La Sacra Scrittura - cagliari-donbosco.it · rete di accoglienza attivata a Roma da suore,...

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IRC – appunti - MDsdb [28]--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 6. La Sacra Scrittura 6.1. Religione del libro? 6.2. La Bibbia: memoria di un evento 6.3. Un libro, più libri 6.4. Come si cita la Bibbia IRC Insegnamento della Religione Cattolica appunti sparsi di don Michelangelo Dessì, sdb

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IRC – appunti - MDsdb

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6. La Sacra Scrittura

6.1. Religione del libro?

6.2. La Bibbia: memoria di un evento

6.3. Un libro, più libri

6.4. Come si cita la Bibbia

IRC Insegnamento della Religione Cattolica

appunti sparsi di don Michelangelo Dessì, sdb

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2. Tradizioni religiose del popolo d’Israele

3. Gruppi religiosi

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Vista la follia e la reazione di Hitler, la Santa Sede preferì continuare

ad agire in segreto, attraverso altri canali che permettessero di salvare la vita agli ebrei ed arginare le conseguenze della guerra. I dati storici potrebbero essere davvero tanti, ne cito solo uno a mo’ di esempio. Siamo a Roma nell’autunno del 1943. È in atto un rastrellamento nazi-fascista nella città di Roma. Conventi, parrocchie, catacombe, cupole di cattedrali usate come rifugio, monasteri di clausura "violati" su ordine del Papa per dare ospitalità, case di cura gestite da religiosi con falsi malati, scuole cattoliche con finti studenti, bambini ammessi in chiesa per finti catechismi. Fu questa la fitta rete di accoglienza attivata a Roma da suore, religiosi e preti per ospitare gli ebrei braccati dai nazisti-fascisti nell’autunno del 1943. Una rete che ebbe il suo punto di smistamento presso i Salesiani della chiesa del Sacro Cuore, vicino alla stazione Termini, e che permise di salvare 4329 ebrei. A quel tempo, la Comunità ebraica di Roma era di circa 10 mila aderenti.1 Concludo, a questo riguardo, sottolineando che molto spesso i mezzi di comunicazione danno voce a studiosi (?) che partono prevenuti a livello ideologico, non riportando tutte le fonti storiche e leggendo, nella scelta del lavoro attivo e silenzioso della Chiesa contro nazismo e fascismo, quasi un tacito assenso, se non addirittura una fattiva collaborazione. Alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale, quando gli alleati entrarono nei lager, tutto il mondo si rese conto dell’immane tragedia dell’Olocausto. Gli Stati vincitori, quasi come “indennizzo di guerra”, sulla spinta del movimento sionista, crearono a tavolino lo Stato d’Israele nel 1948, dividendo la Palestina (protettorato britannico) in due stati: quello palestinese e quello ebraico.

1 cfr. AA.VV., Povertà e ricchezza di una storia nascosta. Atti del Convegno, Roma 2003

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1. L’IRC

1.1. Che cos’è la religione?

1.2. Cos’è l’IRC?

1.3. Perché studiare Religione Cattolica?

1.4. Caratteristiche specifiche di tale

insegnamento

1.5. Differenze con il catechismo

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2. La dimensione religiosa

dell’uomo

2.1. Le dimensioni della persona

2.2. Lo stupore e la meraviglia

2.3. Il senso religioso

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Mit brennender Sorge (Con bruciante preoccupazione), eccezionalmente scritta in tedesco (e non in latino) per favorirne la massima comprensione e diffusione. Fu fatta arrivare ai parroci e ai vescovi in gran segreto, per evitare che fosse intercettata dalla polizia nazista, custodita anche nei tabernacoli e letta contemporaneamente la domenica delle Palme, 20 marzo 1937, in tutte le chiese tedesche.

Il documento deplora le violazioni del Concordato del 1933 e

condanna la dottrina nazionalsocialista come fondamentalmente anticristiana. In particolare, il documento condanna in chiari termini il culto della razza e dello stato, definendoli perversioni idolatriche e dichiarando "folle" il tentativo di imprigionare Dio nei limiti di un solo popolo e nella ristrettezza etnica di una sola razza, ribadendo che tutte le nazioni sono come piccole gocce in un catino d'acqua davanti a Dio. La pubblicazione dell'enciclica diede avvio ad una recrudescenza in Germania delle persecuzioni contro i cattolici. Nel maggio 1937, 1.100 sacerdoti e religiosi vennero imprigionati, di cui 304 vennero poi deportati nel campo di concentramento di Dachau nel 1938. Infine le organizzazioni cattoliche vennero disciolte e l'insegnamento venne proibito.

Stesse conseguenze ebbero le forti denunce dei vescovi olandesi durante l’occupazione tedesca. Finirono nei lager nazisti tantissimi cattolici olandesi.

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3. Le religioni dei popoli primitivi

3.1. Testimonianze che parlano

3.2. La vita che continua

3.3. La magia

3.4. Forze impersonali

3.5. La religione del popolo nuragico

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4. Le religioni dei popoli antichi

4.1. Il politeismo (divinità personali)

4.2. I Sumeri e i Babilonesi

4.3. Gli Egizi

4.4. I Fenici

4.5. I popoli indoeuropei

4.5.1. Gli Etruschi

4.5.2. I Greci e i Romani

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I pregiudizi nei confronti del popolo ebraico, che raggruppiamo sotto il termine antisemitismo, furono alimentati soprattutto in Europa, da un fattore economico. Come per tutte le minoranze etniche, anche per gli Ebrei gli Stati prevedevano delle restrizioni di diritti e libertà. In particolare alle minoranze era proibito svolgere una serie di mestieri, per cui la loro forza lavoro si trovava incanalata su questi mestieri lasciati “liberi” dalla maggioranza della popolazione. In particolare in Europa a cristiani era vietato prestare denaro ad interesse. Il vuoto lasciato consentì agli Ebrei di svolgere l’attività dell’usuraio. Tale attività attirò sul popolo degli Ebrei pregiudizi e manifestazioni d’odio.

A questi motivi di pregiudizio ce n’è da aggiungerne un altro: quello del ritenerli colpevoli di deicidio. Si diffuse presso alcuni gruppi di cristiani anche la convinzione che gli Ebrei fossero da ritenersi colpevoli della morte di Gesù. Questo elemento non è però da ritenersi come l’origine dell’antisemitismo, come a volte viene riportato da storici ideologicamente prevenuti, ma certamente come uno degli aspetti, non certamente il principale, che contribuì alla diffusione dell’antisemitismo, specie in Europa.

Tali pregiudizi nei confronti degli Ebrei presero forma concreta dal 1500 in poi con l’istituzione dei ghetti. Gli Ebrei, lo abbiamo già ricordato, vivevano in quartieri a sé stanti all’interno delle città. Per iniziali motivi di ordine pubblico, tali quartieri vengono recintati e sottoposti a regime di “coprifuoco”. Con il passare del tempo divennero un sistema di controllo e di restrizione della libertà della

minoranza ebraica. La follia di Hitler trovò nell’antisemitismo europeo terreno fertile per

portare avanti il suo piano di sterminio scientifico della razza ebraica, attraverso le leggi razziali del 1933 e i campi di sterminio. È l’Olocausto.

Anche nell’Italia fascista furono approvate leggi razziali a partire dal 1938.

Mi pare argomento di grande attualità andare a studiare quale fu la

posizione della Chiesa in questa vicenda. È argomento in cui entro in punta di piedi, ma al tempo stesso deciso, poiché spesso, anzi sembra culturalmente “conveniente” addossare alla Chiesa responsabilità che forse la storia non le dà.

Innanzitutto mi pare che sia non rispettoso dei dati storici voler addossare al cristianesimo la responsabilità dell’antisemitismo europeo, in base a quanto detto finora.

Di fronte alle leggi razziali naziste, pur essendone a conoscenza, nessuno stato europeo intervenne a protestare. Oltre all’opposizione ferma e forte di cattolici e protestanti in Germania, prima voce ad alzarsi a condannare tali posizioni su quella di Pio XI nel 1937, con la lettera enciclica

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A causa di rivolte gli Ebrei si rivolsero a Roma per dirimere le

contese. Pompeo occupò Gerusalemme nel 63 a.C. La Giudea divenne uno stato vassallo di Roma senza un re ufficiale, guidata dal sommo sacerdote. Nel 37 a.C. Erode, poi soprannominato "il Grande" conquistò Gerusalemme con l'aiuto di Roma e venne riconosciuto come re dei Giudei fino alla morte (4 a.C.).

Durante il regno di Erode e dei suoi successori i Vangeli collocano la vita di Gesù (6-4 a.C. - 30 d.C.).

Sotto la dominazione romana scoppiarono tra gli Ebrei numerose rivolte. L’ultima nel 66 d.C. fu contrastata prima da Vespasiano poi Tito, che portò alla conquista di Gerusalemme e alla distruzione e saccheggio del tempio nel 70 d.C. e, qualche anno dopo con la presa di Masada.

L'imperatore Adriano nel 135 d.C. vietò l'ingresso a Gerusalemme ai Giudei, "rifondando" la città col nome di Elia Capitolina. Da allora gli Ebrei vissero principalmente nella diaspora (=dispersione), fuori dalla Palestina.

La Grande Diaspora. Al tempo di Augusto gli Ebrei nell'impero romano erano circa 4,5

milioni (circa il 7% della popolazione), dei quali solo 1 milione in Palestina. Con la presa e distruzione di Gerusalemme del 135 gli Ebrei vissero

dispersi nelle varie regioni prima dell'impero romano poi dell'Europa. Storicamente furono particolarmente importanti le comunità di Ebrei della penisola iberica e dell'Europa centro-orientale, concentrata in particolare in Polonia.

Una caratteristica del popolo ebraico da tener presente è quella del non “mischiarsi” agli altri popoli in mezzo ai quali vive, sia a livello abitativo, sia a livello familiare. Vanno infatti a formarsi le comunità della Diaspora, all’interno delle città nelle quali vivono, quasi una città nella città. Così era ad Alessandria d’Egitto, ove la comunità della Diaspora era quasi un quinto della popolazione di questa grande metropoli. Anche nelle principali città europee gli Ebrei vissero solitamente in appositi quartieri che dal XIV secolo cominciarono a chiamarsi "ghetto" sul modello di Venezia. Il termine era inizialmente neutro. Inoltre gli Ebrei tendono a non praticare matrimoni “misti”, ovvero fra ebrei e non-ebrei. Questa caratteristica del “non mischiarsi” rende il popolo ebraico un popolo enigmatico agli occhi delle genti in mezzo alle quali vive. Tutto ciò che non si conosce è guardato con sospetto, forse con paura. E di certo questo fu un elemento della cultura e della tradizione ebraica che contribuì ad alimentare un certo pregiudizio nei confronti degli Ebrei.

Arco di Tito, particolare

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5. L’Ebraismo

5.1. L’evento

5.2. La storia del popolo d’Israele Perché?

Sono alcuni i motivi per cui mi sembra importante affrontare lo studio della storia del popolo d’Israele:

o siamo di fronte ad una religione dell’evento. Per poterla capire è necessario dunque conoscere la storia di questi eventi che fondano tale esperienza religiosa.

o è una storia che solitamente non viene affrontata dai manuali di storia, poiché si tratta di un popolo certamente più ristretto di fronte alle grandi civiltà antiche come quella degli Egizi, dei Greci o dei Romani.

o da questa storia trae origine anche l’esperienza religiosa del Cristianesimo. Non conoscerla dunque ci impedirebbe di affrontare nei capitoli successivi un’altra grande religione monoteista, che ha avuto grande impatto culturale nella storia di molti popoli.

Fonti storiche

La prima domanda che gli storici intelligenti si fanno è quella che riguarda le fonti. Senza fonti è impossibile fare storia. Per ricostruire la storia del popolo d’Israele come fonte storica principale, a volte unica, abbiamo i testi della Bibbia. Qui sorge il problema delicato dell’uso dei testi biblici, che, in gran parte, non sono nati come testi storici. Lo studioso, attento e libero da pregiudizi, è in grado, attraverso l’ausilio di scienze come la filologia, l’ermeneutica, l’esegesi, di discernere all’interno dei testi biblici quanto è valido ai fini della ricostruzione storica e sa usare le fonti che ha a disposizione in modo scientifico.

Le indicazioni cronologiche degli eventi più antichi risultano essere ipotetiche, data la scarsità delle fonti e la difficoltà di non poter fare confronti fra diverse fonti che si riferiscono allo stesso evento.

Poiché il popolo d’Israele è entrato a contatto con varie delle civiltà antiche (Egizi, Assiri, Babilonesi, Persiani, Macedoni), ecco che è possibile rintracciare anche nelle fonti storiche degli antichi imperi tracce di questi

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contatti, di questi incontri lungo i secoli. Parlo di tracce, perché non possiamo dimenticarci che abbiamo a che fare con un popolo numericamente insignificante e geograficamente marginale.

Per il periodo della dominazione romana è preziosissima l’opera Antichità Giudaiche dello storico Giuseppe Flavio. In seguito la storia degli Ebrei si fonde con quella dell'occidente cristiano e con la sua storiografia. Età dei Patriarchi

Patriarchi è una parola che deriva dal greco e potrebbe essere resa con

“padri delle origini”. Approfondiremo infatti le origini del popolo d’Israele.

Abramo

La storia del popolo ebraico inizia con Abramo. L'unica fonte storica disponibile è il libro della Genesi. Siamo nel XVIII sec. a.C.

Abram era un arameo che si era “stabilito” ad Ur (attuale Bagdad). Era un ricco possidente di bestiame. Il libro della Genesi ci fa sapere che la nostra storia ha inizio quando Abram ha 75 anni, quando Dio entra nella vita di quest’uomo a cui chiede di lasciare le proprie radici, la propria patria per recarsi verso un paese che gli avrebbe indicato. Abram lascia Ur per dirigersi a Nord, verso Harran (nell'attuale Siria), risalendo il corso del fiume Eufrate, per poi scendere fino nella terra di Canaan (attuale Palestina), percorrendo la valle del Giordano. La domanda sorge spontanea: perché un giro così lungo? Se osservi bene la cartina, ti accorgerai che fra Ur e la terra di Canaan vi è il deserto. Ecco perché Abram, con la propria famiglia, i propri dipendenti e il proprio bestiame preferisce seguire il corso dei fiumi: erano le strade che percorrevano i pastori nomadi del tempo, in modo che fossero assicurati i pascoli per il bestiame.

Che cosa spinge Abram a lasciare la sicurezza della sua vita ad Ur per avventurarsi in un viaggio senza conoscerne la meta? La fiducia nella promessa da parte di Dio: una terra, un nome e una discendenza. Una discendenza? Abram ha 75 anni e Sarah, grosso modo la stessa età. E non avevano figli. Abram si fida, pur con difficoltà, pur cercando di fare a modo suo, della promessa che Dio gli fa e che continua a fargli. E a 100 anni Abramo ha un figlio da Sarah: Isacco. Dio mette alla prova la fede di Abramo:

:

CARAVAGGIO, Abramo sacrifica Isacco

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L’impero babilonese si sgretolò con l’arrivo di Ciro, re dei Persiani nel 539 a.C. Uno dei primi provvedimenti del re (Editto di Ciro del 538 a.C.) fu quello di permettere il ritorno in patria delle popolazioni forzatamente esiliate dai Babilonesi, tra i quali anche i Giudei. Il Libro di Esdra riporta integralmente il testo di due decreti regali rivolti agli Ebrei in aramaico, lingua ufficiale dell'impero, la cui storicità è verosimile. Anche il “cilindro di Ciro” conferma tale disposizione.

Una certa parte degli Ebrei preferì restare a Babilonia. Ciro e i re successivi (Dario, Artaserse) oltre a favorire il rientro degli Ebrei in Giudea finanziarono la ricostruzione del Tempio, distrutto da Nabucodonosor.

Dominazione ellenista. Anche l’Impero Persiano dovette cedere il passo ai Macedoni. Nel 332

a.C. Alessandro Magno, diretto verso l'Egitto, occupò la Palestina e con questo gli Ebrei in Giudea vennero quindi a contatto con la cultura ellenista. Come anche per gli altri territori conquistati Alessandro assicurò libertà di culto e riconobbe l'autorità del sommo sacerdote.

Alla morte di Alessandro nel 323, la Giudea passò sotto il dominio dei re Tolomei d'Egitto, i quali proseguirono la politica di tolleranza.

Nel 200 a.C. la Palestina fu conquistata da Antioco III, re seleucide di Siria. Il successore Antioco IV Epifane (175-164) saccheggiò il tempio, ordinò la costruzione di un altare a Zeus nel tempio e proibì la circoncisione e la celebrazione delle feste ebraiche, incluso il sabato, pena la morte. In questa opera di ellenizzazione forzata trovò appoggio in un forte partito

filoellenista che comprendeva tra l'altro il sommo sacerdote. Questa persecuzione antigiudaica scatenò l'opposizione degli Ebrei

tradizionalisti. La rivolta antiseleucide scoppiò per opera di un sacerdote di nome Mattatia. Suo figlio Giuda, soprannominato Maccabeo (martello), divenne capo della resistenza e riuscì a conquistare Gerusalemme nel dicembre del 164 e riconsacrò il tempio. La rivolta maccabaica e le repressioni dei Seleucidi continuarono a lungo con fasi alterne.

Diaspora ellenista.

L'ellenismo vide anche il fiorire delle comunità ebraiche della diaspora, in particolare in Egitto, in particolare nella città di Alessandria dove arrivò a contare circa 40.000 individui, forse 1/5 della popolazione. In questa città venne tradotta la Bibbia in greco, detta “dei Settanta”.

Dominazione romana.

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I profeti. Chi sono costoro? La parola profeta deriva dal greco (pro-

femì): “colui che annuncia”, l’araldo (da immaginare più come un poeta che come un indovino); “colui che dice al posto di”, colui che incaricato di parlare da parte di qualcuno (da parte di Dio); “colui che parla davanti a”, davanti al popolo, al re, ai sacerdoti.

In ebraico il termine usato è “navì” che vuol dire al tempo stesso “annunciatore” e “chiamato”: il profeta parla perché prima qualcuno gli ha parlato. È un veggente non perché “vede prima”, ma perché è capace di leggere il presente con gli occhi di Dio. Il profetismo è un fenomeno universale, è presente cioè presso vari popoli e in tutte le epoche storiche, ma presso il popolo d’Israele assume un ruolo ed un significato del tutto particolare, che non ha nulla a che vedere con le forme di divinazione o di predizione del futuro. Il profeta non parla solo con la sua parola, ma anche con tutto se stesso: con azioni simboliche e addirittura con una vita simbolica. Le azioni simboliche sono gesti che il profeta aggiunge alla sua parola perché la parola di Dio è efficace. Come JHWH fa conoscere la sua parola al profeta? La comunica attraverso visioni, audizioni o sogni.

Il profeta nei confronti del popolo di Israele è sentinella, custode, pastore. È l’uomo di Dio, che ha familiarità con JHWH, ne è il suo messaggero in quanto inviato da Lui, è il servo di Dio poiché è esecutore pronto ed attento dei suoi comandi. Come descrive Isaia, è colui che di mattino in mattino fa attento il suo orecchio alla Parola di Dio. Di giorno in giorno.

Esilio babilonese e diaspora.

Con la deportazione di Nabucodonosor del 587 il baricentro del

popolo ebraico si spostò presso Babilonia. Tuttavia gli strati più poveri della popolazione rimasero in Giudea. A questi due nuclei bisogna aggiungerne un terzo, seppure di minore entità, dato dalla cosiddetta diaspora egizia.

I Giudei deportati in più fasi tra il 597 e il 582 a.C., probabilmente in totale circa diecimila, furono insediati dai babilonesi a Tel-Aviv, presso il fiume Chebar, non distante da Babilonia. Il profeta Ezechiele, anch'egli deportato, deve aver tenuto desta la speranza di un ritorno in Giudea. La situazione dei deportati comunque fu caratterizzata da una relativa libertà e tranquillità, al punto che al momento del successivo rimpatrio diversi decisero di restare a Babilonia. Nella diaspora babilonese viene solitamente collocato l'inizio della sinagoga.

Dominazione persiana.

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---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[9] gli chiede di sacrificargli l’unico figlio, nel quale aveva appena iniziato a leggere l’avverarsi della promessa. Abramo certamente non comprende ma accetta di obbedire. Il Signore però non lascia che uccida il proprio figlio, eliminando una volta per sempre i sacrifici umani. Abramo muore in Terra di Canaan a 175 anni.

Il nome di Abramo. Abram ed Abramo sono la stessa persona. Quello che graficamente appare come un leggero cambiamento del nome, nasconde, nella lingua originaria, l’ebraico, un diverso significato del nome:

Abram vuol dire «padre eccelso»; Abramo, invece, «padre di moltitudini». È Dio che cambia il nome ad Abram (confronta Gn 17,5), perché ne cambia l’identità, il ruolo, la missione. Il nome presso i popoli dell’antichità

aveva un valore molto più profondo di quello che attribuiamo noi oggi. Nomen est omen, ovvero il nome dice la realtà di una persona, ne indica la vita, l’essenza. Tant’è vero che nella Bibbia, Dio cambia il nome di quelle persone a cui cambia la vita. Ad esempio Simone che diventa Pietro, da pescatore diventa il capo degli apostoli e della Chiesa.

L’età di Abramo. Un altro aspetto che potrebbe lasciarci perplessi e

che necessita di qualche chiarimento: l’età di Abramo. Una premessa generale. Presso tutti i popoli antichi aveva molta importanza la numerologia, ovvero il considerare i numeri non semplicemente nel loro aspetto quantitativo, ma come portatori di significato, nel loro aspetto qualitativo. Facciamo un esempio per capirci meglio. Capita molto spesso anche a noi di usare i numeri non nel loro aspetto quantitativo, ma qualitativo: il 6 in Latino o il 10 in una verifica hanno un valore qualitativo, non quantitativo, poiché esprimono attraverso un numero una qualità che tu possiedi. Bene questo valore qualitativo dei numeri era un aspetto molto presente all’interno della cultura ebraica. Ovviamente a noi questi numeri non dicono più niente, perché non facciamo parte di quella cultura e di quell’epoca. Ma gli studiosi sono in grado di rimetterci in contatto con quei significati ed aiutarci nella comprensione del testo che abbiamo di fronte.

Abramo incontra Dio a 75 anni, ha un figlio a 100 anni e muore a 175 anni. Queste età sono ovviamente da considerarsi nella loro valenza qualitativa e non quantitativa. Notiamo subito che sono tutti multipli di 25:

25x3=75; 25x4=100; 25x7=175. Il 25 è il numero che esprime la giustizia, ovvero la bella e buona relazione dell’uomo con Dio. Il numero 3 esprime la perfezione e il numero 7 la pienezza. Le diverse età di Abramo esprimono dunque non delle tappe cronologiche, ma sottolineano la situazione vitale di Abramo. Abramo è l’uomo giusto. È l’uomo che ha una bella relazione con

25: numero che esprime la

giustizia davanti a Dio, ovvero

una buona relazione con Lui

Abram: padre eccelso

Abramo: padre di moltitudini

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Dio. Tale relazione è perfetta quando Dio si manifesta ad Abramo e quando Abramo muore ne ha raggiunto la pienezza.

Tale precisazione ci permette di non rimanere spiazzati di fronte all’età di vari personaggi biblici, ma di accostarci a questi numeri consapevoli che spesso potrebbero essere portatori di altri significati che è necessario scoprire per giungere alla piena comprensione del testo che si ha sotto mano.

Isacco.

Isacco genera due figli: Esaù, il primogenito, e Giacobbe. Ad Esaù, secondo le usanze del tempo presso le culture nomadiche, spetta il diritto di primogenitura, ovvero diventare capo famiglia, alla morte del padre. Tale primogenitura veniva conferita al figlio maggiore attraverso un rituale molto semplice nel quale il patriarca (il capo famiglia) pronunciava sul figlio la berakà, una benedizione.

Isacco, ormai cieco, sentendo che non gli rimaneva ormai molto più da vivere, chiama Esaù, gli chiede di preparargli un piatto di selvaggina. Al termine del pasto lo avrebbe benedetto. La madre dei due gemelli desiderava fosse Giacobbe a succedere al marito Isacco, per cui, mentre Esaù parte per la caccia, prepara in fretta un piatto di carne, lo dà a Giacobbe, che aveva fatto rivestire con gli abiti di Esaù, impregnati del suo odore e aveva ricoperto le sue braccia con pelli di animale. Tutto questo per ingannare Isacco ormai cieco, dato che Esaù era evidentemente molto peloso.

L’inganno riesce e Giacobbe riceve la benedizione da parte di Isacco e diviene il capofamiglia. A dire la verità tale inganno non è del tutto “illegale” in quanto tempo prima Esaù, tanto ci teneva al suo “diritto”, aveva venduto al fratello Giacobbe la primogenitura per un piatto di lenticchie.

Rimane il fatto che il terzo patriarca è appunto Giacobbe. Giacobbe.

Dio, dunque, attraverso queste vicende molto umane, sceglie Giacobbe come nuovo patriarca e ne cambia il nome in Israele. Gli cambia il nome: ne cambia la vita, ne cambia la missione. I suoi discendenti si chiameranno appunto popolo d’Israele. Giacobbe ha dodici figli. Ciascuno di essi diverrà il capostipite di una tribù del popolo ebraico.

Uno dei dodici figli, Giuseppe, viene venduto per gelosia dagli altri fratelli a dei mercanti diretti in Egitto. Qui, con l’aiuto di Dio, riesce a divenire

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BRUNELLESCHI, Sacrificio di Isacco

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Alla morte di Salomone nel 933 a.C. il

Regno si divise in Regno di Israele (a nord) e Regno di Giuda (a sud). Tale divisione fu provocata dall’acuirsi delle tensioni sempre presenti tra le tribù del nord e quelle del Sud: le tribù del nord non accettarono come re Roboamo, figlio di Salomone, e si impose il regno di Geroboamo.

Nord – Regno d’Israele – re Geroboamo – capitale Tirza e poi Samaria. Sud – Regno di Giuda – re Roboamo – Gerusalemme.

I due regni furono profondamente

diversi. Il regno d’Israele, più vasto, ricco e

popolato, era collocato sulle principali vie di comunicazioni internazionali e dunque più aperto agli influssi culturali e religiosi stranieri. Fu conquistato dagli Assiri nel 733 a.C. E la popolazione israelita fu dispersa e si fuse con le altre popolazioni vicine. Furono attivi diversi

profeti: Elia (850 a.C.); Eliseo (800 a.C.); Amos e Osea (750 a.C.).

Il regno di Giuda era piccolo, la sua popolazione omogenea e riunita attorno a Gerusalemme e al tempio, centro della fede in YHWH. La posizione è decisamente marginale e isolata. I re di Giuda furono tutti della dinastia di Davide.

La storia di questo regno si conclude quando Nabucodonosor mosse contro Giuda e conquistò Gerusalemme nel 597. Deportò il re Ioiachin e parte della classe dirigente del regno e nominò re Sedecia. Nonostante il parere contrario del profeta Geremia e di Baruc, che consigliavano realisticamente la sottomissione a Babilonia, Sedecia si ribellò contro Babilonia nel 589, e Nabucodonosor tornò in Giudea e conquistò Gerusalemme nel 587 a.C. Il tempio fu distrutto e gran parte della classe dirigente e della popolazione esiliata in Babiliona. È la Prima Diaspora.

Nel regno del sud furono attivi diversi profeti: Isaia (750-700); Michea (750); Naum (660); Sofonia (630); Geremia (626-587); Ezechiele (593-571).

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La monarchia.

Secondo il Primo libro di Samuele, soprattutto per motivi di difesa dai

nemici esterni, gli Ebrei chiesero al profeta Samuele di nominare un re. Nonostante avesse manifestato che tale decisione non era gradita al Signore, gli anziani delle tribù insistettero e la scelta, guidata da Dio, cadde su Saul. Il profeta lo unse re. Fu dunque il primo re degli Ebrei e probabilmente regnò dal 1030-1010 a.C. La sua storia è narrata nel Primo Libro di Samuele.

Unzione. Presso il popolo d’Israele nel rito di “incoronazione” del re aveva parte centrale l’unzione. Segno della consacrazione del re, ovvero il segno che il re apparteneva a Dio. Consacrare vuol dire appunto rendere sacro, rendere riservato alla divinità. E come l’olio penetra e macchia indelebilmente i tessuti, così Dio prende possesso per sempre del suo consacrato. Poiché Israele è il popolo di Dio, ecco che solo l’unto di Dio ha il diritto a governare su Israele in nome di Dio.

Gli succedette Davide, il re

per antonomasia presso il popolo d’Israele. Il suo regno durò dal 1010 al 970 a.C. Davide conquistò rapidamente il favore del popolo e sotto il suo regno prese la città gebusea di Gerusalemme, che stabilì come capitale, ed unificò le tribù del nord con quelle del sud. Organizzò uno stato centralizzato sul modello egizio con funzionari, esercito (prevalentemente mercenari), tasse. Combattè vittoriosamente i popoli vicini riducendoli a stati tributari. La sua storia è narrata nel Primo e nel Secondo Libro di Samuele. Alla morte di Davide il regno passò a uno dei suoi figli, Salomone, il cui lungo regno, descritto nel Primo libro dei Re, è tradizionalmente datato tra il 970-933 a.C. Diversamente dal padre fu un re prevalentemente pacifico. Costruì il tempio a Gerusalemme, stabilì rapporti diplomatici e commerciali con i popoli confinanti. Creò un sistema di tassazione che generarono malcontento. Introdusse culti a divinità pagane, spinto dalle varie mogli di origine straniera. La sua opera di governo si allentò e varie città si staccarono dal Regno d’Israele sotto il suo regno.

Il Regno diviso.

Miniatura © Biblioteca Maletestiana

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---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------[11] primo ministro del Faraone. Inizialmente è venduto come schiavo ad un certo Potifar, la cui moglie se ne innamora. Giuseppe rifiuta di venir meno alla fiducia del padrone nei suoi confronti. La moglie, rifiutata, lo accusa di aver tentato di violentarla e lo fa rinchiudere in prigione. Il Faraone è tormentato da un sogno ricorrente: sette vacche magre che divorano sette vacce grasse e sette spighe secche che soppiantano e soffocano sette spighe floride e cariche di grano. Giuseppe lo interpreta come la premonizione dell’arrivo di sette anni di grande abbondanza di raccolti cui succederanno sette anni di carestia e ristrettezze. Occorre dunque provvedere a gestire con intelligenza ed oculatezza i prossimi anni di abbondanza in modo da essere in grado di far fronte alla carestia annunciata. Il Faraone lo nomina suo primo ministro.

Dopo i sette anni di prosperità giunge l’annunciata carestia, che colpisce anche la terra di Canaan dove vive Giacobbe/Israele con i suoi figli, che decidono di scendere in Egitto per acquistare grano.

Anche fonti egiziane come i “Rapporti dei Funzionari di frontiera del Nuovo Regno” testimoniano come non di rado in caso di carestia tribù nomadi semite fossero accolte in Egitto. In cambio dell’ospitalità e dei viveri poteva capitare che offrissero il proprio lavoro a servizio del Faraone e dei suoi funzionari.

I fratelli di Giuseppe ricevono da lui il perdono e sono invitati a stanziarsi in Egitto insieme al padre e alle loro famiglie. La famiglia del patriarca di moltiplica, diventando un piccolo popolo.

La schiavitù in Egitto

Il periodo storico nel quale vengono tradizionalmente collocati i Patriarchi è attorno al 1800-1700 a.C. È però impossibile ricostruire un preciso quadro storico. Il poco che sappiamo del mondo nomade nel medioriente del II millenio a.C. conferma indirettamente diversi elementi: i nomi geografici, di persona, contratti, usi e costumi della vita seminomade descritta nella Genesi trovano numerose similitudini nelle altre fonti storiche. Anche la nomina di un immigrato semita ad un'alta carica statale egizia, come nel caso di Giuseppe, trova conferma nelle fonti egizie.

Sono state proposte varie identificazioni del popolo d’Israele con un clan degli Habiru (o Hapiru), termine indicante generici nomadi (spesso con senso dispregiativo) oppure con un clan semita che si sarebbe insediato in Egitto in occasione dell'invasione degli Hyksos. Ma si tratta appunto si semplici ipotesi.

Il libro della Genesi termina con l'ingresso degli Ebrei in Egitto e l'insediamento in Gosen, nella parte orientale del delta del Nilo. Secondo

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Rupnik, Giuseppe e i fratelli

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diversi passi biblici il soggiorno in Egitto sarebbe durato 400 anni. La cifra è sicuramente simbolica e, come anche 40, ricorre spesso nella Bibbia per indicare un generico lungo periodo. Secondo il libro dell'Esodo, durante questo soggiorno gli Ebrei vissero in pace e prosperarono fino a quando sorse un nuovo re (tradizionalmente identificato con Ramses II, forse 1290-1224 a.C.) che li oppresse, obbligandoli ai lavori forzati nella costruzione delle città di Pitom e Ramses.

Mosè

La repressione da parte del Faraone giunge fino ad un vero e proprio

“controllo delle nascite”. Ogni figlio maschio degli Ebrei deve essere gettato nel Nilo. Mosè (il cui nome significa «salvato dalle acque») viene adottato dalla figlia del faraone e riceve l’educazione presso la corte imperiale. Consapevole delle sue origini, cerca a suo modo di alleviare le sofferenze dei suoi fratelli costretti ai lavori forzati, uccidendo una guardia che stava maltrattando un ebreo. La cosa è risaputa e Mosè deve scappare e rifugiarsi nella terra di Madian (penisola del Sinai). Mosè ha 40 anni.

Dio sceglie di incontrare Mosè, rivelandosi nel roveto ardente, sul monte Oreb/Sinai. Siamo di fronte ad una teofania. La voce dal roveto che brucia ma non si consuma afferma di essere il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. E si fa conoscere a Mosè come JHWH (pron. Iavè), «Io-sono-colui-che-sono».

Il nome di Dio: JHWH. Il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe si rivela a Mosè come JHWH, Io-sono-colui-che-sono. Può essere utile sapere qualcosa in più a tale riguardo.

Conoscere Dio è una delle grandi aspirazioni dell’uomo. Israele ha avuto la missione di rivelare al mondo il “nome”, cioè la realtà di Dio, che si è fatto presente lungo tutta la sua storia.

Ma è possibile all’uomo conoscere pienamente il “nome” di Dio, cioè la sua realtà? Nell’ambiente biblico, come in tutto il mondo semitico, il nome di una realtà e soprattutto di un essere personale è la realtà stessa, la persona stessa. Pronunciare il nome di qualcuno ha l’effetto di renderne presente, operante la realtà. Il sogno pretenzioso della magia di ogni tempo è quello di conoscere e di pronunciare il nome degli dei in modo da costringerli ad agire, utilizzandone la forza ed il potere a proprio piacimento.

Non può essere così per Israele. Il Dio della Bibbia è vicino, presente agli uomini, a volte fino all’intimità, mai però cessa di essere la libertà suprema e trascendente, l’assolutamente altro, il misterioso e l’inaccessibile. Tutto questo equivale ad affermare l’impossibilità per l’uomo di conoscere veramente il nome di Dio.

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Chi presiede spiega anche il significato dei cibi caratteristici: il pane non lievitato è il pane che accompagnò gli ebrei nella prima notte dell’esodo; l’agnello arrosto ricorda quello immolato in quella lontana notte prima di partire; le erbe amare l’amarezza della schiavitù; la salsa rossa i mattoni che gli Ebrei schiavi del Faraone erano costretti a fabbricare.

Dopo il lungo racconto viene pronunciata la berakà, la benedizione sul pane nuovo, poi si mangia l’agnello e si beve il vino ad un grande calice. Su questo calice, a cui tutti berranno, chi presiede pronunzia una lunga preghiera di ringraziamento per tutte le meraviglie che Dio ha compiuto a favore d’Israele. Seguono preghiere e canti fino a tarda notte.

L'uscita degli Ebrei dall'Egitto apre il periodo del soggiorno nel

deserto del Sinai. Secondo il racconto dei testi biblici di Esodo, Numeri e Deuteronomio, per un periodo di 40 anni (cifra qualitativa) gli Ebrei vagarono nel deserto e Mosè, intermediario con Dio, li fornì di norme religiose, sociali e giuridiche.

Di rilievo di questo periodo sono alcuni avvenimenti. Primo fra tutti, l’alleanza del Sinai. Alleanza fra Dio e il suo popolo, che ha Mosè come mediatore e che si fonda sulla Legge che viene data da Dio stesso a Mosè. Cuore della Legge sono i Dieci Comandamenti. È un’alleanza proposta che viene accettata da tutto il popolo. L’espressione di Es 24,7b: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!» sancisce tale alleanza da parte del popolo.

Dopo quarant’anni (qualitativi) di cammino nel deserto il popolo giunge alla Terra Promessa sotto la guida di Giosuè.

Nella Terra Promessa.

L’ingresso e l’insediamento nella Terra Promessa avvennero gradualmente, pacificamente e bellicosamente. La Palestina infatti era già abitata da varie popolazioni che raggruppiamo sotto il nome di Cananei. Israele va ad occupare quei territori “liberi” in modo pacifico e ne va a conquistare altri con le armi. L’infiltrazione pacifica in Palestina, con rapporti sereni con le popolazioni già stanziate, è stata certamente la più diffusa, come confermano anche le testimonianze archeologiche.

Israele si stanzia in Palestina: è un popolo nomade che si sedentarizza. Ognuna delle dodici tribù si stabilisce in un determinato territorio, tranne la tribù di Levi, la tribù sacerdotale, che vive in mezzo alle altre ed è incaricata appunto del servizio del Signore. In questo periodo il popolo d’Israele è governato, o meglio amministrato, tribù per tribù, da un consiglio di anziani, che esprime in determinati momenti un Giudice riconosciuto da tutto il popolo. Tale periodo è datato fra il 1200 a.C. e il 1020 a.C. (inizio della monarchia)

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Pasqua ebraica. Dio annuncia al popolo di Israele, schiavo in Egitto, che lui lo libererà: «In questa notte io passerò attraverso l'Egitto e colpirò a morte ogni primogenito egiziano». Ordina al popolo di Israele di marcare gli stipiti delle loro porte con del sangue di agnello cosicché «Io vedrò il sangue e passerò oltre, colpirò invece con il mio castigo l'intero Egitto, e a voi non succederà niente». La frase "passerò oltre" viene resa con la parola Pesach; da qui il termine Pasqua. In modo sintetico possiamo dire che Pasqua vuol dire passaggio: passaggio dalla schiavitù alla libertà, passaggio “oltre” dell’angelo sterminatore e passaggio del Mar Rosso. È la “notte della liberazione”.

Festa della Pasqua ebraica. È la grande festa di primavera. Si

celebra il 14 Nisan. Il calendario ebraico è lunare, ovvero i mesi sono di 28 giorni, iniziano con la luna crescente e si chiudono con la luna calante. Di conseguenza il 14, a metà del mese, è il giorno della luna piena. Nisan è il mese della primavera, quindi la festa di Pasqua si celebra in corrispondenza del primo plenilunio di primavera, fra i mesi di marzo ed aprile del nostro calendario. È la festa dei “passaggi”: ricorda per i pastori il passaggio dai pascoli invernali a quelli estivi; per gli agricoltori, il passaggio al primo raccolto dell’anno, quello dell’orzo; ricorda il passaggio dalla schiavitù d’Egitto alla libertà della Terra Promessa. In particolare ricorda, come abbiamo detto, il passaggio dell’angelo sterminatore.

Cuore della festa è la cena pasquale, celebrata in famiglia, con grande solennità, inaugurando il nuovo raccolto, mangiando l’agnello arrostito e altri cibi caratteristici. I preparativi più importanti riguardano l’eliminazione dalla casa di ogni traccia del lievito naturale: durante la festa si inaugura infatti il pane “nuovo” fatto con la farina del nuovo raccolto. Per otto giorni il pane sarà azzimo, cioè non lievitato. Il giorno precedente alla cena solenne la famiglia ebraica provvedeva al sacrificio dell’agnello, che veniva immolato al Tempio di Gerusalemme dai sacerdoti.

La festa comincia la sera (che per gli Ebrei segna l’inizio del nuovo giorno), portando in tavola i cibi caratteristici: il pane azzimo, le erbe amare, una salsa rossa, l’agnello arrostito e il vino.

Si tratta di una cena rituale: cioè di una cena non “per mangiare”, ma “per ricordare” e risponde ad un determinato succedersi di preghiere, benedizioni, cibi e bevande.

Il più giovane dei presenti rivolge al più anziano che presiede la domanda rituale: «Perché questa cena solenne?». La domanda è occasione di una lunga preghiera-memoriale (il grande Hallel), dove si racconta le fede del popolo d’Israele: le promesse ai Patriarchi, la liberazione dall’Egitto, l’alleanza al Sinai, i profeti, la liberazione da Babilonia,…

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D’altra parte ciò che non ha nome in un certo senso non esiste; tutto ciò che esiste può essere chiamato per nome. Dio, l’esistente per eccellenza, deve avere un nome e poterlo far conoscere senza per questo cessare di essere il mistero che nessuna intelligenza umana raggiunge. La soluzione a questa specie di contraddizione la si trova nel fatto che “conoscere” in senso biblico non è essenzialmente un atto dell’intelligenza che si appropria del suo oggetto, ma è entrare in comunione profonda, esperienziale, con l’oggetto che si vuol conoscere, è rispetto, sorpresa, adorazione, amore.

Gli israeliti prima e dopo l’esodo, come pure i loro antenati e tutto il mondo semitico, per designare Dio, un dio, gli dei o il divino, avevano il termine generale “El”, talvolta nella forma più piena “Eloah”, soventissimo nella forma plurale “Elohim” (2 mila volte nella Bibbia).

Ma in quell’universo religioso politeista El non era il nome di “un” dio, di questo o di quel dio. Gli antenati di Abramo avevano più dei. Dio si rivela ad Abramo come un Dio unico per lui e per i suoi.

Il libro della Genesi documenta a più riprese la conoscenza ed il culto a Jahvè (cfr Gen 4,26; 9,26; 12,7.8; 13,8; 15,6-7; 22,14). D’altra parte lo stesso libro dell’Esodo (3,15.18; 4,5) dice chiaramente che Jahvè era il Dio degli antenati Ebrei.

Sappiamo che al tempo del giudaismo postesilico si giunse ad interdire la pronuncia del nome di Jahvè e lo si sostituì con il termine Adonai.

Nel libro dell’Esodo 3,13 è riportato questo dialogo fra Dio e Mosè: «Mi diranno: Come si chiama?»: cioè, data l’equivalenza nome = realtà, di che cosa è capace? Quali sono le sue credenziali? Cosa garantisce e promette?

«Dio disse a Mosè: “Io sono colui che sono”». Viene ripetuto due volte il verbo “essere” sotto la stessa forma (prima persona dell’imperfetto/futuro). Ora il verbo “hajah” in ebraico non significa “essere” in senso statico (metafisico, ontologico) bensì essere in senso dinamico, “essere agente”, essere in relazione, essere presente attivamente. La traduzione deve essere più precisamente la seguente: “Io sono colui che sono, cioè sono veramente qui, presente ed attivo”; Dio si definisce in termini di “presenza agente”: “Io sono colui che è attivamente, efficacemente presente alla vostra vita”; “Io sono colui che è continuamente presente nella vostra vita: sono stato presente, sono presente, sarò presente”; “Io sono colui che è liberamente presente nella vostra vita”; “Io sono colui che decido di essere quello che voglio essere e non colui che voi mi fate essere”. La risposta di Dio asserisce che l’uomo non può impadronirsi di Jahvè o avere controllo su di lui. È una risposta che è nel contempo una rivelazione di sè e un rifiuto di svelarsi completamente. Solo negli eventi dell’Esodo e nello svolgersi progressivo della storia della salvezza, Mosè ed Israele

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comprenderanno meglio chi è Jahvè. “Io sono per voi, io sono con voi, ma io non sono di voi”.

Da Jahvè a Geova. Proprio per il divieto di pronunciare il nome di

Dio, quando il lettore si incontrava con il tetragramma (= quattro lettere) sacro JHWH, non potendo pronunciare “Jahvè”, sostitutiva tale parola con “Adonai” che vuol dire “il Signore”.

La scrittura dell’ebraico è consonantica. Ovvero non venivano scritte le vocali. «E come facevano a leggere?», ci verrebbe spontaneo chiedere. Un po’ come capita a noi quando per risparmiare tempo e credito, negli sms comunichiamo così: “cmq c vdm dmn. tvb” che sta per “Comunque ci vediamo domani. Ti voglio bene”. Per noi è abbastanza ovvio e non abbiamo bisogno delle vocali per capirne il significato, che deduciamo dal contesto, dalla persona che ci parla.

Poiché però a volte a seconda delle vocali che si inseriscono i significati delle parole differiscono notevolmente, ecco che intorno al VI secolo nella scrittura dell’ebraico vengono inseriti dei puntini e delle lineette che indicano le vocali. Questo per rendere più semplice ed univoca la lettura. Di fronte al tetragramma sacro, poiché questo non andava letto “Jahvè”, ma “Adonai”, vengono inserite le vocali della parola Adonai e non di Jahvè, in modo da non indurre il lettore distratto a pronunciare inavvertitamente ciò che non poteva essere pronunciato invano.

Se leggo il tetragramma sacro JHWH con le vocali della parola “Adonai” (ovviamente con i caratteri originali e non con la traslitterazione in caratteri latini) ottengo la parola “Jeova” o “Geova” che i Testimoni di Geova considerano appunto il “vero” nome di Dio. In realtà nasce dall’equivoco che ho cercato di spiegarti.

Dio incarica Mosè di guidare il popolo d’Israele nella Terra Promessa,

liberandolo dalla schiavitù degli Egiziani. Superando le proprie reticenze, Mosè torna in Egitto e chiede al faraone di permettere agli Ebrei di partire per adorare il loro Dio nel deserto. Il Faraone indurisce il proprio cuore e nega il permesso. Ravvicinate e numerose calamità naturali, le cosiddette “dieci piaghe”, convincono il Faraone a lasciar partire il popolo ebreo. Le dieci piaghe sono lette dagli Ebrei come interventi prodigiosi di Dio per la loro liberazione.

Il popolo riesce a uscire dall’Egitto attraversando il Mar Rosso. È Pasqua. Pasqua è un termine ebraico che significa «passaggio»: dalla schiavitù alla libertà, passaggio del Mar Rosso. Il racconto del passaggio del mar Rosso presente nel libro dell’Esodo fa certamente riferimento ad un fatto storico realmente accaduto, ma certamente il modo e il genere letterario che vengono usati non sono quelli

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della cronaca, ma rispondono principalmente all’intento dell’autore sacro di mettere in evidenza l’intervento di Dio nel liberare il popolo d’Israele. Ciò non vuol dire che ci troviamo di fronte ad un “falso”, poiché qualcosa di eccezionale è certamente accaduto. Tanto eccezionale da far nascere nel cuore degli uomini che han vissuto quell’evento la consapevolezza e la certezza che Dio sia intervenuto personalmente a guidare la storia e gli avvenimenti di cui sono protagonisti. Allora cos’è accaduto realmente? Gli studiosi hanno diverse posizioni a riguardo. Io ti riporto quella che mi pare più plausibile. Innanzitutto liberiamo il campo da qualunque dubbio: gli Ebrei non hanno attraversato il mar Rosso che conosciamo noi e non l’hanno attraversato con un muro d’acqua a destra e a sinistra così come riportato letterariamente da Esodo e

reso cinematograficamente in vari film sull’argomento. Di “esodo” ve ne sono stati due. Un esodo-cacciata, cui sarebbe seguito un esodo-fuga, guidato da Mosè. Tale tesi spiega la presenza in Esodo di versioni diverse dell’esodo. L’esodo-fuga, quello guidato da Mosè, sarebbe avvenuto passando per il “mare di Giunco”, probabilmente una zona paludosa vicino al delta del Nilo, con “l’aiuto” di una bassa marea e forti venti caldi che hanno reso via per la fuga paludi altrimenti impraticabili.

L'Esodo è tradizionalmente collocato attorno al 1250 a.C.