La Scuola Superiore di Polizia: genesi ed evoluzione
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Salvatore BUZZANCA
La Scuola Superiore di Polizia: genesi ed evoluzione
(*) Funzionario del Ministero dell’Interno prsso la Prefettura di Pratoe dottore di ricerca in diritto romano e diritti dell’oriente mediterraneo
Scuola Superiore di Polizia
La creazione delle Scuole di Polizia rappresenta il punto di arrivo di
un plurisecolare processo evolutivo che ha riguardato tanto i mutamenti
che si sono succeduti nel settore delle scienze penali (essenzialmente dirit-
to e procedura penale) che il lento, controverso e travagliato affermarsi dei
diritti umani.
La Scuola di Polizia, infatti, come Istituzione, esprime e compendia
nella trasposizione sul piano didattico, formativo e scientifico, quei princi-
pi democratici troppo a lungo ignorati, assai spesso negletti e generalmen-
te sacrificati, nel tempo, sull’altare di una Ragion di Stato che annullava,
insieme ai diritti fondamentali dell’uomo, le aspettative riposte in una
Giustizia equa ed imparziale.
Le affermazioni che precedono sono più facilmente comprensibili se
esaminate alla luce delle complesse vicissitudini che hanno riguardato le
scienze giuridiche penali e la maniera di intenderle in una transizione che
spazia in un arco di tempo che, procedendo dal periodo barbarico, in cui
era in auge la vendetta privata1, attraversa l’era cosiddetta teocratica o della
vendetta divina 2
per raggiungere l’epoca comunemente definita politica o
dell’ordine sociale in cui lo Stato, nell’affermare il proprio ruolo, avoca a sé
lo “ jus puniendi ”.
È opinione condivisa che il diritto penale sia “ in misura determi-
nante, condizionato anche dalla Politica e, quindi, dalla Storia ” 3
per cui
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1 La reazione illimitata spesso connessa alla vendetta privata o vendetta del sangue venne con-temperata, fin dalle epoche più antiche, dalle leggi cosiddette del taglione: codici cinese,di Hammurabi, egiziano, di Mosè. In proposito, il principio più noto: “ occhio per occhiodente per dente ”, che è contenuto nel Levitico, libro biblico storico oltre che testo giuridi-co, è ripreso dalla legge romana nella VII delle Dodici Tavole. Quivi, però, la formula adot-tata: “ si membrum rupit ni cum eo pacit talio esto ” è certamente più evoluta e civile inquanto introduce con le parole “ ni cum eo pacit ” l’istituto della composizione mediante ilrisarcimento del danno.2 Il periodo, che segna una notevole evoluzione rispetto al precedente, è caratterizzato dallacompetenza sacerdotale in materia penale. Come scrive Cicerone, infatti “ omne jus in pene-tralibus pontificum depositum erat ” e per la prima volta il diritto penale viene orientato versoil riadattamento del reo.3 MANTOVANI Ferrando: Diritto Penale, Cedam, Padova, 1986, pag. 6.
il sistema penale, in quanto prodotto dell’uomo in uno spazio temporale,
risente fatalmente dei contenuti ideologici, politici ed economici connessi
ai diversi tipi di ordinamenti statuali: democrazia, totalitarismo, liberali-
smo, socialismo, individualismo o collettivismo e, quindi, delle specifiche
finalità perseguite.
Rileva in proposito Mantovani che “proprio rispetto all’area delle
varianti storiche il diritto penale, per il fatto di poggiare su un sistema di
sanzioni limitatrici dell’altrui libertà, più di ogni altro ramo del diritto è
lo strumento più immediato per proteggere ma anche per negare i diritti
umani fondamentali ”.4
Quanto precede spiega perché, in dottrina, si parli di diritto penale
dell’oppressione e del privilegio e si rilevi che la sua meta, quella di diritto
delle libertà, per la stessa natura umana continui ad essere, nonostante gli
innegabili progressi compiuti, ancora un ideale da perseguire.
Salvo brevi periodi, infatti, il trionfo più o meno accentuato dell’op-
pressione e del privilegio ed il connesso misconoscimento dei diritti del-
l’uomo hanno costituito, nel tempo, la nota dominante del potere sovrano
e suggerito a Voltaire la celebre frase che sotto l’ancien régime il codice
penale sembrava pianificato per rovinare i cittadini.
Tale osservazione, in effetti, poteva essere tranquillamente sottoscrit-
ta con riferimento ai sistemi all’epoca vigenti nei diversi Stati ed all’uso, a
dir poco spregiudicato, che si faceva oltre che del diritto, della procedura
penale e delle organizzazioni di polizia.
In materia, infatti, il complesso della legislazione costituiva solo uno
strumento per il dispotismo dei sovrani mentre la netta divisione tra le clas-
si sociali e le discriminazioni operate servivano a mantenere in vita soprusi
e privilegi a scapito degli strati più deboli della popolazione.
In un simile contesto, in cui paradossalmente l’incertezza della legge
era la regola imperante, l’arbitrio rappresentava con sempre maggiore fre-
quenza la norma di condotta e la polizia era unicamente la longa manus del
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4 MANTOVANI, Op. cit., ibidem.
potere, non meraviglia la straordinaria diffusione delle famigerate lettres de
cachet, comunicazioni reali chiuse e sigillate, assai spesso contenenti ordi-
ni di arresto, di esilio, di privazione di beni, ecc. ed il loro frequente invio
alle autorità designate per l’applicazione del provvedimento anche median-
te lo stesso destinatario, naturalmente ignaro del contenuto della comuni-
cazione di cui era latore.
Il più fiero avversario del loro uso fu Mirabeau che pubblicò anche
il pamphlet “ Des lettres de cachet et des prisons d’Etat ” dove, tra l’altro,
stigmatizzava che tale mezzo non era l’atto conclusivo di un procedimento
legale ma l’espressione della sola autorità del re.
Alla voce di Mirabeau si unì, nel 1785, quella autorevole di Louis de
Breteuil che nella sua qualità di ministro della Real Casa di Luigi XVI
denunciò ufficialmente, condannandoli con estrema decisione, gli abusi
perpetrati decretando così la fine, praticamente se non formalmente, di
uno dei più tristi ed odiati strumenti dell’assolutismo.5
In definitiva, ormai alle soglie del secolo XIX, nonostante i fermen-
ti sociali propri del ‘700 che sfociarono, poi, nella Rivoluzione Francese ed
il clima creato dalle scoperte scientifiche succedutesi fin dal XVI secolo, la
legislazione penale e di polizia era basata essenzialmente sulla repressione e
sull’intimidazione causata dalla cosiddetta politica del “ terrore sospeso ” e
sulla vendetta, reintrodotta nei sistemi penali europei sull’onda delle
invasioni barbariche, dopo la caduta dell’Impero Romano d’Occidente per
cui, da quell’epoca, come scrive Radzinowicz, non solo non si erano regi-
strati progressi significativi quanto “ sotto certi aspetti, le cose erano anda-
te peggiorando ”.6
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5 Le lettres de cachet, in origine, erano uno strumento essenzialmente diretto alla circolazionedi informazioni, avvisi, notizie, ordini, di carattere riservato nonché un mezzo per comunica-re a funzionari l’attribuzione di una carica, il compiacimento del sovrano, la liberazione di undetenuto, ecc.; fu appunto con tale mezzo che Luigi XVI, re di Francia, convocò il 5 maggio1789 gli Stati Generali. Le lettres de cachet vennero definitivamente e formalmente abolite inFrancia dall’Assemblea Costituente, il 16 marzo 1790, su iniziativa dello stesso Luigi XVI.6 RADZINOWICZ Leon: Ideologia e criminalità, uno studio del delitto nel suocontesto storico e sociale, Milano, Giuffrè, 1968, pag. 5.
La situazione descritta, che rendeva oltremodo precario il manteni-
mento dell’ordine e della sicurezza pubblica già in Paesi come la Francia, la
Spagna e l’Inghilterra, per citarne solo alcuni, nei quali il processo di for-
mazione di Stati forti ed unitari era già compiuto, riveste una particolare
gravità nella nostra penisola dove la ben nota frammentazione politica del
territorio faceva sì che non vi fossero “ Corpi stabili di polizia che potesse-
ro provvedere all’ordine pubblico ed a tutte quelle altre incombenze che si
riteneva dovesse essere compito dello Stato tutelare e vigilare.” 7
Tale stato di fatto non mutò sostanzialmente nel XVIII secolo per il
perdurare, com’è stato rilevato, di “ una situazione estremamente composi-
ta connessa alle condizioni politiche ed economiche del tempo ”, mentre,
in via generale, “ il cattivo funzionamento delle Forze dell’Ordine non face-
va che aggravare le condizioni precarie di vita dei sudditi. Le deliberazioni
provenienti dall’alto si limitavano semplicemente a punire…le numerose
infrazioni compiute dai cittadini ” senza cercare di migliorare le condizio-
ni di vita della popolazione... “ Gli aneliti di rinnovamento ed i sintomi di
rinascita civile, infatti, continuavano ad essere frustrati da un autoritarismo
rigido e vessatorio ”.8
In un panorama simile è facilmente intuibile come non ci fosse spa-
zio per l’istituzione delle Scuole di Polizia che sono, praticamente, una
creazione del XX secolo.
I tempi, comunque, erano maturi per profondi mutamenti che
avrebbero investito tutta la società, frutto di una reazione globale contro
l’ordine costituito e contro l’impero della tradizione e dell’assolutismo.
Era fatale che tali sconvolgimenti avrebbero influito sulla concezio-
ne stessa della Giustizia e, di riflesso, avrebbero posto il problema di una
nuova organizzazione della Polizia che avrebbe finito per assumere, sia pure
lentamente, una propria autonomia e dignità, sottraendosi all’asservimen-
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7 DI BARI Pasquale: La Polizia nel ‘500 e nel ‘600, in “ Dizionario Enciclopedico di Polizia, Latina,1976, pag. 59.8 MASELLIS Vito: La Polizia nel ‘700, in “ Dizionario Enciclopedico di Polizia ”, Latina1976, pag. 96.
to puro e semplice al sovrano. Una spinta decisiva al rovesciamento del-
l’ancien régime venne data, nel secolo XVIII, dall’Illuminismo, vasto e
profondo movimento culturale, così chiamato in quanto sosteneva la solu-
zione dei complessi problemi politici e sociali attraverso i lumi della ragio-
ne, ripudiando verità rivelate e tradizione.
Le concezioni illuministiche presero le mosse, in Inghilterra, dal-
l’empirismo di Locke e Hume e trovarono fertile terreno in Francia grazie
a Voltaire, Montesquieu, Rousseau, agli Enciclopedisti, con in testa Dide-
rot e D’Alembert, che propugnarono la diffusione del pensiero filosofico,
scientifico e tecnico.
Le nuove idee si diffusero quindi immediatamente nei Paesi cultu-
ralmente più evoluti fra i quali spicca, per l’originalità dei contributi di
pensiero, l’Italia.
Quivi la situazione politica e lo stato di oppressione possono ben
essere illustrati da una lettera che Voltaire, appassionato ammiratore della
“ bella lingua italiana ” scrisse a Saverio Bettinelli, 9 il 18 dicembre 1759,
nella quale il grande filosofo francese si rammarica di non poter venire in
Italia e visitare, tra le altre, città quali Roma, Verona e Venezia perché uno
spirito libero non può “ andare in un Paese dove si confiscano alle porte
delle città i libri che un povero viaggiatore ha nella sua valigia.” 10
I rilievi mossi da Voltaire, per altri versi, trovano eco in Gaetano
Filangieri che Napoleone Bonaparte teneva in alta considerazione e defini-
va “ notre maître à tous ”, il quale nella sua Scienza della Legislazione,
subito messa all’indice per le opinioni espresse, dopo un’acuta ed impieto-
sa analisi critica della situazione economica e sociale del Regno di Napoli,
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9 Saverio Bettinelli, Mantova 1718-1808, gesuita e letterato, seppe inserirsi autorevolmente nel filo-ne della letteratura illuministica. Amico del Voltaire e fautore delle posizioni assunte nel periodicoletterario, economico e scientifico “Il Caffè” del quale furono animatori fra gli altri i fratelli Verri eBeccaria, sostenne la concezione illuministica e voltairiana della Storia, da interpretarsi in chiave cul-turale oltre che politica in quanto è la cultura che sta alla base del progresso umano. In tale prospet-tiva il Bettinelli sottolineava lo straordinario contributo che l’Italia continuava a dare all’Europa conil suo eccezionale patrimonio di pensiero, artistico e scientifico.10 François-Marie Arouet Voltaire a S. Bettinelli in “Correspondance de Voltaire”, a cura di Th. Bester-man, Genève, 1953, XXXVIII, pp. 45-46.
stigmatizza le condizioni vergognose in cui versava la Giustizia affidata, in
prima istanza, a giudici nominati dai baroni: “ …questo magistrato, che è
nello stesso tempo inquisitore fiscale ( pubblico accusatore ) e giudice; que-
sto magistrato…non è altro che un miserabile e vile mercenario del baro-
ne... L’unico interesse di questo giudice è di profittare, quanto più si può,
della sua carica ed aderire ciecamente a’ capricci del barone…Qual probità,
qual virtù è sperabile di trovare in siffatti uomini che il bisogno e l’inte-
resse obbligano ad essere ingiusti ? ” 11
Gli esempi si potrebbero moltiplicare e riguardare, in pratica, lette-
rati, giuristi, filosofi ed economisti provenienti da tutti gli Stati nei quali,
all’epoca, era suddivisa la nostra penisola, perché l’Illuminismo trovò vasta
e profonda eco nella cultura italiana, aperta allo spirito riformatore che per-
vadeva l’Europa.
L’Italia, pertanto, s’inserì con alto contributo di pensiero nel filone
illuministico e consegnò al mondo, con l’opera di Cesare Beccaria “ Dei
delitti e delle pene ”, quello che può essere considerato il vero e proprio
manifesto dell’Illuminismo nel campo delle scienze penali e di polizia.
Il libro di Beccaria, edito nell’estate del 1764, pur messo all’indice
fin dal 3 febbraio del 1766, ebbe un effetto dirompente sulla cultura del-
l’epoca per le idee rivoluzionarie sostenute, per la polemica contro l’arbi-
trarietà e l’oscurità delle leggi, per la difesa del principio della proporzione
fra delitti e pene senza della quale il castigo diviene vendetta mentre le sue
finalità, etiche ancor prima che logiche, sono la riparazione e la prevenzio-
ne del danno arrecato.
In un sistema penale moderno, pertanto, non potevano trovare
posto la tortura e la pena di morte perché la prima è il mezzo più sicuro
“ di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti ”12,
mentre la seconda può essere considerata, come con fine sarcasmo scrive
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11 FILANGIERI Gaetano: Scienza della legislazione, Filadelfia ( in effetti Livorno ), 1799 L.III,C.XVII, vol. II, pp. 448-450.12 BECCARIA Cesare: Opere, a cura di Sergio Romagnoli, Sansoni, Firenze, vol. I, “ Dei delitti e dellepene ”, pag. 68.
Beccaria, “ un’inutile prodigalità di supplizi che non ha mai reso migliori
gli uomini ”13.
Le concezioni illuministiche e liberali del Beccaria ebbero positivi
riflessi sulle legislazioni penali dell’epoca che eliminarono praticamente
l’uso della tortura e limitarono grandemente i casi di applicazione della
pena di morte peraltro abolita del tutto nel Granducato di Toscana.
I principi sostenuti dal Beccaria sono alla base della Dichiarazione di
Indipendenza in America e della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo nella
Francia della Rivoluzione.
La ventata innovatrice causata dalla pubblicazione di “ Dei delitti e
delle pene ” destò una profonda eco anche in Inghilterra, il Paese della
Magna Charta, il cui sistema penale era additato quale modello da imita-
re ma dove, per contro, le stesse garanzie legali e la certezza maturata del-
l’impossibilità che un innocente venisse condannato avevano portato ad
una tale dilatazione del numero delle condanne a morte, previste peraltro
anche per reati minori, che nell’edizione inglese del 1769 del libro del Bec-
caria si legge, nella prefazione, che le pronunce di condanna alla pena capi-
tale in Inghilterra superano di gran lunga, per numero, quelle comminate
in ogni altra parte dell’Europa.
In Italia, il pensiero di Cesare Beccaria determinò un’imponente e
feconda evoluzione dottrinale che ebbe uno dei suoi punti di arrivo nella
ben nota Scuola Classica del diritto penale la cui speculazione si orientò
secondo due tendenze principali: quella denominata critico-forense, prevalen-
temente diretta allo studio del diritto positivo e quella da Enrico Ferri defi-
nita filosofico-giuridica che, meno indirizzata verso i sistemi positivi vigenti,
si preoccupò di studiare e gettare le basi di una giustizia penale più equa.
A quest’ultima corrente speculativa appartiene Francesco Carrara
con il quale, come scrive Frosali, “ la Scuola Classica di Criminologia rag-
giunge la più compiuta e più forte sistemazione ”14.
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13 BECCARIA Cesare: op. cit., pag. 79.14 FROSALI Raul Alberto: Sistema penale italiano, Torino, Utet, 1958, vol. I, pag. 21.
Non sembrando questa la sede per addentrarci nel complesso delle
problematiche oggetto delle teorie della Scuola Classica, superbamente
espresse dal Carrara 15 nel suo “ Programma del corso di diritto criminale ”,
ci limiteremo a rilevare che il metodo d’indagine scientifica adottato fu
quello deduttivo e che la formula da cui origina il pensiero classico venne
compendiata dal Carrara nell’espressione: il delitto non è un fatto ma un ente
giuridico; “ con siffatta proposizione - egli nota - mi parve si schiudessero le
porte alla spontanea evoluzione di tutto il diritto criminale per virtù di un
ordine logico ed impreteribile. La legge morale giuridica si rivela all’uomo
non per mezzo di fatti ma per le intuizioni del senso morale ” 16 .
Se, dunque, il reato è un ente giuridico che procede, come afferma
il Carrara, “ da un precetto di Dio promulgato all’uomo mercè la legge di
natura”, 17 il diritto non è più “ un prodotto umano ma un’essenza tra-
scendentale eteronoma.”18
Da quanto precede deriva come corollario il concetto che la pena ha
una funzione meramente retributiva ed il punire pertanto non è più “ un
bisogno politico ma una necessità della legge di natura. ”19
Le concezioni classiche così formulate presuppongono che la pena
trovi la sua giustificazione d’essere nel principio aristotelico e teleologico
dell’imputabilità morale del reo e quindi nel suo “ libero arbitrio ” nello
scegliere il male.
Questa posizione basilare venne così ribadita da Carrara:“ io pre-
suppongo accettata la dottrina del libero arbitrio e dell’imputabilità mora-
le dell’uomo, e su questa base edificata la scienza criminale che mal si
costruirebbe senza di quella ”20.
La Scuola Classica considerò anche che l’esistenza di situazioni quali
la minore età, l’ubriachezza, il sordomutismo, il vizio di mente, ecc. ridu-
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15 CARRARA Francesco: Programma del corso di diritto criminale, VI ediz. 1886.16 CARRARA Francesco, ibidem I, 21.17 CARRARA Francesco, ibidem.18 FROSALI R. A. op. cit. pag. 23.19 CARRARA Francesco: Opuscoli di diritto criminale, Prato, 1878, vol. I, pag. 252.20 CARRARA Francesco: Programma, cit: 5a ed: -
cessero o escludessero l’imputabilità penale di un soggetto per cui si operò
una distinzione tra autore morale e materiale del reato, sostenendosi che le
due qualità dovessero concorrere ai fini dell’imputabilità penale.
Nella prolusione dell’anno accademico 1873-74 all’università di Pisa,
Carrara consigliava i giovani che intraprendevano gli studi giuridici a dedi-
carsi alla procedura penale perché, egli diceva, nel campo del diritto penale
“ resta poco da aggiungere a quello che è stato fatto dai vostri padri ”.
Questa celebre affermazione si dimostrò ben presto arrischiata in
quanto già nel 1878 un giovane di appena 21 anni, Enrico Ferri, pubblicò
la sua famosa tesi La teoria dell’imputabilità e la negazione del libero arbitrio
dove, come scriverà Arturo Rocco, avversario del positivismo criminologi-
co, “con ardimento innovatore…che stupì e sgomentò l’intero mondo
scientifico e legislativo, osò scuotere dalle fondamenta il mirabile edificio
scientifico pazientemente e genialmente costruito dagli insigni maestri
della scuola classica del diritto criminale, contrapponendo ad essa un
nuovo e rivoluzionario indirizzo scientifico da lui chiamato Scuola crimi-
nale positiva.”21
Con la sua opera Ferri si pone a buon diritto accanto a Cesare Lom-
broso e Raffaele Garofalo come fondatore del positivismo criminologico
che richiamò l’attenzione della Scienza, non solo giuridica, sull’Uomo.
I fondatori della Scuola Positiva del diritto penale, come venne chia-
mata la nuova corrente di pensiero, sottolinearono infatti con Lombroso la
necessità di studiare i caratteri anatomici e funzionali del delinquente e
l’influenza dei fattori patologici ed ambientali sul dispiegarsi del libero
arbitrio, con Garofalo la funzione preventiva generale e speciale della pena
ed il grave problema della recidiva - ignorata nella concezione classica -
quale indice di pericolosità sociale, mentre con Ferri sostennero, tra l’altro,
l’importanza dei “ sostitutivi penali ” quali elementi cardine per un siste-
ma di prevenzione sociale ispirato alla ricerca ed all’identificazione delle
cause del reato per rimuoverle con illuminate opere di legislazione sociale
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21 ROCCO Arturo, in Scuola Positiva, 1931, I, pag. 84.
e di politica criminale al di là, quindi, della prevenzione di polizia diretta
ad evitare la commissione di un reato quando ne sussistano già i segni.
La Scuola ritenne anche che per una protezione effettiva della società
si dovesse ripudiare il concetto classico di pena intesa come retribuzione o
taglione morale e che si dovesse invece tendere, come sosteneva Lombroso
con la sua teoria della simbiosi, al riadattamento sociale del reo ed al suo
recupero a vantaggio della società 22.
Corollario della concezione appena riportata era la pena a tempo
indeterminato e, cioè, fino alla cessazione della pericolosità sociale del reo,
con la conseguente revisione periodica delle sentenze e, quindi, con l’inter-
vento del giudice anche nella fase processuale dell’esecuzione della pena.
Ampio rilievo veniva pure dato all’istituto del risarcimento del
danno inteso sotto il triplice aspetto di obbligazione del reo verso la perso-
na offesa, di sanzione con la quale sostituire le pene carcerarie di breve
periodo, di funzione sociale esercitata dallo Stato tanto nell’interesse del-
l’offeso che della difesa sociale.
Come si vede, mentre per la Scuola classica la Giustizia penale viene
affermata attraverso la tripartizione delitto, giudizio e pena, la Scuola posi-
tiva mette l’accento sull’uomo e sulla personalità del delinquente propo-
nendo la quadripartizione delitto, delinquente, giudizio e pena non più
intesa come retribuzione ma come sanzione criminale.
L’excursus fin qui compiuto, che ci ha portato dalla notte dei tempi
al XIX secolo, è stato svolto al fine di sottolineare come l’istituzione di
Forze di Polizia modernamente intese abbia richiesto una lunghissima evo-
luzione giuridica ed una lenta e contrastata presa di coscienza per la con-
quista ed il riconoscimento dei diritti fondamentali dell’uomo.
Al riguardo, infatti, è possibile notare che i problemi umani, di qua-
lunque genere essi siano, pur restando figli del loro tempo, risultano sem-
pre, ad un’attenta analisi, il portato di antiche esigenze dapprima vaga-
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22 LOMBROSO Cesare: L’uomo delinquente , 5a ed. Torino, 1897, vol. III; dello stesso Autore Lesbienfaits du crime, in “ Nouvelle Revue ”, 1895.
mente avvertite, quindi lentamente maturate e, infine, sentite come inde-
rogabile necessità23.
Sotto questo profilo, nel XIX secolo, l’azione combinata delle nuove
idee di libertà e di rispetto della condizione umana, nonostante i tentativi
contrari posti in essere dopo la Restaurazione seguita al Congresso di Vien-
na del 1815, portarono all’acquisizione di una nuova coscienza civica ed
alla richiesta di Istituzioni che, abbandonata la politica del “ terrore sospe-
so ” e della repressione poliziesca, garantissero l’ordine e la sicurezza pub-
blica quale momento di contemperazione degli interessi dei singoli con
quelli della collettività.
Significativo appare pertanto che, nel periodo considerato, si avver-
ta profonda l’esigenza di una Nuova Polizia che, non più ostaggio ed
espressione del potere sovrano, eserciti le sue funzioni quali strumenti per
la crescita sociale dei cittadini favorendo le libere iniziative e rimuovendo,
in quanto ormai immotivati ed astorici, i divieti propri dello “ Stato di
Polizia ”.
In tale direzione erano anche orientate le spinte sinergiche dell’abo-
lizione o della forte diminuzione delle forme di detenzione arbitraria, l’eli-
minazione della tortura, l’applicazione di gran lunga ridotta della pena di
morte a sottolineare, in breve, la necessità di un nuovo rapporto Stato-Cit-
tadino.
Nasce quindi una nuova Polizia nella quale assumono rilevanza fon-
damentale i compiti investigativi di polizia giudiziaria, considerato il livel-
lo quantomai precario delle condizioni dell’ordine e della sicurezza pubbli-
ca e l’esplosione della criminalità, triste retaggio, all’epoca, delle campagne
napoleoniche nonché la pessima organizzazione sociale, ulteriormente
aggravata dai nascenti fenomeni della rivoluzione industriale e dell’urbane-
simo e dalla miseria che affliggeva, in tutta Europa, ampi strati della popo-
lazione.
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23 BUZZANCA Salvatore: Dal segnalamento descrittivo all’identificazione su basi scientifiche, in“ Polizia Moderna” Roma, luglio 1974.
È interessante inoltre rilevare come le organizzazioni di polizia
modernamente intese sorgano, in pratica, nella prima metà del XIX secolo
quasi a sottolineare quella “ insignis humani generis similitudo ” che con-
traddistingue, come osservava Cicerone, la ricorrenza di analoghi stadi di
sviluppo vissuti dai popoli nel corso della loro storia.
Per fare qualche esempio noteremo, infatti, come la Polizia si orga-
nizzi in Francia su nuove basi tra il 1810 ed il 1830, venga istituita in
Inghilterra nel 1829, dopo un’acerrima opposizione da parte della Camera
dei Comuni, dal ministro dell’interno Robert Peel che, nominando i primi
due Commissioner ( Questori ), segnò l’atto di nascita della famosa Sco-
tland Yard e della polizia della City di Londra.
In Belgio, dopo la separazione di tale Stato dal Regno dei Paesi Bassi,
nel 1830, la Polizia venne riorganizzata alla luce della nuova Costituzione
promulgata nel 1831.
In Italia, dove si vivevano i drammatici avvenimenti del periodo
preunitario, è di estrema importanza, anche per la straordinaria rilevanza
futura, l’emanazione di due provvedimenti: le Regie Patenti del 13 luglio
1814 con le quali fu costituito il Corpo dei Carabinieri Reali, successiva-
mente denominato, con il R.D. del 24 gennaio 1861, Arma24 ed il decre-
to del 30 settembre 1848 n. 798 con cui si costituiva l’Amministrazione
della Pubblica Sicurezza, seguito dalla L. dell’11 luglio 1852 n. 1404 con
la quale furono apportate modifiche dirette a conferire un migliore assetto
alla nuova Istituzione.25
La creazione degli Organismi appena citati “ se da un lato permise
l’impiego di nuove forze nella lotta alla criminalità non consentì, però, di
ottenere i risultati sperati per l’inadeguatezza degli strumenti tecnici a
disposizione delle Forze dell’Ordine… Significativa, al riguardo, la circola-
re n. 22 del 22 febbraio 1864 del Ministero dell’Interno, diretta a tutti gli
Uffici di Polizia, nella quale si esprimeva la viva preoccupazione delle Auto-
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24 PASANISI Francesco: La Polizia nel secolo XIX in Dizionario cit. pagg. 109-116.25 RENATO Giuseppe: Gli ordinamenti della Pubblica Sicurezza in Amministrazione Civile,1961.
rità per l’aumento costante dei mandati di cattura pendenti, cui faceva
riscontro l’altrettanto costante diminuzione degli arresti”.26
La situazione descritta, del tutto simile peraltro a quella degli altri
Paesi europei, lungi dall’essere imputabile ad un minore impegno delle
Forze di Polizia, era in effetti dovuta alla quasi totale mancanza di specula-
zione teorico-scientifica e ad una più generale crisi dell’intero sistema di
polizia impreparato a conciliare la funzione investigativa con il nuovo
clima garantistico.
Al riguardo, infatti, le Forze di Polizia continuavano a servirsi di
informatori e, seguendo la vecchia pratica introdotta circa mezzo secolo
prima da Vidocq, in Francia, facevano ricorso ad agenti provocatori ( che
l’argot, il pittoresco gergo della malavita francese, chiamava “ mouton ” o
“ mouchard ”) i quali trascorrevano periodi di detenzione nelle carceri così
da raccogliere le confidenze di quanti vi si trovassero27 mentre gli strumen-
ti tecnici per la cattura dei criminali erano rappresentati dal segnalamento
descrittivo e da fotografie che la tecnica dell’epoca rendeva poco affidabili.
Era fin troppo facile, pertanto, sfuggire alla cattura operando un
semplice trasferimento di residenza o dichiarando false generalità in quan-
to mancava ancora un valido sistema di identificazione che consentisse il
segnalamento su basi scientifiche ed il riconoscimento dei recidivi.
Quest’ultimo problema era particolarmente grave, sentito e dibattu-
to come si rileva da un articolo pubblicato dal francese Alphonse Bertillon,
il 28 febbraio 1882, sulla rivista Annali di demografia internazionale: “ ...
nelle prigioni di Parigi si riconoscono, ogni giorno, da sei ad otto caval-
li di ritorno ( i recidivi ) che hanno declinato falsi nomi, anche se, in con-
creto, più dei 3/4 delle persone arrestate riescono tranquillamente ad elu-
dere il riconoscimento. L’impossibilità pratica di identificare i recidivi è tal-
mente nota nel mondo della malavita che si citano esempi di persone ricer-
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26 BUZZANCA Salvatore: Lezioni di criminalistica, Roma, Tip. Scuola Superiore di Polizia,1978, pag. 15.27 Cfr. BUZZANCA Salvatore: Dal segnalamento descrittivo all’identificazione su basi scientifi-che, cit.
cate dalla polizia per omicidio o altri reati di particolare gravità che volon-
tariamente commettono reati di lieve entità per essere incarcerati sotto falsi
nomi.”
È vero che la medicina legale forniva, nei limiti delle conoscenze
dell’epoca, un aiuto spesso sostanziale come dimostrato dallo spazio riser-
vato nella trattatistica specializzata ( Barzellotti, Devergie, Sedillot, Orfila,
Freschi, Briand e Chaudé ) alle “questioni di identità” ma la già rilevata
mancanza di un metodo scientifico di identificazione continuava a condi-
zionare pesantemente lo svolgimento delle indagini ed i vecchi poliziotti
continuavano a ripetere alle nuove reclute: formati una “memoria fotogra-
fica”, impara a conoscere i delinquenti, vai nelle carceri ed osserva, nota,
fissa nella mente i caratteri dei detenuti per poterli in seguito riconoscere.
Questo insegnamento riecheggia nell’art. 127 del Regolamento Spe-
ciale di Polizia Mortuaria del 25 luglio 1892 che, nel caso di identificazio-
ne di un cadavere rimasto sconosciuto, così prescrive: “ se il cadavere non
fosse conosciuto da alcuno, se ne descriveranno tutti i connotati o segni
particolari, si descriveranno pure e si assicureranno le sue vestimenta ed
ogni altro oggetto trovato sopra di lui; e, se lo stato del cadavere lo per-
mette, si farà trasportare in un luogo pubblico e frequentato, ove starà
esposto almeno per ore 24, all’oggetto di ottenere il riconoscimento.”28
I problemi tecnici cui si è appena fatto cenno, pur se molto gravi,
non erano i soli ad affliggere le Organizzazioni di polizia: il nuovo clima
determinatosi con il tramonto della concezione spinoziana dello Stato
come espressione di potere assoluto e l’affermazione dello Stato di diritto,
la necessità di limitare “il potere dell’uomo sull’uomo”, lo studio e l’inter-
pretazione del reato come fenomeno sociale oltre che come fatto giuridico,
il rispetto della normativa penale e l’affermazione dei diritti umani, per
citarne solo alcuni, ne ponevano continuamente di nuovi e richiedevano
ormai una nuova figura di operatore di polizia culturalmente più dotato,
conscio delle implicazioni connesse alle delicate funzioni da assolvere ed
Salvatore BUZZANCA
697
28 cfr. BUZZANCA Salvatore: Lezioni di criminalistica, cit. pag 21.
informato delle situazioni concrete da affrontare con riferimento al territo-
rio ed agli ambienti nei quali avrebbe dovuto operare.
Non essendo ancora istituita una Scuola, della quale le persone più
avvertite incominciavano ad intravedere la necessità o, almeno, l’opportu-
nità, si cercò di risolvere le questioni citate mediante il ricorso allo stru-
mento legislativo per cui su proposta del Direttore Generale della P.S.
Bolis, fatta propria dall’allora ministro dell’interno De Pretis, fu emanato
il R.D. 25 marzo 1880 con il quale veniva prescritto il possesso della lau-
rea per i funzionari di prima categoria e del diploma di licenza liceale per
quelli di seconda; nello stesso provvedimento veniva anche previsto che
chiunque aspirasse alla carriera nell’Amministrazione della P.S. dovesse
effettuare, obbligatoriamente, un tirocinio ( non remunerato ) presso una
Questura del Regno.
La macchinosità e l’inopportunità di un tirocinio siffatto, specie nel
caso di successiva rinuncia da parte degli aspiranti, apparvero ben presto
evidenti per cui lo stesso Direttore Generale Bolis fu ispiratore del R.D. 4
febbraio 1883 e del successivo Regolamento del 31 maggio dello stesso
anno istitutivo, con frequenza obbligatoria, di un “ Corso pratico di per-
fezionamento per gli impieghi di pubblica sicurezza ” con il quale, come
enfaticamente riportato nella relazione illustrativa del provvedimento, “ gli
alunni sarebbero stati con speciale diligenza addestrati, prima di slanciarsi
nel campo difficile dell’esercizio delle loro funzioni, e avrebbero appreso il
modo di condursi nelle varie contingenze che stavano per affrontare.”
L’iniziativa, nella quale è possibile scorgere un embrione dei corsi che
saranno poi tenuti presso la Scuola di Polizia Scientifica, ebbe però vita effi-
mera in quanto ben presto abbandonata, in virtù del R.D. 10 novembre
1884, n. 2758.
Intanto erano maturati e stavano maturando avvenimenti di decisi-
va importanza per la Polizia e fondamentali per la costituzione di una vera
e propria Scuola di Polizia: il francese Alphonse Bertillon era riuscito a
mettere a punto e dimostrare, con la storica identificazione del 20 febbraio
1883, la prima ottenuta con metodologia scientifica, la validità del suo
RICERCHE
698
sistema antropometrico basato sulla rilevazione di 11 misurazioni del corpo
umano mentre, sotto diversa latitudine, altri due europei, l’inglese William
Herschel in India e lo scozzese Henry Faulds in Giappone, richiamavano
l’attenzione sulle possibilità offerte, tanto in sede preventiva che giudizia-
ria, dall’identificazione dattiloscopica.
Nello stesso 1884, mentre era in atto un sì grande fervore di ricerche
e scoperte scientifiche, un giovane studente conseguiva a soli 23 anni la lau-
rea in medicina presso l’Università di Torino.
Questo giovane, che porterà una ventata innovatrice nelle attività di
polizia e che avrebbe ben presto legato il proprio nome a quello della prima
Scuola di Polizia fondata al mondo, alla storia della quale unirà per oltre
trent’anni le proprie vicende umane e le tante conquiste scientifiche, si
chiamava Salvatore Ottolenghi.
Allievo di Cesare Lombroso che lo volle con sé apprezzandone alta-
mente l’impegno negli studi, l’intelligenza e lo spirito d’iniziativa, fu parti-
colarmente attratto dalla metodologia scientifica galileiana che il Maestro
applicava nell’osservazione e nello studio dei delinquenti e che egli in
seguito trasferirà, con opportuni adattamenti, nel settore delle indagini di
polizia.
Vincitore, per concorso, nel 1893, della cattedra di medicina legale
all’università di Siena, Ottolenghi si pose come meta l’introduzione nelle
investigazioni di polizia, normalmente condotte, come scriveva Lombroso,
a casaccio ed empirismo, dei metodi propri dell’indagine scientifica.
Convinto della bontà della sua iniziativa, già nel 1895, organizzò a
Siena, presso la sua Cattedra, il primo corso di Polizia Scientifica diretto
ad insegnare le metodologie connesse all’osservazione delle tracce, al rilie-
vo delle caratteristiche ed alla loro comparazione ai fini della formulazione
di un giudizio.
Tali metodologie, scientificamente fondate e sistematicamente espo-
ste in quello che Ottolenghi chiamò “ Programma di Polizia Scientifica ”,
mostrarono subito la loro concreta efficacia, sempre confermata nel tempo,
tanto da divenire, sotto tutte le latitudini, patrimonio imprescindibile del
Salvatore BUZZANCA
699
bagaglio tecnico-professionale di qualsiasi operatore di polizia e rivestirono
un’importanza decisiva applicate alla conservazione dei reperti, alla loro
valutazione ed alla presentazione nelle aule giudiziarie dei risultati delle
indagini effettuate, in un’epoca in cui spesso i processi non si erano potu-
ti concludere con la condanna dei responsabili per la superficialità con cui
erano state rilevate le tracce sul luogo del reato o, peggio, per la loro distru-
zione.
I risultati di quel primo ciclo di lezioni spinsero Ottolenghi, nel frat-
tempo divenuto titolare, sempre per concorso, della cattedra di medicina
legale presso l’Università di Roma, verso traguardi più ambiziosi per cui
egli, nel 1902, sottopose al Direttore Generale della Pubblica Sicurezza,
senatore Francesco Leonardi, la proposta di istituire stabilmente corsi di
polizia scientifica per i funzionari di quell’Amministrazione.
L’iniziativa, caldeggiata dal Leonardi, fu apprezzata anche dal mini-
stro dell’interno dell’epoca, on. Giolitti, per cui il corso venne sollecita-
mente autorizzato e tenuto, per una durata di tre mesi, presso la “ sala dei
riconoscimenti ” delle carceri giudiziarie romane di Regina Coeli dove dete-
nuti ed arrestati venivano condotti per essere identificati e possibilmente
riconosciuti qualora recidivi, evento, quest’ultimo, non molto frequente per
la mancanza di un metodo scientifico per l’identificazione personale.
La validità intrinseca del corso ed il favore con cui venne accolto dai
suoi frequentatori indussero il ministro dell’interno pro-tempore, on.
Zanardelli, all’emanazione del decreto del 25 ottobre 1903 con il quale si
stabiliva che gli insegnamenti di polizia scientifica dovessero far parte “ del
tirocinio necessario agli alunni funzionari di pubblica sicurezza per ottene-
re la nomina ad effettivo ”. I corsi, autorizzati annualmente con appositi
decreti, si tennero presso le “ Carceri Nuove ” di Roma in via Giulia dal
1903 al 1907 allorché, per il trasferimento dell’Istituto di pena e la desti-
nazione del complesso a sede della Scuola per Agenti di Custodia, la neo-
nata Scuola di Polizia Scientifica trovò una nuova sistemazione presso le
Carceri femminili delle Mantellate ove resterà fino al 1958 per poi trasfe-
rirsi in più funzionali ed accoglienti locali, modernamente attrezzati, nel
RICERCHE
700
quartiere romano dell’Eur.
L’avvertita esigenza di una formazione appropriata e specifica per i
funzionari di polizia all’atto dell’ingresso in carriera e la validità scientifi-
ca dell’attività svolta dall’Ottolenghi imposero il riconoscimento formale
della Scuola che intervenne con il R.D. 20 agosto 1909, n. 666 contenen-
te il Regolamento speciale per gli ufficiali ed impiegati di Pubblica Sicu-
rezza che espressamente prevedeva, per gli alunni vice commissari ed i dele-
gati di p.s. ( art. 23 ), la frequenza obbligatoria di un corso la cui durata
non poteva essere “ minore di sei mesi, dei quali almeno i primi tre presso
la Scuola di Polizia Scientifica in Roma, e gli altri in Uffici di pubblica sicu-
rezza.”
Nello stesso Regolamento si stabiliva anche ( art. 24 ) che al termi-
ne del corso gli allievi dovessero sostenere un esame teorico-pratico per il
cui superamento era prescritta una media di almeno sette decimi.
Le materie d’insegnamento, suddivise nei settori tecnico e giuridico,
comprendevano rispettivamente: antropologia, psicologia, investigazioni
giudiziarie, segnalamento ed identificazione, medicina legale, fotografia
giudiziaria e relative tecniche, diritto penale, procedura penale applicata
alle funzioni di polizia, polizia amministrativa, legislazione sociale.
Le lezioni erano integrate da numerose esercitazioni e da alcune con-
ferenze su argomenti di specifico interesse professionale: crittografia, falso
monetario, esplosivi, ecc., così da consentire ai giovani funzionari di orien-
tare correttamente le indagini e chiedere l’ausilio degli esperti per le valu-
tazioni specialistiche del caso.
L’anno seguente, il 1910, segnò due significative affermazioni per la
Scuola che iniziò la pubblicazione del “Bollettino della Scuola di Polizia
Scientifica e dei servizi di segnalamento” allo scopo, come scrisse Ottolen-
ghi nell’indirizzo ai lettori nel primo numero della rivista: “ di far cono-
scere ai funzionari di pubblica sicurezza, all’autorità giudiziaria ed agli stu-
diosi di polizia giudiziaria la funzione di questa Scuola…l’opera del Servi-
zio d’identificazione giudiziaria …nonché…di trattare argomenti ispirati
dalla pratica quotidiana che valgano a volgarizzare presso tutti i funzionari
Salvatore BUZZANCA
701
il metodo di applicazione delle conoscenze scientifiche nei quotidiani
mezzi di lotta contro i delinquenti.”
Ulteriore fine dichiarato da Ottolenghi era quello di rispondere alle
critiche retrive dei misoneisti che miravano a svilire le funzioni della Scuo-
la e minare la validità del suo magistero didattico, per cui nella stessa nota
di presentazione del Bollettino così egli scriveva: “purtroppo bisogna rico-
noscere che una principale causa di diffidenza verso la nuova istituzione ed
i mezzi da essa adoperati è la non sufficiente conoscenza dei nuovi metodi
di indagine ed il credere che debbano essere solo alla portata di alcuni pri-
vilegiati, mentre noi ci siamo avviati in questa strada allo scopo di offrire
metodi di investigazione alla portata di tutti i funzionari animati di buon-
volere e di entusiasmo per la loro nobile missione ed applicabili a molte
delle più importanti funzioni di polizia.”
Nello stesso anno, come anticipato, la Scuola di Polizia Scientifica
ottenne un’altissima manifestazione di stima ed apprezzamento per la sua
attività con l’emanazione, il 24 luglio 1910, della famosa circolare Fani (dal
nome del Guardasigilli ) diretta ai Procuratori Generali delle Corti d’Ap-
pello del Regno, nella quale si riconosceva espressamente che “ i progressi
delle scienze biologiche e fisiche …avevano…additato nuovi mezzi efficaci di
indagini nelle investigazioni giudiziarie riguardanti gli accertamenti dei reati
e la ricerca dei rei…e che di tali tecniche erano stati già…da alcuni
anni…per disposizione del Ministero dell’Interno…resi edotti i nuovi funzio-
nari, delegati e vice commissari di p.s. e gli allievi ufficiali dei reali carabinie-
ri ( i quali frequentavano appositi corsi presso la Scuola di Polizia Scienti-
fica ). È indispensabile, perché la Giustizia possa avvantaggiarsi di questo pro-
gresso, che l’Autorità Giudiziaria usufruisca dei nuovi metodi di ricerca ed
intervenga ad incoraggiarne e favorirne l’applicazione per parte del personale
a ciò preparato. A tale scopo…giova che siano invitati i giudici istruttori a
valersi dell’opera di quei funzionari di p.s. che in queste ricerche siano conve-
nientemente preparati, avendo frequentato i corsi di polizia scientifica, e spe-
cialmente dei funzionari addetti all’Istituto di Polizia Scientifica di Roma,
presso la Direzione Generale di P.S. ed ai Gabinetti di segnalazione. Per qual-
RICERCHE
702
siasi bisogno riferentesi alle norme sovraesposte ( per indicazioni, per la conser-
vazione di speciali impronte, per speciali ricerche, ecc. ) i magistrati…veniva-
no invitati a rivolgersi alla Scuola di Polizia Scientifica di Roma”.29
Nello stesso periodo fu anche molto intenso l’operato della Scuola in
campo internazionale che si sostanziò nella partecipazione attiva ai con-
gressi di Colonia e Rochester nel 1911, Parigi nel 1912, Copenaghen nel
1913, Monaco nel 1914.
Tale ultimo congresso rivestì un particolare rilievo in quanto aveva
all’ordine del giorno la scelta del sistema di identificazione da adottare in
sede internazionale e poneva, quindi, la scelta fra l’antropometria, storica-
mente il primo metodo scientifico di segnalamento, in quanto messo a
punto, come già ricordato, sin dal 1883 dal francese Alphonse Bertillon, e
la dattiloscopia che seppure praticata fin dalla notte dei tempi, almeno a
fini divinatori ( dattilomanzia ), solo dagli inizi del secolo era stata utiliz-
zata a fini di identificazione a seguito dell’elaborazione di validi sistemi di
classifica tra i quali di assoluto spicco, per semplicità e funzionalità, quello
messo a punto da Giovanni Gasti, in servizio presso la Scuola di Polizia
Scientifica, straordinaria figura di funzionario, ricercatore e studioso, uni-
versalmente ammirato, in Italia e all’estero, per le non comuni doti umane
e per la vasta e profonda cultura giuridica e scientifica.
È noto che dal convegno di Monaco emerse - e non poteva essere
altrimenti - l’assoluta supremazia della dattiloscopia sull’antropometria
come sostenuto da tutte le delegazioni ivi compresa quella francese, diretta
da David, successore di Bertillon, scomparso nel 1913, nella direzione della
polizia scientifica francese ed al quale, fin sul letto di morte, Bertillon aveva
chiesto di perorare la causa dell’antropometria.
Sembra anche opportuno ricordare, in questa sede, che la Scuola di
Ottolenghi aveva espresso un giudizio negativo sull’antropometria fin da
1903 allorché lo stesso Ottolenghi aveva incaricato Giovanni Gasti di stu-
Salvatore BUZZANCA
703
29 Nella circolare, in effetti, la Scuola viene chiamata Istituto con denominazione che verràassunta solo dopo l'emanazione della legge 1 aprile 1981 n. 121.
diare comparativamente i diversi sistemi di classifica dattiloscopica che
allora erano in uso (Vucetich, Henry, Daae, Roscher, ecc.), al fine di ela-
borarne uno nuovo che superasse i limiti insiti in quelli già utilizzati e che
consentisse, da un lato, una facile classificazione delle impronte digitali e,
dall’altro, una facile archiviazione per un’agevole e rapida ricerca negli
appositi schedari.
È noto come Gasti abbia assolto il compito nel migliore dei modi e
come la classifica italiana che porta il suo nome abbia costituito, dal 1905,
anno della sua adozione nel nostro Paese, un modello insuperato di fun-
zionalità.
Il giudizio dell’Ottolenghi è anche riportato nel primo volume
del suo “ Trattato di Polizia Scientifica ” ed è stato così espresso: “ Quale
valore oggi si deve attribuire al segnalamento antropometrico? Inconte-
stabile è il suo valore storico. Poiché in epoca nella quale il segnala-
mento empirico imperava, le misure antropometriche si presentarono
come connotati scientifici abbastanza precisi e facilmente classificabi-
li…Le misure antropometriche…sono un mezzo di eliminazione:
dimostrano anzitutto la non identità…dal momento che…l’identità è
accertata solo dai segni particolari e dalle cicatrici, - e prima anco-
ra, aggiungo io ( Ottolenghi ), dal segnalamento descrittivo…Non
basteranno quindi le misure da sole ad accertare l’identità di un pregiu-
dicato, tuttavia è già un gran compito quello di accertare la non iden-
tità…Oltre a ciò l’applicazione dell’identificazione antropometrica
offre indubitabilmente delle gravi difficoltà pratiche…in quanto…non
è facile prendere le misure con quella precisione richiesta dalle norme
di Bertillon…le misure non possono prendersi esattamente nelle
donne…il segnalamento antropometrico esige lo sviluppo fisico com-
pleto nell’individuo...per cui... rimangono esclusi i minorenni…vi sono
misure quali la statura, l’altezza del busto che si modificano con la vec-
chiaia, con le malattie, con le professioni, e anche per l’atteggiamento
muscolare dell’individuo, a seconda che i muscoli del tronco e degli arti
siano più o meno tesi…Pertanto dovemmo subito scartare le misure
RICERCHE
704
antropometriche in favore del segnalamento dattiloscopico.” 30
La bontà dell’insegnamento impartito nella Scuola e la sua rispon-
denza a precisi criteri scientifici determinò il sorgere in Europa e fuori di
essa di Scuole organizzate con indirizzo analogo e basate sull’esercizio del
metodo sperimentale galileiano da Ottolenghi propugnato, applicato alle
indagini di polizia giudiziaria e fondato sull’osservazione condotta secondo
precisi canoni metodologici.
La creazione così delle Scuole di Polizia Scientifica in Francia, Ger-
mania, Belgio, Brasile ed altri Paesi dell’America Latina ebbe un’eco posi-
tiva per la Scuola italiana in quanto il legislatore introdusse nel codice di
procedura penale del 1913, noto anche come Codice Finocchiaro Aprile,
dal nome del Guardasigilli dell’epoca, l’art. 166 con il quale si abilitavano
gli ufficiali di polizia giudiziaria a procedere, se sia il caso, in occasione di
indagini, a rilievi tecnici e fotografici.
La norma, con la sua cauta previsione, non soddisfece appieno le
aspettative della Scuola di Polizia Scientifica anche se, con evidente buon-
senso, Ottolenghi la giudicò positivamente osservando che dal momento
che si era “ ai primi passi dell’applicazione dei mezzi tecnici nelle investi-
gazioni giudiziarie ” era già da considerare una conquista che il legislatore
“ accennasse a queste nelle disposizioni di legge.”31
I risultati ottenuti dalla Scuola nel settore delle identificazioni, gra-
zie all’azione combinata del servizio di segnalamento e del Casellario Cen-
trale d’Identità diretto da Giovanni Gasti e basato sulla classificazione dei
cartellini segnaletici mediante il sistema decadattiloscopico dallo stesso
Gasti ideato, indussero il Direttore Generale delle Carceri e dei Riforma-
tori,32 Gerardo Girardi, a rivolgersi alla Scuola per risolvere il grave proble-
Salvatore BUZZANCA
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30 OTTOLENGHI Salvatore: Trattato di Polizia Scientifica, vol. I, Identificazione fisica appli-cata alla medicina ed alle funzioni della polizia, Soc. Ed. Libraria, 1910, pagg. 400-403. 31 BUZZANCA Salvatore: L'attività criminalistica nel nuovo Codice di Procedura Penale, rela-zione al Convegno organizzato dall'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Modena sultema "Il contributo della Medicina Legale, della Criminologia e delle Scienze forensi all'attuazionedel nuovo C.P.P."- Milano, A. Giuffrè editore, 1989, pag. 269 e segg. 32 La Direzione Generale delle Carceri dalla proclamazione del Regno d'Italia (17 marzo 1861)fino al 1922 era incardinata nella struttura del Ministero dell'Interno.
ma dei delinquenti che all’atto dell’arresto declinavano false generalità e
che, una volta scarcerati, si rendevano irreperibili mentre il relativo proces-
so veniva istruito a carico del malcapitato le cui generalità corrispondeva-
no a quelle dichiarate dalla persona a suo tempo arrestata.
Per risolvere il problema, la Scuola propose ed ottenne che presso gli
Istituti di pena venissero costituiti dei Gabinetti di Polizia Scientifica per il
segnalamento dei detenuti, affidati a personale appositamente addestrato
nella Scuola e che sul Registro Matricola delle carceri venissero apposte,
unitamente alle generalità declinate, le impronte digitali e palmari della
mano destra delle persone scarcerate.
Nel 1919 la Scuola ricevette un nuovo assetto giuridico con il R.D.
n. 2504 del 7 dicembre, registrato alla Corte dei Conti il 10 gennaio 1920
e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio successivo, con il quale
si istituiva ufficialmente in Roma “ alle dipendenze del Ministero dell’In-
terno, la Scuola di Polizia Scientifica per l’istruzione e preparazione dei
funzionari e degli agenti di Pubblica Sicurezza ”.
Al provvedimento citato seguì, il 17 luglio 1920, un decreto a firma
del ministro Giolitti che all’art. 1 così stabiliva: “ la Scuola di Polizia Scien-
tifica è posta alle dipendenze della Direzione Generale della Pubblica Sicu-
rezza. Essa compie funzioni didattica e tecnica. La funzione didattica si
svolge a mezzo dei seguenti servizi:
a) Servizio centrale di segnalamento ed identificazione;
b) Servizio di indagini e ricerche tecniche di polizia giudiziaria;
c) Servizio antropologico-biografico per delinquenti, pregiudicati e
sospetti.
La Scuola ha inoltre funzione di consulenza per le diverse Ammini-
strazioni dello Stato, per le speciali discipline che in essa si coltivano.”
L’ultima previsione, com’è facile rilevare, riecheggia quanto racco-
mandato dalla circolare del Guardasigilli Fani più su ricordata e costitui-
sce un formale riconoscimento della preziosa opera svolta dalla Scuola a
supporto della Magistratura per quanto riguarda le indagini di polizia giu-
diziaria e, più in genere, a richiesta dei più diversi ministeri per la solu-
RICERCHE
706
zione di quesiti inerenti, normalmente, alla decifrazione di documenti, alla
lettura di testi antichi o all’accertamento di eventuali falsi.
Negli anni che seguirono l’attività della Scuola fu oltremodo inten-
sa tanto sul piano interno che su quello internazionale e particolare cura fu
posta nella revisione dei programmi di insegnamento per aggiornarli con-
tinuamente alle nuove acquisizioni scientifiche e nella ricerca di metodolo-
gie e sussidi didattici al passo con i tempi.
Contemporaneamente, con riferimento alla ricerca di nuove tecni-
che per la soluzione dei problemi di polizia, venne messo a punto un nuovo
metodo di analisi nell’espletamento delle indagini grafiche, da Ottolenghi
denominato “ grafonomico ” che applicava a tale settore dell’investigazio-
ne, “ opportunamente modificati, i principi ampiamente collaudati del
segnalamento descrittivo ”33.
La promulgazione della legge 30 settembre 1923 n. 210234 cui seguì
il Regolamento n. 674 del 6 aprile 1924, pur se non direttamente, ebbe
influenza sull’emanazione del R.D.L. 5 aprile 1925 n. 441 con cui la Scuo-
la di Polizia Scientifica mutò il suo nome in Scuola Superiore di Polizia.
La normativa degli anni 1923-24, infatti, stabiliva che l’istruzione
superiore dovesse essere impartita unicamente nelle Università e negli Isti-
tuti superiori quali, ad esempio l’Istituto Orientale di Napoli, l’Istituto di
scienze economiche e commerciali di Venezia, la Scuola normale Superio-
re di Pisa35, ecc.
I provvedimenti citati, nel riordinare l’insegnamento universitario,
precisarono che lo stesso dovesse rispondere al duplice scopo di promuo-
vere il progresso scientifico e fornire ai frequentatori dei corsi gli strumen-
ti necessari per esercitare le diverse professioni ed i compiti alle stesse con-
nessi.
Salvatore BUZZANCA
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33 BUZZANCA Salvatore: Lezioni di criminalistica, cit. pag. 152 e segg.34 Il provvedimento, come gli altri che lo seguirono e che sono noti nel loro complesso come "Rifor-ma Gentile" venne emanato come atto del potere esecutivo con forza di legge, a seguito del conferi-mento al governo dei pieni poteri con delibera n. 1601 del 3 dicembre 1922.35 La Scuola venne fondata da Napoleone con decreto del 20 gennaio 1813 in conformità di quellafondata dallo stesso a Parigi.
Il carattere specifico dell’istruzione superiore, poi, oltre a conferire
preparazione professionale avrebbe dovuto anche insegnare ad operare
secondo metodologie scientifiche suscettibili, attraverso un esercizio prati-
co costruttivamente critico, di evoluzioni migliorative.
Le determinazioni della normativa cui si è fatto cenno corrisponde-
vano certamente al modello didattico seguito nella Scuola di Polizia Scien-
tifica il cui magistero, come già sottolineato, riconosciuto tanto in ambito
nazionale che internazionale, era improntato ad un tipo di insegnamento
in cui le enunciazioni teoriche, frutto di attenta meditazione ed elabora-
zione, costituivano il portato delle analisi metodologicamente condotte sui
dati tratti dalla vita quotidiana, esaminati nel loro essere e nel modo di
porsi all’attenzione dell’osservatore, alla ricerca di quei denominatori
comuni che, ricavati dopo un accurato riscontro sul piano esperenziale,
costituissero, oltre che un progresso scientifico, un bagaglio culturale su cui
fare certamente affidamento per affrontare i problemi continuamente posti
dalla delicata e difficile professione di operatore di polizia.
Il mutamento di denominazione veniva dunque a riconoscere e pre-
miare l’attività della Scuola costantemente diretta, come scriveva Ottolen-
ghi, ad inculcare il metodo scientifico razionale di osservazione e la cono-
scenza dei crimini e dei pregiudicati, indispensabile al funzionario di poli-
zia ed al magistrato nelle più svariate circostanze quali, ad esempio, la
gestione di un interrogatorio, la valutazione dei gradi effettivi di perico-
losità, ecc., al fine di spostare l’accento dal piano puramente repressivo a
quello preventivo e svolgere, di conseguenza, un’efficace opera di recupero
e di reinserimento nella società.
Nello stesso anno, la partecipazione al Congresso mondiale delle Polizie
a New York segnò un’ulteriore affermazione delle metodologie investigative
scientifiche insegnate nella Scuola Superiore di Polizia con esplicito riferimen-
to, fra l’altro, alla necessità di studiare, mediante l’uso appropriato di uno
straordinario documento conoscitivo, la cosiddetta “ Cartella Biografica ” del
pregiudicato, da tempo introdotta nella pratica di polizia e dalla Scuola più
volte modificata sulla base delle esperienze maturate per renderla sempre
RICERCHE
708
più rispondente al suo fine dichiarato: la conoscenza della personalità del
delinquente e dell’ambiente di provenienza per comprendere il reato e rea-
lizzare il più efficacemente possibile il duplice scopo della protezione della
società e dell’adozione di misure atte al recupero del reo.36
La Cartella Biografica pertanto, seppur di norma basata sul ben noto
“ fascicolo personale ” compilato in tutti gli Uffici di polizia, cessava di
essere un arido elenco di pregiudizi e comunicazioni per divenire, grazie
all’opera ed alle elaborazioni compiute dal Servizio Antropologico Biogra-
fico della Scuola Superiore di Polizia, uno strumento vivo, con una forte
valenza operativa grazie allo studio, all’analisi ed all’interpretazione scienti-
fica dei singoli dati relativi al soggetto interessato.
La consultazione di una Cartella Biografica, così, ci introduce man
mano nella vita del pregiudicato, ci fornisce notizie sulla sua nascita, sulle
malattie sofferte, sulla famiglia, grado di istruzione, amicizie frequentate,
sulla vita militare, sulle abitudini contratte ecc. fino a che il suo nome non
è più quel semplice dato anagrafico che emerge dal fascicolo personale ma
un elemento riferito a persona viva, conosciuta nel suo intimo, nel suo
declinarsi esistenziale, nei suoi pregi e nei suoi difetti dei quali ci fa com-
prendere la genesi, nelle sue prese di posizione e nelle sue debolezze che,
opportunamente spiegate, sono indici preziosi per poter stabilire se esista
ed in quale grado un coefficiente di pericolosità sociale.
Il successo conseguito nel Congresso di New York venne ripetuto
nelle riunioni di Amsterdam e Berna, rispettivamente del 1927 e 1928,
della Commissione Internazionale di Polizia Criminale di Vienna a segui-
Salvatore BUZZANCA
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36 La Cartella Biografica era il frutto del lavoro di una Commissione nominata, nel 1887, dal mini-stro "pro tempore" Crispi, fautore della modernizzazione della Polizia attraverso l'accoglimento,a fini investigativi, dei principi delle scienze antropologiche. Della Commissione facevano parteCesare Lombroso, Luigi Bodio, insigne statistico e segretario generale dell'Istituto Internazio-nale di Statistica, Martino Beltrani Scalia, direttore generale delle carceri ed un giovanissimoSalvatore Ottolenghi. Istituita nel 1889 ai sensi dell' art. 93 del Regolamento sulla legge di p.s. allo-ra vigente, riuniva in appositi riquadri tutte le informazioni disponibili sul reo: pregiudizi, condan-ne, contegno tenuto, procedimenti ecc. La " Cartella " venne successivamente resa più efficace daOttolenghi e modificata più volte, la prima nel 1902 con la collaborazione del Questore di NapoliZaiotti, al fine dichiarato di " introdurre il segnalamento scientifico nelle funzioni di polizia ".
to delle quali la Cartella Biografica venne definitivamente adottata sul
piano internazionale con la denominazione di “ Foglio di constatazione
individuale biologica criminale ”.37
Le acquisizioni della Scuola Italiana, fatte ormai proprie dalle ana-
loghe Istituzioni di altri Paesi: Belgio, Germania, Brasile, Stati Uniti, Spa-
gna, Portogallo, Cuba, ecc. trovarono ulteriore luminosa conferma nel
Congresso Internazionale di Polizia Criminale tenutosi ad Anversa nel
1930 dove Salvatore Ottolenghi nel fare il punto sull’applicazione delle “
nuove cognizioni rivelate dall’Antropologia Criminale, di cui è filiazione la
Biologia Criminale…e sulla necessità dello studio della personalità crimi-
nale nella lotta contro il delitto ” sottolineò il ruolo della stampa che “ nel-
l’accogliere studi che riguardano le scienze antropologiche, psicologiche fa
da eco al rinnovamento dei metodi di Polizia ”.
La ragione dell’interesse della stampa venne da Ottolenghi indivi-
duato “nel grande rinnovamento, nel vivo fermento…prodottosi nel
campo della psicologia col sorgere delle geniali teorie di Freud, Adler,
Bauer, Kretschmer che…aprendo un nuovo orizzonte agli studi psicologi-
ci…contribuivano alla identificazione biologica integrale della personalità di
superiore interesse per la Polizia interessata a conoscere la capacità a delin-
quere e l’effettiva pericolosità del soggetto per l’applicazione di quelle
misure preventive che proprio alla Polizia incombono ed ai fini di collabo-
rare con la Magistratura per quelle misure di sicurezza che in tutte le legi-
slazioni si vanno accogliendo.”
Contemporaneamente agli aspetti internazionali, la Scuola svolgeva
un’intensa attività didattica attraverso corsi di formazione, aggiornamento
e specializzazione per funzionari di p.s., ufficiali dell’Arma dei Carabinieri,
ufficiali della Marina nonché corsi per agenti tecnici segnalatori da impe-
gnare nei Gabinetti di Polizia Scientifica la cui costituzione, già voluta da
Ottolenghi era stata, dopo la sua scomparsa, nel 1934, sollecitata dai
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37 La Commissione Internazionale di Polizia Criminale ( CIPC ), la moderna INTERPOL, vennefondata nel 1923 a Vienna, dal Presidente della Polizia Schober, poi Cancelliere d'Austria.
Direttori che gli erano succeduti nell’incarico, Falco, Moriani, Ascarelli,
tutti, come il loro illustre predecessore, Ordinari di Medicina legale.
Particolare cura venne posta, inoltre, nell’aggiornamento dei pro-
grammi di studio come dimostra, fra l’altro, l’inserimento negli stessi, a
partire dal 1935, dell’infortunistica stradale, considerato il numero di inci-
denti causato dai mezzi in circolazione e le implicazioni di natura medico-
legale e quelle connesse alla legislazione sul lavoro, sull’assistenza e sulla
previdenza sociale.
L’affinamento delle potenzialità didattiche e tecniche della Scuola
Superiore di Polizia continuò fecondo nel quinquennio 1935-1940 sostan-
ziandosi in una sempre più incisiva osmosi fra teoria e pratica nell’inse-
gnamento ed in un continuo aggiornamento delle tecniche di laboratorio
e delle attrezzature in dotazione per l’irrompere di nuove e sempre più sofi-
sticate tecnologie.
Negli stessi anni, il Direttore prof. Falco ed i funzionari della Scuo-
la, Sorrentino, Giri, ai quali si aggiungeva il prof. Di Tullio, furono incari-
cati, per iniziativa del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione,
dell’insegnamento delle tecniche di polizia scientifica e dei principi del-
l’antropologia e della biologia criminale “ nei corsi di perfezionamento per
tutti i magistrati istituiti allo scopo di contribuire alla loro integrazione e
specializzazione nella cultura tecnico-professionale nonché approfondire,
da parte dei magistrati, la conoscenza di quelle materie strettamente affini
a taluni rami del diritto le quali non hanno posto nell’insegnamento uni-
versitario, o di altre che pur essendo comprese in questo insegnamento,
hanno avuto limitata considerazione, talvolta con carattere accessorio o
facoltativo ”.
Il clima operoso di quegli anni, il respiro culturale profondamente
intriso di umanità che si avvertiva palpabile, già entrando nell’edificio che
ospitava la Scuola, nonostante questo facesse parte del comprensorio delle
carceri giudiziarie di Regina Coeli, furono incisivamente sottolineati da un
giornalista, Ivon de Begnac, che così si espresse dopo una visita di studio:
“ nel tetro edificio delle carceri giudiziarie, casa di pena e di giustizia, par-
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rebbe impossibile ma ha sede una Scuola, non una delle solite, astratta,
come siamo abituati a pensare, ma la Scuola Superiore di Polizia Scientifi-
ca. C’è però qualcosa che ci riporta alla realtà dell’esistenza che si svolge al
di fuori del palazzo triste: l’umanità. Benché si sia nel bel mezzo del più
rigoroso procedimento scientifico…si sente dentro queste aule vastissime,
raccoglienti migliaia e migliaia di documenti segnaletici, apparecchi che
sono l’ultima espressione dell’inventiva umana…non la immobile testimo-
nianza del dolore e della traversia umana, ma il ben più alto spirito della
difesa sociale, della lotta contro il delitto, della comprensione del delin-
quente come uomo, della pietà verso questi rottami della vita, spesso più
vittime delle loro stesse vittime perché a loro volta vittime di qualcosa di tra-
scendente e di immutabile: il Destino. Nella Scuola il delinquente non
viene trattato come un respinto dalla società, ma come l’espressione del
deviamento sociale che lo ha prodotto, come un essere che può rientrare nei
ranghi qualora abbia scontata la pena e qualora, soprattutto, sia perfetta-
mente accertata la sua non possibile, ulteriore, nocività sociale… La società
è un composto di bene e di male, un tutto continuamente perfettibile, ricco
nella sua vita continua di insegnamenti e di conoscenze, di cuore e di pen-
siero. L’umanità, considerata come perfettibile, è una delle conquiste della
scienza nuova, diretta a prevenire le deviazioni delittuose…Sono sfilati
innanzi ai nostri occhi i ricordi dei più celebri delitti dell’epoca nostra e di
quella dei nostri padri…ma tutto ciò, come interesse è restato molto addie-
tro rispetto alla conoscenza acquisita dei nuovi problemi scientifici dalla cui
risoluzione dipende il più delle volte l’esistenza, libera o captiva, di un
uomo. Rassegna veloce del passato. Certezza sicura del futuro ”.
Purtroppo, questo straordinario atto di fede nella continuità e nel-
l’efficacia del magistero umano, scientifico e tecnico della Scuola, di lì a
poco, si sarebbe scontrato con l’ottusità della violenza più stupida, quella
della guerra il cui insegnamento è improntato all’odio, alla paura, alla mise-
ria materiale e morale.
La fine del periodo bellico, nel 1945, segnò una lenta ripresa delle
attività della Scuola che negli anni che seguirono fu essenzialmente impe-
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gnata nell’organizzazione di corsi per tutto quel personale di polizia che,
per esigenze contingenti, era stato direttamente immesso in servizio senza
aver potuto fruire di un addestramento specifico.
Il lento ritorno alla normalità, l’ammodernamento delle strutture
richiesto dalle nuove tecnologie e la necessità, quindi, di disporre di spazi
appositamente attrezzati, il miglioramento delle condizioni di vita, la rico-
stituzione dell’organico della Scuola, l’opportunità di ospitare i frequenta-
tori in appositi locali al fine di favorire l’instaurarsi di un positivo “ spiri-
to di corpo ”, la necessità di disporre di servizi di mensa e, in breve, l’esi-
genza di avvalersi di una struttura veramente moderna ed all’avanguardia
richiesero, nel 1958, il trasferimento della Scuola dai vecchi locali delle
Mantellate ad un funzionale complesso reperito nel quartiere romano del-
l’Eur.
Lo stato di fatto descritto venne ulteriormente modificato nel 1962
allorché la creazione del Centro Nazionale Criminalpol e l’opportunità di
concentrare l’attività della Scuola unicamente nel settore didattico furono
alla base del D.M. 28 aprile 1962 con il quale si stabilì la dipendenza fun-
zionale dei Gabinetti di Polizia Scientifica dal Centro citato ed il conse-
guente distacco dalla Scuola dei Servizi di cui al R.D. n. 2054 del 1919 che
vennero incardinati nella divisione polizia scientifica dello stesso Centro
Nazionale Criminalpol.
Con il nuovo assetto, la Scuola venne articolata in un Ufficio Affari
Generali e del Personale per il disbrigo delle pratiche inerenti al personale
del “ quadro permanente ” ed ai frequentatori dei corsi; in un Ufficio Corsi
pubblicazioni e dispense con il compito di predisporre, autonomamente o
d’intesa con i docenti, con i quali doveva anche mantenere i necessari con-
tatti, i programmi di studio, curare tempestivamente la stampa di eventua-
li dispense avvalendosi di una propria tipografia, assicurare la disponibilità
di moderni sussidi didattici; in un Ufficio Studi e Ricerche per la raccolta
e l’aggiornamento e l’acquisizione delle pubblicazioni e della documenta-
zione giuridica, scientifica e tecnica connessa ai tipi di insegnamento
impartito, per il mantenimento o l’istituzione di collegamenti con Univer-
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sità e Centri di istruzione anche all’estero, per l’effettuazione di studi a
carattere specialistico.
Alla Scuola così riordinata venne quindi affidata l’organizzazione dei
corsi per il personale direttivo dei ruoli della pubblica sicurezza e per le assi-
stenti di polizia nonché, previa valutazione delle necessità dell’Ammini-
strazione della p.s., quella di corsi di aggiornamento, specializzazione, qua-
lificazione e perfezionamento.
Con il D.P.R. n. 748 del 3 giugno 1972 alla Scuola venne altresì affi-
data l’organizzazione dei corsi di formazione dirigenziale il cui superamento
era necessario per il conseguimento della promozione a primo dirigente di p.s.
La delicata funzione e l’eminente ruolo culturale oltre che formativo
della Scuola sono stati sempre avvertiti dall’Amministrazione della Pubbli-
ca Sicurezza che ha curato che il suo organico fosse costituito da personale
altamente motivato e di alto livello culturale.
Analogamente, nel solco di una tradizione instaurata già con la costi-
tuzione stessa della Scuola, l’insegnamento viene impartito solo da docen-
ti altamente qualificati scelti fra i professori universitari, i funzionari ammi-
nistrativi o di polizia, gli ufficiali delle Forze Armate esperti di particolari
discipline, mentre le conferenze sono tenute da personalità di riconosciuto
magistero per quanto attiene agli argomenti trattati.
In questa ottica sono stati anche designati i Direttori per i quali
le motivazioni della scelta, oltre che dalle doti culturali, sono state inte-
grate dalla valutazione delle qualità umane e della capacità di instaura-
re validi rapporti interpersonali in un clima di rispetto, lealtà e stima
reciproca.
Non è certamente possibile in questa sede ricordare singolarmente
tutti i Direttori che si sono succeduti nel prestigioso compito di guidare la
Scuola ma è doveroso sottolineare che tutti hanno sempre cercato di dare
il loro meglio, immedesimandosi in un difficile ruolo nel quale non c’era
posto per la mediocrità.
È ancora da sottolineare che spesso i Direttori, per la brevità del loro
periodo di permanenza alla Scuola, non hanno potuto avviare la realizza-
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zione di ambiziosi programmi didattici così come certamente avrebbero
voluto.
Tra i funzionari che negli ultimi trent’anni hanno dato lustro alla
Scuola ed il cui incarico si è protratto nel tempo sono certamente da ricor-
dare il dott. Ettore Bonichi ed il dott. Rocco Paceri, entrambi purtroppo
scomparsi, ed entrambi dotati di una carica umana fuori dell’ordinario e di
una capacità non comune di comprendere i giovani frequentatori con i
quali sapevano intrattenere rapporti di piena cordialità, pur in un’atmosfe-
ra di assoluta correttezza formale, per il carisma di cui godevano.
Ettore Bonichi era anche un fine giurista ed un cultore del diritto di
polizia che sapeva spiegare, interpretare e porgere con la semplicità che
deriva da una profonda e meditata conoscenza della materia.
Su generale richiesta dei suoi allievi ed al fine di aiutarli nel difficile
lavoro quotidiano, Ettore Bonichi raccolse le sue lezioni in un aureo volu-
me “ Le leggi di Pubblica Sicurezza ” in cui ogni argomento, anche il più
ostico, è reso facilmente accessibile per la precisione, l’essenzialità e la natu-
ralezza dello stile con cui è affrontato.
Autentico “ livre de chevet ” per generazioni di funzionari che hanno
avuto il privilegio di seguire le lezioni di Ettore Bonichi, ha costituito per
anni una presenza fissa sulle scrivanie di tanti funzionari che, in ogni occa-
sione, se presi da un dubbio, hanno trovato in quel prezioso testo un amico
sincero e fidato sempre capace di rassicurare e confortare.
Rocco Paceri, succeduto nel 1974 proprio ad Ettore Bonichi nella
direzione della Scuola Superiore di Polizia, che mantenne fino al 1983,
anno del suo collocamento a riposo, seppe subito conquistare tutto il per-
sonale per il suo carattere schietto e per la disponibilità al colloquio.
Il suo motto era “ la mia porta è sempre aperta ” ed invero era sem-
pre possibile rivolgersi a lui per un consiglio o per un aiuto, sicuri di tro-
vare franca ed aperta comprensione.
Esperto di polizia scientifica ed incaricato dell’insegnamento di tale
materia presso l’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Roma dedicò
ogni sforzo a migliorare l’attività di formazione da lui vista come un pro-
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cesso continuo ed articolato in più fasi nelle quali assumevano particolare
rilevanza la valutazione delle esigenze poste dalla formazione, la program-
mazione e l’organizzazione delle attività, la scelta delle tecniche di insegna-
mento, la verifica dei “ feed back ”.
Con Paceri i corsi si arricchirono di tavole rotonde, lavori di grup-
po, relazioni tenute dagli stessi frequentatori, dibattiti, esercitazioni con
l’ausilio di sussidi didattici alla ricerca di un tipo di insegnamento vivo che
poneva in secondo piano la lezione tradizionale tenuta “ ex cathedra ”.
Ulteriore merito di Rocco Paceri è stato quello di avere dotato la
Scuola di uno stemma araldico il cui motivo rappresenta dei libri in quan-
to simbolo dello studio, la sciarpa tricolore emblema del magistero di cui è
investito il funzionario di polizia ed indossata nei servizi di maggiore rile-
vanza e responsabilità, la frase latina “ Scientia alitur libertas ” nella quale
si sottolinea il concetto che la libertà, la cui tutela è compito precipuo della
Polizia, si accresce con il sapere e la cultura.
La denominazione della Scuola fu ancora una volta mutata a segui-
to dell’emanazione della legge 1 aprile 1981 n. 121, contenente il Nuovo
Ordinamento della Pubblica Sicurezza38, il cui art. 58 prevedeva l’istituzio-
ne “ di una Scuola nazionale con sede a Roma per la formazione e specia-
lizzazione dei quadri direttivi dell’Amministrazione della Pubblica Sicurez-
za che assume la denominazione di Istituto Superiore di Polizia ”.
Il combinato disposto degli artt. 55 e 58, inoltre, introduceva accan-
to al pubblico concorso, riservato a coloro che erano già in possesso del
diploma di laurea, l’ulteriore previsione della possibilità di accesso all’Isti-
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38 La normativa della L. 121/ 1981 è troppo vasta, complessa ed innovativa per poter essere rias-sunta in poche righe per cui, attenendoci strettamente al tema in trattazione, diremo solo chel'Istituto Superiore di Polizia riunisce nella sua struttura due prestigiose istituzioni quali laScuola Superiore di Polizia e l'Accademia del disciolto Corpo delle guardie di pubblica sicurez-za. Per una disamina puntuale e completa della legge 1 aprile 1981 e delle sue svariate impli-cazioni si rimanda all'opera del prefetto Carlo MOSCA sui “Profili strutturali del nuovo ordi-namento della polizia italiana” ed. Bucalo, Latina, 1981. Dello stesso Autore si segnalanoanche, per il notevole contributo di scienza e dottrina, le voci Ordinamento dell'Amministra-zione della Pubblica Sicurezza in “Novissimo Digesto”, App. VI, Torino 1986 pagg. 133 e segg.e Servizi di informazione e sicurezza, ibidem, App. VII, pagg. 156 e segg.
tuto per “ i giovani in possesso di diploma di scuola secondaria superiore o
titolo equivalente che non abbiano superato il ventunesimo anno di età ”
da avviare alla frequenza di un corso quadriennale, articolato in due bien-
ni ed organizzato “ secondo programmi universitari integrati da materie
professionali ” e finalizzato, pertanto, al conseguimento della laurea in giu-
risprudenza, come previsto dall’art. 12 del D.P.R. 24 aprile 1982, n. 341
che ha conferito all’Istituto Superiore di Polizia il suo attuale assetto secon-
do le previsioni della L. 121/1981.
Al riguardo, infatti, il combinato disposto degli artt. 2 e 6 del D.P.R.
citato stabilisce che l’Istituto è articolato in tre sezioni, la prima delle quali per
lo svolgimento dei corsi quadriennali per la nomina a vice commissario in
prova, la seconda per lo svolgimento dei corsi di formazione anche dirigenziale
e la terza per lo svolgimento dei corsi di aggiornamento e specializzazione.
Si tratta, com’è facile rilevare, di una struttura complessa, apposita-
mente pensata per esaltare il momento didattico, nella quale, nel solco di una
consolidata tradizione cui peraltro si è già fatto cenno, possono essere chiamati
a svolgere attività di insegnamento, come dispone l’art. 7 dello stesso D.P.R.,
docenti universitari ordinari ed associati, anche se siano a tempo pieno, docen-
ti di istituti specializzati, magistrati, funzionari della pubblica amministrazio-
ne ed ufficiali delle Forze armate, nonché esperti di singole discipline.
L’insegnamento, impartito secondo un profilo interdisciplinare, nel
quale si fondono e si armonizzano i diversi aspetti culturali: formativo, di
ricerca ed addestrativo non dà adito a fratture fra mondo della scuola e
mondo reale in quanto consente di acquisire, come scrive Mosca, “ le espe-
rienze della realtà quotidiana in una simbiosi di scambi…suscettibili di tra-
durre…i moduli operativi pratici in modelli teorici da insegnare e da addi-
tare come modelli catalogabili e di riferimento nell’universo strutturale del-
l’apparato di Polizia”. 39
Il cambio di denominazione in Istituto, la riunificazione in un
medesimo Organismo delle funzioni e dei compiti già propri della Scuola
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39 MOSCA Carlo: Profili strutturali, cit., pag. 130.
Superiore di Polizia e dell’Accademia del Corpo delle guardie di pubblica sicu-
rezza e, più a monte, la riforma intervenuta nella Polizia con l’emanazione
della legge 121/1981 sono indici della ricerca continua e faticosa di un asset-
to sempre più duttile e capace di adeguarsi all’evoluzione continua dei tempi.
Sotto questo profilo l’istituzione scolastica è e deve restare sempre
all’avanguardia in quanto essa costituisce la struttura dalla quale non può
prescindere qualsiasi Riforma.
Ovvia conseguenza di quanto affermato è la necessità che nella Scuo-
la si attui sempre un processo dinamico di adeguamento a tempi, valori,
conquiste scientifiche e tecnologiche per avere sempre un Organismo vivo,
attuale, flessibile e non un apparato sclerotico perché rappresentazione cri-
stallizzata di una realtà ormai mutata.
Una Scuola al passo con i tempi, pertanto, deve in un certo senso
considerare provvisorie sia le proprie strutture organizzative quanto le
metodologie didattiche applicate.
Tale carattere di provvisorietà, però, è ben lungi dall’essere un ele-
mento negativo in quanto deve essere inteso come impegno costante di
adeguamento, aggiornamento e conquista, nella coscienza di un cammino
da percorrere continuamente perché esso non presenta una sola meta, defi-
nita pur se lontana, ma tutta una serie di traguardi parziali.
Accanto alla nobile precarietà dei traguardi legati all’evoluzione delle
conquiste scientifiche e tecnologiche esiste anche una funzione trascendentale
ed eterna legata ai valori educativi che la Scuola ha sempre rappresentato per
cui sembra benaugurante, in un ideale passaggio di consegne, ricordare i con-
cetti espressi da Salvatore Ottolenghi in occasione della prolusione ad un corso
di formazione tenutosi nel lontano 1928: la Scuola, come istituzione, è diret-
ta essenzialmente all’educazione. Essa insegna ad adoperare le armi più poten-
ti e più oneste. La cultura, l’applicazione, lo studio, l’uso appropriato delle
metodologie scientifiche, nel moltiplicare le possibilità operative del funziona-
rio, ne affinano l’integrità morale e lo inducono al più profondo rispetto per la
libertà e la dignità altrui. Disciplina interiore e rispetto di se stessi sono gli stru-
menti migliori per guadagnare a sé ed all’Amministrazione il rispetto altrui.
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