La Società Escursionisti Milanesi si racconta · È un’istituzione unica che è nata per far...

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SEM 2020 La Società Escursionis ti Milanesi si raccon ta Club Alpino Italiano - Società Escursionisti Milanesi “SEM 2020 è un breve viaggio alla scoperta delle attività e azioni che, in quasi 130 anni di storia, hanno reso la SEM una delle realtà di associazionismo legato alla montagna di maggior spicco in Italia.” SEM 2020 La Società Escursionisti Milanesi si racconta

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SEM 2020La Società Escursionisti Milanesi si racconta

Club Alpino Italiano - Società Escursionisti Milanesi

“SEM 2020 è un breve viaggio alla scoperta delle attività e azioni che, in quasi 130 anni di storia, hanno reso la SEM una delle realtà di associazionismo legato alla montagna di maggior spicco in Italia.”

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Le Interviste

6foto © Ivan Licheri

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6.1 Dante Bazzana

6.2 Dolores De Felice

6.3 Nicla Diomede

6.4 Oreste Ferrè

6.5 Giacomo Galli

6.6 Andrea Maconi

6.7 Virginia Mandracchia

6.8 Carlo Alberto Pinelli

6.9 Mario Polla

6.10 Laura Posani

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In questa edizione del libro della SEM abbiamo deciso di includere interviste fatte ad alcune figure attuali particolarmente importanti per la nostra associazione. La scelta non è stata casuale, queste persone sono dei trascinatori, degli esempi che hanno dato e stanno dando tanto alla SEM. Certo molte altre persone fanno tanta attività in sezione e avrebbero meritato di essere inclusi nella lista, non me ne vogliano e sappiano che sono comunque nel cuore di tutti noi.

Sentire il parere di questi dieci testimonial su alcuni temi legati all’ambiente, alla montagna e sul ruolo del CAI di oggi ci è sembrato significativo e rappresentativo del pensiero di molti soci.

6.1 Dante Bazzana

6.2 Dolores De Felice

6.3 Nicla Diomede

6.4 Oreste Ferrè

6.5 Giacomo Galli

6.6 Andrea Maconi

6.7 Virginia Mandracchia

6.8 Carlo Alberto Pinelli

6.9 Mario Polla

6.10 Laura Posani

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Intervista a Dante Bazzanaa cura di Chiara Pesavento

Bravo alpinista, sci alpinista e fondista.Con il suo entusiasmo è sempre riuscito a trascinare soci SEM

in mille iniziative. È stato ed è una persona chiave per la nostra associazione.

È un membro anziano del Consiglio Direttivo della SEM, da almeno 20 anni e il suo parere e i suoi preziosi consigli sono sempre fondamentali e hanno permesso alla nostra associazione di diventare la bella associazione di amici che siamo. Quando è arrivato in SEM nel 1976 già praticava la montagna. Subito è entrato in organico come istruttore del corso di roccia (l’unico corso che esisteva in quegli anni).

È stato IA (Istruttore di Alpinismo a livello regionale), ora avendo superato i 75 anni di età è diventato IE (Istruttore Emerito del CAI) ma non può più insegnare nei corsi, cosa che gli dispiace parecchio. È stato direttore del corso di roccia e del corso di ghiaccio, istruttore nei corsi di roccia, scialpinismo, alpinismo e cascate. L’ideatore del corso di alpinismo under 23 di cui è stato direttore fino al 2017. In aggiunta ha partecipato ad alcune spedizioni extraeuropee sempre con successo tra cui: Monte Kenia (5200m), Monte Kilimangiaro (5895m), Mawenzi (tentativo 5200m), Nevado Alpamayo (5947m) per la via dei Ragni di Lecco, Naya Kanga (5850m), Ama Dablam (6850m), Aconcagua (6950m), Elbrus (5640m). È stato uno dei fautori della rinascita dello Sci in SEM degli anni ’80 quando la SEM organizzava anche cinque pullman di discesisti e tre pullman di fondisti ogni domenica della stagione invernale. Ha partecipato a numerose Marcialonga e altre maratone sciistiche inclusa la mitica Vasaloppet in Svezia (90 km). Ha partecipato ad alcune edizioni della massacrante 24 ore di Pinzolo, gara a squadre della durata di una intera giornata. Con l’avvento del passo di pattinaggio ha smesso di praticare lo sci di fondo.

Ha spinto perché anche in SEM si tenesse il corso di Scialpinismo

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e finalmente nel 1985 è partito il primo corso, lui ovviamente tra gli istruttori. Negli ultimi anni è entrato anche a far parte dell’organico del gruppo AG.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Io sono nato in montagna in un paese a 1100 metri vicino

all’Adamello, perciò l’amore per la montagna lo avevo quasi nel sangue. A 11 anni ero già in cima all’Adamello, senza attrezzatura, solo con una corda di canapa. La montagna la vivevamo proprio con spensieratezza perché per noi era normale andarci soprattutto per camminare. Poi ci siamo evoluti e abbiamo cominciato ad arrampicare.

Quando per lavoro mi sono trasferito a Milano, ho conosciuto una ragazza speciale, mi sono sposato e sono entrato nella SEM.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?La salita che mi è piaciuta di più è stata la parete Nord del Nevado

Alpamayo in Perù.È una bella salita di neve e ghiaccio; ci siamo fatti portare fino alla

base con dei cavalli e poi da lì abbiamo proseguito per giorni a piedi portandoci dietro tutto il necessario per allestire i campi e il materiale tecnico per salire la parete. È stato molto bello.

Naturalmente l’ho fatta con il Romano e l’Oreste, il trio perfetto!

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Io sono molto ottimista e vedo un buon futuro, soprattutto perché

vedo tanti giovani che si stanno ancora appassionando alla montagna.Colgo l’occasione per agganciarmi a due belle attività che facciamo

in SEM: Alpinismo Giovanile e Corso di Alpinismo Under 23, quest’ultimo il primo corso in Italia di questo tipo. Vedo che lo spirito che anima questi gruppi è molto buono, le persone che si iscrivono a questi corsi sono ragazzi che hanno veramente voglia di frequentare la montagna, non solo per arrampicare, ma anche per andare in alta montagna, non hanno paura di faticare e arrampicare in quota.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Soprattutto l’ambiente perché a volte, anche solo sui sentieri, si

trova molta sporcizia e questo secondo me non è giusto. Bisognerebbe veramente educare la gente ad andare in montagna rispettandola perché mi sembra veramente una cosa stupida portarsi ad esempio una lattina di coca cola, berla e lasciare la lattina giù in terra! Oltretutto vuota pesa di meno, quindi riportatevela a casa!

Insomma ci sono tante piccole cose a cui si potrebbe fare attenzione

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per valorizzare la montagna. Non è solo un problema delle Alpi, anche durante le mie spedizioni in alta quota ho visto un sacco di sporcizia in giro, addirittura corde lasciate lì a marcire. Però adesso ci sono delle associazioni di persone che vanno a ripulire le montagne in alta quota e questa secondo me è una cosa molto bella.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Penso di sì perché hanno fatto conoscere la montagna a tanti, a tutti. Infatti, ne abbiamo riscontro con il fatto che quasi tutti i ragazzi che si iscrivono ai nostri corsi arrivano non più solo per passaparola o sentito dire, ma perché l’hanno letto sui social e questo secondo me è un beneficio per tutti. Perché noi insegniamo ad andare in montagna in sicurezza e rispettando l’ambiente.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Io direi il CAI stesso, il CAI secondo me è quello che deve insegnare

ad andare in montagna. Non vedo altre entità più importanti perché ad esempio le palestre di arrampicata non insegnano quello che insegniamo noi del CAI. Certi valori da loro non vengono trasmessi perché la loro è solo un’attività commerciale. Noi invece siamo tutti volontari che dedicano il proprio tempo all’insegnamento, perché siamo noi stessi appassionati e quindi riusciamo a trasmettere meglio la passione per la montagna.

Se devo invece pensare ad un personaggio allora mi viene in mente Cassin; io l’ho ammirato tanto e ho cercato di ripetere tante sue vie. Tutte le volte che ne salivo una quasi mi veniva la pelle d’oca a pensare che l’aveva salita per la prima volta senza sapere se fosse possibile farla. È un personaggio che mi ha molto ispirato.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Di libri ne ho letti tanti, ora sto finendo un libro su Oggioni che era

contemporaneo di Bonatti e ha fatto delle salite bestiali e lo ammiro molto. Ha iniziato ad arrampicare negli anni dal ’45 -’50 in avanti e ha fatto un sacco di salite su montagne difficilissime. Purtroppo, è morto durante una salita con Bonatti sul Pilone centrale del Freney in Monte Bianco. Leggere questo libro mi ha veramente impressionato.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?La prima cosa sono i ghiacciai; i ghiacciai li vedi che quasi non ci sono

più… dai miei tempi ad adesso il cambiamento è enorme! Io ho salito tante pareti nord che adesso non esistono più. Ad esempio, il ghiacciaio dei Forni: da come lo ricordo negli anni ‘60-’70 ad oggi la riduzione dei

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ghiacci è impressionante. Non vado più su questo ghiacciaio perché mi fa male al cuore vedere il cambiamento che ha subito.

Ovviamente non si tratta solo di quel ghiacciaio e di quelle montagne, ma di tutti i ghiacciai del mondo e in alta quota questa mancanza si sente, perché senza il ghiacciaio si perde una parte importante della montagna.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

È un’istituzione unica che è nata per far conoscere la montagna, per portare la gente in montagna, non conosco altri enti che hanno questo scopo. Secondo me il CAI ha ancora un suo valore e naturalmente nel CAI hanno valore le sezioni e le scuole di alpinismo.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Quando mancherà quella voglia di portare la gente in alta montagna, sia ad arrampicare che a camminare, il CAI verrà penalizzato. Se capiterà che la gente andrà in montagna solo per fare free climbing non avrà più bisogno del CAI e questa è la cosa che io temo di più. Perché andare in montagna vuol dire fare fatica, e il mondo di oggi tende a fare meno fatica possibile, così si perde un po’ quel valore aggiunto alla vita che dà la montagna e quindi anche il CAI.

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Intervista a Dolores De Felicea cura di Chiara Pesavento

Dolores ha portato in SEM due grandi iniziative: AG e CSC. È stata parte del gruppo che nell’autunno del 2002 ha costituito il Gruppo di Alpinismo Giovanile (“AG”) della SEM che ha poi organizzato il primo corso AG a partire dal 2003. Dal 2007 ha iniziato in SEM un programma di attività culturali-scientifiche, con marcate caratteristiche divulgative e di sensibilizzazione. Contestualmente è stata una delle fondatrici della “Commissione Culturale-Scientifica” che in armonia con lo spirito del CAI ha lo scopo di diffondere la conoscenza della montagna da tutti i punti di vista, incoraggiandone anche la difesa dell’ambiente naturale. È ONCN (Operatore Naturalistico Culturale Nazionale) cioè titolata CAI. È ANAG (Accompagnatore Nazionale Alpinismo Giovanile).

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Mia mamma era del Trentino Alto-Adige, della Valsugana, quindi

già da piccola frequentavo la montagna nelle vacanze estive dai parenti.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?Di montagne ce ne sono diverse molto belle; a me piace andare

in Dolomiti, quindi per esempio il gruppo del Sella ma in genere amo tutti i sentieri delle Dolomiti. Se devo dire una salita che mi ha colpito in particolare scelgo la salita al Lagazuoi.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Ci sono moltissime persone sensibili al rispetto della montagna

e del suo ambiente, ma ce ne sono anche tante che pensano alla montagna come un parco giochi e non la rispettano; manca la consapevolezza dell’impatto che potremmo avere noi con le nostre azioni sulla montagna.

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Io sono ottimista e voglio sperare che la gente impari e chi tratta bene l’ambiente prenda il sopravvento.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Sicuramente l’ambiente e la frequentazione responsabile della

montagna: ad esempio, ci sono troppe persone che pensano di andare in montagna con mezzi motorizzati senza far fatica.

Credo che le pubblicità delle auto di oggi ne siano in parte responsabili: sicuramente vedere in televisione SUV che vanno sull’erba, sulla neve e in mezzo all’acqua, non fa molto bene all’ambiente, non dà un messaggio corretto. Non so quante persone vogliano effettivamente emulare questi esempi, però questo è un aspetto molto dannoso, il pensare di andare in certi ambienti e in certi contesti con le macchine e con i mezzi motorizzati senza rispettare l’ambiente va proibito.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

I media sono una grandissima idea, sono un grandissimo strumento che però ha un rovescio della medaglia: sono potentissimi nel diffondere delle buone idee e delle buone informazioni, però d’altra parte sono altrettanto potenti nel diffondere idee negative. Quindi se vogliamo guardare solo l’aspetto positivo dei media che diffondono idee, proposte, soluzioni, sono sicuramente una buona cosa, l’importante è che vengano utilizzati con criterio.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Tutti coloro che vanno in montagna solo per sé stessi non giovano

molto nel diffondere un’immagine della montagna degna di rispetto. Ho sentito recentemente una conferenza di Hervé Barmasse, lui a me è piaciuto molto perché è un alpinista un po’ diverso che è capace di tornare indietro quando è il momento, non deve conquistare la montagna a tutti i costi. È l’espressione dell’alpinista che rispetta la montagna per come è.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Ho letto tanti libri che mi sono piaciuti, ad esempio il libro dal titolo

“Quando arrivi in cima continua a salire” di Walter Polidori. È un po’ l’espressione di quello che è la sfida con sé stessi, non nel senso di sfidare la montagna, ma della montagna come terreno di “gioco” per vedere se effettivamente riesci a superare i tuoi limiti, superare le tue paure o anche risolvere dei tuoi problemi.

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Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Sicuramente il tema dell’acqua, che diminuisce come disponibilità

e aumenta come inquinamento. Ma anche molto grave è la fusione del permafrost perché in alta quota in montagna questo terreno ghiacciato tiene insieme rocce e i sassi e, se dovesse fondersi, questo avrebbe un effetto disastroso causando frane e devastazione del territorio.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Il CAI è una delle tante associazioni europee di alpinismo. Frequentando il gruppo dell’UIAA ho notato che molti, ad esempio i francesi, quelli dell’est Europa o gli inglesi, sono orientati solo all’arrampicata. Invece il CAI copre anche molti aspetti culturali e di difesa dell’ambiente e di fatto lo si può definire un’associazione ambientalista. Quello che ha di speciale il CAI è la grandissima ricchezza dei contenuti che tratta: dalla tecnica alpinistica alla difesa dell’ambiente, passando per la storia e la cultura della montagna.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Temo la deriva tecnicistica, nel senso che in futuro potrebbe essere prevalente un certo tipo di approccio alla montagna solo come pura fonte di sfida con sé stessi e sfida con la montagna. Vedo che gli aspetti culturali ultimamente sono abbastanza limitati e questo è ciò che mi preoccupa di più.

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Intervista a Nicla Diomedea cura di Chiara Pesavento

Nicla è un’alpinista che ha fatto tante salite di roccia ma soprattutto è una delle iniziatrici del premio Marcello Meroni (Marcello era il suo compagno) ed è, da anni, la mente e il cuore del premio. Grazie a lei il premio è diventato un grande evento a livello nazionale. Nicla è membro del Consiglio Direttivo della SEM.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Sono arrivata in SEM perché un mio collega, con cui ho lavorato per tanti anni, “improvvisamente” è diventato il mio fidanzato. Lui era un bravo istruttore di alpinismo della SEM ed è stato il direttore del corso di cascate e del corso di alpinismo. Io invece ero una cittadina, che in realtà ha iniziato ad amare la montagna guardando le foto che Marcello, il mio compagno, aveva piacere a condividere con me per farmi vivere le sue avventure tramite le sue foto appunto. Marcello amava trasmettere agli altri le sue passioni e così è riuscito a trasmettere anche a me la sua passione per l’alpinismo attraverso l’arrampicata.

Dopo la morte di Marcello volevamo lasciare le sue ceneri in cima al Monte Bianco. Per far questo gli amici istruttori del corso di alpinismo mi hanno iscritto di ufficio al corso per permettermi di perfezionare la mia tecnica di montagna.

È proprio grazie a questo corso che ho capito ancora meglio la passione che Marcello aveva per la montagna.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?In realtà ne ho diverse, almeno un paio: la prima è una via di

arrampicata che ricordo di aver fatto con Marcello in Sardegna assieme a uno dei suoi amici, Ricky Felderer, un famoso videomaker e fotografo di montagna.

La seconda è stata la salita al Nadelhorn che ho fatto con le mie

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amiche di alpinismo, quindi non saprei scegliere la più importante tra le due perché sono ambienti tanto diversi.

Volendo trovare un fattore comune è che in tutti e due i casi le persone con cui sono salita erano persone a me molto care.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Come lo vedo o come lo vorrei, c’è differenza. Ti dico quello che

mi piace e quello che vedo, perché non so prevedere quale sarà il futuro della montagna. Io vedo la montagna come un posto dove andare e fare esperienze di crescita anche interiore. Questo è quello che io cerco e che vorrei che le persone cogliessero della montagna. Non sono convinta però che sia il futuro della montagna perché non tutti frequentano la montagna con questo fine.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Preservare l’ambiente montano, cioè da una parte preservarlo in

senso lato e dall’altro preservare quella che è la natura della montagna e quindi l’economia della montagna. Ci sono diversi modi per valorizzare la montagna in modo da non sfruttare e da non distruggere. Ad esempio l’Università Statale ha UniMont (Università della Montagna) dove studiano anche modi per promuovere l’economia di montagna, un’economia che tuteli anche le tradizioni e la ricchezza della montagna evitandone uno sfruttamento che la distrugga.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Personalmente non sono convinta che abbiano giovato, quindi la risposta di primo acchito senza meditare è no, non credo abbiano giovato, se parliamo di immagine. Questo perché dipende dall’uso che si fa della tecnologia. In relazione all’immagine data dai media in generale, credo che oggi mostrino la montagna con uno stile usa e getta e di spettacolarizzazione e questa immagine non è positiva per la montagna stessa. Anche di fronte alle situazioni di cronaca, i media tendono ad esagerare dando giudizi affrettati e sensazionalistici, guidando chi non è già conoscitore dell’ambiente verso conclusioni errate.

In questo io riconosco molto invece il ruolo del CAI che ha un modo di diffondere e far conoscere la montagna attraverso lo sviluppo delle competenze e delle conoscenze.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Ce ne sono tanti, ma io posso dire in realtà che chi rappresenta

meglio per me la montagna sono una serie di persone con cui ho avuto

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a che fare, che ho conosciuto, che stimo e che non sono famose, ma rappresentano per me dei modelli. In questo senso questo è il pensiero che c’è dietro al premio dedicato a Marcello, in cui non si cerca il “personaggione” ma le persone che operano per rendere migliore la montagna, che operano per la crescita della montagna in senso lato.

Marcello per me è la persona che nella vita ha rappresentato di più la montagna, ma non solo lui, anche in SEM ci sono molte persone che per me sono di stimolo. Anche tutti coloro che io ho avuto modo e la fortuna di conoscere attraverso il premio e sono tutte persone che la rappresentano al meglio. Quindi non ti dico un nome famoso, ma ti dico che ci sono tante persone che per me rappresentano la montagna.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Franco Michieli, “Andar per silenzi”; Franco è uno dei premiati del

Premio Meroni ed è una persona che rappresenta in modo eccellente la montagna perché unisce tanti aspetti come l’ambiente, la conoscenza, la cultura; è una persona a tutto tondo che peraltro rappresenta il mio modo di andare in montagna quindi il silenzio, il mettersi in contatto e in sintonia con la natura. Il suo libro è un libricino piccolo ma denso di spunti su cui meditare.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?In generale credo che sia il problema della desertificazione delle

terre e lo scioglimento dei ghiacciai del globo. Il fatto che molte terre non saranno più coltivabili avrà degli effetti sociali ed economici dirompenti. In ambito strettamente montano si vede lo scioglimento dei ghiacciai e qui vicino a noi ne abbiamo tanti esempi, come il Ghiacciaio dei Forni. Quindi tutto sommato siamo ancora fortunati a vedere le montagne così, ma se non ci sarà un cambiamento radicale temo che questa fortuna resterà un ricordo.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

I suoi valori, tra cui l’elemento fondante del volontariato; io sono una persona che crede molto nel volontariato e in questo avevo tanti punti in comune con Marcello. Operare e mettere a disposizione le proprie competenze in modo volontaristico è a mio parere ciò che fa molto la differenza. Fare la cosa giusta in modo spassionato, lontano dai protagonismi e in questo il CAI è l’emblema perché unisce grandi competenze, ideali e volontariato.

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Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Il non essere percepito dai giovani in modo corretto per il suo grande impegno. Probabilmente se ci fosse maggior capacità di attirare i giovani si riuscirebbe forse a dare maggior valore a tutto quello che il CAI fa a tutto tondo per la montagna e anche per l’Italia, quindi per natura in generale e per i valori che trasmette.

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Intervista a Oreste Ferréa cura di Chiara Pesavento

Oreste Ferré, detto “il Mitico Oreste”, è a memoria dei soci SEM il primo vero e forte alpinista dei tempi moderni della nostra associazione; praticamente ha salito tutte le pareti e le vie delle Alpi. Quando gli chiedi se ha salito una tal via ti risponde che l’ha salita già 4 volte e ti elenca in che anno e i suoi compagni di cordata. Ha conosciuto molti dei forti alpinisti italiani tra gli anni ’60 e ’90. Ogni volta che vai con lui in un rifugio delle Alpi trova sempre qualcuno che lo conosce.

Istruttore Nazionale di alpinismo, è stato componente della scuola centrale CAI.

In SEM è stato per 15 anni direttore della scuola di alpinismo Silvio Saglio e per più di 50 anni ne è stato uno degli istruttori più attivi e capaci. Si è sempre impegnato nel far crescere nuovi alpinisti e nuovi istruttori per la scuola, un vero trascinatore.

Ha partecipato a parecchie spedizioni extraeuropee tra cui: Monte Kenia (5200m), Monte Kilimangiaro (5895m), Mawenzi (tentativo 5200m), Cho Oyu (8200m), Mutzagata (7550m), Naya Kanga (5850m), Ama Dablam (6850m), Aconcagua (6950m), Elbrus (5640m).

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?È nato da un’occasione nel 1960, a Pasturo. Ero lì con degli amici

e abbiamo deciso di andare sul Grignone. Siamo partiti ma man mano che salivamo, pian piano qualcuno si lamentava per la fatica e arrivati ai Comolli e ci siamo fermati tutti. Io però stavo bene e da solo ho continuato fino alla cima; era pomeriggio e non c’era nessuno ed è stata un’esperienza così nuova e meravigliosa che mi è piaciuta un mondo.

L’anno successivo mi iscrissi al CAI; in segreteria ebbi una bella occasione perché il segretario, che si chiamava Ettore Savi, dopo avermi iscritto mi chiese: “Ti interessa fare il corso di alpinismo?” e io risposi “sì”, ovviamente. È stata una combinazione da favola perché quando mi sono

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iscritto il corso era già iniziato ma mi presero lo stesso. Lì ho conosciuto tanti amici e ho iniziato ad andare in montagna.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?Una in particolare no, ma una bella è stata la via Solleder al Civetta;

nel 1962 ero in Civetta e vedevo una moltitudine di vie di sesto grado, un ambiente da favola e tutte le pareti erano piene di gente e la Solleder era agognata da tutti ma anche temuta perché la più difficile. Dopo esserci passato sotto un po’ di volte, nel 1979 mi sono deciso, sono partito e l’ho fatta fino in cima.

È stata veramente bella, una grande impresa.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Io dico che è un po’ una sinusoide, nel senso che le cose vanno a

cicli, perché adesso c’è il boom della falesia e piano piano io penso che si ritornerà a fare anche altro. Negli anni ’70 ricordo che si scoprivano le falesie e le rocce dimenticate, poi c’è stato un briciolo di tranquillità e la gente è andata a fare altro. Adesso c’è di nuovo il boom delle falesie e delle palestre indoor perché evidentemente siamo diventati pigri, con più possibilità economiche, con più impegni, per cui a questo punto se uno ha 3 ore libere prende la macchina, va all’Angelone, così torna a casa presto e può fare altre cose. Questa è un po’ una cosa brutta perché anni fa prendevi, andavi in giro e stavi in giro volentieri anche per più giorni, insomma non ti veniva in mente di tornare a casa a fare altro.

Ora mi sembra che manchi un po’ il concetto della cima a favore dei gradi di arrampicata e quindi spero che prima o poi si torni a dare importanza alla cima.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Andrebbe tutelato e incentivato proprio il fatto di andare in

montagna con più calma, senza fretta.Bisognerebbe sensibilizzare le persone a seguire i sentieri perché,

spesso e volentieri, i sentieri vengono danneggiati dai molti che tagliano scorciatoie sia in salita che in discesa perché si vuol correre e secondo me la velocità porta un po’ a distruggerla la montagna.

Dal punto di vista della flora e della fauna, non c’è molta buona educazione nella gente che va in montagna oggi, soprattutto da parte degli “escursionisti domenicali” che urlano e schiamazzano, per cui gli animali scappano perché sono disturbati.

Quindi credo che si debba tutelare la cultura della montagna sotto tutti gli aspetti incluso il rispetto per l’ambiente che ci circonda.

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I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Per quanto riguarda le pubblicità, queste cose moderne pubblicizzano l’exploit, quindi la cosa difficile, veloce e comunque qualcosa che non è alla portata di tutti; sarebbe bello pubblicizzare salite di un certo impegno ma, magari, fattibili da molti.

Adesso si guarda tanto il grado di difficoltà: se io faccio un IV grado sono un “poveretto”.

Le ultime volte che sono andato in Dolomiti, ho notato che le vie erano vuote, questo perché la gente non ha voglia di impegnarsi affrontando vie lunghe di 700 o 800mt di avventura poco protette; ovviamente qualcuno bravo ci va, ma non sono più frequentate come una volta, perché credo che pochi oggi abbiano le capacità e la voglia di affrontare vie di un certo impegno e di una certa lunghezza.

La gente preferisce fare cose veloci e muoversi sulle alte difficoltà anche perché questo è il messaggio che appunto passano i nuovi media.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Uno che ho ammirato tantissimo è stato Walter Bonatti che, grazie

alle sue doti eccezionali dal punto di vista fisico e mentale, è stato capace di partire subito da giovane a fare salite impegnative anche in condizioni più difficili rispetto, ad esempio, a Messner.

Se fossero partiti alla pari, quindi stessa epoca e anche stesse possibilità economiche, probabilmente avrebbe fatto meglio Bonatti. Insomma, per me è stato un fantastico alpinista. Come mentalità innovativa penso che Bonatti sia stato uno dei migliori. Comunque ce ne sarebbe una miriade di grandi alpinisti da nominare.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Sto leggendo un libro da favola sulla vita di Angelo Dibona: si

intitola “Da Cortina d’Ampezzo alle Alpi”; è un libro di un po’ di anni fa. Angelo Dibona era una persona eccezionale, lo chiamavano “il principe” perché aveva evidentemente un movimento di arrampicata particolare e soprattutto non ha mai avuto nessun incidente, anche se ha fatto salite da tutte le parti. Considera che a quei tempi, quindi nel 1900, spostarsi dalle Dolomiti al Monte Bianco era difficile, lui invece si muoveva sempre dappertutto e ovunque andava faceva bene, apriva vie nuove fantastiche. È un libro che mi ha molto colpito e che rileggo ogni tanto.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Sicuramente lo scioglimento dei ghiacciai ha un grande impatto e

di conseguenza le vie di ghiaccio diventano sempre più pericolose, rischi

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di trovare poca neve con le rocce sotto non sicure. Questo porta anche a una modificazione degli approcci per affrontare una salita, perché questo abbassamento dei ghiacciai porta ad avere specie nelle parti basse delle pareti delle difficoltà che di solito non si trovavano.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Il fatto che, grazie al cielo, il CAI porta sempre in giro tanta gente e penso che tutti quelli che vanno in montagna provino una bella sensazione di tranquillità, proprio grazie agli insegnamenti che il CAI dà.

Soprattutto è bello riuscire a spingere le proprie capacità oltre il pensiero, cioè uno va in montagna, è stanco morto, ma continua ad andare avanti e magari arriva in cima.

Questa secondo me è la cosa più bella, proprio la soddisfazione di fare delle cose che sono inutili, ma che ti spingono ad andare oltre i tuoi limiti. Penso che sia questo concetto che il CAI porta avanti

L’altra cosa bella che sta facendo adesso il CAI è il lavoro con i giovani; una volta i giovani per carità c’erano, ma adesso si sta più attenti a loro e la trovo una cosa bellissima.

Se ci sono dei buoni istruttori o accompagnatori che li entusiasmano, che li portano a divertirsi e a provare cose che magari non avrebbero mai fatto, allora l’andare in montagna diventa la cosa più bella del mondo anche per loro.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Non vedo aspetti che possano penalizzare il CAI oggi, forse l’unica cosa è che quando si va in giro, anche per i rifugi, i soci CAI ormai vengono trattati come tutti gli altri e quindi si rischia di non sentirsi parte di un’associazione. Poi è vero che se sei socio CAI hai l’assicurazione in caso di incidente, però può essere che un socio CAI rischi di non sentirsi tale.

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Intervista a Giacomo Gallia cura di Chiara Pesavento

Bravo alpinista, Istruttore Nazionale di Alpinismo, è stato Direttore della Scuola di Alpinismo, Sci alpinismo, Arrampicata e Sci escursionismo Silvio Saglio dal 2002 al 2010.

Questo è stato un periodo di grande crescita della Scuola che ha aumentato il numero di corsi e il numero di istruttori. Durante la sua direzione, Giacomo ha riformato l’organizzazione e la contabilità della scuola.

È uno dei fondatori del premio Marcello Meroni.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Il mio amore per la montagna è nato in ambito familiare, nel senso

che il mio papà mi portava in montagna quando ero piccolo a fare delle escursioni e questo mi ha permesso di apprezzare il mondo della montagna da una parte e dall’altro mi ha dato delle conoscenze basilari sulla montagna.

Il mio babbo non era un alpinista, però il muoversi sui sentieri, lo stare in giro tanto tempo, il camminare, il saper dosare le proprie forze, mangiare in condizioni diverse dal solito, il dormire in posti non confortevoli, il saper anche misurare il proprio corpo in un ambiente di montagna è stato l’insegnamento fondamentale trasmessomi da mio padre.

Poi c’è stato un lungo periodo in cui in montagna ci sono andato un po’ di meno. Poi occasionalmente e del tutto fortuitamente incontrai la SEM, iscrivendomi ad un corso di roccia e da lì nacque una passione più matura e più tecnica che però poggiava sul sentimento di piacere verso la montagna e l’ambiente alpino che invece evidentemente era già sedimentato da tempo.

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C’è una montagna o una salita che ha particolarmente nel cuore?Allora, di salite che ho amato ce ne sarebbero tante e per ragioni

diverse; se devo dirtene una, più che una montagna c’è un gruppo montuoso che io ho particolarmente a cuore che è il gruppo montuoso del Gran Paradiso. Il Gran Paradiso e la Valle di Cogne sono i luoghi dove mio padre mi portava quando ero ragazzo e quindi lì avevo percorso tutti i sentieri. Il Gran Paradiso è stato ed è forse ancora per me una delle montagne più importanti e che presenta una duplice faccia, nel senso che la cima del Gran Paradiso è una montagna di 4000 metri ed è anche considerata il 4000 più facile delle Alpi, viceversa a fianco del Gran Paradiso ci sono delle montagne, soprattutto nel versante della Val di Cogne, che sono molto poco salite ma che sono molto spettacolari dal punto di vista ambientale, cioè tanto è facile la cima più alta del gruppo quanto sono impegnative e più selvagge le montagne che le stanno attorno.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Ci sono due tipi di cambiamenti che sono importanti per la

montagna: il riscaldamento globale e la deglaciazione, questi cambiamenti presenteranno alle generazioni future delle montagne radicalmente diverse da quelle che abbiamo vissuto noi, soprattutto per quanto riguarda le salite glaciali e in ambiente di alta montagna. La montagna sta cambiando ed è destinata a cambiare.

Poi ci sono gli uomini che cambiano, nel senso che cambia il loro modo di andare in montagna; lì ci sono secondo me due correnti molto diverse: quelli che prediligono l’arrampicata sportiva di alta difficoltà e c’è un alpinismo che ciclicamente si tende a dare un po’ per morto e invece non lo è per niente, che è un alpinismo più esplorativo in alta montagna. Questo secondo me continua a ritornare e a riproporsi in forme diverse.

Io non credo che ci saranno grandi cambiamenti nell’andare in montagna: l’uomo continuerà a misurarsi con sé stesso e con l’ambiente. Quello che ha mosso l’uomo e che sempre lo muoverà è la passione per la montagna, che non cambierà.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?La montagna è un ambiente che andrebbe più protetto. In alcuni

casi e in tanti luoghi è abbastanza protetto, in altri casi non lo è affatto. La montagna andrebbe protetta soprattutto negli ambiti e nei luoghi dove è più sottoposta a “stress”, ad esempio certe valli, in cui ci sono strade invadenti o troppi impianti di risalita, andrebbero protette fermando altre costruzioni. Oppure certe vie alpinistiche troppo frequentate o certi rifugi presi d’assalto nei periodi più favorevoli: tutto questo va limitato.

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Viceversa, ci sono dei luoghi che paradossalmente la montagna un po’ si riprende, nel senso che passano di moda e vengono abbandonati dagli alpinisti e dagli escursionisti. La montagna si riappropria di questi luoghi che si rinselvatichiscono: forse esiste un certo tipo di equilibrio.

In sostanza la montagna andrebbe più tutelata dall’invadenza dell’uomo e dovrebbe essere frequentata dall’uomo in maniera rispettosa.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

L’hanno cambiata tantissimo e come tutti i cambiamenti ci sono dei vantaggi e degli svantaggi. Quando ho cominciato ad andare in montagna e a maggior ragione anche prima, per organizzare una salita in montagna dovevi leggerti dei libri, dovevi studiarti le relazioni scritte, ti trovavi nelle sezioni del CAI, adesso la maggior parte delle informazioni sulla montagna e sugli itinerari, le trovi su internet. Questo da una parte è un vantaggio perché le informazioni circolano molto di più, dall’altra parte il fatto che le informazioni sulla montagna circolino tanto crea ogni tanto delle congestioni su certi itinerari.

Ci sono quindi vantaggi e svantaggi: sicuramente i social network hanno cambiato tantissimo il modo, non tanto di andare in montagna, quanto di organizzare la preparazione della gita in montagna. Non c’è bene o male in assoluto, dovrebbe esserci un buon equilibrio, ogni tanto c’è e ogni tanto non c’è.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Faccio un po’ fatica a rispondere perché da una parte ci sono i grandi

nomi e quelli rimangono comunque dei pilastri della storia dell’alpinismo, da Gervasutti a Bonatti. Dall’altra parte ci sono le persone con cui io sono andato in montagna e quindi con cui io ho condiviso la mia passione e il mio tempo. Quelli potrebbero essere tanti e sono per la maggior parte soci della SEM e amici istruttori della scuola di alpinismo. La persona però con cui ho fatto la maggior parte delle salite e con la quale ho condiviso i giorni “grandi” per me è Guido Valgattarri che è un socio della SEM e istruttore della scuola. Te ne cito un altro: Franco Rainoldi. Franco è stato un mio compagno di scalata dei primi tempi in cui io imparavo ad arrampicare ed è stato un compagno con cui io sono cresciuto, non siamo sempre andati d’accordo perché avevamo due caratteri diversi, però a lui sono legati tantissimi miei ricordi. Lo cito perché è mancato e perché per me Franco era un po’ l’emblema dell’arrampicata e dell’alpinismo. Lo voglio ricordare per un paio di cose in realtà, la prima perché lui mi considerava (per quanto mi riguarda del tutto a torto) un alpinista forte e ogni volta che me lo diceva lo guardavo con aria imbarazzata e un po’

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interdetta come per dire “ma di cosa stai parlando?”, ma questa era una cosa molto tra me e lui; l’altra cosa, perché lui mi diceva sempre “Non diventeremo mica come quegli istruttori, vecchi a 60 anni, rimbambiti! Tu secondo me diventerai così!”, ora lui non c’è più e io non ho ancora 60 anni ma non sono più un istruttore, quindi rimbambirò senza rimbambire degli allievi.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Ti direi l’ultimo che ho letto ma non ricordo neanche il titolo. Ora libri

di montagna non ne sto leggendo da un po’ e di altri… ho letto dei libri di narrativa, ma anche lì non ricordo i titoli.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?C’è un luogo delle Alpi dove il ritiro dei ghiacciai è misurato

scientificamente ed è abbastanza a portata sia degli escursionisti che degli alpinisti, è il Ghiacciaio del Morteratsch. Per raggiungere il Ghiacciaio del Morteratsch c’è una lunga camminata per una valle dove ci sono delle paline che segnano il ritiro del ghiacciaio a partire grossomodo dal 1800. Le ultime paline, quelle degli ultimi anni, sono impressionanti perché sono molto lontane tra loro, segno che lo scioglimento è aumentato. Le ultime volte che mi è capitato di andare su quel ghiacciaio, quando sono passato dalle paline del 1989, 1995, 2002, ho pensato al fatto che io di lì ero passato quando in quel punto c’era il ghiacciaio e ora non c’è più, anzi è lontanissimo. Questa è una cosa che mi ha fatto molta impressione. Gli effetti quindi sono visibili e terribili, non c’è molto da dire. La natura ha dei cicli di glaciazione e di scioglimento ma la situazione attuale è che la natura è fortemente condizionata dall’uomo. Avanti di questo passo avremo dei grandi problemi, non per gli alpinisti ma per tutte quelle persone che usano le risorse della montagna per vivere.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Sono diversi, la storia al primo posto, cioè una storia lunga, bella ma con qualche neo. La storia del CAI è anche riconosciuta dalle istituzioni e quindi importante.

Al secondo posto la serietà e la preparazione dei suoi organici a tutti i livelli, perché il CAI è fatto di persone preparate e appassionate.

La terza cosa è il fatto di essere diffuso sul territorio, questo fa tanto nel senso che altre organizzazioni sono molto locali o localizzate in certe valli piuttosto che in altre. Il CAI invece ha una copertura territoriale straordinaria.

La quarta cosa è anche il dare riscontro a un desiderio di

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aggregazione che comunque c’è nella società, cioè fare delle cose insieme, e il CAI è un ambito aggregativo notevole e questo è un valore molto importante.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

In realtà il CAI è un’organizzazione solida, di questo vive e da questo trae beneficio.

Io non ne vedo di cose che potrebbero essere penalizzanti per il CAI in questo momento.

Il CAI è riuscito a mantenere una sua collocazione del tutto onorevole anche di fronte al fiorire di associazioni diverse, allo sviluppo delle palestre di arrampicata indoor, allo sviluppo dell’arrampicata sportiva e alla creazione della FASI (Federazione Arrampicata Sportiva Italiana).

Il CAI non ha avuto contraccolpi grossi, ha sempre saputo mantenere il suo spazio e la sua peculiarità e io credo che lo farà anche in futuro.

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Intervista a Andrea Maconia cura di Chiara Pesavento

Andrea Maconi è uno speleologo del Gruppo Grotte Milano della SEM. In quest’ultimo decennio si è dedicato ad importantissime scoperte ed esplorazioni sia in Grigna che al Pian del Tivano. È una delle punte di diamante del GGM.

Passa un numero incredibile di giornate in grotta ogni anno, ha scoperto nuovi concatenamenti e nuovi bracci di grotte, raggiunto profondità incredibili (-1000m) rimanendo in grotta continuativamente per molte giornate.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per le grotte?Sono originario della Valle Imagna nella bergamasca e vicino

a casa ci sono delle grotte. Fin da piccolo mi piaceva andare sia in montagna che in grotta con mio padre e quindi la mia passione per le grotte è nata fin da allora. Inoltre, mio padre aveva frequentato un corso di speleologia 20-30 anni prima e quindi anche l’emulazione del genitore è stato un altro motivo che mi ha spinto ad iniziare questa attività.

C’è una grotta che hai particolarmente nel cuore?Mah, in realtà ce ne sono tante… magari “Ingresso Fornitori” al

Pian del Tivano, la grotta più lunga di Lombardia, oppure “Topino e le giostre” in Grigna. Sono nomi un po’ strani, ma le grotte hanno tutte nomi particolari e fantasiosi. Queste due grotte in particolare le ho nel cuore perché forse sono quelle in cui ho esplorato di più, quindi quelle che sento mie.

Come vedi il futuro della grotta o della montagna e della sua frequentazione?

In realtà per la frequentazione in grotta non credo che il futuro

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sarà molto diverso da ora, penso che data la particolarità dell’ambiente, in futuro non ci sarà molta più gente di adesso che si avvicinerà alla speleologia.

Per quanto riguarda la montagna invece, probabilmente ci sarà un aumento nella frequentazione rispetto ai tempi passati, però probabilmente la frequentazione avrà uno stile diverso, magari meno impegnativo.

Quali aspetti della montagna e della grotta andrebbero meglio tutelati?

Secondo me andrebbe meglio tutelato l’ambiente in generale. Spesso mi è capitato di visitare dei bei posti, come alcuni Parchi Nazionali, in cui la natura dovrebbe essere assolutamente preservata, mentre invece si vedono cumuli di rifiuti. Questo non deve succedere e sicuramente è importante far capire alla gente che la natura va preservata e tutelata.

In grotta vale lo stesso discorso. Ovviamente, essendo meno frequentata, è minore anche l’impatto umano. Anche se credo che l’ambiente ipogeo sia da tutelare forse ancor di più e meglio rispetto all’ambiente esterno perché le grotte sono in diretta connessione con i sistemi idrici. È importante far capire che l’acqua che circola nelle grotte è quella che entra nei nostri acquedotti e che noi tutti beviamo, soprattutto in zone come la Lombardia. Questo va considerato e impone la tutela assoluta dell’ambiente sotterraneo.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Secondo me no, perché molto spesso i social media danno un’immagine un po’ distorta della realtà, sono una bacheca per farsi vedere e per mettersi in mostra.

I social danno un’idea distorta della montagna, bisogna per forza fare cose grandiose altrimenti non si è nessuno, mentre invece si possono benissimo fare cose “normali” provando in ogni caso delle belle emozioni e facendo esperienze appaganti.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna o la grotta?Così su due piedi non mi vengono in mente tante persone.

Relativamente alla montagna penso a Bonatti, che con i suoi racconti riusciva a coinvolgere veramente tanto.

Il mondo della speleologia è un po’ diverso dal mondo dell’arrampicata o dell’alpinismo, perché la speleologia non è fatta da una singola persona predominante, ma da una squadra. È il gruppo che porta i risultati nell’attività in grotta, in quanto la singola persona

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da sola non riuscirebbe a fare molto. Perciò per la speleologia non mi viene in mente un personaggio in particolare, sono tante le persone che hanno contribuito e contribuiscono tutt’ora in maniera significativa alla speleologia.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Sono molti i libri che ho letto che mi hanno interessato. Qualche anno

fa mi sono appassionato ad una collana di libri di montagna che uscivano allegati al Corriere della Sera: ne ho letti parecchi ed erano tutti molto interessanti. Trovo che questa del Corriere è stata una bella l’iniziativa.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Diciamo che gli effetti dei cambiamenti possono essere vari, anche se

credo che nel nostro ambito lombardo-milanese di pianura, i cambiamenti nei prossimi anni influiranno relativamente poco. Però ci sono sicuramente altre zone che saranno maggiormente colpite dai cambiamenti climatici.

L’esempio più classico dalle nostre parti sono i ghiacciai che si stanno ritirando: questo potrebbe in futuro anche influenzare la disponibilità idrica, soprattutto per settori come l’agricoltura o i fiumi che in estate avranno meno acqua causando disagi e potenzialmente catastrofi.

Per quanto riguarda il mondo delle grotte il discorso è un po’ diverso: in Grigna, ad esempio, ci sono delle cavità che 40 anni fa erano piene di neve e ghiaccio, mentre ora il livello è drasticamente sceso; in altre grotte, invece, il ghiaccio è addirittura aumentato. Quindi questo fenomeno è sempre stato abbastanza variabile, anche se la tendenza va verso una diminuzione generale della presenza di neve e ghiaccio. In realtà, che in grotta ci sia o non ci sia il ghiaccio non cambia molto per la grotta stessa, solo che mancando di ghiaccio viene a mancare una riserva idrica preziosa.

Comunque, è da tenere presente che la grotta rispetto all’esterno risente dei cambiamenti climatici con un tempo molto più ritardato, perché tutti i processi sono più lenti. Quindi i mutamenti del clima sono ancora difficilmente visibili nell’ambiente ipogeo, a parte questo fenomeno della riduzione del ghiaccio che in certi casi è abbastanza evidente.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Il CAI è l’unica organizzazione di grandi dimensioni che ha come scopo la diffusione della conoscenza e della frequentazione della montagna in tutti i suoi aspetti, coinvolgendo moltissime persone.

Credo che sia proprio il “gruppo” l’elemento che rende il CAI unico ed insostituibile, un gruppo formato da decine di migliaia di persone con gli stessi interessi e gli stessi valori.

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Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Un aspetto penalizzante credo sia l’eccessiva burocrazia che sta appesantendo le varie attività, sia le uscite che i corsi. Capisco che questo aspetto è in parte legato all’evoluzione della società che impone determinate regole e non è una caratteristica esclusiva del CAI, ma bisogna cercare di limitare al minimo indispensabile questo aggravio.

Un altro aspetto penalizzante è lo scarso legame al CAI e alla Sezione che purtroppo sempre più spesso si riscontra tra le persone che partecipano ai corsi, terminati i quali molti dei partecipanti smettono di frequentare e non si vedono più. Anche questo aspetto, però, non è legato direttamente al CAI quanto, piuttosto, alle dinamiche della società che cambia.

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Intervista a Virginia Mandracchiaa cura di Chiara Pesavento

La presidente del GGM (Gruppo Grotte Milano). Super appassionata di speleologia si è perfino sposata con il suo Carlo nella grotta Zelbio nel triangolo lariano, zona dove GGM è attivo da sempre.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per le grotte?Il mio amore per le grotte nasce per pura casualità; io vengo da

un posto di mare e mi sono trasferita a Milano dove è nata la passione per la subacquea in ambiente lacustre e da questo è stato un passo arrivare all’amore per la speleologia subacquea. Solo che per arrivare a questo obiettivo non si possono saltare degli step e quindi sono stata “costretta” a fare un corso di speleologia.

Grazie al mio istruttore ho iniziato ad andare in grotta, a fare un corso presso il gruppo di Milano e da qui mi sono incamminata per sentieri, montagne e una cosa tira l’altra, una passione tira l’altra e quindi dalla subacquea, dalla speleosubacquea sono arrivata alle grotte e poi anche alla montagna.

C’è una grotta che hai particolarmente nel cuore?Sì, decisamente; in particolare ce ne sono due: si trovano

entrambe al Pian del Tivano, in questa zona carsica dove c’è un complesso molto importante dal punto di vista speleologico (fino a pochi anni fa era anche il più lungo d’Italia, ora è il secondo) che è il frutto del lavoro di tanti anni di tanti speleologi, il gruppo di Milano ha cominciato a lavorare 40 anni fa e ci lavoriamo ancora oggi. Del complesso una grotta per me importante è l’ingresso principale che si chiama “Ingresso Fornitori” perché è stata sia la mia palestra di grotte sia il posto in cui ho incontrato mio marito.

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Poi nel cuore mi porto la grotta che è stata la mia prima più grande esplorazione che è “Il buco del latte” che è stata l’emozione più grande che ho condiviso con quello che oggi è mio marito, anche lui speleologo, conosciuto in grotta, sposato in grotta sempre al Pian del Tivano e forse avrei dovuto menzionare questa come terza grotta che mi porto nel cuore, se non addirittura la prima.

Come vedi il futuro della grotta o della montagna e della sua frequentazione?

Per quanto riguarda la frequentazione della grotta non prevedo molti cambiamenti, nel senso che ci saranno sempre i gruppi di speleologia che continueranno il loro lavoro di esplorazione nelle grotte.

Per quanto riguarda invece la montagna potrei dirti che forse sta cambiando il modo di andare in montagna anche in relazione ai cambiamenti della vita quotidiana delle persone.

Quali aspetti dell’ambiente montano andrebbero meglio tutelati?Sicuramente quello su cui ci si dovrebbe concentrare di più è

l’attenzione da parte di chi frequenta la montagna principalmente per i rifiuti che è la cosa che noto con maggior amarezza, perché è vero che la montagna, così come la grotta, è di tutti e ognuno la vive a modo suo, però quello che noto è che non c’è sempre tanta attenzione ai rifiuti in generale, da parte di tutti, anche da parte di frequentatori assidui.

Questa cosa la noto perché noi come speleologi non sempre facciamo sentieri ma andiamo in giro “a caso” perché il nostro scopo è trovare grotte e quindi anche fuori dai sentieri troviamo molta sporcizia.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Secondo me i nuovi media, fondamentalmente i social network, sono un’arma a doppio taglio perché sono dei social fantastici, mediatici e immediati; però le informazioni non vengono più filtrate e spesso prendiamo per buono quello che ci piace o quello di cui abbiamo bisogno in quel momento e smettiamo di ragionare e di essere più critici, anche rispetto alle informazioni che riceviamo.

D’altro canto ci facciamo incantare da belle foto e belle immagini che pubblicizzano posti bellissimi e quindi questo ci sprona ad andarci e pur di fare una bella foto o pur di andare in quel determinato posto si perde l’attenzione che si dovrebbe avere, per capire se si hanno le potenzialità, le capacità.

Questo è da tenere sempre ben presente per evitare inconvenienti.

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Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna o la grotta?Su questo ho un po’ di difficoltà a risponderti perché nel mondo

della speleologia ci sono si tanti personaggi importanti per la nostra attività, però io ho vissuto esperienze con delle persone che per me sono diventate loro personaggi importanti.

Sono tutte quelle persone che mi hanno insegnato ad amare la grotta, la montagna e rispettarla. Sono due le persone fondamentali che ho conosciuto, sono Luigi Casati (Gigi) uno speleosub grazie al quale ho fatto i primi passi sia subacquei che speleo e Alfredo Bini che è stato una persona molto importante per il Gruppo Grotte Milano e la sua passione per le grotte e l’amore per la scienza e la ricerca, che ha manifestato in tutte le sue forme. Il suo esempio è stato per me di grande sprone a continuare in questa attività e a trovare sempre spunti diversi.

Poi un po’ tutte le persone del Gruppo Grotte Milano, che sono una grande famiglia e sono tutti dei personaggi che ogni giorno hanno qualcosa da insegnare.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Quello che noi vediamo da vicino è sicuramente lo scioglimento dei

ghiacciai e ci riguarda molto anche a livello speleologico, proprio perché noi studiamo anche la parte speleoglaciale e quindi anche il monitoraggio di alcuni ghiacciai delle nostre zone. Questi studi stanno dando dei risultati non molto belli dal punto di vista del cambiamento climatico.

Già le grotte nel ghiacciaio sono grotte effimere e durano poco; con questo problema climatico che stiamo provando ad affrontare sicuramente i tempi si sono accelerati tantissimo, quindi strutture che ieri c’erano e sono durate anche per un po’ di anni scompaiono con una rapidità molto maggiore rispetto anche a solo 10 anni fa. Quindi è abbastanza preoccupante e non so fino a che punto troveremo delle vere soluzioni.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Il CAI è sicuramente un’entità in cui tutti si riconoscono ed è riconosciuta a livello internazionale anche dai non soci. Un aspetto molto importante è la sicurezza ed essere il punto di riferimento per molti perché la montagna è di tutti e per tutti, però bisognerebbe capire i propri limiti e quindi avere il CAI come riferimento aiuta sia gli esperti che i meno esperti a vivere al meglio la montagna ed evitare problematiche o incidenti che si potrebbero banalmente evitare.

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Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Il CAI oramai è così consolidato che si fa fatica a pensare a una cosa del genere, anzi a maggior ragione vedo, anche nelle nuove generazioni, una maggior affiliazione anche a livello familiare, un’aggregazione di persone che fanno parte del CAI e che iscrivono anche i propri figli, perché ci tutela e fornisce anche tante attività sane per i giovani.

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Intervista a Carlo Alberto Pinellia cura di Roberto Serafin

Carlo Alberto Pinelli è uno dei padri fondatori di un alpinismo che ha fatto della tutela ambientale una ragione di vita. Accademico del CAI, regista, scrittore, fine intellettuale, presidente onorario di Mountain Wilderness Internazionale, è ideatore e propugnatore di progetti di tutela ambientale di grande respiro dal Monte Bianco all’Himalaya, basti citare “Free K2” che nell’altro secolo diede il via anche nei fatti a una rinnovata visione ecologista degli ottomila. Si onora di considerarlo tra gli amici più sinceri la Società Escursionisti Milanesi che nel 2016 assegnò a Mountain Wilderness il prestigioso Premio Marcello Meroni e nella cui sede accoglie di frequente le riunioni di questo sodalizio ultratrentennale nato da una costola del Club accademico. Va precisato che Betto non si è fatto pregare per rispondere a queste domande, benché travolto con le sue 83 primavere da mille impegni, tutti apparentemente inderogabili. Era appena rientrato dal Pakistan e sommerso dalle lezioni universitarie, dai problemi di MW International, dalla precaria situazione dei parchi nazionali, dal rimaneggiamento di un documentario su Giuseppe Tucci e il Tibet, dall’organizzazione dei trekking di metà agosto, dal progetto di un nuovo film di finzione.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Nel 1951 mia madre costrinse me e i miei fratelli ad accettare

l’invito di mia nonna che aveva affittato una spaziosa casa estiva a Dolonne (Courmayeur). Io allora consideravo la montagna come uno stucchevole fondale retorico utilizzato da una certa parte dell’Azione Cattolica, dalla quale ero appena uscito, come metafora: ascesi verso l’alto, cordate da portare in paradiso, ecc. Ma appena giunto di fronte al Monte Bianco me ne innamorai immediatamente già dal primo giorno. Invece la mia propensione per l’arrampicata si sviluppò sui

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grandi massi del fondovalle dove mi accorsi di scalare meglio di molti altri miei coetanei. Su quei sassi, tra l’altro, ho conosciuto per la prima volta Walter Bonatti. Devo riconoscere che la mia storia alpinistica ebbe inizio come “sassista”. Un ruolo chiave per il mio avvicinamento alla montagna intesa come esperienza “globale” e non solo sportiva, l’ebbe in seguito la guida Laurent Grivel, l’inventore dei ramponi a dodici punte. Fu lui il mio vero maestro, anche dal punto di vista del rispetto ambientale.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?Mi sono sempre considerato un alpinista del Monte Bianco dove ho

compiuto quasi tutte le mie più importanti ascensioni. Il mio cuore è lassù. Per questo mi feriscono profondamente tutte le aggressioni all’integrità di quegli straordinari ambienti naturali (e all’esperienza che in essi si può vivere) come la recente, ributtante stazione di arrivo della funivia alla punta Helbronner, o ciò che sta accadendo lungo la via normale francese. Le salite che mi stanno particolarmente a cuore sono quelle che, per una ragione o per l’altra, non sono riuscito a fare, come la Cassin alle Grandes Jorasses, la cresta sud delle Noire di Peuterey, l’Arrète sans nom della Aiguille Verte, la via Mayor alla est del Bianco.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?I vecchi, credo fin dalla preistoria, hanno sempre considerato i tempi

recenti non all’altezza dei tempi in cui loro erano giovani. Per questo, avendo ormai superato la boa degli ottant’anni, sono reticente ad esprimere un giudizio sull’alpinismo odierno e più in generale sull’attuale e futura frequentazione della montagna. Diffido del mio giudizio. Concordo però con Kurt Diemberger il quale sostiene la necessità di difendere lo spirito dell’alpinismo evitando di abbattere ulteriormente la barriera della fatica e del disagio. Nuove strade di penetrazione, vie ferrate, sentieri manipolati, rifugi accoglienti come alberghi di quota, certamente portano tanta gente in più tra i monti. Però man mano che queste folle viziate avanzano di un passo il significato della montagna arretra di un passo. Questo è verissimo in Himalaya; ma è altrettanto vero per le Alpi. Consiglio di leggere, su tale argomento, le Tesi di Biella, documento fondante di Mountain Wilderness.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Le montagne, da un punto di vista morfologico, non sono altro che

mucchi di rocce e di neve. Personalmente non ne riconosco una sorta di sacralità oggettiva. Considero invece sacro – vale a dire prezioso – l’investimento affettivo ed esistenziale su quegli spazi incontaminati e selvaggi che tante persone hanno fatto o possono fare. Direi in sintesi

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che bisogna difendere l’integrità della montagna intesa come potenziale catalizzatrice di una parte segreta di noi stessi. Un volto inaspettato che solo attraverso quell’incontro rischioso possiamo talvolta far uscire alla luce.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

No, non mi sembra. Manca in genere il coraggio di assumersi la responsabilità di indicare un percorso etico rigoroso. E di fare scelte di campo. Penso con raccapriccio al reality realizzato un paio d’anni fa dalla RAI sull’alpinismo del Monte Bianco. Poi ovviamente ci sono eccezioni come i blog di Serafin e di Gogna.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Non lo so. Francamente non lo so. Spesso però quelli che tu chiami

“personaggi” pongono tra se stessi e l’esperienza della montagna il filtro sterilizzante del proprio super io e della propria ossessiva ambizione competitiva. E’ imbarazzante notare come molti di loro, pur compiendo grandiose imprese, del significato autentico dell’alpinismo capiscano ben poco.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato/interessato?“Viva il latino – storie e bellezza di una lingua inutile” di Nicola

Gardini. O anche l’Aldo Leopold di “Pensare come una montagna” (ma con qualche riserva sulla pratica della caccia). In genere ormai leggo pochi libri di alpinismo. Spesso trovo le loro pagine autoreferenziali e al fondo insincere. Da giovane però li divoravo. L’”Amateur des Abimes” di Samivel è stato per anni il mio “livre de chevet”.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Soffro profondamente per l’arretramento dei ghiacciai come se

fossero amici colpiti da un morbo incurabile. Forse inconsciamente li vedo come una metafora del mio stesso declino fisico. Il discorso sui cambiamenti climatici è troppo complesso per essere affrontato in questa sede.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Unico e insostituibile sono, come ora si usa dire, parole grosse. Però al fondo concordo. Il CAI è la mia famiglia di origine. Sono socio della sezione di Roma dal 1954; ho guidato la TAM nazionale; ho diretto la scuola di alpinismo Paolo Consiglio; sono stato anche consigliere

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centrale. Faccio parte del CAAI. Penso che il Sodalizio sia una ricchezza per la nostra società, anche se lo vorrei più efficace, più tagliente e più coraggioso nel difendere le montagne dall’assalto dell’antropizzazione consumistica. Mi piace l’attuale presidente Torti ma alle sue spalle temo che ci siano ancora troppa zavorra e troppi compromessi. Un esempio? Il CAI non ha aperto bocca per ostacolare i deleteri e ridicoli progetti di sviluppo sciistico del Comelico, lasciando la responsabilità della battaglia a Mountain Wilderness e ad alcune altre associazioni ambientaliste (WWF, Italia Nostra, Pro Natura, Legambiente). Ne ho parlato con i dirigenti del CAI Veneto ma con risultati insoddisfacenti. Con tutto l’affetto e il rispetto per la mia casa di origine reputo che ancora oggi i soci CAI davvero preoccupati della progressiva degradazione della montagna dovrebbero iscriversi anche a Mountain Wilderness e attivarsi a fianco di questa combattiva associazione che tanti anni fa ho contribuito a fondare.

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Intervista a Mario Pollaa cura di Chiara Pesavento

Mario è uno dei fondatori del gruppo di Alpinismo Giovanile SEM e tuttora un’anima fondamentale del gruppo.

Bravo alpinista ed eccellente accompagnatore di giovani è da tempo titolato Accompagnatore Nazionale di Alpinismo Giovanile e componente dell’organico della Scuola Nazionale di Alpinismo Giovanile del CAI.

È stato per alcuni anni nel Consiglio Direttivo della SEM.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Il mio amore per la montagna nasce dal fatto che sono nato in

montagna e quindi la montagna mi è sempre piaciuta. Io vengo dal Trentino, fin da piccolo sono stato abituato a frequentarla e questa passione mi è rimasta anche quando sono venuto qui a Milano.

È da tanti anni che sto mettendo la mia passione per la montagna al servizio dei più giovani, cercando di trasmettere anche a loro questo amore, che io ho scoperto da bambino.

C’è una montagna o una salita che ha particolarmente nel cuore?Si, il Carrè Alto, perché è la montagna sopra casa mia e quindi per

me è la mia montagna e ce l’ho nel cuore.

Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Non lo vedo proprio molto bene perché oramai in montagna ci

vogliono andare tutti, anche chi non è preparato in nessun modo e quindi si rischia sia un sovraffollamento che un possibile aumento di incidenti.

Sotto il profilo della cultura e del lavoro in montagna sono un po’ pessimista perché ho l’impressione che alla gente non importi molto mantenere la cultura e le tradizioni dei propri avi.

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Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Andrebbe meglio tutelata la vita negli alpeggi; bisognerebbe evitare

di continuare a fare strade, funivie e altro perché si rovina sia il paesaggio di per sé, ma anche perché si va ad intaccare la vita e la natura della montagna stessa.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Per certi versi sì e per certi versi no. Da un lato hanno giovato all’immagine della montagna perché stanno facendo conoscere veramente l’ambiente delle nostre montagne a livello nazionale. Le montagne non ci sono solo in Lombardia e in Valle d’Aosta, ma ci sono in tutta Italia.

Dall’altro, fanno credere al grande pubblico che per fare una qualsiasi salita ci vuole poco, come andare al supermercato, quindi semplificano troppo le cose.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?I miei due miti sono sempre stati due grandi alpinisti e guide trentine:

Bruno Detassis e Cesare Maestri che ha aperto vie in solitaria, soprattutto vie in Dolomiti.

Ora come ora vedo molto bene Ermanno Salvaterra anche lui bravissimo alpinista che, oltretutto, viene proprio dalle mie zone.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?L’ultimo libro che ho letto è quello di Simone Moro, “in cordata”; mi

è piaciuto molto. Adesso ho cominciato a leggerne uno di Manolo di cui non mi ricordo precisamente il titolo (eravamo immortali), ma che parla della sua vita. Quando sono andato alla presentazione del libro sono rimasto entusiasta, primo perché il personaggio mi piace a tutti i livelli sia perché è veramente carismatico, sia per i giovani che per i meno giovani. Poi è un buon divulgatore del saper andare in montagna in generale, nonostante sia più portato verso l’arrampicata pura.

Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?L’effetto che temo di più è la mancanza d’acqua, non solo in certe

zone del mondo, ma anche dalle nostre parti. Dicono che i ghiacciai sono eterni ma questo non è vero, infatti ormai ci sono rifugi che hanno problematiche di mancanza d’acqua perché pescavano acqua da ghiacciai che ora non ci sono più. Ovviamente il problema non riguarda solo i rifugi e si ripercuote anche sull’agricoltura e sull’allevamento, soprattutto sugli alpeggi.

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Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Io penso che il CAI sia unico, non solo in Italia ma a livello internazionale, perché sa portare la montagna a tutti, in tutti gli ambienti dove va, come ad esempio nelle scuole. Perché sa lavorare con tutti, dai bambini di 4 anni alle persone di 90 anni. Questo credo che sia il più grande valore del CAI.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

Secondo me ciò che è penalizzante per il CAI sono le tante associazioni che promuovono la montagna in modo commerciale e la fanno passare come una cosa fattibile per tutti, come un grande lunapark, cosa che non è. Io credo che la montagna vada presa seriamente in tutti gli ambienti e in tutte le stagioni.

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Intervista a Laura Posania cura di Chiara Pesavento

Dopo essere stata consigliere per molti anni, Laura è diventata il primo presidente donna della SEM. La SEM sotto la sua guida ha allargato la sua influenza nell’ambito dell’alpinismo e della popolarità nell’ambiente alpinistico milanese. L’attività culturale in SEM è aumentata con tante manifestazioni e conferenze, molte mirate a valorizzare il ruolo della donna nel CAI e nella storia alpinistica. Ha portato in SEM la collaborazione con associazioni di solidarietà, come ad esempio l’esperienza con la cooperativa “La Cordata”, favorendo l’integrazione di minori extracomunitari non accompagnati facendo loro vivere e conoscere l’ambiente di montagna nei suoi vari aspetti. È stata una delle iniziatrici del Premio Marcello Meroni adoperandosi a pubblicizzarlo e organizzarlo. Anche per merito suo il premio è oggi un riconoscimento a livello nazionale le cui serate di premiazione si sono tenute per alcuni anni in Sala Alessi a Palazzo Marino e ora nell’aula magna dell’Università Statale. Da ultimo è solo merito suo se abbiamo trovato questa sede bellissima di Piazza Coriolano, grazie al suo interessamento e ai suoi contatti con gli ambienti politici e tecnici del comune di Milano.

Già membro della Commissione Centrale Medica del CAI fa ora parte della Commissione Medica CAI Lombardia.

Ha frequentato il corso di roccia nel 1976 e dopo pochi anni è diventata istruttore del corso di roccia. In tanti anni di alpinismo ha realizzato bellissime salite tra le quali spicca la Tommason-Bettega-Zandonel sulla parete Sud della Marmolada ma anche molte altre. Ha partecipato, anche come medico di spedizione, ad alcune spedizioni extraeuropee sempre con successo tra cui: Monte Kenia (5200m), Monte Kilimangiaro (5895m), Mawenzi (tentativo 5200m), Rwenzori (5.109m), Naya Kanga (5850m), Chachacomani (6074m). Fuori dalle Alpi ha arrampicato in Corsica, Spagna e Francia.

Per molti anni si è dedicata allo sci di fondo partecipando a parecchie

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gare tra le quali spicca la partecipazione, per due edizioni consecutive, alla massacrante 24 ore di Pinzolo con una squadra di sole donne SEM.

Laura si è poi dedicata allo sci escursionismo fuori pista e dal 1991 è diventata ISFE (Istruttore Sci di Fondo Escursionismo CAI), una delle prime donne in Italia a conseguire questo titolo. È stata anche direttore del corso di sci escursionismo. Oggi continua ad essere uno dei punti di riferimento della nostra associazione, attiva in sede e sul campo come sempre.

Parlaci di te: come è nato il tuo amore per la montagna?Gli amori nascono in modi diversi: ci sono i colpi di fulmine, oppure

nascono e si alimentano nel tempo e il mio amore per la montagna è stato così; ho avuto un avvicinamento e una piacevole esperienza nei confronti della montagna facendo il corso di alpinismo della SEM. Ma io già andavo in montagna con i miei genitori e da piccola ho fatto tante camminate, però non cose impegnative. Partecipando al corso di alpinismo ho imparato a conoscere meglio me stessa perché arrampicando ho scoperto di avere degli schemi corporei che non sapevo di avere e con cui mi trovavo molto bene, quindi diciamo che l’amore per la montagna è nato contemporaneamente a una mia scoperta personale.

La montagna la amo particolarmente sia per quello che è, sia per quello che ho vissuto, sia per le relazioni che ho potuto intrecciare. È dove ho conosciuto uomini e donne straordinarie, le mie amicizie più care che fanno indelebilmente parte del mio “viaggio“.

C’è una montagna o una salita che hai particolarmente nel cuore?La montagna che ho nel cuore si trova in Val Zoldana, nel gruppo

degli Spiz de Mezdì. Vi é qui una via di spigolo bellissima, una successione di spigoli e fessure verticali ed eleganti: lo Spigolo Gianeselli. Ho avuto occasione di salire questa via prima dello Spigolo Giallo alla Piccola di Lavaredo, di quest’ultima Comici diceva “Hai cielo sopra, hai cielo sotto, hai cielo a destra e a sinistra”. Ecco, sulla Gianeselli ho vissuto proprio questa emozione che ha descritto Comici, cosa che invece non ho riprovato allo Spigolo Giallo.

Un’altra via che ho nel cuore è la Tomasson, alla parete sud della Marmolada; è stata aperta da Beatrice Tomasson nel 1901 insieme alle sue due guide e dopo 110 anni ho voluto salire questa via aperta da una donna, molto lunga con i suoi 700mt di dislivello e 1000mt di sviluppo. È una via di ambiente e ce l’ho proprio nel cuore sia perché è stata una ripetizione femminile e proprio come la Tomasson siamo arrivati in cima con un temporale con tanto di grandinata, sia per il suo valore storico, è stata infatti la prima via ad essere aperta sulla parete d’argento, la bastionata sud della “Regina delle Dolomiti”.

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Come vedi il futuro della montagna e della sua frequentazione?Io ho notato che le vie definite classiche, che ti facevano sentire un

alpinista “vero e proprio”, un tempo erano quasi prese d’assalto, oggi invece quelle vie che erano lunghe, in ambiente, con gradi di difficoltà variabili, oggi sono poco frequentate a favore di altre più corte ma con gradi di difficoltà maggiori.

Penso che la montagna e l’andare in montagna, per quanto riguarda l’alpinismo, stia andando più verso il voler fare delle imprese sensazionalistiche, con un’asticella un po’ più alta, perdendo di vista, a volte, quello che è l’insieme dell’ambiente alpino, dell’avvicinamento, della ricerca, del vivere la montagna in modo lento e contemplativo.

Mi sembra che le persone vadano in montagna più per esternare e dimostrare qualcosa, piuttosto che per interiorizzare qualcosa di intimo. Non voglio dare un giudizio di merito, noto però questo cambiamento.

Quali aspetti della montagna andrebbero meglio tutelati?Da un lato non vorrei che ci fosse una “ZTL” della montagna, ma

dall’altro non vorrei nemmeno una pubblicizzazione esagerata di itinerari in stile “promozione turistica”, perché alcune zone hanno anche la capacità di assorbire un certo tipo di affluenza, altre zone invece sono più delicate e fragili. È vero che se io amo un posto splendido vorrei farlo conoscere a tutti, però devo anche tutelare questo posto perché se porto le masse e se queste non sono educate al rispetto della montagna e dell’ambiente si rischia veramente di rovinare tutto quello che di bello abbiamo. Noi siamo sempre andati in montagna con il sacchetto della spazzatura nello zaino perché a volte ci capitava di raccogliere rifiuti lasciati sui sentieri. Ho notato che ora questa cosa accade sempre più spesso.

Penso che la montagna sia un ambiente naturale al quale le persone devono essere educate fin da giovani, anche a livello didattico; se a scuola insegnassero i diversi ambienti naturali e sensibilizzassero alla loro tutela, creerebbero delle persone in grado di avvicinarsi con attenzione e riguardo a questo ambiente. Questo discorso vale sia per la montagna che per il mare che per qualsiasi altro luogo da rispettare.

I nuovi media secondo te hanno giovato all’immagine della montagna e al modo di frequentarla?

Non posso essere precisa perché io non seguo nessun social network. So che i social sono un mezzo potentissimo per cui puoi trasmettere cose anche molto belle; quindi anche suggerire un posto di montagna con delle considerazioni personali può essere molto educativo. Tutte le novità nella comunicazione hanno reso più nuovo il modo di affrontare le cose. Se alla base di tutto viene dato valore alla formazione dell’individuo e al rispetto

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dell’individuo per l’ambiente, chiaramente i risultati non possono essere altro che positivi.

Quale personaggio rappresenta oggi meglio la montagna?Per me? In senso strettamente personale è doveroso che nomini

Riccardo Frigo, istruttore nazionale di alpinismo, persona che conosco da 35 anni e con cui, nel giro di pochi anni, ho avuto il piacere di “accarezzare” più di 100 vie di alpinismo d’ ambiente, di buon livello.

È con lui che ho toccato livelli di difficoltà per me molto alti, è stato capace di tirare fuori da me ciò che avevo già e non lo sapevo: le mie capacità atletiche e di concentrazione e quelle capacità tecniche che avevo appreso e fatto mie nel corso degli anni. Tutto questo si rende possibile solo grazie al rapporto con una persona affidabilissima, capace di dare sicurezza, trasmettere calma e condividere la bellezza. Mi ha insegnato molto, sia dal punto di vista tecnico che di approccio alle diverse situazioni. È importante avere un compagno di cordata di cui ti fidi al 100% anche nelle situazioni più drammatiche.

Quale libro recentemente ti ha più appassionato o interessato?Per quanto riguarda la montagna recentemente ho letto “Due

montanari: Arturo e Oreste Squinobal dalle Alpi all’Himalaya” di Maria Teresa Cometto. Mi è piaciuto tantissimo perché è la storia di due fratelli, falegnami e guide alpine, che sono stati dei grandi alpinisti sia sulle Alpi che in Himalaya. Dal libro esce molto l’umanità di questi due personaggi; non c’è solo la storia delle loro imprese alpinistiche ma il libro trasmette anche l’amore e l’umiltà che questi fratelli, originari della valle di Gressoney, avevano nei confronti della montagna. Le descrizioni sono molto belle, la scrittura è scorrevole, la lettura è piacevolissima.

Ma il libro che più mi ha rapito di recente è “La misura eroica” di quella straordinaria autrice che è Andrea Marcolongo. Racconta del mito degli Argonauti e della ricerca del vello d’oro, usando la metafora del viaggio dove viene lasciato il noto per l’ignoto; la scrittrice affronta tutto quello che è fondamentale nella vita di ognuno di noi: l’amicizia, la crescita, l’amore, il coraggio di mettersi in gioco e di affrontare il pericolo, l’emozione di raggiungere una meta non come punto d’arrivo ma come luogo di svolta per un viaggio più lungo. La cosa più bella è come viene affrontato il tema della maturità che per la Marcolongo racchiude il concetto di “portare a termine” qualcosa. Quindi la maturità non è una fase della vita, ma interessa ogni età della vita, per tutta la vita, basta volerlo. In qualsiasi età si inizi qualcosa e la si porti a termine, allora si matura. Questo piccolo libro denso di spunti, di meraviglie e stimoli è il classico libro che io definisco “da tenere sul comodino”.

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Quali effetti temi di più per i cambiamenti climatici in corso?Io sono “ignorante” in materia, ma mi fido degli studiosi e

degli scienziati; che ci saranno dei cambiamenti climatici è ovvio, dei cambiamenti ambientali pure.

La Terra sta cambiando a una velocità esponenziale rispetto a quello che succedeva decenni fa. Io però sono anche dell’idea che ci sono sempre dei riaggiustamenti; come noi ci adattiamo all’ambiente io penso che ci possa essere anche un adattamento dell’ambiente, però ripeto, io non sono una scienziata. Ci sono e ci saranno dei cambiamenti che saranno sicuramente drammatici e di rottura per chi li vivrà perché il mondo sarà diverso da quello a cui si è abituati, ma spero che quello che succederà dopo sarà un adattamento alla nuova situazione.

Quali pensi che siano i motivi principali che rendono il CAI unico e insostituibile?

Il CAI è una grande realtà positiva ed è unico nel suo genere perché è un’istituzione che fa tantissime cose a livello differenziato, nel senso che segue, tutela e valorizza sia l’aspetto sportivo, che l’aspetto ambientalistico, che l’aspetto culturale, che l’aspetto di solidarietà tra le persone. Il CAI quindi è un valore che racchiude in sé tutta una serie di altri valori, che non sono di tipo moralistico o religioso, ma sono dei valori che tirano fuori da ognuno di noi degli aspetti e dei comportamenti che ci permettono di esprimere il meglio di noi in un ambiente meraviglioso.

Quale aspetto può oggi risultare penalizzante per il Club Alpino che tuttavia, in base al numero di iscritti, sembra oggi godere di buona salute?

In realtà io penso che il CAI stia facendo bene e quindi aspetti penalizzanti non ne vedo; piuttosto posso dire quali aspetti il CAI dovrebbe continuare a coltivare affinché non si abbiano delle “battute di arresto”. Deve continuare a fare luce sul femminile nel CAI di ieri, penso ad esempio alla bellissima monografia su Bianca di Beaco, e di oggi, penso a Lorella Franceschini, primo Vicepresidente donna del CAI, e a Renata Viviani già presidente CAI Lombardia. È importante valorizzare la figura della donna ed il suo sguardo sulla montagna vissuta in un modo inevitabilmente diverso rispetto all’uomo.

Un’altra cosa a cui bisogna dare sempre più valore è l’area dei giovani. E anche qui il CAI sta facendo bene, penso all’AG ed al Family CAI. Quindi in realtà quello che potrebbe penalizzare il CAI è una distrazione da queste aree; molto si sta facendo ma molto ancora si dovrà fare.

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