (in/ra, § 90) dichiara: c La dì-

fesa dello Stato, e la sua interna sicurezza, cui ogni buon suddito è in do-vere di concorrere, esigendo che il nostro Real esercito sia mantenuto sempreal completo di pace, e possa, in un lontano bisogno, passare con maggiorefacilità a quello di guerra; volendo che questa parte del pubblico servigiosia completamente regolata con principi equi ed invariabili, e riesca il menopossibile gravosa... ~, etc. Le istruzioni per l'esecuzione della leva (Min. In-terno, 14 dicembre 1850, in PETITTI, I1I, p. 161) dicono che c l'obbligo di con-correre alla difesa del Trono e dello Stato è supremo fra tutti i pubblici do-veri, di tal che l'esimersene è un segnalato favore conceduto alla conserva-

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566 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie

Dal carattere contributivo derivava, secondo ben noti prin-cipi d'economia politica, il contenimento dell'obbligo mili-tare all'indispensabile (261). E perciò, se le ferme paionooggi spropositatamente lunghe, erano molto numerose le esen-zioni (in/ra, § 92). Altra conseguenza era la fungibilità del-la prestazione attraverso il «cambio », cioè la presentazioned'un sostituto.

La disciplina dei cambi o rimpiazzi, istituto caratteristicodel diritto amministrativo militare del tempo, fu oggetto divari provvedimenti (in/ra, § 93). Qui è sufficiente osservareche normalmente esso imponeva una spesa, per il compensodovuto dalla recluta all'uomo che lo rimpiazzava, o per latassa che la recluta, per ottenere il cambio, doveva versarealla regia tesoreria. E perciò, il rimpiazzo funzionava, prati-camente, solo a vantaggio dei possidenti, malgrado si dices-se che permetteva ai volontari che vi si prestavano di diveni-re « da nulla tenenti proprietari e possessori di rendita... chefar possono ritorno alle loro famiglie in istato di darsi ad utilitraffichi, ed a vantaggiose industrie, e di fare acquisti» (262).

zione delle famiglie, al loro incremento, al sacerdozio, alle professioni piùutili, alle arti helle ».

(261) MANNA,p. 177: « ... se l'arruolamento delle milizie permanenti hail carattere d'una vera contrihuzione puhhlica, è mestieri la più squisita cau-tela per rattenerla nei limiti del minimo nocumento alla popolazione ed allaproduzione e per far sì che non ferisca i valori capitali della nazione ».

(262) Circo Min. Aff. interni, 23 agosto 1843, in PETlTTl, I1I, p. 134. Ososerva ELLUL, p. 361, a proposito della legge di reclutamento francese del 1832,cui la legge napoletana molto rassomiglia, che «le système du remplacement .••correspondait à un aménagement de type Iibéral et bourgeois. Libéral, en ceque l'on maintenait le caractère Iimìté de la charge militaire, l'afJranchissementdu service militaire personnel. est une des conquetes de notre civilisation, dé-clarait-on en 1849. C'est le système permettant de répondre à la nécessité milì-taire tout en conservant une apparence individualiste libérale. Bourgeois, ence que le paiement du remplaçant étant assez élevé, seuls ceux qui disposaientd'une fortune suffisante pouvaient se faire remplacer ». Queste osservazioni,valide anche per il regno. confermano (sllpra, § 12) la tendenza del governo

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In conclusione, la truppa era fornita quasi esclusivamentedal proletariato, con prevalenza del ceto rurale. l possidenti,con le esenzioni o col rimpiazzo, si sottraevano legalmenteall'obbligo militare, il che li rendeva anche estranei ed in-differenti ai problemi della difesa. V'è tuttavia da considerareche, se il trattamento del soldato, per alloggio e vitto, eraabbastanza buono (263), ed anche quando imperversavanocerte crisi di folli economie (264) restava, probabilmente, su-periore al tenore di vita medio delle classi donde traevasi ilmaggior numero di soldati, la condizione del militare di truppanon poteva essere gradita ai « civili» a causa d'un regime di-sciplinare in cui bastone e bacchette - castighi non infaman-ti - pare fossero usati con una certa larghezza (265). Nèera stato escogitato un sistema che rendesse ai detti elementimeno gravoso il servizio, quale quello adottato dal regno d'Ita-lia dopo il 1875, che, abolite quasi del tutto le esenzioni, con-sentiva a chi si sottoponeva ad una certa tassa di servire come«volontario d'un anno », ed a chi aveva un titolo di studiod'ottenere, seguendo un corso d'istruzione, il grado d'uffi-ciale di complemento. D'altro lato, quel beneficio che il realgoverno si riprometteva, di restituire i volontari alla vita ci-vile con un peculio da impiegare, sembra si realizzasse in benmodesta misura: la lunga ferma seguita dal reingaggio sradi-cava i militari dal loro ambiente nativo, e li trasformava insoldati di mestiere; la truppa si rinnovava abbastanza poco

di Napoli a recepire ogni indirizzo liberale, purchè non fosse traducibile intermini di libertà politica.

(263) ARGIOLAS, pp. 74·75 e 80; DE CESARE, a), I, p. 185.(264) DE SIVO, a), II, pp. 13-14; BATTAGLINI, b), pp_ 139-140.(265) DE CESARE, a), I, pp. 188-189; BATTAGLINI, b), pp. 126-127.La pena

delle bacchette fu ancora applicata il 5 novembre 1860, nella cittadella di Mes-sina, a militari che avevano formato un complotto per disertare (MANGONE.

pp. 289). Vedi supra, nota (220), ed injra, nota (285).

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attraverso l'immissione di giovani, ed era costituita in mag-gior parte d'anziani; e tutto questo influiva a fare dell'esercitoun corpus separatum, scarsamente inserito nella vita del paese.

90. L'ordinamento del 1834: a) organi del servizio di re-clutamento, ferme, soggetti obbligati. - Il servizio della levafu riordinato col r.d. 19 marzo 1834, «decreto organico pelreclutamento de' corpi nazionali dell'armata, spezialmente permezzo della leva ».

Il servizio di leva dipendeva dal Ministero degli affariinterni (supra, § 59), che vi provvedeva d'accordo col Mi-nistero della guerra, e col Ministero degli affari di Sicilia, permezzo degli intendenti delle prOVInCIeo valli, e dei sindacie decurioni dei comuni.

Nel capoluogo di ciascuna provincia o valle doveva averesede un Consiglio di leva, ossia di ricezione (art. 7l r.d. cit.);è superfluo ricordare ancora una volta che i Consigli in Sicilianon furono mai stabiliti (266). Il Consiglio era presiedutodall'intendente, e ne facevano parte il comandante della pro-vincia, un consigliere d'intendenza o il segretario generale del-l'intendenza, ed il comandante della gendarmeria della pro-vincia; in assenza dell'intendente, funzionava da presidenteil comandante della provincia (267). Assisteva al Consiglio,con funzioni di pubblico ministero (268), il commessario 'di

(266) Le spese d'installamento dei Consigli di leva furono stabilite conr. 27 settembre 1834, e poste a carico dei comuni, salvo quelle per gli stam-pati, e per il fitto di locali destinati a deposito provinciale di leva, che eranoa carico del Ministero della guerra (PETITTI, 111,p. 87). I volontari de' realidomini di là del Faro erano arruolati direttamente dai reggimenti siciliani (r.5 febbraio 1840, ivi, p. 117).

(267) Circo Min. Affari interni, 12 agosto 1834, in PunTI, 111,p. 82. Aparità di voti, era determinante il voto dell'intendente, ai sensi dell'art. 241. 12 dicembre 1816 (Min. Aff. interni, 16 agosto 1834, ivi, p. 83).

(268) R. Il dicembre 1839, in PETITTI, III, p. 117.

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guerra della provincia; se nella provincia non ve ne fosse, op-pure fosse assente o impedito, le funzioni stesse erano esercita-te dal presidente del Consiglio di guerra di guarnigione (269),o da un ufficiale del Consiglio di guerra designato dal co-mandante della provincia (270). Per le visite sanitarie (con-trovisite) il Consiglio formava una «lunga lista» di profes-sionisti, tra i quali l'intendente convocava volta per volta «lasera per la mattina... ove non riesca avvertirli il giorno stes-so », un medico ed un chirurgo (271).

In ogni capoluogo di provincia, era stabilito un « deposi-to di leva », comandato da uno degli ufficiali in servizio co-me giudici del Consiglio di guarnigione (272), il quale par-tecipava, senza voto, alle sedute del Consigliodi leva, per man-tenervi la polizia riguardo alle reclute, verificarne la statura, espedirle al loro destino, secondo gli ordini del comandanteprovinciale (art. 72 r.d. cit.). Peraltro, il I" deposito di leva,con sede in Napoli, aveva funzione di deposito generale, e ri-ceveva e smistava ai corpi le reclute inviatevi da tutti i depo-siti (art. 79 r.d. cit.).

La ferma, nelle armi a piedi, era dì cinque anni, seguitida cinque anni nella riserva (supra, § 80); d'otto anni nellagendarmeria, artiglieria e cavalleria, senza obbligo di serviziodi riserva; d'otto anni, con la stessa esenzione, per i volontari,e per le reclute che assumevano volontariamente tale fermarsolo coloro che assumevano la ferma d'otto anni avevano facol-

(269) Min. Aff. interni, 25 giugno 1834, in PETI'ITI, I1I, p. 80.(270) Min. Aff. interni, 23 agosto 1834, in PETITII, 111,p. 83.(271) L'indennità, per la visita d'ogni recluta, era di lO grani, da divi-

dere in parti uguali tra i due sanitari (Min. Aff. interni, I" giugno 1836, inPETITTI, I1I, p. 97). n brevissimo preavviso era stabilito per motivi di diffi·denza, volendosi rendere meno agevoli le collusioni tra sanitari e reclute oloro familiari.

(272) Min. Aff. interni, 5 luglio 1834, in PETITII, I1I, p. 80.

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tà di chiedere il ringaggio (artt. 2-7 r.d. cit.). I volontari po-tevano presentarsi ai corpi, oppure al deposito di recezionedella provincia (273). Gli allievi dei reali alberghi de' poveri,degli altri orfanotrofi civili, e delle scuole militari, erano ob-bligati a dieci anni di servizio attivo (art. 5 r.d. cit.).

.Il contingente di leva era stabilito, anno per anno, dalre su proposta del ministro della guerra, in base alle vacan-ze (« basse ») verificatesi per morti, diserzioni, ed altre ca-gioni, ed al calcolo, per approssimazione, dei congedamentidell'anno successivo, ed era comunicato al ministro dell'inter-no (274), per la ripartizione tra le provincie (artt. 8-10 r.d.cit.), Dal contingente erano detratti, comulativamente, gliallievi indicati dall'art. 5 r.d. cito (art. 11 r.d. cit.). La ripar-tizione proporzionale del contingente tra i comuni della pro-vincia era fatta dall'intendente assistito dal Consiglio d'inten-denza; i comuni con meno di 500 anime non erano compresinella quotizzazione; quelli con più di 500 anime e meno di1000 potevano essere riuniti per fornire una recluta; a Na-poli, il contingente era ripartito per quartieri (artt. 12 e 13r.d. cit.). Non erano computati nel contingente i giovani delComune che eransi arruolati come volontari, nè i giovanisortiti alla leva potevano arruolarsi per volontari (275); an-davano invece in conto di leva gli allievi di cui all'art. 5,quando erano destinati per cambio d'una recluta del comune(art. 11 r.d. cit.).

Tutti i giovani, dall'età di 18 anni ed un giorno a 25 com-piuti (art. 21 r.d. cit.), erano iscritti nella lista del comune

(273) Min. Aff. interni, 4 ottobre 1834; r. 5 febbraio 1840 e 25 novembre1840, in PUlTTI, III, pp. 85, 117, 124.

(274) Secondo gli artt. lO e 14 r.d. 19 marzo 1834, la competenza del Mi·nistero dell'interno era sostituita, nei domini di là del Faro, da quella delMinistero per gli affari di Sicilia.

(275) Min. Interno, 22 novembre 1848, in PETITTI, 111, p. 147.

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di nascita, o, se domiciliati altrove, in quella del comune do-ve avevano il domicilio legale da almeno un anno ed un gior-no alla data di compimento del 18° anno d'età (artt. 15 e 16r.d. cit.); ma se il comune era di quelli esclusi dalla quotaperchè di meno di 500 abitanti, il domicilio vi doveva esserestabilito da non meno di due anni alla data dell'ordine sovranodi leva (art. 20 r.d. cit.). Il domicilio legale era stabilito anorma delle leggi civili (art. 17 r.d. cit.: infra, § 111). Chiaveva, in tale tempo, cambiato domicilio, era iscritto nel co-mune dove era prima domiciliato, e se' ne aveva cambiato di-versi, nel comune di nascita (art. 16 r.d. cit.). In tale comu-ne erano sempre iscritti i figli degli impiegati (art. 18 r.d.cit.), compresi quelli d'impiegati in ritiro, i vagabondi e servi-torj (art. 19 r.d. cit.), e gli zingari regnicofi (276). Gli iscrit-ti erano divisi in sette classi, per anno d'età, e passavano dauna classe alla successiva al 31 dicembre d'ogni anno (art. 22e 23 r.d. cit.}, dimodocchè annualmente erano iscritti nella1a classe i giovani da 18 anni ed un giorno a 19 anni ed ungiorno, e cancellati quelli della 7\ che avevano compiuto i25 anni (art. 37 r.d. cit.).

Le reclute dovevano avere la statura mimma di 5 pie-

(276) I figli degli impiegati in rruro erano equiparati a quelli degliimpiegati in attività (Min. Aff. interni, 19 maggio 1847, in PETITTI, 111, p. 146).Gli zingari nati all'estero non avevano obbligo di leva (Min. Aff. interni, 21aprile 1838, ivi, p. 107). I giovani che esercitavano mestieri girovaghi, eco·loro che si recavano all'estero prima d'avere adempiuto all'obbligo, dovevano,prima d'ottenere il passaporto, prestare cauzione o malleveria, o depositared. 240, cioè la somma prescritta per il cambio (circ, Min. Interno, 3 dicem-bre 1849, ivi, p. 150, e r. 21 dicembre 1853, su cpf. CN, in PETITTI, V, p. 561)ma ne erano dispensati se permanentemente non idonei al servizio militare(r. 25 gennaio 1854, ivi, p. 574). Le reclute residenti in provincia diversa daquella di nascita potevano chiedere d'essere esaminate dal Consiglio di re-cezione della provincia di residenza (circ, Min. Interno, 17 marzo 1852, ivi,p. 258).

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di (277), O quella superiore prescritta per i corpi della Guar-dia, di cavalleria, d'artiglieria e del treno (artt. 24 e 25 r.d.cit.). Gli uomini più robusti erano destinati alla cavalleria del-la guardia, ed ai cacciatori della guardia e di linea; i vetturini,trainanti, guarnamentai e maniscalchi si mandavano di prefe-renza al treno; gli armieri ed altri artefici in ferro ed in legnoall'artiglieria.

91. Segue: b) operazioni di leva. - La leva si esegui-va, quando veniva dal re ordinato, per via di sorteggio, cheaveva luogo in ciascun comune nel giorno indicato dell'inten-dente (art. 31 r.d. cit.). Entravano nell'urna tutti i giovani,dai 18 anni ed un giorno a 25 anni, compresi quelli che ave-vano diritto ad esenzioni (inlra, § 92), dacchè queste esen-tavano «dal marciare », cioè dall'effettivo servisio, ma nongià dal sorteggio (art. 32 r. d. cit.).

Il decurionato, sotto la presidenza del sindaco o di chilo sostituiva in caso d'impedimento, e con l'intervento di tuttii parroci e del cancelliere del comune, procedeva alla forma-zione delle liste, annotando nome, cognome, paternità e ma-ternità, età, professione o mestiere, stato di celibe o coniu-gato, in apposito registro, sulla base dei registri parrocchialie di stato civile controllati dai rispettivi parroci e dal cancel-liere; accertava le situazioni domiciliari; disponeva le nuoveiscrizioni dei diciottenni alla prima classe, i passaggi di classedegli altri iscritti, e la cancellazione di coloro che avevano su-perato i 25 anni; prendeva nota dei motivi d'esenzione perla leva seguente (artt. 33-38 r.d. cit.).

(277) La statura fu poi ridotta a 4 piedi, Il pollici e 6 linee (Min. In-terno, 7 novembre 1849 e 7 gennaio 1852, in PETITTI, III, p. 149 e V, p. 225),con .cui pare si trovassero «individui robusti ed attissimi al mestiere dellearmi ~.

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Le liste erano affisse alla porta della casa comunale, edella chiesa principale del comune, e, negli otto giorni succes-sivi, ognuno poteva reclamare per gli errori e le omesse iscri-zioni, anche .con scritti non firmati (278). Sui reclami de-cideva il decurionato, nello stesso giorno stabilito per il sor-teggio. Tali decisioni a Napoli e nei comuni con più di 6.000abitanti erano notificate per affissione, e negli altri personal-mente; e potevano essere impugnate con gravame devolutivoal Consiglio di leva pro-vinciale, nel termine perentorio diventi giorni (279). Il Consiglio di leva poteva però in qua-lunque tempo rettificare d'ufficio errori ed omissioni, e pote-va anche ammettere reclami tardivi «per eccezioni legali emarcate », cioè per motivi giustificati, riferendo al ministrodegli affari interni per le sovrane risoluzioni (artt. 39-40r.d. cit.).

Dopo avere deciso i reclami, il decurionato, in pubblicariunione (280), e con l'intervento dei parroci e del cancel-liere comunale, scriveva su foglietti ed imhussolava i nomi ditutti gli iscritti (compresi quelli che godevano d'esenzio-ni); e li faceva estrarre, uno per uno a braccio nudo, da un ra-

(278) I reclami venivano introdotti in una cassetta, con fessura nella partesuperiore, collocata alla porta della chiesa principale, e chiusa con tre chiavi,tenute rispettivamente dal sindaco, dal parroco più anziano e dal maggiorepossidente del comune; l'apertura della cassetta e l'estrazione dei reclami avovenivano in presenza del consesso riunito per la decisione dei medesimi e pelsorteggio (artt. 40 e 43 r.d. 19 marzo 1834). Era evidente il timore di dolosasottrazione o distruzione di qualche reclamo.

(279) I reclami pendenti alla data d'entrata in vigore del r.d. 19 marzo1834, e quelli che potevano ancora prodursi da reclute di leve anteriori al1834, continuarono ad essere decisi dai Consigli d'intendenza (supra, § 89),con «prorogatio iuriadictionìs a (Min. Aff. interni, 21 maggio 1834, in PETITTI,

III, p. 34).(280} La consuetudine, introdotta nel 1820 (artt. 33 S8. Cost.), di riunire

l'assemblea nella chiesa parrocchiale, fu abrogata con circo Min. Aff. interni,5 agosto 1826 (PETITTI, 111,p. 9).

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gazzo d'età non maggiore di sette anni, attestata dal proprioparroco. I nomi degli estratti erano trascritti in ordine, ed afianco ad ogni nome doveva apporre la propria firma il sor-teggiato, e, se fosse assente e non sapesse scrivere, il parroco.Se in una famiglia v'erano più figli numerabili, venivano iscrit-ti in una sola cartella se meno di tre, ed in due cartelle se piùdi tre, ed essendone sorteggiata una, si sceglieva il più gio-vane, e se due, i due più giovani (281). Se si scoprivano omis-sioni, si rinnovava il sorteggio, togliendo dall'urna le cartelle,ed immettendovene altrettante bianche, più quelle con i no-mi degli omessi: le cartelle bianche estratte si consideravanoconferma del precedente sorteggio, ed i nomi nuovi estrattisi inserivano tra quelli della precedente estrazione, col relati-vo spostamento di numeri. Venivano poi verificati i «vizipatenti» che erano causa d'inabilità (ciechi, gobbi, claudican-ti, storpi, etc.), nonchè la statura, e si sostituivano, nell'or-dine, gli inabili con quelli che li seguivano. Chiunque potevachiedere, a proprie spese, nel termine di due mesi (282), cheun individuo dichiarato inabile per difetto di statura fosse nuo-vamente misurato dal Consiglio di leva (artt. 45-49 r.d. cit.).

Il contingente di ciascun comune doveva essere subitoinviato al capoluogo di provincia, sotto scorta ove il decu-

(281) In seguito, con r. 12 febbraio 1852, su cfp. CN (PETITII,V, p. 255),fu abolito il «doppio rischio» che correvano le famiglie con più di tre figli,uno dei quali reclutabile, per il sorteggio di due cartelle; e fu stabilito (r.31 dicembre 1853, 8U cfp. CN, ivi, p. 411) che se per errore erano bussolatedue cartelle per una sola famiglia, quando dovevasi bussolarne una, si proce-desse a scrutinio suppletivo, come per i numeri omessi. Per le famiglie di im-piegati, i cui figli fossero bussolati in comuni diversi, si teneva conto del co-mune dove era bussolato il più giovane, se i figli noverati per la leva eranodue o tre, e di quelli dei due più giovani, se erano più di tre (r. 15 febbraio1837, su cfp. CN, in PETITTI,III, p. 100).

(282) Se il reclamante rinunciava alla rimisurazione, non potevano altri,che non avessero reclamato, giovarsi del reclamo altrui per esercitare talefacoltà (Min. Aff. interni, 4 luglio 1849, in PETlTII, III, p. 149).

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rionato lo ritenesse necessario, ed ogni individuo, appena usci.to dal comune, percepiva un'indennità di 15 grani al giorno.I disertori, i morti, quelli che fossero divenuti per qualsiasiragione inabili, e quelli che venivano rifiutati dal Consigliodi leva, dovevano essere sostituiti nell'ordine del sorteggio.Il Consiglio di leva, sulla base degli «stati» delle reclute diciascun comune, formava lo « stato generale» della provincia,in due copie, inviate una al Ministero degli affari interni, el'altra al Ministero della Guerra e marina (artt. 50-56 r.d. cit.).

Il Consiglio di leva esaminava quindi nuovamente tuttigli individui, nonchè la documentazione delle operazioni com-piute nei comuni, e procedeva ove necessario alla controvisi-ta, o visita di controllo. Solo dopo tale esame e controllo leesclusioni ed esenzioni divenivano definitive; mentre se ilConsiglio revocava un'esenzione o esclusione l'individuo do-veva marciare, e restava esonerata l'ultima recluta dell'elencodei chiamati. Nei casi dubbi, il Consiglio doveva riferire alministro degli affari interni (283). L'individuo chiamato asostituire una recluta rifiutata dal Consiglio di leva per in-fermità o imperfezioni fisiche poteva chiedere, entro due me-si, che il rifiutato fosse sottoposto a riesame del Consiglio ge-nerale sanitario dell'esercito (artt. 73-78 r.d, cit.).

Le reclute destinate definitivamente a marciare erano in-viate dal comandante della provincia al I" deposito di levadi Napoli, per essere distribuite ai corpi secondo gli ordinidel ministro della guerra (284), che poteva altresì disporne

(283) Solo nel caso in cui il dubbio concerneva misure o difetti fisicidelle reclute, era prescritto se ne facesse rapporto anche al Ministero dellaguerra (circ. Min. Aff. interni, 22 novembre 1834, in PETITTI, 111, p. 88).

(284) Le reclute affette da mali venerei, o da altri morbi che rlchìedes-sero lunga cura, dovevano curarsi in casa propria, o in ospedale civile, edessere avviate alle bandiere sol dopo la completa guarigione (cìrc. Min. In-terno, 16 febbraio 1850, in PETITTI, I1I, p. 156).

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il diretto invio dal deposito provinciale al corpo, previo accer-tamento dei requisiti da compiersi dal comandante dellaprovincia. Dal giorno dell'ammissione al deposito fino all'arri-vo al I" deposito o al corpo le reclute ricevevano un carlinoal giorno, e la razione di pane in denaro (3 grani al giorno);quando erano definitivamente ammesse sotto le bandiere, co-minciavano a ricevere tutti gli assegni come soldati (artt. 79-88 r.d. cit.) (285).

Le reclute, all'arrivo al corpo, erano sottoposte a nuovavisita medica dal chirurgo del corpo e da un uffiziale di sa-lute dell'ospedale militare o civile più vicino, e se giudicatenon idonee, inviate ad ultima controvisita presso il Consigliogenerale sanitario. Se la non idoneità era confermata, il mi-nistro della guerra ordinava la restituzione della recluta alConsiglio di leva di provenienza, e prendeva accordi col mi-nistro degli affari interni per il rimpiazzo da somministrarsidal comune al cui contingente la recluta apparteneva (artt.89 e 90 r.d. cit.). L'elenco delle malattie e dei vizi di con-formazione che escludevano dall'ammissione in servizio mili-tare e davano diritto a riforma oppure a congedo, era conte-nuto nel 111 titolo r.d. cit.; ma fu sostituito una prima eduna seconda volta, con regi re scritti, nel 1840 e nel 1845 (286),per rimediare a difetti ed a perplessità risultate dall'esperien-

(285) L'art. 85, comma 2, r.d. 19 marzo 1834, prescriveva che il coman-dante della scorta, incaricato di dirigere un convoglio di reclute, doveva vi-gilare c:che le reclute siano trattate con dolcezza, e si usino verso di essede' mezzi atti ad affezionarle al Real servizio, non mai a far loro concepireuna falsa idea della disciplina militare, la quale non permette abuso d'au-torità ,.

(286) PETITTI, 111, pp. 44 ss. e 65 ss, Il testo approvato con i r. 22 gen-naio 1840 e lO agosto 1840 contiene anche prescrizioni speciali per i militaridei reggimenti svizzeri. Quello approvato con r. l° aprile 1845, si proponeuna migliore sistematica. La vaccinazione obbligatoria delle reclute fu ordi-nata con r. 28 giugno 1851, in PETITTl, VI, p. 332.

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za. Con gli stessi rescritti, furono ogni volta dettate minuzio-se istruzioni sul metodo d'esecuzione delle visite mediche.

Nei confronti delle reclute inobbedienti alla chiamata, eraconsentito l'uso dei «piantoni» a domicilio (287). I «re-frattari », quelli, cioè,che chiamati dal sorteggio a marciarenon si presentavano nel tempo stabilito, o si rendevano irre-peribili (« evadevano ») prima d'essere ammessi al serVIZIOmilitare dal Consiglio di leva (288), o disertavano durantela marcia dal capoluogo della provincia al lo deposito o alcorpo, dovevano servire dieci anni consecutivi, a meno chenon si presentassero spontaneamente, e non potevano ammo-gliarsi prima d'avere soddisfatto il servizio militare. Se di duefratelli sorteggiati insieme uno si rendeva refrattario, era so-stituito dall'altro. La dichiarazione di refrattario, e la revocadi essa, erano fatte dal Consiglio di leva (art. 65-70 r.d. cit.).I comuni erano obbligati a sostituire le reclute refrattarie,ma non i disertori (art. 65 r.d. cit.), considerandosi cometali anche quelli che, rinviati in famiglia dal Consiglio di le-va per essere sospeso l'avviamento al I" deposito, non rispon-dessero alla nuova chiamata (289). Agli autolesionisti si ap-plicavano il r.d. 9 settembre 1823, ed il r.d. 13 giugno 1837(supra, § 89) (290).

(287) Min. Aff. interni, 11 luglio 1835, in PETITTI,111, p. 93. Peraltro,si raccomandava di non spedire piantoni alle famiglie di riconosciuta indi-genza, e d'avvalersi d'altre misure, come il mandato d'arresto (circ, Min. In-terno, 25 aprile 1855, in PETITTI,VI, p. 450). Circa la procedura dei «pian-toni », o «guardie in casa », supra, § 50.

(288) Era« refrattario» anche chi, chiamato a rimisura per reclamo d'uninteressato, si rendeva contumace (r. 17 giugno 1835, in PETITTI,I1I, p. 91).

(289) Min. Aff. interni, lO aprile 1839, in PETITTI,II!, p. 109. Se al mo-mento in cui il refrattario giungeva al corpo per servirvi il militare che l'avevasostituito era stato congedato per servizio finito, oppure preferiva restare inservizio da volontario, il Comune era alleviato d'una recluta per la leva sue-cessiva (r. 14 maggio 1837, in PETITTI,I1I, p. 102).

(290) Il Ministero della guerra, in data 21 maggio 1844, aveva disposto

37. LANDI - I.

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578 Istituzioni del Regno delle Due Sicilie 92

Gli individui che avevano prestato servizio militare dileva o volontario erano, a parità di titoli, preferiti nei pubbliciimpieghi con soldo regio o provinciale (art. 92 r.d, cit.) (291).

92. Segue: c) Eccezioni dal marciare. - Le «eccezio-ni dal marciare» erano, come si è avvertito, ben numerose;ed in un sistema, in cui l'esenzione accordata ad un soggettofatalmente implicava che dovesse onerarsi dell'obbligo mili-tare altro soggetto, «in offesa dei sacri diritti de' terzi» (292)quando ciò accadesse per un non retto giudizio, le questionidecise in ultima istanza, su dubbi di specie o di massima, conreali rescritti, non erano poche. Le dette eccezioni erano enu-merate, per la maggior parte, dall'art. 27 r.d. 19 marzo 1834,e concernevano:

l) i figli di famiglia unici assoluti, ossia senza fratelli,nè germani nè consanguinei, come anche quelli che fosserodivenuti assoluti fra i primi due mesi dopo del sorteggio.I figli adottivi erano classificati nella famiglia naturale, e nonin quella dell'adottante (293). L'unico legittimo non era te-nuto a marciare perchè il padre avesse riconosciuto uno o piùfigli naturali (294), ed era considerato «unico» il fratello uni-

che gli autolesionisti, dopo espiata la pena, fossero avviati ai corpi di linea;ma poi fu costituita una compagnia di punizione in Ventotene (Min. Interno,22 gennaio 1853, in PETITTI, V, p. 402), le cui spese, considerate estranee al-l'esercito, furono poste a carico del Ministero di grazia e giustizia (r. 24 gen-naio 1854, ivi, p. 583). Un'altra compagnia di disciplina fu poi costituita inVentotene (r. 19 febbraio 1855, in PETITTI, VI, p. 436) per avviarvi i militaricamorristi, indisciplinati, dediti ai complotti, e di sentimenti non retti.

(291) Con r. 12 dicembre 1849 (PETITTI, VI, p. 288) fu stabilito, in par-ticolare, che i congedati di buona condotta fossero preferiti nelle nomine aguardaboschi e guardie di polizia, nonchè nella mobilitazione a pagamentocome guardie urbane.

(292) Min. Interno, 14 dicembre 1850, in PETIITI, 111,p. 161.(293) R. 9 aprile 1823, in PETIITI, 111, p. 6.(294) R. 9 maggio 1854, su cfp. CN, in PETITTI, V, p. 601.

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co d'un sordomuto, perchè questa eccezione era data quan-do «un solo di due germani ... possa dar conforto ai genitori,e speranza di generazione novella », mentre il sordomuto«manca delle più essenziali facoltà umane» (295). L'esen-zione non spettava invece al figlio naturale riconosciuto dallasola madre «come quella che non costituisce famiglia» (296);

2) i figli di famiglia, quando vivevano separati dal pa-dre, ed erano capi di famiglia, purchè fossero emancipati daalmeno due anni alla data dell'ordine di leva, anche se d'etàmaggiore. Questa condizione (297) era evidentemente predi-sposta ad evitare che si contraessero matrimoni al solo scopodi conseguire l'esenzione. Per i proietti, l'età si computavadal dì dell'esposizione alla ruota, e l'esenzione era accor-data quando avessero contratto matrimonio due anni pri-ma dell'ordine di leva (298);

3) gli «unici relativi », ossia quei figli che rimaneva-no soli nella casa paterna, dopo l'emancipazione e perfettaseparazione biennale de' fratelli germani e consanguinei. Talesituazione doveva però sussistere al momento dell'ordine dileva, esclusa l'applicazione analogica della norma che accorda-va il beneficio all'unico assoluto, diventato tale nei due mesidopo il sorteggio (299). Il beneficio non spettava ai figli natida matrimoni di coscienza, privi d'effetti civili (300);

4) i vedovi con figli;

(295) R. 27 ottobre 1851, su cfp. CPGCC, in PETITTI, V, p. 254.(296) R. 11 settembre 1825, in PETITTI, III, p. 9.(297) L'emancipazione doveva avere avuto luogo nelle forme degli artt.

400 ss. Il.cc., e non poteva essere «tacita» (Min. Aff. interni, 8 luglio 1835,in PETITTI, III, p. 93).

(298) R. 19 febbraio 1855, su cfp. CN, (PETITTI, V, p. 645); r. 22 giu-gno 1835, su cfp. CN (PETITTI, III, p. 95).

(299) Min. Interno, 30 dicembre 1854, in PETITTI, V, p. 642.(300) R. 25 luglio 1836, su cfp. CR, in PETITTI, III, p. 97.

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5) i laureati e licenziati in medicina, in giurisprudenzae nella scienze fisiche e matematiche, purchè esercitasserola professione. L'esenzione era accordata anche agli alunnidi giurisprudenza della Gran Corte de' conti (301) e deitribunali ordinari (302), i quali non avendo soldo non rien-travano nell'eccezione del successivo n. 14), ma erano lau-reati, o comunque sostenevano un esame di leggi civili e di-ritto pubblico, dimodocchè il servizio si considerava equivalen-te all'esercizio professionale;

6) gli alunni di classe superiore del reale istituto di bel-le arti, che avevano conseguito il premio previsto dal r.d. 2marzo 1822, e quelli ammessi a piazza franca nel real collegiodi musica, che avevano superato il pubblico esame con pienaapprovazione. La stessa esenzione dal marciare avevano glialunni degli istituti militari (303);

7) gli alunni del Collegio medico-cerusico, approvati ne-gli esami della regia università degli studi (304);

8) quello tra gli alunni del convitto veterinario chenegli esami annuali fosse giudicato il migliore del corso;

9) i chierici ordinati «in minoribus », purchè avesserocostituito il patrimonio sacro, o godessero un beneficio ouna cappellania, ed i seminaristi, novizi, alunni d'ordini mo-nastici, purchè entrati in seminario o monastero da almenosei mesi alla data dell'ordine di leva, godevano dell'esenzio-ne fino all'età di 21 anni ed un giorno, pur dovendo entrarein bussolo; ma se a tale età non erano stati ordinati al sud-dia conato, o non avevano fatto professione monastica, eranotenuti a marciare ove fossero chiamati nel sorteggio. L'esen-

(3(H) R. 18 giugno 1842, in PETITTI, I1I, p. 127.(302) R. 31 dicembre 1852, su cfp. CN, in PETITII, V, p. 403.(303) R. 17 ottobre 1838 e 14 maggio 1844, in PETITII, III, pp. 108 e 14l.(304) R. 18 novembre 1853, su cfp. CN, in PETITII, V, p. 563.

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zione non competeva ai religiosi con voti semplici. come quellidella congregazione di San Vincenzo de' Paoli (305), mentreera stata espressamente estesa ai professi, anche laici, dellacongregazione del SS. Redentore di S. Alfonso de' Liguo-ri (306). Durante il colera del 1837, non avevano perdutol'esenzione i seminaristi ritornati provvisoriamente in fami-glia per essere stato chiuso il seminario per misura sanita-ria (307);

lO) il fratello unico d'un sacerdote, o d'un laico pro-fesso;

Il) il fratello unico d'un minorista, seminarista, alun-no o novizio monastico, finchè quest'ultimo godeva dell'esen-zione di cui al n. 9);

12) chi avesse un sol fratello, ma condannato a penaperpetua; oppure a pena temporanea di più di cinque anni,ma in questo caso durante il solo tempo dell'espiazione del-la pena;

13) i maestri di posta, durante l'esercizio (308);14) gli impiegati di casa reale, e tutti quelli con soldo

di conto regio o provinciale, purchè soggetto alla ritenuta2.50%. Questa esenzione spettava ai capi della forza dogana-le (309), ma non alle semplici guardie; ai percettori dellecontribuzioni dirette, che ne godevano per norme anteriori,pur non essendo essi sottoposti a ritenuta sul soldo (310); aipratici di chirurgia della real marina, sebbene percepissero

(305) R. 26 agosto 1826, in PETITTI, 111, p. lO.(306) R. 11 e 14 febbraio 1830 e 16 maggio 1830, in PETITTI, 111, pp. 12

e 13.(307) R. 17 luglio 1837, in PETITTI, I1I, p. 103.(308) Il r. 25 maggio 1858, su cfp. CN (PETITTI, VI, p. 916) precisa che

deve trattarsi di maestri di posta «in esercizio », e non di fittuari del servizio.(309) R. 18 gennaio 1850 e 13 giugno 1850, in PETITTI, I1I, pp. 156 e 160.(3l0} R. 4 agosto 1835, in PETITTI, 111, p. 91.

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il soldo con ritenuta solo nel tempo in cui venivano chiama-ti in servizio d'ufficio o su loro domanda (311); ai macchi-nisti della real marina, perchè impiegati con soldo, ma nonagli alunni macchinisti, semplici apprendisti retribuiti conmercede nei periodi d'imbarco (312);

15) gli operai delle miniere, delle fabbriche di polve-re e d'armi, e della fonderia di Mongiana, purchè assumesse-ro impegno di servire in detti stabilimenti per dieci anni con-tinui; ed, alle stesse condizioni (313), gli artefici «filiati »,cioè permanenti, del real opificio di Pietrarsa;

16) colui che fosse giudicato indispensabile al sosten-tamento della famiglia priva d'ogni altro mezzo. Questo eral'unico caso, in cui la dispensa era subordinata al «criteriomorale », cioè alla discrezionalità, del Consiglio di recezione,ed il suo fondamento era «l'imperiosità del bisogno di con-servare le famiglie, d'assicurarne la propagazione, e di dareguida alle nubili donzelle che ne fanno parte. Quando sianoassicurati questi precipui bisogni domestici per l'esistenza delgenitore o di altro germano adulto, cessa il motivo d'appli-care l'eccezione di cui tratta si, ed il prati carlo favorirebbel'ozio e l'infingardaggine a danno del costume e della pubbli-ca prosperità» (314);

17) i figli degli esteri non naturalizzati, ed i loro figliprivi di naturalizzazione: erano esenti i figli degli esteri nati

(311) R. 25 gennaio 1850, in PETITTI, 111,p. 154.(312) R. 18 novembre 1853, su cfp. CN, in PETITTI, V, p. 564. Fu altresì

negata I'esenzione agli impiegati della Real Casa Santa degli incurabili, mal-grado la CR avesse opinato che potevano equiparar si a quelli con soldo diconto provinciale (r. 3 agosto 1850, in PETITTI, 111,p. 160).

(313) R. 24 marzo 1844, in PETiTTI, 111,p. 138.(314) Min. Interno, istr. 5 dicembre 1849, in PETITTI, 111,pp. 151.152; circo

Min. Interno 4 dicembre 1852, in PETITII, V, p. 377, che raccomanda di vigì-lare perchè il congedato o esentato «risponda religiosamente al fine dellagrazia ottenuta », e, se si mostri ingrato, lo si rinvii alla milizia.

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nel regno, anche se il loro padre si era naturalizzato dopo laloro nascita (315), e non i figli di regnicoli, anche se natiall'estero (316). Era questo l'unico caso in cui al reclamoavverso l'inclusione nel sorteggio era stato attribuito effet-to sospensivo (317);

18) il figlio naturale riconosciuto dal padre che nonavesse altro figlio; il figlio di padre incerto adottato da per-sona priva d'altro figlio; purchè gli atti del riconoscimentoe dell'adozione fossero completati almeno prima del sorteggio;

19) coloro che avessero fatto tre campagne su un legnoreale di guerra;

20) i citati, arrestati e condannati per materie corre-zionali, durante il giudizio e l'espiazione della pena. L'esen-zione veniva meno se la pena era di confino, o d'esilio, ose l'imputato era messo in libertà provvisoria, a meno che sitrattasse di furto o di falso. Se l'arresto avveniva nel tempoin cui la recluta si trovava in famiglia, in attesa d'essere av-viata dal Consiglio di recezione al deposito o al corpo, il co-mune non era tenuto a rimpiazzarla (318). L'imputato dimisfatto, se condannato a pena correzionale, era chiamato amarciare dopo l'espiazione della pena (319). I detenuti perdebiti dovevano essere rilasciati, per richiesta dell'intendenteal procuratore del re, ma se erano giudicati inabili al servizio

(315) R. 5 agosto 1842, su cfp. CR, in PETlTTI, III, p. 128.(316} Min. Aff. interni, 25 settembre 1846, in PETlTTI, IlI, p. 145.(317) R. 3 luglio 1837, in PETITTl, III, p. 102.(318) Min. Aff. interni, 19 agosto 1835, in PETlTII, III, p. 95.(319) R. 13 agosto 1852, su cfp, "N, in !'ETlTTl, V, p. 353. L'occasione

del rescritto fu data dal reclamo d'una recluta, che, imputato di mancato omì-cidio volontario, ma condannato alla pena correzionale di sette mesi di pri-gionia, invocava l'esclusione dalla leva, perchè imputato di misfatto, e perciò in.degno di servire (art. 28 r.d. 19 marzo 1834). Considerava la Consulta «cheniuno possa volontariamente degradar sè stesso, reclamando a suo vantaggiouna disposizione di sfavore ed odiosa, per sottrarsi all'adempimento d'un ob-bligo ~.

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militare, o quando erano congedati, dovevano essere restituitim prigione (320);

21) la ventunesima ipotesi era ispirata al criterio, tipi-camente contributivo (supra, § 89), che in una famiglia, aseconda della quantità dei figli numerabili, non più di uno odi due dovevano essere tenuti al servizio, quando già ve nefosse uno (anche se rappresentato da un cambio) che servis-se da soldato nelle armate di terra o di mare, o uno che ser-visse da sottufficiale. Se poi il figlio militare fosse stato con-gedato per compiuto quinquennio (tranne se con congedo«non netto »), o fosse trapassato mentre era sotto le bandie-re, la famiglia non doveva fornirne alcun altro. Questa dispo-sizione non si applicava quando i fratelli erano in serviziomilitare non come volontari, o ringaggiati (321), o reclutedi leva, ma come cambi (322), nè ai fratelli delle reali guar-die del corpo, perchè queste avevano rango d'ufficiale (323);ma valeva se il volontario era poi divenuto ufficiale (324). Ifigli di truppa, che al 18° anno non si erano arruolati, eranotenuti a marciare, e non disobbligavano le loro famiglie, nonessendo militari prima dell'arruolamento (325).

I militari compresi nei numeri della quota comunale nonpotevano ammogliarsi, e nemmeno quelli dei numeri succes-

(320) R. 6 settembre 1842, in PETITTI,III, p. 129.(321} Min. Aff. interni, 18 settembre 1839, in PETITTI,111, p. 111.(322) R. 13 settembre 1835, in PETITTI,111, p. 96.(323) R. 12 settembre 1839, in PETITTI,111, p. 1I1.(324) R. lO maggio 1854, su cfp. CPGCC, in PETITTI,V, p. 601.(325) 1« figli di truppa» erano figli di militari cui per sovrana munifì-

cenza era corrisposto un assegno pecuniario giornaliero ed il vestiario, ed a18 anni si arruolavano: ma, se non partecipavano alle riviste mensili, eranosemplicemente cancellati dai ruoli. Questa classe fu abolita nel 184.9,quandofu invece istituito in Gaeta un battaglione allievi. Anche questi andavano adiscarico della famiglia, solo dopo avere raggiunto l'età per servire nell'esercito(r. 26 gennaio 1852 e circo Min. Interno, 22 gennaio 1853, in PETITII, V, pp.234 e 405).

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SIVI, per due mesi dalla data del sorteggio, cioè fin quandopotevano dal Consiglio di leva essere chiamati in rimpiazzodei primi.

L'esenzione, a certe condizioni, era stata concessa alleguardie d'onore col r.d. 30 maggio 1833 (supra, § 80).

L'art. 29 consentiva di fare rapporto al re per casi d'ec-cezione che meritassero particolare considerazioni, cioè peresenzioni da accordarsi in via di grazia; si raccomandava pe-raltro ai Consigli di leva la massima cautela nell'inoltrare talisuppliche (326).

Non erano ammessi all'onore di servire nella nobile car-riera delle armi, cioè non prestavano servizio militare per in-degnità (art. 28 r.d. cit.):

l) i condannati per furto, falso, o per misfatto qua-lunque a pena criminale;

2) gli accusati per furto, falso, o misfatto qualunque,dietro un'istruzione già compiuta;

3) coloro contro i quali era spedito mandato di deposi-to, o mandato d'arresto, per furto, per falso, o per un misfat-to qualunque.

L'esclusione veniva meno se l'imputato era proscioltocon decisione di libertà assoluta, o di non luogo a procedere,o di tenersi lontano dal proprio comune; e quando la libertàprovvisoria era convertita in libertà assoluta.

In tutti i casi d'esenzione o d'esclusione sopra indicati,il sorteggiato veniva eccettuato dal marciare, e gli subentrava-no gli altri, che non ricadevano in analoghe ipotesi, fino aristabilire il contingente numerico assegnato al comune.

Esenzione assoluta era quella di cui godevano, come sie detto, i nativi dei reali domini di là del Faro, ed altre ne

(326) R. 22 giugno 1835, su cfp. CN, in PETlTTl, 111,p. 93; Min. Interno,istr. 5 dicembre 1849, ivi, p. 152.

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furono accordate per ragioni contingenti: per esempio, il r.d.Il settembre 1843, allo scopo di favorire la bonificazionedel porto di Brindisi e l'incremento del commercio, accordòa quel comune, per il decennio I" gennaio 1844-31 dicembre1853, l'esenzione dalla leva di terra e di mare, salvo il servi-zio degli artiglieri litorali (supra, § 79), e della guardia ur-bana (in/ra, § 106).

93. Segue: d) cambio. - L'individuo che, avendo sorti-to un numero basso, e non godendo d'alcuna esenzione, sa-rebbe stato tenuto a marciare, poteva ancora farsi rimpiazza-re da un «cambio» (supra, § 89), cioè da un soggetto che,di regola dietro compenso, ne prendeva il posto. Questa ope-razione aveva formato oggetto del reg. 25 luglio 1823 (327),e del r.d. 22 ottobre 1828, che aveva parzialmente modifi-cato il detto regolamento; ed aveva poi trovato nuova e piùcompleta disciplina negli artt. 57-64 r.d. 19 marzo 1834, enel r.d. 21 maggio 1843, che sostituiva anch'esso solo par-zialmente i precedenti provvedimenti (art. 19).. Il cambioera consentito alle reclute di leva ammesse in tutti i corpidell'esercito, esclusa la gendarmeria reale (art. l reg. cit.).

Il cambio, prima dell'entrata in vigore del r.d. 21 mag-gio 1843 (poi abrogato dal r.d. 24 settembre 1859), si risol-veva in un contratto tra la recluta e la persona che lo sosti-tuiva. È quanto meno dubbio se fossero sempre gratuite lesostituzioni tra fratelli germani e consanguinei (art. 63 r.d.19 marzo 1834); ed erano certamente venali le sostituzioniper cambio di numero (art. 64 r.d. cit.). Sorgevano perciòin materia non rare controversie (in/ra, § 170). Il compensodovuto al sostituente pare fosse, verso il 1843, di 80 duca-

(327) PETITTI, III, p. 6.

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ti circa, perchè la circo Min. Aff. interni, 23 agosto 1843 (328),afferma che il nuovo regolamento (cioè il r.d. 21 maggio1843) assicurava ai cambi un compenso pressochè triplo diquello che ricevevano «quando un'avida classe di privati ditanto lo scemava ». V'era cioè un mercato di carne da canno-ne, nel quale loschi speculatori esercitavano la mediazione;ed il fenomeno continuò anche dopo, perchè ancora la circoMin. interno, 18 febbraio 1854 (329), raccomanda che « con-vien poi tener lontana dalle intendenze quell'avida classe dipersone che toglie la cura di rinvenire e contrattare cambi,che or promette favori, or spaccia protezione, or vanta in-fluenze, e si caccia in tali faccende con frodi ed inganni, pertrarre dai miseri idioti illeciti profitti, recando onta alla pub-blica morale, denigrando la fama degli onesti impiegati, e ten-dendo ognora ad involgergli nella corruzione ». La proterviadi tali ignobili trafficanti era giunta a tanto, che il r. 15 mag-gio 1854 (330), segnalava «la scoverta non a guari fatta diessere apocrifi gli uffizi coi quali dal Comando del depositogenerale annunziavasi a taluni intendenti di essere parecchisoldati congedati rimasti a servire come sostituenti di altret-tanti requisiti, e la desolazione in cui tal caso ha immerso tan-te famiglie, le quali, dopo avere erogate forti somme per fran-care i loro figli dalla milizia, li vedevano di nuovo soggetti amarciare, o a dare altri cambi ». Donde l'ordine sovrano, chesolo il Ministero dell'interno potesse provvedere a tali comu-nicazioni. Accadeva pure che nei comuni si costituissero dellesocietà, ritenute lecite, «per adempiere la leva mercè contri-buzione »: una specie d'assicurazione mutua, in cui i soci

(328) PETlTTl, 111, p. 134.(329) PETlTII, V, p. 582. L'esito parrebbe dubbio, perchè la circo Min. In-

terno 23 febbraio 1858 (PETlTTI, VI, p. 880) rinnova la diffida ad allontanaredagli uffici c:profittatori, sollecitatori, ricercatori di cambi s,

(330) PETlTII, V, p. 622.

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versavano delle rate, per pagare il cambio a quello tra i sociche fosse obbligato a servire per sorteggio (331).

Il reg. 25 luglio 1823 stabiliva che ogni recluta potevaessere sostituita ,da un sol cambio, fìnchè non erano giuntea termine le operazioni di leva annuali (art. l), ma ne oc-correvano due per chi già serviva nell'esercito, o se le opera-zioni erano terminate (art. 8), o se chi chiedeva il cambioserviva egli stesso come cambio (art. lO). Il cambio dovevaavere da 25 a 30 anni d'età, e fino a 35 se aveva già servito;essere celibe o vedovo senza figli, incensurato, e fisicamenteidoneo (art. 2), non essere sostegno di famiglia (art. 3), ave-re la statura prescritta per l'arma cui apparteneva il sostitui-to, ed impegnarsi a servire per sei anni (art. 4) anche se ilsostituito dovesse servire ancora per minor tempo (art. 9).Potevano essere ricevuti anche gli individui esenti da leva,purchè non per titolo di sostegno di famiglia, da 18 a 25anni d'età (art. 6). Il sostituito doveva rimborsare alla cassadel corpo le spese di prima messa di biancheria e calzaturadel cambio o dei due cambi (artt. 7 ed 8). Se il cambio di-sertava, il sostituito era obbligato a servire di persona o a for-nirne un altro, solo però quando la diserzione fosse avvenutaentro un anno dal dì dell'ammissione (art. 5).

Il r.d. 22 ottobre 1828 innovava sul regolamento citato,solo in quanto stabiliva che potessero essere ammessi a ser-vire come cambi soltanto gli individui che già trovavansi aservire nell'esercito, dove fossero stati ammessi come reclutedelle classi dal 1823 in poi, che non dovessero servire piùd'un altro anno, non avessero superato 32 anni d'età, e aves-sero dato prova di buona condotta nel precedente servizio(art. l). Il termine, oltre il quale veniva meno l'obbligo di

(331) Min. Interno, lO maggio 1854, in PETITTI, V, p. 596.

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sostituire il cambio disertore, era stabilito in un anno dallaconvenzione (art. 2).

Il r.d. 19 marzo 1834 confermò che i cambi dovesseroessere presi fra i soldati dell'esercito, pervenuti al penultimoanno di servigio (art. 58), cui furono, col r.d. 23 settembre1840, assimilati i pompieri della città di Napoli (332). Nonpotevano impegnarsi per cambi i militari con ferma di 5 anniseguita da 5 anni di riserva, perchè diversamente praticandola riserva sarebbe stata scemata degli individui datisi per cam-bi (333); e chi chiedeva il rimpiazzo doveva indicare nomina-tivamente al Ministero della guerra il nome, cognome, e corpod'appartenenza del militare che l'avrebbe sostituito (334).Il cambio doveva impegnarsi a servire otto anni continui, dopoterminato il proprio impegno, e restava poi libero dal serviziodi riserva (art. 59 r.d. cit.); rappresentava colui che lo avevadato, e quindi i fratelli del cambio non potevano invocare ilbeneficio previsto dall'art. 27, n. 21, r.d. cito (supra, § 22),per ottenere a loro volta esenzione (art. 60 r.d. cit.). Il so-stituito era responsabile per la diserzione quando avvenivaentro un anno dal dì della ricezione (art. 61 e 62 r.d. cit.),cioè dal giorno in cui il cambio, terminato il proprio impegno,cominciava a servire in luogo del sostituito (335).

(332) Vedansi anche istr. Min. Aff. interni, 5 dicembre 1840, in PETITTI,III, p. 125.

(333) R. 28 febbraio 1840 e circo Min. Interno, 18 maggio 1850, in PET1TIl,111, pp. 118 e 159. Potevano invece servire da cambi i congedati non soggettial servizio di riserva, purchè di buona condotta, celibi o vedovi senza figli, ed'età non superiore a 34 anni (r. 20 febbraio 1850, ed istr. Min. Interno, 13marzo 1850, ivi, pp. 156 e 157).

(334) Min. Guerra e marina, 22 novembre 1834, in PETITII, 111, p. 89.(335) R. 22 agosto 1836, su cfp. CN, in PETITTI, 111, p. 98. La recluta

sostituita da un cambio non era però esente dal servizio nella Guardia urbana(in/ra, cap. IV, nota 139).

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Era permessa anche la sostituzione tra fratelli germanie consanguinei, quando i rimpiazzanti avessero tutte le quali-tà richieste (art. 63, comma l, r.d. cit.). Se taluna d'essemancasse, o se trattava si d'altri parenti, occorreva l'autorizza-zione del Ministero degli affari interni, d'accordo con quellodella guerra (art. 63, comma 2, r.d. cit.], su rapporto delConsiglio di leva (336). Il sostituente doveva avere staturanon inferiore di due pollici a quella del sostituito (337), do-cumentare con gli atti di stato civile il rapporto di parente-la (338); ed essere celibe (339). Più tardi, si consentì che,verificandosi certi presupposti, la sostituzione potesse essereautorizzata direttamente dal Consiglio di leva, che dovevalimitarsi ad informarne il Ministro dell'interno (340).

Infine, era consentita la sostituzione per cambio di nume-ro: con effetto, però, più limitato, perchè il sostituito rimane-va obbligato a marciare quante volte venisse chiamato il so-stituente nella stessa, o nelle leve successive (art. 64 r .d. cit.).Questa sostituzione era consentita anche quando le recluteerano state inviate al I" deposito, o al corpo (341), ma potevaavvenire solo tra sorteggiati dello stesso Comune (342). Po-tevano farsi sostituire in tal modo anche i sorteggiati chefossero unici assoluti, ma dovevano rinunciare all'esenzione,

(336) Min. Aff. interni, 31 gennaio 1838, in PETITTI, 111,p. 106.(337) Min. Interno, 27 aprile 1849, in PETITTI, 111,p. 148; r. 18 dicembre

1850, ivi, p. 163.(338) Le istr. Min. Interno, 5 dicembre 1849 (PETITTI, 111, p. 151), vieta-

vano l'ammissione di atti notori. I documenti erano rilasciati dai sindaci e daiparroci gratuitamente (circ, Min. Interno, 13 marzo 1850, ivi, p. 158).

(339) Min. Interno, 30 gennaio 1850, in PETITTI, 111,p. 155.(340) Istr, Min. Interno 27 aprile 1849 e 5 dicembre 1849, cit., supra, note

(337) e (338); r. 18 dicembre 1850, in PETITTI, 111, p. 163.(341) Min. Aff. interni, 22 ottobre 1834 e 29 luglio 1846, in PETITII, 111,

pp. 87 e 144.(342) Min. Aff. interni, 17 settembre 1834, in PETITTI, 111, p. 84.

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per essere pronti a marciare se fosse poi sorteggiato il sosti-tuente (343). Questi, a sua volta, si considerava rinuncian-te ad eventuali esenzioni (344). I sindaci dovevano control-lare che i sostituiti pagassero ai sostituenti il previsto com-penso, facendolo depositare, perchè fosse pagato non appenail sostituente fosse dichiarato idoneo al servizio (345).

Il successivo r.d. 21 maggio 1843, come risulta dallapremessa (346), nonchè dalle istr. Min. interno 23 agosto1843 (347), aveva lo scopo di fare venire meno l'indecorosomercato dei cambi: «evitare che le famiglie si allontanasserodalle loro utili cure per rinvenire i cambi, che molto menofossero nel bisogno di ricorrere all'uopo all'opera altrui, ilpiù delle volte a troppo caro prezzo compensata; e che so-prattutto i soldati nel surrogare le reclute seguissero una de-terminazione spontanea, non già promossa dalle corruzionicui rivolgevansi per indurveli coloro che da privato interessee da mercenarie viste erano guidati ». Pertanto si metteva acarico di colui che volesse ottenere la surroga la sola curadi dirigere la domanda all'intendente e di effettuare il ver-

(343) Min. Aff. interni, 24 settembre 1834, in PETITTI, I1I, p. 85. In talcaso, il sostituente continuava ad essere bussolato, ancorchè resosi defunto, equando sorteggiato, doveva marciare in sua vece il sostituito (r. 17 settembre1837, su cfp. Cfì, in PETITTI, 111,p. 104).

(344) Min. Aff. interni, 9 novembre 1839, in PETITTI, 111, p. 112.(345) Il r. 29 dicembre 1849 (PETITTI, 111, p. 152) disponeva che il so-

stituito pagasse il sostituente in presenza del sindaco; ma poichè accadevache il sostituente fosse talora respinto dal deposito generale perchè non idoneo,fu poi stabilito (r. 18 novembre 1850,in PETlTTl, III, p. 161) che la somma fossedepositata fino all'ammissione definitiva.

(346) «Volendo che i soldati del tutto spontaneamente, e non per Im-pulso altrui, si determinino a rimanere nell'esercito come cambii, che siffattoimpegno sia ad essi di utilità produttivo, e che il farsene surrogare riesca diminor gravezza alle famiglie »...

(347) PETITTl, 111. p. 134.

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samento in ricevitoria; tutte le altre misure rientravano «nel-la dignitosa sfera degli atti governativi ».

Il nuovo sistema prevedeva la formazione, presso il Mi-nistero della guerra, di due ruoli, dove erano iscritti, a doman-da, i soldati che desideravano rimanere a servire come cambi:nel primo erano iscritti, al compimento di sette anni di servi-zio, i militari con ferma di leva d'otto anni, e quelli che taleferma avevano assunto volontariamente; nel secondo, i mili-tari di fanteria e del genio pervenuti al penultimo anno diservizio di riserva (artt. 1, 2, 3 r.d. cit.). Essi dovevano esse-re fisicamente idonei a proseguire il servizio attivo, d'età nonmaggiore di 34 anni, celibi o vedovi senza figli, e di buonacondotta nel precedente servizio (art. 4). Dal ruolo venivanocancellati i militari divenuti inidonei, quelli che avevano cam-biato volontà di rimanere in servizio, e quelli che non merita-vano più di servire, per cattiva condotta (art. 6). Il servizioera di otto anni; i refrattari arrestati dovevano, per esimersidal servizio personale, fornire due cambi (artt. 7 e 8).

La recluta, per ottenere il cambio, doveva presentare al-l'intendente un'istanza accompagnata dalla ricevuta del ver-samento di d. 240 (d. 480 per i refrattari), eseguito pressola ricevitoria generale o distrettuale. L'intendente ne davacomunicazione al Ministero della guerra, il quale designavail cambio, e ne informava a sua volta l'intendente (artt. 8-1l).Questa designazione d'ufficio escludeva qualsiasi responsa-bilità del surrogato nel caso di diserzione, condanna, etc. delsurrogante, alla cui sostituzione provvedeva, sempre d'ufficio,il Ministero della guerra (artt. 15-17).

Il versamento di 240 ducati costituiva il compenso delcambio. Con questi, veniva acquistata una rendita di dieci du-cati, iscritta nel gran libro, i cui interessi venivano pagati almilitare dal giorno in cui cominciava a servire come cambio;

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il capitale era svincolato all'epoca del congedo, salvo la facol-tà dell'interessato di conservare l'iscrizione in tutto o in par-te (artt. 12-14). Se il militare disertava, o era condannato apena criminale, il compenso era dato a chi lo surrogava (art.16); se decedeva in servizio, era dato agli eredi (art. 17, com-ma 1) (348); se diveniva «inutile» per cecità ad ambo gliocchi, o per ferita ricevuta in servizio o per causa di servi-zio che l'inabilitasse a proseguire la carriera militare, il com-penso gli era pagato anche se non aveva ultimato gli ottoanni di servizio in attività di cambio (art. 17, comma 2) (349).

Nel quadro dei provvedimenti seguiti allo scioglimento deicorpi svizzeri (supra, § 81) il cambio col versamento di 240duca ti fu abolito, e si tornò al sistema antico, prescrivendo-si che il rimpiazzo dovesse essere presentato entro quin-dici giorni dall'ammissione della recluta alla surroga (r.d.21 settembre 1859). Poichè l'eliminazione degli svizzeri esi-geva, in una situazione internazionale ed interna semprepiù pesante, un aumento della forza nazionale alle armi (350),lo scopo era certamente quello di rendere meno agevoli i cam-bi (351), di rafforzare la riserva (352), assottigliata dalla fre-

(348) Min. Interno, 19 gennaio 1850, in PETITTI.111, p. 154.(349) R. 12 settembre 1818, in PETITII,111,p. 146.(350) DE SIVO,a), Il, p. 14; PIERI,a), p. 657.(351) Tanto risulta testualmente da una lettera, l° ottobre 1859, del gen.

Filangieri a Francesco Il (MOSCATI,b), p. 124). TI preambolo del r.d. 21 set-tembre 1859 dice: «Essendo tutti i nostri amatissimì sudditi ugualmente chìa-mati dalla legge all'obbligo della reclutazione militare, ne segue che codestoobbligo debba adempiersi, o personalmente da chi sarà chiamato dalla sortealla carriera delle armi, o da altri che a di lui rischio, spese e pericolo sioffrisse a rimpiazzarlo». TI cambio era ulteriormente reso difficile dalla pre-scrizione (art. 3 r.d. cit.) che non fosse consentita nessuna sostituzione con mi-litari in servizio, se prima non si esaurivano i rimpiazzi a pagamento delleleve precedenti.

(352) Altra lettera, 3 ottobre 1859, del gen. Filangeri a Francesco II, inMOSCATI,b), p. 126.

38. LANDI - I.

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quenza delle rafferme, e di ringiovanire una truppa forma-ta ormai sull'età media di trent'anni. Non è possibile esprime-re un giudizio sull'efficaciadi tale provvedimento, perchè eb-be effetto solo nella leva del 1860, che fu l'ultima chiama-ta nel regno.

94. L'oscrizione marittima: a) ordinamento. - La« ascri-zione marittima» era la leva di mare, che ebbe una nuovae completa disciplina col r.d. 20 gennaio 1840, e con l'an-nesso regolamento di pari data. V'erano soggetti tutti i nazio-nali che esercitavano i mestieri di mare (art. l r.d. cit.), iquali erano esenti perciò dalle leve per l'armata di terra(art. 5), e con la loro chiamata si «ripianavano le basse »,cioè si coprivano le vacanze, verificatesi nel Corpo dei canne-nieri-marinari (supra, § 82) e si provvedeva a' bisogni de'porti, degli arsenali, e de' bastimenti della real marina (art. 7).

L'ascrizione marittima dipendeva dal Ministero degli affa-ri interni, che vi provvedeva d'accordo col Ministero dellaguerra e marina.

Le persone nate e domiciliate in uno dei comuni marit-timi, elencati in allegato al r.d. 20 gennaio 1840 (art. 4 r.d.cit.), che esercitavano i mestieri di mare, erano allistate e clas-sificate su registri, chiamati «matricole» (art. 2). Per le ope-razioni d'ascrizione e di chiamata degli uomini di mare, eracostituita in ciascuno dei detti comuni una « Commessionema-rittima », composta dal decurionato, da' membri e cancellie-ri della locale deputazione di salute (supra, § 60), da' par-rochi, dal cancelliere comunale, e presieduta dal sindaco, o dachi ne facea le veci (artt. 15 e 16). I Consigli di recezione,istituiti dall'art. 71 r.d. 19 marzo 1834 (supra, § 90), inte-grati da un capitano di porto, o da altra autorità di ma-rina, provvedevano all'esame ed all'ammissione degli uomini

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di mare chiamati a marciare pel servizio della real marina(artt. 17-19 r.d. 20 gennaio 1840) (353).

Il numero de' marinai, de' mozzi e degli artigiani occor-renti per i bisogni della real marina era stabilito dal Mini-stero della guerra, e, previa sovrana approvazione, speditoal Ministero dell'interno, che lo ripartiva in proporzione delnumero collettivo degli alli stati nei comuni di ciascuna pro·vincia (artt. 20 e 21 r.d. cit.). La ripartizione tra i comunidella provincia era fatta dall'intendente assistito dal Consi-glio d'intendenza, che poteva riunire diversi comuni, con uni-co allistamento, quando ciascuno non potesse fornire che unascritto (artt. 20 e 21 reg. 20 gennaio 1840).

L'ascrizione concerneva gli uomini di mare da 16 a 50anni d'età (art. 9 r.d. cit.; art. l reg. cit.); ma eccezional-mente potevano essere chiamati a servire gli ultracinquanten-ni (art. 29 reg. cit.). Non esisteva una ferma vera e propria;ma tutti gli ascritti marittimi dovevano, quando ne eranorichiesti, prestare servizio a turno nella real marina fino al-l'età di cinquant'anni (art. 17 reg. cit.). Il turno in tempodi pace durava tre anni (art. 19 r.d. cit.), ma era facoltà del-l'interessato restare in servizio per un altro turno (art. 18reg. cit.), e dell'amministrazione accordare il congedo provvi-sorio anticipato, con l'obbligo di tenersi pronto ad ognichia-mata e di ripresentarsi entro il triennio (354). In tempo di

(353) Secondo l'art. 18 r.d. 20 gennaio 1840, il Consiglio avrebbe do-vuto riunirsi «in uno de' comuni marittimi, il più centrale sulle coste dellarispettiva provincia », e quindi i membri del Consiglio di recezione quandovi si trasferivano ricevevano un'indennità (Min. Aff. interni, 14 novembre 1840,inPETIITI,IlI, p. 189). Più tardi (r. 24 aprile 1842, ivi, p. 202) si dispose che ilConsiglio si riunisse sempre nel capoluogo della provincia.

(354) Min. Aff. interni, istr. 31 dicembre 1840, in PETlTTl,111,p. 188. Aimarinai soggetti all'ascrizione marittima non dovevano essere rilasciati passa-porti per l'estero, se non previa garanzia di ritornare nel regno (r. 6 luglio1853, in PETITTI,VI, p. 397).

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guerra, il turno durava sino alla fine della medesima (art. 19reg. cit.). Nessuno, dall'età di 18 anni ed un giorno sino aquella di 25 compiuti, a meno che servisse nella rea l marina,poteva farsi alli stare (art. 6 reg. cit.}, perchè poteva esserequesto un espediente per sottrarsi alla leva di terra; nè pote-va farsi cancellare, se era già intervenuto un ordine di chia-mata d'uomini di mare (355). Gli ascritti marittimi che sidistinguevano per condotta ed abilità negli esercizi marinare-reschi venivano assegnati al Corpo dei cannonieri marinari,con la ferma d'otto anm, e senza obbligo di servizio di ri-serva (356).

In distinte matricole venivano iscritti (art. l reg.cit.) (357):

l) i marinari d'ogni grado o professione, che naviga-vano su' bastimenti della marina reale e su quelli di commer-cio, dall 'età di 16 a quella di 50 anni;

2) coloro che esercitavano la navrgazrone o la pescalungo le coste, o ne' fiumi navigabili;

3) i marinari che avevano oltrepassato i 50 anni;4) gli artigiani esercenti i diversi mestieri di mare

(mastri d'ascia, calafati, bozzellari, velieri, maestricostrut-tori) (358);

5) i mozzi (cioè i giovani, fino all'età di 16 anni ed ungiorno,che esercitavano un mestiere marittimo, e chiedevanod'essere immatricolati), ed i novizi (da 16 a 18 anni), i qua-

(355) Min. Aff. interni, 7 agosto 1840, in PETITTI, III, p. 188.(356) R. 20 gennaio 1843, in PETITTI, I1I, p. 205.(357) Min. Aff. interni, istr. 28 luglio 1841, in PETITTI, I1I, p. 196.(358) Gli artt. lO ed Il reg. 20 gennaio 184-0contenevano le disposizioni

per il rilascio dei certificati d'idoneità professionale (di competenza del di-rettore del Genio marittimo, o in sua vece d'altre autorità) che dovevano es-sere prodotti dagli aspiranti all'iscrizione nella matricola degli artigiani dimare.

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li, a tale età, e con la dimostrazione di certi requisiti (due viag-gi di lungo corso, o 18 mesi di navigazione, o 4 anni d'eser-cizio della pesca), erano classificati marinai, ed erano ob-bligati a farsi ascrivere, restando obbligati, in caso diverso,a marciare con la prima chiamata d'uomini di mare, restan-do inoltre non esenti dalla leva di terra.

Sul registro dovevano essere annotate tutte le variazioni,e gli ascritti che mutavano domicilio dovevano darne notiziaal sindaco, altrimenti potevano essere ugualmente chiamatia servire nel contingente, anche se non fosse il loro turno,e per tempo doppio (artt. 12-14 reg. cit.).

La statura per servire in marina, prima fissata in 5 piedie 6 linee, fu progressivamente ridotta a 4 piedi e 9 polli-ci (359).

95. Segue : b) operazioni, eccezioni, cambi. - Le ope-raZIOnI di chiamata d'uomini di mare si aprivano presso laCommessione marittima comunale, sulla base delle matri-cole: con l'avvertenza che non dovevano chiamarsi gli uomi-ni di 2R classe (esercenti la pesca costiera e navigazione flu-viale) e di 3R classe (marinai ultracinquantenni), se nonquando la l a classe fosse esaurita o insufficiente (art. 29 reg.20 gennaio 1840). La Commessione estraeva dalle matricole,nell'ordine, i novizi, i celibi, i vedovi senza figli, i maritatisenza figli, i padri di famiglia, ed affiggeva le liste alla portadella casa comunale e delle chiese principali, indicando il nu-mero progressivo al quale si sarebbe giunti nella chiamata. Dipiù marinari della stessa famiglia, non potevano essere chia-mati più d'un terzo, compresi quelli che fossero eventualmente

(359) R. 16 maggio 1842, in PETITTI, 111, p. 203; circo Min. Interno, 28gennaio 1854, in PETITTI, V, p. 577; r. 4 marzo 1854, ivi, p. 584.

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in servizio nell'esercito (360). Il sistema dei reclami era pra-ticamente identico a quello in vigore nella leva di terra (su-pra, § 91); ma il termine per ricorrere al Consiglio di re-cezione avverso le decisioni della Commessione comunaleera di 15 giorni (e non di 20) dalla notificazione (art. 46reg. cit.). Il contingente del comune veniva spedito al Con-siglio di ricezione (art. 48 reg. cit.), il quale procedeva alleoperazioni previste dagli artt. 71 ss. r.d. 19 marzo 1834, edavviava le reclute ai dipartimenti marittimi (artt. 48-52 reg.cit.). Le reclute venivano sottoposte a visita medica entro tregiorni dall'arrivo a bordo de' bastimenti, o nei porti ed arse-nali, ed il Comando inviava i non idonei a nuova visita pressoil Consiglio generale militare di sanità, che giudicava defini-tivamente (artt. 53-55 reg. cit.). Le malattie ed i vizi di con-formazione che escludevano dal servizio della real marina era-no elencati in un allegato al regolamento citato, integratodal r. 5 aprile 1844 (361).

I refrattari e disertori erano obbligati a servire sei anniconsecutivi, ed in caso di recidiva passavano alle truppe dilinea (art. 61 reg. cit.); i comuni però erano tenuti a rim-piazzare quelli soltanto che si sottraevano prima di giungereal Consiglio di ricezione (art. 62 reg. cit.) (362).

Il r.d. 20 gennaio 1840 enunciava una serie d'incentiviper gli ascritti marittimi e le loro famiglie: preferenze per ivolontari, in tutti i vantaggi offerti dalla real marina (art. 7);gratificazione d'un mese di soldo ai congedati con due annidi navigazione (art. 8); aspettativa di «marche d'onore etratti di munificenza» e di promozioni per gli atti di valore

(360) R. 20 gennaio 1843, cito supra, nota (356).(361) PUITTI, III. p. 18l.(362) R. 17 ottobre 1841, e circo Min. Aff. interni 6 agosto 1842, in PE·

TITTI, 111, pp. 200 e 203.

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{art. lO); diritto a p~nsione (artt. lO elI); preferenze, afavore dei figli degli ascritti morti o divenuti inabili in ser-vizio (anche nella navigazione di commercio), per l'imbarcosu navi da guerra e mercantili, e per l'ammissione nelle scuolenautiche e collegi di marina (art. 12); facoltà d'assegnarea persona di famiglia o ad altra per pagamento diretto, finoalla metà del soldo (art. 13) (363); diritto al rimborso delvalore degli effetti perduti in naufragio (art. 14).

Le eccezioni dal marciare, in confronto a quelle accordatenella leva per l'esercito (supra, § 92), erano ben poche. Ilmotivo di tale trattamento differenziale è spiegato nella circo25 gennaio 1843, con cui il ministro degli affari interni comu-nicava il r. 20 gennaio 1843 (364). Derivava ciò «dalla natu-ra del mestiere di marinari, e da quella degli obblighi cheessi sono chiamati a sostenere per la difesa dello Stato ». Acoloro che si dolevano di non potere godere delle esenzionicome «unici assoluti », o « sostegno di famiglia », o per ave-re altri fratelli alle armi, il ministro rispondeva che gli uomi-ni di mare «... se unici, non tengono conto... del valore cheha questa qualità nell'interesse della propagazione delle fa-miglie, e fanno di loro unica risorsa il mestiere del mare ...se... sieno sostegni, debbono cioè provvedere al mantenimentodelle famiglie, noI sono altrimenti che pescando, o navigando;e dal servizio sui legni da guerra traggono risorse non dissi-mili da quelle che offrono la navigazione e la pesca... se infi-ne una famiglia sia composta di più marinai, come tutti eser-

(363) R. 3 ottobre 1840, in PETITTI, III, p. 192. TI pagamento, però, po-teva farsi solo in Napoli, a persona designata dall'a scritto, o, in mancanza, dalsindaco oppure dall'intendente, i quali erano autorizzati ad anticipare il pa-gamento «a titolo di carità» alle famiglie bisognose, per esserne poi rivalsi.

(364) Cito supra, nota (356). Si dava luogo, tuttavia, a congedi anticipatistraordinari, a domanda, per ragioni di famiglia: vedi, per esempio, circoMin. Aff. interni, 11 gennaio 1814, in PETITTI, 111,p. 202.

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citano le arti di mare, e stanno alle conseguenze dell'allonta-namento e de' pericoli che quelle presentano, una buona par-te, se non tutta, può bene prestarsi al servizio della mari-na militare ». Diversa era la condizione degli ascritti desti-nati a servire nel Corpo dei cannonieri marinari, con l'impe-gno d'otto anni, perchè allora più non trattava si «di quelturno triennale stabilito pei così detti marinari di nuova le-va, chiamati cioè... a breve e provvisorio adempimento, ma diun servizio, simile per la durata, e per la disciplina a quellodei soldati ». Degnavasi pertanto la maestà sua di stabilireche fossero esenti dal servire dacannonieri marinari gli uniciassoluti, i sostegni di famiglia, i padri di famiglia con figli, gliascritti marittimi appartenenti a famiglie disobbligate versol'armata di terra, fermo restando che niuno degli ascritti ma-rittimi era esente dal servire da «marinaro di nuova leva ».

Le soie eccezioni, previste dal reg. 20 gennaio 1840, era-no le seguenti:

l) i capitani, padroni e piloti di legni mercantili, eccet-to il caso d'urgenti circostanze, ed eccettuati coloro che nonsi trovavano all'esercizio delle loro funzioni, o impegnati adesercitarle (art. 64 reg. cit.);

2) i piloti pratici, salvo le chiamate per servizio nelluogo medesimo (art. 65);

3) i marinari che per mancanza di padroni ascritti fun-zionavano, con le debite autorizzazioni, da padroni di piccolebarche da cabotaggio (art. 66);

4) gli uomini di mare che avessero tre figli ascritti nel-le matricole, considerandosi inoltre sempre presenti i figlimorti in combattimento o in servizio su reali legni da guerra,o dichiarati inabili per ferite di guerra, o per accidenti, oper malattie riportate in servizio (art. 67).

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Gli ascrrtti soggetti a chiamata erano liberi di esercitarela pesca o la navigazione; ma allontanandosi dal Comunedovevano informare il sindaco, e se erano assenti al momentodella chiamata erano compresi nella successiva (art. 68).

Non potevano servire nella real marina i condannati perfurto, per falso, o per misfatto qualunque a pena crimina-le (art. 69).

Tutti gli ascritti potevano farsi sostituire da un cambio,ascritto del medesimo comune, idoneo al servizio, e di classenon inferiore al chiamato; ma se il cambio fosse stato chiama-to mentre era tuttora in servizio, doveva essere rimpiazzatodal sostituito (artt. 57 e 58 reg. cit.). I padri di famiglia po-tevano farsi sostituire da un proprio figlio ascritto marittimo,che vi acconsentisse e fosse idoneo al servizio; ma se questipoi fosse stato chiamato, non aveva diritto ad esenzione, ameno che il padre non volesse spontaneamente supplirlo(art. 59).