LA SPIRALE DELL’ABBANDONO - Caritas Italiana · nella storia, capace di assumere la realtà...

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PERIFERIE D’ITALIA: RICERCA CARITAS-CATTOLICA IN DIECI CITTÀ LA SPIRALE DELL’ABBANDONO MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 5 - WWW.CARITASITALIANA.IT Italia Caritas POSTE ITALIANE S.P.A. SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L.27/02/2004 N.46) ART.1 COMMA 2 DCB - ROMA PSICHIATRIA OSPEDALI GIUDIZIARI BOCCIATI, SERVONO ALTERNATIVE SOMALIA LA COLLETTA DEL PAPA E LA FERITA DI SEYNAB MOZAMBICO BOMBE NEL CIELO DI MAPUTO, MASSACRO SENZA COLPE giugno 2007

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PERIFERIE D’ITALIA: RICERCA CARITAS-CATTOLICA IN DIECI CITTÀ

LA SPIRALE DELL’ABBANDONO

MENSILE DELLA CARITAS ITALIANA - ORGANISMO PASTORALE DELLA CEI - ANNO XL - NUMERO 5 - WWW.CARITASITALIANA. IT

Italia Caritas

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PSICHIATRIA OSPEDALI GIUDIZIARI BOCCIATI, SERVONO ALTERNATIVESOMALIA LA COLLETTA DEL PAPA E LA FERITA DI SEYNAB

MOZAMBICO BOMBE NEL CIELO DI MAPUTO, MASSACRO SENZA COLPE

giugno 2007

I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 7 3

editoriale di Vittorio NozzaFREQUENTARE I QUARTIERI, DIFFONDERE SEGNI DI SPERANZA 3parola e parole di Giovanni NicoliniLACRIME DI PENTIMENTO PER UNA LITURGIA DELLA VITA 5paese caritas di Giuseppe LizzariPROPOSTE DI FORMAZIONE, RIUSCIAMO A “PORTARE ANIMA”? 6

nazionaleSPIRALI DI ABBANDONO TRA LE ISOLE DI CITTÀ 8di Mauro MagattiGLI INTERROGATIVI CHE NASCONO DAI LUOGHI “ULTIMI” 10di Paolo Pezzanadatabase di Renato Marinaro 14I “NODI” DEL VOLONTARIATO E IL NUOVO STATO SOCIALE 15di Giancarlo Cursidall’altro mondo di Delfina Licata 17UN’ALTRA BOCCIATURA, OPG DA SUPERARE 19di Cinzia Negliacontrappunto di Domenico Rosati 21

panoramacaritas 31° CONVEGNO NAZIONALE CARITAS 22progetti PROFUGHI 24

internazionaleLA COLLETTA DEL PAPA, LA FERITA DI SEYNAB 26servizi e foto di Davide Bernocchicasa comune di Gianni Borsa 31BOMBE SOPRA MAPUTO, MASSACRO SENZA COLPE 32di Lucilla Buonaguroguerre alla finestra di Michele Cesari 36AIUTO IN RITARDO, I POVERI NON POSSONO ASPETTARE 37di Roberta Dragonetticontrappunto di Alberto Bobbio 39

agenda territori 40villaggio globale 44

storie di speranza a cura di Danilo AngelelliLA CASA APERTA DI MAURIZIO, L’ULTIMA SOFFERENZA DI NIHAYA 47

IN COPERTINAUn anziano affacciato

su una grigia fuga di edificiin una periferia romana.

Come stanno le nostre periferie?Una ricerca Caritas - Università

Cattolica analizza dieci quartieridelle principali città italiane

foto Romano Siciliani

AVVISO AI LETTORIPer ricevere Italia Caritas per un anno occorre ver-sare un contributo alle spese di realizzazione di al-meno 15 euro: causale contributo Italia Caritas.

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FREQUENTARE I QUARTIERI,DIFFONDERE SEGNI DI SPERANZA

editoriale

funziona e la sola offerta di servizi non bastano. Occor-re uno “sguardo dall’alto”, che sappia guardare lontano.Il Convegno ecclesiale di Verona ha portato l’attenzionedelle comunità cristiane sulla vita dell’uomo, conside-rata nei suoi affetti, nel lavoro e nella festa, nelle sue fra-gilità, dentro una tradizione e per una nuova cittadi-nanza. In particolare nella riflessione su quest’ultimoambito è emersa la necessità di una teologia della città,connessa al discernimento, alle scelte sociali dei singolicredenti, ma anche alla rilettura dell’essere chiesa, cosìcome delineata dal Concilio Vaticano II: popolo di Dio,comunità di credenti, sacramento della presenza di Dionella storia, capace di assumere la realtà sociale e ilmondo come dimensione del proprio essere e agire.Chiamata a imparare una lettura sapienzale dei territori

nella, don Enzo, parroci e operatoridediti con grande passione pastorale aun’umanità che caratterizza, nel benee nel male, il territorio. Una giornatascandita da un intenso incontro conun gruppo di detenuti del carcere diSecondigliano, a ragionare insieme suetica, legalità, giustizia, ricerca del be-ne comune. Una giornata intrecciatacon la vita di parroci e sacerdoti colla-boratori delle parrocchie locali, percapire e condividere fatiche e speran-ze e per trovare insieme le forme piùsolidali per porre segni di carità e giu-stizia, per tessere espressioni di chiesae di territorio capaci di esprimere uncuore che vede (tema su cui si concen-treranno le Caritas diocesane nel 31°Convegno nazionale, a fine giugno aMontecatini) arricchito dalla speran-za. Una giornata con un folto gruppodi animatori e volontari, per rafforzarela gioia di esprimere nella propria vitail gusto di vivere per gli altri.

La sola analisi di ciò che non

Recentemente mi sono trovato a vivere una giornata diordinario cammino di chiesa in un territorio frequente-mente oggetto, sui media, di grandi titoli e notizie di cro-

naca nera. Nato come quartiere modello, Scampia, a Napoli, èdivenuto ben presto sinonimo di degrado e criminalità. Il suodeclino inesorabile – da quartiere-giardino a ghetto – è simbo-leggiato dalle ormai famose Vele, edifici che avrebbero dovutoreplicare solidarietà e che sono, invece, divenute la tragica iconadi abusivismo, illegalità, disagio e po-vertà. Le cause di questa deriva sonomolteplici: incapacità dei governi lo-cali di condurre in porto il progetto edi dotare il quartiere di servizi e infra-strutture; arrivo dei terremotati del1980, che sconvolse graduatorie e in-crementò disagi e marginalità; scarsis-sima connessione con la città e pocamobilità. Scampia appare un quartie-re frantumato, spersonalizzato, perce-pito dagli stessi residenti come desola-to, respingente, soprattutto pericolo-so. Abbandonato dalle istituzioni, è di-venuto terra di conquista dei clan camorristi, che sul traffi-co di droga hanno costruito un impero criminale in cuitroppo facilmente, per l’assenza di alternative, molti abi-tanti rischiano di cadere. Nonostante la presenza di unbuon numero di associazioni sociali e del mondo ecclesia-le e il ruolo prezioso svolto dalle scuole pubbliche, gli inter-venti appaiono deboli e incapaci di incidere in maniera si-gnificativa sul contesto. Queste presenze sfidano la culturadominante che intreccia illegalità, chiusura difensiva negliaffari privati, dipendenza e rapporti personalistici nei con-fronti dell’ente pubblico, ma sono contagiate dalla sfiduciae tra loro non tessute da letture e progettualità unitarie.

Analisi e servizi non bastanoHo vissuto la giornata a Scampia con don Raffaele, suor Or-

Una giornata in un ghettoche doveva essere

un quartiere-giardino.Una ricerca su dieci

periferie. La chiesa devesviluppare una “teologiadella città”. Per tessere

letture sapienzialidei territori. E relazioni e progetti ricchi di vita

di Vittorio Nozza

ItaliaCaritas

direttoreVittorio Nozzadirettore responsabileFerruccio Ferrantecoordinatore di redazionePaolo Brivioin redazioneDanilo Angelelli, Paolo Beccegato, Livio Corazza,Salvatore Ferdinandi, Renato Marinaro,Francesco Marsico, Francesco Meloni,Giancarlo Perego, Domenico Rosatiprogetto grafico e impaginazioneFrancesco Camagna ([email protected])Simona Corvaia ([email protected])stampaOmnimediavia Lucrezia Romana, 58 - 00043 Ciampino (Rm)Tel. 06 7989111 - Fax 06 798911408sede legalevia Aurelia, 796 - 00165 Romaredazionetel. 06 [email protected]. 06 66177205-249-287-505inserimenti e modifiche nominativirichiesta copie [email protected]. 06 66177202spedizionein abbonamento postale D.L. 353/2003 (conv. in L.27/02/2004 n.46)art.1 comma 2 DCB - RomaAutorizzazione numero 12478dell’8/2/1969 Tribunale di RomaChiuso in redazione il 25/5/2007

sommario ANNO XL NUMERO 5

4 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 7 I TA L I A C A R I TA S | G I U G N O 2 0 0 7 5

LACRIME DI PENTIMENTOPER UNA LITURGIA DELLA VITA

parola e parole

La rozza sicurezzaIl peccato resta nel pianto ed è tra-sceso nella gestualità dell’amore. Ilpianto non è tanto il linguaggio delpentimento. E neppure della com-mozione. Il pianto è il peccatore,che non esce dalla coscienza di sé –quanto gli è lontana la rozza sicu-rezza del fariseo! – ma s’immergenella liturgia della tenerezza e del si-lenzio commosso. Non parla mai,questa donna! Parla Lui per lei. E alei. E così facendo si rivela.

Che cosa domandi, Signore, allatua creatura amata, perduta, appas-sionatamente cercata fino alla Pas-sione, infine ritrovata? Che ti vogliabene! L’acqua per i piedi, le lacrime ei capelli, i baci e l’olio profumato, so-no il paradigma di una grande Litur-gia della vita, che inizia nell’Assem-blea Santa e si prolunga, si snoda, siparticolarizza, nell’affetto e nella sa-pienza di ciascuno.

Avete visto i Centochiodi di Olmi?Lì questo incontro non è raccontato, ma mostrato. Mi è pia-ciuto. Perchè la Parola evangelica attende sempre di farsicarne nella carne di ciascuno. Nella debole carne di ciascu-no, in gesti, parole e silenzi che non sono gli stessi della me-moria biblica, ma ne sono la fioritura stupefacente: là dovevivi, dove lavori, e ami. E patisci, e fai festa... Là dove Lui vie-ne a cercarti per essere amato anche da te.

della misericordia di Dio. Più ancora:la sua entrata invadente e inopportu-na getta un’ombra di discredito e discetticismo nell’animo del padronedi casa proprio nei riguardi del suoOspite: “Se costui fosse un profeta,saprebbe chi e che specie di donna ècolei che lo tocca...”.

È stupefacente che l’intimità deli-catissima dell’incontro con il Signoresi compia nella distrazione ostile epungente di quella casa. Pianto e af-fetto, dolore e pace s’incontrano perla forza della compassione di Lui edell’amore doloroso di lei. È strano: non c’è parola che siadetta per descrivere il pentimento della peccatrice. E deveessere così. Noi il pentimento rischiamo sempre di pen-sarlo come la possibilità ricorrente di “mettere a posto lecose”; e forse non è sbagliato. Ma quello che lei ci mostra èmolto di più: come se il peccato non si potesse annullarlo,ma piuttosto avvolgerlo, coprirlo.

Una peccatrice si introduce nella casa

del fariseo. E metteGesù in cattiva luce.

Il loro è l’incontro tra amore doloroso

e compassione: a ciascuna creatura,perduta e ritrovata,

il Signore chiede solo di volergli bene

Questa donna, la peccatrice che bagna i piedi di Gesù con le la-

crime e glieli asciuga con i capelli, mi piace pensarla come una

grande immagine della Chiesa. Una Chiesa che ben conosce il

dramma della vita e il peccato della storia. Una Chiesa che canta la

misericordia del Signore e incontra il cuore degli uomini e delle don-

ne di tutto il mondo. Già mi affascina l’intrigo dell’inizio: per raggiun-

gere Gesù la peccatrice deve entrare nella casa del fariseo. Entra nel

luogo che la giudica e la condanna, e s'incontra con tutta la potenza

Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. (…). Ed ecco una donna, una peccatrice di quellacittà, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato (…).E volgendosi verso la donna, disse a Simone: “Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casae tu non m’hai dato l’acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li haasciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entratonon ha cessato di baciarmi i piedi. Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma leimi ha cosparso di profumo i piedi. Ti dico: “Le sono perdonati i suoi molti peccati, poichéha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco". (Luca 7,36-8,3)

editoriale

e a frequentarli per costruire e favorire contatti, tessererelazioni e sviluppare progettualità ricche di vita.

È un impegno che porta a rispondere ai molteplici bi-sogni materiali, relazionali e di senso, ma anche ad antici-pare i fenomeni e intercettare il disagio prima che si acu-tizzi. Nel viaggio tra strade, persone e quartieri di dieci cittàin Italia, che Caritas Italiana ha vissuto con le Caritas dio-cesane e l’Università Cattolica di Milano, non si è partiti dalnulla, ma da una presenza di chiesa già ricca (e da arric-chire). Lo stile è sempre quello: esserci, accompagnarsi, va-lorizzare l’esistente, intervenire là dove la disperazione èpiù acuta, favorire la tessitura delle risorse perché si espri-mano sempre più a dimensione comunitaria ed ecclesiale,facilitare le collaborazioni con tutte le realtà del privato edel pubblico presenti nel territorio e vivere il tutto per ani-mare al senso di carità. Ne emerge un quadro che continuaa parlarci, nonostante tutto, di una forte coesione sociale,che necessita certamente di interventi rivitalizzanti, che lacurino con continuità per mantenerne alta la funzioneprofetica. Consapevoli che – come ricorda Benedetto XVI –“non è compito proprio della Chiesa prendere nelle suemani la battaglia politica per realizzare la società più giustapossibile”. Tuttavia si sa anche che “essa non può e non de-ve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia”(Deus caritas est), che si è chiamati a stare costantementedentro azioni di discernimento, a provocare scelte socialida parte dei singoli credenti, a interrogarsi sull’essere chie-sa capace di spendersi con amore dentro la storia.

Il rischio del buon governoCi sentiamo dunque impegnati a diffondere nei vari

territori molteplici segni di speranza. Non solo centri di in-contro e ascolto, locande per l’accoglienza, cammini di ac-compagnamento a difesa dei diritti degli abbandonati edei dimenticati, prossimità e relazioni con persone in soli-tudine. Va incrementata anche la capacità di comprende-re i nuovi fenomeni devianti, di estirpare le cause che ge-nerano ingiustizia e anticipare le risposte. Per questo vamessa in atto un’azione “altra”, capace di coinvolgere leamministrazioni locali, di inventare modalità di impegnoculturale ed educativo, di risvegliare responsabilità, di sol-lecitare le realtà del territorio. Non si vuole solo investire inbuone opere, estremamente necessarie, ma si voglionodiffondere azioni capaci di provocare la moltiplicazionedelle buone opere: le opere della politica a servizio del benecomune e le opere dei cristiani laici chiamati ad assumerel’onere e il rischio del buon governo dei propri territori. “Ilcristiano laico in particolare, formato alla scuola dell’Eucari-stia, è chiamato ad assumere direttamente la propria re-sponsabilità politica e sociale” (Sacramentum caritatis, 91).

Grazie parroci. Grazie don Raffaele, suor Ornella,don Enzo. Grazie animatori e volontari delle parrocchiedi Scampia per la vostra testimonianza di una spiritua-lità che è capace di tenuta di fronte alle prove e agli in-successi, che accetta la fatica del servizio meno gratifi-cante. E che vede un cammino di salvezza anche nellesituazioni umane più degradate e distrutte.

di Giovanni Nicolini

La sola analisi di ciò che non funziona e la sola offertadi servizi non bastano. Occorre anche

uno “sguardo dall’alto”, che sappia guardare lontano

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PROPOSTE DI FORMAZIONE,RIUSCIAMO A “PORTARE ANIMA”?

sappiano, in futuro, lavorare autono-mamente su questi temi; un gruppodi giovani disponibili – a titolo volon-tario – a formarsi sulle tematiche daproporre a bambini e insegnanti.

In pochi mesi, l’educazione allamondialità è entrata in numerosescuole primarie della diocesi; si ècoinvolto un gruppo di 12 giovaniche si alternano nella conduzionedegli incontri e partecipano a giorna-te di formazione; si sono incontratiuna ventina di insegnanti di religionee catechisti che hanno dedicato oregratuite alla propria auto-formazione e attivato l’ufficioscuole della diocesi perché inserisse due moduli formati-vi sul tema nel corso di aggiornamento degli insegnanti.

Il mandato dell’animazioneNell'anno dedicato da Caritas alla riflessione sul mandatoimprescindibile dell’animazione, stiamo imparando mol-tissimo da questo progetto. In primis la sorpresa di incon-trare nel territorio grandi disponibilità inaspettate, un desi-derio di impegno e di assunzione di responsabilità, un bi-sogno di stimoli anche culturali e di luoghi di approfondi-mento e confronto. Soprattutto nei giovani – volontari, in-segnanti, catechisti – a cui è stata offerta grande fiducia. Acui si è data l’occasione di acquisire competenze per poigiocarsi da soli, di crescere in cultura per mettersi al servizio

litano all’autonomia? Incoraggianoall’assunzione piena di responsabi-lità, da giocare ciascuno nel proprioambito di intervento? Offrono stru-menti per incidere nella realtà, perpromuovere cambiamento, per agiretrasformando il servizio, il territorio,la comunità? Aiutano ad allentare ifreni dell’indifferenza e della delega?Offrono strumenti per leggere critica-mente la realtà e per far maturare uncomune bisogno di “portare anima”là dove, spesso, tutto dorme o tace?

Facendo noi stessi autocritica, cisembra che i nostri percorsi formativi non sempre mirinoa questi ambiziosi scopi. Spesso aggiorniamo volontaristorici, senza offrire loro nuove e progressive responsabi-lità; pii animatori di Caritas parrocchiali, che non sono ingrado di leggere le povertà del proprio quartiere; operato-ri dei laboratori diocesani, che passano anni prima diuscire nel territorio a incontrare le parrocchie...

Dal lavoro sulla mondialità ricaviamo dunque unprezioso insegnamento (di metodo) per la nostra realtàdi chiesa locale: l’animazione è anche favorire persone,gruppi e comunità, affinché incontrino la realtà, sappia-no interpretarla, riflettano sull’esperienza attraversomomenti di formazione. E sentano la responsabilità diagire di conseguenza, sulla realtà e sull’esperienza, pertrasformarle evangelicamente.

di altri. Persone a cui si è proposto disperimentarsi sul campo e la cui for-mazione, pur essendo in parte teoricasi innesta sull’esperienza, sulla praticada fare e da rielaborare insieme.

È questo l'aspetto che ci mette dipiù in discussione. I percorsi formati-vi che tradizionalmente proponiamoai volontari dei centri di ascolto, aivolontari dei nostri servizi, agli ani-matori delle Caritas parrocchiali, abi-

Un progetto sui temidella mondialità.

Una risposta intensae inaspettata, dalle scuole

alle parrocchie. E tantiinterrogativi: i percorsi

solitamente offertiagli operatori Caritas e

pastorali offrono strumentiper incidere nella realtà?

paese caritasdi Giuseppe Lizzari

direttore Caritas Ventimiglia Sanremo

Un nuovo percorso di sensibilizzazione e formazione dei giovani ai

temi della mondialità. Non per rincorrere le mode. Né per una

generica volontà di interessarsi dei problemi del globo. Piuttosto,

perché è condivisa l’urgenza di puntare su un lavoro educativo rivolto

ai più giovani. Così la Caritas diocesana ha avviato il nuovo progetto al-

l’inizio dell’anno pastorale, offrendo percorsi di educazione alla pace,

alla giustizia e alla solidarietà a tre distinti beneficiari: i bambini della

scuola primaria e del catechismo; i loro insegnanti e catechisti, perché

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nazionaleperiferie

ni. L’indebolimento istituzionale ha diverse conseguenzenegative, tra cui il fatto che chi vive nei quartieri sensibili hala sensazione di essere privato di ogni protezione, di inter-locutori significativi, quindi di voce. Inoltre tale debolezzacomporta una caduta di interesse per il bene comune e lavita pubblica: è molto forte la convinzione che le periferieinteressino solo in campagna elettorale. Ciò alimenta anzi-tutto la disillusione e la diffidenza degli abitanti, e inevita-bilmente questa crisi di fiducia alimenta un diffuso sensodi insicurezza e di paura nei confronti degli altri.

In terzo luogo, si registra una crescita dell’eterogeneitàinterna ai vari quartieri, dovuta a più fattori: al tipo di abi-tazione di cui si dispone (case popolari, case private, casecostruite dalle cooperative), alla fascia generazionale, allaprovenienza territoriale d’origine, all’appartenenza etnica.Gli effetti dell’eterogeneità crescente si vedono più chiara-mente nei quartieri che dispongono di una storia e un’i-dentità: da sempre compositi e plurali, ma capaci di com-porre la pluralità attorno a centri di aggregazione forti (lafabbrica, la chiesa), oggi avvertono come difficile la ripro-duzione del modello integrativo consolidato, a causa della

elle periferie si condensano una serie di pro-cessi problematici che riguardano, più in ge-nerale, l’intera realtà urbana. Da questa con-statazione ha presso le mosse l’indagine cheoggi si concretizza nel volume La città abban-donata: dove sono e come cambiano le periferie

in Italia e in dieci rapporti di ricerca locali. La scelta di nonlimitarsi a studiare le periferie in senso classico si è rivela-ta fertile, perché i dieci quartieri oggetto dell’indagine –aree satellitari, situate lontano dal centro (i quartieri Bega-to a Genova, Scampia a Napoli, San Paolo a Bari, Librino aCatania, Zen a Palermo), ma anche zone meno caratteriz-zate dal punto di vista spaziale, però considerate lo stessoassai problematiche (Barriera di Milano a Torino, ex Zona13 a Milano, Navile a Bologna, Isolotto a Firenze, Esquilinoa Roma) – hanno mostrato come i processi in atto, nella lo-ro intensità e multidimensionalità, mettano in crisi il tra-dizionale schema “centro-periferia”. L’idea di un centro so-cialmente integrato e di una periferia pericolosa e disgre-gata coglie con sempre minore precisione la realtà con-temporanea, che tende a configurarsi, piuttosto, come un

insieme di isole, disordinatamente messe una di fianco al-l’altra, in una totale incomunicabilità. Le aree perifericheosservate sono stati definiti “quartieri sensibili”: a prescin-dere dalla loro collocazione topografica sulla pianta dellacittà, si caratterizzano per la presenza simultanea, anchese variabile, di una molteplicità di fattori di debolezza.

I respinti e gli alloggiatiIn primo luogo presentano, seppur con diversa intensità,una tendenza alla frammentazione al loro interno. Per losviluppo urbano oggi è centrale la capacità di connessio-ne di un territorio con i sistemi della produzione della ric-chezza globale, ossia la capacità di stabilire legami funzio-nali con altri contesti: vi sono pezzi di periferia che diven-tano nuovi centri, a motivo di investimenti e riqualifica-zioni che vedono cambiare le funzioni esercitate in passa-to, e aree, magari attigue, che rischiano invece la margina-lizzazione, divenendo concentrati di gruppi problematici,disfunzionali rispetto alla vita sociale contemporanea.

In secondo luogo, si registra un tendenziale arretra-mento della capacità di mediazione offerta dalle istituzio-

di Mauro Magatti Università Cattolica Milano

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Come cambiano le periferieitaliane? Approfonditaricerca di Caritas eUniversità Cattolica su dieciquartieri metropolitani:da Milano a Catania,viaggio tra frammentazioni, strategie di sopravvivenzae legature che tengono

GIRO D’ITALIATorino-Barriera, Milano-Ponte Lambro, Napoli-Scampìa, Palermo-Zen(da destra in alto,in senso orario): il disagionasce anche da scelteurbanistiche discutibili

SPIRALI DI ABBANDONO TRA LE ISOLE DI CITTÀ DIRE DIO NELLA GIUNGLAMa in una città dagli spazi dilatati e anonimi,dai tempi convulsi e artificiali, dove ciascunoè solo nella folla, ignoto tra ignoti, paurosodell’altro, una città in cui si concentrano ed esplodono le disuguaglianze e le marginalità più drammatiche, una città,insomma, non più “a misura d’uomo”, come si può “dire Dio”, se non si riesceneppure a dire uomo?

(…) Penso che “dire Dio” debba esserel’annuncio che «Dio è amore». È soltantonell’assoluta priorità dell’amore, nel serviziodisinteressato agli uomini, che si può direDio nella città di oggi, per cercare insieme di renderla anche “a misura d’uomo”. Dellacittà contemporanea si denuncia il rischio di una novella barbarie, talora si parla comedi una “giungla”: ma forse, allora, è propriola parola “amore” quella che si aspettano gli uomini, smarriti in questa giungla.

MASSIMO CACCIARI, “Città a misura d’uomo”, intervento su “Jesus”, novembre 2006

tuare forme di violenza più o meno organizzata e casuale.Il fossato tra chi vive nelle zone più evolute e chi è bloc-

cato nei contesti degradati tende ad allargarsi, alimentandouna “spirale di abbandono” che può tradursi in una vera epropria “messa al bando” dei quartieri sensibili e soprattut-to dei gruppi che vi abitano. La distanza crescente tra chi stadentro e chi sta fuori mette in scacco l’idea di città comeluogo della socialità e della cittadinanza e pone in discus-sione, in definitiva, il senso di ciò che è o non è umano.

Il grado di avvitamento nella spirale dell’abbandono ènaturalmente diverso. Ci sono ancora legature che contra-stano tale spirale: pezzi di istituzione pubblica, come lascuola, che funzionano; amministrazioni locali che attiva-mente combattono il degrado; segmenti dell’opinionepubblica attenti ai problemi dei quartieri sensibili; gruppisociali che mantengono un forte radicamento nei territori

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nazionale

periferie

to, permettono di ridurre la tensione e di creare una par-venza di integrazione e legame sociale con l’esterno, d’al-tro canto erodono culture locali e legami sociali, che han-no costituito e costituiscono fattori di integrazione. Un’al-tra strategia è l’estraneamento, che produce la tendenza acreare continuamente confini tra i gruppi che vivono nelquartiere, dando luogo a una vicinanza di mondi total-mente alieni l’uno all’altro, separati da segni di auto-se-gregazione e sfiducia: inferriate, filo spinato, cancelli e luc-chetti sui pianerottoli, citofoni dietro griglie murate. A ciòsi aggiunge un senso di risentimento nei confronti sia dicoloro con cui si condivide la sorte, sia della società nel suoinsieme: esso si manifesta nel rifugiarsi nel quartiere, con-trapponendosi a tutto ciò che è esterno, oppure nell’assu-mere un’identità negativa e provocatoria per auto-affer-marsi sia dentro che fuori dal quartiere, o ancora nell’at-

LE DISCARICHEE LA MIXOFILIALe città moderne sono oggi le discariche, spesso abusive, della globalizzazione, nelle quali vengono stipati i residui, gli eccedenti,i ridondanti. I flussi migratori ci portano personeche cercano pane e vita, ma sonocontemporaneamente “alfieri delle cattive notizie”.Cioè materializzano gli incubi del cittadino comune,che teme di perdere le sue certezze e il suo statussocio-economico. (…)

La doppia pressione (“underclass” interni,migranti dall’esterno) spinge le nostre città a irrobustire gli “spazi interdictori”, creati da scelte urbanistiche, tecnologie della vigilanzae strategie di sicurezza tali da scoraggiare, o addirittura impedire l’accesso ad aree semprepiù vaste del tessuto urbano. È un processo [che] genera ghetti volontari, nei quali si cerca la comunanza tra simili (…).

Ma l’inferno urbano non è un futuro inevitabile,se sapremo proiettare su scala globale le trame di convivenza che nonostante tutto si registrano,nelle nostre città. E che rispondono a un’istanzainnata – almeno quanto l’opposta – nell’animoumano: la “mixofilia”, ovvero la tendenza a mescolarsi all’altro da sé, ad arricchirsi dello sguardo e della cultura di cui è portatore.

ZYGMUNT BAUMAN, “Le città hanno paura, impariamo a mescolarci”, intervista a “IC”, luglio-agosto 2004

LA FRUSTRAZIONEDELL’ANTI-CITTÀLa “periferia”, intesa come una condizione di degrado, di assenza di servizi e di infrastrutturesociali, oggi è una condizione mobile. Al punto che nella città contemporanea è piuttosto un arcipelago di luoghi sparsi nel territoriourbanizzato. (…) Vi risiedono centinaia di individuisimili, costretti a vivere nello stesso spazio, ai quali è preclusa qualsiasi forma di mobilità,sociale e geografica (…) In queste nuove periferiedella città europea, sta nascendo qualcosa di pericoloso e ancora poco osservato: una vera e propria “anti-città”, fondata sulla frustrazione e l’omologazione, priva di valori di appartenenzaalla condizione urbana. L’anti-città, più che la periferia,è la vera grande questione della città europea.

(…) Se c’è una lezione distintiva della cittàeuropea, essa sta proprio nella straordinariacapacità che essa ha avuto di cambiare e crescere assorbendo, metabolizzando e addirittura riesportando spazi, architetture e stili di vita che provenivano da parti lontane del globo. La sfida è dunque quella di riattivarela forza di metabolizzazione delle città, la lorocapacità di sopravvivere nutrendosi di tradizioni e spazi altri, inizialmente lontani ma poi tanto vicinida diventare parte del proprio dna.

STEFANO BOERI, “La minaccia dell’anti-città”, intervista a “Scarp de’ tenis”, ottobre 2006

caduta dei tradizionali fattori di integrazio-ne, dell’innesto di nuovi elementi funzionali,dell’ingresso di popolazioni “estranee”. L’e-splosione dell’eterogeneità spinge questiquartieri in spirali di degrado simili a quelleregistrate nelle periferie che hanno un retroterra storicomolto più debole: emerge una convergenza di tutte le areestudiate verso comuni processi di marginalizzazione.

In quarto luogo, cresce l’illeggibilità interna dei quar-tieri, che risultano contesti “iperlocali”: non solo al loro in-terno si sa muovere solo chi ci vive, mentre appare diffici-le per chi viene da fuori capire il territorio e attraversarlocon disinvoltura (in alcuni casi non esistono nemmeno inomi delle vie, i numeri civici, una piazza di riferimento),ma agli occhi degli stessi residenti lo spazio urbano appa-re sempre più pieno di segni che ne scoraggiano la com-prensione o la indirizzano verso significati negativi. Neiquartieri storicamente meno problematici, per esempio,sono sempre più evidenti i segni della progressiva estra-neità del quartiere a se stesso: lingue sconosciute, insegnerivolte solo a chi le sa leggere, comportamenti e usi diffe-renziati. Altrove, nelle periferie “classiche”, i segni di unaderiva crescente sono visibili nell’abbandono di moltearee, utilizzate come discariche di oggetti di ogni tipo, nel-l’assenza di spazi in cui incontrarsi, nell’impersonalità deiluoghi, nella difficoltà a orientarsi.

In quinto luogo, vi è la questione della deprivazione.Povertà economica, urbanistica, istituzionale, socio-cultu-rale e relazionale si presentano intrecciate: questa multidi-mensionalità si riflette nella compresenza di “strati di po-

vertà”, che convivono anche a pochi metri didistanza. Vi sono i “respinti”, gruppi che oc-cupano nicchie di povertà estrema e assom-mano tutte le dimensioni della deprivazione;i “viaggiatori di seconda classe”, quote di po-polazione marginale che dispongono di ri-sorse economiche e relazionali tali da garan-tire discreto accesso ai consumi, ma hannoun capitale culturale e istituzionale così limi-tato da rimanere confinati all’interno dei cir-cuiti locali e di consumo; gli “eredi del welfa-re”, gruppi a elevata vulnerabilità, costituitida anziani, percettori di rimesse pubbliche,adulti disoccupati, persone che dispongonodi risorse limitate dal punto di vista econo-mico, abitativo e socio-culturale, che si devo-no confrontare con una calante protezioneistituzionale; infine gli “alloggiati”, gruppi re-lativamente deboli dal punto di vista econo-mico e socio-culturale, che cercano di sfrut-tare la deprivazione del territorio (ad esem-pio, i minori costi della casa) per seguire stra-

tegie individuali o famigliari di benessere economico, iso-landosi dal contesto e utilizzando il quartiere perlopiù co-me dormitorio. In tutte queste categorie, la povertà si acui-sce per il fatto di essere associata all’immobilità, fisica e so-ciale: ne deriva l’impossibilità di uscire dalla situazione incui ci si trova intrappolati. Il quartiere coincide con un de-stino da cui non si può scappare: il risultato è il senso di im-prigionamento che molti abitanti avvertono fortemente.

Infine, gli aspetti problematici sopra elencati contri-buiscono a spiegare il collasso dei legami sociali. In gene-rale, si registra un progressivo ritrarsi della socialità, i cuispazi, quando ci sono, appaiono sprofondati in micro-contesti locali. La solitudine pervade così tutte le pieghedella quotidianità e intacca in modo macroscopico benes-sere e qualità della vita. Nelle situazioni più gravi, l’esito èla completa residualità: quartieri che arrivano a diventarezone morte, di pura sopravvivenza, dove persino la socia-lità del semplice faccia-a-faccia fatica a radicarsi e ripro-dursi, tanto ostile è il contesto.

Un senso di risentimentoRispetto a questi nodi critici, gli abitanti dei quartieri stu-diati sviluppano diverse forme di adattamento e strategiedi sopravvivenza. Le più diffuse sono quelle dei consumi edella fruizione dei mezzi di comunicazione che, da un la-

COLLASSO DEI LEGAMIPedoni e motorini a Navile, Bologna: un tempo era l’industria,oggi cresce l’anonimato

dere a opportunità necessarie a progettare un futuro di be-nessere?

Le chiese in Italia custodiscono le proprie tradizioni co-me memoria viva e preziosa. E intendono trasmetterlaconcependo “il rapporto tra le generazioni come dialogovolto a liberare le energie profonde che ciascuno custodi-sce dentro di sé, orientandole alla verità e al bene”. A que-sto slancio cosa può dire il fatto che in molte periferie la re-ligiosità e i valori tradizionali, ove non siano stati abbando-nati a un’indistinta confusione, sono vissuti più come ele-mento funzionale allo status quo che come forza motriceper il cambiamento e la ricerca di giustizia? Ai cristiani chela chiesa esorta a vivere la città agendo la “cittadinanza co-me esercizio di responsabilità, a servizio della giustizia edell’amore, per un cammino di vera pace”, quanto può es-sere utile la consapevolezza che l’indebolimento delle isti-tuzioni, la percezione di insicurezza, il risentimento e laviolenza stanno generando nelle metropoli “spirali di ab-bandono, entro le quali è minata la possibilità di creareluoghi di legame sociale in cui sperimentare e costruirecoesione”? Per una nuova “teologia della città”, pensata epraticata a partire dai più deboli e fragili, non occorre ag-giungere molto in termini di contenuti: l’importante è ave-re il coraggio di cominciare ad affrontare queste domande.Anche per questo il progetto “Aree metropolitane”, da cui ènata la ricerca, intende proseguire.

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nazionaleperiferie

o scorso ottobre, il Convegno ecclesiale di Ve-rona ha indicato le direttrici della riflessionepastorale per i prossimi anni. In forme, luoghie modi differenti, a Verona è tornato spesso iltema della “città”: luogo cruciale della moder-nità “liquida”, con il quale dialogare, da com-

prendere a fondo ed entro il quale, nel solco della lezionedel Concilio Vaticano II, tornare a fare “teologia”, cioè a te-stimoniare la speranza dicendo Dio con la Parola, la cultu-ra e la vita in modo attivo, attuale, concreto, aperto, com-prensibile a tutti.

Caritas Italiana negli ultimi due anni, insieme al dipar-timento di sociologia dell’Università Cattolica di Milano ealle dieci Caritas diocesane delle più grandi città italiane,ha deciso di compiere un viaggio nella città, a partire dalleperiferie, luoghi “ultimi” e anch’essi in rapida trasforma-zione, in cui vivono persone e comunità sempre più a ri-schio di divenire “scarti” dei processi di globalizzazione. Ledescrizioni della sociologia, per quanto fondamentali, nonsono l’acquisizione più importante che Caritas e la comu-nità ecclesiale possono trarre dal percorso di ricerca. La ve-ra sfida è pastorale. E alla pastorale la ricerca consegna laconsapevolezza che, per interrompere le spirali di abban-dono in cui le nostre città avviluppano le loro parti più de-boli, occorre investire tutte le energie e la creatività possi-bili, per costruire nuove legature, ecclesiali e sociali, a par-

e lavorano per iniziative di riscatto e valorizzazione. Traquesti ultimi, la chiesa e il terzo settore riescono a garanti-re forme significative di intervento in risposta a bisogni so-ciali inascoltati o insoddisfatti, anche se tali soggetti nonsono immuni dal rischio – a motivo della frammentazionediffusa e della debolezza delle istituzioni – di azioni con-tingenti, improvvisate e fragili, rischio che diminuisce mol-to il potenziale interno alla società civile e impedisce di in-nescare percorsi duraturi di cambiamento sociale.

Affrontare i problemi dei quartieri sensibili significa in-terrompere la spirale che tende a radicalizzarne il senso diabbandono. Perché questo sia raggiunto, occorre ricosti-tuire le condizioni di una socialità positiva e impegnarsiper riconnettere i quartieri sensibili alla vita cittadina. Nonè facile, ma è indispensabile, per non consegnare pezzi dicittà, e di società, a una triste deriva, fatta di crisi della so-cialità, indebolimento dello spazio pubblico, confusionedei significati e perdita dell’idea di bene comune.

tire da quelle esistenti e resistenti neicontesti sensibili, annunciando Cristo,speranza dell’umanità, e testimonian-done la sconvolgente prossimità.

Status quo o cambiamento?Ora le dieci Caritas diocesane coinvolte,auspicata avanguardia progettuale di un movimento piùampio, si preparano a investire rinnovate energie attraver-so specifiche opere-segno in ciascuna periferia studiata.Affinché tali opere possano davvero essere, come intendo-no, non solo nuovi servizi, ma soprattutto nuove opportu-nità pastorali di incontro, confronto, dialogo, annuncio,condivisione e stimolo, occorre che ci si attrezzi adeguata-mente anche sul versante della riflessione pastorale. Serveil coraggio di un’analisi lucida dell’esistente, nonché la ca-pacità di osare lungo frontiere nuove o a lungo trascurate.

Le conclusioni del Convegno di Verona sembrano offri-re un formidabile canovaccio, ripreso da monsignor Vitto-rio Nozza nella postfazione al volume esito della ricerca: “AVerona – scrive il direttore di Caritas Italiana – le Chiese inItalia si sono interrogate sul valore dell’affettività e della fa-miglia, traendone (rafforzata) la consapevolezza che essecostituiscono segni privilegiati dell’amore di Dio”, sui qua-li continuare a costruire futuro, sul piano personale e suquello sociale. A queste chiese, quali sollecitazioni posso-

no giungere dalle considerazioni sulle tante povertà rela-zionali incontrate nelle periferie studiate, sulla sofferenzaantropologica, l’esilio della socialità, le famiglie abbando-nate, le fughe dei giovani in un consumismo, anche ses-suale, privo di punti di orientamento e responsabilità? Alleprassi di una comunità ecclesiale che ha riconosciuto a Ve-rona nel lavoro e nella festa i “momenti di un’esistenzacompiuta” da valorizzare in equilibrio e pienezza, cosa puòsuggerire quanto la ricerca esprime in ordine alle conse-guenze della disconnessione funzionale, spaziale e tempo-rale dai processi globali di sviluppo cui i “quartieri sensibi-li” delle metropoli vanno sempre più incontro? Per una pa-storale che guarda alle variegate fragilità contemporaneeattraverso la lente di una “solidarietà che si china sul pove-ro e sull’ammalato come espressione di fraternità”, qualepeso assume la consapevolezza che nelle città la depriva-zione si va stratificando su diversi livelli, imprigionando in-tere fasce di popolazione nell’impossibilità di provvedere abisogni fondamentali – materiali e relazionali – e di acce-

Gli interrogativi per la pastoraleche nascono dai luoghi “ultimi”Il tema della “città” è risuonato spesso al Convegno di Verona. Ora la ricercasulle periferie pone alla chiesa la sfida dell’analisi del disagio. E della creatività

di Paolo Pezzana

L

Libro, cd e rapporti localiIl kit composto dal volume La città abbandonata: dove sonoe come cambiano le periferie italiane (Il Mulino, Bologna 2007,pagine 526) e dal cd con testi e foto dei rapporti localicosta 30 euro. Dai dieci rapporti locali sono stati tratti altrettantivolumetti, editi da Anterem. La ricerca è stata presentataa Roma il 21 maggio, in seguito nelle altre città: il 26 maggioa Milano, il 1° giugno a Palermo e Catania, il 5 giugno a Torino,il 14 giugno a Bari, il 15 giugno a Napoli, entro fine giugnoa Roma, il 25 settembre a Bologna, il 27 settembre a Genovae in data da definire a Firenze.INFO: tel. 06.66.17.70.01, www.caritasitaliana.it

CASE SU CASELibrino,Catania: laprogettazionedi un architettofamoso non èbastata a farneun quartieremodello

esclusione socialepolitiche socialidatabase

sessantacinquenni al 20% dell’inte-ra popolazione mondiale, gli ultimicalcoli Istat (2006) parlano del19,8%. Agli inizi degli anni Novantala quota nell’Unione europea si ag-girava ovunque intorno al 15%, conItalia e Spagna un po’ più “giovani”.Ma nel 2005 l’Italia ha superato laGermania ed è diventata prima per“grandi vecchi” (gli over 80), che so-no il 5,1%. Questa tendenza è desti-nata ad accentuarsi nel futuro: la vi-ta media delle donne è oggi di oltre83 anni, quella maschile oltre i 77.

Gran parte della riproduzione danoi passa ancora attraverso l’uscitadei giovani dalla famiglia solo in coin-cidenza o in prossimità del matrimo-nio. Questo processo si è rallentato dimolto. La diffusione di studio e lavo-ro tra le giovani donne, a differenza dialtri paesi avanzati, viene vissuto co-me un ostacolo alla formazione delleunioni e alla generazione di figli. Ne-gli ultimi trent’anni l’età media al pri-

mo matrimonio è infatti aumentata di 5,5 anni per le don-ne e di 4,2 per gli uomini, raggiungendo i 29,4 e i 32,2 anni.Nel frattempo, la maggior parte dei giovani non sposaticontinua a vivere con i genitori: il 38% del totale dei ma-schi 30-34enni e il 21% delle loro coetanee.

In conseguenza dei ritardi accumulati in tutto il pro-cesso di formazione di una propria famiglia, i pochi figlisi fanno tardi: l’età media della donna alla nascita dei fi-gli è 30,8 anni (31,1 per le italiane e 27,4 per le straniere).Il Rapporto dimostra inoltre come sia in corso un pro-cedo di convergenza tra mezzogiorno e centro-nord ri-spetto alle tradizionali differenze relative alla fecondità(1,32 figli per donna in entrambe le zone, grazie soprat-tutto all’apporto degli immigrati nelle regioni setten-trionali) e alla mortalità.

L’Italia è tra i paesi al mondo dove si fanno meno figli, si vive più

a lungo con i genitori, sono maggiori longevità e invecchia-

mento. Mentre l’immigrazione è in fase di grande effervescen-

za. Questa è la fotografia scattata dal Rapporto sulla popolazione, pre-

sentato dalla Società italiana di statistica. Il dato sull’immigrazione è uno

dei più eclatanti messi in luce dal Rapporto. L’Italia cresce, ma solo gra-

zie al contributo straniero: tra 2002 e 2005 la popolazione è aumentata

in media di circa 440 mila unità l’anno, ma il saldo negativo tra

DI PIÙ E MENO ANZIANI,L’ITALIA CRESCE… STRANIERAdi Renato Marinaro

nascite e morti è stato di circa 15 milal’anno. La crescita si spiega soprattut-to con l’iscrizione all’anagrafe di circa305 milastranieri l’anno, dovuta alle re-golarizzazioni collegate alla legge Bos-si-Fini e ai nuovi arrivi di immigrati.

Tra il 2002 e il 2005 sono nati in Ita-lia circa 170 milabambini figli di madrestraniera, poco meno dell’8% del tota-le delle nascite. Tale percentuale è inrapida crescita, così come lo è la po-polazione straniera: meno dello 0,6%nel 1991, 2,3% nel 2001, è oggi quanti-ficata tra i 2,7 e i 3,5 milioni di persone(4,5-6% dei residenti), a seconda della stima degli irregolari.

Gli stranieri contribuiscono anche a ridurre l’invec-chiamento nazionale: senza di loro, gli ultrasessanta-cinquenni sarebbero già più di un quinto della popolazio-ne. La loro età media è 31 anni, contro i 43 dei cittadiniitaliani, la loro fecondità è doppia di quella italiana: nel2004, per le donne straniere il numero medio finale di fi-gli era stimato in 2,61, per le italiane era pari a 1,26. Laminore incidenza di persone anziane determina che iltasso di mortalità tra gli stranieri sia circa dieci volte in-feriore a quello italiano (1,2 per mille contro 10,1).

Nord e sud convergonoL’Italia è il paese con la maggiore quota di popolazioneanziana al mondo: stime Onu del 2005 danno gli ultra-

Il recente “Rapportosulla popolazione”

certifica il trenddemografico del nostro

paese. Il saldo tra nascitee morti sarebbe negativo,

senza gli immigrati.Siamo i più vecchi in Europa. E quelliche fanno famiglia

in età più tarda

nazionale

glie, ambienti e collettività. Il volontario èinfatti ancora oggi, come sempre, un cit-tadino soprattutto solidale, capace dipercepire i problemi di altri come proprio, comunque, della propria condizioneumana, condivisa con tutti gli altri. Que-sta affezione, che è il primo fondamentodi ogni affidabile coesione sociale, spinge i volontari a de-siderare, ricercare, perseguire e costruire percorsi e inizia-tive di risposta ai problemi affrontati, che siano semprepiù efficaci e duraturi.

I lati in ombraNell’ultimo quindicennio in Italia la sensibile crescitadella comunicazione fra le organizzazioni è stato unodei benefici dovuti all’opera dei Centri di servizio al vo-lontariato, sostenuti dallo stato e promossi ai sensi del-la legge sul volontariato 266 del 1991. Ciò ha fatto emer-gere forme varie e creative di impegno del volontariato,mirate a sviluppare nuovi e più efficaci servizi ai nuovivolti del disagio, ma anche nuovi modi di aggregarsi, diaiutare e di promuovere, nuove alleanze per gestire de-licate attenzioni alle persone, alle famiglie e alle colletti-vità, o per perseguire migliori e più utili interventi daparte delle istituzioni pubbliche e dei servizi sociali daesse espressi nei territori.

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nazionalenon profit e dintorni

I “NODI” DEL VOLONTARIATOE IL NUOVO STATO SOCIALEdi Giancarlo Cursi

ella società italiana, frammentata nelle relazioni e disincantata rispetto ai valori e agli idea-li, i volontari impegnati a rispondere con il dono del proprio tempo, delle proprie compe-tenze e sensibilità ai problemi altrui, personali o collettivi, rappresentano, ancora e sem-pre di più, un affidabile ed efficace collante sociale, fondato su una base interattiva ed eti-ca. Tale valenza del volontariato, recentemente più volte sottolineata anche in sede politi-ca, a cominciare dal ministro della solidarietà sociale, Paolo Ferrero, apporta senz’altro un

notevole beneficio alla crescita del paese, in una fase storica che è contrassegnata anche dalla cadutaa picco dell’impegno civico e dell’affezione alla responsabilità civile.

Nel cuore di quel pezzo sempre vitale e fertile di società che è costituito dai volontari, si agitanoperò, da sempre, istanze e aspirazioni piú specifiche e sentite, che nascono dall’incontro quotidianocon i problemi, i disagi, le contraddizionie le povertà di numerose persone, fami-

NAnche la politica riconosce il ruolo di collantesociale e di propulsore della crescita del paesesvolto dai volontari. Ma, dopo la Conferenza di Napoli, è tempo di affrontare, anchein sede legislativa, alcune questioni di fondo

Esistono però anche i lati in ombra. Negli ultimi anni,l’invito rivolto al volontariato a coinvolgersi nella proget-tazione sociale di zona si è risolto in esperienze esaspe-ranti e persino umilianti; molte alleanze con altre realtàdel terzo settore o del settore privato si dimostrano utilita-ristiche e manipolative, così come da tempo accade an-che riguardo a molti “ingaggi” dei servizi del settore pub-blico. Sebbene molti accostamenti al volontariato mirinoinsomma ai fondi statali ad esso destinati o al consensoche può far riscuotere, il volontariato ha ancora solide ra-gioni per continuare a cercare nuove risposte, a offrire mi-gliori servizi, a stringere nuove alleanze e perseguire contenacia nuovi percorsi per costruire giustizia sociale.

Le ragioni del volontariato sono infatti in quell’uma-nità matura, che spinge anche i giovanissimi a coglierel’opportunità di abitare in un mondo dove si possa ordi-nariamente riscontrare che gli altri, ciascuno di loro, si im-pegnano a fondo per il nostro bene e possano altrettantoregistrare il nostro impegno per il loro bene.

di Delfina Licata

DONNE MIGRANTI,CERNIERA TRA DUE MONDI

propria famiglia e alla nuova società.La funzione di mediazione tra questipoli non è un’esclusiva delle donneimmigrate, ma è in loro più spiccata.I mariti sono spesso il tramite con larealtà produttiva ed economica, lemadri fungono normalmente datramite tra famiglia e società, con laquale, a partire dalla scuola e dagliuffici pubblici, più spesso intratten-gono contatti. Un ruolo importante,finora svolto parzialmente, a causadello scarso tempo a disposizione,attiene anche al protagonismo so-ciale e alla partecipazione delle don-ne alla vita associativa.

Le donne emigrate, attraversoscambi epistolari e telefonici e attra-verso visite di ritorno, influiscononotevolmente anche sulla mentalitàdelle donne rimaste in patria. Diver-si studi antropologici hanno mostra-to come le espatriate abbiano influi-to sulle norme di riferimento, i com-portamenti e i valori nel paese di ori-

gine, anche in virtù della maggiore dignità che assume ladonna che guadagna e aiuta la famiglia rimasta in patria.

Le donne immigrate in Italia per lavoro sono in mi-sura prevalente inserite nell’assistenza alle famiglie:mezzo milione, secondo l’Inps (stima di inizio 2005),250 mila in più tenendo conto delle quote 2005 e 2006,1.300.000 secondo Il Sole 24 Ore ad aprile 2007 (e ad es-se si aggiungerebbero ben 1.700.000 irregolari, con unreddito sommerso di 8 miliardi di euro). Al di là di que-ste complesse stime, la generalizzazione del termine“badante”, pur nei toni superficiali e forse all’inizio unpo’ spregiativi (ma oggi si parla persino di “madri tran-snazionali”), è una presa d’atto del prezioso supportofornito alle famiglie italiane, a fronte di una remunera-zione tutto sommato contenuta.

La letteratura sull’immigrazione è stata reticente nel sottolinearel’importanza dell’immigrazione femminile, ridotta spesso a meraappendice dei flussi maschili. Invece in molti casi le donne sono

state pioniere e non rappresentano affatto una novità nel panoramamigratorio internazionale: già nel 1960 incidevano per il 46,6% sulla to-talità dei migranti nel mondo e sono arrivate al 48,8% nel 2004, essen-do divenute maggioranza nei paesi a sviluppo avanzato di tradizionaleimmigrazione (Australia, Canada, Stati Uniti) e in diversi paesi europei.

Negli anni Settanta, quando l’Italia cominciò a divenire paese di immigrazione, le donne eranocoinvolte in alcuni dei primi flussi:le prime aree di provenienza furonoCapoverde, i paesi del Corno d’Afri-ca e le Filippine, seguirono il SudAmerica, infine l’Europa dell’Est.All’inizio degli anni Novanta, in Ita-lia tra uomini e donne immigrati siregistrava un notevole scarto (60% a40%), ma la situazione si è modifi-cata per la tendenza alla stabilità diinsediamento e in virtù della fortecomponente femminile nella rego-larizzazione del 2002 e nella fruizio-ne delle quote degli anni successivi. Tra i 3,5 milioni dicittadini stranieri regolari che si stima (inizio 2007) vi-vano in Italia, si registra una situazione di equilibrio trauomini e donne, le quali in qualche regione e in molteprovince costituiscono la maggioranza delle presenze.

I percorsi preferenziali di approdo in Italia da parte del-le donne sono due: il primo è legato al ricongiungimentofamiliare ed è molto più diffuso tra le donne che vengonoda paesi di cultura e religione musulmana; il secondo, lega-to al lavoro, è tipico delle donne che vengono da sole ma èestensibile anche a quelle che si ricongiungono al marito.

La doppia fedeltàL’immigrato è stato definito “persona dalle due fedeltà”:al nuovo paese di inserimento e a quello di origine, alla

Nei flussi migratoriglobali le donne sono sempre più

protagoniste. Anche in Italia sonoormai la metà della

popolazione stranieraregolare. Ed esercitano

un ruolo di tramitetra ambiente d’origine

e nuovo contesto sociale

dall’altro mondonazionale

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nazionalenon profit e dintorni

no figli e figliastri attraverso sperequa-zioni individuali, di status, generazio-nali, legislative, economiche; dalla di-serzione e disaffezione rispetto allaresponsabilità civile, che produce dis-sesto e promiscuità istituzionale.

Alla luce delle nuove opportunitàofferte dal riassetto istituzionale delpaese (determinato dalla modificadel quadro costituzionale intervenu-ta nel 2000, ma finora scarsamentesviluppato), il volontariato chiede dipoter contribuire a promuovere erealizzare una nuova dinamica di co-struzione dello stato sociale, affron-tando e definendo con adeguati stru-

menti normativi alcuni nodi cruciali del suo rapporto conla società italiana odierna:■ il pieno riconoscimento della sua identità e specificità

(gratutità, terzietà, continuità, compartecipazione or-ganizzativa, corresponsabilità sociale);

■ l’agevolazione all’azione di servizio e nuove prassi disussidiarietà all’azione di servizio condotta e sviluppa-ta;

■ la concertazione paritaria e corresponsabile in vistadella definizione delle politiche sociali in senso esteso;

■ la crescita e la diffusione della cultura e dell’esperien-za volontaria;

■ il supporto all’auto-organizzazione locale, nazionale einternazionale, al collegamento, alla formazione, alladiffusione sociale;

■ la funzionalità e l’adeguatezza delle dotazioni necessa-rie allo svolgimento del servizio, attraverso prassi tra-sparenti, patti paritari, rispettosi, garantiti ed etica-mente coerenti con le identità dei contraenti.Riparte quindi da Napoli, con una specifica attenzione

alle dinamiche di sviluppo del paese, la nuova stagionedel volontariato italiano. Cosciente della sua specifica especiale funzione di anima della solidarietà organizzata,esso guarda con determinazione alla crescita della re-sponsabilità civile e dell’impegno condiviso per ridare di-gnità e protagonismo a chi è penalizzato dalle contraddi-zioni e dalle miopie della cultura dominante.

Questa intuizione che si trasmette e si diffonde inmolte persone spiega bene come, nonostante la fioritu-ra di svariate e libere espressioni di volontariato di que-sti ultimi anni, tutte le organizzazioni convenute allaConferenza nazionale del volontariato, tenutasi a Napo-li a metà aprile, occasione di incontro triennale con il go-verno, abbiano espresso un messaggio convergente ecoeso. Esse hanno chiesto di poter operare nella libertà enella stima da parte dei partner istituzionali; di essereagevolati nell’incontro, nel collegamento interno edesterno, nell’alimentazione delle motivazioni, nella curadelle consapevolezze acquisite, nel consolidamento del-la propria identità, nella definizione di patti chiari, nelladisponibilità di risorse adeguate, trasparenti, non onero-se; infine di essere sostenuti per crescere e diffondersi,tramite tutta la formazione necessaria, un accesso po-tenziato alla comunicazione mediatica, più efficaci op-portunità di coinvolgimento dei giovani e di chi esce dal-l’esperienza del lavoro.

Una nuova dinamicaI rappresentanti del volontariato, convenuti da tutto il pae-se, a Napoli si sono riconosciuti e riconfermati come por-tatori, con responsabilità, di una domanda di giustizia so-ciale che proviene dalle povertà e dai nuovi mali della no-stra società globalizzata; dal malsviluppo, frutto di poteriforti e occulti, ultimamente non amici della gente, che fan-

CONTATTOTRA GENERAZIONIUn giovane volontario insegnal’uso del computer in un centroper la terza età di Roma

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Soggetti in entrata e uscita dagli Opg (2004)

OPG ENTRATI DIMESSICastiglione (Mn) 96 106Montelupo (Fi) 119 40Napoli 162 153Reggio Emilia 200 191Barcellona (Me) 124 74Aversa (Ce) 116 49TOTALE 817 613

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nazionalemalattia mentale

UN’ALTRA BOCCIATURA,OPG DA SUPERARE

Nuova, sconfortanteanalisi della situazionenei sei Ospedalipsichiatrici giudizariitaliani. “Ergastolibianchi” e contenzioni:per gli oltre milleinternati servonopercorsi alternativi. Le proposte di riforma, i ritardi della politica

Riflettori accesi, come accade di tanto intanto, sugli Ospedali psichiatrici giudiziari(Opg). L’occasione è una nuova bocciatura,contenuta questa volta nella relazione fina-le di un gruppo di lavoro allestito dai mini-steri della giustizia e della salute. La relazio-ne fa luce sui drammi che si verificano nel-

la quotidianità degli Opg, ma senza introdurre moltenovità: è perlomeno dal 2001, anno della ricerca “Anato-mia degli Opg”, curata e pubblicata da Vittorino An-dreoli, che è dimostrato che tali strutture (deputate aospitare persone che si sono macchiate di reati ma pre-sentano problemi psichiatrici) non curano. E tanto me-

menta che il decreto legislativo 230/99 ha stabilito il transi-to delle competenze in tema di sanità carceraria dall’am-ministrazione penitenziaria al sistema sanitario nazionale,ma senza prendere in considerazione gli Opg. Viene sem-plicemente citato, inoltre, come uno dei tanti dati, anche ilfatto che la durata dell’internamento è condizionata dallastruttura in cui si è internati: per stare meglio e avere pro-spettive, forse basta sperare nella buona sorte!

Il reato, per chiedere aiutoI dati presentati dalla relazione si riferiscono al 31 dicem-bre 2004: dichiarano la presenza di 1.057 internati, appar-tenenti a diverse categorie giuridiche (altre fonti aggiorna-no il dato al 31 dicembre 2006, dichiarando una presenzadi 1.368 persone). La relazione segnala che la frequenzadei reati maggiormente presente è quella contro la perso-na (riguarda il 65,1% degli internati); per il restante 34,9%,sarebbe meglio scontare la pena in luoghi differenti, piùumani e più adatti al compito, inseriti nel territorio di ori-gine del detenuto-malato, o essere curati dagli specialistidei Dsm. I quali – non bisogna nasconderlo – non sempreriescono a farsi carico delle tante sofferenze di quei sog-getti che poi, proprio a causa della loro malattia, commet-tono reati (non solo contro la persona, ma anche contro ilpatrimonio, o abusando di sostanze). Ma il reato a volte èsolo un modo, certamente più violento, per chiedere aiu-to a chi non sa ascoltare. Ancora una volta, siamo certi chenon possano esserci soluzioni più umane, di autenticapresa in carico nei territori?

Tornando ai dati, alcune perplessità nascono ancheanalizzando la provenienza geografica degli internati. ABarcellona Pozzo di Gotto (Messina) la provenienza regio-nale è pari al 60,3%, invece la maggior parte dei presentinegli altri Opg proviene da regioni diverse. Ma lo scarsodettaglio dei dati non permette di capire le cause di tale si-tuazione. Continua poi a imbarazzare non poco un altrodato ben più grave, che la relazione finale sintetizza co-sì: “Il numero dei soggetti entrati nell’anno è sempremaggiore del numero dei dimessi, tranne che a Casti-glione delle Stiviere”. In pratica, nel 2004 il saldo “nega-tivo” è stato di 204 persone (817 entrati e 613 dimessi),ma il risultato non cambia se si analizzano gli anni pre-cedenti. Ciò è tanto più sconcertante, se si pensa che daanni, ormai, ogni volta che si parla di Opg si afferma chesono strutture improprie, da superare, che non curano.Ma evidentemente questo non basta e appaiono inutilianche le due sentenze della Corte costituzionale(253/2003 e 367/2004) che avrebbero dovuto limitare

fortemente, se non annullare, i nuovi ingressi in Opg,ma che non hanno prodotto i risultati attesi.

La relazione esamina poi le attività di riabilitazione,socializzazione e formazione presenti in tutti gli Opg. Sa-rebbe stato interessante sapere in cosa consistono equanti internati ne usufruiscono; Napoli, in ogni caso, ap-pare l’unico istituto a non aver attivato collaborazioni conassociazioni di volontariato e cooperative sociali. Pocodettagliato è anche un altro dato drammatico: quello rela-tivo alla “proroga”, cioè al fatto che spesso l’internato con-tinua a restare in Opg oltre il tempo stabilito. Sovente ciòavviene perché la persona non ha più un luogo dove tor-nare (o forse non l’ha mai avuto) e il Dsm non è in gradodi accoglierlo. Ma riguardo alla proroga (circostanza chefa parlare di “ergastoli bianchi”) nella relazione c’è solouna tabella, da cui si evince che il numero più alto riguar-da Castiglione, quindi Montelupo Fiorentino e Aversa.

Un altro dato inquietante riguarda il numero dellecontenzioni: a quanti sono convinti che in Italia, paese uf-ficialmente senza manicomi, nessuno viene più legatoperché malato di mente, i dati della relazione dimostranoche non è vero. Se a proposito degli Opg il dato viene resopubblico, non altrettanto si può dire per tanti reparti didiagnosi e cura (Spdc) all’interno degli ospedali italiani,dove si lega ancora, e non sempre per necessità.

La riforma del codiceAnche nelle riflessioni finali la relazione non appare inno-vativa. Ancora una volta si evidenzia come “il ricondurreall’interno del carcere le problematiche inerenti i detenutia vario titolo presenti in Opg potrebbe significare una ri-duzione della popolazione degli Opg di circa 2-300 unità”.Si torna nuovamente ad affermare, insomma, che l’Opgnon è ospedale e non è carcere e che dove si attuano “for-

no rieducano o favoriscono il reinserimento sociale.Al nuovo gruppo di lavoro era stato affidato il duplice

compito di verificare la situazione attuale degli Opg e diproporre modelli gestionali differenti. La lettura della rela-zione finale conferma l’impressione che gli internati negliOpg debbano combattere ogni giorno con l’indifferenza.La stessa relazione attribuisce scarsa enfasi, pur segnalan-dole, a criticità evidenti da sempre e che continuano a per-manere. Si parla della necessità di ottimizzare, ma in mol-ti casi sarebbe meglio dire attivare, i rapporti tra Opg e Dsm(i Dipartimenti di salute mentale, ovvero le strutture delleAsl deputate a curare i malati di mente nel luogo di resi-denza degli stessi). E con semplicità forse eccessiva si ram-

di Cinzia Neglia

NEMICAINDIFFERENZAOspiti di un Opg. La lorodetenzione spesso duraoltre i limiti della pena

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Proroghe della misura di sicurezza (2000-2004)

OPG 2000 2001 2002 2003 2004Castiglione 167 197 189 192 159Montelupo 110 154 172 128 165Napoli 53 46 46 31 39Reggio Emilia 93 104 132 103 105Barcellona 64 82 74 69 77Aversa 106 124 135 128 143TOTALE 593 707 738 651 688

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contrappunto

Prendere o lasciareMa oggi sono in discussione le basidel ragionamento. Da un livello di oc-cupazione considerato alto e stabilesi è passati a un regime di instabilità eregressione del lavoro. Irruzione dellenuove tecnologie e apertura mondia-le dei mercati hanno rilanciato la tesifondamentale del mercato del lavoro,nel quale l’attività umana si situa co-me fattore (e costo) di produzione, indefinitiva come una merce.

Ne consegue che chi non trovaimpiego, o teme di perderlo, non avràfiato per contestare. Se l’impalcaturaè fragile ci salirà egualmente; se unamansione è esposta al pericolo andràavanti lo stesso. E se questo vale perla manodopera locale, a maggior ra-gione vale per chi viene da altri paesi,spesso in modo irregolare, esposto al“prendere o lasciare”. Dove lasciaresignifica fame o crimine.

I discorsi sulla sicurezza del lavorodi questa primavera 2007 tengonoconto dell’evoluzione “strutturale” in-

tervenuta? Colpisce un certo ritorno sui concetti della pre-venzione individuale (fai attenzione, metti il casco, metti lamaschera), piuttosto che sui nessi tra esposizione all’in-giuria fisica e organizzazione del modo di lavorare. Comesuccede per la sicurezza stradale, quando si punta moltosul modo di guidare e sugli atteggiamenti dei guidatori,meno sulla progettazione e manutenzione delle strade. Lasomiglianza è anche nella ripetizione stagionale delle“campagne”, con un andamento rituale persino cinico.

Non vale dunque la pena di occuparsi di morti bian-che? Al contrario. Bisogna farlo con continuità, maguardando all’insieme dei fattori oggettivi e soggettiviche causano il fenomeno e reclamano interventi nonsuperficiali. Oltre la logica della fatalità.

Una tambureggiante offensiva mediatica, con la partecipazio-ne delle massime autorità dello stato e dei leader sindacali,ha messo a fuoco il tema degli infortuni sul lavoro prima du-

rante e dopo la festa del primo maggio. Giusto e doveroso. Negliultimi mesi si è registrata una notevole recrudescenza di disgraziee il governo ha puntualmente elaborato una legge-delega per pre-venire, arginare e reprimere il fenomeno.

Sarebbe il caso di dire un liberatorio: “Finalmente!”. Ma un sussul-to di precauzione induce a riflettere. L’annuncio di iniziative di con-trasto agli infortuni assume la figura di un inquietante “già vissuto”.Dai remoti anni Cinquanta (del se-colo scorso), grazie all’esperienzanelle Acli, avrò partecipato a non sopiù quante campagne di denuncia eprevenzione. E a ridosso delle grandilotte operaie, negli anni Settanta, hocondiviso gli impulsi e le dottrine al-lora in auge a proposito della fabbri-ca sicura, ritenuta possibile e affida-ta, soprattutto, alla capacità dei lavo-ratori di rifiutare il lavoro pericolosoo nocivo, in modo da costringere leimprese ad adottare standard di pro-tezione adeguati. Lo slogan fonda-mentale era “La salute non si vende”. E c’erano manualiper calcolare i “massimi accettabili di concentrazione”dei fattori nocivi, nel presupposto che oltre una certa mi-sura, mancando la “validazione consensuale” dei lavora-tori, o il padrone si adeguava, o chiudeva.

Il fulcro ideologico di allora era rappresentato dallaforza contrattuale del movimento dei lavoratori, basataa sua volta su una condizione di sostanziale pieno im-piego. Le grandi “conquiste” di quella stagione sembra-vano ai più irreversibili e pareva fondata l’idea di un ne-goziato permanente sulle condizioni della prestazionedi lavoro, ispirato dal criterio del rifiuto della “monetiz-zazione del rischio”, ovvero dello scambio perverso “piùsalario - meno sicurezza”.

MORTI BIANCHE,LA SENSAZIONE DEL GIÀ VISSUTOdi Domenico Rosati

Vibranti appellidei vertici istituzionali,impegni del governo:

si torna a parlare di incidenti sul lavoro.

Ma l’argomento si ripropone

ciclicamente da decenni.E si dimentica che oggi

il mercato del lavoro ha cambiato struttura…

nazionale

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nazionalemalattia mentale

della Corte costituzionale e un Progetto obiettivo naziona-le che, in materia, appare sempre più dimenticato.

Alcune speranze di cambiamento comunque ci so-no. La proposta di riforma del codice penale elaboratadalla commissione parlamentare Pisapia, per esempio,prevede l’eliminazione delle misure di carcerazione perle persone non imputabili, in altre parole l’abolizionedegli Opg. Essa prevede in alternativa “misure di sicu-rezza e riabilitative, applicabili agli autori di reato nonimputabili per infermità o altra grave anomalia, ovveroper ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefa-centi”, quali “il ricovero in una struttura chiusa o apertacon finalità terapeutiche o di disintossicazione, l’obbli-go di sottoporsi a un trattamento ambulatoriale pressostrutture sanitarie, l’obbligo di sottoporsi a visita perio-dica presso strutture sanitarie o di presentazione perio-dica ai servizi sociali”. Appare chiara, insomma, l’inten-zione di abolire strutture speciali: “Le misure, anche diricovero – afferma la commissione –, vengono eseguitepreferibilmente presso strutture terapeutiche, o con fi-nalità educativa o riabilitativa, facenti parte del norma-le circuito assistenziale”.

Accentuare la natura riabilitativa Sono comunque più che condivisibili anche le proposteper il breve periodo avanzate dal gruppo di lavoro giusti-zia-salute: piena applicazione delle sentenze della Cortecostituzionale, superamento delle eterogeneità clinico-giuridiche che caratterizzano il trattamento delle personenei vari Opg, accentuazione della natura riabilitativa e so-ciosanitaria dell’intervento, graduale superamento dellosradicamento territoriale. Merita invece un maggiore svi-luppo quanto proposto per il medio e lungo periodo. Re-stano infine alcuni interrogativi: ci sarà un confronto, sul-l’argomento, tra i diversi tavoli istituzionali? Gli organismidi partecipazione (a cominciare dalla Consulta delle asso-ciazioni per la salute mentale presso il ministero della sa-

lute) saranno coinvolti? E in definiti-va, si riuscirà a far sintesi delle analisie delle risorse, per consentire a ognimalato di trovare nel proprio territo-rio un dipartimento di salute menta-le che si prenda cura di lui come per-sona? Sarebbe davvero ora di passaredalle bocciature sulla carta al supera-mento, nella realtà, dei problemi chesi oppongono a una cura davveroumana dei malati mentali.

me di collaborazione mediante protocolli d’intesa con iDsm è stata resa possibile l’offerta di continuità terapeuti-ca”. Questo è provato anche da esperienze, alcune dellequali già raccontate da Italia Caritas. La più efficace e si-gnificativa resta l’esperienza avviata dal cappellano di Bar-cellona, che attraverso una struttura di accoglienza(Ca.s.a), l’apporto di numerosi volontari del territorio, ilrapporto al tempo stesso critico e costruttivo con assisten-ti sociali, medici, educatori e Dsm di provenienza degli in-ternati, grazie anche al contributo dei fondi Cei otto permille, ha facilitato il ritorno a casa e la presa in carico daparte dei servizi territoriali di numerosi internati. Questaesperienza ha creato anche occasioni di inserimento nelterritorio, ha attivato numerosi volontari, ha offerto occa-sioni di incontro, su un terreno neutro, a famiglie che feri-te profonde (omicidi o altri gravi reati) avevano separato.

Anche ad Aversa la Caritas diocesana ha avviato (sem-pre con il contributo Cei otto per mille) una struttura diur-na per essere vicini ai malati-detenuti disposti a speri-mentarsi nella quotidianità; in essa un piccolo numero dipazienti può maturare una certa capacità di autogestirsi.Certo, Aversa in questo momento è più nota per i suicidi ei decessi avvenuti in Opg che non per questa esperienza,che tuttavia indica la possibilità di unfuturo migliore, più umano.

Non appare impossibile, insom-ma, avviare percorsi che consentanoa persone internate di vivere conmaggiore serenità nelle proprie case,pur continuando a essere in cura e adassumere farmaci. L’importante è for-mare servizi, operatori e volontari chestiano al loro fianco, ma soprattuttoimpegnarsi a far rispettare le sentenze

La prospettiva?Avviare percorsi checonsentano a persone

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che lo statuto consegnaquale mandato specificoall’organismo pastoraleCaritas.

Crocevia di percorsiIl convegno si colloca al crocevia di diversipercorsi avviati da CaritasItaliana in questi anni, con la finalità di portarli a sintesi e maturazione.Riprenderà, anzitutto, le sollecitazionidell’itinerario di verifica“Quale Caritas per iprossimi anni?”, che dopoaver riflettuto, dal 2001, sulmetodo pastorale ascoltare-osservare-discernere, sulcollegamento tra emergenzae quotidianità e sullacostruzione di percorsieducativi per i singoli e le comunità affronterà, il prossimo anno pastorale,il tema “Una spiritualità di povertà e di condivisionenella prospettiva del Regnoche viene”.

Nel Convegno troveràcompimento, con unariflessione sul tema“Parrocchia e animazione-animatore Caritas”, anchel’itinerario sulla parrocchia,

avviato nel 2004 con il Convegno unitario di Lecce, organizzato insiemead altri uffici pastorali Cei.Infine, a Montecatini troveràil suo approdo anche la programmazione di CaritasItaliana per l’anno pastorale2006-2007, centrata sul tema “Animare territori e parrocchie”, che haarticolato la preparazione del Convegno nazionaleattraverso tre Forumsull’animazione (a partire dai contenuti dell’enciclicaDeus Caritas est) destinati a direttori e vicedirettoriCaritas e una propostasperimentale di animazionepermanente destinata ai membri delle équipedelle Caritas diocesane.

Il Convegno di Montecatinisarà caratterizzato da un intenso programma,con momenti di preghiera,relazioni e tavole rotonde,alle quali parteciperannonomi importanti del panorama ecclesiale e culturale italiano; gli appuntamenti più importanti sono indicati nell’ultima pagina di Italia Caritas.

panoramacaritas

Al di sopra di tutto.Un cuore che vede:animare alla carità,sfida per le diocesiLe Caritas diocesane si riunisconoper il 31° Convegno nazionale. Appuntamento dal 25 al 28 giugnoa Montecatini Terme

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Comunicare il servizio:ragazzo, “Ci Se.I”?Raccontare in trenta secondi un’esperienza lunga un anno.È la “sfida” lanciata da Caritas Italiana agli studenti del corso di marketing di Scienze della comunicazionedell’università Lumsa di Roma, su proposta del professoreGennaro Iasevoli. Il project work si è sviluppato tra marzo e maggio; in un primo momento gli operatori di CaritasItaliana hanno incontrato i giovani per illustrare i contenutiessenziali dell’esperienza di servizio civile, poi gli studentihanno “creato”.

I lavori prodotti saranno strumenti utili per aiutare le Caritas diocesane a far passare il messaggio che il servizio può diventare parte di uno stile di vita diffuso,che coinvolge tutti come cittadini responsabili. Ma ancheper valorizzarne la dimensione europea e internazionale,con particolare riguardo all’esperienza dei “caschi bianchi”.Lo spot radiofonico è stato l’elemento unificante, per il resto il “campo di gioco” era a scelta dei ragazzi:spot video, manifesti e banner, blog e giochi interattivi.Tutte le possibilità sono state esplorate dagli studenti, nel tentativo di esplicitare la varietà di un’esperienza che in Caritas assume molte forme. La sfida è stata resaancora più ardua dal fatto che ancora oggi è difficileindividuare con un termine univoco i “giovani in serviziocivile”: come chiamarli, senza giri di parole?

Al termine ogni gruppo (sei nella prova finale), ha illustrato a Caritas Italiana i contenuti su cui haincentrato la sua proposta e gli strumenti comunicativiutilizzati. C’è chi ha individuato nella “solarità” il trattodistintivo dei giovani in servizio civile, giocando sul temadella luce, chi ha usato la metafora del viaggio (“Segui la tua rotta…”, era l’invito). Un gruppo ha propostol’idea dei volontari come “eroi alternativi”, chiamandoli in inglese carebringer, proponendo anche un giocointerattivo per avvicinare i giovani interessati al tema. Un altro gruppo ha individuato nella crescita personalel’elemento fondamentale dell’esperienza: “Aiutare gli altriper scoprire se stessi” è stato lo slogan illustrato in manifesti e in un blog. Tra tutte queste proposteinteressanti, che si cercherà comunque di valorizzare e utilizzare, alla fine ha prevalso il gruppo che ha coniugatoin maniera sintetica un messaggio chiaro con un mezzoefficace, in questo caso uno spot radiofonico e dei manifesti, giocando con le lettere inizialidel servizio civile e inventandosi lo slogan “Ci Se.i”:un invito preciso a esserci con cuore e mente, nel vivodi un’esperienza di impegno e crescita.

I GIOVANI CHE SERVONO

Giovani stranieri in Italia,conflitti e voglia d’impresa

OK A DDL SULL’IMMIGRAZIONE E A CARTA DEI VALORI.Il 24 aprile il consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge delega sul riesame della disciplina dell’immigrazione;entro un anno il governo dovrà adottare un decreto legislativoper la sua attuazione. Molte le novità (vedi IC 4/07). Il ministero dell’interno ha anche presentato la “Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione”, elaborata da un comitato scientifico istituito dallo stesso ministero. La Carta non avrà valore vincolante ma ha l’obiettivo di enunciare valori e principi validi per tutti coloro che desiderano risiedere stabilmente in Italia. www.interno.it

NEL 2050 ITALIA QUARTA META MONDIALE DIIMMIGRAZIONE. Secondo le Nazioni Unite, nel 2050 l’Italia è destinata a salire al quarto posto della classifica mondialefra le nazioni industrializzate che sono meta dei principali flussimigratori, dopo Usa, Canada e Germania. Questi flussimigratori dovrebbero permettere di far fronte alla penuria di manodopera che caratterizzerà nei prossimi 40 anni i paesiricchi del mondo. www.unpopulation.org

IMPRESE STRANIERE PIÙ CHE RADDOPPIATE. Negli ultimicinque anni, in Italia, le imprese individuali gestite da immigratisono passate da circa 100 mila a oltre 227 mila (+10% annuo,tasso ben superiore a quello del totale delle imprese). Lo affermalo studio “Comportamenti finanziari e creditizi della societàmultietnica”: si tratta di un’imprenditoria giovane (il 15% degliimprenditori immigrati ha meno di 30 anni), che si concentra in prevalenza nel commercio, nelle costruzioni e nei servizi. Il 70%delle imprese di immigrati ha rapporti con le banche italiane; il 50% giudica buona la qualità dei servizi offerti, anche se lamentala crescita del costo del debito; il 40% ha chiesto un prestito per l’avvio o l’ampliamento dell’attività. www.unioncamere.it

GIOVANI STRANIERI, QUASI ITALIANI. La ricerca“Approssimandosi. Vita e città dei giovani di secondagenerazione a Torino”, promossa dalla Fondazione GiovanniAgnelli, ha appurato che l’età dei giovani all’arrivo è determinante nell’orientare i percorsi di inserimento nel contesto economico e socio-culturale: si sente italianoquasi il 60% dei ragazzi di seconda generazione nati in Italia,così come il 50% di quelli giunti nei primi 5 anni di vita, masolamente il 12% degli immigrati in età adolescenziale (arrivatifra i 13 e i 17 anni). La ricerca mette in luce anche i potenzialiconflitti fra figli degli immigrati e loro genitori. www.fga.it

PILLOLE MIGRANTI

Un appuntamento ormai consolidato. Una preziosa

occasione per riflettereinsieme, sui bisogni che la società italiana esprime,sul cammino di carità e solidarietà che la chiesaitaliana e le suearticolazioni locali sannoesprimere. Il Convegnonazionale delle Caritasdiocesane è giuntoall’edizione numero 31(nell’immagine, il logo) e si svolgerà quest’anno al centro congressi di Montecatini Terme (Pt) da lunedì 25 a giovedì 28 giugno. Il titolodell’appuntamento, che sarà aperto dal nuovopresidente della Cei,monsignor AngeloBagnasco, e al qualeparteciperanno circa 500 delegati provenienti da quasi tutte le diocesiitaliane, sarà Al di sopra di tutto. “Un cuore che vede” per animare alla carità. Al centro dei lavori sarà dunque il tema dell’animazionedelle comunità cristiane e civili al senso di carità,

EHI GIOVANE, CI.SE.I?Il manifesto vincitoredel concorso sul serviziocivile svolto alla Lumsa

NUOVA TAPPA,DOPO FIUGGISopra, l’ultimo convegnodelle Caritas diocesane,a Fiuggi: era il 2005

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progetti > profughi

internazionale

MICROPROGETTIUGANDA Allevamento in due comunitàMolti sono i progetti in Uganda per rifugiati e sfollati interni, a causa del perdurare della guerra civile e della violenza cheha caratterizzato molti conflitti nei paesi circostanti. Il gruppoObumu Bwamuwendo è nato nel 2003 nella parrocchia di Naddangira: 32 donne e 42 giovani che si impegnano per migliorare le condizioni di vita delle proprie famiglie,sfollate, dopo le devastanti conseguenze della guerra.Analfabetismo, mancanza di cibo, diffusione dell’Aids sono i principali nemici: la richiesta è finanziare la creazione di un allevamento di polli e di maiali (nella foto). Nella diocesidi Hoima, invece, la comunità di Katulikire, ai confini con il Congo, ospita centinaia di rifugiati congolesi fuggiti a causa della guerra. Soprattutto i giovani vivono in manieradrammatica la disoccupazione, che causa gravi forme di disagio sociale. L’agricoltura tradizionale oltre a nonessere redditizia non assicura il fabbisogno nutrizionalenecessario. Il progetto intende consentire a 60 giovanirifugiati congolesi di avviare attività agricola e di allevamento.> Costo 4.500 euro - 3.800 euro> Causale MP 34/07 Uganda - MP 109/07 Uganda

NEPAL Formazione per i bambini-soldatoIl conflitto dell’ultimo decennio ha lasciato il Nepal prostratodal punto di vista economico e sociale. Sono molti gli sfollatiinterni, persone che vivono nelle strade delle periferiecittadine, senza futuro a causa della diffusa povertà e della bassa scolarità. Il conflitto, che ha causato oltre 10 mila morti (fra cui almeno un migliaio di bambini), è statocaratterizzato anche dal triste fenomeno dei bambini-soldato.Migliaia di piccoli sono stati reclutati dalla guerriglia: dopo gliaccordi di pace, siglati sotto l’egida Onu, sono stati accolti incampi sfollati privi di tutto. Il progetto prevede la formazionealla costruzione di materiali edilizi, rivolta a minori presenti in un campo profughi alla periferia della capitale Katmandu.> Costo 2.675 euro > Causale MP 28/07 Nepal

COLOMBIA Ai desplazados serve un mulinoSono numerosissime le comunità e le persone sfollate(desplazados), a causa della sanguinosa e pluridecennaleguerra civile che si combatte in Colombia. Nel territorio diMarialabaja, una piccola fattoria chiamata “La Consolata”è diventata un centro di attività formative e produttive:trasforma prodotti agricoli e produce mangimi per allevamento. Il progetto relativo (acquisto di macchinariper la lavorazione dei mangimi), è già stato sperimentato con successo in altre aree della Colombia. In concreto,occorre acquistare un motore e un miscelatore per un molino,dove i desplazados possono trovare impiego e reddito.> Costo 4.900 euro > Causale MP 15/07 Colombia

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A fine 2005 erano 20,8 milioni i profughi nelmondo (tra rifugiati, richiedenti asilo, sfollatiinterni e altre categorie), persone costrette ad abbandonare la propria casa o il propriopaese per fuggire a guerre, persecuzioni,violazioni dei diritti umani. Questa cifra vieneingrossata, ormai da tempo, da una nuovacategoria di persone: i profughi ambientali, in fuga da catastrofi naturali, ma anche da variazioni “strutturali” di ambienti e climi,come l’avanzata dei deserti o la riduzionedelle risorse idriche. Benedetto XVI haricordato che la mobilità umana può “portarebenefici all’intera famiglia umana” e deveessere vista come “una grande risorsa”. A patto che al centro siano posti la persona, il rispetto della dignità umana, la pace, l’equae oculata gestione delle risorse. Il 20 giugno è la Giornata mondiale del rifugiato: CaritasItaliana conduce e finanzia numerosi progettiin loro favore, in molti paesi del mondo.

Il dramma del Darfur continua a essere una feritaaperta. I profughi (soprattutto in Ciad) e gli sfollati internicausati dalla guerra civile nella regione sudanese, che continua anche a mietere vittime e a provocarediffuse violazioni dei diritti umani, sono circa 3 milioni.Caritas Italiana interviene in Darfur in collegamento con Caritas Internationalis e con il network interconfessionaleAct (Action by Churches Together), grazie all’azione sul campo di alcuni partner locali. Si calcola che l’intervento

raggiunga, in molti campi sfollati dell’ovest e del sud del Darfur, 500 mila persone tra beneficiari diretti e indiretti. Gli ambiti d’azione sono: emergenza, acqua e igiene (sono stati costruiti 170 pozzi e ne sono statiriabilitati 70), sanità e nutrizione (sono stati costruiti 22 centri sanitari e 2 ospedali rurali), agricoltura,istruzione (sono state riabilitate e sostenute 34 scuole),interventi psicosociali, protezione, costruzione dellapace. L’intervento prevede un impegno complessivo

nel 2007, da parte del network, di quasi 12 milioni di euro. Caritas Italiana, con la quota che si è impegnataa destinare, finanzierà nei campi di Zalingei e Garsila(Darfur dell’ovest), Nyala, Kubum e El Dhein (Darfur del sud) l’attività di numerose scuole e di sei cliniche(per circa 5 mesi), che ogni mese curano in totale 9.400pazienti e 680 persone tra mamme e neonati.> Costo 250 mila euro (quota a carico di Caritas Italiana)> Causale Sudan / Darfur

SUDAN

Nepal

Cliniche e scuole in Darfur, ferita sempre aperta

nostante diversi problemi legati alla sicurezza, il di-spensario ha operato con continuità, anche grazie allapreziosa collaborazione dell’ospedale SOS di Mogadi-scio, assicurando visite e medicine gratuite a circa 120pazienti al giorno: in totale più di 30 mila persone, unterzo bambini sotto i 5 anni.

I cento chilometri di MahamedAl dispensario Caritas approdano i malati dell’intera re-gione del Bay (700 mila abitanti, una delle più densa-mente popolate e povere della Somalia), la cui popola-zione vive prevalentemente di agricoltura di sostenta-mento (sorgo), anche se molti conducono una vita no-made o semi-nomade, allevando capre, pecore, bovini ecammelli. Nella regione la malnutrizione, soprattutto in-fantile, è endemica; inoltre circa i tre quarti della popo-lazione adulta sono sottonutriti cronici. Enormi proble-mi sono causati dalla ignoranza delle norme igienicheelementari: i pazienti del dispensario vengono dallecampagne fuori città, dove vivono in capanne fatte confango, escrementi bovini e legno, spesso senza accessoall’acqua potabile. Molti arrivano anche da villaggi piùlontani, fuori dal distretto. La maggior parte affronta ore

di cammino e decine di chilometri. E c’è chi bussa dopoessere stato dirottato a Baidoa dalla guerra.

Tra costoro Madina, 29 anni: porta sulle spalle Abdi-nasir, 10 mesi, visibilmente febbricitante. Anche Saredo,la figlia di quasi 5 anni, è ammalata. Sono vestiti di po-chi stracci impolverati. «Siamo profughi da Mogadiscioe ci siamo sistemati in ripari di fortuna, in un nuovocampo, poco distante. Non abbiamo cibo né acqua.Nessuno ci ha dato nulla. Il piccolo ha un’infezione allevie respiratorie e la bambina una dermatite. Anche miomarito è ammalato. Non so quando potremo tornare acasa». Madina riparte con sciroppi e capsule. Dovrà tor-nare domani, perché il bambino possa continuare il ci-clo di iniezioni.

Anche Seynab, 2 anni, e sua madre sono profughe.Durante il viaggio da Mogadiscio il loro convoglio è sta-to attaccato da un gruppo di predoni appartenenti a unclan assai bellicoso: gente che spara sui veicoli, per fer-marli e derubare i passeggeri. Cose che rientrano nellaquotidianità somala. La madre è stata colpita al braccio,Seynab alla testa: una ferita profonda, che lascia sco-perto l’osso cranico e fatica a rimarginarsi. Alla piccolavengono dati antibiotici per prevenire infezioni: strilla a

renze della popolazione somala, in particolare gli umili,i poveri, i senza voce, insieme a un omaggio a tutti colo-ro che hanno donato la loro vita durante questi quasivent’anni di guerra civile per i poveri e per la pace inquesto martoriato paese, siano essi cristiani (ricordia-mo in particolare il sacrificio più recente a Mogadiscio,quello di suor Leonella) o appartenenti ad altra fede”.

Il dispensario medico di Baidoa ha aperto i battentiil 25 maggio 2006, mentre le istituzioni somale si stabi-livano in città, come contributo concreto della chiesacattolica al processo di pacificazione della Somalia. No-

LA COLLETTA DEL PAPA,LA FERITA DI SEYNAB

Le offerte raccolte in Lateranoil Giovedì Santo inviatea Baidoa, al dispensariodi Caritas Somalia. Una piccolastruttura, che cura migliaia di malati. Distribuisce medicine“buone”. E costituisce un segnodi fratellanza con i musulmani

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somaliainternazionale

PROFUGHI E INFERMIERIBaidoa, aprile 2007: immaginiscattate a poche centinaiadi metri. Qui sopra, sfollatiinterni da Mogadiscio.A fianco, lo staff e la sededel dispensario Caritas

testo e foto di Davide Bernocchi

Papa Benedetto XVI ha deciso di destinareal progetto sanitario di Caritas Somalia aBaidoa la colletta della messa “In CœnaDomini” da lui presieduta il Giovedì Santo(era il 5 aprile) in San Giovanni in Latera-no. Un gesto che ha stupito molti, a parti-re dai responsabili della Caritas locale. “In

tale scelta – afferma un comunicato firmato da monsi-gnor Giorgio Bertin, amministratore apostolico di Mo-gadiscio e presidente di Caritas Somalia –, leggiamo l'at-tenzione e la sollecitudine del Santo Padre per le soffe-

solo paziente, da acquistare nella farmacia a lui consocia-ta. La gente è convinta che circolino anche medicine fa-sulle: compresse di farina, o altri surrogati...

Il seme e l’alba della paceA inizio maggio, il dispensario di Baidoa è stato visitatoda un medico di Crs (Catholic Relief Services, organiz-zazione americana appartenente al network Caritas).Insieme allo staff medico di Caritas Somalia, è statasvolta una valutazione dei risultati ottenuti e si è piani-ficato come migliorare qualità e consistenza dei serviziofferti, anche grazie a un partenariato con Unicef. L’of-ferta del papa sarà dunque impiegata per soccorreresempre meglio la povera gente del Bay. Tutti i pazientidel dispensario sono musulmani e lo stile di servizio di-sinteressato di Caritas Somalia ha guadagnato lodi allasua opera anche in qualche moschea.

Non solo sanità, dunque, ma anche un segno di fratel-lanza e un piccolo seme di pace. “Il gesto del papa – ter-minava il comunicato di monsignor Bertin – inserisce an-cor più la nostra piccola opera nella comunione di caritàdella Chiesa universale. Desideriamo condividere la no-stra gioia con il resto della famiglia Caritas, nella speranzache in Somalia sorga presto l’alba della pace”.

causa della dolorosa medicazione che deve subire. Pur-troppo l’ospedale pubblico di Baidoa è quasi completa-mente in rovina, non offre i minimi standard d’igiene néservizi sanitari rilevanti.

Mahamed Mahmud ha 60 anni e problemi alle gam-be. Ma ha camminato per due giorni e due notti, da unvillaggio oltre Qansah Dhere, più di cento chilometri daBaidoa, per arrivare al dispensario. «Sono un Ashraf(gruppo considerato discendente dal profeta Maomet-to, ndr), quindi non ho problemi per trovare ospitalitàlungo la via – racconta –. Da noi ci sono ambulatori, mami hanno detto che questo è il migliore della regione.Sono già venuto una volta e sono guarito; spero che miaiuteranno di nuovo, se Dio vuole».

La signora Ruqiyo è venuta invece con il nipotinoIman, 2 anni. È di Baidoa e alle 5 del mattino era già difronte al cancello a ritirare il numero. Ha ricevuto il 50.Iman ha febbre e diarrea mista a sangue. Lei è anziana eha molti problemi. «È la prima volta che vengo qui, ma mihanno detto che ti danno medicine buone…». In assenzadi regole, anche la sanità, in Somalia, è diventata puro bu-siness. Le strutture dove la gente viene curata per ciò di cuirealmente soffre sono rare, mentre è comune che un me-dico (o un praticone) prescriva fino a trenta medicine a un

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internazionalesomalia

Riaperto l’ospedale Sos,le suore pregano per tornare…

Mentre a Mogadiscio si combatteva la battagliapiù feroce per il controllo della capitale, sabato21 aprile un gruppo di ribelli armati si è impadronito dell’ospedale dell’organizzazioneaustriaca SOS Kinderdorf, trasportandovi circa200 dei propri feriti. I pazienti erano già fuggitinei giorni precedenti, a causa dell’intensitàdegli scontri: a quel punto sono stati evacuatianche il personale e i bambini del villaggioper orfani. Mercoledì 25 bombe e razzi sonocaduti sull’ospedale, colpendo però solo unreparto in cui si trovavano una ventina di feriti.«Non sappiamo quante persone siano morte»,ha dichiarato Claudio Croce, direttore di SOSKinderdorf per la Somalia. Il giorno seguente,in seguito all’avanzata dei soldati etiopi e governativi, i ribelli si sono ritirati, portandocon sé i propri feriti; nei giorni successivi,la situazione si è normalizzata e il personale,insieme agli orfani, ha potuto far ritornoall’ospedale, che è stato riaperto il 12 maggio.

Dall’inizio della guerra civile è la prima voltache l’ospedale SOS viene coinvolto negli scontri,segno della gravità del conflitto che tra marzo e aprile ha avuto come teatro Mogadiscio.Il “bombardamento indiscriminato” in cui è stato coinvolto l’ospedale è stato condannatodal Consiglio di sicurezza Onu, proprio mentreil sottosegretario agli affari umanitari delle NazioniUnite, John Holmes, ufficializzava che la Somaliaè diventato il paese più pericoloso al mondoper gli operatori umanitari. Peggio di Afghanistan,Darfur e Iraq.

Dal 1991, quando cominciò il conflitto,le Suore missionarie della Consolata operantinella struttura SOS a Mogadiscio hannorappresentato l’unica presenza pubblica continuadi chiesa in Somalia. Costrette a lasciare lacapitale il 17 settembre 2006, giorno dell’omicidiodi suor Leonella Sgorbati, le sue quattro consorelleitaliane (vedi intervista IC 10/06) pregano con fedee pazienza di poter fare ritorno alla propriamissione, al servizio del popolo somalo.

Siccità, inondazioni, colera, profughi: è il tristeelenco delle emergenze che i somali hanno do-vuto affrontare nell’ultimo anno. Ma il peggio èstato la guerra. Il 2006 si era aperto sotto i mi-gliori auspici, con la riconciliazione delle due

fazioni in cui si erano divise le istituzioni federali ditransizione (create in Kenya nel 2004) e la loro riunifi-cazione nella città di Baidoa, 250 chilometri a nord-ovest della capitale Mogadiscio. Poi sono cominciati gliscontri tra l’alleanza dei signori della guerra di Mogadi-scio e le milizie fedeli alla rete delle Corti islamiche: lacompleta vittoria degli islamisti, a giugno 2006, avevafatto sì che il debole governo legittimo, sentendosi mi-nacciato, chiedesse l’aiuto dell’Etiopia, ottenendo l’in-

vio a Baidoa di un contingente militare.Nei mesi successivi, l’Unione europea e parte del-

la comunità internazionale hanno tentato una solu-zione diplomatica, mirando all’inclusione degli isla-misti moderati nelle istituzioni e nel processo di paci-ficazione intersomalo. Le tre sessioni dei colloqui tragoverno e islamisti tenutesi in Sudan, però, non han-no prodotto altro che carta, mentre la tensione sulcampo aumentava. Il governo accusava le Corti di uti-lizzare i colloqui per guadagnare tempo e di persegui-re parallelamente una politica espansionistica, fortidel sostegno popolare guadagnato grazie a un certoordine riportato a Mogadiscio, dopo sedici anni dianarchia. Gli islamisti, dal canto loro, ripetevano di

non essere disposti a trattare con le istituzioni finchéi soldati etiopi non si fossero ritirati.

Tremila morti, poi il coleraLa crisi ha raggiunto il suo apice il 20 dicembre, quan-do ha avuto inizio una vera e propria guerra tra le trup-pe etiopiche, più i pochi soldati del governo, contro lemilizie degli islamisti. In una decina di giorni la supe-riorità militare dell’Etiopia, spalleggiata dagli Usa, haschiacciato le forze delle Corti, mentre i capi islamisti sisono resi irreperibili o hanno cercato asilo in Yemen,Arabia Saudita o Eritrea. Ma fin dall’inizio è stato chia-ro che la vittoria militare non assicurava al governotransitorio somalo né il controllo di Mogadiscio, né

La guerra devasta Mogadiscio,ostacoli all’intervento umanitarioIn primavera i combattimenti più violenti dall’inizio della guerra. Il governoha ripreso il controllo, ma nessuno si illude. Centinaia di migliaia di profughi

VITTIMEPAZIENTI

Sopra, la piccolaSeynab, ferita

alla testa,in braccio

alla giovanemadre. A fianco,Ruqiyo insieme

al nipotino.I bambinisono due

dei tanti malati(30 mila

presenze)rivoltisi

al dispensarioCaritas di Baidoa

nel primo annodi funzionamento

internazionalecasa comune

DIRITTI UMANI,SERVE UNO SFORZO GLOBALE

dono poi che le politiche sull’immi-grazione e quelle indirizzate a con-trastare il terrorismo si mostrino effi-caci senza venir meno al rispetto deidiritti e delle libertà primarie, chehanno eguale valore rispetto alla si-curezza dei cittadini. I deputati, oltrea chiedere la totale proibizione diprodurre ed esportare le “bombe agrappolo”, sottolineano, più in gene-rale, che per battere il terrorismo oc-corrono soprattutto prevenzione deiconflitti, stabilità regionale, promo-zione della giustizia sociale, della de-mocrazia, dell’istruzione.

Giochi e carri armatiNel lungo elenco dei “paesi cattivi” ilposto d’onore è riservato alla Cina,dove si ricorre di regola ai lavori forza-ti per reprimere gli avversari politici,dove mancano libertà di espressionee religiosa. Senza tacere gli episodi re-lativi al traffico di organi. Altro cheGiochi olimpici! Ma la cattiva co-

scienza riguarda pure la Russia (caso-Cecenia, repressionedi manifestazioni pubbliche, situazione nelle forze arma-te, assassinio della giornalista Anna Politowskaja, avvele-namento di Alexander Litvinenko) e la Turchia (libertà direligione mortificata, così come il “pieno godimento deidiritti di proprietà da parte di tutte le comunità religiose”,minoranze isolate, “tragico omicidio” del giornalista HrantDink del gennaio 2007, “che testimonia un crescente na-zionalismo in alcune fasce della società turca”).

Messaggio esplicito, infine, anche per gli Stati Uniti:Guantanamo resta una vergogna, mentre la situazionein Iraq deve volgere alla normalità, perché con i carri ar-mati non si restituiscono democrazia e libertà a un po-polo appena uscito – soprattutto grazie agli americani –da una feroce dittatura.

e fisiche nel vecchio continente enel resto del mondo. Lo fa con ilRapporto annuale sui diritti umani2006, votato a Strasburgo nella ses-sione di fine aprile. L’eurocamera hafatto “nomi e cognomi” degli statiche voltano le spalle alla giustizia:nella “lista nera” sono finiti, comeera facile prevedere, Cina e Coreadel nord, Cuba e Bielorussia (“l’ulti-ma dittatura in Europa”), ma ancheBirmania, Sri Lanka, Darfur, Etiopia,Costa d’Avorio, Senegal, Iran, Uz-bekistan. E non sono state rispar-miate Russia, Turchia, persino gli Stati Uniti.

La relazione stesa dal deputato irlandese Simon Cove-ney sottolinea che “l’Ue è sempre più attiva sulla scena in-ternazionale per il miglioramento globale dei diritti uma-ni e della democrazia”. Ma subito dopo passa a segnalarel’incapacità concreta di far rispettare tali diritti e ricordache nei rapporti politici ed economici con i paesi terzi oc-corre far valere con vigore tale dimensione. L’assoluto ri-spetto delle persone, della loro libertà e dignità va pretesa,a maggior ragione, dai paesi che mirano ad aderire all’Ue.

Il testo si sofferma quindi su alcuni temi specifici. Riaf-ferma che le mutilazioni genitali femminili “sono una vio-lazione del diritto all’integrità fisica”, mentre si moltiplica-no nel mondo “i tentativi di considerare tali mutilazionialla stregua di semplici pratiche mediche”. I deputati chie-

Ok dal parlamentodi Strasburgo

al “Rapporto 2006”.L’Europa compila la lista

degli stati “cattivi”e si impegna anche

a inserire una clausola in tutti gli accordi

che firmerà.Il rispetto dei diritti,

però, resta un problema

di Gianni Borsa inviato agenzia Sir a Bruxelles

Un sì netto, deciso, alla moratoria sulla pena di morte, iniziativa

che il governo italiano sostiene alle Nazioni Unite. Sì a una po-

litica dell’immigrazione rispettosa dei diritti umani. Sì all’in-

clusione di una clausola sui diritti dell’uomo in tutti gli accordi set-

toriali firmati dalla Ue, compresi quelli commerciali, “in modo da in-

coraggiare la protezione dei diritti e delle libertà fondamentali nei

paesi partner”. Il Parlamento europeo torna a denunciare soprusi,

torture, mutilazioni genitali, discriminazioni e violenze psicologiche

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internazionalesomalia

l’immediata possibilità di riportare ordine, stabilità esicurezza nel paese. Tra gennaio e la metà di marzo2007, il presidente Abdullahi Yusuf, investito di poterispeciali, ha tentato invano di mediare con i clan e le fa-zioni che controllavano la capitale. Ma negli ultimi me-si le istituzioni legittime hanno perso gran parte dellapropria popolarità, per varie ragioni: per aver vinto unaguerra contro musulmani somali grazie all’aiuto mili-tare della “cristiana” Etiopia (nemico storico della So-malia) e degli americani; per aver alterato l’equilibriointra-clanico nella distribuzione del potere; per averimposto tasse che hanno fatto impennare i prezzi deigeneri di prima necessità; per aver riportato a Mogadi-scio i vecchi signori della guerra che avevano oppresso

la sua popolazione dal 1991, anno della caduta di SiadBarre e dell’inizio della guerra civile.

Nel frattempo, una risoluzione del Consiglio di sicu-rezza dell’Onu ha autorizzato l’Unione africana a invia-re in Somalia una forza di ottomila soldati; però fino ametà maggio solo 1.700 ugandesi erano giunti a Moga-discio, con una capacità di azione estremamente ridot-ta. Da metà marzo a fine aprile, una violentissima seriedi scontri ha inoltre scosso la capitale: da una parteetiopi e governativi, intenzionati a guadagnare il con-trollo dell’intera città; dall’altra, islamisti e milizianiclanici, risoluti a mantenere le proprie piazzeforti.Questi scontri sono stati i più sanguinosi e distruttiviche la popolazione di Mogadiscio abbia dovuto subiredal 1991: si parla di circa tremila morti e il numero deiferiti è incalcolabile, in una città già in rovina, in cui iservizi sanitari sono pochissimi e spesso inadeguati.Interi quartieri residenziali sono stati distrutti e le vio-lenze hanno provocato uno sfollamento di massa: se-condo l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, quasi400 mila persone hanno lasciato la città, rifugiandosinelle proprie aree tribali o nelle vicinanze della capita-le, dove imperversava il colera.

Disarmo, la questione più spinosaGli aiuti che gli organismi umanitari sono riusciti a vei-colare nelle aree di maggior afflusso sono stati scarsis-simi, tanto che la comunità internazionale ha racco-

mandato ufficialmente algoverno il rispetto dei di-ritti umani e del diritto diaccesso umanitario. Versofine aprile, i combattentiche si opponevano al go-

verno e agli etiopi si sono ritirati. Nessuno si illude,però, che il problema sia risolto.

La questione più spinosa rimane il disarmo dellefazioni e dei clan. Il presidente ha indetto un grandecongresso di pacificazione nazionale, da tenersi a Mo-gadiscio entro l’estate. Abdullahi Yusuf conta di pre-sentarsi all’evento nelle vesti del vincitore, partendoda una posizione di forza politica e militare impensa-bile fino a poco tempo fa. Secondo il proverbio soma-lo, “nessuna parte del corpo può entrare nella capan-na prima della testa”, a sottolineare il rispetto dovutoall’autorità. Ma, come tutti i somali, il presidente co-nosce anche l’altro proverbio: “Un dito, da solo, nonpuò lavare la faccia”...

RISCHIO COLERAUn’anziana donna costrettaa fuggire da Mogadiscio inseguito ai violenti scontri di primavera: gli sfollatiinterni dalla capitalesono stati quasi 400mila

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di Lucilla Buonaguro foto a cura di Caritas Mozambico

Oggi si celebrano i “40 dias”. È la terza ceri-monia dopo che nonna e nipote sono sta-te sepolte nel giardino di quel che restadella casa: una stanza e una sala senza piùtetto né pareti, solo l’asse e il ferro da stiro,che aspettano invano le mani di donnache li hanno abbandonati quando l’esplo-

sione ha colto tutti di sorpresa.Senza radio né televisione, senza energia, senza te-

lefono, quel giovedì pomeriggio nel bairro di Khongolo-te, dall’altra parte della strada nazionale, quel giovedì 22marzo 2007 nonna e nipote potevano solo immaginareil perché di quella pioggia di bombe, granate e proiettiliche cominciava a colorare il cielo. Scappare non erapensabile: scappare dove? Ripararsi dove? Nascondersidove? Sotto gli alberi o dentro casa? Dietro al muro delcortile? Correre per strada?

Non è stato possibile per loro due e non è stato pos-sibile per altre 115 persone, che sono rimaste uccise inmolti bairro della città durante la colossale esplosionedel Paiol de Malhazine, l’arsenale di stato più grande ditutto il Mozambico.

In quel giovedì pomeriggio, per quattro ore ventitonnellate tra armi, proiettili e altri congegni esplosiviimpazziti hanno riempito il cielo di Maputo con unamacabra coreografia di fuochi d’artificio. Della causa diquesta mattanza si parla e non si parla. C’è la voce uffi-ciale della commissione d’inchiesta voluta dal presi-dente della repubblica, Armando Emilio Guebusa. Poivoci ufficiose. E ancora sussurri di corridoio.

Secondo la relazione finale della commissione d’in-chiesta, presentata al presidente Guebusa il 7 aprile, lacombinazione di cattiva manutenzione, fattori climati-ci, vetustà degli armamenti ed errori umani sembra es-sere tra le cause più probabili dell’esplosione. Una ver-sione che conferma le parole pronunciate dal ministrodella difesa, Tobias Dai, il giorno dopo la tragedia. Cheinsiste su negligenze generiche. Niente nomi né voltidei colpevoli: la responsabilità dell’accaduto, di unquantomeno colposo bombardamento massiccio e le-tale, è stata talmente ripartita e frazionata da non averequasi più peso. Le esplosioni hanno prodotto un urtotremendo, ma le cause sono quasi inesistenti, volatili.

Gli interrogativi, però, rimangono sospesi sui volti del-le persone: ci vorrebbe una spiegazione più popolare, piùconcreta, per riuscire a consolare figli e nipoti rimasti or-

fani, chi ha perso la casa, chi è rimasto ferito. Ci vorrebbequalcosa di più della notizia che gli ordigni avrebbero do-vuto essere distrutti anni e anni fa, che avrebbero dovutoessere controllati periodicamente, che l’arsenale avrebbedovuto essere trasferito in un luogo meno popoloso già damolto tempo. Ci vorrebbe un perché. Nessuno, però, chie-de giustizia per un disastro che si poteva evitare, nessunomanifesta per strada, pochi reclamano, si lamentano, ur-lano. Solo la stampa indipendente, qualche personaggioinfluente, che non avrà ripercussioni per le parole scomo-de pronunciate, e i politici dell’opposizione, che si posso-no permettere di usare l’accaduto a loro favore, tengonocaldo l’argomento. Ma la gente dei quartieri più colpiti, lagente di Malhazine, Benefica, Khongolote, Mavalane eLaulane, quella no, non si sente, non strepita, non mani-festa. Circolo vizioso molto africano: l’irresponsabilità po-litica (e morale) di chi ha lasciato che il disastro accadessesi fa scudo dell’opacità del potere, e l’impunità si nutredella paura dell’opinione pubblica, poco allenata a eserci-tare la sovranità che le leggi le riconoscono e a pretenderela trasparenza che le spetta.

Vittorino, la moglie e la sedia a rotelleSembra che all’ospedale centrale quel giovedì notte ci

fosse una folla di gente indomabile, feriti di ogni sorta,moribondi, bambini, anziani, ragazzi. Vittorino l’avevanorimandato a casa perché non era tanto grave da occupa-re un posto in corsia. Oggi, che nell’abitazione di fronte sicelebrano i “40 dias”, lui se ne sta sdraiato sulla stuoia,con le sue piaghe da decubito, paraplegico. Sua moglie esua madre ascoltano le parole di un vicino di casa che dàlezioni di diritto: «È un suo diritto avere la sedia a rotelle,gliel’avevano promessa. Tu domani vai all’ospedale conquesto foglietto giallo e dici loro che tuo marito ha biso-gno della sedia a rotelle e non te ne vai fino a quando nonte la danno. Il governo tramite un’organizzazione ne ave-va messe a disposizione una per ogni malato. Devi an-dartela a prendere prima che se la vendano. Hai capito?».La moglie, non più di 30 anni e tre figli, guarda in basso,studia centimetro per centimetro il pavimento di cemen-to grigio: non ha mai fatto il capofamiglia.

All’ospedale Vittorino è stato dimesso senza nean-che una pillola di analgesico da portare a casa e adessoi dolori si fanno fortissimi e il gruzzoletto di soldi messoda parte quando ancora poteva lavorare sta finendo. Lefamiglie colpite dall’esplosione sono circa un migliaio. Ilgoverno ha creato un gabinetto per la ricostruzione e lariabilitazione dei beni danneggiati e per la copertura dei

internazionalemozambico

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Il 22 marzo è esploso, nella capitale del Mozambico, il più grande arsenale del paese. Interi quartieri colpiti, oltre cento le vittime. Ma la vicenda rischia di risolversi nell’impunità. Mentre molti soffrono pesanti conseguenze

PIOGGIA DI FUOCOImmagini sfocate,ma drammatiche:una nuvola di fumoall’orizzonte, proiettilisulle teste deipassanti, molti dei qualicadono colpiti e feriti

BOMBE SOPRA MAPUTO,MASSACRO SENZA COLPE

danni subiti dai cittadini. A 750 famiglie sono stati distri-buiti kit di prodotti alimentari e tende a chi non ha più untetto sulla testa. Il rilevamento dei danni è stato condottoda gruppi di persone composti dalle autorità dei variquartieri e da alcuni studenti universitari.

Il governo si incaricherà della ricostruzione delle ca-se andate completamente distrutte: ne sono state censi-te 67. Ma sui tempi della riabilitazione nessuno diceniente. Nelle tende si aspetta un segno, che qualcuno ar-rivi con i sacchi di cemento e i mattoni, ma non si vedenessuno in cammino e probabilmente ci sarà ancoramolto da aspettare. Lasciare la tenda e cercare di ripara-re i danni accettando l’aiuto di altri vorrebbe dire rinun-ciare all’indennizzo statale, oltre che sollevare il governodalle sue responsabilità.

Come detto, il primo rilevamento dei danni è stato affi-dato agli chefes de quartierão, i responsabili di isolato, inca-ricati di compilare le liste delle famiglie colpite. Ma si sa chemeno hai, meno la tua voce si sente e meno probabilità haidi finire sulla lista. Così ci sono famiglie rimaste “sommer-se”, non rientrate nei dati ufficiali. E ci sono persone chehanno perso il posto di lavoro perché la loro impresa è an-data distrutta, bambini che hanno perso la loro scuola emalati che hanno visto crollare il tetto del loro ospedale.

La traversata di suor BelemSuor Belem, spagnola, donna piccola e solida, quel gio-vedì pomeriggio abbracciava forte i bambini della scuolae cercava di improvvisare un Padre Nostro sotto le bombe.Racconta che quelli che non sapevano pregare, bambini

di quattro, cinque anni, si metteva-no le mani giunte al petto e implo-ravano Dio. Lei dice che con un po’d’incoscienza non ha avuto paura esapeva che a lei e ai bimbi e alle sueconsorelle non sarebbe successo

nulla. Con la stessa incoscienza ha attraversato il cortiledella scuola dove la mattina dopo avrebbe contato dodicicarcasse di ordigni. È stata schivata da uno di questi: le haaccarezzato il fianco sinistro, mentre la ragazza che cam-minava per mano con lei è caduta per terra per lo sposta-mento d’aria.

Dietro Suor Belem interviene un’altra suora: più gio-vane e meno coraggiosa, dice di aver avuto paura, di averpensato in quegli attimi a tutte le spiegazioni possibili, aun sabotaggio, a una nuova guerra, a un piano per elimi-nare le infrastrutture della città per chissà quale motivo,le scuole, l’ospedale psichiatrico, la casa di accoglienzaper anziani…

Al sabotaggio in effetti hanno pensato in molti e inmolti continuano a pensarci, nonostante la relazione del-la commissione d’inchiesta. Sulla stampa indipendentec’è chi è stato in grado di fare un’ipotesi dettagliata e vero-simile dell’accaduto, fondata sull’idea di un furto di mer-curio destinato al traffico internazionale. Si dice che ungruppo di persone “autorizzato”, quindi spalleggiato dalpersonale di guardia, si fosse introdotto la mattina del 22per compiere il furto e che nell’estrazione del mercurio sisia innescata l’esplosione. Il ministero della difesa hasmentito, dicendo che i militari di guardia quella mattina

sono rimasti tutti uccisi. C’è chi, però, giura di aver visto incarne e ossa, il giorno dopo l’esplosione, le guardie cheerano in servizio al deposito.

Il sangue della protestaLe contraddizioni, le domande, le versioni dei fatti sonomolte e differenti. L’unica costante sono i 115 morti e glioltre 500 feriti. Lo sdegno e l’incredulità, come detto, re-stano muti. La protesta è più che altro silenziosa, fatta digesti di piccola solidarietà di cui il governo fortunata-mente non riuscirà ad attribuirsi la paternità. La protestasono le persone in coda all’ospedale centrale per donareil sangue, i sacchi di riso raccolti per chi non ha più nien-te, le visite in casa il sabato pomeriggio per dare confor-to ai vicini, le braccia robuste di alcuni volontari armatidi chiodi e martello.

Solo nei giorni tra il Giovedì santo e la Pasqua, nelleparrocchie dell’arcidiocesi di Maputo sono stati donatiper le vittime dell’arsenale tremila chili di prodotti ali-mentari e venti sacchi di vestiti: non poco, in un paese an-cora molto povero. La Caritas diocesana di Maputo, insie-me con un gruppo di volontari della parrocchia del quar-tiere Benefica, uno dei più colpiti, dopo aver condotto unrilevamento delle famiglie della zona che versano in con-dizioni più gravi, sta procedendo alla distribuzione deiprodotti raccolti, con l’intento non solo di dare un appog-gio materiale e di aiutare nella ricostruzione delle case,ma soprattutto di invitare la comunità alla solidarietà e disensibilizzare la società sull’accaduto, perché certe negli-genze non si ripetano.

Forse una tragedia così poteva accadere ovunque. Mala differenza è che qui non si può parlare del dramma diuna comunità. È una tragedia piovuta dall’alto, causatadalle mancanze e dalle negligenze di chi della comunitànon fa parte, ma ci sta in cima. Adesso però non resta chericostruire e ricominciare. I bambini di una scuola l’altrogiorno sono scappati in cortile urlanti. Era un tuono, conun rumore di bomba. Poi, per fortuna, non sono cadutiproiettili, ma solo la pioggia. Sarà dura rimuovere le ma-cerie interiori, più di quelle materiali. Nella speranza, sivedrà quanto fondata, che la certezza del diritto dia unamano, bisognerà affidarsi alla grande risorsa che ancorafermenta nei quartieri di Maputo: la forza della condivi-sione, che diventa aiuto e coscienza.

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internazionale

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mozambico

Caritas Italiana collabora attivamente con la chiesa locale, e in particolare con Caritas Mozambico,in tre diocesi del paese (Maputo, Inhambane e Quelimane) dai tempi dell’emergenza causata dalle rovinose alluvioni che colpirono la parte meridionale. Era il 2000: Caritas Italianaha sostenuto la fase di ricostruzione post-emergenza e in un secondo momento percorsi e progetti di svilupposociale ed economico, impegnando più di 2 milioni di euro.

Storicamente vicina alle cinque comunità della parocchiaNossa Senhora Apareçida di Mavalane (nella periferia urbanadi Maputo), tra le più colpite dall’esplosione di marzo, CaritasItaliana ha risposto immediatamente all’appello del parroco, nel tentativo di affrontare i bisogni delle famiglie più colpite.Nell’arcidiocesi di Maputo Caritas Italiana è impegnatafin dal 2003 e affianca la Caritas diocesana per consentirledi centrare due obiettivi: il miglioramento delle capacitàdi analisi e progettazione in campo sociale, attraversol’attivazione di dinamiche di formazione permanente di parroci,seminaristi e laici; la diffusione della cultura e della pratica delmicrocredito nelle comunità parrocchiali, attraverso il progettocondotto dall’associazione diocesana Phambeni Makwero.

Nel 2007 continua l’appoggio al neocostituito Dipartimentodi azione sociale, coordinamento di sei commissioni diocesane(Caritas, giustizia e pace, educazione, salute, mezzi di comunicazione sociale, rifugiati e migranti), attraverso un programma di formazione. È inoltre in fase di avvioun gemellaggio con la Caritas diocesana di Roma,concretizzatosi nella presenza, a Maputo, di un operatore etre giovani in servizio civile italiani. Continua anche il sostegnoall’associazione di microcredito, che opera in sette parrocchiee raggiunge ormai più di 1.400 beneficiari tra le categoriepiù disagiate, soprattutto donne (in particolare vedove eragazze madri), rifugiati e giovani disoccupati.

L’IMPEGNO CARITAS

MORTE DAL CIELOScene di paurae dolore in strada,il “fungo” del bottosi leva in aria,un campo di tendeper senza-casa

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ono arrivati da tutto il mondo. Una delegazione prestigiosa, composta dai cardinali OscarAndrés Rodríguez Maradiaga (Honduras) e Keith Michael Patrick O’Brien (Regno Unito),dagli arcivescovi John Olorunfemi Onaiyekan (Nigeria), Vincent Michael Concessao (In-dia), Laurent Monsengwo Pasinya (Congo) e Werner Thissen (Germania), dai vescoviFrank J. Dewane (Usa), Arrigo Miglio (Italia) e Marc Stenger (Francia), accompagnati dalaici di organizzazioni non governative cattoliche. A Roma, dopo le tappe di Londra e Ber-lino, dal 28 aprile al 5 maggio hanno seguito una fitta agenda di appuntamenti e dibatti-

ti, incontrando le più alte autorità ecclesiali (il presidente della Cei, monsignor Angelo Bagnasco) epolitiche (il presidente del consiglio, Romano Prodi). Il programma si è concluso in Vaticano, conun’udienza da papa Benedetto XVI. La delegazione aveva lo scopo di rafforzare il messaggio dellacampagna internazionale “Make aid work. The world can’t wait” (titolo italiano: “I poveri non pos-

sono aspettare”), coordinata a livello globale da Cidse eCaritas Internationalis e rilanciata, nel nostro paese, daCaritas Italiana e Volontari nel mondo - Focsiv, insieme adaltre sedici organizzazioni cattoliche. Il messaggio è nellostesso tempo drammatico e ficcante: “Prima che sia trop-po tardi” (è lo slogan della campagna) i governi devonodare attuazione alle promesse fatte in sede Onu in materiadi lotta alla povertà, per centrare, nel 2015, gli Obiettivi fis-sati dalla Dichiarazione del millennio nel 2000.

La visita è stata l’occasione anche per chiarire le richie-ste che la rete Caritas-Cidse presenterà ai capi di governodegli otto stati più ricchi del mondo al vertice G8 in pro-

internazionaleobiettivi del millennioguerre alla finestra

CONTENUTI, IDEE, GIOCHI:NASCE IL KIT PER RICONCILIARE

troverà un serie di link a contenuti(articoli, saggi, libri), sulla destra linkad attività (giochi per formazione).

Un lavoro appena cominciatoNel portale, oltre al Rk sulla negozia-zione, saranno disponibili materialisulla nonviolenza e sull’interazionefra cooperazione e conflitto. In più,l’utente potrà trovare altri strumentiper costruire e facilitare processi for-mativi: attività per processare conte-nuti (giochi che permettono ai forma-tori di introdurre nuovi contenuti,senza basarsi solo sulla lezione); gio-chi per cominciare, vivacizzare o con-cludere una sessione formativa; stru-menti per la valutazione di un’espe-rienza formativa. Altri kit sono in pro-duzione o pianificati: advocacy, ap-proccio basato sui diritti, mediazione,informazione, media e conflitti.

I Rk contengono al momento ol-tre 300 pagine di risorse apposita-mente costruite. E si tratta di un lavo-

ro appena cominciato. Caritas Internationalis pensa checreare una spazio accessibile, in cui può avvenire unoscambio di conoscenza, sia più importante che sviluppa-re risorse per i propri membri e altri soggetti interessati.Per questo motivo, a tutti gli utenti si chiederà di parteci-pare. Mudiua potrà aggiungere nuovi contenuti, offrireversioni alternative dei giochi presenti, suggerire nuovigiochi. Potrà lasciare il proprio indirizzo come autrice deicambiamenti e, di conseguenza, essere contattata da altri.I modelli più sviluppati di questo modo partecipato di svi-luppo della conoscenza, in internet, prendono il prefissodi “wiki” (l’esempio forse più popolare è l’enciclopediaWikipedia). Una conoscenza non solo fruita, ma anchescambiata e cambiata: un passo avanti, verso pratiche mi-gliori (e condivise) di costruzione della pace.

Promuovere riconciliazione. Investire su pratiche di cambiamento

sociale e gestione dei conflitti. E su operatori preparati per occu-

parsene. Dopo avere pubblicato, nel 1999 e 2002, due manuali su ri-

conciliazione e peacebuilding, Caritas Internationalis rinnova l’impegno

al servizio di 162 Caritas nazionali e delle migliaia di operatori impegnati

sul campo, dando vita a un nuovo strumento. Non un manuale né un li-

bro. Piuttosto, “un bacino di risorse” per formatori, facilitatori e operatori

impegnati in aree di conflitto e in generale per la costruzione della pace.

Lo strumento (Resource Kit forPeace Builders, Kit di risorse per icostruttori di pace) sarà presentatoa Roma ai primi di giugno all’as-semblea generale dell’organismo(che dovrà rinnovare anche le cari-che) e costituisce un modo nuovo distrutturare risorse formative. Essesaranno disponibili sulla rete inter-net, accessibili a chiunque dal por-tale di Caritas Internationalis(www.caritas.org). Un Resource Kit(Rk) è uno strumento web che con-sente una navigazione alla ricerca dicontenuti, processi e attività (giochi) utilizzabili da unformatore nel proprio lavoro: non un manuale, piutto-sto una cassettina degli attrezzi, dove al posto di caccia-vite, martello e chiave inglese ci sono articoli, saggi, librie – soprattutto – attività e processi per formazione.

Un esempio, per capire: Mudiua, formatrice sudafri-cana, intende dare vita a un workshop sulla negoziazio-ne. Attraverso il portale di Caritas Internationalis acce-derà all’area con le risorse e selezionerà il tema che le in-teressa; una pagina introduttiva le permetterà di orien-tarsi attraverso vari moduli: cooperazione e competizio-ne; contrattare e negoziare; la negoziazione per principi,ecc. I gruppi che Mudiua segue sono interessati a lavora-re su cooperazione e competizione: Mudiua cliccheràsul primo modulo e, dopo un’introduzione, sulla sinistra

Tessere dialogo e pace all’internodi contesti sociali

lacerati dai conflitti.In molti si dedicanoa questo impegno:

Caritas Internationalispropone un innovativo

portale internetper scambiare risorse,conoscenze e pratiche

internazionale

di Michele Cesari

AIUTO IN RITARDO, I POVERINON POSSONO ASPETTARE

di Roberta Dragonetti

Entra nel vivo la campagnainternazionale contro la povertàpromossa dalla rete Caritas.Delegazione di cardinali e vescovia Roma: appello alle responsabilitàdi politici e cittadini. A iniziogiugno le richieste presentate al G8

S

VERSO IL G8La conferenza stampa

tenuta a Roma dalladelegazione ecclesiale

BUSINESS VERDE,CHI GUIDA LA GUERRA DEL CLIMA?

Terrorismo, parola magicaIl rapporto (pubblicato dal “Centroper le analisi navali”, think tank fi-nanziato dal governo americano) ri-leva che l’effetto serra potrebbe de-stabilizzare ulteriormente paesiafricani e asiatici e innescare un’e-migrazione di massa verso i paesiricchi. La maggior preoccupazioneva rubricata sotto il concetto di “ter-rorismo”, parola magica in grado dispostare denaro a velocità elevate eindirizzare gli investimenti sui mer-cati globali. In effetti al Pentagono ealla Casa Bianca quando gli esperti siincontrano per discutere di terrori-smo, ha rivelato recentemente il Wa-shington Post, sempre più spesso sisente dire che le cose peggiorano acausa dei cambiamenti climatici.

Alla stesura del Rapporto hannocollaborato alcuni dei più brillantigenerali dell’amministrazione Usa.Lo studio afferma che alcuni perico-losi conflitti regionali, dalla Somaliaal Darfur, sono stati scatenati dalla

mancanza di risorse e il riscaldamento della terra nonfarà che peggiorare le situazioni. Così l’effetto serra vie-ne equiparato a una minaccia militare. Ma c’è dell’altro,forse la vera ragione del rapporto: viene enfatizzata laminaccia che alle basi militari Usa nel mondo può deri-vare dall’aumento della temperatura globale. Viene ci-tato l’esempio della base di Diego Garcia, isola dell’o-ceano Indiano alta solo pochi metri sul livello del mare,la più importante “portaerei” degli Stati Uniti, piena disuperbombardieri in grado di raggiungere in un batti-baleno le aree più “calde” del mondo. I generali temonoche possa finire sott’acqua a causa del riscaldamentodei ghiacciai ai poli. Chi prenderà in mano la geopoliti-ca dell’ambiente e guiderà la guerra del clima?

Il clima è un bel business e l’economia verde comincia a correre agonfie vele. L’ambiente fa schizzare in alto gli incassi pubblicitari nelmondo ricco. Anche le relazioni economiche e il commercio globali

cominciano a misurare i profitti della gestione del rischio ambientale.L’accumulazione di risorse, insomma, passa anche attraverso le politichedi educazione al rispetto della natura. L’effetto serra può rivelarsi non so-lo un tegola sulla testa dell’industria, ma un buon investimento, in pro-spettiva una straordinaria nuova dinamica del capitalismo. Di cui, natu-ralmente, a fare le spese saranno i paesi poveri: non è economico dotarele inquinatissime città africane di attività ecologiche innovative.

L’ambiente è l’ultimo potenteincentivo per gli imprenditori glo-bali, militari compresi, a investire eaccumulare ricchezza. Il tema ècruciale e il passaggio economicoaltrettanto, perché sta nascendo unmercato oligopolitistico della stra-tegia verde. Se verso fine Ottocentole grandi potenze lottarono tra loroper le posizioni di comando nellaproduzione di massa, all’inizio delventunesimo secolo la battaglia sista dislocando sulle produzioni hi-gh tech in grado di imporre una supremazia globalenelle produzioni cosiddette eco-campatibili. L’impor-tanza del fattore “clima”, che è poi un modo di dire persemplificare, è resa evidente anche dal fatto che si èmossa l’industria militare. Alla vigilia del primo incon-tro sul cambiamento del clima organizzato, pochi me-si fa, dalle Nazioni Unite, gli apparati militari statuni-tensi hanno sostenuto, in un dossier strabiliante, che ilriscaldamento globale è una minaccia potenziale allasicurezza degli Stati Uniti. Così l’industria del businessverde si svilupperà ancora più veloce. D’altronde ilmondo ricco si muove solo quando sente in pericolo lapropria stabilità, non perché anche il resto della popo-lazione mondiale ha diritto al futuro.

contrappunto

L’ambiente è un fattoresempre più cruciale

dell’economiamondiale. Un rapportodelle forze armate Usa

descrivei cambiamenti climatici

come minacciaalla sicurezza.

Ma a prevalere non sonogli interessi dei poveri…

di Alberto Bobbio

internazionale

gramma ad Heiligendam, in Germania, dal 6 all’8 giugno,e che si concentrerà soprattutto sull’emergenza climaticae sulla situazione dell’Africa. Tali richieste sintetizzano ildocumento politico della campagna (i materiali sono sca-ricabili dal sito www.primachesiatroppotardi.it) e ribadi-scono la preoccupazione per i ritardi nel raggiungimentodegli impegni per l’aiuto allo sviluppo.

Cardinali, vescovi e laici membri della delegazionehanno affermato con forza l’urgenza di un’assunzione re-ciproca di responsabilità. «Facciamo appello ai governi delG8, affinché (…) adottino le necessarie scelte politiche,non solo per raggiungere la crescita economica ma peruno sviluppo integrale dell’uomo nella solidarietà univer-sale. I governi del G8 non hanno alcun mandato democra-tico per la governance globale. Tutta-via dalle loro decisioni derivano con-seguenze per la vita di milioni di per-sone. Per questo motivo ci appellia-mo a loro: assumetevi le vostre re-sponsabilità per lo sviluppo umano eper la solidarietà universale». Sono se-guite richieste concrete: in tema diaiuti allo sviluppo, perché si manten-gano gli impegni e si cerchino nuoverisorse da destinare alla cooperazio-ne; in materia di cancellazione del de-bito, affinché si elaborino nuove stra-tegie per risolvere la crisi dei paesi piùpoveri; infine, perché si potenzino lalotta alla corruzione nella gestionedegli aiuti e la promozione della tra-sparenza economica e finanziaria.

Italia, ultima in classificaSe il mondo è in ritardo, l’Italia merita un discorso a parte.È infatti il paese più in ritardo rispetto all’obiettivo di de-stinare lo 0,7% del Pil agli aiuti allo sviluppo. Il presidentedel consiglio Prodi, rispondendo all’osservazione rivoltagliin proposito dal cardinale Maradiaga, ha assicurato chenel breve periodo sarà raggiunta la quota di aiuti decisa inpassato. Tale dichiarazione fa sperare in un cambio di rot-ta, ma è spontaneo chiedersi come e quando ciò avverrà:l’aiuto per lo sviluppo in Italia è fermo allo 0,2% del Pil,meno di un terzo di quanto stabilito. Il nostro paese, inol-tre, è ancora insolvente nei confronti del Fondo globaleistituito per la lotta ad aids, tubercolosi e malaria: un ritar-do nel versamento delle quote che pesa sulla credibilitàitaliana in ambito internazionale. L’applicazione della leg-

ge sulla cancellazione del debito, infine, non procede allavelocità prevista e a proposito di lotta alla corruzione l’Ita-lia è l’unico paese europeo a non aver ancora sottoscrittola convenzione redatta dall’Onu in materia.

L’aiuto allo sviluppo è un dovere morale e di giustizia,ma assume un’importanza fondamentale anche nella pre-venzione dei conflitti. Papa Paolo VI nell’enciclica Populo-rum Progressio illustrava a tutti i cristiani, 40 anni fa, il le-game imprescindibile tra sviluppo e pace: oggi il nesso trapovertà e guerra appare sempre più stretto. Tutto ciò,mentre non accenna a diminuire la spesa militare globale:essa ha drenato risorse per oltre 800 miliardi di dollari nel2006, mentre gli aiuti allo sviluppo hanno raggiunto un to-tale di 75 miliardi, meno di dieci volte meno.

Questo stato di cose «ci porta adomandarci – ha affermato la delega-zione nella dichiarazione finale – se ilmodello prevalente di una crescitaeconomica che opera senza riferi-mento al bene comune e al benesseredegli esseri umani sia destinato a fun-zionare. Se la crescita non è moderatada scelte politiche ispirate a chiari va-lori etici, ci troveremo dinanzi a unmondo sempre più polarizzato, in cuil’umanità è divisa in “vincenti” e “per-denti”. La nostra fede ci porta a richie-dere un modello di crescita economi-ca e di globalizzazione che incorpori ivalori di solidarietà, mutuo rispetto emutuo sostegno».

Caritas Italiana continuerà a se-guire le azioni previste dalla campagna “Prima che siatroppo tardi”, stimolando e accompagnando le attivitàformative promosse a livello regionale, diocesano e par-rocchiale della rete Caritas, in sinergia con le altre realtàaderenti alla campagna (Acli, Apg XXIII, Azione Cattoli-ca Italiana, Cimi, Cisl, Coldiretti, Cvx, Fesmi, Gioc, Ma-sci, Mcl, Mgs, Mrc, Ofs d'Italia, Pax Christi, Uciim). L’in-tenzione è contribuire in modo efficace alla riflessionesugli stili di vita individuali, familiari e comunitari, per-ché l’inversione di rotta sollecitata a livello politico edeconomico trovi corrispondenza nel modo di vivere e direlazionarsi di ogni fedele e cittadino. «Vivere con sem-plicità, perchè gli altri possano semplicemente vivere»:è il messaggio rivolto dall’arcivescovo Onaiyekan ai pae-si ricchi e ai ricchi dei paesi poveri. Non c’è davveromolto da chiarire, né da aggiungere.

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internazionaleobiettivi del millennio

ITALIA, DATTI UNA MOSSA!L’appello della campagna consegnatoal presidente del consiglio Prodi

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agenda territori

GENOVA

Violenti si nasce?Confronto e progettia “Mondo in Pace”

Una vera e propria “fiera pedagogica”sul tema dell’educazione alla pace,un’occasione per chiamare a raccolta le realtà (associazioni, ong, cooperative,scuole) che in campo educativo e formativo si occupano di pace. Uno spazio dove presentare progetti e metodi, confrontare buone prassi e ricercare collaborazioni. Un’occasioneper la cittadinanza, infine, per rifletteresu cosa significa educare le giovanigenerazioni a costruire un mondo

in pace. Questo e molto altro è “Mondoin Pace. La fiera dell’educazione allapace”, la cui terza edizione si è svoltasu iniziativa del Laboratorio permanentedi educazione alla pace della Caritas di Genova dal 16 al 19 maggio, allaLoggia della mercanzia, nel centro del capoluogo ligure. Il “tema focus” di quest’anno è stato “Violenti si nasceo si diventa? L’educazione si interroga”:è stato sviluppato attraverso l’esposizione“Mondo in Pace”, laboratori ed eventi,ma anche il sito www.mondoinpace.it,fiera virtuale permanente, portale a servizio dell’educazione alla pace nel territorio, da cui scaricare notizie e materiali. All’iniziativa hannopartecipato centinaia di persone.

PISA

Studenti e razzismo,ricerca per capirela “distanza sociale”

Gli immigrati? “Hanno diritto di vivere in Italia, ma devono adattarsi al nostrostile di vita”. È la sintesi di una ricerca

ANDRIA

Tratta, alla ricerca di Nuovi Orizzontiper le vittime (“clienti” compresi)

Un’accurata indagine. Svolta su 524 persone del territorio. E presentata a fine aprile. La Caritas diocesana di Andria ha analizzato il grado di conoscenza che il territorio manifesta a proposito di prostituzione e tratta.L’indagine è stata sottoposta alle autorità e agli operatori sociali. Ma serviràsoprattutto come base di conoscenza, e strumento di orientamento del proprio lavoro, agli operatori e ai volontari del progetto Nuovi Orizzonti,avviato dalla stessa Caritas pugliese l’anno scorso. Il progetto nascedall’urgenza di rispondere alla richiesta d’aiuto delle donne vittime di tratta o di violenza, per le quali è vitale l’allontanamento dai luoghi di frequentazione abituale. Il progetto assicura alle vittime di tratta e sfruttamento sessuale pronta accoglienza in strutture protette, garantendosostegno medico-psicologico e assistenza giuridico-legale; seguel’accompagnamento all’autonomia attraverso l’inserimento lavorativo,l’accesso ai servizi del territorio e la prevenzione sanitaria. Nuovi Orizzonti ha tra i suoi obiettivi anche un’attività di formazione e sensibilizzazione rivoltasoprattutto ai giovani (potenziali “clienti”, altrettanto vittime del fenomeno).La ricerca si spiega anche in questa prospettiva: i dati che emergonoconsentiranno, per esempio, di articolare meglio il percorso di educazioneall’affettività che la Caritas propone e attua in alcune scuole di Andria.

BOLZANO-BRESSANONE

Corso per qualificareil lavoro di “badante”:successo, si replica

Il lavoro delle “badanti”? Può diventareprofessionale. Il centro di primaaccoglienza per immigrati “Don ToninoBello” di Merano, gestito dalla

FondazioneOdar per contodella Caritasdiocesana e in convenzionecon il comune

di Merano, ha consegnato a maggio gli attestati di frequenza del primo corsodi formazione, rivolto a 29 donneextracomunitarie (nella foto) che svolgonola professione di “badante” in città. Il percorso (50 ore da ottobre ad aprile,

uno dei primi in Alto Adige) ha unitointegrazione e professionalità. Leiscritte provenivano per la maggior partedai paesi dell’Europa orientale: Ucraina,Polonia, Russia, Moldavia, Romania, conl’aggiunta di Albania e Ghana. Oggettodi insegnamento, aspetti pratici e teoricidel servizio di “badante”: relazione conl’anziano, elementi di igiene e sicurezza,mobilità assistita alla persona anziana,assistenza psicologica all’assistito e sostegno psicologico alle badanti, ma anche orientamento alla rete deiservizi provinciali, contratti e leggi fiscali,leggi sull’immigrazione. Le partecipantihanno chiesto di poter continuare a seguire corsi di formazione e approfondimento. In autunno, nuova edizione: l’obiettivo è trasformarel’esperimento in un vero e proprio corsoprofessionale, con diploma riconosciuto.

Fino a due mesi fa Concetta, Elena, Gennaro e un centinaio di altri anziani del perifericoquartiere Casacelle di Giugliano (Na) trascorrevanole loro lunghe giornate da soli, nelle loro case.Oggi invece, grazie al progetto “Comunità solidale”della Caritas diocesana di Aversa, finanziato con i fondi Cei otto per mille e con il contributodell’assessorato alle politiche sociali del comune,si incontrano nel nuovo centro sociale “PadreKolbe”. Nel centro, gestito dalla parrocchia San Massimiliano Kolbe, un gruppo di operatori e volontari assicura lo svolgimento di una serie

di attività gratuite (vedi foto): si può vedere la tv e giocare a biliardo,partecipare a tornei di carte, scacchi, giochi di società, o ancora a visiteguidate ed escursioni, persino a un corso di cucina e a uno di ginnasticadolce; nel centro opera inoltre un servizio di sostegno sia psicologico che sociologico ed è attivo uno sportello di segretariato sociale curato dai servizi sociali del comune.

Gli anziani hanno mostrato grande disponibilità nei confronti della struttura. Non solo la frequentano, ma spontaneamente fanno a garanel regalare qualcosa di loro: quadri, stampe, una raccolta di trenta dvd sui beni culturali di Napoli, libri, ceramiche. In occasione della giornata della donna, l’8 marzo, hanno organizzato una festicciola portando tutti un dolce, un rustico o una pizza; sono sorti spontanei un gruppo che si dedica a lavori di decoupage e un altro a lavori a uncinetto. I responsabilidel centro raccolgono i suggerimenti degli anziani in vista di altre attività: il corso per computer e il servizio di rilevazione della pressione arteriosasono iniziati così. Prossimamente potrebbe essere avviata la rilevazionegratuita della curva audiometrica e in futuro un servizio di assistenza fiscale.

Agar accoglie donne in difficoltàIl progetto “Comunità solidale” ha consentito, da parte della Caritasdiocesana, anche di consolidare il centro residenziale “Agar”, nel qualetrovano accoglienza temporanea donne in difficoltà, sia italiane che immigrate, con o senza bambini. Il progetto prevede attività (tra cui un corso di cucito e un laboratorio di ceramica, curati da operatori e volontari),che tendono a favorire l’autonomia anche economica delle ospiti e il lororeinserimento sociale. Anche Agar vede operare uno sportello di segretariatosociale curato dai servizi sociali comunali, un centro di ascolto (con un mediatore culturale) e un servizio di sostegno psicologico e sociologico.

ottoxmillesvolta da Caritas Pisa sulla diffusionedel razzismo nelle scuole dellaprovincia. L’indagine ha coinvolto 432alunni italiani in cinque istituti superiori.Il 48% degli intervistati si è detto nond’accordo – il 18% in modo netto – conl’affermazione secondo cui gli immigratinon hanno diritto a vivere in Italia, ma il 18% concorda (“molto d’accordo”il 16%). L’80% degli studenti pisaniritiene che gli immigrati che vivono in Italia debbano adattarsi al nostrostile di vita e l’86% che gli immigratipossano mantenere il loro stile di vitafino a che non minaccia il nostro; un buon 44% pensa comunque che avere rapporti con le popolazionistraniere sia un arricchimento per il popolo italiano, mentre il 45% circanon condivide l’affermazione. Il 64%pensa che gli immigrati stianochiedendo troppo al resto della societàe, coerentemente, il 71% dei ragazzinon crede che negli ultimi anni gliimmigrati abbiano avuto meno di quelloche meritavano. Per avere un’idea della“distanza sociale” tra studenti italiani e non, è stato chiesto anche quantofarebbe piacere avere come compagni

di classe moltistudenti tedeschi,marocchini,albanesi,senegalesi: lepreferenze maggiori

vanno a senegalesi e tedeschi (circa51%), seguono i marocchini (31%), più distanziati gli albanesi (19% circa).Otto domande infine sono state utilizzate per costruire una “scala di xenofobia”:è emerso che essa è piuttosto diffusa,senza differenze sostanziali tra ragazzie ragazze e senza che lo status socialeincida in modo rilevante; averecompagni di classe stranieri incrementamolto il livello di xenofobia espressa,ma chi ha una vita sociale attiva riportapunteggi più bassi. [redattore sociale]

di Raffaele Nicotra

Insieme si vince la solitudine,a Giugliano anziani protagonisti

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agenda territori

GROSSETO

Senza dimora,oltre 800 accoltidalla nuova Agenzia

Andare incontro al disagio delle personesenza dimora: “Agenzia di cittadinanza”,progetto sperimentale finanziato dal locale Centro servizi al volontariato,è stato promosso dalle associazioni di volontariato di Grosseto (tra cui la Caritas diocesana) in collaborazionecon comune, provincia e consorzioCoeso. I risultati del progetto sono statiraccolti nel libro Diritti che migrano(Edizioni Pensa Multimedia, Lecce)curato da Andrea Caldelli, coordinatoredell’associazione l’Altra Città. Avviatonel novembre 2005 e concluso a fine2006, il progetto ha inteso dare unarisposta articolata e di rete ai fenomenidelle povertà estreme: gli operatorihanno incontrato, ascoltato e orientatooltre 140 persone, integrando il lavorodella Caritas e garantendo, grazie ai molti volontari, la distribuzione di oltre 4.600 pasti. Le persone che hanno usufruito del centro di accoglienza notturna gestitodall’associazione di volontariato “Le Querce di Mamre” sono state 830.Altri servizi offerti: consulenze legali,orientamento ai servizi pubblici (sanità, istruzione, protezione), sportelloper il microcredito. [redattore sociale]

ALIFE-CAIAZZO

Biblioteca e internet,cultura del servizioaperta al territorio

Doppia soddisfazione, e doppio servizio,per una piccola Caritas. L’organismodella diocesi campana di Alife-Caiazzodispone da maggio di un sito internet(www.diocesi-alife-caiazzo.it/caritas) e una biblioteca con circa mille volumi,

messa a disposizione del territorio.Pubblicazioni di Caritas Italiana e altritesti su tutti i temi sociali (dal serviziocivile al volontariato, dai servizi socio-assistenziali alla mondialità, dallaformazione all’animazione allacooperazione sociale): il fondobibliotecario Caritas è collegato conquello della diocesi (www.bibliodac.it) e fa parte del polo Opac (On line publicaccess catalogue - Catalogo accessibilepubblicamente on line). Insieme al sito,è un modo nuovo per “comunicare il Vangelo in un mondo che cambia” e avvicinare tanti giovani che, siatramite internet che attraverso il prestitodei libri in biblioteca, si appassionano ai temi e alla pratica della solidarietà.

MAZARA DEL VALLO

Inizia dal calcettol’integrazionedei figli dei migranti

Un progetto che entra nel vivo. Grazieall’allestimento di strutture, doverisuoneranno le “Voci dal Mediterraneo”.L’iniziativa nasce dalla necessità di intervenire nel territorio di Mazara del Vallo, dove l’immigrazione è moltoforte, in favore degli immigrati diseconda generazione, ragazzi che, nati e cresciuti in Italia, per fattori dovuti alla specificità storica del fenomenomigratorio a Mazara si trovano in forteritardo rispetto al percorso di integrazione.Il progetto intende promuoverel’integrazione tra adolescenti tunisini,slavi e italiani, attraverso l’offerta dispazi comuni e la condivisione di attivitàinterculturali e ricreative. Il progetto(gestito, in collaborazione con altrisoggetti, dalla Caritas diocesana) mira a realizzare un vero e proprio centro di aggregazione interculturale per minori. A inizio maggio sono stati inauguratialcuni locali esterni e il campo di calcetto.

Rifugiati: cortometraggio e fotoper camminare nelle loro scarpe

Sole. Luce. Bianco. Una piazza che vive la sua quotidianità. Una piazza libera nei colori, nei movimenti. Uno spazio che raccontal’intero paese. Poi tutto si spegne. Tutto si omologa. I vestiti, i volti, i movimenti. Un solo colore. E la piazza muore, ingabbiata dentro unadittatura. Nell’aria una marcia opprimente e ripetitiva. Arriva una jeep,sopra i militari. Scendono cattivi e prendono il giovane ragazzo della panchina. Lo separano dalla sua amata e lo picchiano e gli spezzano la vita, l’amore, il sogno. Poi una voce grida: “Stop!”.

Siamo dentro un film, per fortuna! Siamo nella libertà d’opinione, di credo, di vita. Il regista annuncia la pausa pranzo. La troupeva a mangiare. Due donne si fermano per riflettere su un manifesto.Una scritta, due occhi. Loro sanno. Hanno vissuto veramentequell’incubo. Il loro sguardo non va oltre e conserva, nella tristezza, ciò che non sarà mai solo un ricordo.

In occasione della GiornataL’incubo filmato e vissuto è il soggetto del cortometraggio “La piazza è chiusa” diretto dal regista Edoardo Winspeare e realizzato su iniziativa della Caritas diocesana di Roma nell’ambito del progettoeuropeo Equal fase II “Integr.RAR.si”, che vede coinvolti altri 17 partnere ha l’obiettivo di contrastare l’esclusione sociale ed economica dei richiedenti asilo e dei rifugiati, sostenendone l’inserimentoprofessionale e sensibilizzando l’opinione pubblica. Il cortometraggio,realizzato nella città pugliese di Specchia, vuole proiettare lo spettatorenei panni di un rifugiato ed è stato già proiettato a Bruxelles, Bologna,

Lecce e presentato a fine maggio a Bolzano ai membri del Coordinamento nazionale asilo,promosso da Caritas Italiana e al quale aderiscono46 Caritas diocesane in rappresentanza di 17 regioni. Il cortometraggio verrà inoltreproiettato a Roma il 20 giugno, in occasione della Giornata mondiale del rifugiato.

In quell’occasione verranno presentati anche il catalogo e il cd con le fotografie che compongonola mostra “Five minutes in my shoes” (“Cinqueminuti nelle mie scarpe”), sessanta scatti in biancoe nero (nella foto, uno di essi) di Elena Marioni, che

ritraggono i rifugiati in diversi momenti della loro vita, dallo sbarcoall’inserimento professionale. La mostra è già stata allestita a Genova,Bergamo e Bologna; prossimamente toccherà Ancona, Torino e Roma.

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Spot School Award esploral’Africa che va oltre l’emergenza

L’immediata comprensione delconcetto e la potente capacitàdi coinvolgimento del fruitore.La capacità di focalizzaredifferenti problemi con unlinguaggio creativo omogeneo.L’eccellente esecuzioneformale. Sono le qualità che Maurizio Sala, presidentedell’Art director’s club italiano,uno dei pubblicitari più

affermati del paese, ha riconosciuto al lavoro vincitore della sesta edizione di Spot School Award, il premio riservato a studenti degli istituti e delle facoltàdi comunicazione, organizzato dall’associazione CreativisinascE insieme ai principali organismi di categoria dei pubblicitari italiani. Sala ha presiedutola giuria del premio, che ha assegnato il massimo riconoscimento (il “GrandPrix 2007 Sipra - comune di Salerno”) al lavoro risultato vincitore anche della sezione stampa del brief “Africa, oltre l’urto del momento”, proposto (in nome di una collaborazione che dura da cinque anni) da Caritas Italiana.

Quasi trecento lavoriIl lavoro vincitore rivisita in chiave catastrofica tre scenari celebri (il Colosseoa Roma, la Tour Eiffel a Parigi, nella foto, il Tower Bridge a Londra),accompagnandoli con lo slogan “Ci accorgiamo dei problemi solo quando ci riguardano da vicino”. La potenza visiva del lavoro e il testo graffiantehanno convinto tutti i giurati, che hanno apprezzato la capacità di illustrare il paradosso di un’attenzione pubblica che confina l’Africa in un limbo, dal quale si riscatta solo nell’emergenza, allestendo o subendo spettacolitragici, mentre i suoi valori e le sue positività vengono solitamente ignorati.Gli autori del lavoro sono Francesca Scalon, Matteo Lazzarini e LorenzoRomani dell’Accademia di Comunicazione di Milano: punta di diamante di un ampio movimento di partecipanti al premio (quasi 300 lavori), per buona parte concentratisi sul brief Caritas, al quale si affiancavano altridue temi, “dettati” da Legambiente e Assoindustria Salerno. In generale, più numerosi e di qualità più elevata si sono rivelati i lavori delle sezioni stampa,mentre quelli per le sezioni radio, tv e internet sono stati meno convincenti.La due giorni di dibattito e premiazione, svoltasi il 31 maggio e 1 giugno a Salerno, ha però confermato la disponibilità dei giovani a misurarsi con i temi sociali, e la loro capacità di dare vita a prodotti comunicativi non ispirati esclusivamente alle logiche del consumo e del commercio.

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villaggio globale

dell’altro.Face2Faceè un originalesito internet

(www.face2faceproject.com) nato dalla collaborazione tra un fotografo che cela la sua identità, JR, e unconsulente informatico tunisino, Marco:il sito mette “faccia a faccia” palestinesie israeliani, accostandone i ritrattifotografici ed esaltando le somiglianzeinvece delle differenze. Dopo un viaggioin Terra Santa, i due autori sono arrivatia una conclusione: “Questi popolisembrano lo stesso, parlano quasi la stessa lingua, come fratelli gemelli”.E ora ringraziano i 41 “eroi” che hannoaccettato di posare per il sito,assumendosi il rischio di essere espostiper favorire la mutua comprensione.

MUSICA

“Avanti pop!”,tournee in furgoneper cantare il lavoro

Un disco – così lo presentano gli autori– nato davanti alle fabbriche, ai callcenter, ai campi di pomodori. Scaturito,in definitiva, da un progetto reale diindagine e testimonianza, che ha avutocome oggetto il mondo dei lavoratori:

Avanti Pop!documental’omonimo viaggio-concerto, a bordo di un vecchio

camioncino Fiat del 1956, da semprel’emblema del gruppo, compiuto dagliitalianissimi Têtes de Bois in luoghi in cui la dignità dei lavoratori è stata

FILM E DVD

Scontro di civiltàsu un peschereccio,figli delle luci rosse

Due pellicole, due storiedi sofferenza. La primanelle sale da metàmaggio: Io, l’altro, direttodal tunisino MohsenMelliti, è la storia di due

amici, Giuseppe e Yousef, vittimecollaterali della cosidetta “guerra di civiltà”. Proprietari di un piccolopeschereccio ribattezzato Medea,l’italiano e il tunisino sono alle presecon le ritorsioni dell’ex “Padrone”, unmafioso locale che gestisce il mercatodel pesce. Mentre si trovano in mezzoal mare, la radio annuncia che Yousefè un terrorista ricercato dalla poliziainternazionale: un tragico caso di omonimia, che travolgerà le vite deidue protagonisti. In dvd è invece uscito,

sempre a maggio, il documentario vincitoredell’Oscar 2005: Borninto brothels raccontale vicende dei figli delleprostitute di Calcutta

ed è un appassionato tributo all’infanziache è negata ai tanti bambini del quartierea luci rosse della megalopoli indiana. E che può trovare una via di riscattoattraverso una macchina fotografica…

INTERNET

“Face2Face”, scattiper rappresentaredue popoli gemelli

Un progetto singolare. A suo modoprovocatorio. Ma pensato per contribuiread abbattere i muri mentali eretti dallascarsa conoscenza reciproca, dunquedalla rappresentazione stereotipata

“Se la Rai ha aperto una sede in Africa, molto lo si deve alla mobilitazione del mondo missionario”.Parola di Enzo Nucci, corrispondente Rai da Nairobi.

Attivo da alcuni mesi, il suo ufficio è stato ufficialmente inaugurato il 18maggio. Nell’occasione è stata proiettata la prima produzione della nuovasede, un servizio di circa 18 minuti girato sui Monti Nuba. La Fesmi(Federazione stampa missionaria italiana, circa quaranta testate, non menodi trecentomila lettori) non ha nascosto la sua soddisfazione. L’iniziativa“Notizie, non gossip”, che proprio la Fesmi ha lanciato a febbraio 2006,chiedendo un salto di qualità nell’informazione televisiva, è stata l’inizio di una mobilitazione cui ha contribuito anche la Tavola della pace. Gli incontri di alcuni direttori di testate missionarie con i vertici Rai (primaMeocci, poi Cappon) hanno fatto il resto. ”Vinto il primo round – scrive la Fesmi nell’editoriale comune alle riviste di maggio – c’è ora da continuarela partita. (…) Riteniamo che si debba insistere, per alzare ulteriormente nel pubblico italiano il tasso di consapevolezza sulle questioni internazionalie, specificamente, il grado di conoscenza della realtà del Sud del mondo. (…)In virtù dell’apertura di nuove finestre sul mondo (oltre all’Africa, nuove sediRai sono state aperte in Turchia e India, ndr), ci sentiamo di chiedere alla Raiun giornalismo che sappia far parlare le persone e metta in luce il positivo”.

TV

Inaugurata la sede Rai a NairobiLa Fesmi: «Battaglia da continuare»

a tu per tu di Danilo Angelelli

Calciopoli ha il suo contrario. Lo si intercetta nelle storie un po’ vere e un po’inventate di un fine narratore del pallone, Darwin Pastorin. Dagli esordi alGuerin sportivo fino alla vicedirezione e direzione di Tuttosport, Tele+ e Stream,è stato tutto un cercare di far muovere il pallone tra parole mai banali. OggiPastorin dirige la redazione sportiva di La7 e scrive libri. L’ultimo, Avenidadel Sol (Mondadori), fotografa, attraverso il sogno del calcio, tra nostalgia e romanticismo, un continente emblema dei popoli diseredati del mondo. Quel Sud America che Pastorin percorre, come recita il sottotitolo, “a piediscalzi”, per sentire meglio il vibrare dei suoni, di chi urla, di chi non ha voce,della terra. La sua terra, il suo Brasile. Nel quale ritorna per ritrovare sestesso. E recuperare la memoria di un calcio romantico e genuino.

Un calcio perduto per sempre?La speranza c’è e riaffiora tutte le volte che il nostro sguardo si ferma suicampi di periferia, o quando vediamo i nostri figli giocare. Svanisce quando cirendiamo conto che il calcio è business, che gli stadi sono vuoti. Oggi il calcio,per salvarsi, ha bisogno di ritornare a essere festa popolare, di avere i bambiniallo stadio. Ma soprattutto ha bisogno di far vedere gesti di lealtà. Lo scrittoree giornalista Giovanni Arpino diceva: “Chi gioca ha giurato e non può tradire”.

Gli esempi che arrivano dall’alto inquinano anche il calcio giocato per passione, con il suo valore di integrazione sociale?

In certi luoghi il calcio serve ancora per un discorso sociale e riesce a non farsi rovinare da certe vicende. Un esempio personale, che vale più

di mille risposte: tra i ricordi più belli della mia infanzia in Brasile ci sono le partite di pallone nel quartiere di San Paolo dove abitavo. Giocavo con coetanei ebrei, coreani e di molti altri paesi. Usavamo la lingua comune del calcio e tutte le differenze erano annullate.

Avenida del Sol parla di campioni che volevano diventare megafono dei poveri, che volevano battersi per i diritti degli oppressi. Quanto ci sono riusciti?

“Avenida del Sol” non è un libro sul calcio, ma un collage di storie che presento “approfittando” del calcio.Prendo il pallone e racconto altre cose. I personaggi sono un modo per far passare attraverso il calcio sentimenticome il dolore, la rinascita, la solidarietà. I calciatori e gli allenatori di cui parlo con sacrificio e genialità hannoportato una voce di speranza e denuncia. Oggi si sta facendo particolarmente luce sulle incredibili dittaturelatinoamericane. Nunca más, “mai più”, si dice: ma guai a non ricordare, a non far diventare queste tragedie un monito per l’uomo di oggi.

Le storie di Avenida del Sol raccontano la ricerca di un segnale di riscatto in Sud America. C’è più speranza oggi?Sono ancora molte le cose da risolvere. La speranza può essere un’utopia, un orizzonte irraggiungibile, ma bisognacamminare sempre, anche se costa fatica. E se qualcuno si ferma bisogna prenderlo per mano e camminareinsieme a lui. La speranza oggi c’è perché sono sorti governi democratici vicini al popolo, da prendere comeesempio anche per l’Europa. In Sud America oggi molti presidenti parlano il linguaggio dei poveri e lavorano per un processo nuovo, dove non ci siano più favelas e meninos de rua. Il Sud America non è più il cortile degli Stati Uniti, ma con fatica si è conquistato un’identità propria.

Calcio, lingua comune che annulla le differenze«Ma per salvarsi oggi ha bisogno di gesti di lealtà»

SUD AMERICAA PIEDI NUDIDarwinPastorin(foto sotto)e la copertinadel suo libroAvenidadel Sol

storie di speranza

Paola era una tossicodipendente. Aveva problemi di giustizia e di salute. Conduceva una vita di strada e non voleva entrare in comunità né intraprendere cure di disintossicazione. Insieme siamo riusciti a studiare un progetto per affrontare

poco a poco i suoi problemi, rispettando i suoi tempi e le sue priorità. Il progetto ha attivato tutta le rete di risorse presenti nel territorio. È stato un cammino lungo, di accoglienza reciproca, di disponibilità. Oggi Paola vive in un appartamento di emergenza abitativa, mantiene i rapporti con il nostro centro di ascolto, con il Sert, con l’ospedale, con il distretto comunale ed è impegnata in una borsa lavoro. (Marco Berbaldi, Caritas diocesana di Savona-Noli)

Maurizio è un volontario. Non ha particolari percorsi culturali alle spalle. Si è sentitointerpellato dall’incontro con la sofferenza psichica, con persone diversamente abili. E ha aperto la sua vita quotidiana all’accoglienza di queste persone. Nella sua abitazioneha costruito una casa di accoglienza, semplicemente mettendo a disposizione alcunestanze. Il percorso di Vincenzo dà una risposta di prossimità non specialistica, ma umana.Lui stesso ribadisce che il futuro dell’accoglienza è la famiglia aperta, la capacità di esseresolidali nella quotidianità. (Stefano Franzin, Caritas diocesana di Concordia-Pordenone)

Angelina era appartenuta a tanti. Maltrattata, abusata. Un giorno ha deciso di direbasta e volersi più bene. Il centro per i senza dimora “Il binario della solidarietà”

è diventato la casa che non ha mai avuto e i volontari la famiglia che non l’hamai accolta. Oggi Angelina ha una sua casa, eppure continua a frequentare il centro, dove ritrova gli amici. Proprio dalle sue mani, lo scorso ottobre,l’arcivescovo di Napoli, durante l’inaugurazione dei nuovi laboratori del centro,ha ricevuto un volto in cuoio della Madonna, realizzato dagli ospiti dei laboratori. (Claudia Torre, Caritas diocesana di Napoli)

Vincenzo è un direttore Caritas. Il papà è stato barbaramente ucciso dalla ‘ndrangheta a Taurianova perché aiutava una persona ammalata che portava avanti un’azienda in un territorio molto ambito dalle logiche delle ‘ndrine locali. Durante i funerali, Vincenzo è salito sull’ambone e, a nome di tutta la famiglia, ha detto: «Noi perdoniamo e preghiamo per coloro che hanno ucciso mio padre». Questo gesto ha fatto sì che per circa tre anni non ci fossero più omicidi nella zona. (don Ennio Stamile, direttore Caritasdiocesana di San Marco Argentano - Scalea)

Nihaya ha 19 anni. È stata costretta a fuggire dal suo paese, il Libano, perché all’Università si era permessa di criticare i metodi violenti e inumani degli Hezbollah. Lo aveva fatto in nome di ideali di pace e nonviolenza che lei riconoscenella propria religione, quella musulmana. Nihaya è una ragazza di buona famiglia – coetanea di molti ragazzi del nostro corso di intercultura – che ha visto modificare gli orizzonti della propria vita. Una vita ora tutta proiettata nell’apprendimento dell’italiano,negli studi universitari in Italia, nella testimonianza della situazione del proprio paese. In arabo Nihaya significa “l’ultima”. Mi piacerebbe che la sua fosse davvero l’ultima storiadi dolore e sopraffazione. (Vincenzo La Monica, Caritas diocesana di Ragusa)

Un percorso di disintossicazione.

Una maschera di cuoio.Un perdono dall’altare.

Ci sono vicende nascosteche testimoniano

la possibilità di non arrendersi al male: schegge

di cambiamento, piccolevittorie della speranza

a cura di Danilo Angelelli

LA CASA APERTA DI MAURIZIO,L’ULTIMA SOFFERENZA DI NIHAYA

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violata e riscattata, dalla Fiat Sata di Melfi alle cartiere di Isola del Liri,dalle acciaierie di Terni ai campi di Borgo Libertà, dall’Atesia alla ferroviadi Allumiere. Le quattordici tracce del cd, che contengono reinterpretazioni, ma anche alcuni brani inediti del sestetto,raccolgono le esperienze concrete e i temi suggeriti dalle molte personeincontrate dalla band durante il viaggio.

SEGNALAZIONI

Le latitudinidel microcredito,il reddito da sostenere

Daniele Ciravegna, Andrea Limone (a cura di), Otto modi di dire microcredito(Il Mulino, Bologna 2007, pagine 384).

Otto istituzioni esercenti il microcredito in Argentina,Bolivia, Francia, Irlanda, Italia,Portogallo, Regno Unito e Usadibattono finalità e modi di operare in contesti differenti.

Flavio Delbono, Diego Lanzi, Povertà, diche cosa? Risorse, opportunità, capacità(Il Mulino, Bologna 2007, pagine 216). Il primo degli Obiettivi di sviluppo fissato

dalle Nazioni Unite per il nuovomillennio si propone di dimezzare,entro il 2015, il numero di persone che nel mondo hanno un reddito inferiore a un dollaro al giorno. A che punto siamo?

Ferruccio Biolcati Rinaldi, Povertà, teoriae tempo. La valutazione delle politichedi sostegno al reddito (FrancoAngeli,Milano 2006, pagine 144). Meccanismicausali, valutazione realistica, povertàdinamica e assistenza economica sono le parole chiave del volume, che propone una risposta al problema di come valutare le politiche di sostegnoal reddito.

Il volto misterioso di Gesùe la “condanna” della fede:quattro percorsi di ricerca

“La grandezza dell'uomo si misura in base a quelche cerca (…) e all'insistenza con cui egli restaalla ricerca”, diceva Martin Heidegger. Alcunerecenti pubblicazioni, incentrate sulla figura di Gesù Cristo, si attestano proprio su posizionidi “ricerca” (di fede, filosofico-antropologica,psico-pedagogica e socio-culturale) e propongonosia percorsi interni al mondo ecclesiale, sia atteggiamenti critici che caratterizzano la riflessione laica di oggi. Tra i titoli spicca Gesù di Nazaret (Rizzoli 2007, pagine 446) di Benedetto XVI (Joseph Ratzinger); vi sono poi

Dialoghi sulla fede e la ricerca di Dio (Città Nuova, pagine 144), di Bruno Fortee Vincenzo Vitiello; Sulla fede (Einaudi, pagine 102), di Giorgio Pressburger;Gesù. Una crisi nella vita di Dio (Garzanti, pagine 464), di Miles Jack.

Il libro del papa è un cammino di ricerca sul “mistero di Gesù”, tra verità della storia e verità della fede. Un percorso che si inserisce nel grande alveo del dibattito mondiale sulla figura storica e sul messaggio di Cristo. È principalmente una meditazione interiorepersonalissima, alla ricerca del “volto del Signore”. Ma, nello stessotempo, è una ricerca filosofico-teologica, anche se non un documentomagisteriale, e consente a ogni lettore di interagire e lasciarsi provocare.

Il secondo libro nasce da alcune domande che Ottavio Di Grazia, storicodel cristianesimo, pone a Vincenzo Vitiello e Bruno Forte. Un dibattito serratoe appassionante su Dio, la fede, la libertà, il bene e il male, il valore e i valoridella vita, che presuppone una domanda ancora più grande, su Dio.

Pressburger, regista teatrale e cinematografico, esperto di musica e direttore dell’Istituto italiano di cultura in Ungheria, da una suapersonale angolatura si pone domande su cosa sia la fede. Tra dubbi e tormenti, mette a nudo i segni della propria esperienza, scardinandocertezze e false ipocrisie. Fino ad arrivare alla personale conclusione che «se vogliamo vivere, siamo condannati ad avere “fede”».

Jack Miles, infine, nell’indagare sulla persona di Gesù afferma che “quando si accoglie la divinità di Cristo Signore come un’opportunitàletteraria, anziché opporle resistenza come a un’imposizione teologica, è possibile vedere il protagonista di quest’opera illuminato dall’interno”.Con queste premesse, e con una straordinaria attenzione alle qualitàletterarie del testo, Miles offre una sua personale e inedita lettura di moltiepisodi chiave del Vangelo.

pagine altre pagine di Francesco Meloni

villaggio globale

LUNEDÌ 25ore 16 Lectio divina Don Luca MAZZINGHI parroco

a Firenze e docente di Sacra Scrittura alla Facoltàteologica dell’Italia centrale

ore 17.30 Dopo Verona: le prospettive per le CaritasS.E. Monsignor Angelo BAGNASCO arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana.Prolusione S.E. Monsignor Francesco MONTENEGROpresidente Caritas Italiana

MARTEDÌ 26 ore 8 Lectio divina Don Luca MAZZINGHIore 9 Testimoni di speranza: impegno e animazione

ORIZZONTE SOCIALE: Savino PEZZOTTA presidente della Fondazione “Per il Sud”ORIZZONTE TEOLOGICO-PASTORALE: don Franco Giulio BRAMBILLApreside della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale

ore 15.30 TAVOLA ROTONDA: Animare al senso di carità: il cammino di Caritas ItalianaMonsignor Giovanni NERVO primo presidente Caritas Italiana e vicepresidente 1976-1986Monsignor Giuseppe PASINIdirettore Caritas Italiana 1986-1996Don Elvio DAMOLI direttore Caritas Italiana 1996-2001

ore 19 Concelebrazione eucaristica presiede S.E. MonsignorÁlvaro Leonel RAMAZZINI IMERI vescovo di San Marcos e presidente Conferenza episcopale del Guatemala

ore 21.30 Spettacolo Parole, parole, parole… Tra il giro d’Italia e don Milani di G. Guerrieri, a cura di “Sant’Andrea Teatro” di Pisa

MERCOLEDÌ 27ore 8 Lectio divina Don Luca MAZZINGHIore 9 Testimoni di speranza: luoghi di impegno

ASSEMBLEE TEMATICHE:■ Politiche sociali: famiglia e povertà in Italia e in Europa

professor Fabio FOLGHERAITER docente di metodi

AL DI SOPRA DI TUTTO“Un cuore che vede” per animare alla caritàCentro congressi di Montecatini Terme (Pt) 25-28 giugno 2007

e tecniche del servizio sociale, Università Cattolica di Milano

■ Lo sviluppo solidale dell’umanitàS.E. Monsignor Álvaro Leonel RAMAZZINI IMERI vescovo di SanMarcos e presidente Conferenza episcopale Guatemala

■ Civilizzazione dell’economia e Agapeprofessor Luigino BRUNI docente di economia politica,Università di Milano-Bicocca

■ Politiche sociali e politiche penaliprofessor Luciano EUSEBI ordinario di diritto penale,Università Cattolica di Piacenza

■ La città abbandonata professoressa Chiara GIACCARDIdocente di sociologia delle relazioni interculturali,Università Cattolica di Milano, e professor Mauro MAGATTIpreside della facoltà di sociologia, Università Cattolica di Milano

■ L’Italia a metà: prospettive per il sudprofessor Gaetano GIUNTA presidente di Ecosmed -Istituto per l’economia sociale del Mediterraneo

ore 15.30 Testimoni di speranza: impegno e contemplazioneorizzonte spirituale: fratel Luciano MANICARDIcomunità monastica di Bose

ore 19 Concelebrazioni eucaristichenelle diocesi di Lucca, Pescia, Pistoia e Prato

GIOVEDÌ 28ore 8 Concelebrazione eucaristica presiede S.E. Monsignor

Giancarlo Maria BREGANTINI vescovo di Locri-Geraceore 9.15 Prospettive di lavoro pastorale

Monsignor Vittorio NOZZA direttore di Caritas Italianaore 10.15 TAVOLA ROTONDA sul servizio civile

Giovani e comunità: coinvolgimento e animazioneore 12 Percorsi educativi per i giovani

S.E. Monsignor Giancarlo Maria BREGANTINIvescovo di Locri-Gerace

ore 12.45 Preghiera di chiusura

I lettori, utilizzando il c.c.p. allegato e specificandolo nella causale, possono contribuire ai costi di realizzazione, stampa e spedizione di Italia Caritas, come pure a progetti e interventi di solidarietà, con offerte da far pervenire a: Caritas Italiana - c.c.p. 347013 - via Aurelia, 796 - 00165 Roma - www.caritasitaliana.it