La storia di San Cesareo diacono e martire: CAESARIUS DIACONUS

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Caesarius Diaconus Testi e Illustrazioni di Giovanni Guida

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La storia di San Cesario, o Cesareo, diacono e martire di Terracina: CAESARIUS DIACONUS. Testi e Illustrazioni di Giovanni Guida, 2015 (Studio della Passio Sancti Caesarii diac. et Iuliani presb. Terracinae mart.) Illustrated book on the life of Saint Cesario, or Cesareo, deacon and martyr of Terracina: "Cæsarius Diaconus" / Texts and illustrations of Giovanni Guida, 2015. Livre illustré sur la vie de Saint Cesariu diacre et martyr de Terracina: "Cæsarius Diacre" / Textes et illustrations de Giovanni Guida, 2015

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Caesarius DiaconusTesti e Illustrazioni di Giovanni Guida

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“Bonus homo iusta loquitur”A tutti coloro che si pongono al Servizio del prossimo;

a tutti coloro che difendono la sacralità e la dignità della vita;a tutti coloro che hanno il coraggio di dire ciò che pensano;

a mia nonna Teresa, lontana ma sempre vicina; ai miei genitori, pilastri della mia vita;

a mia sorella Mariateresa, torcia inestinguibile; alla mia amica Daniela, luce partecipe delle mie idee.

DONUM SANCTO CAESARIO DIACONO DEDICATUM

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Caesarius Diaconus

Testi e Illustrazioni diGiovanni Guida

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Il progetto “Caesarius Diaconus” nasce dal desiderio di approfondire la storia di Cesario, un giovane diacono martirizzato a Terracina all’inizio del II secolo dell’era cristiana, e di realizzare - attraverso uno studio iconografico - una serie di illustrazioni che ripercorrono gli episodi più significativi della sua vita.Caesarius è un nome latino derivato da Caesar e significa “devoto a Cesare”: questo nome è legato, quindi, al grande condottiero romano, Caio Giulio Cesare, e agli imperatori romani in quanto il loro appellativo era appunto Cesare.Il nostro diacono sarà, invece, un Cesare cristiano contrapposto agli imperatori pagani.Nella sua “Passio”, l’ antico racconto del martirio, si fondono elementi reali e fantastici: si parla di un personaggio reale che agisce in un contesto di fatti alterati o immaginari. Tuttavia sono presenti anche elementi storici: il nome (Cesario), il luogo (Terracina) e l’avvenimento (il martirio).In questo libricino si cercherà di attuare una sorta di selezione, una discriminazione, un confronto tra le diverse versioni della Passio, gli studi agiografici ed i vari documenti raccolti. Infatti, nel corso dei secoli, nel testo originario sono state inserite diverse interpolazioni dovute a narratori occasionali o prodotte dalla fantasia popolare che servivano solo per integrare, arricchire ed abbellire il racconto.Per iniziare un processo di ricomposizione degli elementi originari non è possibile ignorare tutto il percorso che ha portato alla formazione delle varie leggende, stando però attenti a non avanzare proposte verosimili o deduttive che potrebbero generare ulteriori variazioni leggendarie, finendo per elaborare congetture che, non avendo sul piano scientifico alcun fondamento, rischiano di trasformarsi in mere fantasie.Bisogna, quindi, attenersi a quel poco che archeologicamente e storicamente si conosce con relativa certezza.

Prefazione

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Il progetto è nato grazie al prezioso aiuto e alle indicazioni della prof.ssa Daniela Pergreffi, docente di Illustrazione presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli, e dall’incitamento dell’artista Daniela Matarazzo.Le 6 scene illustrate - realizzate con la tecnica pittorica dell’ acquerello - sono caratterizzate da un forte realismo ottenuto attraverso un’ acuta ricerca fisiognomica, una salda impostazione volumetrica delle figure e da una sintesi formale.Per quanto riguarda la rappresentazione degli ambienti è sorta la necessità di contestualizzare le scene: i monumenti architettonici presenti in esse sono citazioni delle ricostruzioni ipotetiche dei luoghi menzionati nella Passio (disegni dell’archeologo Luigi Canina, di Pio Capponi e di Venceslao Grossi).Ogni tavola è stata seguita dal prof. Rosario Malizia, segretario della Sede di Terracina dell’Archeoclub d’Italia: la sua collaborazione, le sue riflessioni, le sue precisazioni e le sue correzioni hanno permesso di collocare i personaggi nei luoghi, secondo la tradizione, del martirio di Cesario e di evidenziare i riscontri storici ed archeologici.Le nuove proposte sulla datazione del martirio avanzate dall’archeologo Pietro Longo di Terracina, e i suoi recenti studi sulla figura del diacono hanno permesso di espungere dalla nostra ricerca il periodo neroniano e domizianeo, e di proseguire le ricerche sui personaggi citati nella Passione, alcuni dei quali risultano - con gli stessi ruoli - anche in altri Atti dei Martiri.

Giovanni Guida

Cesa, gennaio 2015

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Cesario, un personaggio storicoVi sono diverse buone ragioni per approfondire gli studi agiografici su Cesario o, secondo altre dizioni, Cesareo, un martire la cui esistenza può essere variamente documentata, ma mai posta in dubbio.Abbiamo la certezza che morì durante l’era delle persecuzioni. Cesario di Terracina è, quindi, come personaggio storico fuori discussione: è menzionato nel più antico elenco di martiri cristiani della Chiesa latina a noi pervenuto, il “Martirologio Geronimiano” (documento della prima metà del V secolo) e la sua festa è segnata al 1° novembre e al 21 aprile facendola coincidere con il Dies Natalis Romae mentre nel “Martirologio Romano” è commemorato al 1° novembre con un elogio tratto dalla narrazione della Passio.Il Dies Natalis, ossia la nascita al cielo, di Cesario è menzionato anche in altri autorevoli documenti, e cioè i “Sacramentari Gregoriano e Gelasiano”, dei papi Gregorio e Gelasio – antichi libri liturgici cristiani - e nei martirologi di Beda, Raban, Usuard e altri posteriori.La sua festa è segnata anche nell’antico calendario del Padre Fronto (Duc du Fronton).Tutto sommato, possiamo dire che le testimonianze storiche sul diacono Cesario non mancano, anche se niente di sicuro possiamo sapere sulla sua vita, eccetto il martirio.Se la storicità del martire è sicura, la sua biografia è affidata invece a una Passio pervenutaci secondo quattro redazioni: “minima, parva, maior, maxima”, elaborate nei secoli compresi entro il primo millennio. La “Passio parva”, la più vicina alla realtà dei fatti, si presta a considerazioni storiche attendibili in quanto è la più antica, ascrivibile al V-VI secolo. In quest’epoca fiorì un vero e proprio genere letterario, quello delle passioni epiche e largamente leggendarie, per dare una fisionomia propria al martire, di cui spesso si conoscevano, oltre al nome, solo la data e il luogo della sua morte - ossia le coordinate agiografiche che consentono l’identificazione di un santo. Il periodo del martirio di Cesario secondo la Passio parva è l’età neroniana (54-68 d.C.), secondo la Passio maior è l’età domizianea (81-96 d.C.), secondo la Passio maxima è l’età traianea (98-117 d.C.), mentre nella Passio minima non è specificato.

Quando lo scrittore degli Atti del martirio di Cesario si è messo all’opera, mancava di dati certi e allora ha rivestito il racconto di fatti inverosimili, creando una cornice fortemente drammatica.In questi secoli è molto probabile che si verificò la definitiva trasformazione del cosiddetto tempio di Apollo di Terracina in tempio cristiano dedicato al martire Cesario, e allora si sentì il bisogno di mettere per scritto le tradizioni orali dei martiri terracinesi.La leggenda, nella forma attuale, è sicuramente terracinese.Essa è nata per dare importanza a un episodio della storia primitiva della chiesa locale: sul luogo di sepoltura di Cesario (in un terreno posto nella Valle di Terracina, in “Agro Varano”) venne edificata una Basilica ad corpus, dedicata a Santa Maria ad Martyres; si tratta del primo e più importante luogo di culto della città, dove sin dall’affermarsi del cristianesimo venivano battezzati i catecumeni. Come vedremo, in questo racconto della Passione non è lecito considerare tutto alla stregua di pie leggende e naturalmente, volta a volta, noteremo i tratti storici e quelli leggendari o presunti tali.Ripetiamo, però, che non bisogna fare d’ogni erba un fascio, perché gli scrittori di questi atti sono esistiti tanti secoli prima di noi ed hanno ricevuto, senza interruzione, le tradizioni orali dei fatti.Nel 1887 il bollandista Guglielmo Van Hoff diede un giudizio molto favorevole su questa Passione, ma oggi le posizioni sono cambiate.Secondo l’archeologo Giuseppe Lugli, nel suo commento archeologico - topografico del martirio di Cesario, qualunque sia il valore storico e cronologico da darsi a questi Atti, è in ogni modo notevole l’indicazione esatta dei luoghi. Il racconto sembra scritto da un cittadino: è evidente che l’autore conosca bene il paese. La topografia è esattamente rispettata: si riconosce il Monte Sant’Angelo con le sue rupi a picco sul mare, il Pisco Montano, il tempio di Apollo, situato sulla sommità di un colle, ed il Foro Emiliano con il carcere adiacente.Ci pare di veder passare sotto i nostri occhi gli episodi succedutisi nella Passione, inquadrati in un ambiente reale, preciso nei particolari. Quindi, tutto questo dimostra che il racconto fu scritto da una persona competente, almeno per la località.

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Un diacono africanoPoco o nulla sappiamo della sua infanzia: agiografi e studiosi - in queste notizie di seguito riportate - hanno espresso opinioni in maniera diversa, talvolta contrastanti. Cesario nacque nell’Africa settentrionale, precisamente a Cartagine, verso l’85 d. C..Era figlio di un mercenario e di una nobildonna che, secondo la tradizione, discendevano dalla “Gens Julia”, la rinomata famiglia Giulia.I genitori decisero di chiamarlo Cesario per dimostrare la loro devozione ed appartenenza all’imperatore, denominato anche Cesare.Il nome “Cesare” deriva dal latino Caesar (Caesarius e Caesaria in età imperiale), adattamento dell’etimo etrusco aisar con il significato di “grande”, “divino”.Secondo lo storico e agiografo Mons. Francesco Lanzoni, l’africanità del martire può essere un’invenzione, o una pura ipotesi dell’autore, o una tradizione volgare da lui raccolta e consacrata al suo lavoro. Oppure potrebbe congetturarsi che la passione di Cesario sia stata creata dalla penna di uno scrittore africano, profugo in Italia dalla persecuzione vandalica. Lo studioso Albert Dufourcq dice che la Passione è stata scritta nell’epoca bizantina; in questo periodo Roma e Cartagine erano sorprese di trovarsi “sorelle” sotto il dominio del Basileus (imperatore) di Bisanzio e tra la costa africana e quella della Campania ogni giorno si moltiplicavano relazioni di tutti i generi, mille legami si intrecciavano: da qui ha origine la credenza che il diacono Cesario abbia percorso proprio questa strada per arrivare a Terracina, ossia la stessa che attraversavano i soldati, mercanti e viaggiatori.Ritornando al racconto, i suoi avi si stanziarono a Cartagine durante la riorganizzazione dei territori africani da parte di Giulio Cesare, il quale proprio in quella città fondò una colonia romana in cui si erano trasferiti dei cittadini romani alleati con la madrepatria e quindi sotto il controllo di Roma. Questa colonia prosperava e traeva profitto dal collegamento e dall’alleanza con Roma imperiale ed il bimbo, essendo figlio unico, si trovava nella condizione di poter ereditare una cospicua eredità, senza alcuna necessità di dividerla o frazionarla.

La sua famiglia si convertì al cristianesimo per la fervente predicazione degli apostoli di Gesù nella zona. Il giovane Cesario, dopo aver compreso i contenuti della dottrina cristiana, rimase molto affascinato dalla figura di Gesù e dal suo messaggio di salvezza. Volendo diventare tutt’uno con Cristo, prese il voto del diaconato.Nel Cristianesimo primitivo il Diacono (dal greco διάκονος - diákonos, ovvero servitore) era colui che si poneva nella comunità al servizio del prossimo, in modo autorevole e ufficialmente riconosciuto. Ben presto quella del diacono divenne una vera e propria figura ministeriale, che si affiancò alla figura del vescovo e del presbitero.Il diacono non rappresenta Cristo quale sommo sacerdote e non offre il sacrificio eucaristico, ma rappresenta Cristo come colui che è venuto « non per essere servito ma per servire ». Il Diaconus è l’immagine viva del Cristo che serve, che per amore si china a lavare i piedi dei suoi discepoli, che si fa carico delle sofferenze dei più deboli, che proclama la parola del Regno di villaggio in villaggio, che si fa vicino a chiunque sia minacciato dalla tristezza e dall’angoscia e che offre la sua stessa vita in sacrifico.Il compito di Cesario era quello di essere un servitore della Parola di Dio, della mensa dei poveri e di quella eucaristica.Sorretto da questa fede, con grande meraviglia dei suoi genitori, rinunziò al suo patrimonio e si dedicò all’evangelizzazione.

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Naufragio a TerracinaSuperata la fase dell’adolescenza, Cesario decise di partire, con i suoi compagni, alla volta di Roma, dove il Cristianesimo era una religione illecita punibile con le massime pene: i suoi fedeli venivano accusati, in particolare, di empietà in quanto si rifiutavano di compiere i sacrifici, obbligatori per legge, agli dei della religione romana ufficiale.E’ da ricordare anche il rifiuto dei cristiani di adorare, oltre alle numerose divinità pagane, la figura dell’imperatore (Cesare) come dio e per questo venivano incriminati per lesa maestà e ateismo.La nave tuttavia naufragò - a causa di una furiosa tempesta - sulle coste di Terracina, una città situata all’estremità meridionale dell’Agro Pontino e ai piedi dei Monti Ausoni, che qui si prolungano sino alla costa separando la Pianura Pontina dalla più piccola Piana di Fondi.Il giorno successivo i suoi compagni, percorrendo la via Appia Antica, si misero in cammino per raggiungere la capitale dell’ Impero, ma Cesario decise di fermarsi in questa città in quanto era rimasto fortemente impressionato dal divario tra ricchi e poveri: i malati, gli oppressi e i moribondi erano lasciati ai margini della città, mentre al suo interno la nobiltà viveva nel lusso più sfrenato.Il diacono si prese cura dei poveri, dei deboli e degli infermi perché nel loro viso vedeva il ritratto di Dio.Cesario rimase nascosto in città, nella casa di un cristiano, il monaco Eusebio, servo di Dio: fu accolto nella comunità cristiana formata da Epafrodito, uno schiavo di origine greca, primo vescovo di Terracina nella metà del I sec. d. C..Epafrodito fu uno dei settantadue discepoli (primitivi seguaci di Gesù Cristo) e venne ordinato dall’apostolo Pietro nel 50 d. C..Secondo la “Passio parva”, il martirio di Cesario è avvenuto in età neroniana (54-68 d.C.), datazione accettata anche dal famoso agiografo tedesco Laurentius Surius: vi è un chiaro tentativo di avvicinare il nostro diacono allo storicamente provato passaggio degli apostoli Pietro e Paolo nella città di Terracina.L’evangelizzazione di Paolo lungo l’Appia è attestata dagli Atti degli Apostoli, che fanno riferimento al suo viaggio da Pozzuoli verso Roma con le soste a Tres Tabernae e a Foro Appio, nella zona pontina.

La sua sosta a Terracina viene ricordata negli Atti apocrifi di Pietro e Paolo dello Pseudo Marcello: “Partiti da Baia, giunsero a Gaeta, dove Paolo prese ad insegnare la parola di Dio. Vi rimase infatti per tre giorni in casa di Erasmo, che Pietro aveva inviato da Roma a predicare il vangelo di Dio. Partito da Gaeta, arrivò alla borgata di Terracina. Vi rimase sette giorni in casa del diacono Cesario, ordinato da Pietro. Di qui navigò attraverso il fiume ed arrivò ad un luogo detto Tre Taverne”.Il dato cronologico fornito dal narratore – la persecuzione di Nerone – non è accettato da una parte della moderna critica storica, che sposta la data del martirio di Cesario al 250 d. C., quindi durante la persecuzione di Traiano Decio (249-251).Questa data però contrasta con la cronologia tradizionale e con i periodi del martirio secondo le varie Passiones. Il diacono decise, dunque, di dedicarsi alla parte più povera della popolazione, insieme al compagno e maestro spirituale, il presbitero Giuliano. Cesario e Giuliano iniziarono la loro opera di evangelizzazione a Terracina: imperniarono la loro missione sulla predicazione, sulla conversione e sulla formazione di comunità cristiane nelle quali tutti dovevano vivere nell’amore e nella libertà.Cominciarono a predicare prima con l’esempio e poi con la parola. Inizialmente il popolo era piuttosto diffidente nei loro confronti, ma ben presto cominciò a stimarli, a seguirli e molti chiesero di essere battezzati.Secondo alcuni studiosi, Cesario sarebbe “l’unico autentico martire” di Terracina, mentre il presbitero Giuliano apparterebbe alla tradizione storica e culturale di altre chiese. Il Lanzoni ipotizza che l’autore della Passio per descrivere la storia del giovane diacono abbia congiunto il nostro protagonista con il martire Giuliano di Anazarbo, mettendoli in relazione e facendoli morire insieme in quanto accomunati dalla medesima modalità di esecuzione della sentenza di morte, ossia la poena cullei. Durante il Medioevo, nel territorio di Sutri (Viterbo), la precoce ricezione della Passio sancti Cesarii determinò la costruzione della chiesa di San Cesario in Martula e successivamente quella dedicata al compagno Giuliano, situata nella contrada Saccello.

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Domitilla, Eufrosina e TeodoraIl Venerabile Cesare Baronio, storico della Chiesa, mette in dubbio il periodo neroniano e prende in considerazione la datazione della “Passio maxima”, che pone il martirio in età traianea perché Cesario è ricordato anche negli Atti dei SS. Nereo e Achilleo, martirizzati appunto sotto Traiano. Il nome del diacono compare, come spesso avviene nel ciclo delle passioni epiche, negli“Acta Nerei et Achillei” (ascrivibili al V-VI secolo), come colui che si era preso cura della sepoltura di tre vergini uccise a Terracina. Secondo la tradizione, la nobile Domitilla, nipote di Flavio Clemente (console nel 95 d. C.), fu convertita al cristianesimo dai suoi servitori Nereo ed Achilleo, che la persuasero a conservare lo stato verginale.Aureliano, figlio di console romano, si invaghì della sua bellezza e, non sapendo delle sue scelte cristiane, la chiese in sposa.Al rifiuto della ragazza, il giovane non si arrese; ancora più attirato e toccato nell’orgoglio pagano, cominciò a perseguitare la malcapitata Domitilla. Continuamente respinto, arrivò a spronare l’imperatore affinché la esiliasse a Ponza con l’accusa di “giudaismo” (nome che i romani davano al nascente cristianesimo).Sotto Domiziano, Domitilla e suoi servitori furono confinati nell’isola di Ponza; poi Nereo ed Achilleo vennero trasferiti a Terracina, dove furono decapitati, per ordine del console Memmio Rufo, perché avevano rifiutato di prestare il culto all’imperatore.Aureliano si rivolse a due giovani romani di nascita illustre, Sulpizio e Serviliano, promessi sposi delle sorelle di latte di Domitilla, le vergini Eufrosina e Teodora, affinché queste ultime le facessero visita per convincerla a sposarlo.Durante questo incontro, Eufrosina e Teodora si convertirono al cristianesimo, a seguito di alcuni miracoli, e Sulpizio e Serviliano vennero battezzati da Cesario e Giuliano, grazie all’interessamento di Domitilla.Aureliano organizzò una grande festa in onore degli dei pagani con l’intento di costringere Domitilla a ricambiare i suoi sogni amorosi, ma al culmine dei festeggiamenti ebbe un malore e morì all’istante.Successivamente anche Domitilla venne a Terracina, dove risiedette con le due vergini, Teodora ed Eufrosina.

In quel periodo a Terracina il primo cittadino era Lussurio, il fratello di Aureliano, che per vendicare la sua morte fece condurre Sulpizio e Serviliano dal prefetto di Roma, Aniano, il quale ordinò la loro decapitazione in quanto si erano rifiutati di offrire incenso agli idoli.Poi Lussurio costrinse le vergini a sacrificare agli dei; il rifiuto costò a loro il martirio: la stanza dove si erano rifugiate venne data alle fiamme e tutte e tre morirono arse vive. Il diacono Cesario, il giorno successivo, si recò nella loro stanza ed accertò la loro morte: rimase fortemente sbigottito in quanto le tre vergini erano in posizione genuflessa, in segno di preghiera ed adorazione, ed i loro corpi non erano stati bruciati dal fuoco; fu aiutato da altri cristiani a prelevare le spoglie e le depose in meravigliosi sarcofagi, che sotterrò in una fossa profonda, dando loro degna sepoltura. Esistono alcune varianti di questo racconto, secondo le quali non fu il nostro diacono a dare sepoltura ai corpi delle vergini, ma il diacono Ciriaco oppure un vecchio di nome Cesario. Questo testo è un’interessante testimonianza della circolarità dei culti, con tendenza alla loro integrazione, e in particolare allo stretto legame che univa Terracina a Roma: i resti di Nereo, Achilleo e Domitilla furono sepolti a Roma, sulla via Ardeatina, nelle catacombe costruite proprio sui terreni della famiglia di Domitilla. Sul luogo della loro sepoltura fu costruita una Basilica sotterranea, a loro dedicata, tuttora visibile nelle omonime Catacombe.Il Lanzoni sostiene che l’anonimo autore degli Acta Nerei, attraverso questo preteso seppellitore delle vergini, abbia inteso onorare un martire terracinese di nome Cesario. La passione di Cesario e gli Acta Nerei, rispetto al tempo del martire terracinese, non hanno valore probativo; quindi non è necessario credere che il nostro martire risalga a tanta remota antichità. Secondo l’archeologo Pietro Longo, i nomi di Nereo, Achilleo e Domitilla sono tranquillamente da catalogare come semplici duplicazioni di martiri e, in mancanza di precisi riscontri storico-archeologici, nulla vieta di considerarli realmente martirizzati a Terracina, ma certamente non furono sepolti da Cesario.Una iscrizione posta nella piazza Santa Domitilla a Terracina ricorda che nel 1619 fu elevata una cappella da Pomponio De Magistris - vescovo della città - nello stesso luogo dove era ubicata la stanza in cui Domitilla fu bruciata con le sue compagne.

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Il sacrificio umanoIl Dufourcq, leggendo le varie Passiones, nota che il diacono Cesario, nella prima fase della sua esistenza, è un personaggio molto modesto: viene ordinato diacono dall’apostolo Pietro, accoglie Paolo di Tarso nella sua casa per sette giorni, trascorsi i quali “l’apostolo delle genti” partirà e sosterà per quattro giorni a Tre Taverne - una località dell’antico Lazio sulla Via Appia, a circa 50 km da Roma.Gli anni passano, i ricordi sbiadiscono, le tradizioni si mescolano, e l’umile diacono comincia a uscire dalla sua solitudine: infatti, nella leggenda di Nereo e Achilleo, è lui che seppellisce le tre vergini martirizzate a Terracina.L’imperatore romano Marco Ulpio Nerva Traiano, regnante dal 98 al 117 d. C., operò una persecuzione contro i cristiani: ordinò di punire chiunque si fosse rifiutato di sacrificare agli idoli.Secondo la tradizione, in quell’epoca a Terracina vi era un pontefice di nome Firmino, sacerdote dei falsi dei.Egli, spinto da uno spirito diabolico, approfittò dello stato di ignoranza in cui erano immersi i suoi cittadini circa il vero Dio per convincere molti giovani a diventare famosi con un’azione coraggiosa e sanguinaria, con il pretesto di ottenere la salvezza dello Stato e degli imperatori.Il primo gennaio era consuetudine celebrare una festa in onore di Apollo, durante la quale un giovane, il più bello e nobile della città, doveva sacrificarsi per la prosperità dello Stato; in questo modo veniva immolato un uomo alla divinità per propiziarsene i favori e per invocare il suo sostegno.L’antica usanza prevedeva di prendersi cura del giovane per sei o otto mesi, nutrendolo con cibi prelibati ed esaudendo tutti i suoi desideri, ma alla fine di quel tempo - dopo essere stato ornato con magnifiche armi e fatto montare su un cavallo riccamente bardato – doveva salire fino alla sommità del monte sovrastante la città e precipitarsi nel mare per assicurare al suo nome fama e gloria immortale. Successivamente il suo corpo era bruciato e le sue ceneri venivano conservate con grande onore nel tempio di Apollo.Quell’anno il giovane destinato al sacrificio umano si chiamava Luciano.Quando Cesario vide per la prima volta Luciano, chiese ai suoi concittadini cosa significasse tutto questo splendore di cui questi era circondato; gli risposero: “E’ cosi trattato perché deve sacrificarsi”, Cesario disse: “Vi prego, nel nome di Dio onnipotente, spiegatemi cosa significa” e riuscì a sapere la storia della tradizione impartita dai loro antenati.

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Il diacono rimase inorridito, si indignò per questa barbarie e gridò: “O infelici e sfortunati che siete! questa cecità funesta che vi ha fatto offrire al diavolo le anime di uomini innocenti, vi impedirà in questo mondo e nell’altro di aver parte alla vera vita” ed aspettò il giorno stabilito per la cerimonia facendo veglie e preghiere.Arrivato il 1° gennaio, le autorità, i sacerdoti pagani ed i fedeli si riunirono nel tempio di Apollo per dare inizio ai riti: Luciano sacrificò una scrofa per la salvezza della città e dei suoi abitanti.Successivamente iniziava la processione che si snodava, con lenta solennità, verso il monte.Cesario si rivolse ai presenti ed esclamò: “Se siete saggi, perché vi ostinate a commettere un tale reato? Vi sembra giusto ottenere la vostra salvezza attraverso il sacrificio di un innocente?”.Nonostante i suoi vari tentativi di interrompere questo crimine, i riti barbari vennero eseguiti: Luciano, cavalcando, salì fino alla cima della collina; si gettò nel vuoto con il recalcitrante cavallo e, schiantandosi contro le rocce, perì tra le onde insieme alla sua cavalcatura.Dopo questa sconvolgente visione, Cesario gridò: “Sventura allo Stato e ai principi che si rallegrano delle sofferenze e si pascono di sangue! Perché dovete perdere le vostre anime per le vostre imposture ed essere sedotti dagli artifici del demonio?”Il falso pontefice Firmino - udite queste parole del diacono - gli ordinò di tacere, lo fece arrestare dalle guardie di Terracina e portare nella pubblica prigione presso il Foro Emiliano. Da un punto di vista storico, la prima cosa inattendibile è proprio la questione del sacrificio umano, del tutto improbabile nel periodo imperiale e in una città a poca distanza dalla capitale Roma: le genti latine solitamente rifiutarono queste aberrazioni della natura, ed anche se nei primi tempi della civiltà romana tali sacrifici qualche volta avvenivano, sappiamo che l’ultimo di essi dovrebbe risalire alla fine del III sec. a.C., durante la II guerra punica e dopo il disastro di Canne. Secondo la tradizione popolare il sacrificio di Luciano e, successivamente, il martirio di Cesario sarebbero avvenuti dall’alto della rupe del “Pisco Montano”.

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Il Pisco Montano è uno sperone roccioso di 83 metri e costituisce una struttura geolo-gica a sé in quanto non è inglobato al retrostante Monte Sant’ Angelo, sulla cui vetta domina il tempio attribuito a Giove Anxur. La questione è controversa, poiché nel testo originario si parla genericamente di un monte o di un’altura presso la città. Sarebbe piuttosto difficile far salire un cavallo con il suo cavaliere sul Pisco: esiste, infatti, un solo impervio viottolo che conduce al ristretto spiazzo a metà altezza, dove in età moderna fu realizzato il posto di guardia alla sottostante Porta Napoletana, popolarmente denominato “Casa di Mastrilli”. Il gesuita Padre Giovanni Frilli da Sezze aggiunge dei particolari a questo racconto: così Cesario, mentre il giovane si lancia, allarga le braccia e quegli cade senza farsi male dall’alto del Pisco Montano, detto anche “Rapa Rossa” e “Dirupo di Rivaroscia”.Un tempo, nel quartiere della Marina, s’innalzava una chiesa dedicata a Santa Bar-bara; in essa esisteva un dipinto che raffigurava il diacono Cesario perché - secondo la tradizione - in quel punto egli aveva salvato con un gesto il cavaliere gettato dalla rupe.Secondo il Dufourcq, l’episodio di Luciano e della scrofa scannata compare nella tra-dizione durante l’epoca bizantina. La leggenda sembra essere di origine terracinese in quanto la scrofa è consacrata al dio Silvano, particolarmente adorato nella città; ma la scrofa è anche un animale sacro alla Grande Dea, particolarmente adorata in Cappadocia. La storia di Luciano ha un forte sapore orientale: le molli delizie della vita prima del sacrificio umano ricordano i culti voluttuosi e sanguinari della Frigia e della Cappa-docia. Il suo sacrificio invece ricorda la devotio, pratica religiosa dell’antica Roma secondo la quale il comandante dell’esercito romano si immolava agli Dei Mani per ottenere, in cambio della propria vita, la salvezza e la vittoria dei suoi uomini. Il racconto di Luciano comparirebbe precisamente dopo la conquista dell’Italia, e quin-di del Lazio con Terracina, da parte dei Bizantini di Belisario contro gli Ostrogoti (Guerra greco-gotica, 535-553). Nel testo si sarebbe evidenziata la fisionomia della devotio, ma sarebbe stato cancellato il carattere militare della vittima: alcuni soldati bizantini, d’origine cappadociana, avrebbero introdotto a Terracina i “miti” delle feste pagane delle calende, di cui parla, in una sua omelia, il vescovo Asterio di Amasea - mostrandone la follia e i delitti che si commettevano - e che il nostro agiografo cristiano avrebbe ingegnosamente sfruttato. Quindi l’episodio di Luciano può essere originario della Cappadocia e di importazione bizantina.

Il ProcessoOtto giorni dopo l’arresto di Cesario, Lussurio, primo cittadino di Terracina, ed il pontefice Firmino fecero venire il console Leonzio (Consularis Campaniae), che allora si trovava nella città di Fondi, per iniziare il processo e giudicare il giovane.Quando il console arrivò, le guardie portarono nel Foro Emiliano il diacono Cesario, il quale era stato lasciato per tre giorni senza cibo.L’accusa che gli fu mossa era di lesa maestà, cui si aggiunsero quelle di vilipendio della religione di Stato, alto tradimento ed interruzione di cerimonia sacra. Nel bel mezzo del foro, Leonzio, attraverso l’araldo, iniziò l’interrogatorio dicendo: “Qual è il tuo nome?” ed egli rispose: “Io sono Cesario, peccatore e diacono anche se indegno.”Il console disse: “Sei libero o schiavo?” ed egli rispose: “Io sono un servo del mio Signore Gesù Cristo”. Il console disse: “Sai tu ciò che hanno ordinato gli imperatori?” ed il diacono rispose: “Non conosco i loro ordini”.Leonzio disse: “Hanno ordinato che si offrano dei sacrifici agli dei immortali” ed egli rispose: “Sono molto infelici se hanno dato tali ordini”. Allora il console disse: “E per quale ragione? Perché stanno cercando di ottenere così la salvezza dello Stato?” ed egli rispose: “Quello che tu chiami la salvezza dell’ Impero è la vostra rovina”. Il console disse: “In ogni modo la religione è una fonte di salvezza per tutti” ed egli rispose: “E quale bene procura dunque a quelli che voi obbligate di dedicarsi alla morte senza averla meritata da alcun crimine?”.Il console Leonzio disse: “Fai quello che ti consiglio e sacrifica agli dei, o la tua ostinazione sarà presto punita” e Cesario rispose: “I tuoi tormenti non mi fanno impressione, le pene eterne ne faranno tutt’altro su di te, poiché tu non cesserai mai di avvertirle”.Il Console Leonzio disse: “Andiamo al Tempio di Apollo”.Come possiamo vedere, il dialogo tra il giudice e l’ imputato è semplice e lineare.L’interrogatorio di Cesario non appare dei più duri, il magistrato si limita semplicemente a constatare lo status di cristiano e il rifiuto di adorare gli dei: niente discorsi, niente dettagli strani, niente di quelle torture, per esempio, che i romani non hanno usato.

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Durante il processo, nelle aree di lingua latina, i cristiani venivano invitati dal presidente del tribunale a giurare nel nome del “Genio di Cesare”.Appare chiaro come l’ignoto redattore della Passio abbia letto l’epistola di Plinio il Giovane indirizzata a Traiano dove, per sommi capi, si ripetono le modalità dell’interrogatorio di Cesario.Né sotto Nerone né sotto Traiano esisteva il Consolare della Campania (questa carica è della metà del II sec. d. C. e Terracina - almeno sino alla metà del III sec. d. C. - non fece mai parte della Campania).E’ strano che, sotto Teodosio (379-395 d.C.), Terracina fosse assegnata alla Campania e non al Lazio, ciò si spiega soltanto con la maggior facilità di comunicazioni, in quel tempo, fra la città e quella regione anziché con Roma, a causa del cattivo stato delle paludi e della via Appia; la Campania ebbe perciò un consolare tra il 333 e il 438 e il primo che si ricordi, nel 333, è Barbaro Pompeiano.Gli stessi nomi dei magistrati, come Leontius, Luxurius e Firminus sono inconsueti nel primo secolo, in Occidente, soprattutto per uomini di un certo rango.Lo storico francese Tillemont ritrova Lussurio e Leonzio nella Passio del martire Giacinto di Porto, in circostanze del tutto simili, ma anche con altre che impediscono - come vorrebbe il Baronio - che il fatto sia collocato al tempo di Traiano. E’ interessante notare come i testi della Passio S. Caesarii minima e della Passio S. Hyacinthi abbiano rapporti di dipendenza tra loro, sia nella forma che nella struttura: l’Incipit e l’Explicit coincidono; entrambe iniziano con l’interrogatorio di Leonzio, le domande poste dal magistrato e le risposte dell’imputato sono simili e la descrizione della morte di Lussurio, o Lussorio, conclude le narrazioni. Il console Leonzio è menzionato quindi anche in altri “Atti dei Martiri”- soprattutto della Campania - come giudice che condanna a morte i cristiani che si rifiutano di sacrificare agli dei, tra i quali ricordiamo: Montano, soldato di Terracina, Giacinto di Porto, le vergini Archelaa, Tecla e Susanna (martirizzate a Nola), i cittadini salernitani Fortunato, Caio ed Ante (martirizzati presso la riva del fiume Irno), Agape, vergine di Terni, Procolo, Efebo ed Apollonio, discepoli di Valentino, vescovo e martire di Terni.

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Caduta del tempio di ApolloIl console Leonzio decise di portare Cesario davanti al tempio di Apollo per ordinargli di sacrificare agli dei: se avesse rinnegato la sua fede cristiana e reso evidente ciò, offrendo preghiere ed incenso alle divinità pagane, sarebbe stato perdonato sulla base del suo pentimento e lasciato in libertà.Della terza persecuzione dei cristiani sotto Traiano ci testimonia una lettera inviata a Plinio il Giovane quando questi era governatore della Bitinia, nella quale l’imperatore dettava le modalità con cui si doveva trattare la “questione cristiana”: nessuna ricerca attiva dei cristiani, ma, in caso di denuncia, essi dovevano essere condannati se avessero rifiutato di sacrificare agli dei. Cesario fu legato al cocchio di Leonzio e, appena si avvicinarono al tempio, il diacono, circondato da soldati, esclamò: “O Dio, Padre del mio Signore Gesù Cristo, Re eterno, a Te tutte le cose sono note, non mi abbandonare, ma degna uno sguardo al tuo servo che spera in Te”.Quando ebbe finito la preghiera, il tempio crollò improvvisamente e sotto le sue rovine morì il pontefice Firmino.Il crollo del tempio di Apollo ha come corrispondente il crollo delle mura di Gerico: “Per fede caddero le mura di Gerico, dopo che vi avevano girato attorno per sette giorni” (Ebrei 11:30). Quest’episodio trova numerosi riscontri in altre narrazioni: in sostanza, la popolazione aspettava dal taumaturgo un segno della potenza divina; se avveniva tale evento si convertiva, altrimenti continuava a credere nelle divinità tradizionali.Negli atti apocrifi dell’apostolo Giovanni è descritto un episodio molto simile: un giorno egli entrò nel santuario di Artemide ad Efeso, pregò il Signore ed immediatamente l’altare pagano andò in frantumi e metà del tempio crollò causando molte conversioni al cristianesimo. Secondo una leggenda, anche il soldato Giorgio di Lydda entrò in un tempio pagano, mormorò una preghiera al Signore e con un soffio abbatté gli idoli di pietra.Cesario, recitano le quattro Passiones, viene condotto in medio foro, presso il tempio principale: per molto tempo l’attuale Cattedrale di Terracina è stata identificata come tempio di Apollo in quanto nel testo è specificato che l’edificio che crolla sul pontefice Firmino è il Templum Apollinis.

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L’erronea identificazione con il tempio di Apollo è presente già all’inizio del XVI sec. nei disegni di Baldassarre Peruzzi, poi ripresa dallo storico di Terracina Domenico Antonio Contatore e da altri; è probabile che essa derivi da un’errata interpretazione topografica dei fatti narrati nella Passio di Cesario, come è ribadito negli studi recenti sul monumento.La Cattedrale di Terracina - dedicata al diacono Cesario il 24 novembre 1074 - è stata costruita inglobando le strutture del Tempio Maggiore della città romana, posto sul lato nord-ovest del Foro Emiliano.Si è preferita un’attribuzione generica perché non sappiamo con certezza a quale divinità fosse dedicato: la moderna archeologia l’identifica nel Capitolium oppure nel tempio di Roma e Augusto.Con Teodosio (379-395) la religione cristiana diventa religione di Stato e l’imperatore concesse ai cristiani l’uso dei templi pagani, quindi a partire dal V secolo poté iniziare la trasformazione del tempio pagano in basilica di S. Cesario. Nella Cattedrale, allo stato attuale, non esistono tracce di un crollo, ma solo di un incendio sulle lastre marmoree del rivestimento esterno della cella, forse risalente ad età tardo-antica.Il Lugli ipotizza invece che il tempio di Apollo fosse situato sulla sommità di un colle. Le fonti agiografiche parlano di un culto molto antico di Apollo, detto perciò anch’egli Anxur come Giove. A questo dio la tradizione racconta che sotto Nerone si sacrificasse un giovane, il più bello di Terracina, che si gettava a cavallo dall’alto di una rupe. Vera o falsa che sia la leggenda, resta importante l’indicazione topografica che ci induce a credere che il tempio fosse ubicato in un luogo eminente, il quale, escluso il Monte Sant’Angelo (dove era probabilmente il culto di Giove), può riconoscersi nel colle di S. Francesco. Infatti è naturale che ad Apollo, importante divinità della città, fosse dedicato un luogo elevato come il colle di San Francesco, un tempo acropoli della città, passata poi in seconda linea con la creazione della nuova acropoli di Monte S. Angelo nell’età di Silla. E’ probabile che non si trattasse di un tempio vero e proprio, ma di un santuario a cielo aperto, costituito soltanto da un’ ara col suo themenos. E’ piuttosto ipotetica l’affermazione del Lugli che il culto di Apollo sia il più antico della città, non essendo citato da nessuna fonte antica, ma solo dalla Passio; inoltre, circa l’identificazione del tempio sul colle di S. Francesco, non vi sono elementi certi, dato che l’iscrizione musiva rinvenuta nell’800 e oggi scomparsa fa solo riferimento al restauro dell’edificio, compiuto da un magistrato locale probabilmente nel II sec. a.C., senza alcuna citazione della divinità tutelare.

Conversione del console LeonzioQuando Lussurio ebbe appreso quest’evento soprannaturale, si recò immediatamente a Terracina ed esclamò: “È vero, o Leonzio, che Cesario ha utilizzato i suoi incantesimi magici ?”-“E’ vero,” rispose Leonzio; e rivolgendosi a Cesario, disse: “Oggi sentirai gli effetti della mia collera”.Il diacono rispose: “Non temo né te né il tuo imperatore: è vero, come dici tu, che oggi si infiammerà la tua ira, ma svanirà domani, e quando sarete morti non potrete più niente”.Lussurio interruppe queste parole ed esclamò: “Eh cosa, Leonzio, tu senti quest’ infelice lanciare insulti contro i nostri imperatori, e tu esiti ancora ad annientarlo?”.Il console Leonzio disse: “Che tipo di tortura vuoi imporre?” e Lussurio rispose: “Perchè non convochiamo tutto il popolo nel tempio dove ha esercitato la sua magia?”.I pagani vedevano effetti di magia nei miracoli, nei fatti straordinari che accadevano tra i cristiani. Così tutto il popolo si incontrò in questo luogo, esposero il cadavere del pontefice Firmino e Lussurio rivolse queste parole alla moltitudine: “Vedete dinanzi a voi un uomo empio, che non teme né gli dei né principi, ha appena ucciso il pontefice, e distrutto con la sua stregoneria il tempio sacro costruito dai nostri antenati”.Cesario diacono esclamò: “E’ giusto, miei fratelli, obbedire a un uomo, piuttosto che a Dio Maestro Sovrano dell’Universo. Qual è questa religione che comanda di procurare la salvezza della vostra patria con l’effusione di sangue umano? Vi chiedo di fare penitenza per il sangue innocente che è stato versato; vi esorto a credere in Cristo, Figlio di Dio, e servirlo”.Tutte le persone gridavano: “E’ un uomo virtuoso, e ciò che ci propone è giusto”. Lussurio lo fece riportare nella prigione, dove fu lasciato un anno e un giorno.La prigione - o custodia - secondo l’autore della Passio, era ubicata presso il foro stesso: nulla è ancora emerso dalle ricerche archeologiche, anche perché, se essa era veramente situata presso il Foro Emiliano, sarà stata sostituita o inglobata dalle costruzioni di epoca successiva.

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Lussurio, trascorso un anno, inviò un messaggero da Leonzio per consultarsi sul tipo di punizione da infliggere al giovane diacono.Il console decise di far condurre di nuovo l’accusato in Forum civitatis Terracinae: Cesario uscì dalla prigione emaciato dalla sofferenza della fame e spogliato dei suoi vestiti, ma coperto dai suoi lunghi capelli: durante il periodo di prigionia un angelo del Signore l’aveva vegliato giorno e notte. Quando fu portato al centro del foro, disse ai soldati che lo tenevano in catene:“Voglio pregare, allentatemi un po’ le catene, affinché possa rendere grazie al mio Signore Gesù Cristo, che si è degnato di annoverarmi tra i suoi servitori”.Immediatamente si gettò a terra ed adorò il Signore, dicendo:“Signore, mio Dio, Padre del mio Signore Gesù Cristo, mostraci la tua Misericordia”. In quel momento una luce celeste apparve e rischiarava tutto il corpo del giovane diacono.Vedendo ciò, il console Leonzio gridò a gran voce: “Il Dio che predica Cesario è veramente il Signore Onnipotente”. Si gettò ai piedi del diacono, si tolse la clamide, vestì Cesario e lo pregò, davanti a tutto il popolo, di battezzarlo. Cesario disse: “Credi, e vedrai presto una Luce radiosa”.Poi prese l’acqua e battezzò Leonzio nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, mentre il presbitero Giuliano - che si trovava lì presente - gli amministrò il Corpo e il Sangue del Signore Gesù Cristo. Dopo aver ricevuto questi sacramenti, Giuliano recitò una preghiera sulla sua testa, terminata la quale, Leonzio spirò. Il corpo di Leonzio fu salvato dalla moglie e dai figli, che gli diedero sepoltura in “Agro Varano”, nelle vicinanze della città, III Kal. Nov. (30 ottobre).Dalla lettura del testo risulta evidente che Leonzio trova sepoltura poco prima di entrare in città, chiaramente extra urbem, ma molto vicino ad essa.Non siamo completamente all’ oscuro circa il luogo nel quale si tenevano le adunanze dei primi cristiani e circa la località dove esisteva il loro cimitero.

L’area indicata con il toponimo “in Agro Varano” apparteneva ad una agiata famiglia romano-terracinese, i Vari (“Gens Vara”).Questa famiglia, convertitasi al cristianesimo, offrì la sua casa per le riunioni della parola di Dio e per la celebrazione dell’Eucarestia. La Domus Christiana dei Vari sorgeva presso l’attuale ferrovia di Terracina, lungo la via Appia antica - dov’è oggi ubicata la nuova chiesa dei Martiri Terracinesi.Questa casa, essendo situata in prossimità dell’Appia, frequentatissima in ogni ora del giorno e della notte, non doveva richiamare troppo l’attenzione su coloro che vi si recavano.In questo campo i cristiani avevano anche il loro coemeterium.La legge romana consentiva la proprietà di un cimitero alle associazioni funerarie (collegia funeraticia).Un cimitero già funzionante, quindi, e nel quale venne posto lo stesso Cesario, all’indomani del suo martirio, precisamente nella proprietà del presbitero Quarto di Capua.Sulla tomba di Cesario fu eretta la prima chiesa cristiana della città, dedicata a Santa Maria ad Martyres, Santa Maria sulle tombe dei martiri, lo stesso titolo del Pantheon cristianizzato. La conferma che potesse essere un edificio a carattere funerario è indirettamente rintracciabile dalla presenza nella zona di sepolture di età romana, alcune delle quali definite “tarde”. Quella terra divenne uno dei beni del capitolo della Cattedrale e la località fu ed è chiamata “Le Prebende”.Per quanto concerne la miracolosa conversione e morte di Leonzio, secondo altre Passiones egli sarebbe rimasto un duro persecutore e avrebbe fatto morire anche le vergini Rosina e Silvia ed il soldato Montano. Secondo l’archeologo Francesco Maria Pratilli, dopo la morte del nostro Leonzio fu Consolare della Campania Virio Turbone.Leonzio di Terracina è venerato come santo e confessore dalla Chiesa cattolica.

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Poena CulleiLo stesso giorno della sepoltura di Leonzio, Lussurio fece arrestare il presbitero Giuliano e pronunciò la sentenza di morte: ordinò che Cesario e Giuliano fossero chiusi in un sacco e gettati nel mare.L’autore degli Atti non ha un’idea ben netta delle funzioni dei magistrati romani: gli interrogatori sono fatti ed i giudizi pronunziati indifferentemente da Leonzio e da Lussurio, procedura che ripugna allo spirito altamente giuridico dei romani.La “Poena Cullei” (dal latino «pena del sacco») nel diritto romano criminale era la pena inflitta al soggetto che si era reso responsabile di parricidio. Immediatamente dopo la condanna, il reo veniva tradotto in carcere in attesa dell’esecuzione: al parricida, dicono le fonti, venivano fatti calzare degli zoccoli di legno,“doleae lignae”, e attorno al suo volto veniva legato un cappuccio di pelle di lupo.Il parricida veniva poi frustato con “virgae sanguinae”, cucito in un “cullus”, sacco di cuoio impermeabile, insieme ad una vipera, un cane, un gallo e una scimmia e, dopo essere stato trasportato attraverso la città su di un carro trainato da un bue nero, veniva gettato in mare.Tre giorni più tardi - poco prima di essere condannato - Cesario disse a Lussurio: “L’acqua, nella quale sono stato rigenerato, mi riceverà come suo figlio che ha trovato in essa una seconda nascita: oggi mi renderà martire con Giuliano, mio Padre, che una volta mi fece cristiano. Quanto a te, Lussurio, oggi stesso morirai con un morso di un serpente, affinché tutti i paesi sappiano che Dio vendicherà il sangue dei suoi servi, e delle vergini che facesti perire tra le fiamme”.Era il 1° novembre (Kalendae Novembrīs) dell’anno 107 d.C.: i condannati furono chiusi in un sacco (missi in saccum) e precipitati, secondo la tradizione, dall’alto della guglia del “Pisco Montano” nel mare (praecipitati sunt in mare), dove morirono per soffocamento.Questa data è stata proposta da molti agiografi e studiosi per collegare il martirio del diacono a quello di Nereo, Achilleo e Domitilla, anche se non è possibile stabilire gli elementi storici probanti.Secondo l’archeologo Pietro Longo, la “Passio maxima” è inattendibile in quanto troppo prolissa e piena di “pie interpolazioni” atte ad esaltare Cesario. Il collegamento del martirio del nostro diacono con quello di Nereo, Achilleo e Domitilla sarebbe nato in quanto questi quattro martiri risulterebbero essere tutti legati al papa Damaso (366-384), il quale avrebbe curato la traslazione del corpo di Cesario da Terracina a Roma (“Sanatio Gallae et translatio S. Caesarii Romam”) e scritto un carme in onore dei SS. Nereo ed Achilleo.

L’archeologo sostiene che il martirio di Cesario sarebbe avvenuto, invece, il giorno 13 luglio dell’anno 250 d.C. - oppure nei quattro giorni antecedenti ossia dal 9 al 13 - perché in quel periodo a Roma venivano festeggiati i Ludi Apollinari, che devono il loro nome al dio a cui erano dedicati, ovvero Apollo. Si svolgevano annualmente per un periodo di otto giorni, precisamente dal 5 al 13 luglio, e solo l’ultimo giorno si tenevano nel circo. Il Longo, quindi, suppone che il diacono sarebbe stato immolato ad Apollo nell’anfiteatro di Terracina. Nel marzo o nell’aprile del 250, l’imperatore Messio Traiano Decio (249-251) proclamò l’editto del Libellus, in base al quale ogni famiglia avrebbe dovuto proclamare solennemente e pubblicamente, attraverso un sacrificio, la sua devozione alle divinità pagane ricevendone quindi il “libellus”, una sorta di certificato che attestava la sua qualità di seguace degli antichi culti dello Stato e quindi la sua appartenenza a Roma. Il Libello non aveva come mira precisa il cristianesimo, perché anche altre comunità religiose, devote ai culti egizi e asiatici, ebbero l’obbligo di sacrificare. Alcuni cristiani abiurarono la loro religione e furono detti lapsi (dal latino lapsus, errore), altri cercarono di ricevere il libello senza compiere il sacrificio, e altri scelsero il martirio. I libelli noti si raccolgono tutti fra le date 12 giugno-14 luglio 250.Il Lanzoni ipotizza che il martirio di Giuliano di Anazarbo avrebbe fornito al nostro autore i “colori” per descrivere quello di Cesario e Giuliano di Terracina. Giuliano di Anazarbo fu chiuso in un sacco pieno di arena, scorpioni e serpenti velenosi e gettato in mare, dove morì soffocato il 21/22 giugno del 249 d. C.. Gli elementi, quindi, che hanno in comune queste due storie sono: un sacco, il mare e - come vedremo - un serpente velenoso. Recenti studi confermano la tradizione agiografica e iconografica: il diacono Cesario fu martirizzato quando era un giovane adulto con età compresa tra i 18 e i 22 anni. Per quanto concerne il Pisco Montano - teatro dell’esecuzione - è stato sempre considerato l’emblema paesaggistico di Terracina e forse la tradizione nasce per legare questa rupe al protettore della città, a partire dal suo intervento a favore del giovane Luciano (1° gennaio) fino al suo martirio (1° novembre).

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Lo stesso giorno del martirio, le onde riportarono i corpi di Cesario e Giuliano sulla riva, dove furono trovati accanto a quello di Lussurio; si avverò quindi la profezia del diacono. Dopo l’esecuzione della sentenza dei nostri martiri, il primo cittadino si stava infatti recando presso la sua casa di campagna, dove voleva cenare, e per far prima aveva preso la strada che costeggiava la riva; mentre passava sotto un albero, un serpente cadde sulla sua schiena (a serpente percussus) e scivolò tra il collo e la sua tunica, gli lacerò i fianchi con dei morsi crudeli e, attraverso il petto, gli penetrò fino al cuore iniettando il veleno nel suo corpo. Lo sfortunato cadde e il suo corpo si gonfiò orribilmente, ma prima di morire vide gli angeli del cielo che accoglievano le anime di Cesario e Giuliano. Il monaco Eusebio, che aveva vissuto con loro, raccolse le loro preziose reliquie e le seppellì a Terracina, in Agro Varano, il giorno delle calende di novembre. Per cinque giorni Eusebio, digiunando, rimase a recitare salmi e a pregare sulle loro tombe. Vedendo ciò, tanti terracinesi si recarono in questo luogo, non distante dalla città: molti si convertirono e furono battezzati dal presbitero Felice.Nel frattempo il nuovo giudice era Leonzio II, figlio del console convertito dal diacono Cesario. Quando Leonzio II apprese questi fatti, andato in collera per la morte del padre, mandò dei soldati per arrestare Felice ed Eusebio e li fece condurre nel foro alla presenza di tutto il popolo. Poi iniziò il processo, alla presenza delle massime autorità civili e religiose della città, ed egli li interrogò dicendo: “Siete liberi o schiavi?” ed il presbitero Felice rispose: “ Siamo servi del nostro Signore Gesù Cristo”. Leonzio disse: “Quali sono i vostri nomi?” ed essi risposero “Noi ci chiamiamo Eusebio e Felice”.Leonzio disse: “Perché predicate dottrine insensate, ed in contrasto con la salvezza dello Stato e dei principi?” e Felice rispose: “ La dottrina che predichiamo non è insensata: questa è la vera e sana dottrina che ci obbliga a conoscere e a servire Dio. Se volete conoscerlo, sarà permesso anche a voi di ottenere la vita eterna”. Leonzio disse al popolo: “Che ve ne sembra?” Alcuni gridarono che la loro dottrina era buona, altri che essa serviva soltanto a sedurre gli uomini.

Il nuovo giudice ordinò di riportarli in prigione e di notte mandò alcune persone per costringerli a sacrificare agli dei, ma essi rifiutarono e cantarono: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli”.Pertanto, Leonzio ordinò di decapitarli e di gettare i loro corpi nel fiume. Il fiume trasportò le loro spoglie mortali al mare ed il giorno dopo le onde le respinsero sulla riva, presso la Pineta. Ed ecco che il presbitero Quarto da Capua, uscendo per andare nella sua casa di campagna, trovò i corpi decapitati dei martiri; li mise sul suo carro, cominciò a cercare attentamente le loro teste, che ritrovò il giorno successivo, e diede loro degna sepoltura in prossimità delle tombe dei martiri Cesario e Giuliano.

La vita di Cesario non finisce in quel sacco, ma continua a vivere fino ad oggi grazie alla devozione e all’ammirazione che il popolo di Dio gli offre: con tutte le forza e la determinazione di un giovane è riuscito a cambiare la mentalità di questa città piena di idoli, ci ha insegnato a difendere a tutti i costi la dignità della vita e la nostra libertà e non ha avuto paura di entrare in quel sacco per dimostrare che non c’è Amore più grande di donarsi tutto a tutti e testimoniare Cristo con la sua vita.

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I monumenti di Terracina (disposti nel seguente ordine: il Monte Sant’Angelo con il tempio attribuito a Giove Anxur, l’Arco Quadrifronte sulla Via Appia nel Foro, la rupe del Pisco Montano, il cosiddetto Tempio di Apollo e la Basilica Forense) presenti nelle scene illustrate sono ispirati ai disegni ricostruttivi dei seguenti autori:

Canina Luigi, Gli edifizj antichi dei contorni di Roma, VI, Roma 1856.Capponi Pio, in Vinditti Salvatore, Terracina. Paesaggio e leggende, Foligno 1901.Grossi Venceslao, in AA.VV., Il Foro Emiliano di Terracina e le sue trasformazioni storiche nell’età medievale, moderna e contemporanea, Bookcart, Terracina 2003.

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Prefazione

Cesario, un personaggio storico

Un diacono Africano

Naufragio a Terracina

Domitilla, Eufrosina e Teodora

Il sacrificio umano

Il processo

Caduta del tempio di Apollo

Conversione del console Leonzio

Poena Cullei

Bibliografia

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pag. [20]

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Page 26: La storia di San Cesareo diacono e martire: CAESARIUS DIACONUS
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Il cristianesimo rivoluzionò tutto: CESARIO, non Cesare;santo cristiano, non imperatore divinizzato, ma testimone di Cristo; non uomo diventato idolo, ma martire per la sua fede.(Avvenire)

Caesarius, un diacono di probabili origini africane, naufragò a Terracina al tempo dell’imperatore Traiano.Fu accusato di lesa maestà e di alto tradimento perché si oppose strenuamente ad un macabro rito pagano che prevedeva il sacrificio di un giovane in onore di Apollo. Correva l’anno 107 d.C. e il giovane diacono fu condannato alla poena cullei: chiuso in un sacco e precipitato dall’alto della rupe del “Pisco Montano” nel mare. Gli fu compagno di martirio il presbitero Giuliano.