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La rivoluzione culturale di Enrico Fermi Indice 1 Un ragazzo prodigio 3 2 Nuove visioni del mondo: relativit` a e meccanica quantistica 4 3 Fermi all’universit` a: studente- professore 10 4 Fermi a via Panisperna: un modo diverso di pensare e di insegnare 12 5 La svolta: nasce la fisica nucleare italiana 15 6 Fermi e i neutroni lenti 17 7 Insegnare, calcolare, giocare 19 8 Letture consigliate 21 Introduzione A due passi dal Viminale, vicino alla centralis- sima Via Nazionale e a poche centinaia di metri dalla stazione Termini di Roma c’` e una via che dovrebbe essere considerata uno dei luoghi pi` u importanti della cultura italiana del ’900. Quello che accadde al Regio Istituto di Fisica di via Panisperna negli anni a cavallo tra il 1927 e il 1935 circa pu`o essere considerato infatti una vera e propria rivoluzione culturale: un nuovo modo di concepire la fisica. L’artefice di tale innovazione ` e il massimo fisico italiano del ’900 e uno dei pi` u grandi di tutti i tempi: Enrico Fermi, di cui il 29 settembre 2001 si ` e celebrato il centenario della nascita. Il prestigio della scuola di fisica romana che si ` e creata intorno a Fermi dura tuttora, grazie anche all’opera di Edoardo Amaldi, l’unico tra i “ragazzi di via Panisperna” rimasto in Italia dopo la seconda guerra mondiale. Il nome di Fermi ` e uno dei pi` u ricorrenti quando si sfoglia un testo di fisica moderna, ed ` e lega- to ad almeno tre grandi capitoli della fisica: la statistica quantica delle particelle di spin sem- Un dossier di Angelo Mastroianni, aggiornato al 26.09.2002 http://www.torinoscienza.it/ c 2002 Provincia di Torino

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La rivoluzione culturale di Enrico Fermi

Indice

1 Un ragazzo prodigio 3

2 Nuove visioni del mondo: relativitae meccanica quantistica 4

3 Fermi all’universita: studente-professore 10

4 Fermi a via Panisperna: un mododiverso di pensare e di insegnare 12

5 La svolta: nasce la fisica nucleareitaliana 15

6 Fermi e i neutroni lenti 17

7 Insegnare, calcolare, giocare 19

8 Letture consigliate 21

Introduzione

A due passi dal Viminale, vicino alla centralis-sima Via Nazionale e a poche centinaia di metridalla stazione Termini di Roma c’e una via chedovrebbe essere considerata uno dei luoghi piuimportanti della cultura italiana del ’900.

Quello che accadde al Regio Istituto di Fisica divia Panisperna negli anni a cavallo tra il 1927 eil 1935 circa puo essere considerato infatti unavera e propria rivoluzione culturale: un nuovomodo di concepire la fisica.

L’artefice di tale innovazione e il massimo fisicoitaliano del ’900 e uno dei piu grandi di tuttii tempi: Enrico Fermi, di cui il 29 settembre2001 si e celebrato il centenario della nascita.Il prestigio della scuola di fisica romana che sie creata intorno a Fermi dura tuttora, grazieanche all’opera di Edoardo Amaldi, l’unico trai “ragazzi di via Panisperna” rimasto in Italiadopo la seconda guerra mondiale.

Il nome di Fermi e uno dei piu ricorrenti quandosi sfoglia un testo di fisica moderna, ed e lega-to ad almeno tre grandi capitoli della fisica: lastatistica quantica delle particelle di spin sem-

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intero (i “fermioni”), il decadimento beta e leinterazioni deboli (la “lagrangiana di Fermi”, la“costante di Fermi”); la radioattivita artificialeindotta dai neutroni e le sue applicazioni allafissione nucleare (la “pila di Fermi” e la bombaatomica).

Come accade spesso per i fuoriclasse della scien-za, il premio Nobel non rende giustizia al suoimmenso contributo alla fisica: Fermi lo ha vin-to per le scoperte sulla radioattivita indottadai neutroni, ma se tre fisici diversi avesseroprodotto quei tre risultati, avrebbero meritatoun premio Nobel ciascuno.

Anche nei campi non direttamente aperti da lui,Fermi ha saputo cimentarsi ai massimi livelli.E il caso della relativita generale (le “coordi-nate di Fermi”); dei modelli atomici (l’atomo“di Thomas-Fermi”); della fisica dei raggi cos-mici; delle prime simulazioni numeriche (model-lo “di Fermi-Pasta-Ulam”). Altri scienziati han-no sviluppato tecniche di calcolo o nuovi mod-elli grazie a semplici osservazioni o intuizionidi Fermi. Egli ha poi sfiorato altri due risul-tati fondamentali: il principio di esclusione diPauli e la prima fissione del nucleo, realizzatainconsapevolmente dal suo gruppo.

Per la scienza italiana il suo ruolo e poi doppi-amente rivoluzionario; non solo Fermi e stato ilprimo fisico italiano a lasciare contributi fonda-mentali dopo Galileo Galilei e Alessandro Volta,ma ha inventato un nuovo stile per fare e inseg-nare fisica, creando una scuola e introducendola fisica come la si fa oggi in un Paese ancorascientificamente arretrato e conservatore, comeera l’Italia del periodo fascista.

Il coinvolgimento di Fermi nella creazione di or-digni atomici offre spunti di riflessione attuali etuttora aperti sul ruolo della scienza nella so-cieta, soprattutto nel contesto della cosiddet-ta era “post-accademica” della scienza in cuici troviamo, ma non ne offusca la grandezza discienziato.

Il genio di autodidatta che possedeva Fermi eun dono che appartiene a pochi, ma l’abilita delleader e del caposcuola; l’attitudine a muoversisempre vicino al nocciolo dei problemi fisici e diintuirne gli aspetti piu profondi senza apparente

sforzo; la capacita rarissima di eccellere sia cometeorico che come sperimentale (ma anche cometecnico e ingegnere) sono caratteristiche di unmodello da seguire, attualissimo e ineguagliato,a un secolo dalla sua nascita e a mezzo secolodalla sua prematura scomparsa.

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1 Un ragazzo prodigio

“Ho studiato con passione la matematica perchela considero necessaria per intraprendere lo stu-dio della fisica, alla quale io voglio esclusiva-mente dedicarmi”. E gia molto sicuro di se ilgiovane Fermi che, da completo autodidatta,ha assimilato a diciassette anni gran parte dellamatematica e della fisica che uno studente medioaffronta in diversi anni di studio universitario.

Ancora piu piccolo, praticamente un ragazzino,chiacchierando con un amico di famiglia, l’ingeg-ner Adolfo Amidei, Enrico pone domande coningenuita e acume veramente disarmanti: “Evero che esiste un ramo della geometria in cuisenza ricorrere alla nozione di misura si trovanoimportanti proprieta geometriche?” (si riferiscealla geometria proiettiva). Una delle cose piusconcertanti e la memoria di Enrico: al ragazzobasta leggere un libro una sola volta, lo ricordae lo assimila, giudicando da solo quali argomen-ti saltare senza compromettere la comprensionedel testo. E quando afferma: “Non ho incontra-to nessuna difficolta”, dice sul serio, spesso hasvolto anche tutti gli esercizi.

Il compagno di scuola Enrico Persico ricorda ilsuo amico come un ragazzo fuori del comune:

“Quando lo incontrai per la prima volta avevaquattordici anni; mi accorsi con meraviglia diavere un compagno di scuola non soltanto ’bra-vo in scienze’, come si diceva, ma anche dota-to di un’intelligenza completamente diversa [...]Prendemmo l’abitudine di fare lunghe passeg-giate da un capo all’altro di Roma, parlandodi argomenti di ogni genere con l’irruenza tipi-ca della gioventu. Ma in queste conversazionidi adolescenti Enrico introduceva una precisioned’idee, una sicurezza di se e un’originalita chenon cessavano di stupirmi. Inoltre in matemat-ica e fisica dimostrava di conoscere molti argo-menti non compresi nei nostri studi. Conoscevaquesti argomenti non in modo scolastico, ma inmaniera tale da potersene servire con la mas-sima abilita e consapevolezza. Gia allora perlui conoscere un teorema o una legge scientifi-ca significava soprattutto conoscere il modo diservirsene”.

Ansioso di capire in fretta i fenomeni che osser-va, il giovane Fermi costruisce da solo rudimen-tali modelli teorici. Avrebbe conservato ancheda adulto questa abitudine di riottenere risultatinoti partendo da poche premesse e sviluppan-do poi autonomamente il discorso, per esercizioo per puro divertimento intellettuale. Uno deiproblemi che piu lo affascinano e il moto dellatrottola. Amidei gli spiega che avrebbe capitomeglio la fisica che c’e dietro se avesse studiatola meccanica razionale che, a sua volta, richiedeuna certa dimestichezza con l’analisi matemati-ca. Lo indirizza quindi verso testi di matematicapiu aggiornati e recenti rispetto a quelli che En-rico si diverte a sfogliare e talvolta a comprarealle bancarelle dell’usato.

Adolfo Amidei ha visto giusto, prima ancora deigenitori: dopo averli convinti a iscrivere Enri-co all’universita di Pisa per partecipare ancheal concorso di ammissione alla prestigiosa Scuo-la Normale Superiore, Fermi entra alla Normalealla sua maniera. I commissari che devono giudi-care il suo compito non possono crederci: comepuo un ragazzo di diciassette anni svolgere iltema “Caratteri distintivi dei suoni e loro cause”scrivendo l’equazione differenziale alle derivateparziali che descrive una verga vibrante e svilup-pandola in serie di Fourier? Una simile argo-

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mentazione sarebbe forse stata sufficiente peruscire dalla scuola con il diploma, piuttosto cheper entrarvi! Avranno la conferma diretta dellamaestria del ragazzo convocandolo di persona.

La Normale ha cosı un nuovo allievo: e un esper-to conoscitore della fisica e della matematica, giain grado di insegnare. E il 1918, la rivoluzioneculturale di Enrico Fermi e iniziata.

2 Nuove visioni del mondo:relativita e meccanica quan-tistica

La maturazione di Fermi segue di pari passolo sviluppo della fisica moderna. I primi ven-ticinque anni della sua vita, infatti, vedono lanascita di due tra le piu grandi rivoluzioni con-cettuali nella storia della scienza: la relativitae la meccanica quantistica. Le idee alla base diqueste teorie non riguardano solo la fisica, mainvadono l’intera concezione del mondo. Il loropotere innovativo e paragonabile a quello del-l’invenzione della ruota, della rivoluzione coper-nicana, delle teorie darwiniane, della meccanicadi Newton: nuovi strumenti pratici e concettualiper conoscere.

I quanti di energia di Planck Il primo“rivoluzionario” ad aprire la carrellata di ideenuove e, ironia della storia, un conservatore: iltedesco Max Planck. La formula per l’energiain una cavita a temperatura fissata (ottima ap-prossimazione di corpo nero) e uno degli anellimancanti per completare le conoscenze dei fisicidi fine ’800. La maggiorparte dei contemporaneidi Planck ritiene infatti che la fisica abbia rag-giunto una sorta di “saturazione” e che nulla diprofondo (se non pochi dettagli, come il corponero) sia rimasto da spiegare.

Nel 1900 Planck ottiene una formula con cui puoprevedere il comportamento della radiazione dicorpo nero per la prima volta a tutte le frequen-ze. Tale comportamento era ben noto invecesperimentalmente da molto tempo. La chiavesta in due idee inedite: l’energia nella cavitanon assume tutti i valori possibili tra uno in-iziale e uno finale, ma e distribuita in “pacchet-ti” o quanti ; la seconda idea e che l’energia diun quanto e proporzionale alla frequenza I1

2 del-la radiazione e il coefficiente di tale proporzion-alita dev’essere una nuova costante universale,oggi nota come costante di Planck (h=6,63 10-27 erg). L’energia di un quanto e quindi E =hI1

2 e solo multipli interi di E sono permessi: E,2E, 3E, ecc.

Inizialmente Planck non vede molto al di la del-la porta che egli stesso ha sfondato con la suascoperta, considerata dapprima solo una trova-ta ingegnosa in grado di riprodurre fedelmente idati osservati. Anzi, per anni cerchera invano direcuperare l’ipotesi dei quanti dalla fisica clas-sica, dove l’energia e tutte le grandezze varianocon continuita.

I quanti di luce di Einstein La prima ap-plicazione importante non legata al corpo nerodella quantizzazione dell’energia viene nel 1905da un altro tedesco, uno sconosciuto impiegatodell’ufficio brevetti di Berna: Albert Einstein.Il fisico tedesco spiega teoricamente l’effetto fo-toelettrico, ma la sua idea va ben oltre e coin-volge, o meglio, travolge tutta la fisica. Ein-stein applica l’ipotesi dei quanti direttamente alcampo elettromagnetico, le cui oscillazioni, nella

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visione classica di Maxwell, sono l’essenza delleonde elettromagnetiche.

Einstein, a differenza di Planck, e consapevoledell’enormita che sta postulando: a una radi-azione di lunghezza d’onda I� e frequenza I1

2

sono associati anche un impulso p = -h/I� eun’energia E = hI1

2 . Oltre alle usuali proprietaondulatorie, la luce possiede quindi anche carat-teristiche corpuscolari! Solo piu tardi i quanti diluce di Einstein verranno chiamati fotoni. Ma lavecchia e obsoleta concezione corpuscolare dellaluce cara a Newton e molto lontana: le “par-ticelle” di luce di Einstein viaggiano, appunto,alla velocita della luce. Per questo devono essereaddirittura prive di massa.

La relativita ristretta Quest’ultima bizzarraconclusione deriva dall’altro capolavoro di Ein-stein del suo anno di grazia 1905: la teoria del-la relativita ristretta (o speciale). Le equazionidi Maxwell, mirabile sintesi formale dell’elettro-magnetismo, hanno il difetto piuttosto grave dicambiare forma se le si scrive in diversi sistemidi riferimento inerziali (ovvero in moto rettili-neo uniforme l’uno rispetto all’altro). Cio sig-nifica che le leggi dell’elettromagnetismo cam-biano se le si “guarda” da un sistema inerzialediverso. Non vale quindi il principio di relativ-ita di Galileo (le leggi fisiche sono le stesse insistemi inerziali), che si applica infatti solo allameccanica.

E il danese Hendrik Antoon Lorentz a trovare“a mano”, come artificio matematico, le leg-gi corrette di trasformazione da un sistema in-erziale all’altro per sostituire le inefficaci trasfor-mazioni galileiane. Ma, come mostrato anche daFitzgerald, le trasformazioni di Lorentz preve-dono dei fenomeni assurdi nella vita quotidiana:la contrazione delle lunghezze e la dilatazione deitempi e non spiegano il problema dell’etere.

Einstein invece, spinto solo da esigenze di sem-plicita, logica ferrea e onesta intellettuale, derivale trasformazioni di Lorentz da principii primi.Non vuole rinunciare a un’idea bella e semplicecome il principio di relativita, allora lo estendea tutte le leggi fisiche (ma il principio e ancoraristretto ai sistemi inerziali) e assume in piu lacostanza della velocita della luce e di tutte leonde elettromagnetiche, a prescindere dal motodella sorgente o dell’osservatore. La fiducia diEinstein in questi principii e totale e coerente.Egli ne accetta le conseguenze, per gli altri in-concepibili, senza troppi problemi: se le barreappaiono contratte di un fattore dipendente dal-la velocita e gli intervalli temporali appaiono in-vece dilatati dello stesso fattore, cio non e unparadosso, ma una semplice conseguenza degliassiomi della teoria, in cui la simultaneita dieventi perde ogni significato, se non nello stessoriferimento.

La fisica classica ritorna solo come caso parti-colare: quando le velocita sono piccole rispettoalla velocita della luce c. Infatti, sebbene gli ef-fetti relativistici ci siano sempre, a qualsiasi ve-

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locita V, essi sono in genere irrilevanti visto chedipendono dal rapporto V/c, sempre estrema-mente piccolo nei “lentissimi” fenomeni classicie nella vita quotidiana. Tra le altre conseguen-ze spettacolari della teoria, ci sara la fin troppocelebrata formula dell’equivalenza tra massa edenergia: E = mc2, la quale stabilisce che anchea una particella ferma e non soggetta a forze eassociata un’energia “di riposo”.

Il moto browniano e le teorie atomicheNon contento di aver sradicato in pochi mesiidee scontate da secoli come l’esistenza di unospazio e un tempo assoluti e la natura ondu-latoria della luce, Einstein (ancora nel 1905!)trova il tempo e il modo di concentrarsi su unaltro problema: la natura del moto caotico diparticelle in sospensione (moto browniano). In-terpreta il fenomeno in termini di urti con lemolecole del liquido, dando una svolta decisivaai futuri sviluppi della teoria del rumore e dellefluttuazioni, ma sopratutto alle nascenti teorieatomiche.

Infatti, i modelli atomici di quel periodo sonopiuttosto carenti. Uno dei piu celebri (oggi disola importanza storica) e quello di Thomson,secondo cui gli elettroni sarebbero disseminatiin una distribuzione uniforme di carica positiva(modello a panettone).

L’atomo di Rutherford

Il primo modello realistico di atomo arriva nel1911 dall’Inghilterra: Ernest Rutherford for-mula l’ipotesi che la carica positiva dell’atomosia distribuita in una regione enormemente piupiccola dell’atomo stesso: il nucleo. Gli elet-troni orbitano a mo’ di pianeti intorno al nucleoseguendo le leggi classiche di Newton. Ruther-ford sa bene che e la stessa fisica classica a sta-bilire i limiti del suo modello. Infatti, una caricaaccelerata (come e un elettrone quando orbita

su un’ellisse) deve perdere energia e cadere spi-raleggiando sul nucleo, contro l’evidenza speri-mentale della stabilita degli atomi. Il modellodi Rutherford poi non spiega la presenza dellerighe negli spettri.

Einstein: teorie quantistiche e principio diequivalenza Nel frattempo, nel 1907, Einsteinaveva dato un altro contributo fondamentale alleteorie quantistiche trovando una formula per ilcalore specifico dei solidi. La legge classica diDulong e Petit non e in grado di prevedere queicalori specifici tendenti a zero che si misuravanoa basse temperature, mentre la formula di Ein-stein e piu generale e comprende il caso classicocome limite di alta temperatura.

Ancora Einstein, ancora nel 1907, formula ilprincipio di equivalenza e getta le basi della rela-tivita generale, che estende il principio di relativ-ita anche ai sistemi di riferimento non inerziali.Appare subito chiaro che una tale teoria deve es-sere anche una teoria della gravitazione. Il prez-zo concettuale da pagare e alto: si deve abban-donare la geometria euclidea (in cui il parallelis-mo delle rette o il fatto che la somma degli an-goli interni di un triangolo e 180A◦ sono concettifamiliari da secoli) per ammettere che la geome-tria dello spazio puo essere non-euclidea, controla concezione di spazio e tempo accumulatasiin piu di 300 anni di fisica, almeno per quan-to riguarda le grandi scale di distanza. Einsteinha gia pronte le basi filosofiche e concettuali perquesta rivoluzione: i primi a introdurre delle ge-ometrie non euclidee erano stati i matematiciNikolai Ivanovich Lobachevskij e Bernhard Rie-mann. Mentre gli strumenti dell’analisi tensori-ale, senza i quali Einstein non avrebbe potutoformalizzare la sua teoria in delle equazioni utilialla scienza, gli erano stati forniti dai matem-atici italiani Gregorio Ricci Curbastro e TullioLevi Civita.

Bohr e l’atomo quantistico

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Anche per la visione del mondo microscopi-co alcuni fisici europei, lavorando indipenden-temente, stanno preparando il colpo di grazia.Nel 1913 il danese Niels Bohr formula il pri-mo modello quantistico di atomo. Gli elettroninon possono trovarsi dappertutto, ma solo acerte distanze multiple del “raggio” dell’atomod’idrogeno. Il problema della stabilita dell’ato-mo di Rutherford viene provvisoriamente risoltocon un’intuizione tipica dello stile di Bohr: l’ato-mo emette o assorbe radiazione a una frequenzaI1

2 = IE/h soltanto in occasione di un salto del-l’elettrone da un’orbita all’altra (IE e il salto en-ergetico tra le due orbite permesse), altrimentinon ci sono perdite di energia. Bohr parla infattidi stati stazionari.

Dal momento che anche nell’atomo di Bohr glielettroni si muovono su delle orbite (circolari persemplicita), e evidente che il problema della sta-bilita e della perdita di energia e soltanto aggira-to: per quale ragione fisica gli stati dovrebberoessere stazionari? Perche gli elettroni scambianoenergia solo nei salti e non la perdono nelle loroorbite? Questa e solo una delle tante lacunedella cosiddetta vecchia teoria dei quanti, fonda-ta dai “padri” Planck, Einstein, Bohr e ArnoldSommerfeld, che lavora con Bohr alla quantiz-zazione dell’atomo. Eppure il modello funzionabrillantemente: le righe degli spettri osservate inlaboratorio corrispondono con grande precisionealle frequenze previste dalla formula di Bohr.

La relativita generale Nel frattempo, l’in-stancabile Einstein procede i suoi studi alla dis-perata ricerca delle equazioni del campo grav-

itazionale. Diversamente dalla genesi fulmineae pressocche completa della relativita ristretta,stavolta il percorso di Einstein verso la teo-ria generale e molto piu lungo e tormentato,non privo di errori e ripensamenti. Con l’aiu-to del matematico Marcel Grossmann, Einsteinimpara il formalismo degli spazi di Riemanne del calcolo tensoriale di Ricci e Levi Civi-ta. Solo grazie a questo linguaggio matemati-co, nel 1915 Einstein puo estendere il princi-pio di relativita a tutti i sistemi di riferimen-to. Le equazioni del campo gravitazionale cor-rispondono a uno scenario inedito e inaudito:lo spazio-tempo (concetto emerso gia nella teo-ria ristretta, grazie anche all’opera del matem-atico Hermann Minkowski) e ora un continuoquadridimensionale non-euclideo (se non in pic-cole regioni) e la geometria e stabilita dalla par-ticolare distribuzione della materia-energia. An-che una forma di pura energia e sorgente dicampo gravitazionale e modifica lo spazio-tempocircostante!

La meccanica matriciale Siamo quindi nel1915, e intanto sul fronte della fisica atomicale cose non vanno altrettanto bene. La fisicaclassica viene messa ripetutamente in crisi dagliesperimenti, mentre i calcoli della vecchia teo-ria dei quanti sono sempre piu insoddisfacen-ti. Dovranno passare circa dieci anni prima disbrogliare la matassa e di inserire la vecchia teo-ria dei quanti in uno schema piu completo erigoroso.

I primi a realizzare questo compito sono deiragazzi coetanei di Fermi: Werner Heisenberg,Wolfgang Pauli, Pascual Jordan, e il loro mae-stro Max Born. La spinta verso una mec-canica quantistica completa viene soprattuttoda Heisenberg, il quale capisce che il motodegli elettroni va affrontato da un’ottica radi-

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calmente diversa: bisogna concentrarsi esclusi-vamente sulle grandezze che possono essere mis-urate, tutto il resto non ha significato fisico.Questa linea guida lo porta nel 1925 a delleequazioni inconsuete.

E Born ad accorgersi che l’algebra soggiacenteal modello di Heisenberg non e commutativa:ab non e uguale a ba. Cio vuol dire che a eb non possono essere numeri, ma devono esserequelle tabelle di numeri che i matematici chia-mano matrici. I fisici non sono abituati a questoformalismo, ma non possono negare il successodella quantenmechanik.

L’articolo in cui compare la prima meccanicaquantistica completa e firmato da Heisenberg,Born e Jordan.

Il principio di Heisenberg

Heisenberg completera il suo capolavoro nel1927, con le relazioni di indeterminazione chemodificano il concetto di misura minando ilmetodo sperimentale direttamente alle fonda-menta. Secondo il principio di Heisenberg non epossibile misurare con precisione arbitraria po-sizione e velocita di una particella. Non si trattadi un’impossibilita tecnica o tecnologica, risolvi-bile in un lontano futuro quando i fisici speri-mentali saranno in grado di sondare l’infinita-mente piccolo. E qualcosa di piu profondo, eun’impossibilita di principio. Col senno di poil’idea appare addirittura ovvia: ogni interazioneche si puo immaginare di fare con un sistemamicroscopico per misurarlo perturba inevitabil-mente il sistema stesso, cambiandone irrimedi-abilmente lo stato. Questo non succede con gli“enormi” oggetti della fisica classica e della vitadi tutti i giorni.

Le conseguenze del principio di indetermi-nazione di Heisenberg sono devastanti. Si puofinalmente dire addio alle insoddisfacenti orbiteplanetarie di Rutherford, perche il concetto stes-so di orbita non ha piu senso. Infatti, cio cherende unica una traiettoria, che si trova risol-vendo le equazioni di Newton, e la conoscenzasimultanea di posizione e velocita iniziali di unaparticella. Ma e proprio cio che in meccanicaquantistica non si puo avere!

La meccanica ondulatoria La storia nonfinisce qui, presto tocchera a un altro “protag-onista” della fisica classica andare in profondacrisi: il concetto di particella. Infatti un filone

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di ricerche parallelo e solo inizialmente antago-nista a quello della cosiddetta “scuola di Got-tingen” di Heisenberg, Born e Jordan parte daun’intuizione di Louis De Broglie.

Il francese fa un’ipotesi complementare a quel-la dei quanti di luce di Einstein e altrettantosconvolgente: non solo la luce ha proprieta cor-puscolari, ma anche la materia ha proprieta on-dulatorie! Nasce quello che si chiamera dualismoonda-particella. La formula di base e la stessache aveva proposto Einstein per l’impulso deiquanti di luce. De Broglie postula che una par-ticella di impulso p abbia una lunghezza d’ondaassociata data da I� = h/p.

Nel 1926 l’austriaco Erwin Schrodinger sfruttal’ipotesi di De Broglie per ricavare l’equazione

fondamentale della dinamica quantistica: l’e-quazione d’onda che porta il suo nome. Moltifisici, Fermi e tra questi, tirano un sospiro disollievo: il linguaggio di Schrodinger e quellofamiliare delle equazioni alle derivate parziali.Sono le sue equazioni, non quelle di Heisenberg,a diffondersi piu rapidamente nella comunitascientifica.

Schrodinger stesso si premura di dimostrare l’e-quivalenza delle due teorie. Le procedure di cal-colo di Schrodinger non sono comunque menoinnovative e originali: i livelli energetici degliatomi si trovano ora risolvendo un problemaagli autovalori, mentre l’impulso e diventato unaderivata rispetto alle coordinate.

Onde o particelle? Ma che fine ha fattol’elettrone, la particella per il cui moto si e cre-ata questa nuova meccanica? E una particellao un’onda? Come si conciliano concetti comela massa e la carica elettrica, tipici delle par-ticelle, con la lunghezza d’onda e la delocal-izzazione tipici delle onde? Se due particellesono in realta due onde, allora possono inter-ferire? Tempo un anno, e gli esperimenti diDavisson e Germer daranno una risposta pos-itiva a questa domanda: sı, esiste la diffrazionedegli elettroni e la loro interferenza, propriocome per le onde. E difficile da accettare, magli elettroni passano attraverso due fenditure ...contemporaneamente!

Ma le particelle sono proprio onde? Ormai ifisici non si stupiscono piu di nulla, neanchedell’interpretazione che Born da alla funzioned’onda: le particelle non sono delle vere onde,ci sono pero delle “onde di probabilita” che pos-sono interferire proprio come le onde meccanicheo elettromagnetiche. E ancora un’altra grossanovita, ma stavolta dietro c’e qualcosa di no-to: l’indeterminazione di Heisenberg. Non epossibile sapere dove si trova una particella eseguirla nella sua traiettoria (non esiste piu al-cuna traiettoria); ne si puo sperare di trovarlain un determinato punto (la probabilita e ze-ro). Ci si deve accontentare della probabilitadi avere la particella in un certo volume del-lo spazio. Quanto al passaggio simultaneo del-l’elettrone in due fenditure, la spiegazione e sem-plice ed elegante, una volta accettato di rinun-

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ciare alla visione classica del mondo: l’elettrone“vive” delocalizzato in una sovrapposizione distati e finche non si sceglie un suo stato con unamisura, l’elettrone ha una certa probabilita dipassare in entrambe. Una versione suggestiva diquesto principio e quella della celebre metaforadel gatto di Schrodinger.

La cosiddetta interpretazione di Copenhagen hatra i suoi uomini simbolo uno dei padri fonda-tori della teoria dei quanti: Niels Bohr. Ilsuo principio di complementarita afferma cheil comportamento particellare e solo una delledue essenze complementari, assieme a quelloondulatorio, che la Natura non ci mostra maicontemporaneamente.

La teoria di Dirac

Nel 1925 c’e addirittura una terza versione dellameccanica quantistica, piu rigorosa e assiomat-ica, pubblicata dall’inglese Paul Audrien Mau-rice Dirac. L’opera di Dirac da alla meccani-ca quantistica la veste matematica e concettualeche unifica la visione matriciale e ondulatoria, ede ancora oggi insegnata nelle universita. Diracestende poi alla fisica quantistica le dovute cor-rezioni della relativita, creando nel 1928 la teoriaquantistica relativistica che prevede l’esistenzadello spin (inserito “a mano” nella teoria nonrelativistica come grado di liberta aggiuntivo),e delle antiparticelle.

3 Fermi all’universita:studente-professore

“[...] All’istituto fisico sto a poco a poco di-ventando l’autorita piu influente. Anzi, unodi questi giorni dovro tenere, davanti a diversimagnati, una conferenza sulla teoria dei quanti,di cui sono sempre un propagandista”.

“[...] Io sto facendo il conferenziere, il rela-tivista, il fisico [...] In questi giorni ho avutoun po’ da fare perche ho dovuto scrivere la miaconferenza sulla relativita”.

A giudicare da queste lettere all’amico Persi-co risalenti ai tempi dell’universita, le paroledi Fermi, come quando i due erano compagnidi scuola, non suonano come quelle di uno stu-dente alle prese con lo studio o gli esami. Pi-uttosto sembra di sentire un esperto ricercatoreo un professore. E infatti, autoironia a parte,a 21 anni Fermi e davvero un’autorita in fisi-ca relativistica e quantistica, riconosciuto an-che fuori dall’ambiente di Pisa. La laurea infisica e il diploma della Normale aggiungeran-no pochi dettagli alle sue conoscenze gia com-plete, mirate allo stretto necessario per essere ingrado di affrontare qualsiasi problema autono-mamente. C’e una certa somiglianza anche trale impressioni di Persico ai tempi della scuo-la e quelle del compagno di universita, FrancoRasetti, inizialmente iscritto a Ingengeria:

“Dopo l’inizio delle lezioni nell’autunno del 1918incontrai Enrico Fermi, anche lui studente delprimo anno iscritto a fisica e che quindi frequen-tava molti dei miei corsi. Mi sembro subito unapersona straordinaria per il suo aspetto maturoe per la sua prodigiosa conoscenza e compren-sione della matematica e della fisica. Diventam-mo amici stretti e io imparai da lui [...] molta piufisica di quanto non avessi appreso dai profes-sori. Fu certamente grazie all’influenza di Fermiche presi la decisione, quando ero iscritto al ter-zo anno, di lasciare ingegneria e di diventare unostudente di fisica”.

Ma non si deve pensare a Fermi come a un “sec-chione” dedito esclusivamente allo studio (anche

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se, diversamente dall’onnisciente Rasetti, la fisi-ca rimarra l’unico interesse culturale di Fermi).Assieme al fondatore Rasetti, Fermi e membrodella Societa Antiprossimo, di cui e facile indov-inare gli scopi ... rischiando una volta addirit-tura l’espulsione. Raramente la moglie di Fer-mi, Laura Capon, sentira i due amici raccontarestorie di Pisa non legate agli scherzi o alla vitagoliardica, ma al solo studio.

Fermi riesce a precorrere i tempi in ogni sua at-tivita scientifica: tutti gli aspetti del grande di-datta, caposcuola e inventore di nuovi approccialla ricerca che avrebbero caratterizzato il Fer-mi adulto, nonche l’esperienza, sono gia presen-ti nel Fermi universitario, come ricorda ancoraRasetti:

“Alla fine del 1920 alla facolta di fisica di Pisafurono ammessi tre studenti, Nello Carrara (re-duce di guerra), Enrico Fermi e Franco Raset-ti. A causa della prima guerra mondiale [...] itre, che avevano circa venti anni, erano alloragli unici laureandi. Il professor Luigi Puccianti,direttore del laboratorio di fisica, lascio loro lib-erta di iniziativa in misura raramente conces-sa agli studenti in Italia o altrove. Avevano ilpermesso di utilizzare in ogni momento i labo-ratori [...] per compiere qualsiasi esperimento.Da quel momento in poi Carrara e Rasetti che[...] avevano riconosciuto l’immensa superioritadi Fermi nelle conoscenze di matematica e fisi-ca, presero a considerarlo loro guida naturale,rivolgendosi a lui, invece che ai professori, peristruzioni e consigli. I tre studenti trascorserofelicemente alcune settimane aprendo gli arma-di degli strumenti [...] tentando semplici esper-imenti. [...]Fermi stabilı che quello dei raggi Xera il campo che offriva le migliori possibilita diricerche originali, e propose che tutti e tre com-inciassero a imparare la tecnica relativa. [...] Il

primo compito che Fermi assegno al gruppo fuquello di realizzare una fotografia di Laue [...] itre studenti furono elettrizzati dal risultato”.

Fermi dev’essere gia noto anche a livello inter-nazionale se un suo piccolo saggio del 1923 com-pare in un libro sulla relativita ristretta, accantoai contributi di illustri fisici italiani e stranieri. Isuoi primi articoli scientifici di rilievo riguardanoconcetti di relativita ristretta, ma nel 1922 si ci-menta anche con la relativita generale, con l’ar-ticolo “Sui fenomeni che avvengono in vicinanzadi una linea oraria”. E l’unico grande lavoro diFermi nella teoria gravitazionale di Einstein, lecoordinate in esso introdotte sono ancora oggiimportanti e note come “coordinate di Fermi”.

Impegnato e piuttosto isolato nei suoi studi rela-tivistici, in una lettera del 1922 a Persico, Fermiironizza sull’andamento della sua tesi di laurea,vista quasi come una perdita di tempo che lodistoglie dai suoi studi teorici: “Come fisico lamia principale attivita consiste nel non far nulla,perche ho pensato che in fondo la statistica diBoltzmann non esclude in modo assoluto che lamia tesi possa farsi da se, per movimenti termici[...] Bisogna pure pero che un momento o l’altromi metta a lavorarci sul serio”.

Fermi poi e impegnato anche in un altro la-voro teorico (dimostrazione di un teorema dicalcolo delle probabilita da applicare al motodelle comete) per la tesi di diploma alla Nor-male. Potra apparire strano che questo brillantee promettente teorico scelga una tesi di laureaun po’ sottotono rispetto a quel fermento di ideenuove che stavano invadendo la fisica e di cui luie sempre aggiornato meglio di chiunque altro.La sua tesi di laurea ha infatti carattere speri-mentale e riguarda la realizzazione di immaginidi sorgenti a raggi X. Ancora lo stesso scarsoentusiasmo si nota in un’altra lettera a Persico:“In questi giorni ho avuto e ho parecchio da fareper la mia tesi che, fra parentesi, e venuta unaporcheria delle piu solenni. Essenzialmente saracostituita dalle seguenti parti: introduzione concenno storico e riassunto dello stato attuale dellaquestione; parte teorica [...] sulla riflessione deiraggi X; parte sperimentale consistente nell’ot-tenere [...] fotografie dell’anticatodo alla Lock-yer. Come vedi il programma e molto modesto.

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In compenso ha il pregio di essere ormai quasicompletamente eseguito”.

Perche Fermi, che e in grado di svolgere una tesisu qualunque argomento di fisica, non sceglie lateoria dei quanti o l’amata relativita? Commen-tando la scelta di Fermi, Rasetti ne chiarisce leragioni e riassume lo stato della fisica italiananel primo ventennio del ’900:

“A quell’epoca in Italia la fisica teorica nonera considerata una disciplina da insegnare nelleuniversita e una tesi in quel campo avrebbe rap-presentato uno scandalo almeno per i membripiu anziani della facolta. I fisici erano essenzial-mente fisici sperimentali e solo una tesi speri-mentale sarebbe stata accettata da loro comeuna vera tesi di fisica. L’argomento piu affinealla fisica teorica, la meccanica razionale, era in-segnata dai matematici che la consideravano unsettore di matematica applicata, mostrando ilpiu completo disinteresse per le sue implicazionifisiche. Questo spiega perche argomenti comela teoria dei quanti non avevano preso piede inItalia: rappresentavano una terra di nessuno frala fisica e la matematica. Fermi fu il primo acolmare questa lacuna”.

L’esame di laurea rappresenta emblematica-mente gia lo stile del Fermi maturo: sempliceed essenziale, tradisce le aspettative degli ami-ci e dei parenti venuti a sentirlo. Non mostra lasua profonda sapienza in fisica, come aveva fattoall’esame di ammissione alla Normale e durantetutto il corso di laurea. Fermi espone la suatesi e risponde alle domande, senza sbalordire, eottenendo un ovvio centodieci e lode.

4 Fermi a via Panisperna: unmodo diverso di pensare e diinsegnare

Negli anni ’20 c’e a Roma uno dei pochi person-aggi del mondo accademico italiano in grado diseguire, sia pure da lontano e senza contributidiretti, il grande fermento che stava portandoalla “nuova fisica”: e Orso Mario Corbino, ildirettore dell’Istituto di Fisica di via Panisper-na. Influente personalita in ambito istituzionalee industriale, Corbino e troppo preso da impeg-ni politici per stare nel “giro” della ricerca, mail suo formidabile fiuto per la fisica gli consentedi rimanere abbastanza aggiornato.

Il direttore ha ben chiaro il quadro dei pochifisici validi in Italia: conosciuto Fermi, non tar-da a scoprirne il genio e capisce subito che devetrovare il modo di tenerlo a Roma. Sa bene chenon gli capitera facilmente un altro fenomenocome Fermi e che mentre in Europa i fisici teori-ci stanno cambiando la concezione stessa dellarealta fisica, nel Paese dove con Galileo tuttoera cominciato neanche esiste la cattedra di fisi-ca teorica. Affiancandogli poi un fisico speri-mentale, avrebbe potuto creare il nucleo di un’e-quipe di prima classe per il rilancio del suo is-tituto e della fisica italiana. Uno sperimentaledi tale livello esiste, pronto allo scopo: FrancoRasetti.

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Nel giro di pochi anni a partire dal primo incon-tro con Fermi (avvenuto nel 1922) e dopo chequesti avra frequentato ambienti piu attivi comeGottingen e Leiden (grazie a borse di studio ot-tenute col suo appoggio) Corbino realizza il suogrande progetto: nel 1926, dopo qualche espe-rienza accademica a Roma e Firenze, Fermi e ilprimo professore di Fisica Teorica in Italia. Ilconcorso, inutile dirlo, e solo una formalita perFermi che a 25 anni e ormai un’autorita mon-diale grazie al lavoro sulla statistica quantica.Rasetti e chiamato come assistente di Corbino enel 1930 avra la cattedra di Spettroscopia. Nat-uralmente due persone, sia pure di grande val-ore, non bastano. Allora Corbino, che insegnaFisica alla facolta di Ingegneria, continua la suaopera di “reclutamento” tra i suoi studenti, cer-cando qualcuno che volesse cambiare corso percogliere l’irripetibile opportunita di studiare conFermi.

Tre ragazzi iscritti a Ingegneria capisconodi potersi meglio realizzare professionalmentecome fisici: Emilio Segre, Edoardo Amaldi edEttore Majorana in tempi diversi passeranno aFisica. Sono i primi “ragazzi di via Panisperna”o “ragazzi di Corbino”, i fondatori della scuoladi fisica di Roma, tuttora esistente e prestigiosagrazie a loro, nonostante la cronica “fuga deicervelli” che, iniziata proprio da loro, affliggeancora oggi la ricerca italiana.

In seguito si sarebbero aggiunti in qualita di stu-denti, collaboratori o visitatori, tanti altri fu-turi personaggi di primo piano del mondo del-la fisica: Oscar D’Agostino (chimico), BrunoPontecorvo, Giulio Racah, Bruno Ferretti, Gi-an Carlo Wick, Mario Ageno, Ugo Fano, Gio-vanni Gentile jr, Gilberto Bernardini, EnricoPersico, Bruno Rossi, Giuseppe Occhialini e al-tri ancora. Quando la fama della scuola diRoma si diffonde anche all’estero, arrivano invisita o per brevi periodi di studio molti fisi-ci stranieri: Hans Bethe, George Placzek, Fe-lix Bloch, Rudolf Peierls, Edward Teller, SamGoudsmith, Eugene Feenberg.

Una volta presa la cattedra, Fermi puo final-mente trasmettere a degli studenti il suo per-sonalissimo stile di apprendimento, introducen-do dei metodi tuttora diffusi nelle universita:rompe con la tradizione della vecchia fisicamatematica insegnando come ottenere i risultaticon argomenti di fisica, di plausibilita e di valu-tazione degli ordini di grandezza, quasi nascon-dendo la sua profonda conoscenza della matem-atica. Per la prima volta qualcuno non spiegacio che la fisica matematica aveva prodotto neisecoli precedenti, ma cosa la fisica sta sfornan-do in quegli stessi anni. Cosı fa l’amico Persicoa Firenze (dove nasce un’altra prestigiosa scuo-la di fisica diretta da Antonio Garbasso), cosıfaranno Bruno Ferretti e tutti gli altri suoi suc-cessori alla cattedra di Fisica Teorica a Roma,cosı fara Ettore Majorana a Napoli, cosı si cercadi fare oggi.

L’atmosfera dell’Istituto e i metodi informali delmaestro-amico Fermi sono ben descritti dalle pa-role di Rasetti: “La personalita unica di Fermi,la poca differenza di eta fra docenti e discepoli,l’affinita negli interessi scientifici e persino nelle

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ricreazioni al di fuori dell’attivita universitaria,creavano tra i membri dell’Istituto un’amiciziapersonale e un affiatamento che raramente han-no legato un gruppo di ricercatori. Nulla vi eradi formale nel modo in cui Fermi ci insegnava leteorie fisiche piu recenti, prima di tutte la nuovameccanica quantistica [...] Si tenevano riunioniche si potrebbero chiamare seminari, ma senzaalcun orario o altro schema prestabilito, su ar-gomenti suggeriti sul momento da una doman-da che uno di noi faceva a Fermi, o da qualcherisultato sperimentale che avevamo ottenuto eche si trattava di interpretare, o infine da unproblema che Fermi stava studiando o che ave-va risolto o che cercava di risolvere [...] Fermiprocedeva [...] col suo passo non troppo rapidoma costante, non accelerando nei passaggi fa-cili e neppure rallentando sensibilmente davantia[lle] difficolta [...] Spesso non ci accorgevamo almomento se Fermi stesse esponendo teorie gia alui o ad altri ben note, o se stessimo assistendoad un nuovo passo che egli faceva [...] Abbiamocosı veduto piu volte nascere una nuova teoria,che Fermi sviluppava, per cosı dire, pensando adalta voce”.

Un simile approccio didattico sarebbe oggi im-proponibile in Italia, soprattutto per l’assenzadi un “Fermi” nel terzo millennio, ma anche perl’elevato numero di studenti che frequentano og-gi gli istituti di fisica. Il ruolo di maestro e ev-idente non solo nelle lezioni e nei seminari difisica, ma anche nell’attivita di laboratorio, perla quale Fermi e coadiuvato dall’insostituibile

Rasetti. Ancora Rasetti ricorda come Fermi simuove in fisica sperimentale con pari competen-ze e dimestichezza che in fisica teorica: Fermi“amava soprattutto alternare i due tipi di attiv-ita” raggiungendo i massimi livelli in entrambe,caso rarissimo nella storia della fisica.

“Fermi partecipava agli esperimenti e all’inter-pretazione teorica dei risultati. Egli non era,ne sara mai, uno sperimentatore raffinato nelletecniche di precisione, ma aveva un’intuizioneacutissima di quali fossero gli esperimenti cru-ciali per risolvere un determinato problema, eandava dritto allo scopo senza curarsi di par-ticolari inessenziali. Analogamente, nella teo-ria egli si avvaleva di qualunque mezzo lo por-tasse piu direttamente al risultato, servendosidella sua padronanza dei mezzi analitici se il ca-so lo richiedeva, altrimenti ricorrendo a calcolinumerici, incurante di eleganze matematiche”.

Spesso i pezzi meccanici o i circuiti elettrici delgruppo sono inadeguati. In quel caso Fermi nondisdegna di andare in officina per fabbricarsi let-teralmente a mano cio che occorre, senza pre-tendere una precisione estrema (tipica invece diRasetti), ma giusto il necessario per effettuaremisure con un ragionevole errore sperimentale.

L’intuizione acutissima di cui parlava Rasetti eeffettivamente una delle armi vincenti di Fermi.Quando vuole spiegare come sia riuscito a capirequalcosa senza apparente sforzo, quasi per gius-tificarsi di fronte ai compagni sconcertati dicecol suo tipico sorrisetto, ma senza scompor-si troppo: “C.I.F.! Con Intuito Formidabile”.Anche questo gergo inventato da un’idea del-l’atmosfera e dello spirito di gruppo creatosi avia Panisperna: l’infallibile Fermi e il “Papa”;il potente Corbino il “Padreterno”; il numerodue, l’eclettico Rasetti, e il “Cardinal Vicari-

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o” (ma anche il “Venerato Maestro”); l’iper-critico Majorana e il “Grande Inquisitore”; cisono poi il “Basilisco” Segre, la “Divina Provvi-denza” Giulio Cesare Trabacchi (che dall’Istitu-to Superiore di Sanita fornisce i materiali pergli esperimenti), il “Cucciolo” Amaldi; il “Sig.Nord” Lo Surdo, l’odioso e antiquato successoredi Corbino (morto prematuramente nel 1937) al-la direzione dell’Istituto. Segre racconta che ad-dirittura i ragazzi prendevano la cadenza di Fer-mi nel parlare e chi fosse a conoscenza di questofatto li poteva riconoscere solo dalla parlata!

Un aspetto fondamentale nell’esperienza di Fer-mi e l’uso del calcolo numerico. Fermi e un fisicopuro e preferira sempre usare la fisica e non lamatematica per arrivare ai risultati. Di frontea un simile atteggiamento da parte di un fisi-co “normale”, molti potrebbero storcere il naso.Effettivamente, la matematica e qualcosa di piuper la fisica che un semplice strumento. D’altraparte pero, davanti al genio fenomenologico diFermi, non c’e fisico teorico o sperimentale chenon rimanga per lo meno sconcertato dall’appar-ente semplicita dei suoi ragionamenti. Quandoquesto approccio non e possibile, o quando i cal-coli sono troppo complessi per il suo insepara-bile regolo calcolatore, Fermi ricorre volentierial calcolo numerico che alla fine degli anni ’20comincia a implementarsi sulle prime calcolatri-ci. L’equazione di Thomas-Fermi per gli atomia molti elettroni e uno dei primi problemi cheFermi si diverte (e la parola giusta) a risolverein questo modo.

Pochi scienziati hanno il privilegio di essere i

fondatori di una tradizione o di una scuola vin-cente, neanche il grande Einstein vi riuscı. Fer-mi invece ne ha creato addirittura due! Es-portera infatti negli Stati Uniti la “rivoluzioneculturale” avviata a via Panisperna, quel modounico di fare fisica confondendo quasi la didat-tica con la ricerca. L’esperienza e la maturitasaranno stavolta dalla sua parte e anche a Chica-go, una volta sparsa la voce dell’arrivo di Fermi,accorreranno giovani da tutte le parti del mondoper studiare con il leggendario Fermi. Tra i suoistudenti piu celebri, i premi Nobel Tsung DaoLee, Chen Ning Yang, Murray Gell Mann. Ilracconto di Yang ricorda molto da vicino quellodi Rasetti sulla didattica di Fermi:

“Per ogni argomento aveva l’abitudine di com-inciare sempre dall’inizio, faceva esempi sempli-ci ed evitava per quanto possibile i formalismi.(Usava ripetere per scherzo che il formalismo eraper ’gli alti sacerdoti’). La semplicita dei suoiragionamenti creava l’impressione di una totalemancanza di sforzo da parte sua. Ma quest’im-pressione e falsa. La semplicita era il risultatodi un’accurata preparazione e di una pondera-ta valutazione delle possibili diverse alternativedi esposizione. [...] Aveva l’abitudine di riser-vare a un piccolo gruppo di studenti gia laureatilezioni informali e non preparate in precedenza.Il gruppo si riuniva nel suo studio e lo stessoFermi o qualcuno del gruppo proponeva un ar-gomento specifico di discussione. Fermi alloracercava all’interno dei suoi quaderni di appun-ti, tutti corredati di indici accurati, per trovarele sue note sull’argomento e quindi passava al-l’esposizione. [...] Metteva sempre in risalto laparte piu essenziale e pratica dell’argomento; lasua impostazione era quasi sempre intuitiva egeometrica piu che analitica”.

5 La svolta: nasce la fisicanucleare italiana

Alla fine degli anni ’20, la “rivoluzione cul-turale” di Fermi e ormai pienamente avvia-ta. Le ricerche del gruppo in fisica atomicae spettroscopia sono sempre meglio inquadratenegli schemi della neonata meccanica quantis-

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tica, grazie anche al completo controllo delleteorie da parte di Fermi e al suo potente metodostatistico (modello atomico di Thomas-Fermi)dal quale aveva estratto delle tabelle numerichedi grande utilita per tutto il gruppo (eccetto perMajorana, spesso restio a collaborare con gli al-tri e sempre una spanna al di sopra dello stessoFermi quando si trattava di calcolare qualcosa).

Come spesso accade quando si naviga in mari in-contaminati, le loro conoscenze di fisica atomicaraggiungono presto una sorta di “saturazione”:e rimasto poco da scoprire. Non deve stupireche tale sensazione di esaurimento dei compi-ti sia presente nel gruppo gia nel 1929, con lameccanica di Heisenberg e Schrodinger vecchiadi soli tre o quattro anni. L’avvento della mecca-nica quantistica aveva consentito agli studiosi difisica atomica di mettere al loro posto in brevetempo quasi tutte le varie tessere del mosaicoche la spettroscopia, scienza assai piu vecchia,stava studiando da tempo.

Dal discorso che il direttore Corbino pronunciain occasione della riunione annuale della SocietaItaliana per il Progresso delle Scienze (SIPS) nel1929 emerge chiaramente la consapevolezza cheil futuro della fisica italiana e nell’esplorazionedel nucleo piuttosto che dell’atomo:

“Molte possibilita sono aperte sulla via dell’ag-gressione del nucleo atomico, il piu seducentecampo della fisica di domani [...] La sola possi-bilita di nuove grandi scoperte in fisica risiedepercio nell’eventualita che si riesca a modifi-care il nucleo interno dell’atomo. E questosara il compito veramente degno della fisica didomani”.

Il ruolo di Fermi nel passaggio alla fisica nucle-are e determinante, c’e lui (insieme a Rasetti)dietro le nuove direttive stabilite da Corbino, le

quali prevedono una politica della ricerca asso-lutamente innovativa per l’epoca: attrezzare op-portunamente i laboratori per le nuove ricerche;istituire borse di studio per la formazione deigiovani all’estero; concentrare le risorse che ilgoverno distribuisce abbondantemente (ancoraper poco).

Il primo evento ufficiale che mostra alla co-munita mondiale dei fisici la scuola di Roma,e il congresso internazionale di fisica nucleare,ideato e organizzato da Fermi per fare il pun-to sulle conoscenze della fisica del nucleo e dis-cutere dei problemi aperti. Nelle lettere di invi-to Fermi chiede esplicitamente di porre l’accentosulle problematiche non risolte e di alimentare ildibattito su di esse.

E in quel congresso che Fermi e Wolfgang Pauli“inventano” il neutrino: Niels Bohr, in una dellesue tipiche “rotture” radicali con il pensieroclassico, cercava di giustificare le stranezze deldecadimento beta mettendo in dubbio il “sacro”principio della conservazione dell’energia. Pauliconfida a Fermi in privato che se si vuole salvarela conservazione dell’energia bisogna ammetterel’esistenza di una particella neutra simile al nonancora scoperto neutrone, ma molto piu leggera.Per distinguerlo dal neutrone, Fermi inventa unostile di nomenclatura oggi usuale: il suffisso “in-o”: la particella di Pauli se esiste non puo essereun neutrone, ma un “neutrino”.

Solo nel 1933, un anno dopo la scoperta del neu-trone da parte di James Chadwick, Pauli comu-nica ufficialmente la sua idea e subito dopo Fer-mi, sfruttando l’ipotesi del neutrino, sfodera ilsuo capolavoro assoluto di fisica teorica: Tenta-tivo di una teoria dei raggi beta, articolo inizial-mente rifiutato dalla rivista “Nature” perchetroppo astratto, ma poi diventato un modello

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per le future teorie quantistiche dei campi. Lostesso Fermi e orgoglioso della sua teoria, chepone le basi della fisica delle interazioni debolicon un approccio rivoluzionario: il neutrino none presente nel nucleo e poi emesso assieme agli“elettroni beta”, piuttosto viene “creato”, cosıcome i quanti di luce non risiedono nell’atomo,ma vengono emessi alla frequenza di Bohr al-l’atto della diseccitazione. Prima di Fermi soloPaul Dirac aveva pensato di applicare questometodo alle particelle materiali, anche se Fermie costretto a fare l’ipotesi di neutrino a mas-sa nulla, per le sue usuali esigenze di semplicitadi approccio. Come certamente avra auspica-to Fermi, le eventuali complicazioni sarebberovenute dopo. Infatti, tuttora si discute sulleproprieta del neutrino e della sua massa, gra-zie anche al contributo di uno dei “ragazzi divia Panisperna”: Bruno Pontecorvo.

Sono anni cruciali per la fisica italiana e unaltro successo clamoroso viene sfiorato da unesponente della scuola di Fermi: Ettore Majo-rana. Ma Ettore rifiuta di pubblicare la suateoria sulle forze di scambio, oggi note come“forze di Majorana”. Stavolta il proverbiale in-tuito di Fermi, che aveva colto subito l’impor-tanza dell’idea, non e sufficiente: Ettore nonvuole saperne, preferira i consigli di Heisenberg,dopo i quali accettera di pubblicare la teoria cor-reggendone una analoga presentata dallo stessoHeisenberg. Viene da pensare quali e quantegrandi scoperte sarebbero potute venire da unamaggiore interazione tra questi due straordinariteorici, ma l’eccezionale intuito fenomenologicodi Fermi e la profondita di pensiero di Majorananon si incontreranno mai.

6 Fermi e i neutroni lenti

Appena scoperto il neutrone, nel 1932, Fermi eRasetti iniziano un programma di ricerca in fisi-ca nucleare e, quando nel 1934 i coniugi france-si Frederic Joliot e Irene Curie scoprono la ra-dioattivita artificiale, Fermi trova subito il mo-do di sfruttare il neutrone in fisica sperimentale.I francesi avevano bombardato alcuni elementileggeri con particelle α (nuclei di Elio) emesseper radioattivita naturale. Le emissioni con-seguenti al bombardamento avevano il compor-tamento tipico della radioattivita: era, appunto,radioattivita artificiale o indotta. L’intuizionedi Fermi e di quelle ovvie, col senno di poi: ineutroni sono particelle neutre, mentre le parti-celle α sono cariche e nel bombardamento inter-agiscono con le cariche dei nuclei bersaglio. Se siusassero i neutroni come proiettili, il bombarda-mento sarebbe senz’altro piu efficace. Non sen-tendo la barriera di carica offerta dal bersaglio,i neutroni possono penetrarvi meglio e indurrela radioattivita anche negli elementi pesanti, acui i francesi avevano dovuto rinunciare. Gra-zie alle competenze del gruppo, soprattutto diRasetti, Fermi dispone gia di attrezzature percostruire il suo “cannone” a neutroni. I primiesperimenti, per chissa quale errore sistemati-co, non danno pero risultati positivi, e Rasettiaccantona momentaneamente le misure andan-do in vacanza in Marocco. Non cosı Fermi, cherimane solo a bombardare i vari elementi del-la tavola periodica. Con ordine e sistematic-ita giunge al numero 9, il Fluoro, ed ecco ap-parire una reazione dalla quale emergono deglielettroni. Fermi interpreta tale emissione comedecadimento beta: ha prodotto la radioattivitaartificiale con i neutroni, come aveva previsto.Scrive subito una comunicazione per la rivista“Ricerca Scientifica”, nel cui titolo mette il nu-mero “1”, consapevole che quello e solo l’iniziodi un’epoca d’oro. Richiama Rasetti dal Maroc-co e chiede la collaborazione dei suoi ex allieviAmaldi e Segre.

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A questo punto il gruppo inventa un modo dicomunicare i risultati (oggi prassi usuale gra-zie a internet) del tutto nuovo in Italia: Gines-tra Giovene in Amaldi, moglie di Edoardo, la-vora alla redazione di “Ricerca Scientifica” econtribuisce alla diffusione nei principali labora-tori di fisica di quelli che oggi si chiamerebbero“preprint”. Loro forse non se ne rendono conto,ma c’e un’altra prassi oggi normale che stannointroducendo nella ricerca in fisica: il lavoro diequipe. Sono i primi in Italia, tra i primi almondo, a lavorare in questo modo. Arriverannoa pubblicare una decina di lettere o brevi arti-coli con i quali aggiornano la comunita scientifi-ca dei loro progressi nell’indurre la radioattivitain tutti gli elementi della tavola periodica.

Naturalmente non sono tutte rose e fiori. Nel-l’estate del 1934, il gruppo inizia a scontrarsicon una serie di difficolta. Sorgono addiritturadelle tensioni quando Fermi rimprovera severa-mente Amaldi e Segre per avergli dato per certal’interpretazione di alcune reazioni che poi nonerano piu riusciti ad ottenere. La riproducibilitadelle misure e uno dei cardini su cui si poggia ilmetodo sperimentale e uno scienziato correttoe scrupoloso come Fermi non poteva accettaredi aver comunicato a un convegno un risultatosbagliato dei “suoi” ragazzi.

Giunti poi all’uranio, l’elemento 92, i ragazziincorrono in altre incredibili disavventure: pri-ma di tutto non si accorgono di aver realizza-to, per primi al mondo, la fissione del nucleo(nonostante le indicazioni della tedesca Ida Nod-dak). Interpretano poi i prodotti di reazionecome risultato della creazione di due elementinuovi di numero atomico maggiore di 92. Un po’frettolosamente vengono battezzati “transurani-

ci”, Corbino annuncia i loro nomi “Ausonio” ed“Esperio”, in omaggio ai popoli italici cari alregime fascista. Anche questo scatenera le ire diFermi, giustamente diffidente sulla natura deitransuranici (e anche sui nomi!).

Il giovane Bruno Pontecorvo, fresco di laureacon Rasetti, viene incaricato di cercare di capirecosa sta accadendo, e di mettere un po’ d’or-dine nelle misurazioni. Anche Pontecorvo ricevela sua dose di rimproveri per aver “scoperto” chele misure dipendono dal ... tavolo! Proprio cosı:sui tavoli di marmo la radioattivita indotta e di-versa da quella che, a parita di altre condizioni,si induce su dei tavoli di legno. Anche Amaldiinizia una serie di misure sistematiche entro cer-ti “castelletti” di piombo. Ma toccera di nuovoa Fermi risolvere gli enigmi e avviare un nuovocampo della fisica.

Rimasto solo a fare le misure, con gli amici En-rico Persico e Bruno Rossi che osservano, Fermiha un’intuizione piu o meno inconscia: sostitu-isce un cuneo di piombo, da inserire tra la sor-gente di neutroni e il bersaglio, con un pezzodi paraffina (una sostanza ricca di Idrogeno emolto usata in laboratorio).

L’effetto e strabiliante: i contatori Geigerimpazziscono, l’induzione di radioattivita eenormemente piu efficace. Ancora problemi?Ancora incongruenze sperimentali? A Fermibasta la pausa del pranzo per capire che sta-volta e tutto a posto: i neutroni filtrati dal-la paraffina sono molto piu efficaci perche sonorallentati dagli urti con gli atomi di Idrogeno.Hanno quindi piu tempo per interagire con inuclei e generare la radioattivita. L’ipotesi diFermi verra confermata ponendo l’apparato inaltre sostanze ricche d’Idrogeno, come l’acqua.

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Una prima rudimentale verifica avviene nell’ac-qua della vasca dei pesci nel giardino dell’Is-tituto. Anche il mistero dei tavoli viene spie-gato dall’ipotesi di Fermi: alcuni neutroni, pri-ma di raggiungere il bersaglio, dal cannone rim-balzano sul tavolo, dove vengono “intrattenuti”piu o meno efficacemente a seconda della presen-za di Idrogeno: il legno contiene piu Idrogeno delmarmo, ecco spiegata la maggiore induzione diradioattivita sui tavoli di legno.

Chiacchierando molti anni dopo con l’astrofisicoindiano Subramanyan Chandrasekhar sulla psi-cologia della scoperta, lo stesso Fermi confesseradi non saper bene cosa lo spinse quel 20 ottobre1934 a prendere quella decisione che gli avrebbedato il premio Nobel per la fisica nel 1938:

“Stavamo lavorando molto intensamente sullaradioattivita indotta dai neutroni e i risultatiche stavamo ottenendo erano incomprensibili.Un giorno, appena arrivato in laboratorio, mivenne in testa che avrei dovuto esaminare l’ef-fetto prodotto da un pezzo di piombo piazza-to davanti ai neutroni incidenti. E contraria-mente alle mie abitudini, misi un grande im-pegno nel preparare un pezzo di piombo lavo-rato con grande precisione. Ero chiaramente in-soddisfatto di qualcosa: cercai ogni scusa pertentare di rinviare la disposizione di quel pez-zo di piombo al suo posto. Quando finalmentecon grande riluttanza stavo per collocarlo, midissi: ’No! Non voglio questo pezzo di piombo,cio che voglio e un pezzo di paraffina’. Andoproprio cosı, senza nessuna premonizione e nes-sun precedente ragionamento conscio. Presi im-mediatamente un pezzo di paraffina che trovaisul momento a portata di mano e lo collocaidove avrebbe dovuto essere disposto il pezzo dipiombo”.

Recenti studi tendono a ridimensionare la com-ponente casuale della scoperta, collegando l’in-tuizione di Fermi, certamente inconscia, alla suapartecipazione a dei seminari in cui si parla-va diffusamente (con tanto di interventi del-lo stesso Fermi) degli effetti della paraffina nelrallentamento.

7 Insegnare, calcolare, giocare

Ci sono due cose di cui Fermi non puo fare ameno: calcolare e insegnare. La sua esigenzadi avere sempre il controllo quantitativo di cioche lo circonda lo porta spesso a fare stime nu-meriche di ordini di grandezza, non solo nellaricerca, anche in casa, durante le escursioni inmontagna, osservando cio che lo circonda.

Lo fara anche in circostanze difficili, come l’es-plosione del primo ordigno atomico nel test diAlamogordo. Fermi presta poca attenzione albagliore accecante del fungo atomico che illumi-na il cielo a giorno, e concentrato su una cosaper lui piu importante: stimare l’energia dellabomba lanciando dei pezzi di carta al passaggiodell’onda d’urto. Quando con i suoi collabora-tori a Los Alamos si mette a stimare precisa-mente l’energia con calcoli piu complessi, Fermisa gia che la sua prima stima “artigianale” esostanzialmente giusta e, come sempre, ha ra-gione. Persino in ospedale nel 1954 si potratrovare Fermi, prossimo alla morte, al lavoroalle ultime lezioni (pubblicate postume) oppurea passare il tempo calcolando il flusso del liquidodella flebo!

La mania di insegnare, anche in senso lato loporta spesso a inventare giochi di domande,come quello “delle due lire”, in cui chi non

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risponde correttamente paga una lira, ma chi faun’obiezione che risulta sbagliata ne paga due.Inutile dire chi decide se le risposte e le obiezionisono corrette, nonche chi vince.

Spesso Enrico cerchera di far apprezzare la fisi-ca alla moglie Laura, che aveva studiato Scien-ze Naturali. Fin dai tempi dell’universita, nelleoccasioni di svago i due amici Enrico e Franco(Rasetti) non perdono occasione per sfoggiare ilprimo l’infallibilita e il secondo l’onniscienza, di-vertendosi a provocare le donne della compagniacon domande di cultura generale. Addiritturasembra che Laura soffra di una sorta di comp-lesso di inferiorita: si trova accanto un’infallibileguida montana che di mestiere non fa semplice-mente il fisico. Enrico, le hanno detto, e gradodi influenzare la fisica ai livelli piu alti possi-bili. Ma di tanto in tanto nota divertita qualchesua piccola “sconfitta”, che “non era un buonperdente”.

Il gioco e un aspetto importante della person-alita di Fermi. Passata l’epoca degli scherzidi Pisa con Rasetti e la Societa Antiprossimo,persino nel laboratorio di via Panisperna non sirinuncia al gioco. Nel bel mezzo di importan-ti misure di radioattivita artificiale, consapevolidi stare fondando la fisica dei neutroni, Fermi,Amaldi e gli altri si divertono a gareggiare neicorridoi dell’istituto per portare i campioni dal-la stanza del bombardamento con neutroni allastanza delle analisi il piu presto possibile (in mo-do da minimizzare il pericolo di contaminazionedei campioni). Quando si parla di “ragazzi”,non bisogna dimenticare che all’epoca di viaPanisperna lo stesso Fermi e ancora molto gio-vane. C’e solo una persona dalla quale Enrico

accetta di essere battuto senza recriminare: Et-tore Majorana. Celeberrime le gare di calcolotra questi due giovani giganti: Fermi col regoloe lavagne intere di formule, Majorana con unapenna e un foglio per i pochi passaggi che gliservono.

Fermi manterra sempre il suo interesse per il cal-colo numerico, migliorando e adattando le sueconoscenze ai “nuovi” supercalcolatori elettron-ici che nascono negli anni ’40. Egli stesso useraun calcolatore grafico di sua invenzione. Si ri-cordera certamente di Majorana quando, a LosAlamos, Fermi si divertira a interpretare il ruoloche a Roma era stato di Ettore: sfidare il grandeJohn Von Neumann in delle gare di calcolo:Fermi col regolo, Von Neumann al calcolatore.

“Enrico non era un buon perdente”, ripete spes-so Laura Capon, ma non lo fa mai pesare, anchela sua voglia di primeggiare e un gioco. D’al-tra parte Fermi e troppo sincero e schietto pernascondere la sua oggettiva superiorita: non saessere falsamente modesto e nessuno se lo as-petta da lui. Ma contemporaneamente non amacoprirsi di glorie ufficiali, ne tantomeno di ric-chezze materiali. A volte si rende conto dellagrande soggezione che incute, a dispetto dellasua personalita e del suo aspetto mite. Alloracerca di andare incontro per vincere la timidez-za, che il piu delle volte e reciproca. Ad esem-pio, contrariato dalle sue difficolta con l’inglese,invitera spesso i suoi studenti americani a cor-reggergli errori di pronuncia o di grammatica, incambio di alcuni cents per ogni errore segnalato.

Ma quando si tratta di fisica, Fermi non puoaccettare di sbagliare qualcosa. Nelle rarissimeoccasioni in cui accade, cerca di riparare in tuttii modi. Un geniale stratagemma adottato du-rante una lezione e quello di rivolgersi all’udito-rio, con le spalle alla lavagna, accendere l’atten-zione del pubblico con quei suoi ragionamenticalmi, semplici ed illuminanti che rendono ele-mentare anche i piu profondi argomenti di fisica,e nel frattempo cancellare col gomito l’errore,illudendosi di non essere visto...

Un consiglio che da spesso ai giovani e di dedi-carsi a problemi semplici, rimandando le gran-di sintesi e i grossi sviluppi formali: “compito

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degli studenti e risolvere problemi, compito deiricercatori e fare domande”.

Enrico Persico, in occasione della commemo-razione a Pisa nel 1955, l’anno dopo la mortedi Fermi, ci da un’immagine piuttosto inconsue-ta del suo amico: “Ancora l’estate scorsa ebbi lafortuna di averlo come compagno di villeggiatu-ra sulle Alpi e in Toscana. Benche fosse gia sof-ferente del male, che poco dopo doveva rivelarsifatale, era ancora il caro e semplice compagnodelle nostre passeggiate giovanili. Anzi, in unagita che facemmo, noi due soli, nell’isola d’El-ba, ritrovai in lui una sua vecchia abitudine, checredo pochi conobbero, e che forse fara stupirechi lo ha conosciuto solo superficialmente. Spes-so, nei momenti di distensione, camminando osostando in vista di un bel paesaggio, l’ho uditorecitare, come tra se, lunghi brani di poesia clas-sica, di cui fin dalla giovinezza custodiva nellamemoria un ricco tesoro. Temperamento pocoincline alla musica, la poesia gli teneva luogo dicanto. Il nome di Fermi, per la grande mag-gioranza degli uomini, resta legato alla pila eall’[...] energia atomica. Per i fisici esso si ri-collega [...] a gran parte dei progressi fatti dallafisica nell’ultimo trentennio. Ma per tutti col-oro che conobbero Fermi da vicino e lo ebberocaro, esso e legato al ricordo indimenticabile diun uomo semplice, saggio e buono, della bontaserena dei forti”.

8 Letture consigliate

... AA. VV.: Conoscere Fermi - Soci-eta Italiana di Fisica (2001). Versione online disponibile al sito http://www.sif.it/sif/pub-books-it.htmlfermibook

... AA. VV.: Il Nuovo Saggiatore, 17 (2001)

... E. Amaldi: From the discovery of neutronto the discovery of nuclear fission - “PhysicsReport”, vol. 111(1-4) (1979)

... E. Amaldi: Personal notes on neutron workin Rome in the ’30s and post-war European col-laboration in high energy physics - pubblicato inHistory of twentieth century physics a cura diC. Wiener - Academic Press (1977)

... E. Amaldi (a cura di G. Battimelli e M.De Maria): Da via Panisperna all’America -Editori Riuniti (1997)

... F. Cordella, F. Sebastiani: Il debutto di Enri-co Fermi come fisico teorico: i primi lavori sullarelativita (1921-1922/23) - Quaderno di Storiadella Fisica NA◦ 5 (1999)

... F. Cordella, A. De Gregorio, F. Sebastiani:Enrico Fermi. Gli anni italiani - Editori Riuniti(2001)

... M. De Maria: Fermi: un fisico da viaPanisperna all’America - collana “I grandi dellascienza”, Le Scienze (1999)

... E. Fermi: Note e Memorie vol. I - AccademiaNazionale dei Lincei (1962)

... L. Fermi: Atomi in Famiglia - Mondadori(1954)

... P. Greco: Hiroshima, la fisica conosce ilpeccato - Editori Riuniti (1995)

... B. Pontecorvo: Enrico Fermi - Studio Tesi(1993)

... M. C. Sassi, F. Sebastiani: La formazionescientifica di Enrico Fermi - Giornale di Fisica,XL NA◦ 2 (Aprile-Giugno 1999)

... E. Segre: Enrico Fermi, fisico - Zanichelli(1987)

... E. Segre: Personaggi e scoperte della fisicacontemporanea - Mondadori (1996)

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